Dopo di ciò
Gesù si rivelò ancora ai suoi discepoli sul mare di Tiberiade; e lo fece in
questo modo. Gv 21 Vs 1
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17/ Dicembre /1988
Nino: Dopo la morte e resurrezione, i segni non sono ancora
finiti; vuol dire che ne abbiamo ancora bisogno.
Luigi: Dio fa le cose per gradi; anche dopo la sua morte,
abbiamo tutta un suo manifestarsi progressivo, con aspetti diversi…perché Lui
sta integrando…è tutto un processo di integrazione.
È una integrazione crescente, per portarci alla
possibilità di ascendere con Lui al Padre.
Franca: “Si manifestò così”: Lui si manifesta a livello della
nostra capacità di accoglierlo.
Luigi: Certo; per esempio, io sono in un pensiero di male; in
esso si introduce il Signore con un Suo segno, con una Sua Parola, e non mi
lascia più tranquillo.
Ecco, il Signore interviene così.
Ed è per questo che si dice che Dio è più vicino a noi
dei nostri stessi desideri: perché Lui si manifesta in essi.
Mentre io mi lascio dominare dalle mie passioni, Lui
entra, si intromette: e mi dà qualche segno di Sé.
Certo, in questo modo mi mette in crisi e io allora posso
decidere di scartarlo, posso obiettare “Ho i buoi”, ma lì compio una scelta che
mi responsabilizza, che non mi lascia più come prima…ecco: “tu sapevi, perché
mentre stavi pensando a quello, Io ti ho visto sotto il fico;
Io mi sono introdotto ed ho condotto il tuo pensiero a-“.
Delfina: La manifestazione di Dio la possiamo trovare in
qualsiasi luogo, in qualunque momento, purchè abbiamo lo Spirito.
Luigi: No; tu puoi avere tutta la fame di questo mondo, ma se Dio
non ti fa incontrare il pane tu muori di fame.
Da soli noi non possiamo trovare niente.
Noi troviamo solo quando Dio vuole. È necessaria la
nostra fame, (è necessario il nostro interrogare Dio), ma la risposta dipende
da Lui.
Bisogna essere convinti di questo; è importantissimo
avere consapevolezza che è tutto dono suo.
Giovanna: Lui viene a trovarci là dove noi siamo.
Luigi: Certo, ma teniamo presente che in questa scena abbiamo a
che fare con dei discepoli, eh!
Cioè: Lui non si manifesta più a tutti.
Prima della Sua morte si manifesta tutti, dopo no.
Certamente tutti si troveranno di fronte a Lui morto in
croce “per te”; lì ci arriveremo tutti.
Ma non tutti ci troveremo di fronte a Lui risorto, perché
la resurrezione è soltanto per chi ha creduto in precedenza.
Bisogna credere prima, se no niente da fare..perché Lui
trascende, ci trascende, e per vederLo risorto si richiede l’aver già fatto la
giustizia.
D’altronde “se anche vedessi un morto risuscitare, se tu
non credi alla parola di Dio, non puoi accettarlo”.
Giovanna: Però sembra che Lui ci segua dove noi ci troviamo.
Luigi: Mah, per incontrarsi con me Lui deve venire in un punto
che io ho presente, ed in cui posso vedere Lui; per cui, se io sto pensando al
filo d’erba, Lui interviene lì: perché io posso capire solo attraverso il filo
d’erba.
Ecco la funzione dell’incarnazione.
Dio parte dal mio filo d’erba per arrivare a parlarmi di
Sé: io però lo debbo seguire, se no lo perdo.
Giovanna: Ma la situazione “filo d’erba” in cui mi trovo è già
opera di Dio.
Luigi: Certo; qualsiasi cosa è Dio che me la presenta. Il
nostro grande problema, la nostra grande difficoltà sta nel fatto che noi ci
fermiamo ai segni, senza passare ai significati: ci fermiamo al filo d’erba.
Le cose devono invece essere tenute unite a Dio, per
cercarne il significato presso di Lui.
Noi invece ci fermiamo alle creature, perché esse sono
presenze compatibili al pensiero del nostro io, sono segni di Dio al pensiero
del nostro io.
Ecco l’errore.
Dico: siccome le creature non sono io che le faccio, io
debbo tenerle unite a Dio, a Colui che le fa.
Pinuccia: Questa manifestazione è ancora segno.
Luigi: Sì, è ancora Dio che si rende presente “là dove io
sono”, nel pensiero del mio io.
Vediamo che gli Apostoli stavano pescando nel lago, e
Gesù si manifesta lì, nella loro situazione.
E dunque diciamo: quando una cosa si manifesta nella
situazione in cui io mi trovo, allora è soltanto un segno.
Come dico: io sto pensando ad altro da Dio, ed ecco che Lui
interviene proprio lì, e mi dà un segno di Sé: mi tocca.
Ed io, dunque, mi sento toccato, è una cosa che mi
riguarda: ma ancora non vedo Colui che mi tocca.
Pinuccia: C’è ancora il rischio che la creatura si fermi lì, alla manifestazione dopo la
resurrezione?
Luigi: Il rischio di fermarsi prima del raggiungimento della
Meta (la Pentecoste) esiste fino a che…non si è raggiunta la Meta.
Dio ci sta educando con dei segni, per farci arrivare a Lui,
al di là dei segni; ma fino a che abbiamo bisogno di questi segni, c’è sempre
il rischio di fermarsi ad essi.
Certo, qui siamo con dei discepoli; per loro c’era già
stata la pesca miracolosa (prima della Croce), quindi quello lo avevano
interiorizzato.
Adesso Lui si manifesta di nuovo con un’altra pesca
miracolosa, e allora, zac!, arriva il collegamento.
Senza il segno precedente interiorizzato, loro questo
segno di adesso non lo avrebbero mica capito.
Ecco, è per dire che si comprende in base a ciò che si è
interiorizzato in precedenza.
Pinuccia: Senza la prima pesca miracolosa questa sarebbe servita
proprio a nulla?
Luigi: Assolutamente a niente; di per sé i miracoli non
servono…senza la Parola di Dio dimorante in te, quelli non ti servono a nulla:
è Parola di Dio.
17/ Dicembre /1994
Luigi: Come possiamo essere sicuri che sia Dio che si sta
manifestando a noi, in un certo avvenimento, e che non si tratti invece di una
nostra fantasia?
Carla: La fede ci dice che in tutto è Dio che si annuncia; poi
però il vederlo, il conoscerlo, è la meta.
Luigi: La Divinità, di per sé,
è tutta manifestazione però,
capisci, se vuoi manifestarti ad un bambino ti devi adeguare alla sua
situazione…ora, in cosa consiste l’adeguazione di Dio a noi bambini? Quand’è
che puoi dire: “qui c’è Dio”?
Giovanna: Forse di fronte al miracolo?
Luigi: No, il miracolo non basta, non salva. Nel miracolo ci
può anche essere il demonio. Quello che ci salva è il Pensiero di Dio scoperto
come realtà, come certezza; è lì, solo lì, che tu puoi morire in pace
esattamente come alla sera vai a dormire…perché ti addormenti tranquilla?
Perché sai che al mattino ti svegli. Ora, scoprendo la realtà del Pensiero di Dio
in te, tu vedi la morte come un
addormentarsi che conclude nel risveglio della Vita Eterna.
Questa è la pace, questa è la salvezza.
Franco: Forse si può dire che per me Dio si manifesta quando
viene a rispondere ad un mio desiderio segreto.
Luigi: Ecco: Dio si è manifestato in quel segno che ci hai
raccontato sabato scorso?
Franco:Sicuramente.
Luigi:E perché? Come fai ad esserne sicuro?
Franco: Perché lì c’è stata una coincidenza tra il mio pensiero
ed il segno esterno.
Luigi: Ecco, quella coincidenza ti porta ad escludere il caso,
o la natura, l’uomo.
Solo Dio poteva conoscerti nel tuo segreto.
Silvana: Questa è una manifestazione “nell’ordinario”?
Luigi: Chiamalo ordinario…
Il fatto è che tutto, è straordinario; lo straordinario è
che Dio ci conosce perfettamente in ogni avvenimento.
Dio dialoga con noi in tutto però noi, nel pensiero
dell’io, vediamo l’”ordinario”, cadiamo nell’”ordinario”, e non vediamo più la
Novità di Dio presente in tutto.
È Dio, la sorgente della straordinarietà, mentre il
nostro io è sorgente di ovvietà.
Una luce che si spegne e poi si riaccende, può essere
interpretata come una cosa ordinaria…cos’è che la fa diventare straordinaria?
Franca: Il fatto che avvenga in risposta ad un nostro pensiero.
Luigi: Alla fine della vita restiamo con due termini estremi:
la sete e l’acqua che vi risponde.
Tutto il resto sparisce.
La sete è il bisogno di capire, mentre l’acqua è la
risposta ad esso. Allora diciamo:
L’acqua è la manifestazione della risposta di Dio al
nostro bisogno di comprendere.
Paola: Dio risponde, a questo bisogno?… o
c’è il rischio di morire disperati?
Luigi: Questi sono gli ultimi termini, quelli estremi: sete ed
acqua. Certo, esiste il rischio di morire disperati, perché noi siamo il
“bisogno”, di capire: non siamo il capire.
Per capire bisogna morire a sé stessi, ed entrare nel
Pensiero di Dio.
Si trovarono
insieme Simon Pietro con Tommaso chiamato Didimo, Natanaele di
Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due Suoi discepoli. Gv 21 Vs 2
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17/ Dicembre /1994
Nino: Gesù dice: “Dove due persone sono riunite nel mio nome Io
sono in mezzo a loro”.
Luigi: Certo, e qui il Vangelo ci rivela “come” Dio si
manifesta ai Suoi discepoli. Ci dice che Gesù ci incontra nella situazione in
cui ci troviamo (massa, gruppo), e da lì
opera per farci diventare persone. È molto difficile, diventare persone.
C’è in questi giorni la lezione di Mitterand: sta morendo
di cancro, gli hanno dato ancora sei mesi di vita. Fin’ora il suo problema era
la politica, la carriera, e adesso che la morte è vicina sta uscendo il problema
personale: “C’è qualcosa dopo la morte?”.
Ha chiesto consiglio al filosofo Guitton, che non ha
saputo rispondergli; è una lezione di Dio, per farci capire come Lui opera per
farci persone.
In realtà la nostra vita è sempre “quel problema lì”, ma
non ci preoccupiamo di risolverlo, perché non ci preoccupiamo di conoscere Dio,
di entrare nella Vita Eterna.
Ecco allora che a un certo momento Dio interviene
forzando la mano, per farci diventare persone e quindi ricevere la Sua
manifestazione.
Franco: È demoralizzante vedere come si rimandi il problema
anche di fronte alla morte di una persona cara e si rimanga nelle banalità.
Luigi: Certo, e pensare che sappiamo tutti benissimo che molto
presto ci troveremo di fronte alla morte, nella stessa situazione di Mitterand.
Lì non potremo più rimandare il problema, lì la manifestazione di Dio è vicina.
Franco: Perché in questa scena che prepara la manifestazione di
Gesù Risorto, troviamo solo Apostoli e discepoli?
Luigi: Perché Gesù Risorto non appare a tutti, ma solo a chi
porta un certo pensiero, e che può dunque cogliere ciò che sta avvenendo come
manifestazione di Dio.
Siamo sempre lì:
si deve determinare una coincidenza tra interno ed
esterno.
Silvana: Quindi Dio sta preparando le condizioni per ricevere Gesù
Risorto.
Luigi: Certamente. E Lui opera così con ognuno di noi.
Simon Pietro
dice loro: vado a pescare, essi gli rispondono: veniamo anche
noi. Così andarono a pescare, ma quella notte non presero nulla. Gv 21 Vs 3
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17/ Dicembre /1988
Nino: Non prendono niente perché Dio è assente dai loro
pensieri.
Luigi: È notte.
Franca: “Veniamo anche noi”: si muovono così…
Luigi: Non sapevano cosa fare; erano disoccupati. E si pesca,
si raccoglie qualcosa, solo quando si è mossi dalla Parola di Dio. Se Dio
parla, allora la nostra vita diviene fruttuosa. In caso contrario qualunque
cosa si faccia rimane sempre sterile, si conclude sempre in niente.
È la notte. Se si
lavora di notte, fosse anche tutta la notte…non c’è risultato. Per ottenere
qualcosa bisogna lavorare nella luce.
Sergio: Comunque L’hanno riconosciuto.
Luigi: Beh, erano discepoli, dunque lo portavano dentro;
soltanto che, prima della Sua morte, Gesù diceva loro certe parole, era con
loro, diceva loro cosa fare e cosa non fare…adesso, dopo la Morte -ma anche
dopo la Sua resurrezione- Lui non era
più con loro in questi termini.
Sì, era con loro, ma loro non lo vedevano fisicamente,
come prima…non potevano più chiedergli come prima cosa dovevano fare, come
dovevano agire, ecc.
Ed allora, sentendosi disoccupati, tornavano ai lavori di
prima.
Siamo cioè ancora nel processo di integrazione, di
sviluppo. Siamo ancora nella preparazione alla Pentecoste.
Quale differenza c’è tra Cristo prima della morte e il
Cristo nella fase “resurrezione/Pentecoste”?
È che prima c’è la presenza fisica, per cui Lui ha quel
preciso aspetto fisico: si identifica con un aspetto costante. Dopo la
resurrezione no, non si presenta più con un aspetto definito, costante; e
perché?
Perchè li sta abituando ad una presenza spirituale.
Lui vuole cioè abituarli (e vale ovviamente per ognuno di
noi) a non pensare alla Sua Presenza come legata a certi fattori sensibili (un
rito, un’istituzione), ma a riconoscere questa Sua Presenza in tutto ed in
tutti.
Quindi ci troviamo qui nel momento in cui la Presenza
Spirituale si sta staccando dalla presenza fisica.
Ecco, prima c’era una presenza spirituale “unita ad una
presenza fisica”; adesso c’è in atto un processo di distacco.
Arriverà il momento dell’Ascensione in cui si staccherà
definitivamente da qualsiasi presenza fisica.
E tutto ciò avviene, come dico, per educare i suoi
discepoli (quindi tutti noi) a scoprire la Sua Presenza Spirituale in tutto e
in tutti; per educarci a non vederlo più localizzato in un certo luogo, sotto
un certo aspetto.
Giovanna: Mi colpisce il fatto che qui i discepoli partono di loro
iniziativa, pur trovandosi già dopo la morte e la resurrezione.
Luigi: Non basta: loro non avevano la Presenza di Dio; ora,
questa Presenza viene dal Padre, è lo Spirito Santo: “in quel giorno
conoscerete che il Padre è in Me ed Io nel Padre”.
Ecco, ma fino a quando quella Presenza lì non c’è, c’è la
disoccupazione; sì, si crede in Dio, tutto quanto…ma non è sufficiente. Infatti, lì c’è il solito problema: Dio non
ti dice cosa devi fare! E te ne accorgi, eh!
Dio sta in silenzio…ma quando arriva lo Spirito Santo, Dio
“ti dice”!
Lì allora sei mossa dallo Spirito, capisci? Ecco, non sei più tu, ma è lo Spirito che ti dice: “muoviti qui, vai là, fai
questo, fai quello”.
Cioè: è Dio che ti guida in tutto.
Prima di giungere a questa Presenza credi in Dio, cerchi
pensarlo, tutto quanto, però ti accorgi che c’è sempre una separazione, per
cui: “devo far da mangiare, devo correre qui”, ecc. Cioè “sei tu”, da sola: non vedi Dio che ti
dice: “Vai qui, fai questo”.
C’è questa (sostanziale) differenza.
Giovanna: Questo è il periodo più difficile.
Luigi: Va beh!
Silvana: C’era comunque in loro questo bisogno di stare insieme:
avevano vissuto la stessa storia.
Luigi: Certo; è un po’ come Maria, quando ascolta l’Angelo
parlarle di Elisabetta; allora va da Elisabetta, per restare insieme , va da
Elisabetta.
L’Angelo aveva parlato di quello, e allora Lei si muove
per restare nell’annuncio dell’Angelo. Ecco, questo è l’amore…è questo
desiderio di restare con-; si cerca il punto
di riferimento con l’essere amato.
Qui loro avevano amato Gesù; adesso stanno insieme perché
sembra così ci sia ancora la Sua Presenza.
Paola: Però, non essendoci Lui, non stavano bene.
Luigi: Certo, lì non sei è più né carne né pesce: non sei
ancora arrivato alla Meta, da questa parte non trovi più soddisfazione; è una
tribolazione. Infatti la tempesta succede sempre quando si sta attraversando il
lago: non si è più sulla prima sponda e non si è ancora giunti alla seconda.
Silvana: Gesù ci ha segnato tutte le tappe che devono avvenire.
Luigi: Non direi che le ha “segnate”: le ha tracciate. Le ha
tracciate per noi, affinchè noi potessimo giungere alla Meta. Era necessario,
che ce le tracciasse: se si fosse limitato a predicare non sarebbe stato
sufficiente.
Paola: Non dobbiamo fare nulla di nostra iniziativa.
Luigi: No, certo perché quello è proprio il modo per perdere
contatto con il Signore; solo se agiamo nella Sua Iniziativa noi restiamo con Lui.
Rita: Pur sapendo che tutto è Opera di Dio, che si deve stare
nella Sua iniziativa, c’è sempre uno sforzo da compiere.
Luigi: Lo sforzo c’è sempre, ed è determinato dalla necessità
di superare la nostra apparenza; come dico, apparentemente è il gatto che mi
porta via la cotoletta. Per restare con Dio devo sforzarmi di andare al di là
di questa apparenza, al di là di ciò che sembra.
A forza di fare questo sforzo, lo Spirito diventa
dominante: dopo.
Pinuccia: Tutto quello che Dio fa lo opera affinchè io creda nel
Suo Figlio; quindi vedo un collegamento con il tema della domenica: “credi tu
nel Figlio di Dio?”.
Luigi: Certo.
17/ Dicembre /1988
Nino: Non sapevano cosa fare; erano disoccupati.
Luigi: E quando non sai cosa fare corri al raduno degli alpini!
Franca: Ma com’è possibile che dopo tanto cammino con Gesù non
sapessero cosa fare? La cosa mi spaventa.
Luigi: Non era ancora arrivato lo spirito.
Tu sei occupata in quanto hai una presenza che ti dice
cosa fare; se non hai delle presenze, dormi! Non puoi fare diversamente.
Domenico: Però la presenza oggettiva del pensiero di Dio ci
conduce fino a Pentecoste, fino a ricevere lo Spirito Santo dal Padre.
Luigi: Senti: stasera vai a mangiare, e poi vai a dormire, no?
Eppure stai aspettando lo spirito… lo stavano aspettando anche questi
discepoli, ma intanto non sapevano cosa fare.
Domenico: Significa che non avevano ancora capito cosa deve
avvenire tra la risurrezione e la pentecoste?
Luigi: Ma loro non potevano capire: non era ancora arrivato lo
Spirito; e dunque sentono la stanchezza, la fame, la noia. Tu domini gli eventi
solo se hai lo Spirito di Dio; in caso diverso subisci le presenze delle creature,
degli stimoli.
Domenico: I discepoli andavano a pescare per mancanza di fiducia
nella provvidenza? Perché avevano paura di morire di fame?
