Ma Gesù non si affidava ad essi perché li
conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno li facesse conoscere l’uomo
perché egli stesso sapeva quello che vi era nell’uomo. Gv 2 Vs 23/25
Titolo: Ma Egli non si
affidava a essi.
Argomenti: La morte non è
annullamento ma passaggio. La solitudine. Fraintendere il linguaggio di Dio. Dio non costruisce
il suo tempio sull’io (sabbia) dell’uomo. L’incognita della
morte.
5/dicembre/1976
Introduzione:
argomento della morte.
Luigi:
La volta scorsa non abbiamo detto che la morte non esiste, ma abbiamo detto che
la morte non esiste come annientamento: la morte non esiste in assoluto come
annientamento, ma esiste come passaggio.
Eligio: Penso
che noi a livello fisico lo avvertiamo come annientamento……
Luigi:
Noi a livello fisico lo avvertiamo come annientamento perché noi assolutizziamo
quello che vediamo, quello che sentiamo, cioè quello che è relativo ai nostri sensi.
Cioè noi facciamo assoluto quello che avvertiamo, quello che vediamo, quello
che tocchiamo, quello che è relativo ai nostri sensi e allora per noi la morte
è un annullamento.
Vorrei citare un pensiero
che ho riportato sul Saviglianese che verrà pubblicato la prossima settimana,
in occasione della festa dell’Immacolata, di Padre Ugarin il quale dice che non
esiste la morte, non esiste nemmeno per un istante, non ci sono che due vite,
ed è molto bello bello questo. Padre Ugarin è il Padre spirituale di Charles de
Foucauld e dice che non c’è morte, non esiste la morte nemmeno per un istante.
Pinuccia: È
uno svegliarci allora……
Luigi: E
dice che ci sono solo due vite: soltanto che una noi non la vediamo con i
nostri occhi e l’altra vita noi la vediamo con i nostri occhi: quando c’è il
passaggio dalla vita che noi vediamo con i nostri occhi alla vita che noi non
vediamo con i nostri occhi, noi quello la chiamiamo morte perché non capiamo,
l’altro noi non lo vediamo più, non risponde più, quello per noi è assenza e
noi la chiamiamo morte. Quindi la morte è un passaggio, ora siamo in questa
stanza, lei va nell’altra stanza e noi diciamo: “Cina noi non la vediamo
più” ma perché lei è andata nell’altra stanza. Ora se invece noi abbiamo
presente le due stanze, noi viviamo la morte come un passaggio. Cioè si passa
dalla dimensione sensibile in cui le cose noi le vediamo e tocchiamo, alle
verità spirituale che noi non vediamo perché sono superiori a noi, noi siamo al
di sotto delle cose spirituali. Ecco per cui Gesù non si affidava, (l’argomento
del vangelo di questa sera), le cose dello spirito Dio non le affida all’uomo
fintanto che l’uomo non entra nelle cose dello spirito perché le cose dello
spirito non devono essere sperimentate dall’uomo, ma è l’uomo che si deve
sottomettere all’esperimentazione delle cose dello Spirito e non sottomettere
le cose dello Spirito all’esperimentazione dei suoi sensi, di se stesso. Cioè,
non siamo noi che possiamo esperimentare Dio, ma è Dio che esperimenta noi;
allora, ci sono le cose che noi vediamo, e come abbiamo detto l’altra volta,
che sono le cose che noi esperimentiamo, che possiamo esperimentare e che
dipendono da noi, per cui questo lo vedo, lo tocco, lo sento; per cui per noi
una persona è viva in quanto la vedo, la tocco, se le parlo mi risponde: è viva
perché la esperimento. Ma non tutto ciò che esiste io lo esperimento, esiste
anche quello che io non esperimento perché non sono mica io il centro,
l’assoluto, per cui esiste solo quello che io esperimento. No, esiste anche
tutto un mondo che tu non esperimenti. Allora quando si passa dal mondo che noi
esperimentiamo al mondo che noi non esperimentiamo più, che noi non possiamo
sottomettere ad esperimento, ma siamo noi che dobbiamo sottometterci
all’esperimento di quello, ecco che noi la chiamiamo morte, non c’è più; è un
errore dire che non c’è, ma io non la esperimento più perché non sono più
entrata in quella dimensione lì da poter capire.
Eligio:
Mi pare che questo argomento vada preso con una certa prudenza, perché Gesù stesso
parla di morte, non ha mai parlato di due vite, San Paolo stesso parla della
morte; mi pare che nelle parole di Padre Ugarin ci sia un ottimismo un po’
forzato che toglie anche la drammaticità della morte…
Luigi:
Non esiste la morte; la morte nel senso di annullamento. Sei convinto che non
esiste la morte come annullamento, no? È un passaggio la morte.
Eligio:
Non dimentichiamoci che noi siamo in una realtà che vediamo e sentiamo in un
certo modo e che andiamo verso una realtà, ecco il passaggio, a cui aderiamo
per fede più che per conoscenza o per percezione. La fede ha due facce: una che
guarda la luce e una che è il risvolto drammatico dell’esistenza dove uno si
muove per cui possiamo illuderci con falsi ottimismi.
Luigi: È
vero questo. Ma volesse il Signore che ci fosse questo ottimismo. Bastasse dire
che non esistono che due vite e la morte non c’è, bastasse quello per non farci
più sentire la morte, pensa come sarebbe bello. È che non basta quello, non
basta la conoscenza, il sapere; la verità è questa, noi aderiamo, riteniamo;
sappiamo che dovremmo vivere amando il Signore nostro Dio con tutta la nostra
mente, con tutto il nostro cuore, con tutto noi stessi, lo sappiamo questo, ma
non basta questo, sappiamo che questo è vero, però la realtà è un’altra. Ecco
la tragedia è questa, e Gesù muore proprio per questa nostra tragedia, la
tragedia del peccato che ci rende pesanti le cose della terra per cui noi
subiamo la morte. Gesù stesso dice: “Chi viene dietro di me non proverà la
morte”, parole sue che bisogna tenere presente come bisogna tenere
presente: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”, perché le sue
parole sono assolutamente valide. Però Lui dice: “Chi viene dietro di me non
gusterà, non proverà la morte” e Lui lo ha provato. Però se noi andiamo
dietro di Lui, noi con Lui, perché la morte è uno sprofondamento nella
solitudine.
Eligio:
Lui allude alla morte eterna, alla morte dell’anima.
Pinuccia:
Quella morte Gesù non la ha provata.
Luigi:
Gesù ha detto: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, quindi ha
pronunciato questa frase di abbandono. Lui quello l’ha detto, perché tutto
quello che Lui ha detto lo ha detto per noi. quindi Lui l’ha detto in quanto
noi, in conseguenza del peccato veniamo a trovarci in questa situazione di abbandono;
allora Lui per associarsi a questa nostra situazione di abbandono, in modo che
noi potessimo trovare, perché tutto il problema dell’incarnazione è quello di
scendere sul piano nostro, per dare a noi la possibilità di fare un confronto,
di trovare Lui nella nostra situazione. Perché soltanto trovando un altro nella
mia stessa situazione io posso far leva su di Lui; fintanto che l’altro non è
nella mia stessa situazione io posso dire: “Eh già, ma se tu fossi nella mia
situazione, agirebbe in modo molto diverso…”, ora fintanto che io non vedo
l’altro nella mia situazione non posso far leva. Ora se la mia situazione è una
situazione di disperazione, io posso ricevere conforto, aiuto, sollievo,
soltanto da uno che si trova nella mia stessa situazione; perché due cose
uguali si uniscono, non possono non unirsi, sia ben chiaro, perché la forza
d’amore è più forte della nostra disperazione. Perché la disperazione è
solitudine, ma in quanto io trovo un altro disperato come me, quello mi unisce,
non sono più disperato.
Pinuccia:
Perché l’unione distrugge la disperazione…
Luigi:
Eh, già. Poi c’è questo: l’unione è un legame che scatta anche se io non lo
voglio, non posso non unirmi a quell’altro che è disperato come me; perché due
cose uguali, necessariamente si fondono in una.
Per questo che il Verbo si
è fatto carne, perché la nostra carne, profondamente è solitudine; noi infatti
in conseguenza del nostro peccato, del nostro male, (il peccato è isolamento, è
distacco da Dio), in quanto il peccato è isolamento, noi veniamo a trovarci da
soli, infatti nei veri problemi noi siamo sempre soli, nei veri problemi siamo
sempre soli.