Luigi: No, è semplicemente che non sapevano cosa fare; quando
non sai cosa fare tutte le vetrine sono tue: cioè sprechi la giornata in
niente.
Giovanna: Però loro avevano già visto Gesù risorto…non è
sufficiente?
Luigi: Non lo è; si tratta di avere una presenza che resti con
te e che ti dica cosa fare, in caso contrario non sai come muoverti.
Ciò che ti fa vivere è la presenza; se non hai la
presenza di Dio, inevitabilmente resti dominata dalle presenze sensibili.
Franco: Quindi la presenza oggettiva del pensiero di Dio
scoperta non ci salva: siamo ancora nella fede.
Luigi: E già; la presenza che ci salva è quella scoperta a Pentecoste,
quella che è conseguente alla conoscenza di Dio, lo Spirito Santo.
Paola: Colpisce che il risultato del loro agire sia il niente.
Luigi: “Quella notte non presero nulla”: tutta la nostra vita
può essere quella notte lì.
noi lavoriamo, fatichiamo, ci appassioniamo a tante
cose…e concludiamo con niente, perché: “senza di Me fate niente”. Dio ci
conduce a battere il naso contro il muro del niente.
Pinuccia: Concludiamo lì quando ci muoviamo di nostra iniziativa.
Luigi: Certo; quando Gesù era con loro condizionava tutta la
loro giornata: li mandava a due a due a guarire gli infermi, li mandava a
preparare il suo passaggio.
Era Gesù, a condizionare tutti. Allora, appena manca
questa presenza cadono nella noia, nella routine: “cosa faccio?”.
Pinuccia: È quello il momento in cui Dio ci chiede di fare il
passaggio alla presenza spirituale?
Luigi: È il momento in cui Dio ti chiede di aspettare, perché
la presenza viene da lui.
All’alba,
Gesù stava sulla riva, ma i discepoli non capivano che fosse
lui. Gv 21 Vs 4
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24/ Dicembre /1988
Nino: Quando abbiamo fatto esperienza di miseria, interviene
Gesù.
Luigi: Sì, quando abbiamo esperimentato l’inutilità di tutto,
di tutti i nostri sforzi. Per arrivare a scoprire il Suo Tutto, dobbiamo
passare tramite l’esperienza del nostro niente; fintanto che pensiamo di essere
noi a fare, ad agire, anche “a trovare
qualcosa di Dio”, siamo nell’impossibilità di incontrare il Signore,
nell’impossibilità di concepire la Verità.
Franca: Qui i discepoli hanno la Sua Presenza, e però non lo
riconoscono…
Luigi: Il riconoscimento avviene sempre tramite qualcosa di
interiore: si riconosce qualcuno in quanto già lo si porta dentro.
Infatti, la prima volta che si vede una persona non la si
conosce, mentre dalla seconda volta in poi si dice: “Ah, è lei”.
Tutte le nostre conoscenze, le nostre individuazioni sono
sempre in relazione a quanto portiamo dentro; lo vedremo domani (“Chi è il
Figlio di Dio?”, Gv 9,36).
Loro qui erano preoccupati, come lo erano i due discepoli
di Emmaus: anch'essi non riconoscevano Gesù.
Qui è lo stesso: erano stanchi per la notte a vuoto, per
l’inutilità della loro fatica; quando si è stanchi, il sentimento predomina ed
impedisce di vedere.
Franca: Il fatto che Gesù si presenti sulla riva…
Luigi: Lui ci aspetta sempre su una qualche riva; e aspetta che
noi ci avviciniamo a Lui per portarci sulla Riva in cui Lui è.
Franco: Nella realtà è sempre Dio, a portarci.
Luigi: Sì, l’iniziativa è sempre Sua, però per noi, di solito,
è molto difficile individuarla; noi con facilità individuiamo le persone, cioè
le cause seconde, ma ci è molto difficile individuare Lui, la Sua Presenza.
Ci è molto difficile vedere il Cristo che parla con noi.
Franco: Però per riconoscerlo bisogna che Lui parli; solo la
vista…possiamo riconoscerlo per fede.
Luigi: È per fede, però tutto dipende da quello che abbiamo
interiorizzato: si riconosce in base a quello. Quindi se dentro non portiamo
nulla di Lui, ci troviamo nella impossibilità di riconoscerlo.
Franco: Loro non avevano niente di Lui, dentro?
Luigi: Avevano qualcosa; erano discepoli: infatti a un certo
momento lo riconoscono.
Franco: Per quel qualcosa…
Luigi: Sì, per quel qualcosa che a un certo punto salta fuori.
I discepoli di Emmaus in un primo tempo sono sconsolati, credono che tutto sia
fallito: E questo impedisce loro di riconoscere Cristo. Qui è lo stesso: stanchi
di tutta la nottata, con la delusione per la pesca fallita, “non vedono”:
predomina il sentimento.
Ecco: Dio è presente, ma noi non lo vediamo, non lo
tocchiamo, non lo sperimentiamo.
Eppure siamo chiamati a questo…cosa succede?
È il sentimento,
ad impedirci la realizzazione di Dio, il vedere Dio. Ecco ciò che crea
il muro.
Giovanna: Bisogna passare attraverso il nostro niente.
Luigi: Sì, perché c’è una situazione di complementarietà: per
la persona che si crede tutto, è assolutamente impossibile conoscere Dio; va
all’inferno, col suo “tutto”.
Uno poi può non ritenersi tutto, ma “qualcosa”: basta
anche quel ‘qualcosa’ per impedire la visione di Dio: è sempre muro.
Quando invece il tuo io diventa niente, immediatamente
scopri il tutto. Immediatamente vedi la presenza, perché lì sei tutto opera di Dio.
Mentre quando dico “sono io che penso”, logicamente non
posso vedere che è Dio che mi fa pensare: mancala complementarietà..
Allora il Signore opera nella nostra vita per ricondurci,
a poco per volta, alla nostra vera dimensione. Se osserviamo attentamente, ci
accorgiamo che la nostra vita subisce una dinamica di impoverimento, un
processo di privazione: si comincia a lasciare questo, poi quest’altro…si
arriva al tramonto della vita con niente in mano.
E già: ridotti a niente!
Ma è proprio lì che inizia la meraviglia; quando uno
dice: “per me tutto è finito”, si crea la capacità di scoprire il miracolo, la
Meraviglia: quella meraviglia che prima proprio non potevo scoprire, non potevo
vedere.
Giovanna: Qui non hanno preso niente: c’è sempre il rischio di
ripiegarsi, su questo niente.
Luigi: È proprio questo ripiegamento sul loro niente che adesso
impedisce loro di vedere Gesù. Quando ti accorgi che la tua vita si sta
sprecando in niente, quello ti pesa, eh! Soprattutto se sei molto presa dal
pensiero del tuo io, a un certo momento ti pari un colpo!.
Ma Dio ti fa fare questa esperienza per farti scoprire Lui.
Silvana: Colpisce molto: loro desideravano vederlo, Lui era lì…e
non Lo vedono.
Luigi: È un po’ la situazione di ognuno di noi: tutti cerchiamo
Dio, e tutti sbagliamo luogo. Lui è presente, e noi lo andiamo a cercare da
un’altra parte. È questa notte…
Ora, perché sbagliamo luogo? Perché restiamo ingannati
dal pensiero del nostro io; sotto le impressioni che riceviamo nel pensiero del
nostro io, cominciamo a correre di qui e di là; ed ecco allora che il Signore
interviene e ci dice: “fermati, Io sono qui con te”.
Bisogna prendere contatto con Colui che è vicino a noi.
Fabiola: Ma questo momento qui qual è, per i discepoli? È
difficile da capire, perché quando Lui si era presentato parlando di Dio Lo
avevano riconosciuto.
Luigi: Qui siamo dopo la morte e resurrezione, ma non era
ancora giunta la Presenza stabile della Pentecoste; solo lì non c’è più un
andare e venire. Prima Gesù andava e veniva; certo, parlando li conduceva a
vedere, a constatare: “ah, è vero”. Ma
quando Dio non ci parla più noi torniamo al mondo di prima. Ecco bisogna
arrivare a constatare personalmente la Verità: solo lì si può stare sempre.
Prima siamo condotti sul Tabor, e lì “è bello per noi
stare qui”, ma non possiamo mica restare.
E perché? Perché abbiamo altri lavori, altri impegni,
cose non sottomesse: e allora non possiamo restare in quello Spirito là.
È che tutto ciò che non abbiamo raccolto in Dio ci porta
via, quando si presenta.
Succede allora che mi trovo con una persona che mi parla
di Dio e dico: “è vero”; e poi mi trovo con un altro che mi parla di ben altro,
e mi accorgo che questo “ben altro” non riesco a sottometterlo a Dio, a “farlo
entrare” in Dio: ragion per cui questo argomentare mi porta via; appunto perché
su di esso io non riesco a vedere lo spirito, a ‘predicare’ lo spirito.
Ecco, la capacità di vedere in tutto Dio è un processo
crescente; infatti Gesù dice: “Ho tante cose da dirvi ma per ora non potete
portarle”; fino a che questa capacità non si è estesa, il mondo ci porta via.
Si tratta proprio di dedicare tanto tempo alla Parola di Dio,
tanto silenzio e tanta dedizione.
Solo così Dio può formare in noi la “convinzione” della
Sua Realtà, in modo che allora a noi gli argomenti del mondo non ci facciano
più nemmeno il solletico: perché lì vediamo in tutto una testimonianza dello Spirito.
È quando vediamo una testimonianza dello Spirito che noi diciamo: “è vero”; se la
vediamo in tutto, non facciamo altro che dire: “è vero, è vero, è vero”.
Cioè diciamo: “è sempre Dio”.
Ecco, la meta è arrivare a vedere che è sempre Dio, in
tutto; è sempre Lui che parla ed opera: parla in quello, e parla anche in
questo; resta una conferma continua.
Là invece dove non vedo l’opera di Dio, resto portato
via. Tutte le cose che non abbiamo
raccolto in Dio ci impediscono di vedere la realtà; sono per noi un disturbo.
È la notte.
La Presenza di Dio determina il giorno, la Sua assenza crea
la notte; e nella notte noi restiamo dominati dalle impressioni, dalle ombre,
dalle nostre fantasie.
Rita: Indubbiamente loro non possono riconoscerLo fisicamente,
perché fisicamente già lo conoscevano.
Luigi: Lui cambia aspetto.
Rita: Comunque mi sembra che non si possa non riconoscere una
cosa che si conosce; quindi, se lo avessero ben conosciuto prima, lo avrebbero
riconosciuto anche adesso.
Luigi: Loro non erano ancora giunti alla Pentecoste; sotto un
certo aspetto essi erano ancora legati alla presenza fisica; ecco allora che,,
quando Lui si presenta sotto un altro aspetto fisico non lo riconoscono. Quando
poi, tramite questa nuova presenza fisica, Lui dà un certo segno, scatta il
riconoscimento: “è Lui”.
Ora, Gesù opera per preparare i Suoi discepoli
all’incontro con lo Spirito, e lo fa in particolare nel periodo dopo la
Resurrezione. In un primo tempo noi leghiamo le cose, le conoscenze, alla
presenza fisica, ma poi Dio opera su di noi per sganciare la Sua Presenza dalla
presenza sensibile: in modo da poterLo trovare sempre, ovunque.
È logico, questo: perché se io sono legato alla presenza
fisica, quando ne vedo un’altra essa mi porta via, perché dico: “non è più Lui”.
Ma la realtà è che Dio è presente in tutto e in tutti: Lui
opera dunque per portarci a constatarlo.
Soltanto quando lo vedremo in tutto e in tutti saremo sempre alla Sua
Presenza.
Pinuccia: Gesù ci sorprende nella nostra notte.
Luigi: L’iniziativa è sempre Sua.
24/ Dicembre /1994
Franca: Gesù si presenta “sul far del giorno”, dopo la delusione
della notte in cui non abbiamo combinato niente.
Luigi: I fatti non si concludono in sé, ma in Lui. Allora, dopo
i fatti Lui si presenta.
Franco: Continua il racconto di “come” Gesù si manifesta ai Suoi
discepoli.
Luigi: La notte, il nulla delle nostre fatiche e dei nostri
lavori, della stessa nostra vita, tutto questo si conclude in: Lui che si
presenta.
Giovanna: Agendo di nostra iniziativa combiniamo niente, e si
tratta di un’esperienza necessaria.
Luigi: “Senza di Me fate niente”; l’esperimentare il niente
(che di per sé non esiste) è proprio indispensabile; è l’unico modo per aprirci
a scoprire il tutto dell'eterno, di Dio.
Giovanna: Quel “fare niente” è anche l’esperienza di non riuscire
a pregare?
Luigi: Certo.
Tutto serve per farci prendere coscienza che in tutto
dobbiamo dipendere da Lui, anche nel pregare; è Dio che ci insegna a pregare,
che ce ne dà la possibilità e la capacità. Senza di Lui noi perdiamo ogni
capacità.
Silvana: Il giorno è dato dall’avvicinarsi di Gesù, anche se i
discepoli non lo sanno.
Luigi: L’iniziativa è sempre di Dio; Lui ci sorprende.
Paola: Se tutto è opera di Dio come possiamo parlare di
iniziativa dell’uomo?
Luigi: Tutto è opera di Dio; L’uomo può però pensare di sua
iniziativa, quando trascura Dio. Trascurando il Signore restiamo mossi non più
da Lui, ma da altro: lì l’iniziativa è nostra.
Paola: Ciò che facciamo di iniziativa nostra è poi ancora tutto
opera Sua.
Luigi: Certo; Dio ci fa sbagliare per farci toccare con mano
che senza di Lui approdiamo al niente.
Osvaldo: Non si può anche vedere questo loro andare a pescare in
modo più banale, cioè nel senso che avevano bisogno di procurarsi da mangiare?
Luigi: Mah, il fatto è che viene sottolineato che era notte ora, la notte è simbolo di solitudine,
quindi vuol dire che avevano agito di loro iniziativa.
Il periodo che va dalla Resurrezione all’Ascensione serve
a far morire all’io i discepoli. L’iniziativa è sempre di Dio: Lui ci mostra i
passi che dobbiamo compiere. Ora, il passo principale da fare è quello della Sua
Morte in Croce, cioè il morire a noi stessi.
Morendo in Croce Lui ci indica il passo che dobbiamo
fare, e poi ci dà il tempo per farlo.
Osvaldo: L’errore dei discepoli è quello di agire di loro
iniziativa.
Luigi: Sì, è stato un ritorno alla loro vita precedente perché
erano ‘disoccupati’.
Osvaldo: Come possiamo rimanere nell’iniziativa di Dio?
Luigi: È lo Spirito, che ci rende capaci di questo.
Prima si tratta di imparare a vivere per conoscere Dio:
chi è morto e risorto con Cristo vive per conoscere Dio, ne è alla ricerca, in
attesa di conoscerlo. In questa ricerca si giunge alla tappa dell’Ascensione, e
poi alla Pentecoste, dove si resterà sempre con Dio, nella Sua iniziativa.
Pinuccia: Dopo la notte c’è sempre un’alba in cui giunge Gesù;
prima ci fa toccare il fondo del nostro niente: se si presentasse prima forse
attribuiremmo a noi anche quest’incontro.
Luigi: Nessuno di noi può rendere presente ciò che è assente:
la realtà non dipende da noi. Se vogliamo trovare la Realtà dobbiamo dipendere
da Dio; è da Lui che noi scopriamo la realtà, anche la realtà del pensiero che
portiamo in noi. Questo pensiero ci fa correre il rischio di credere di essere
noi a pensare, e quindi corriamo il tremendo rischio di cadere nelle fantasie.
Evidentemente le fantasie non ci salvano…ma il problema è
che noi corriamo il rischio di ritenere che il Pensiero di Dio sia una fantasìa
nostra!
Per cui rischiamo di trovarci di fronte al Pensiero di Dio
con questo dubbio: “ma sarà la realtà o no?”.
Nino: I discepoli sono in difetto, manca loro qualcosa.
Luigi: E già, per capire quello che hai davanti ci vuole la dimensione
interiore; se non porti dentro una certa persona, non la puoi riconoscere
fuori, e allora ne resti sorpreso: non sai chi sia.
Franco: Non è sufficiente
l’esperienza del niente, né il sapere che Dio è presente in tutto, per
riconoscerlo?
Luigi: Manca ancora il dato interiore; vedi come tutto diventa
personale?
Giovanna: Cosa mancava qui agli Apostoli?
Luigi: Lo Spirito Santo.
Giovanna: Dunque fino A Pentecoste ci è impossibile riconoscere
Gesù.
Luigi: Si capisce, perché “solo il Padre conosce il Figlio”.
Loro conoscevano Gesù per l’aspetto fisico…ne avevano
interiorizzato la presenza fisica, non la Sua Persona “in sé”.
Ora, Gesù risorto ha un aspetto diverso, e si fa
riconoscere per dei particolari che i discepoli portavano dentro; li sta
preparando a riconoscerlo in tutto, personalmente e spiritualmente: la Vita
Eterna è conoscenza di Dio personale.
Nel Natale Gesù si presenta con un corpo, ma da lì ad
arrivare a conoscerlo…
Giovanna: Noi vediamo i corpi, mentre la Realtà è Spirito.
Luigi: La Realtà è Dio, però Dio tu non lo vedi; tu vedi i
corpi, le creature, cioè i segni di Dio. Ora, perché noi non vediamo Dio?
Perché siamo nel pensiero dell’io, mentre Dio lo si vede solo nel/col Suo
Pensiero.
Giovanna: Ma perché Dio ci dà un corpo, visto che la Realtà è
Spirito?
Luigi: Perché noi non siamo capaci a vivere come persone.
Noi non siamo fatti: siamo in formazione; Dio ci sta
facendo, come faceva Adamo ed Eva. Lui
sta lavorando su di noi tenendo presente ogni nostro pensiero.
Sta lavorando per farci persone consapevoli di cosa sono.
Fintanto che non giungiamo a vedere le cose da Dio, non vediamo la Realtà, ma
solo i suoi segni: a livello del nostro io.
Dio ci tocca, ma il tocco che noi avvertiamo non è Dio: Dio
è Spirito.
Giovanna: Anche tra le creature è così? Cioè, la persona si
esprime solo tramite i segni?
Luigi: Certo; tu vedi quanta difficoltà hai a comunicare il
pensiero che hai in testa; tu dici una parola, ed ognuno di coloro che la
sentono la intende in base a ciò che porta dentro.
Ecco perché è necessario parlare molto: per correggere
quanto è stato inteso dall’altro.
Silvana: I discepoli “non sapevano che fosse Gesù”: tutta l’opera
di Dio è per farci passare dal non sapere al sapere.
Luigi: Si capisce; la Vita Eterna consiste nel sapere, nel
conoscere.
Paola: Più conosciamo Dio e più capiamo che tutto è segno Suo.
Luigi: E quello diventa gioia.
Osvaldo: Dio opera tutto per farci capire che Lui opera in tutto.
Luigi: Anzitutto Lui opera per farsi conoscere; conoscendo Dio
in Sé, tu vedi che Lui opera in tutto: e comprendi il Suo Pensiero in tutto.
Osvaldo: Non mi è chiaro perché fino allo Spirito Santo nessuno
può conoscere il Figlio.