Ma perché c’è questa
solitudine? C’è questa solitudine perché noi siamo staccati da Dio e non c’è
nessuna creatura con la quale noi possiamo condividere i nostri veri problemi
perché il peccato, il distacco da Dio è solitudine. E questa solitudine da Dio
ci porta anche alla solitudine con tutte le creature, anche se le creature le
abbracciamo sia chiaro, anche se le vediamo, le tocchiamo, noi siamo soli. Nei
veri nostri problemi, ognuno di noi, quando Dio ti salva Dio, ci viene a
portare i suoi problemi, ognuno è sempre solo, ed è questa solitudine che ci fa
morire. Ora il Verbo di Dio, incarnandosi, ha preso su di sé il nostro peccato:
non siamo più soli.
Pinuccia:
Basta conoscerlo..
Luigi:
Sì, basta conoscerlo, finché uno non lo conosce, o quando lo conoscerà, in
quanto c’è, c’è sulla strada; se io devo percorrere la strada da Fossano a
Torino e certamente in un punto di questa strada c’è Lui, non so dove, ma in un
punto c’è, perché la strada è unica, deve partire dal nostro mondo. Quindi in
un punto c’è; certo che fintanto che non sono arrivata a quel punto lì, io
provo la solitudine, però ad un certo momento trovo uno che è uguale a me. Vedi,
Lui è sceso in tutte le gamme…. Non si tratta di sdrammatizzare.
Eligio:
Sì soprattutto non bisogna creare dei falsi ottimismi……
Luigi:
No, adesso si tratta di vedere se la realtà sono queste due vite, oppure se la
realtà è questa vita che muore e che è annullamento. Ora, se noi crediamo in
Dio, cioè se noi crediamo che esista un mondo non soggetto alla nostra
sperimentazione, non sotto di noi, quindi necessariamente dobbiamo ammettere
queste due vite qui; il punto di passaggio da una vita all’altra, agli occhi
nostri appare morte.
Eligio:
Non è detto che necessariamente dobbiamo fare questo passaggio perché Gesù dice
che alcuni già prima di morire conosceranno quella vita…….
Luigi:
No, questo passaggio qui è necessario, ma non è la morte fisica ma è la morte a
noi stessi, la morte al nostro io che è necessaria, la morte fisica è una
significazione. Tutto quello che avviene nel nostro mondo fisico è tutto segno,
è tutto significato di fatti spirituali. Ora le cose dello spirito non
avvengono senza la nostra partecipazione, per cui noi abbiamo bisogno di essere
educati a queste cose dello spirito affinché queste avvengano, affinché noi ne
prendiamo coscienza. Per cui nel nostro mondo fisico c’è la morte, cioè ad un
certo momento l’essere si stacca da, la morte è un distacco da tutto. C'è
questa morte che è significazione di quella morte che non può avvenire senza di
noi; quindi la morte nel nostro mondo fisico avviene senza di noi, tutti noi
non vorremmo morire eppure moriamo; come il tempo che passa, noi vorremmo che
il tempo non passasse, invece il tempo passa e anche se noi cerchiamo di
resistere il tempo passa ugualmente, non possiamo fermare l’orologio; la
vecchiaia viene anche se non la vogliamo e la morte viene, anche se noi non la
vogliamo. Quindi qui abbiamo una realtà che si impone nonostante noi, ma questa
è educatrice soltanto e significa dei fatti che invece non avvengono senza di
noi. La morte al nostro io non avviene senza di noi, se noi non la vogliamo;
ecco per cui è necessaria quella morte là per significare questa morte che noi
dobbiamo volere, cioè questo superamento del nostro io, questo passaggio. Per
cui si parla di passaggio, infatti la morte fisica è una Pasqua; ci sono quante
espressioni di santi della chiesa che dicono che attraverso le sue ferite ci ha
aperto il cielo: le sue ferite sono diventate le porte. Passaggio, Pasqua,
passaggio da che cosa? Dal mondo che si vede al mondo che non si vede, la
resurrezione, le due vite. Certamente abbiamo tutto un mondo esperimentabile e
quindi anche la morte che noi sperimentiamo, che però non è valida in sé e per
sé, ma vale in quanto è significazione di qualcos’altro che noi dobbiamo
volere, dobbiamo intendere e dobbiamo volere. Abbiamo visto che Gesù dice: “Distruggete
questo tempio e io lo ricostruirò in tre giorni…ma Lui intendeva il tempio del
suo corpo”, mentre gli altri intendevano il tempio fisico. Però quello che
gli altri avevano presente materialmente era il tempio costruito di pietre, di
marmi. E Gesù dice: “Distruggete questo….” e dicendo questo intende
vicino all’uno e all’altro. Eppure abbiamo visto che se l’uomo si ferma
soltanto alla significazione materiale delle parole di Gesù resta in colpa,
perché noi troveremo un giorno Gesù che ci dirà: “Ma io quando ti dicevo
quello intendevo altro”. Allora se noi intendiamo altro, scatta in noi la
domanda: “Perché io non ho inteso?”. Perché quel tempio che tu avevi
davanti agli occhi, già quello era significato di altro e quindi le parole che
io ti dicevo le dovevi intendere con il mio spirito non con quello che tu
vedevi con i tuoi occhi o toccavi con le tue mani. Fintanto che noi
interpretiamo le cose secondo i nostri occhi, secondo quello che noi tocchiamo
con le nostre mani, sentiamo con i nostri sensi, noi interpretiamo i segni, le parole,
le opere di Dio, anche il tempio come è opera di Dio, noi le interpretiamo nel
pensiero del nostro io. Tutte le parole vanno intese nello spirito di colui che
parla, io non debbo quando una persona parla a me, prendere quelle parole e
intendere secondo quello che io ho in testa, io fraintendo allora il linguaggio
dell’altro, io debbo cercare invece quello che l’altro mi vuol dire, debbo
entrare nella mente dell’altro, debbo cercare delle spiegazioni per cercare di
capire che cosa l’altro intende, ma debbo arrivare all’intenzione dell’altro.
Quindi tutti i segni di un essere vanno intesi secondo quell’essere, secondo lo
Spirito di quell’essere, ecco per cui dico che le parole vanno sempre ascoltate
alla presenza di Dio, le parole di Dio vanno sempre mantenute unite a Dio, non
staccate da Dio, altrimenti noi le rivestiamo dei nostri abiti, della nostra
mentalità, travisiamo la cosa e allora restiamo in colpa, scatta la colpa, la
colpa sta lì, perché tu hai interpretato la cosa nel pensiero del tuo io, mentre
la dovevi interpretare le pensiero di Dio, non eri tu Dio, quello che parlava
con te era un Altro, certamente quello che parla con te è un Altro, perché
tutte le cose non sono fatte da me; in quanto non sono fatte da me, la più
piccola cosa di questo mondo mi testimonia che non sono io che la faccio, se
non sono io che la faccio non sono io che parlo, è un Altro che parla a me e se
è un Altro io devo intendere la cosa nello spirito di quell’Altro, non nel mio
spirito, altrimenti faccio peccato, il peccato è autonomia, quindi questa
intelligenza nel pensiero del mio io, questo fraintendere. Per cui abbiamo
questa frase di Gesù che dice: “Gesù non si affidava a loro”, adesso
possiamo intendere cosa significa quell’affidarsi; quell’affidarsi significa
che non si faceva conoscere. Perché Gesù non parlava chiaro? Perché Gesù non si
faceva conoscere perché sapeva quello che c'è nell’uomo. Ora fintanto che
nell’uomo non c'è questa morte al suo io, non c'è questa rinascita da Dio, Gesù
non si affida, Gesù non parla chiaro.
C'è un episodio in San Luca
che è proprio abbinato alla distruzione del tempio; però mentre qui i farisei
gli chiedono: “Quale segno ci mostri per agire in questo modo?”, invece
proprio nella cacciata del tempio secondo San Luca, i farisei chiedono a Gesù: “Con
quale autorità fai queste cose?”. Al termine del capitolo XIX c'è la
cacciata: “Gesù prese a cacciare i venditori dal tempio…”, subito dopo
dice: “Avvenne che mentre insegnava al popolo nel tempio, i sommi sacerdoti,
gli scribi e gli anziani rivolgendosi a Lui gli dissero: con quale autorità fai
ciò?”. Molto probabilmente questo fai ciò significa la cacciata dei
venditori dal tempio; o “Chi ti ha dato questa autorità?”. San Giovanni:
è più profondo, e dice: “Gesù non si affidava a loro”. Qui dice invece
che Gesù rispose loro: “Anch’io vi domando una cosa, rispondetemi, il
battesimo di Giovanni era dal cielo o dagli uomini? Essi facevano tra loro
questa riflessione, se diciamo dal cielo egli dirà perché allora non gli avete
creduto? Se diciamo dagli uomini il popolo intero ci lapiderà perché è convinto
che Giovanni sia un profeta. Essi risposero che non sapevano di dove fosse.