Luigi: Non lo puoi conoscere, però le Sue Parole hanno una
certa caratteristica: “nessuno ha mai parlato come Lui” (Gv 7,46).
La Parola di Dio ha una caratteristica tale da essere non
smentibile; tu, cioè, non puoi dire: “non è vera”.
Ora, se aderisci a ciò che capisci essere “vero”, vieni
condotto a poco per volta a partecipare
alla Verità.
Osvaldo: Cosa significano le apparizioni di Gesù Risorto?
Luigi: Gesù li abitua a staccarsi dalla Sua presenza fisica,
cioè li porta a scoprire che lo Spirito non coincide con la presenza sensibile.
Ad esempio, tu hai una presenza fisica attraverso la
quale noi ti riconosciamo, ma se non fossimo grossolani potremmo vedere il tuo
spirito (anche senza la tua presenza fisica) in un altro che parla.
Ecco, Dio può parlare attraverso tutti,
non solo attraverso Gesù.
Non è la creatura, a parlare, ma è Dio che parla
attraverso essa; avviene questo in ogni creatura.
Noi però possiamo capirlo, vederlo, solo conoscendo Dio
“in Sé”, come Spirito, slegato da qualsiasi presenza fisica.
In realtà la persona non è isolata, “le persone abitano
una dentro l’altra”, per cui anche tu come creatura puoi parlare attraverso
altre creature, pur non essendo presente fisicamente.
Pinuccia: Gesù li sta aiutando…
Luigi: Li sta aiutando liberandoli dalla presenza fisica.
Pinuccia: Tommaso prima era morto e risorto, adesso sembra che non
lo sia di nuovo più…è che il cammino è fatto di tante tappe: l’Ascensione prima
della Pentecoste…
Luigi: Solo il Padre conosce il Figlio, quindi man mano che il
Figlio assume aspetti diversi tu non lo conosci più.
Gesù dice loro:
“Figlioli, avete qualcosa da mangiare?”. Gv 21 Vs 5
Titolo:
Argomenti:
24/ Dicembre /1988
Nino: Gesù ci fa esperimentare che piano piano tutto si
svuota, nella nostra vita.
Luigi: Sì, constatiamo che non abbiamo più di che vivere, di
che mangiare.
Nino: E questo è una interrogazione del Signore.
Luigi: Certo; siamo sempre nella lezione delle nozze di Cana,
dove a un certo momento il vino viene a mancare. Ma proprio lì succede la meraviglia,
e questo cosa ci dice?
Ci fa capire che quell’esperienza di niente rientra nel
Disegno di Dio. Si tratta di un passaggio necessario affinché noi arriviamo a
scoprire che soltanto con Lui realizziamo qualcosa. E questo “qualcosa” è Lui
stesso, il Suo Mondo meraviglioso.
Franca: Se Lui non ci interroga noi rimaniamo nel nostro mondo.
Luigi: Rimaniamo nella nostra bagna.
Giovanna: Il fatto che li chiami “figlioli” non dovrebbe portarli
al riconoscimento?
Luigi: No, non basta; Dio chiama tutti così, perché chiama
tutti a diventare figli Suoi: Lui vuole che “tutti si salvino e giungano a
conoscere la Verità”. Conoscendo la Verità si è figli Suoi, perché la
conoscenza di Dio avviene solo “nel Figlio di Dio”.
Allora, il parlare di Dio è un parlare ‘nel Suo fine’,
nella Sua Intenzione. Lui vuole condurre tutti alla visione di Sé, dunque ci
tratta tutti come “figlioli”.
Se non ci trattasse così noi ci sentiremmo scartati.
Quindi Dio ci tratta come se “già” fossimo Suoi figli. Dio
ci mantiene in vita “nel Suo fine”, nel Suo Disegno originale su di noi. Lui
non considera ciò che siamo attualmente.
Lui ci considera in ciò che possiamo diventare:
se,ovviamente, lo seguiamo.
Proprio tenendo presente questo noi impariamo di conseguenza a trattare bene
ogni creatura, perché impariamo a considerarla nel Disegno d’amore che Dio ha
per lui, non per quello che è sul momento.
Se no noi consideriamo gli uomini non per il futuro che
possono avere, e nemmeno, direi, per quello che sono: nel pensiero dell’io li
consideriamo semplicemente per quello che sono stati. E quindi: “tu sei stato un ladro? Per me sarai sempre tale”.
Si tratta invece di considerare i fratelli come li
considera Dio: nel futuro.
Pinuccia: Con la sua domanda ci fa prendere coscienza del nostro
niente.
Luigi: Sì, perché tramite questa constatazione possiamo
scoprire il Suo tutto: possiamo cioè scoprire il miracolo.
Attraverso il nostro niente scopriamo il miracolo di Dio,
scopriamo la Sua Presenza; a un certo momento scopriamo che tutto è presenza Sua;
a un certo momento tutto diventa miracolo.
Perché di solito per noi tutto è banale? Perché lo
vediamo nel pensiero dell’io, e allora finiamo col dire: “questo l’ho già visto
ieri” e vedo tutto noioso.
Ma per poco che io dimentichi me stesso, ecco che tutto
diventa una meraviglia.
Certo, perchè se dimentico me stesso, (ri)emerge
l’evidenza: c’è Uno che mi fa vedere.
Nel pensiero del mio io dico: “sono io che vedo e tocco;
questo l’ho già visto ieri, e oggi non mi tocca più”.
Ma se invece dimentico me stesso dico: “in questo momento
Qualcuno mi sta facendo vedere un fiore”.
E allora mi accorgo del miracolo.
Mi apro allora a: ”Chi sei, che mi fai vedere?”.
Nel pensiero dell’io dico: “Io vedo con gli occhi”. È una
cavolata, che però ci rende ciechi.
Per il bambino tutto è meraviglia, e perché? Perché per
lui tutto è nuovo, tutto gli giunge nuovo. Poi comincia a fare riferimento al
passato, la cosa diventa: “l’ho già vista”, e finisce la meraviglia.
No, bisogna mantenersi in questo spirito di freschezza,
di novità…ma per farlo bisogna sempre tenere conto della realtà, e cioè che la
cosa è Dio che me la sta presentando.
In questo modo il Pensiero di Dio fa nuove tutte le cose.
Luigi: Ecco lì: nel pensiero del suo io l’uomo non ha niente da
mangiare; muore di fame.
Franca: Già erano delusi per non aver preso niente, ancora
trovare uno che ti chiede la cosa che per te è motivo di rabbia…
Luigi: …ti secca ancora di più; sto già constatando che tutto
il mio sforzo è servito a niente, l’altro ancora mi chiede proprio quello…ti
cadono le braccia!
Rita: Questo “no” lo tira proprio fuori Gesù.
Luigi: Sì, opera per portarli a scoprire il miracolo…quando sei
nel tuo niente improvvisamente Dio ti fa giungere il Suo tutto: e allora gridi
al miracolo.
Magari ho cercato con fatica di arrivare alla Luce ed ho
toccato con mano la mia incapacità, la mia impotenza…ecco allora che quando mi
arriva un Raggio di Luce, sono nelle condizioni ideali per comprendere che si
tratta di un (puro) dono di Dio.
È quello, il momento giusto; se fosse arrivato prima lo
avrei attribuito al mio merito, al mio essermi dato da fare: questo mi avrebbe
impedito di entrare, infatti si entra nel Regno di Dio in un modo solo,
riconoscendo cioè che tutto è Dono di Dio.
Ecco perché tante volte il Signore ci porta a toccare con
mano la nostra impotenza: per portarci a scoprire la Sua potenza.
Pinuccia: Lì inizia un mondo nuovo.
Luigi: Sì, lì comincia a nascere il Sole.
Pinuccia: Gli sforzi precedenti servono alla preparazione
dell’anima.
Luigi: Sì; prima facevo conto su me stesso, “sono io che
faccio, sono io che fatico”, allora Dio mi fa passare tramite l’inutilità di
tutti i miei sforzi in modo da portarci a scoprire il Suo Tutto. E lì scopro
anche il senso dell'inutilità dei miei sforzi, scopro che non erano per
portarmi alla disperazione, ma che avevano lo scopo di aprirmi a ricevere il
Dono di Dio (“Se tu conoscessi il Dono di Dio”).
Quello che nel pensiero del nostro io era visto come uno
spreco (“tardi sono arrivato”), era in realtà uno splendido disegno di Dio, per
portarmi alla Sua luce.
24/ Dicembre /1994
Franco: Gesù che ci chiede qualcosa; è il “avevo fame, avevo freddo”;
in ultima analisi ci chiede il pensiero, perché solo su di esso può manifestare
la Sua Presenza.
Luigi: Sì, ma tu capisci che Lui ci fa constatare che non
abbiamo niente? Perché è solo lì che possiamo scoprire il Suo tutto.
È un passaggio obbligato data la nostra stupidità;
dobbiamo passare attraverso la perdita di tutto, anche della nostra capacità di
pensare. Lì possiamo capire che tutto proviene da Lui.
Franco: Così si spiega la morte.
Luigi: Certo.
Franco: Però in punto di morte ci chiede qualcosa che
effettivamente abbiamo: il pensiero.
Luigi: Ma è perché se non ce lo chiedesse noi non lo
constateremmo; fintanto che qualcuno non ti chiede cosa sia il tempo, tu credi
di saperlo.
Soltanto se sei interrogato tu prendi consapevolezza di
ciò che ti viene chiesto da parte di Dio. Quindi, tramite la Sua richiesta, è
ancora Dio che dà qualcosa al tuo niente.
Domenico: Dio, il padrone dell’universo, si sottomette all’uomo
per cominciare con lui un rapporto personale: vedi la Samaritana, o quando
chiede da bere mentre è già in Croce.
Luigi: Si capisce; se nessuno ti chiede qualcosa, tu credi di
avere tutto, di sapere tutto…ma la realtà che è che non hai niente e non sai
niente.
La Sua domanda ci fa prendere coscienza di esser “tazze
vuote”, che devono essere riempite; di solito lo capiamo in punto di morte.
Osvaldo: Si può dire che Dio operi per farci sentire la “colpa”
di aver agito di nostra iniziativa?
Luigi: Lui opera per farci toccare con mano che con tutte le
nostre belle facoltà concludiamo con niente; certo, se la conclusione fosse
questa si potrebbe dire che Dio è un sadico, che si diverte ad umiliarci.
Ma Dio è amore, opera per amore, e dunque anche questo
farci costatare la nostra povertà ha come fine quello di recuperarci a Lui, di
farci uscire dal nostro errore che ci impedisce di aprirci al tutto di Dio.
Noi crediamo di avere tutto, Lui ci fa costatare il
nostro niente per recuperarci alla Sua Vita.
Nel pensiero del nostro io noi crediamo di avere
tutto…prendi il bambino: nel pensiero dell’io il bambino crede di possedere il
mondo.
Osvaldo: Ma come mai il bambino, che contempla sempre il volto
del Padre, compie quest’errore?
Perché non ha superato il pensiero dell’io. I suoi
pensieri vedono Dio perchè lui non ha fatto esperienza di cause seconde, però
lui deve maturare: è in formazione.
È evidente, se no vorrebbe dire che Dio è crudele a farci
diventare adulti, se noi come bambini fossimo già salvi!
Il bambino è in formazione; è in questa formazione che lui
è in rapporto diretto con Dio: i suoi pensieri cercano Dio in tutto.
Durante questa ricerca lui subisce gli scandali, e perché
succede questo?
Evidentemente perché il pensiero dell’io non è superato.
Franco: Come mai una risposta così secca?
Luigi: Eh, quando sei stanco non usi mica tante parole; dopo
una notte passata a lavorare invano ti secca parecchio che ti venga fatto
notare che il tuo lavoro è servito a niente!
Eh, nel pensiero dell’io l’uomo risponde come può.
Questo loro “no” significa in sostanza: “ma va a quel
paese!”.
Carla: Questo loro non avere cibo vuol dire che non avevano
interiorizzato niente di Dio?
Luigi: No, qui non si dice questo. Gesù chiede se hanno del
pesce, e loro non ce l’hanno: tutto lì. Fa cioè capire che l’elemento dominante
in loro era la fatica.
Osvaldo: Ecco, è una risposta dura, ma comprensibile.
Luigi: Si capisce; la domanda di Gesù evidenziava il loro
fallimento.
Osvaldo: Dio opera questa evidenziazione a fin di bene.
Luigi: Da parte Sua tutto è sempre fatto in questo fine.
Carla: Il bambino inizialmente è puro, quindi è formato.
Luigi: No, è puro ma non ”formato”; i suoi pensieri vedono il
Volto del Padre, sì, ma inconsapevolmente; cioè, l’io non è ancora stato
superato: è necessaria la maturazione.
Pinuccia: Loro credono di rispondere ad un uomo; è quello che
facciamo noi: quando rispondiamo male ad una creatura stiamo rispondendo male
al Signore.
Luigi: Sì.
Franco: È proprio l’esperienza del niente che ci fa andare
“incontro a Colui che viene”.
Zita: Dio ci chiede qualcosa per farci prendere consapevolezza
del nostro difetto.
Luigi: E così ci fa prendere coscienza che Lui può darci quanto
ci manca.
Domenico: È sempre Dio che fa tutto, anche quando agiamo di nostra
iniziativa; noi dobbiamo dialogare tutto con Lui, anche (soprattutto) le
situazioni negative.
Luigi: Certo: così scopriamo che anche i nostri fallimenti
erano Grazia Sua.
Paola: Dio dà all’uomo il Suo Pensiero, eppure lui deve
costatare la propria morte, il proprio nulla, per attingervi.
Luigi: Sì, perché noi finiamo col non sapere cosa farcene, di
questo Pensiero. Tu prova a dare una perla ad una gallina: la gallina non sa
cosa farsene.
Pinuccia: A volte non capiamo perché Dio ci faccia sperimentare
l’impotenza, la nullità; forse è perché noi crediamo di averla già accettata…
Luigi: Aspetta che ti tocchino in qualche punto del tuo io, poi
vedi come scatti: ora, un niente non scatta, no?
Gesù disse
loro: “Gettate la rete dalla parte destra, e pescherete molti
pesci”. Gv 21 Vs 6
Titolo:
Argomenti:
24/ Dicembre /1988
Nino: È come se dicesse loro: “provate a vedere le cose dal
mio punto di vista”.
Luigi: Certo; soprattutto offre loro la possibilità di agire sulla
Sua Parola. E già: “l’uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Prima avevano agito di loro iniziativa, con risultato zero.
Adesso posso agire secondo quanto Lui ha detto.
L’importante è muoversi solo sulla Sua Parola, perché è Essa a rendere feconda
la nostra vita.
Ma, ovviamente, bisogna che questa Parola ci sia.
Agendo sulla base di nostre parole andiamo incontro al
fallimento.
Franca: Però anche i nostri sforzi che conducono al niente sono
programmati da Dio.
Luigi: Sì, appunto perché non viviamo nella Sua iniziativa. Dio
ci fa passare attraverso l’esperienza del niente per farci capire che dobbiamo
stare sempre sulla Sua Iniziativa.
Solo se viviamo mossi da Lui siamo figli Suoi, e Lui è
(realmente) Padre nostro. “Figlio” è colui che ha in Dio la motivazione di sé.
Noi chiamiamo Dio “Padre” senza renderci conto…l’abbiamo
visto in questi giorni: Dio non è né maschio né femmina, il problema non si
pone in questi termini.
Il concetto di “Padre” è Spirituale, vale a dire che
significa ”Colui che ti motiva”.
Ciò che ti motiva è
il tuo padre.
Noi siamo essenzialmente esseri spirituali (togli lo
spirito e hai l’animale); la paternità è dunque spirituale, cioè è determinata
dalla motivazione, da ciò che ci motiva.
Il Figlio si caratterizza per questo: è in tutto motivato
dal Padre; siccome siamo chiamati anche noi a diventare figli di Dio, siamo
chiamati ad essere in tutto motivati esclusivamente da Dio.
Giovanna: Lui ha detto di gettare la rete, ma non è che in loro
sia cambiato qualcosa.
Luigi: In loro è cambiato tutto. Prima non agivano sulla Parola
di Dio, adesso sì. Adesso si muovono in ubbidienza alla Parola di Dio, sono
sottomessi ad Essa.
Giovanna: Prima non potevano, non era giunta la Parola.
Luigi: Ma quando non giunge la Parola si sta fermi, non si va a
pescare! Loro avrebbero dovuto andare a dormire: “il Figlio non fa niente se
non lo vede fare dal Padre”; se non vede niente…dorme!
Pinuccia: Ma non può diventare iniziativa nostra anche il dormire?
Luigi: Ma se non hai niente da fare, scusami tanto!
Pinuccia: Si può pregare…
Luigi: Non c’è pregare migliore che il dormire.
Il dormire è un profondo atto di fede.
Nel pensiero del nostro io noi vorremmo sempre essere
svegli, per essere “padroni” di noi.
C’era un tale che diceva: “io mi sono fatto un sacco di
soldi perché mi sono sempre svegliato prima dei concorrenti”.
Quindi ci vuole un atto di fiducia, per riposare. Noi non
siamo più capaci a riposare, neppure quando andiamo in vacanza.
E già, il riposare richiede un atto di fiducia nel Signore.
Se noi abbiano effettivamente fiducia in Dio mica ci
agitiamo, perché sappiamo che tutto è nelle Sue mani.
Il problema è infatti che noi moriamo nelle nostre agitazioni,
nei nostri affanni; la preoccupazione, l’ansia: ecco ciò che ci uccide.
Perché tutto questo?
Perché facciamo conto su noi stessi, perché “la cosa
dipende da me”.
Giovanna: Se loro fossero stati fermi sarebbero rimasti
nell’iniziativa di Dio?
Luigi: “Il Figlio non fa niente se non lo vede fare dal
Padre"; se non vedi la cosa dal Padre non ti devi muovere! Il mondo
continua a girare lo stesso, anche se noi stiamo fermi!
Silvana: Se si “fa” la Parola che ci arriva Essa si realizza.
Luigi: Sì; la realizzazione di una cosa richiede la nostra
fedeltà.
Tu sogni un amore, ma se poi sei infedele, quell’amore lì
non si realizzerà mai. E per essere fedele cosa devi fare? Devi rimanere fedele
a quell’amore lì di fronte alle tentazioni, alle prove.
Dio ti manda una luce e poi ti manda una prova; in questa
prova tu devi restare fedele alla Luce precedente; devi cioè affermare lo
Spirito: solo così quella Luce si realizza.
Se no resta un sogno, piano piano diventa soltanto più
“memoria”, non si trasforma in vita.
Dopo la luce ci vuole la nostra fedeltà: “Butta la rete
dalla parte destra”.
Ma se tradiamo l’amore esso non giunge a compimento.
Possiamo capire perché tante cose di Dio non arrivano a
compimento! E si finisce col dire: “sì, Dio è in Cielo, ma qui in terra le cose
sono ben diverse!"
Ma le luci di Dio restano nel campo dei sogni perché noi non
abbiamo gettato la rete dalla parte destra.
E cioè: “occasionati”, abbiamo tradito.
Perché la prova (l’occasione) è la condizione per
arrivare alla realizzazione; per questo diciamo che l’amore si forma nella
tentazione, fintanto che c’è la prova.
Ma se si tradisce, Dio resta nel campo dei sogni: cioè
non arriviamo a constatarne la Presenza: “eh, Lui è lassù in Cielo, ma qui la
realtà è diversa”.
Non ci rendiamo conto che, dicendo “Lui è lassù nel
Cielo”, testimoniamo di averLo tradito.
È proprio questo mio tradimento che determina
l’esperienza della Sua assenza.
Pinuccia: Allora, tutte le volte in cui non realizziamo…
Luigi: Non siamo noi, a realizzare: Dio, è il Realizzatore. Ma
si richiede la nostra fedeltà, la fedeltà nella prova.
Pinuccia: Quindi il “gettare dalla parte destra” è l’essere
fedeli.
Luigi: Si capisce; è l’essere fedeli all’alto: a ciò che, dall’alto,
ci è arrivato.
Pinuccia: Si era detto che la “destra” rappresenta l’iniziativa di
Dio.
Luigi: Certo: rappresenta la “deduzione da Dio”.
”Dedurre da Dio” è proprio questa fedeltà a Dio mentre si
ha presente altro da Dio: cioè durante la prova, la tentazione.
Pinuccia: Ecco, “siedi alla Mia Destra” diventa una
partecipazione.
Luigi: Partecipazione a questa
fedeltà.
Nino: La Parola di Dio è un infinito, e l’uomo non potrà mai
raccoglierla tutta.
Luigi:La vedova di Saleppa riceve la richiesta di Elia: “dammi
un po’ d’acqua”; poi Elia le dice: “mettici anche un po’ di pane”, poi ancora
qualcos’altro…allora la vedova gli dice: “ma ho appena da mangiare una volta
per me!”.
Ecco, la prova era lì!
Lei ha sentito la tentazione a rifiutare, ma non lo ha
fatto…ha usato l’olio, quel poco di farina che aveva.
Il Profeta le dice: “portala a me, dopo mangerai anche
tu”.
E da quel momento lì l’olio e la farina non sono più mancati.
Si è realizzato lo Spirito.
Come ho detto, tante volte senti dire: “sì, sì, Dio…ma
qui la realtà è diversa”.
NO: la realtà è “diversa” solo in quanto io non sono
fedele.
Ecco: resta fedele, e, strada facendo, ti accorgerai che
tutto si trasformerà in miracolo.
E sì, perché noi non vediamo i miracoli per il solo
motivo che non siamo fedeli.
Se impariamo ad restare fedeli, Dio ci porta a constatare
che tutto è miracolo, ogni istante.
Franco: Noi dobbiamo “fare” l’annuncio: solo così esso si
realizza.
Luigi: Sì, “fare l’annuncio” è questo essere fedeli. Se non sei
fedele, è inutile che ti aspetti che Dio realizzi la cosa! Essa resta nel campo
dei sogni.
Giovanna: “Non potevano più tirarla su”: è Dio che sovrabbonda.
Luigi: Sì, sovrasta; quando moltiplica i pani, lo fa con
abbondanza: c’è ancora altro.
In altre parole: Dio non ti lascia più disoccupata.
Pinuccia: È il: “tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”.
Luigi: Sì, Lui è venuto per darci la vita, sovrabbondanza di
vita: una pienezza di gioia.
Ecco, Dio ha dei grandi disegni su di noi/per noi:
“nessun occhio ha mai visto ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano”.
Ecco quindi che Lui ci dice: “non vivete così
miseramente; ci sono cose Meravigliose che vi aspettano, che Io voglio darvi:
salite a Me e vedrete!”.
Pinuccia: Bisogna fare “niente”: cioè, solo ciò che vuole Dio.
Luigi: Ci vuole molto coraggio, a fare niente: ci vuole cioè
molta fede in Dio.
Chi si agita tanto lo fa perché non crede (o crede poco)
in Dio.
Allora quel
discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «E' il Signore!». Simon Pietro appena
udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era
spogliato, e si gettò in mare. Gv 21 Vs 7
Titolo:
Argomenti:
31/ Dicembre /1988
Franco: Pietro “sentì” che era il Signore; cioè, non lo ha
“saputo”.
Luigi: Gliel’ha detto Giovanni.
Franco: Giovanni conosceva.
Luigi: Sì; quanto più si ama, tanto più intuisce: è la tanta
presenza dell’altro che ti fa intuire e capire le cose dell’altro.
Evidentemente, chi ama si trasferisce, col pensiero,
nell’altro; anche quando l’altro non c’è,
lo sogna, lo pensa. Vivendo nel pensiero dell’altro gli diviene facile
comprenderlo, intuirne la presenza.
Cris: Questo rivestirsi di Pietro è segno del rivestirsi della
Parola di Dio.
Luigi: Sì; la nostra nudità è sempre segno di incomprensione:
quando non capisci ti senti non giustificato, cioè ti senti spoglio di-.
Adamo ed Eva si scoprirono nudi quando si scoprirono non
giustificati.
Quindi questo abito è la giustificazione che dà Dio; Dio
ci riveste del Suo Abito: cioè, ci giustifica.
Giovanna: E’ quanto abbiamo interiorizzato che ci consente di
riconoscere fuori.
Luigi: Sì, e il “quanto”
dipende da come uno risponde.
Dio vuole che tutti si salvino, Lui vuole donare la Sua
luce a tutti: siamo dunque tutti chiamati a salire su questa Vetta.
La capacità di salire dipende dalla dedizione.
Fabiola: La realizzazione è opera di Dio.
Luigi: Certo; questi avrebbero potuto desiderare di pescare
tanto, lo potevano sognare, ma la realizzazione è stata opera di Dio.
Loro però hanno ubbidito alla Parola; e nota che,
umanamente, era pressochè impossibile che pescassero di mattino, dopo aver
preso niente tutta la notte.
Ma loro hanno ubbidito, e senza sapere che si trattasse
di Gesù.
Proprio così facendo, hanno assistito al miracolo.
E questo miracolo coincideva con un altro, il miracolo
cui loro avevano assistito “con” Gesù.
Ecco allora che, dall’associazione, scatta il: “è Lui”.
Quindi loro avevano già interiorizzato, con Gesù, il primo
miracolo.
Vedendo la ripetizione dello stesso avvenimento possono
individuare: “è lo stesso Autore”.
Franca: Uno Lo riconosce prima, l’altro dopo: i tempi sono di Dio.
Luigi: Sì, però ti fa capire che quanto più uno ama tanto più
riconosce.
Amore” è l’interesse per l’altro, perché Dio lo si
conosce solo nel Suo Pensiero.
Allora, fintanto che siamo nel nostro pensiero noi Dio
non lo possiamo conoscere.
Fintanto che pensiamo a noi, quindi, arriviamo sempre
tardi.
Nel pensiero dell’io arriviamo sempre tardi: arriviamo
sempre “dopo”.
Ciò che giunge veramente arriva prima è: l’Amore.
Cosa rivela, l’amore? Rivela il superamento dell’io, il non pensare più a sé
stessi; nel pensiero dell’altro, ecco che se ne ha la conoscenza.
E’ sempre un problema di pensiero.
Pinuccia: Giovanni è il contemplativo, che può comunicare agli
altri; il contemplativo annuncia: poi bisogna buttarsi, per arrivare a vedere.
Luigi: Sì, bisogna sempre partire, per giungere alla visione.
C’è sempre un mondo da lasciare, per tendere verso il Vero Mondo.
E’ il problema di ogni uomo: partire.
Fintanto che non ci decidiamo a partire, Dio resta per
noi nel campo dei sogni…sentiremo magari parlare di Dio da mattina a sera, ma
non ci servirà a nulla; non essendo partiti non potremo arrivare a vedere, a
constatare.
Logico: nel pensiero dell’ io
non si può vedere Dio.
Gli altri
discepoli invece vennero con la barca, trascinando
la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio
di metri. Gv 21 Vs 8
Titolo:
Argomenti:
31/ Dicembre /1988
Giovanna: Questo “trascinando”…si direbbe che…
Luigi: Non avevano potuto metterli sulla barca, perché erano
troppi.
Cioè, come diceva Agata ieri sera: quando ci sono troppi
segni, troppa roba, si trascina
non si riesce a dominarli (a capirli).
Dio ti inonda di segni, di parole, ma non riesci a
capirle, e allora devi trascinare questo peso, avvicinandoti al Signore.
Franca: L’importante è ascoltare la Parola di Dio.
Giovanna: Questo “trascinando”…si direbbe che…
Luigi: Non avevano potuto metterli sulla barca, perché erano
troppi.
Cioè, come diceva Agata ieri sera: quando ci sono troppi
segni, troppa roba, si trascina
non si riesce a dominarli (a capirli).
Dio ti inonda di segni, di parole, ma non riesci a
capirle, e allora devi trascinare questo peso, avvicinandoti al Signore.
Franca: L’importante è ascoltare la Parola di Dio.
Luigi: Sì, essa ti fa capire che tutto ha un significato;
quante volte, tu stessa (Giovanna) dici: “ma c’è troppa roba!”.
E quindi: “come faccio a capire il significato?”.
Si tratta di andare in profondità: più approfondiamo, più
ci avviciniamo al Signore e più, così, ci resta facile leggere gli avvenimenti.
Più approfondiamo, più arriviamo velocemente a capire: fino a giungere capire
in tempo reale.
Al contrario, più siamo lontani e più ci risulta difficile
capire.
Ecco, il tempo della comprensione è in relazione alla
vicinanza o lontananza; quindi, più siamo vicini a Dio, più il tempo si
accorcia.
Si arriva a capire in tempo reale: Dio fa un segno, e
immediatamente la creatura capisce; il tempo diventa brevissimo….il tempo,
cioè, del passaggio dal segno all’intelligenza di esso.
Allora l’importante è avvicinarsi molto a Dio, perché più
si è vicini a Lui, più si diventa intelligenti, la nostra intelligenza, infatti, è Dio.
Zina: E’ possibile rivolgersi a Dio direttamente senza
portargli alcun segno? Ad esempio, vediamo che Pietro non è più attaccato a
nessun segno.
Luigi: No, Pietro sta attaccato al segno, e questo perché lui
ha sentito Giovanni che ha detto: “è il Signore!”; si trattava di un segno.
Perché, finché noi viviamo di sentito dire, portiamo
sempre dei segni, in noi.
Perché noi abbiamo bisogno dei segni di Dio, perché se Lui
non parla (se, cioè, non dà segni di Sé) noi cadiamo nel nulla.
Noi abbiamo bisogno che Dio parli: parlando, Lui suscita
in noi movimento; ma se non parla, noi ci spegniamo.
Resta una giornata piena di noia: “nessuno ci ha preso a
lavorare”.
Se Dio non ci prende a lavorare, non sappiamo cosa fare:
cominciamo a parlare l’uno con l’altro, ma la nostra giornata si spegne.
Se invece Dio parla, magari ci farà tribolare da matti il
cercare di capire il Suo Pensiero, però questa ricerca ci darà qualcosa in cui
impegnarci; ed è proprio lì che noi
iniziamo a vivere.
Rita: Bisogna proprio andare in profondità.
Luigi: Sì, solo in profondità si riesce a raccogliere ogni
segno: perché lì è Dio che parla a noi in tutto.
Non è quindi il problema di raccogliere “tanti segni”;
no, si tratta di andare in profondità.
Quando sei in pianura e desideri vedere tanti luoghi, è
inutile che tu corra di qua e di là:
pòrtati in alto, e con un solo colpo d’occhio allora vedrai tutto!
Tutto è segno: andare in profondità corrisponde
all’andare in altezza; quanto più uno approfondisce anche un segno solo, da
quella profondità/altezza lì riesce ad intuire tutti gli altri segni: perché
vede lo Spirito.
Franca: Gli altri discepoli non erano lontani perché avevano
buttato le reti sulla Parola del Signore.
Luigi: Erano discepoli, avevano lasciato tutto per seguire Lui,
erano passati attraverso la Morte del loro Maestro e la Sua Resurrezione.
Franca: Ciò che Dio ci fa arrivare lo dobbiamo riportare a Lui.
Luigi: Sì, perché è Suo: dobbiamo dunque darlo a Lui; solo se
lo (ri)diamo a Lui, Lui ce lo illumina…altrimenti no; la cosa resta Sua, ma non
avendo noi riportatala a Lui, in noi
essa resta “non illuminata”.
E quello che non è illuminato nello Spirito, resta per
noi/in noi motivo di morte, di rovina.
Tutti i segni di Dio non riportati a Dio diventano per
noi motivo di dispersione, di morte.
Franca: Questi segni di Dio che per noi sono un peso…eppure è Dio,
che li ha mandati a noi.
Luigi: Fintanto che noi non capiamo sono sempre un peso.
Franca: Anche se li si accetta da Dio?
Luigi: Sì; solo quando un segno è illuminato, diviene gioia;
prima è un peso, inevitabilmente.
Pinuccia: “Raggiunsero la riva”: si direbbe che sono giunti alla
meta.
Luigi: Gesù era sulla riva.
Pinuccia: Per cui non ci dovrebbe più essere peso: dove c’è Gesù
c’è conoscenza.
Luigi: La conoscenza ti viene da Gesù, cioè ti viene dal Figlio
di Dio: la sapienza viene da Dio, viene da_.
Quindi il Figlio diventa un passaggio obbligato; e
fintanto che non le ricevi da Dio, le stesse opere di Dio diventano un peso,
per te: appunto perché non le capisci.
Anche se le credi, anche se le accetti da Dio, per te
sono un peso…è logico, perché il riposo sta solo nella comprensione.
Solo il “prendere da Dio”, serve a niente: una cosa non
riportata a Dio inevitabilmente ci guasta, ci brucia: ci disperde.
Gesù viene definito “motivo di salvezza e di rovina”; è
motivo di salvezza se lo adoriamo, se lo accettiamo da Dio e cerchiamo di
capire presso Dio; se no diventa per noi motivo di rovina.
Di per sé Gesù è Dono di Dio, ma solo se lo accogliamo da
Dio Egli è per noi realmente motivo di salvezza.
Appena scesi a
terra, videro un fuoco di brace con sopra del pesce e del pane. Gv 21 Vs 9
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31/ Dicembre /1988
Delfina: Il pane dovrebbe significare la Parola quotidiana di Dio,
mentre il pesce dovrebbe simboleggiare l’amore.
Luigi: Il pesce rappresenta Cristo.
Già nelle catacombe i primi cristiani rappresentavano
Cristo con il pesce; ma qui c’è un trucco, no?
È evidente: Lui aveva già da mangiare; eppure aveva
appena chiesto: “avete da mangiare?”; e loro: “non ne abbiamo”.
E allora li manda a pescare.
Ma adesso salta fuori che Lui aveva le tasche piene di
cibo!
Teresa: È per dire che ci dà la possibilità di fare qualcosa?
Luigi: È per darci la possibilità di capire, di capire il Suo
intervento; se uno mi mette in difficoltà…ad esempio: ho cercato di pescare, e
ho preso niente; poi Lui mi fa arrivare la Sua Parola ed io, ubbidendo ad Essa,
ottengo qualcosa: è segno che si tratta di opera Sua.
Quindi, mi fa capire la Sua Presenza.
Ecco, se non avessi faticato inutilmente, se non avessi
esperimentato la mia impotenza, la mia povertà, la mia incapacità a risolvere
il problema, non mi renderei conto…quante volte Dio ci fa aspettare la luce,
eppure Lui è tutto luce…
Perché?
Appunto perché, se non esperimentassimo la nostra
incapacità, quando otteniamo la luce ce ne vanteremmo: “sono io che sono stato
in gamba!”.
Allora, quando meno ce l’aspettiamo, ecco che la luce
arriva: così capiamo perfettamente che la luce è opera, dono di un Altro, non è
iniziativa nostra.
Dico: quando io ho voluto, non ho potuto; con questo Lui
ci rivela, ci fa toccare con mano la Sua Presenza, il Suo intervento ci fa
realizzare che le cose dipendono da Lui.
Giovanna: Dice: “scesi a terra”, la parola “terra”
non mi quadra, perché stavano andando incontro a Gesù.
Luigi: Gesù è “la Terra”; anzi quando ti accorgi che “volando”
cominci, una cosa e l’altra, capisci, scendi a terra!
Perché Gesù è proprio il Verbo di Dio Incarnato, il
Verbo, cioè, che è “sceso sulla
terra”; ed è dunque proprio su questa
“terra” che noi prendiamo contatto con Lui; poi dopo Lui ci porterà in Cielo,
logico: ma noi abbiamo bisogno di un contatto, e poiché noi siamo a terra, il
contatto può avvenire solo lì.
Noi camminiamo con Dio in quanto e per quanto abbiamo
sempre presente una realtà; ora, noi partiamo da una realtà presente che è la nostra terra; nel pensiero del
nostro io, ciò che noi abbiamo presente non è mica il Cielo bensì, appunto, la
nostra terra: con tutti i problemi che ne conseguono!
Il problema del mangiare, della figura, della casa, della
famiglia…sono questi, i problemi che costituiscono la nostra vita, la nostra
realtà.
Se dunque Uno, dal Cielo,
mi vuole parlare, se vuole cioè stabilire un contatto con me, un punto
di realtà con me, deve necessariamente entrare in queste problematiche; da lì
potrà poi condurmi a contatto col Cielo.
È un passaggio che può avvenire solamente tramite cose
“reali”; in caso contrario, cominciamo a sognare, a fantasticare, per cui
finiamo col non riuscire più a determinare la differenza tra realtà e
fantasìa, tra la nostra fantasìa e la
Realtà di Dio, l’Opera di Dio.
A Dio si giunge tramite la Realtà: e la Realtà è Dio
stesso.
Ma Lui è Realtà Spirituale, mentre per noi la realtà è la
materia, sono i corpi, e dunque noi intendiamo solo questi.
Dio prende dunque contatto con noi tramite questa
presenza materiale, fisica e, a poco per volta, ci porta alla Realtà dello
Spirito.
Ecco: si passa di realtà in realtà, fino alla Grande
Realtà dello Spirito.
Bisogna lasciarsi condurre da Dio attraverso tutti questi
passaggi, altrimenti cominciamo a
fantasticare noi, e allora, nel fantasticare del nostro io, non giungiamo
all’oggettività di Dio, cioè non arriviamo alla Sua Presenza.
Allora si resta a: “ma Dio, sono io che lo penso o esiste
per davvero?”.
Ecco: Dio non
deve essere il frutto del nostro pensare; piuttosto, è il nostro pensare che
deve derivare da Lui; quindi, il nostro pensare non deve mai essere opera
nostra: deve essere sempre “opera di Dio”.
Solo quando è Dio a farmi pensare, solo lì resto nella
realtà ma se “sono io che penso” è finita, eh! Lì comincio a vagare nel
soggettivismo.
Giovanna: C’è differenza tra il restare con Gesù prima della Sua
Morte e resurrezione ed il restarvi dopo?
Luigi: Qui il Signore li sta educando alla Sua Presenza
Spirituale; nel tempo che intercorre tra
la Sua resurrezione e la Pentecoste, c’è questo processo di educazione con cui Cristo
forma i Suoi discepoli alla capacità di cogliere la Sua Presenza Spirituale.
Prima Lui prende contatto “fisicamente”; Lui è prima
presente con quella determinata faccia,
con quei capelli, con quell’espressione, dunque tutte le volte che loro
vedevano un uomo con quelle caratteristiche dicevano: ”è Lui”.