Gesù disse loro: “Nemmeno io vi dico con quale autorità faccio queste cose”.
Gesù non si affidava, “Nemmeno io vi dico”. Vedi che c'è un parallelo
con quell’altro vangelo? Gesù non si affidava a loro. Questo affidarsi vuol
dire che Gesù non diceva a loro.
C'è ancora quell’altro
passo in cui Gesù, concludendo, ed è una parabola, dice: “Chi si fiderà a
dare a voi il vero, il giusto, se non siete fedeli nel poco, o nell’ingiusto?”.
Cioè se noi non siamo giusti, se noi non siamo fedeli nelle parole che arrivano
a noi e che sono di un altro, chi si fiderà a dare a voi la verità, il vero, il
giusto, chi si fiderà a darlo? Quindi non viene dato; ecco perché Gesù non
parla la verità. Non so se ho reso l’idea. È chiaro?
Quindi c'è una ragione per
cui Gesù non parla la verità; per cui Lui parla per accecarci, per farci
toccare con mano che quello che vediamo non è vero. Parla per accecarci, in
modo che ciechi abbiamo poi ad elemosinare la luce, allora Lui poi dopo aprirà
la luce perché allora lì noi siamo stati fedeli nel poco, se invece noi non
siamo stati fedeli in questo poco qui non avrà la luce. Infatti Gesù dice: “Chi
si fiderà a dare a voi il molto?”, il molto che è la verità.
Allora ecco che abbiamo la
corrispondenza con questo passo parallelo: “Gesù non si affidava a loro
perché sapeva quello che c'era dentro di loro…” e fintanto che nell’uomo
c'è il pensiero dell’io al centro anche se grida al miracolo, anche se lo vuole
proclamare re, anche se si esalta davanti a Gesù, Gesù o piange o comunque non
si affida.
Qui c'è poi il trait
d’union che ci collega con l'episodio di Nicodemo in cui Gesù parla della
necessità di rinascere da Dio per vedere il Regno di Dio, la nascita nuova.
Quindi il non intendere le
opere di Dio o le parole di Dio secondo lo spirito di Dio è colpa perché è
attribuire a noi, quindi rivestirle del pensiero del nostro io, quindi è colpa.
Gesù non parla chiaro,
parla in parabole, perché non si affida…..
Ecco, l’opera di Dio, il
parlare di Dio è una costruzione, è un edificio, Lui costruisce il tempio, la
casa in cui abiterà, è Lui che la costruisce; però fintanto che noi siamo
sabbia, Lui non può costruire sulla sabbia perché sa che la casa crollerà,
quindi fintanto che noi siamo sabbia Gesù non si affida a costruire.
Ora, fintanto che noi non
nasciamo da Dio, noi siamo sempre sabbia perché tutte le nostre scelte, i
nostri sentimenti, la nostra fede, tutti i nostri propositi sono costruiti sul
pensiero dell'io quindi è sabbia, perché da un momento all’altro tutte le cose
possono saltare in aria, possono cambiare. È sufficiente che cambi qualcosa
per…..
Pietro che dice: “Io
sarò con te fino alla morte” è sabbia; e Gesù non si fida e gli dice:
“Questa notte tutto sarà cambiato per te, tu addirittura rifiuterai di
conoscermi”, vedi la sabbia? Gesù non si fida.
Ora fintanto che noi, la
nostra anima, sono un terreno sabbioso, Gesù non si fida, Gesù non costruisce;
è necessario che in noi si formi un terreno sano, che si formi la pietra. Ma la
pietra è Lui, la roccia è Lui.
Ora, cosa vuol dire questa
pietra? Vuol dire uscire dal pensiero dell'io, intendere le cose in Dio,
nascere da Dio; allora qui abbiamo la roccia su cui può costruire la casa,
l’edificio che non crolla: terreno stabile. “Le mie parole non passeranno,
passeranno i cieli e la terra…”, ora fintanto che noi siamo sotto questo
cielo e questa terra che sono destinati a passare, noi siamo sabbia. Soltanto
se noi abbiamo messo a fondamento di noi stessi, del nostro intendere, le
parole di Dio allora “I cieli e la terra passeranno ma le mie parole non
passeranno”, allora abbiamo quel terreno stabile, la roccia su cui Lui può
edificare: qui si edifica.
Eligio:
Sì, siamo andati fuori come argomento.
Luigi:
Siamo partiti dalla morte come significato.