E già, perché Lui si identificava con una determinata
presenza fisica, con un punto di contatto fisico.
Adesso, a poco per volta, li educa alla Presenza Spirituale,
la quale non è più legata a “quella faccia”, a quell’espressione.
Si tratta di un'educazione indispensabile, perché noi
possiamo restare con lo Spirito solo se ne cogliamo la Realtà
“indipendentemente dalle presenze fisiche”.
Allora, lo Spirito non parla solo in una certa presenza
fisica, ma ovunque; e noi dobbiamo dunque
giungere a coglierLo in tutto e in tutti.
Ecco perché lo Spirito si sgancia dal segno materiale:
perché lo Spirito non è presente quando c’è quel segno lì, Egli è presente
sempre.
E solo se, per Grazia di Dio, arrivo a cogliere lo
Spirito di Dio in ogni segno io posso restare sempre con Dio.
Quando io ritenessi che Dio si trova solo in un certo
segno, gli altri segni mi porterebbero via a Lui.
Allora diciamo: il segno particolare è la terra, segno
indispensabile per far sì che Dio prenda
contatto con noi, perché noi non capiamo
in altro modo.
Ma seguendo Cristo, Lui a un certo punto ci dice: “è
necessario che Io me ne vada, se no lo Spirito non può venire a voi”.
E questo Spirito non è più legato ad una presenza, ad una
istituzione, ad una regola; ecco perché se credi di trovare Dio attraverso
queste cose, stai fresca!
Dio non è una regola.
Dio è Spirito…si tratta dunque di giungere a questa
Presenza Spirituale che parla in tutto e in tutti.
Solo così, allora, si può restare sempre con Lui; quando
invece fai consistere lo stare con Dio con l’osservare una determinata regola,
non appena qualcosa non coincide più con questa regola tu ti ritrovi spaesata,
appunto perché lì non sei più con lo Spirito di Dio.
Silvana: In Lui tutto è già pronto.
Luigi: Sì, manchiamo solo noi; ragion per cui, noi non ci
dobbiamo preoccupare di “fare”, bensì di capire…il difetto è solamente nostro; Dio
ha già fatto tutto: “venite, che tutto è pronto”.
Da parte nostra si tratta di prendere coscienza di questo
“tutto fatto” del Signore.
Paola: Noi possiamo affannarci tutto il giorno, ma combiniamo
nulla.
Luigi: Si capisce, perché noi siamo salvati dalla Realtà, la
quale è fatta da Dio: perché la Realtà è Dio!
Ne consegue che noi, con tutta la nostra fame, non
possiamo soddisfarla : perché non è la nostra fame, a creare il pezzo di pane!
È Dio, che mi fa trovare il pezzo di pane; perché è Dio
che mi fa trovare quella realtà che corrisponde alla mia fame.
Quindi, noi sentiamo la fame, la subiamo, ma ciò che
sazia questa fame noi non possiamo assolutamente crearlo.
Dunque, ciò che corrisponde a questa nostra fame è opera
del creatore.
Paola: È anche Lui che fa nascere la fame.
Luigi: Certo, quindi è anche Lui che risponde ad essa; allora è
perfettamente inutile che noi ci agitiamo: solo cercando Dio, “da Dio” noi
troviamo il pane che corrisponde alla nostra fame.
In caso contrario noi moriamo di fame; e infatti, la
maggior parte degli uomini muoiono di fame.
Poiché la nostra è una fame di assoluto, evidentemente,
non trovando l’assoluto, si muore di fame.
Riccardo: Dobbiamo riconoscere il Signore su qualsiasi spiaggia
del mondo, perché si tratta sempre di Lui in qualsiasi creatura.
Luigi: Non solo, è anche lì che ci aspetta!
E infatti Lui fa tutte
le cose, come il far passare la notte senza riuscire ad ottenere nulla
(“notte” che può essere tutta la vita”)
per farci incontrare lì, dove Lui ci aspetta.
Lui ci aspetta lì, e a un certo momento ci fa arrivare la
Sua Parola, e se noi la seguiamo, iniziamo a vedere il miracolo, il quale ci
attira sempre più a Lui…e quando arriviamo a Lui, scopriamo che è già tutto
fatto!
Franca: È proprio necessario che passiamo tramite
quest’esperienza del nostro niente, per comprendere che Lui è il tutto? Per
capire che tutto è già pronto?
Luigi: Senti…
Franca: Dobbiamo farla per forza, questa esperienza.
Luigi: Non puoi certamente metterlo in dubbio, perché Dio non
si diverte mica, ad umiliarci.
È che solo attraverso la constatazione del nostro nulla
noi arriviamo a scoprire il Suo Tutto come assolutamente vero, reale; altrimenti
lo scopriamo come “iniziativa mia”, “intelligenza mia”, attraverso il “sono io
che ho lasciato tutto”.
Crediamo di essere noi…ma finché riteniamo di avere
qualche merito, certissimamente non possiamo entrare nel regno di Dio!
Franca: E perché Dio ci fa fare quel passaggio lì, di lasciarci
credere che siamo noi che abbiamo lasciato tutto per Lui? da soli noi non ci
sogniamo mica di lasciare tutto…
Luigi: Perché Dio ci chiede di lasciare tutto; ma fintanto che
tu dici: “sono io che ho lasciato”,
stai fresca.
Fintanto che dici: “io ho lasciato la mia famiglia, sono
andata in Africa per avvicinarmi a Dio”, sei impedita ad entrare nel regno di Dio;
non puoi proprio.
Franca: Non lo dico più!
Luigi: Fa niente, te lo dico io; anche se non lo dici, lo pensi.
Pinuccia: È importantissimo appoggiarci su dati oggettivi, per
poter camminare sulla realtà, nella realtà.
Luigi: Cioè, dobbiamo sempre avere presente un dato reale; cosa
è, questo “dato reale”? È ciò che non dipende da me.
Soltanto quando posso camminare su qualcosa che non
dipende da me, io cammino veramente.
In caso contrario, è finita: non si entra nella Luce.
Il grande rischio è che a un certo momento tutto il mondo
dipende da me: ecco il grande rischio;
tutto…perché si corre il rischio di macchiare tutti i segni!
A quel punto lì non c’è più possibilità di celebrare una messa;
assolutamente nessuna, perché viene a mancare l’ostia (appunto perché tutto
resta macchiato dal pensiero del nostro io).
Il nostro io ha il potere di macchiare tutto.
Ora, non appena macchia, la cosa, da oggettiva, diviene “soggettiva”; e dunque,
non è più “reale”.
La cosa “macchiata” diventa legata al pensiero di noi
stessi, e quindi resta macchiata di soggettività; e il soggettivo, certamente,
non ci salva.
Pinuccia: Non ci dà la certezza.
Luigi: E già, ragion per cui dobbiamo stare molto attenti alla
risposta che diamo alle opere che Dio ci presenta; perché, se sbagliamo
risposta (se “macchiamo”), le stesse opere di Dio ci bruciano.
Ci bruciano proprio nel senso che esse divengono
“soggettive”.
Se, su di esse, noi non ci affrettiamo a cercare il
Pensiero di Dio, le macchiamo inevitabilmente della nostra intenzione; è lì è
finita, la cosa diventa soggettiva.
In sostanza, bruciamo le grazie che Dio ci manda; le bruciamo
proiettando su di esse il pensiero del nostro io.
Pinuccia: Ecco, tutto era pronto, ma noi abbiamo bruciato tutto.
Luigi: Certo; e facendo così ci tagliamo la strada che ci
conduce a Dio; ci rendiamo impossibile salire a Dio.
Ecco come può avvenire che, a un certo momento, non
passiamo più: sono le porte che si
chiudono.
E allora poi bussiamo inutilmente, bussiamo invano…tutto
inutile, la porta non si apre più.
Dico: si entra per mezzo dell’oggettività; il soggettivo,
al contrario, ci danna.
Perché il soggettivo proietta su tutto, anche su Dio….si
arriva infatti, addirittura, al “sono io
che penso Dio”; è lì, che sono impossibilitato ad entrare nella Luce di Dio, a
riposarmi in Essa.
Pinuccia: Perché nel soggettivo il mio è principio di qualcosa,
per cui si è fuori del Regno.
Luigi: Certo.
Paola: Se riportiamo a Dio ma non capiamo, siamo comunque nella
realtà?
Luigi: Sì: fintanto che ci interessiamo di capire presso Dio il
significato di un fatto che Lui ci presenta, siamo sul cammino di Dio.
Quando invece su un fatto, su una persona, io dico: “ah,
lo conosco, so cosa è”, lì classifico,
giudico, cioè proietto il mio io, e quindi non cammino verso Dio.
Perché lì mi sto chiudendo nel pensiero del mio io; ecco
perché il Signore ci comanda di non giudicare, perché giudicando ci fregiamo,
perché proiettiamo la nostra sensazione, e così escludiamo da noi la lezione di
Dio.
In tutte le cose è sempre Dio che parla a noi: noi
restiamo nella realtà se accogliamo, quindi, tutto dalla Sua mano, cercando
cosa voglia dirci.
Agata: Il problema è quando c’è la tentazione…
Luigi: Quando c’è la
tentazione è perché si sta trascurando Dio…è logico, perché se non trascuri Dio
anche la tentazione la ricevi da Lui.
E allora la vedi come una prova da dialogare con Lui.
L’importante è partire da: Dio è il Creatore di tutte le cose.
Gesù disse
loro: portate il pesce che avete pescato. Gv 21 Vs 10
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31/ Dicembre /1988
Delfina: Il Signore ci chiede quello che ci ha dato.
Luigi: Dobbiamo riportare a Lui quanto Lui ci dona, affinchè Lui
ce ne faccia comprendere il significato: perché il significato viene (solo) da Lui.
Allora, Lui ci manda tanti doni (i talenti), e poi ci
dice: “portali a Me, affinchè ti illumini sul Mio Pensiero in essi”.
In questo modo lui ce li consacra; e quindi, se non li
riportiamo a Lui, i Suoi stessi doni rimangono sconsacrati.
Ecco perché è sempre necessario questo dialogo, questo
non fermarsi alle cause seconde, questo rispondere alle creature: perché solo
da Dio noi otteniamo il significato.
Perché poi è la rivelazione del Pensiero di Dio, a salvarci: “questo è il Mio Corpo,
questo è il Mio Sangue”.
È questo, ciò che determina la comunione.
È proprio quando Lui dice: “questo è Mio”, che si
determina la comunione; è logico, perché se Lui non dice “questo è Mio”, la
creatura rimane chiusa nel suo io; e se
anche Dio le ha dato dei doni, la creatura li ritiene suoi: “sono miei”.
E lì, allora, i doni stessi di Dio la disuniscono da Dio.
Lui che dice “questo è Mio”…ecco ciò che mi tiene unito a
Dio; un giorno Lui mi dirà: “anche il tuo pensiero è Mio”; in quel momento lì,
io trovo unione anche nel pensiero…ma, appunto, bisogna che Lui mi dica: “il
tuo pensiero è Mio”.
Giovanna: Dice solo: “un pò”, di pesce: non tutto…
Luigi: Va beh, l’importante è portare quello che si è pescato.
La luce scatta in quanto tu riporti a Lui i doni che Lui
ti dà: altrimenti cosa t’illumina, se tu non hai niente?!
Dico: Lui ti illumina quei segni che ti ha fatto
arrivare.
A Dio non si arriva certo dicendo “Signore, Signore”: a Lui
si arriva in quanto Gli si porta un dono ben preciso…il dono che Lui ti ha
fatto giungere.
Lui ci dice: “Io ti mando una cosa affinché tu,
riportandola a Me, riceva una Grazia Mia”.
Ma se tu non la porti a Lui, magari continui a dire:
“Signore, Signore”, ma intanto il dono che Lui ti ha mandato, tu lo hai fatto
tuo !
Cioè: a Dio bisogna andare con una volontà ben
precisa…perché se vai a Dio senza ben sapere ciò che vuoi, stai fresca! la luce
non la riceverai mai.
Devi sapere quello che vuoi: se no non ricevi alcuna
luce.
Pinuccia: Anche se porto a Dio, la grazia è Sua.
Luigi: Sì; mentre, se non porti a Dio, la colpa è tua; il non
riportare è proprio nostro.
Perché Dio ti dà un dono e ti dice: “portalo a Me”.
Ecco: unito al dono c’è sempre il Suo Pensiero; se tu Lo
trascuri, la colpa è soltanto tua.
Se invece lo riporti, la grazia è tutta Sua: “Signore, è
stato tutto dono Tuo!”.
Pinuccia: Anche l’attribuire a Dio, è Dio che attribuisce a Sé.
Luigi: E già: la cosa giunge già con la Sua firma; la firma è:
“ non sei tu che hai fatto la cosa, l’ho fatta Io ”.
Ecco, tutte le cose arrivano “firmate”.
Gli abiti sono di Dio, non sono anonimi.
Pinuccia: Marca di qualità.
Luigi: Ecco: “le cose sono Mie”; il filo d’erba…non permetterti
di strapparlo, perché è suo.
Delfina: Bisogna sempre accettare tutto da Dio.
Luigi: Sì, anche (soprattutto) ciò che ci sorprende.
Anzitutto, Lui ci sorprende sempre perché ci è
infinitamente superiore.
Quindi noi non dobbiamo mai dire: “io accetto solo le
cose che corrispondono a-…no, stai attenta, con Dio ci sono le sorprese; se uno
inizia a camminare col Signore deve essere preparato ad aspettarsi le sorprese.
Giovanna: Noi abbiamo sempre bisogno di una realtà oggettiva.
Luigi: Certo, perché nella realtà soggettiva noi ci perdiamo,
ci roviniamo.
Perché il pensiero del nostro io ci carica di dubbi.
Fabiola: Bisogna dialogare con Dio tutto, anche le difficoltà.
Luigi: Soprattutto esse: sono proprio le difficoltà a farci
camminare più velocemente.
Simon Pietro
venne alla spiaggia trascinando la rete piena 153 grossi pesci;
anche se erano molti, la rete non si ruppe. Gv 21 Vs 11
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7/ Gennaio /1989
Delfina: “Grossi pesci”: cosa significa?
Luigi: Si vede che erano persone importanti!
Silvana: Tutti i segni, se non li si riporta in Dio,
ci portano via a Dio; qui, invece, la rete non si strappa…
Luigi: Ci portano via a Dio quando non riusciamo a
trattenerli.
Cioè, finché siamo nel mondo, mentre
raccogliamo una cosa ne troviamo un’altra; cerchiamo di trattenere l’altra, e
perdiamo questa…le cose si sfasciano, non siamo in grado di trattenere tutto.
Solo lo Spirito di Dio ci dà la capacità di
trattenere tutto: “chi con Me raccoglie riceve mercede di Vita Eterna".
Senza lo Spirito di Dio, perdiamo tutto,
inevitabilmente: in qualunque campo.
Le prime conoscenze si riesce a trattenerle
facilmente, ma man mano che si va avanti ci si accorge che si inizia a pèrdere
quanto si era inizialmente raccolto…a un certo momento si prende coscienza che
proprio non è possibile raccogliere tutto.
Ecco: ogni scienza, ogni creatura, ogni
mente, è necessariamente limitata…ha
determinati lìmiti, e non può procedere oltre.
Ma Dio è un Infinito: con Lui, allora, c’è la
possibilità di trattenere tutto…perché in Dio tutto ha un suo significato.
Zita: Hanno raccolto tanto perché si sono mossi
sulla Parola di Dio.
Luigi: Certo; in un primo tempo hanno lavorato
invano tutta la notte: per farci capire che dobbiamo sempre muoverci solo
sull’iniziativa di Dio; solo così acquisiamo la capacità di raccogliere tutto,
e di non perderlo.
Di solito, ci accorgiamo con quanta facilità
dimentichiamo quanto abbiamo imparato: la vita, nel tempo che passa, è un
processo di riduzione; all’ultimo restiamo solo con ciò che abbiamo amato al di
sopra di tutto: e può essere una dannazione!
Giovanna: Per trattenere bisogna unificare.
Luigi: Certo, ma bisogna avere un pensiero in cui
poterlo fare.
Ognuno di noi raccoglie in certi principi, e
ogni principio vale per quella determinata capacità che possiede; ora, se tu
raccogli tutto nella causa universale (Dio), lì (solo lì) hai la possibilità di
trattenere tutto.
Ma se raccogli, per esempio, in un principio
morale, in una règola, in un istituto, tu raccogli qualcosa, e il resto lo devi
lasciar pèrdere, perché non entra.
Solo Dio è giustificante tutto; solo con Dio,
allora, possiamo trattenere tutto.
Ciò di cui trovi la giustificazione, lo puoi
trattenere.
Ciò che, invece, non puoi giustificare,
presto o tardi lo perdi, poco ma sicuro.
È come se volessi trattenere
solo nella memoria, senza capire le cose: puoi trattenere per un certo tempo,
poi le perdi.
Solo la cosa veramente capìta, assimilata,
può essere trattenuta, può rimanere.
Giovanna: Pur sapendo che solo in Dio si può giustificare
tutto, è molto difficile realizzarlo.
Luigi: Dio è un Essere molto difficile…e questo in
quanto è un Essere estremamente semplice!
Per noi, più una cosa è semplice, più ci
risulta ostica!
Noi stiamo bene nelle cose molto complicate,
pasticciate; e questo perché noi siamo persone molto pasticciate; noi parliamo,
parliamo, diciamo tante cose…ma se dobbiamo parlare di Dio…scena muta!
Infatti si dice che la predica più corta è
quella del giorno dedicato alla Santissima Trinità: appunto perché non si sa
cosa dire! (n.b.: ride).
Paola: Dio ci
dà “grossi pesci”: cioè, ci dà tanto.
Luigi: Certo; comunque, presso Dio le cose sono
molto faticose, questo senza dubbio; la strada è difficile, perché è molto
profonda: c’è una profondità infinita, in Dio…non si finirà mai di scavare.
Dio è Unità, ed in questa unità c’è da
svolgere un lavoro infinito.
Paola: Dobbiamo far entrare in Lui tutti i nostri
frammenti.
Luigi: Certo; più noi ci troviamo con cose facili
(superficiali), più ci troviamo con cose complicate.
Nella superficie c’è una marea di cose
disperse.
Apparentemente sembra facile, invece l’unità
sembra terribilmente difficile.
Il numero per noi è facile, come accesso,
mentre l’Infinito ci è molto difficile.
In realtà, però, quella del numero è una facilità
apparente; è cioè apparente la facilità di ciò che vediamo e tocchiamo, la
facilità della superficie…a un certo momento si rivela infatti la sua estrema
difficoltà, e capiamo allora che il significato si trova soltanto in Dio.
Pinuccia: Solo Pietro, va a Gesù…
Luigi: Il portare a Dio è un fatto essenzialmente
personale.
Pietro rappresenta l’uomo, l’uomo che va a Dio
singolarmente e ci va in
quanto c’è stato precedentemente un raccoglimento, un’offerta; e l’offerta la
si fa personalmente.
Ciò che si è pescato in mare, adesso bisogna
portarlo sulla riva, a Dio, affinchè Dio ce lo illumini.
Pinuccia: Il primo miracolo è la pesca miracolosa, il
secondo è che la rete non si sia spezzata.
Luigi: Qui il fatto è da mèttere in rapporto alla
prima pesca miracolosa, perché è proprio dall’associazione dei due fatti che
loro scoprono che si tratta del Signore.
Ecco che non riconoscono più il Signore solo
perché “ha quel volto”, quella presenza fisica, ma per i segni che loro hanno
interiorizzato precedentemente.
Pinuccia: Anche allora la rete non si era rotta.
Luigi: Per cui, ripetendosi lo stesso avvenimento,
loro capiscono: “è il Signore!”.
Gesù disse loro:
“Venite a mangiare” e nessuno dei discepoli osava chiedergli:
“Chi sei tu?”, perchè avevano realizzato che si trattava del Signore. Gv 21 Vs 12
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7/ Gennaio /1989
Franco: Ormai hanno realizzato, dunque non c’è più
bisogno di chiedere.
Luigi: Però specifica anche che “non osavano
chiedere”…
Riccardo: C’è dunque una contraddizione.
Luigi: È che
avevano dei dubbi.
Franco: Non c’era certezza.
Luigi: No; c’era ancora dell’incertezza: avevano
bisogno di una conferma; d’altronde, non erano mica giunti a Pentecoste, ragion
per cui erano ancòra nel dubbio; cioè, il dubbio consisteva in questo: la
presenza fisica smentiva quello che loro conoscevano.
Il volto che vedevano, la presenza fisica che
avevano davanti, non era quella precedente…come Maria Maddalena che vede
l’ortolano, e non Gesù: la presenza fisica (diversa) la confondeva.
Poi, la voce le fa riconoscere la Persona di
Gesù, la associa a quella che portava dentro, e allora realizza.
Teniamo presente che siamo dopo la
Resurrezione: ci fa capire che lo
Spirito si sta separando dalla presenza fisica.
Meglio: si sta separando dal “luogo” della
presenza fisica; tutto questo avviene per far maturare la creatura alla
Pentecoste.
Siamo cioè ancora in cammino, per cui c’è
ancora il dubbio; perché una cosa la sai, diciamo così, “intellettualmente”,
però vedi che esteriormente le cose sono diverse.
E allora ti nasce il dubbio, vorresti avere
una conferma dall’esterno, però non osi…perché non osi (sostanzialmente) andare
contro ciò di cui sei interiormente già convinto.
Ecco, per loro la presenza fisica era
un’altra.
È un pò la situazione dei
discepoli di Emmaus: camminano lungo la strada, Gesù si accompagna a loro, ma
essi non lo riconoscono: questo, evidentemente, perché la presenza fisica era
diversa, le sembianze erano altre.
E perché, questa distinzione?
Ecco: in un primo tempo lo Spirito si unisce
ad una presenza fisica, mentre in un secondo tempo se ne separa: si tratta di
un processo per condurci alla maturazione.
Quindi abbiamo: il Verbo che si incarna, e
che poi si separa dalla presenza fisica; e lo fa perché “se Io non me ne vado
non può venire a voi lo Spirito di Verità”.
Ecco dunque che si richiede che, a un certo
punto, io superi le presenze fisiche, per giungere alla Presenza Vera, alla
conoscenza vera…perché non è sicuramente rimanendo con le presenze fisiche, che
io conosco; se allora cerco la presenza di Gesù nelle presenze fisiche, mi
ritrovo ad essere smentito…perché la vera presenza sta solo nello Spirito: “Dio
è Spirito”.
Ecco la ragione di questo “scorporarsi”, di
questo “dividersi” dello Spirito dalla materia; ne consegue che, nel tuo mondo
fisico, ti resta l’orma, la tomba, il segno del passaggio…ma Lui non c’è più.
È un po’ come una persona che
ti lascia una fotografia…ma lei non c’è più; ecco, la fotografia è un segno di-,
ma non è la persona.
Franca: Si va verso la spiritualizzazione, e qui
dice: “venite a mangiare”; propone una cosa materiale…
Luigi: Ma tutte le parole del Signore sono da
intendere nella Sua intenzione, non nella tua.
E allora: “cosa intende Lui per mangiare?”.
Nella Bibbia si dice: “mangia questo
libro”…non è mica da intendere alla lettera, no?
Franca: Ma “pane e pesci” è detto in senso
materiale.
Luigi: Ma nossignore: ogni cosa è una parabola; il
mondo che hai attorno ogni istante è una parabola che ti fa arrivare Dio: e tu
devi sempre passare allo Spirito, se no
sbagli tutto; infatti lo sbaglio nostro è proprio quello di fermarci sempre
all’apparenza delle cose.
Ora, il Figlio parla sempre nello Spirito del
Padre; allora, quando Lui ti dice: “mangia”, te lo dice nello Spirito del
Padre, non certo nello spirito del tuo corpo!
Franca: Loro, qui, avevano necessità di una
conferma.
Luigi: Sì, di una conferma esterna; per questo, non
osavano chiedere: perché in loro c’era il conflitto; perché intellettualmente
lo sapevano, avevano certi segni che andavano in questa direzione, che
confermavano che si trattava proprio del Signore; ma avrebbero anche voluto
sentirselo dire…ma capivano che era una loro debolezza, capivano che loro
volevano avere dall’esterno quella conferma che, invece, Dio stava dando loro
dall’interno.
È come quando tu sei convinta
di una cosa, eppure vorresti che un altro te la confermasse…e l’altro non te la
conferma.
Non osi chiedere, perché ti rendi conto che
c’è di mezzo il tuo io…e d’altronde sarebbe una disgrazia, essere confermati
dall’esterno, perché la vera conferma ce l’hai soltanto nel Padre, dal Padre…e
il Padre parla nello Spirito: è lì, che dobbiamo cercare la vera conferma.
Nel pensiero dell’io, ce ne accorgiamo, noi
tendiamo a scivolare nel: “Ma no, sta tranquilla, la cosa è così”; tendiamo
cioè ad accontentarci della spiegazione dall’esterno.
Ma questo ci guasta, perché fermandoci lì non
saliamo più a cercare la conferma del Padre; e però ci si accorge che c’è di
mezzo l’io, l’io che cerca la propria soddisfazione.
Lì, cioè, c’è un difetto di pensiero: non
vuoi faticare tanto, e allora vai a cercare un altro che fatichi per te, che
“mangi” per te.
Delfina: È la
paura dell’approfondimento, del doverLo seguire, di dover lasciare tutto.
Luigi: È proprio
la fatica del pensare…perché pensare chiede un nostro impegno personale, e il
più delle volte noi preferiamo sentirci dire le cose…a meno che la cosa ci stia
veramente a cuore, ma nelle cose in cui non siamo davvero impegnati, preferiamo non faticare: “mi
basta ciò che mi dice l’altro”; ecco il grande errore.
Ma Gesù dice: “perché non riconoscete da voi
stessi quello che è giusto?”.
Domanda: Ma dicendo “venite a mangiare” (e mangiando Lui
stesso, come quando entra nel cenacolo a porte chiuse), si direbbe che operi un
processo inverso rispetto alla spiritualizzazione…
Luigi: Perché in loro era ancora presente questa
“materia”; lì al Cenacolo si è al primo giorno, alla sera del primo giorno dopo
la Resurrezione, in loro c’è ancora questa materialità: non sono ancora
risorti; e infatti temono che sia un fantasma, che non si tratti veramente di Lui:
perché per loro Lui era (ancòra) una presenza fisica.
Ecco: il Signore ci prepara al grande
passaggio nello Spirito attraverso passaggi graduali; cioè, Lui ci prende là
dove siamo, schiavi delle presenze fisiche, dove per noi “tu esisti perché ti
vedo e ti tocco”; ma la creatura non è mica il suo corpo…allora, per far
conoscere ciò che la creatura è, Lui parla alla presenza fisica, ma attraverso
la parola (a poco per volta), ci porta allo Spirito, ci porta
all’identificazione della persona.
Identificazione che non è più “quel naso”,
“quella faccia”…è ben altro.
C’è tutto questo passaggio per arrivare alla
conoscenza intellettuale: la Verità si conosce (solo) intellettualmente…La si
trova solo conoscendola; mentre invece le presenze fisiche le troviamo senza
conoscerle, le vediamo senza conoscerle.
La visione “fisica” non è “conoscenza”: e
quando dunque la scambiamo per tale, prendiamo cantonate a non finire.
Quindi, noi abbiamo una presenza fisica in
quanto, nel pensiero dell’io, ci fermiamo ai segni.
Ma la vera conoscenza, la conoscenza della
Verità, si ottiene solo conoscedoLa.
A differenza delle creature, che si trovano
invece senza conoscerle.
Allora, si parte da ciò che si trova senza
conoscerlo, per giungere a ciò che non si trova se non lo si conosce.
La Verità –e Dio è Verità- si trova solo
conoscendoLa, in nessun altro modo; ragion per cui, finché non La conosci, non
L’hai trovata.
Allora, Dio ti prende là dove ti trovi: nelle
presenze fisiche (ed è il Verbo che si incarna); e poi, a poco per volta, ti
conduce…gradualmente, senza salti, se no si separerebbe da te; e se tu lo
segui, ti porta a questa maturità: fino, cioè, a conoscerLo per quello che Lui
è; fino a conoscerLo spiritualmente, quindi in Verità.
Lui parte da dove sei; tu magari dici: “questo è un fantasma”, e
resti bloccata; allora Lui interviene: “no, sono Io con te, con questa Presenza
fisica, seguiMi, e vedrai dove ti conduco”.
Allora, Lui risorto si presenta ancòra
dicendo: “non sono un fantasma”, perché ovviamente se fosse un fantasma non ci
sarebbe alcun collegamento; ma a poco per volta ti fa capire che la Sua Vera
Presenza è ben altro…infatti, mentre ti dice “non sono un fantasma”, passa
attraverso le porte chiuse!
Cioè: mentre è questo, è anche quell’altro.
E ti fa fare i passaggi, fino all’Ascensione,
fino alla Gloria.
Raffaella: È il significato del mangiare…
Luigi: Anche il mangiare fisico…il più delle volte
noi ci fermiamo lì: “ho mal di stomaco, sono deperito, mangio e mi tiro su”,
ecc.
Ma il mangiare fisico è solo un segno; e
infatti ci accorgiamo che il solo mangiare fisico a un certo punto non è più
sufficiente, per farci vivere: si muore lo stesso.
E già, si tratta di un segno, di un segno di
un ben altro “mangiare”, e devo affrettarmi a capirne il senso...non devo
riposarmi in questo mangiare materiale, non devo pensare che mangiando
fisicamente possa risolvere i problemi!
Bisogna arrivare al vero mangiare, di cui il
mangiare fisico è parabola, segno per farci capire che dobbiamo “mangiare” la
Verità.
La quale non si mangia mettendola in
bocca…ecco allora che in tutte le cose c’è da operare una Pasqua, un passaggio:
il passaggio dal segno allo Spirito, dal segno al suo significato.
È logico che si tratta di un
lavoro ben più difficoltoso di quello materiale, ma bisogna imparare a farlo,
perché la nostra vita sta lì.
Raffaella: Il fatto che Cristo mangi il
pesce…
Luigi: Il pesce è sìmbolo del Cristo stesso; noi
dobbiamo “mangiare” proprio Lui: “Io sono il Pane disceso da Cielo; chi mangia Me,
vivrà di Me”.
Raffaella: Capisco gli Apostoli, ma che
anche Gesù mangi il pesce…
Luigi: Mangia Sé stesso!
È come dire: se ti limiti a
mangiare il Cristo materialmente, non hai capito il significato vero; così lo
stesso, Cristo che mangia Sé stesso: è il Cristo che, in quanto Figlio di Dio,
conosce Sé nel Padre; è cioè Dio che ci traccia il cammino, che ci fa vedere
quelle stesse cose che anche noi dobbiamo fare.
È la funzione
dell’Incarnazione: “Io ti traccio il cammino, tu seguimi”.
Perché noi abbiamo il Cielo chiuso, la Verità
chiusa: proprio perché non sappiamo come fare; sappiamo sì che dobbiamo
giungere là, ma non sappiamo “come”.
Il Cristo c’insegna questo “come”.
Pinuccia: Non osavano chiedere “chi sei”, ma avrebbero
fatto bene, a farlo.
Luigi: No, avrebbero sbagliato.
Pinuccia: Perché bisogna ascoltare il maestro
interiore.
Luigi: Dico: è una tentazione; io la cosa la so:
loro sapevano…la tentazione è quella di sentirselo dire dall’altro.
Rita: È
dentro, che bisogna sentire il “è così”.
Luigi: Certo.
Pinuccia: Anche se lo sento fuori devo
interiorizzarlo, se no non serve.
Luigi: Quello che t’arriva dall’esterno tu lo devi
interiorizzare…perché la Verità non ti deve venire dal di fuori, ma dall’interno.
La Verità ti viene da Dio; quanto ti arriva
dall’esterno, allora, lo devi portare dentro, a Dio, affinché Dio te lo
illumini.
Ma se tu hai qualcosa dentro, e vai a
chiedere conferma fuori, operi un processo al rovescio: quindi di mezzo c’è il
tuo io.
Rita: Lì avviene la lacerazione.
Luigi: Si capisce; lì ti accontenti di quanto ti
riferisce la creatura, comunque sia…e non attingi più al/dal Padre.
Rita: Lì si fa marcia indietro.
Luigi: Certo.
Pinuccia: Se ci si appoggia a cose esterne, si perde
quanto si ha dentro.
Luigi: Le cose esterne hanno un certo valore, una
funzione di servizio.
Pinuccia: Come annuncio.
Luigi: Come annuncio, come mezzo; servono per farti
entrare in te stessa affinché tu, interrogando
Dio, possa da Lui ricevere la luce.
Quindi, non devi passare da ciò di cui sei
convinta all’esterno, capito?
Pinuccia: Quindi le domande sono utili e proficue solo
quando dentro uno non capisce ancòra; lì, allora, domanda e riceve la risposta,
riportando sempre interiormente al Padre.
Luigi: Sempre; infatti, chi ti parla come servo,
dall’esterno, ti dirà sempre: “ti dico questo, però tu cerca dentro di te
presso Dio”.
Pinuccia: Bisogna verificarlo presso il Padre.
Luigi: Certo, perché se t’inchini davanti alla
creatura, devi sperare di trovare la creatura corretta, che allora ti dirà:
“no, io sono servo, cerca dentro di te”.
Pinuccia: E lì è proprio Dio che ci fa persone, in
questo rapporto personale.
Luigi: Sì.
Gesù si
avvicinò, prese il pane, e lo distribuì; poi distribuì anche
il pesce. Gv 21 Vs 13
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7/ Gennaio /1989
Franca: Prima ha detto: “venite e mangiate”, adesso
serve Lui…
Luigi: C’è una grande differenza, eh! tu vedi, in
un primo tempo Lui ti fa pescare, anzi, inizialmente ti chiede se hai qualcosa
da mangiare, e cioè ti fa toccare con mano che non hai nulla: ti fa constatare
la tua povertà; poi, con la Sua Parola, ti manda a gettare la rete; poi ti dice
di portare a Lui quanto hai pescato…portando a Lui, poi Lui te lo dà.
Ecco, c’è una grande differenza tra il mangiare
quello che tu hai pescato, e il portarlo a Lui e riceverlo dalle Sue mani.
Perché
ci si nutre veramente solo in quanto si riceve da-.
Non basta quanto hai fatto tu, anche sulla
Sua Parola: vale quanto, fatto sulla Sua Parola, viene riportato a Lui, e
ricevuto da Lui.
È ciò che si riceve da-, ciò
che nutre.
Ma non si può ricevere che ciò che si è
portato: se non si porta niente, si riceve niente; noi riceveremo solo quanto
avremo riportato (offerto) a Dio.
Riportandolo a Dio, Dio a Sua volta lo ridà a
noi da mangiare: in questo modo (mangiando da Dio) si forma la comunione.
Vedi che qui diventa “tutto Spirito”? se ti
limitassi a mangiare quanto Lui ti ha fatto pescare, ciò non sarebbe “Spirito”.
Riportandolo e riprendendolo da Lui, invece, lo ricevi spiritualmente; siamo
nel campo dello Spirito, e ciò ti determina la comunione. A questo punto c’è la
capacita’ dell’assimilazione.
Franca: Sono po’ le tre parti della Messa.
Luigi: Certo; infatti la Messa esterna è pedagogìa
della Messa interiore che ogni uomo deve celebrare; se non celebra questa,
quella esterna serve assolutamente a niente.
Quello che è fuori è (solo) lezione per
quello che devi fare dentro.
Delfina: Abbiamo sempre bisogno che il Signore ci
venga incontro donandoci qualcosa, dell’amore.
Luigi: Certo, però bisogna stare attenti, perché Lui
ci dà (solo) quello che noi Gli abbiamo offerto; Lui ci mette le cose nelle
mani, ma non dobbiamo usarle seconde delle nostre intenzioni; se lo facciamo,
ci bruciamo, creiamo il corto circuito…ecco perché dobbiamo portarle a Dio, in
modo che Dio ce le ridìa, coscientemente: solo così si determina la comunione.
Cris: Perché il pesce è sìmbolo del Cristo.
Luigi: Perché in greco “pesce” si dice “ictus”, che
rappresenta le iniziali di: “Iesus christus te u”: di Dio, Figlio Salvatore.
Raffaella: Il sìmbolo è però nato dopo, qui
se ne parla prima…
Luigi: Il prima e il dopo, nella Verità, hanno un
valore parecchio relativo; teniamo presente che gli apostoli erano pescatori,
dunque il problema del pesce era molto importante; Gesù dice loro, all’inizio:
“Venite dietro di Me, vi farò pescatori di uomini”…proponeva il trasferimento
al “pescare uomini”, e da lì al Cristo, che è Uomo; è tutto un processo di
maturazione che, a poco per volta, è stato simboleggiato in quel fatto lì.
Rita: A un certo punto tutto, ci dà la comunione
con Lui.
Luigi: Tutto deve diventare motivo di offerta;
tutto arriva a noi: la prima parte della Messa, la liturgìa dei fedeli, la
Parola: tutto ciò che è annuncio.
Poi inizia l’offertorio, e cioè: “tutto
quanto ti è arrivato, adesso portalo a Me”; è la fase più delicata, perché ti
devi aspettare che sia Dio, a dire la Sua Parola.
Tu non puoi dire nulla…devi aspettare che Lui
dica: “questo è Mio””; solo così Lui “fa Suo”;
tu hai offerto un pensiero, adesso Dio lo fa Suo: “questo è Mio”.
È lì, il passaggio, quando Lui
ti dice: “questo è Mio”.
Noi non possiamo assolutamente dirlo: è Lui,
che lo dice.
Dicendolo, Lui fa una cosa sola con quanto io
Gli ho offerto: e lì, allora, succede la meraviglia.
Pinuccia: In questo processo Lui si avvicina, e noi
cominciamo a conoscerLo.
Luigi: Certo.
Pinuccia: È
essenziale che sia Lui, a darci il pane.
Luigi: Sì, perché noi ci nutriamo di ciò che
proviene da-; non ci nutriamo di ciò che va a-.
Certo, andare a- è indispensabile, ma questo
non nutre ancòra; ci si nutre di ciò che viene da-, i figli di Dio nascono da-,
da Dio.
Quindi, la vita viene da-.
Pinuccia: Dall’alto.
Luigi: Ecco; ora, teniamo presente che “nessuno può
salire in alto se non Colui che ne discende”, per cui, solo il Cristo che
discende a te, ti dà la possibilità di salire in Alto.
Fu la terza
volta in cui Gesù rivelò Se stesso ai discepoli dopo essere
resuscitato dai morti. Gv 21 Vs 14
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7/ Gennaio /1989
Delfina: Anche nella nostra vita ci sono 3 grandi
tappe.
Luigi: Sì, tre giorni: “Distruggete questo Tempio
ed in tre giorni Io lo ricostruirò”.
Pinuccia: Perché questa precisazione “la terza volta”?
In fondo Lui è apparso anche altre volte: ai discepoli di Emmaus, a Maria
Maddalena: intende la terza volta specificatamente rispetto ai discepoli?
Luigi: Il fatto che sia specificato “la terza
volta”, fa pensare ad un compimento; teniamo presente che in parecchi segni si
accenna alla ricostruzione in tre giorni il Tempio, il tempo di Cristo sotto terra; diciamo che
per la terza volta completa l’opera…l’opera nel campo dei segni, sia ben
chiaro, perché poi dopo Lui ascende al Padre…
Pinuccia: Sta quasi a dire che Lui completa l’opera di
resurrezione in noi stessi.
Luigi: Esatto; perché poi Lui va al Padre.
Diciamo così: è la terza tappa, dopo la
Resurrezione, che Lui ci fa percorrere per darci la possibilità di comprendere
la Sua Ascensione al Padre…altrimenti noi resteremmo staccati.
Quindi ci sono tre tappe, dopo la Sua
Resurrezione.
Pinuccia: E sono tappe rappresentate da ogni
apparizione ai discepoli.
Luigi: Si capisce, perché Lui traccia per noi delle
tappe, attraverso i Suoi segni; noi percorriamo queste tappe assimilando i
segni.
Pinuccia: Significa che c’è un una progressione di
comprensione della Sua Resurrezione.
Luigi: Sì, è un cammino che Lui traccia per noi;
ora, il cammino Lui inizia a farlo dal
Natale, nascendo tra noi…il Natale è il primo segno; se non lo capiamo,
assolutamente non possiamo capire tutti gli altri.
Ma se capiamo il primo segno, ci prepariamo,
a poco per volta, a capire i segni successivi: i 30 anni di silenzio, eccetera.
Ogni segno vissuto da Gesù risulta essere una
tappa per il nostro cammino verso la Pentecoste, verso la Conoscenza di Dio:
se, ovviamente, lo assimiliamo.
Allora, abbiamo anzitutto dei segni fatti da
Gesù prima della Sua Morte e
Resurrezione; ma poiché il cammino prosegue oltre la Morte, abbiamo altri segni
Suoi tra Resurrezione ed Ascensione: e sono tutti segni da capire.
Questo segno qui, ci viene detto, è il terzo, il segno conclusivo; si tratta di
comprenderlo in modo da risultare preparati ad ascendere col Cristo al Padre;
senza assimilazione si resta invece scollati: Lui se ne va, ed io resto qui.
Pinuccia: Allora noi, per capirli veramente, dovremmo
riprenderli tutti e tre, e vederne la differenza.
Luigi: Ma dopo che Lui è Morto e Risorto; quindi
dopo che tu, sei morta e risorta (con Lui).
Delfina: Comprendere un’apparizione per poterla
veramente vivere.
Luigi: No: è comprendendo, che la vivi.
Cioè, tu cammini in quanto e per quanto
cerchi di capire; non è che tu comprendi “per poi dopo poter vivere”…no,
comprendendo vivi.
Chi cerca di capire, vive.
Quando ebbero
finito di mangiare, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone, figlio
di Giovanni, mi ami tu più di questi?” Pietro rispose: “Sì, Signore, Tu sai che
ti amo”. Gesù gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gv 21 Vs 15
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13/ Gennaio /1989
Teresa: Ripresenta a Pietro le sue parole sbagliate:
“vi sarà chiesto conto di ogni parola non pronunciata secondo lo Spirito”.
Luigi: Certo; a cose fatte, lo invita a prendere
coscienza; e così ci insegna che, a un certo momento, tutte le cose vengono a
galla…e noi le dobbiamo “riconfrontare con-”: con le esigenze di Dio.
Delfina: Il Signore sa benissimo, se Lo amiamo oppure
no: dunque, ce lo chiede “per noi”.
Luigi: Sì, per farci prendere coscienza.
Franca: È una
lezione per farci imparare ad agire sempre solo secondo Dio.
Luigi: Logico; ogni cosa va sempre confrontata con
lo Spirito di Dio, altrimenti non si entra certamente nel Suo Regno.
Cioè: ogni cosa va sempre riportata nel Principio,
perché una qualunque cosa che parta da noi (un semplice pensiero) ci impedisce
di entrare nella luce.
Franca: “Dopo aver mangiato”: ecco, prima Lui ci
nutre.
Luigi: Eh, se non mangi non puoi mica amare.
Silvana: È Lui,
che ci fa capaci di amare.
Luigi: Certo; senza dubbio, quello che noi
chiamiamo “amore” è solo una proiezione del nostro io; la stessa mamma che ama
i figli, lo fa perché in essi sé stessa, dunque perché vi proietta il suo io; e
con il pensiero del nostro io di mezzo, naturalmente, non si entra nella Luce.
Il pensiero dell’io va superato: solo così si
impara a vivere secondo Dio…solo qui inizia il vero amore.
Pinuccia: È
proprio la Sua Parola che, chiedendoci l’amore per Lui, ci fa capaci di amare.
Luigi: No, Lui ci rende capaci di amare dandoci da
mangiare; se noi assimiliamo quanto Lui ci offre, siamo resi capaci di amare perché si può amare solo se si
conosce, e non si può conoscere se non si mangia…assimilando quanto Lui ci offre, conosciamo; conoscendo, acquisiamo la capacità di
amare.
Per amare qualcosa si deve averlo presente;
la presentazione della cosa è il cibo: se lo mangi, diventi capace di amare.
Pinuccia: Se uno prende consapevolezza della propria
incapacità di amare può dire: “sì, Tu lo sai che Ti amo”? o no?
Luigi: Aspetta, qui ci sono 3 domande; se glielo
chiede 3 volte, vuol dire che è necessario.
Gli disse di
nuovo: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Gli rispose:
«Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci
le mie pecorelle». Gv 21 Vs 16
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13/ Gennaio /1989
Delfina: Specifica “Simone, figlio di-”: è per dirci
che la domanda è proprio personale, singola.
Luigi: È
strano, perché Gesù gli aveva cambiato nome (Pietro), e adesso qui torna
“Simone”.
Delfina: Era necessario, cambiare nome?
Luigi: Evidentemente sì.
Fabiola: Ma per avere Dio dobbiamo passare attraverso
Cristo?
Luigi: È l’amore
per Dio, che ci conduce a Cristo: “nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”;
dicendo “Me” dice qualcosa di esclusivo: ogni io è esclusivo, è una singolarità
assoluta…non esiste il ciclostile, nelle persone, non c’è la ripetizione.
Quindi, la via è esclusiva, è solo
quella…finché dunque non arriviamo al Figlio, siamo impediti a conoscere il
Padre: sicuro.
Possiamo allora anche diventare
virtuosissimi, compiere azioni giganti di missionariato, tutto quanto, ma
certamente non arriviamo alla Conoscenza di Dio.
Perché si può arrivare lì (cioè alla
salvezza) solo attraverso il Figlio: perché il Padre
si rivela solo nel Figlio.
Infatti Gesù dice: “vado a prepararvi un
posto, affinchè dove Io sono siate anche voi, affinchè possiate vedere la Mia
Gloria”.
Ecco: il vedere Dio è condizionato dal luogo.
Lui va a prepararci un luogo “affinchè dove
(luogo) Io sono” (dove cioè Lui riceve l’Essere) “possiate essere anche voi, e
vedere”.
Dico, ci fa capire che la visione è
subordinata all’essere in un determinato luogo.
E questo luogo è il Figlio stesso.
Giovanna: Spiritualmente cosa vuol dire “pascolare”?
Luigi: Non sei mai andata al pascolo? vuol dire
condurre a mangiare: dopo che hai mangiato tu, adesso porti a mangiare anche…
Giovanna: Pensavo che volesse dire il dominare i
sentimenti; gli agnelli (animali) come i sentimenti.
Luigi: Dice “miei” agnelli…tutto è di Dio; quindi,
quando tu hai mangiato, diventi adesso capace di nutrire anche tutte quelle
creature che Dio ti presenta; certo, compresi anche tutti i tuoi pensieri e
sentimenti…diventi capace di portare tutto alla Sorgente, alla Fonte, al Cibo,
al Pane.
Vediamo che quando Gli dicono: “licenzia la
gente affinchè vadano a mangiare”, Lui risponde: “date voi da mangiare a loro”;
ora “voi” chi?
Voi che siete vicino a Me.
Cioè: più si è vicino a Dio, più è possibile
dare da mangiare.
Si può dare da mangiare nella misura in cui
si mangia; e si mangia nella misura in cui si è vicini a Dio.
Franca: Ritorna a Simone per fargli rifare i passi?
Luigi: Si capisce.
Franca: Gli aveva già cambiato il nome…
Luigi: Eh, i cambiamenti che fa il Signore sono
delle promesse, che sono condizionate dalla nostra adesione; e se io, anziché
pensare a Lui, penso a me stesso, quel nome lì non funziona mica!
Tutte le cose che Dio ci promette
rappresentano un patto di alleanza con l’uomo.
Per cui: “ti do questo se…”; ecco c’è sempre
un “se”: perché si tratta di un’alleanza, di un patto.
Franca: San Paolo parla di “parola affilata come
spada”; ora, questo “tagliare” della Parola, è già anche un “nutrire”?
Luigi: Il nutrimento è assimilazione, quindi è
“capire”: e tu non puoi capire se non diventi “pura di cuore”…perché si può
assimilare qualcosa solo in quanto quella cosa lì è stata messa al di sopra di
tutto.
Allora, la Parola di Dio “taglia” nel senso
che non accetta compromessi: Essa ti nutre proprio in quanto ti impegna in una cosa sola, messa al di
sopra di tutto: “una cosa sola è necessaria”.
Ecco, perché noi, nel compromesso, ci
debilitiamo, ci impoveriamo.
La nostra ànima è fame di Dio, è capacità
dell’assoluto; ma questa capacità può subire deterioramenti: a causa di amori
diversi, a causa di molteplicità di amori…ecco ciò che fa ammalare la nostra
ànima.
Nel pensiero del nostro io, noi riteniamo di
potenziarci moltiplicando gli amori, ma in realtà, in questo modo, ci
esauriamo.
L’unico modo per arricchirci veramente, è
quello di semplificare la nostra vita, e la si semplifica unificandola in
un’unica cosa.
Ci arricchiamo se amiamo, ma amare vuol dire
porre una cosa al di sopra di tutto, ragion per cui, moltiplicando gli amori,
si perde la capacità di amare, perché lì, nella creatura, comincia a funzionare
la stanchezza, a motivo della quale non
si è più in grado di rispondere all’amore: allora uno si diverte, ha bisogno di
divertirsi, cioè ha bisogno di passare da una cosa all’altra, da un interesse
all’altro….appunto perché si stanca: non riesce a sostare.
Franca: A sostare con uno solo.
Luigi: Ecco: si stanca; per cui ha continuamente
bisogno di cambiare, di variare, di “altro”.
È già conseguenza
dell’inquinamento.
Cioè, più si tralascia l’Amore in cambio di
“tanti amori”, più si diventa schiavi di essi…più, cioè, se ne ha bisogno.
Come dico, trascurando Dio, il nostro io
moltiplica gli amori, ma più lo fa, più si indebolisce…diventa progressivamente
incapace di nutrirsi: anche nel campo dei segni, la persona ammalata non ha la
forza di nutrirsi; è una faccenda esponenziale: meno ci si nutre, più si
decade.
Il fatto è che noi moltiplichiamo gli amori
in quanto riteniamo che ciò sia per noi un bene; ma la Parola di Dio che giunge
a noi seleziona: “questo no, questo no…quello sì!”.
Poiché noi ci giustifichiamo: “ho i buoi, i
campi”, la Parola interviene e dice: “no, non sei giustificato; vieni e segui Me”.
La Parola propone quella nettezza lì.
Stamattina si diceva: “ma allora gli altri,
ma allora si diventa egoìsti”; ma la Parola Divina dice: “non preoccuparti,
agli altri ci penso Io, tu segui Me”.
La Parola di Dio ha questa nettezza, ed è
indispensabile, perché sotto la copertura degli “altri”, noi nascondiamo il
nostro io, tutto lì.
Franca: E “la Parola, che separa l’anima dallo
Spirito”…lo Spirito sarebbe il nostro io?
Luigi: Per “spirito” si deve intendere
l’intenzione, la finalità; l’anima è la passione di assoluto.
Per cui: “sei stato creato per questo, non
pasticciare”; Dio non fa dei complimenti…perché noi tendiamo sempre a metterci
delle vernici, l’ideale, l’umanità, i diritti, e crediamo di giustificarci con
le nostre etichette; ma la Parola di Dio non ci fa sconti, non ci concede
àlibi.
Gli uomini magari restano ingannati: ”ah,
quello lì fa una cosa buona”, ma la Parola di Dio no!
Per questo non bisogna cullarsi nelle parole
degli uomini, ma sempre bisogna misurarsi sulla Parola di Dio: solo così,
evitiamo di restare ingannati.
Ingannati da noi stessi, sostanzialmente,
appunto perché, essendo Verità, la Parola di Dio non mi concede sotterfugi; le
parole degli uomini me li concedono, e io li posso ingannare (e posso farmi
ingannare); quindi, gli uomini mi possono giustificare, Dio no!
Bisogna dunque misurarsi con la Sua Parola,
perché è proprio Essa che mi giustificherà o mi condannerà.
Noi non potremo dire: “ma Signore, gli uomini
che mi avevi messo attorno mi parlavano così”; no, “perché tu sapevi come parlo
Io, e dunque dovevi misurati con il Mio parlare”.
Quindi, noi siamo responsabili di fronte alla
Parola di Dio, di fronte alle Sue esigenze.
Silvana: Questi agnelli e pecore: è per dire che più
ci purifichiamo nell’amore di Dio, più siamo fatti capaci di nutrirci in
profondità?
Luigi: Certo; il problema del mangiare è un
problema di segni, per insegnarci quello che dobbiamo fare spiritualmente, cioè
assimilare, quindi “capire”: chi capisce ha la possibilità di illuminare,
nutrire; perché gli uomini muoiono di fame in quanto non trovano il pane; come
dice il Profeta: “i figli muoiono di fame perché non c’è nessuno che spezzi
loro il pane”.
Ecco, i figli supplicano il pane, ma nessuno
gliene dà.
Ecco, solo colui che ha mangiato presso Dio
può spezzare il pane; in caso contrario, il pane diviene immangiabile.
Chi lo ha già mangiato ha la possibilità di
spezzare il pane a livello del figlio, della “pecora”.
Ecco: non puoi dare un arrosto ad un
ammalato, gli dai il brodino; tutto è segno: il mangiare va adeguato alla
capacità di assimilazione della creatura; ma solo Colui che scende dall’alto,
da Dio, può vedere questa capacità.
Pinuccia: Simone di Giovanni è il nome di Pietro nel
suo io.
Luigi: È il
nome che gli aveva dato Giovanni.
Lo riconosce cioè come figlio di suo padre:
non era ancòra figlio di Dio.
Pinuccia: Mi fa pensare a Davide, quando Dio gli dice:
“eri un pastorello, Io ti ho condotto”; affinchè non avesse a vantarsi di ciò
che era diventato.
Luigi: Era andato a cercare delle mule, ha trovato
un Re; evidentemente non è stato certo merito suo!
Pinuccia: Questa distinzione tra agnelli e pecore…
Luigi: Beh, Agnelli è quello della Fiat.
Gli disse per
la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato
che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: «Signore,
tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle.
Gv 21 Vs 17
Titolo: La natura del
perdono.
Argomenti:
13/ Gennaio /1989
Luigi: Tre sono stati i rinnegamenti di quella
notte, e qui sono tre le richieste d’amore.
Teresa: Questo “Tu sai tutto di me”, non è soltanto
un: “Tu conosci gli eventi”.
Luigi: Significa: “Tu mi hai conosciuto, quella
notte”; perché poche ore prima Pietro aveva detto: “se anche tutti Ti
tradissero, io mai”, e poco spergiurava di non averLo mai visto.
Ecco, significa: “Tu sai bene cosa è successo
quella notte”.
Delfina: Pietro si rattrista perché crede che Gesù
dubiti del suo amore.
Luigi: Certo: eh, tre volte allora, tre volte
adesso…da parte di Dio è per far prendere coscienza; lì per lì non si è mica
reso conto, ma la terza volta scatta il collegamento, e allora si rattrista,
perché capisce che gli sta richiamando il: “prima che il gallo canti, Mi avrai
tradito 3 volte”.
È proprio il “tre”, che lo
blocca.
Si accorge che il suo Maestro sta pensando a
quella notte là, per cui: “Tu lo sai, Tu sai tutto”.
In un primo tempo pensava di riuscire a
cavarsela (sì, sì, io Ti amo”), ma poi Gesù insiste, e
allora Pietro capisce a cosa si sta riferendo, per cui: “Signore, Tu mi
conosci”.
Fabio: Il moltiplicare gli interessi significa che
non c’è interesse per Dio?
Luigi: Se tu ami Cris, ma continui ad amare anche tanti altri, significa che non
hai amore per Cris; amare vuol dire porre qualcuno al di sopra di tutto…e tutto
il resto viene dopo.
Ora, tutto è segno, dunque lo sono anche i rapporti d’amore tra le creature, per cui
un giorno il Signore ci dirà: “tu sei stata capace di amare una creatura, e non
sei stata capace di amare Me?”.
Allora salta fuori il nostro io: io amavo la
creatura in quanto di mezzo c’era il mio io che trovava una certa
soddisfazione.
Ma come dico, anche lì il Signore ci fa
capire come si ama, cosa significhi “amare”.
Allora non dire: “Signore, io Ti amo con
tutto il cuore”; non si tratta di dire delle parole; a un certo punto Lui ti
ripete tre volte “mi ami tu?”, finché non ti ritrovi in quella notte là…e
allora inizi a tremare: “ah, io credevo di amare, ma…”: dico, si ripresenta il
quadro del tradimento.
Ecco, amare vuol dire porre qualcosa al di
sopra di tutto il resto: al posto di padre e madre, della carriera, della
figura…se non è così, non si tratta di amore.
Tutto è segno del fatto che la condizione per
giungere a conoscere Dio è quella di metterLo al di sopra di tutto: “beati i
puri di cuore, perché essi vedranno Dio”.
E la purezza di cuore è l’unicità, la
semplicità: l’avere un amore unico.
Se “puro” è colui che ha un amore unico,
“inquinato” è chi ha diversi amori.
Giovanna: Gesù aveva già perdonato Pietro, infatti gli
era apparso dopo la Resurrezione…
Luigi: Ma si capisce, Dio non ha nessuna
difficoltà, a perdonarci: il problema è che, invece, noi abbiamo tanta
difficoltà, a farlo!
Il rischio di dannarci non è mica dato da Dio
che non ci perdona, ma dal nostro io che non ci perdona!
Ecco perché è assolutamente indispensabile
morire a noi stessi
perché se non lo facciamo, il nostro stesso io ci danna.
Cioè, c’è sì un peccato che non può essere
perdonato, ma non è “Dio che non perdona”, bensì: “il nostro io che non ci
perdona”.
Può verificarsi questa situazione di
impossibilità: né di qui, né di là.
Giovanna: Vuol dire che Pietro portava ancòra questo.
Luigi: Evidentemente; e infatti lo chiama
“Simone”…”Simone”, proprio questo io che non si perdona, che non perdona sé
stesso…lui che voleva il primo di tutti quanti, non si perdona di aver tradito
il suo Maestro.
Giovanna: Quindi queste domande di Gesù sono ancora un
atto di misericordia.
Luigi: Certo, Dio vuole condurre Pietro a ricevere
il perdono; il problema è che, quando siamo ripiegati sul pensiero di noi
stessi, non ci è sufficiente sentire che l'altro ci perdona…restiamo incapaci a
ricevere il perdono.
Dice Gesù: “quando entrate in una casa,
augurate la pace; se c’è lì un figlio degno di essa, la pace scenderà su di
lui, se non tornerà a voi”.
Ecco: “tu augura la pace”; e però, può non
bastare: non è detto che l’altro sia in grado di riceverla; dico: non basta che
Dio ti perdoni, bisogna che tu, il Suo perdono, lo possa ricevere; ti fa capire
che può verificarsi la “non capacità di ricevere il perdono”.
È essenziale superare il
pensiero del nostro io…nel pensiero dell’io siamo impossibilitati a ricevere il
perdono, la pace.
E questo in quanto il pensiero del nostro io
vuole essere prima di tutto, vuole essere il preferito, perfetto…poi, proprio
questo pensiero dell’io ti conduce, naturalmente, al tradimento, al fallimento:
e allora succede che non ti perdoni più.
Ma anche questo è ancora sempre una
proiezione dell’orgoglio precedente; è proprio questo orgoglio, a costringerti
a non ricevere il perdono.
Perché uno vorrebbe aver realizzato la cosa,
e invece…”ho mancato!”: finita!
Franca: Quando uno capisce deve dire: “sì, l’ho
fatta grossa”.
Luigi: Ma finché dici così è segno che sei nel
pensiero dell’io, e allora stai fresca.
Franca: E per non essere nell’io cosa devo dire?
Luigi: Che l’hai fatta piccola!
Pinuccia: Pietro, quando ha tradito, ha poi pianto:
non era sufficiente?
Luigi: Eh, hai voglia.
Pinuccia: Ma allora cosa ci vuole?
Luigi: Ci vuole il superamento dell’io.
Franca: Ma cosa ci vuole, per superarlo?
Luigi: Quante volte si piange, nel pensiero
dell’io: ma non è sufficiente.
Pinuccia: Ma se il nostro io non ci perdona è perché
dubita del perdono di Dio.
Luigi: Niente di tutto questo: è che tu volevi
essere in un certo modo, e non ci sei riuscita…per cui non ti perdoni più.
È il tuo orgoglio, che non ti
perdona.
E se non superi te stessa, c’è niente da
fare: preferisci andare all’inferno, piuttosto che ricevere il perdono di Dio.
Teresa: Pietro doveva accettare da Dio anche il suo
tradimento.
Luigi: Ah, in questo caso avrebbe superato il
pensiero dell’io; perché il problema è che il pensiero dell’io non si perdona
in quanto dice: “la cosa l’ho fatta io”.
Teresa: Perché qui ci sono tre volte, come quella notte…
Luigi: Certo, proprio chiedendogli tre volte gli
ripresenta…per cui Pietro si specchia, prende coscienza.
L’essenziale è questo: bisogna superare l’io,
se no siamo in quel peccato che non può essere perdonato; non perché Dio non
perdoni, ma perché lì l’io non accetta quel perdono.
Preferire magari che Dio mi punisse, che mi
facesse fare dei sacrifici…ma il perdono gratuito, nel pensiero dell’io, non lo
accetto!
Se invece superi te stessa, e metti Dio al di
sopra di tutto, allora la cosa cambia completamente.
Pinuccia: Perché lì si vede Dio operatore di tutto.
Luigi: Certo.
Giovanna: Ecco, solo se pongo Dio sopra tutto, ne
accetto il perdono.
Luigi: Sì, perché noi possiamo accettare il perdono
di Dio soltanto per mezzo di Dio, ma da soli non lo possiamo accettare: fa
intuire come possa esserci l’inferno.
Franca: “Pietro si rattristò”: anche la tristezza
testimonia di essere nell’io.
Luigi: Tutte le parole del Signore rappresentano un
patto di alleanza; quindi, da parte Sua, Lui ti promette tutto: ti promette la
Vergine, la perfezione della Madonna; Lui vuole questo: ma si tratta di
un’alleanza.
Pinuccia: Siamo perdonati solo nella misura in cui
sappiamo dimenticarci, per immergerci nella Parola di Dio.
Luigi: Certo, nella misura in cui guardiamo Dio, se
no proprio non sappiamo ricevere il perdono, e allora restiamo offesi se
qualcuno ci perdona.
Pinuccia: Se essere perdonati è già un super dono, la
capacità di ricevere questo perdono è un super super perdono.
Luigi: Super al quadrato.
In verità, in
verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da
solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un
altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Gv 21 Vs 18
Titolo: La vecchiaia.
Argomenti:
20/ Gennaio /1989
Luigi: Non si tratta di leggere “mi ami tu più di
questi?” come se fosse una Sua richiesta…Lui dice: “mi ami più di questi?”;
capisci?
Silvana: Quasi un’ironìa.
Luigi: Ecco, perché Lui aveva affermato che lo
amava più di tutti…di solito invece si legge come se Lui chiedesse proprio a
Pietro se Lo ama.
Franca: Nel campo dei segni capisco che, quando si è
giovani, si fa alto e basso come si vuole mentre quando si è vecchi no, ma…
Luigi: E c’è, come in tutte le cose, un significato
spirituale; se Dio ha fatto la giovinezza e la vecchiaia, c’è un esatto
significato, per lo spirito.
Franca: Giovinezza spirituale e vecchiaia
spirituale: cosa sono? Nello Spirito la vecchiaia non dovrebbe esserci…
Luigi: Ma l’hai letto stamattina, o ieri: “quando
una cosa inizia ad invecchiare, è prossima a sparire”.
Evidentemente il momento in cui qualcosa
sparisce ci deve essere, perché se no qui saremmo troppi!
Franca: Ma nello spirito…
Pinuccia: Nel pensiero dell’io si è vecchi.
Luigi: Il nostro io fa vecchie tutte le cose; ed è
necessario, che tutte le cose invecchino, perché il nostro io deve sparire.
Franca: È
necessario che i segni esteriori invecchino.
Luigi: Tutto passa, i segni esteriori si svuotano
di significato: infatti, a un certo momento, nessuna cosa ti dice più niente!
Quando sei giovane tutto canta, tutto ti
batte le mani: quando sei vecchia, tutti ti voltano le spalle!
Tutto deve passare, affinchè si manifesti
l’essenziale, appunto perché, senza “essenziale”, tutto di noi muore.
La nostra vita è nascosta in Dio, ragion per
cui, a un certo punto, questo “nascosto” deve saltar fuori…ed ogni altra vita
deve dunque sparire; a un certo momento ti viene un magone da morire, perché
davanti a te tutto crolla, e non riesci
a tenerlo su.
Ecco, tutta la tua fatica per tenere su le
cose è destinata a concludersi nel fallimento: inesorabilmente tutto crolla e questo perché si deve
evidenziare ciò che vale veramente.
Capiamo allora che, finché non ci impegniamo
in quello che veramente vale, siamo condannati ad assistere al nostro
fallimento: non si scappa!
Delfina: Mi sembra si tratti di un invito a camminare
con Dio finché si è giovani, e poi, quando si è vecchi, ci invita ad accettare
l’umiliazione e la pazienza come purificazione.
Luigi: Tutto ha un significato, anche la vecchiaia:
essa è proprio questa fine di tutte le cose.
È una fine con un significato
profondissimo perché, come dico, c’è un mondo che deve finire per ognuno di
noi.
Dico: deve finire per farti alzare gli occhi
a ciò cui, finora, non hai fatto attenzione.
Giovanna: La vecchiaia è l’anticamera della morte.
Luigi: Quando una cosa inizia ad invecchiare, è
prossima a svanire: non la trovi più.
Un amore, quando non è più nuovo, comincia a
diventare “abitùdine”; “dovere”, è prossimo a scomparire.
È così per tutte le cose: in un
primo tempo ci giungono nuove, poi cominciano a diventare abitudine, “l’ho già
visto”, o dovere: “devo farlo”; ecco, è prossimo a svanire, siamo in piena
vecchiaia.
Giovanna: Ma questo “ti condurranno dove tu non vuoi”…
Luigi: Appunto.
Giovanna: Sono le cose che scadono.
Luigi: Ecco: tu non vorresti mica, che le cose
scadessero: nessuno vuole morire, perché noi siamo fatti per la vita, per la
vita eterna, eppure il momento in cui si muore arriva…siamo lì: “ti conducono
dove tu non vuoi”.
Gli avvenimenti, il tempo che passa: ci conduce
dove noi non vorremmo andare.
Ci fa capire che è un Altro, ad operare nella
nostra vita.
C’è una volontà diversa, che opera dentro di
noi e attorno a noi: le cose non sono in mano nostra.
Quando si è giovani si crede di avere tutto
nelle proprie mani: “io decido, io faccio”; è tutto un’illusione, e arriva
infatti un momento in cui constati che non fai un bel niente: ti ritrovi con le
spalle al muro, steso in un letto…le cose sono in mano a qualcun altro!
Dobbiamo capire tutto questo il prima
possibile, prima che le cose accadano:
“vi parlo queste cose affinchè siate fatti
degni di scamparvi”.
Come si scampa a tutto questo?
Si scampa quando, una volta conosciuta la
volontà di Dio, si comincia a vivere secondo essa: in questo modo tu non
assisti mica alla vecchiaia, perché resti presso Dio, e presso Dio tutto è
giovinezza, tutto è novità.
Giovanna: Lì non c’è questo “ti condurranno dove tu
non vuoi”.
Luigi: Qui parla di
vecchiaia: presso Dio la vecchiaia non esiste.
Siamo noi stessi che, pensando a noi, che ci
creiamo la vecchiaia.
Dicevo ieri sera: ogni volta che diciamo
“io”, ci scaviamo una ruga sulla faccia; ecco, la vecchiaia è data dalle rughe,
le quali sono determinate dal nostro io che parla; poi mettiamo le creme, ma
hai voglia! (ride).
Silvana: Sembra che qui il Signore insegni, dopo
tutte le domande che Gli avevano fatto…
Luigi: È lì,
che bisogna collegare: quello non è un’isola…il parlare del Signore non è mai
“a strappi”, ma è perfettamente collegato, unitario.
Queste parole qui sono collegate con la
pretesa di Pietro, quindi col discorso precedente.
Silvana: Il Signore insegna questo superamento,
questo tèndere le mani, l’essere portati…
Luigi: Cioè, capisci che non sei tu, che puoi
amare; nell’io credi di essere tu, ad amare, ma devi realizzare che l’amore ti
viene da-; tu non puoi permetterti di affermare: “io ti amo più di chiunque
altro…noi siamo creature, e in quanto tali, non siamo certo liberi di amare!
Noi possiamo amare soltanto nella misura in
cui l’amore lo riceviamo.
Se dunque questo amore non lo riceviamo,
siamo solo lì, persone che invocano, e nient’altro.
Franco: Ogni uomo va a realizzare, nella propria
vita, che chi fa tutto è Dio.
Luigi: Sì, ma l’uomo dovrebbe essere intelligente e
capirlo prima che la cosa s’imponga prima che uno lo costringa ad andare dove lui
non vorrebbe.
Dovrebbe capirlo prima, perché sa di essere
in casa d’altri; sa che il Creatore è un Altro; deve dunque imparare a
conoscere quest’Altro, in modo da vivere secondo Lui.
Se no succede che quest’Altro a un certo
momento arriva, e ti toglie l’amministrazione: “amico, cosa fai? le cose sono
Mie”.
La realtà è questa.
Franco: Più si conosce Dio, più Lo si ama.
Luigi: Sì, è l’unico modo; se no diventa
impossibile amarLo….allora si subiscono le conseguenze di questa miseria, di
questa povertà, di questa impotenza ad amare; e il Signore ce lo fa constatare:
“tu che ti credi di amare più di tutti, vedi?”.
È collegato con questo, dopo
che gli ha fatto toccare con mano l’impotenza; a un certo momento Gli dice:
“Signore, Tu lo sai”; prima lui si vantava, poi è tornato al suo posto.
Pinuccia: Dio opera tutto per portarci a capire che è
un Altro che vive in noi e che è Lui che agisce in noi, che ci fa pensare.
Luigi: “Uno solo è il Dio che opera tutto in tutti,
anche il volere e il fare”.
Pinuccia: E a noi chiede solo di capire.
Luigi: Di capire il significato di quello che Lui
ci fa: è l’unico impegno richiesto alla creatura.
Dio non ci chiede di fare, ma di capire
quello che Lui fa; e Lui fa tutto, perché è il Creatore.
Pinuccia: Se non facciamo questo, subiamo gli
avvenimenti, per cui esperimentiamo il: “ti condurranno dove tu non vuoi”.
Luigi: Esatto.
Pinuccia: Se invece maturiamo in questa conoscenza di Dio,
se capiamo che è Lui che fa tutto, che fa fare tutto, lì desideriamo quello che
vuole Dio, ci muoviamo secondo la Sua volontà.
Luigi: Sì, perché la nostra volontà è un effetto di
ciò che conosce: non si può volere qualcosa che non si conosce!
Se conosci, la volontà ne diventa effetto, e
poiché Dio opera tutto per manifestare Sé stesso, lì la tua volontà finisce col
collimare con quella di Dio: fa una volontà sola.
Allora tutte le cose vanno secondo la tua
volontà, che è la stessa di Dio; e poiché, effettivamente, tutto va secondo il
volere di Dio, tutto va anche secondo la tua volontà: perché intendi.
“Il Padre ama il Figlio e Gli manifesta tutto
ciò che fa”: per cui il Figlio intende.
E, intendendo, partecipa e vuole.
Quindi, lì non subisci, non sei
“costretta”…non subisci un’autorità esterna che si impone su di te.
Se invece pensi a te stessa, necessariamente
arriva il momento in cui subisci una volontà esterna a te, diversa dalla tua:
resti costretta a fare quello che un altro vuole su di te.
Solo se conosci Dio la tua volontà non
subisce violenza: appunto perché allora la tua volontà è espressione di
conoscenza.
Se non conosci Dio, la tua volontà è diversa,
e allora vedi la Mercedes…e non puoi non desiderarla, c’è niente da fare: sei
bloccata lì.
Senza Dio, la tua volontà non è altro che
espressione di ciò che vedi: vedi un albero e lo abbracci, non puoi fare in
modo diverso.
Se invece cerchi Dio e arrivi a conoscerLo,
la tua volontà diventa espressione di Dio; e poiché tutto è opera Sua, a questo
punto tutti s’illumina, e tu partecipi di questo: è l’armonìa.
Questo gli
disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato
Dio. E
detto questo aggiunse: «Seguimi».Gv 21 Vs 19
Titolo: La vecchiaia.
Argomenti:
20/ Gennaio /1989
Franca: Superando l’io la nostra volontà va a
collimare con quella di Dio?
Luigi: No, questo avviene solo conoscendoLo.
La tua volontà è espressione di ciò che
conosci, di ciò che hai presente; se non hai la volontà proiettata su qualcosa
di ben determinato, qualsiasi cosa tu veda provoca in te desiderio, muove cioè
la tua volontà.
Lo vediamo infatti nel bambino: il bambino
tende a possedere; vede la luna, cerca di afferrarla…è che noi, nel pensiero
del nostro io, inevitabilmente tendiamo a possedere.
Dio ci ha fatti così, per diventare figli di
quello che Lui ci presenta; ma se noi abbiamo presente Lui e arriviamo a
conoscerLo, ecco che la nostra volontà diviene espressione di Lui.
E siccome tutto è opera della volontà di Dio,
qui acquisiamo la possibilità di intendere e di condividere l’operare di Dio;
appunto perché qui siamo fatti partecipi di quello che vuole Dio.
Qui non vogliamo più in modo diverso da Dio,
perché ne capiamo il disegno.
Abbiamo detto tante volte: quando uno conosce
la Verità, lui stesso la vuole; tu vuoi
altro alla verità in quanto non la conosci; ma allora ti ritrovi, a un certi
momento, nel conflitto: ti accorgi che sei costretta ad agire diversamente da
come vorresti; e già, perché resti contro la volontà di un Altro.
Se invece conosci Colui che fa tutto,
partecipi del Suo disegno: tu stessa vuoi quello che vuole Lui.
Franca: È in
quel senso lì che il Figlio fa cuna cosa sola col Padre.
Luigi: Certo: il Figlio vuole solo ciò che vuole il
Padre; così è di chiunque sia con Dio; ci fosse anche una mamma…prima, qui
sulla terra, una mamma ti consolava, ti comprendeva: Ma adesso che sei con Dio
non ti giustifica più, perché tu vuoi solo ciò che vuole Dio, perché sai che Dio
è il vero bene.
Franca: Lì non si subisce alcuna volontà contraria.
Luigi: Certo, perché c’è l’armonia, la pace: la
pace del Cielo di Dio.
Teresa: Nell’ultima cena Pietro vuole seguire Gesù,
ma non può, perché è nel pensiero dell’io.
Luigi: Eh, lui era convinto di poter andare: vedi
che tutto è collegato?
Teresa: Quindi doveva fare l’esperienza che non
poteva.
Luigi: E già; lui era convinto…per cui il Signore
gli fa toccare con mano che non poteva…dopo che Pietro ha toccato con mano la propria impotenza, allora
il Signore lo invita a seguirlo; perché l’iniziativa
è sempre nelle mani di Dio, e dobbiamo esserne consapevoli. Quando invece
l’iniziativa cade nelle nostre mani, quando cioè affermiamo “io Ti seguirò”, lì
è finita: siamo condannati al fallimento.
Agata: Per poter seguire Gesù bisogna accettare tutto, anche ciò che non ci
fa piacere.
Luigi: Logico, se accettiamo solo ciò che ci piace
affermiamo la nostra volontà.
L’atto fondamentale della giustizia consiste
nell’accettare tutto dalle mani Colui che fa tutto; in realtà è proprio
accettando ciò che non ci piace che veniamo messi in cammino, che veniamo
impegnati.
Se io accetto solo ciò che già conosco non
giungo a vedere cose nuove; se mi impegno con ciò che non mi piace, che non
comprendo, lì si apre la via per le novità;
e con la fatica che la cosa comporta si rafforza la volontà, la mente,
tutto quanto.
Solo lì mi metto in cammino; e solo
camminando posso giungere dove ancòra non sono.