Eligio:
Una cosa che non mi è chiara è questa: noi uccidiamo spiritualmente una persona
quando la trascuriamo ed è in questo modo che uccidiamo il Cristo dentro di
noi.
Però, forse per la nostra
superficialità, siamo in difficoltà ad equiparare la morte spirituale con la
morte fisica, cioè per noi è molto più grave uccidere fisicamente una persona
che ucciderla spiritualmente.
Luigi: Direi
che proprio la morte fisica, la morte fisica del Cristo, è avvenuta per
rivelarci quella morte spirituale che si opera in noi quando non teniamo conto
di Dio.
Per cui quella morte
spirituale è vera e reale, mentre la morte fisica del Cristo, è simbolica di
una realtà. Non è che lo spirito è segno di questa realtà fisica ma è il fisico
che è segno di quella realtà spirituale.
Eligio:
Per noi morte è distacco, è scomparire; quindi la morte spirituale è una
scomparsa che non avviene perché dopo un ravvedimento sincero troviamo
spiritualmente la persona che abbiamo ucciso, ecco perché rimane molto
difficile parlare di morte.
Luigi:
Perché c'è la risurrezione e guai se non ci fosse la risurrezione, guai se non
ci fosse questo recupero, e questa è tutta opera di Dio.
Eligio:
C'è una morte e una risurrezione continua, si ripetono incessantemente nella
vita dell’uomo, quindi non ci fa più effetto questa morte del Cristo.
Luigi:
Penso che a noi non faccia più effetto questa morte perché noi siamo sempre
molto lontani dal ritenere grave quello che avviene soltanto nel pensiero.
Eligio:
Sì non dico che questo non sia colpa.
Luigi:
Gesù dice: “Se tu desideri una donna, è già avvenuto per te il peccato”
per noi invece è stato “soltanto” un desiderio, il pensiero. Per noi se c'è una
cosa leggera è il pensare, per Gesù il pensare è di una realtà profondissima: è
la realtà.
Per l’Altro, quello che
avviene nel mondo materiale, fisico, corporeo è un’appendice rispetto alla
spirito che è la realtà. Noi invece siamo abituati a trascurare quello che
avviene nel pensiero, non ci preoccupiamo nemmeno di imparare a pensare, per
noi è una cosa leggera, mentre quello che importa molto è la realtà, la figura,
appunto perché siamo talmente frustati sotto questo piano materiale, per noi è
talmente pesante questo piano materiale.
Sant’Agostino dice che il
vero nostro peso è il nostro amore; il nostro peso è il nostro amore, per cui
se io amo la materia, la materia diventa per me molto pesante perché mi attrae.
Se io amo molto lo spirito,
ecco che questo amore qui mi attrae e allora cosa succede?
Che attratto dallo spirito,
la materia diventa molto leggera, non pesa più.
Non è che la materia sia
pesante di per sé, sia fastidiosa, siamo nel manicheismo, non è vero?
È il nostro amore che crea
pesanti le cose. Ora, se noi amassimo tanto lo spirito, amando tanto lo
spirito, noi diremmo: “Io sono più convinto dell’esistenza di Dio che
dell’esistenza di me stesso”.
Questa verità, avendola
tanto amata, l’ha talmente attratto per cui è più pesante lo spirito che tutto
quello che comporta il fisico. Allora i pesi non è che siamo di per sé; quando
noi diciamo che una cosa è pesante è perché le ho dedicato tanto pensiero.
Allora se io ho tanto amato
il mio corpo, ho amato tanto le cose materiali, è logico che la morte sia tanto
pesante, tanto tragica.
Ora tu mi dirai: “Ma il
Cristo?”, ma il Cristo ha preso su di sé tutti i nostri pesi, ha subito
questi pesi per essere uguale a noi; tu capisci che se io sono legato a
qualcosa che mi sta molto a cuore, se qualcuno me la porta via o me la
danneggia, io soffro terribilmente. Un altro magari ride perché per lui quella
è una sciocchezza, ma per me quella era una cosa importante.
Eligio: Ma
io parlavo della morte in quanto c'è l’incognita della vita che continua dopo
la morte…..
Luigi:
L’incognita per quanto meno noi l’abbiamo amata, perché più noi amiamo…….. il
Signore dice: ”Cercate prima di tutto il Regno di Dio” quindi vuol dire
che è conoscibile. Gesù dice: “Ci sono alcuni tra voi che vedranno il Regno
di Dio nella sua maestosità e prima ancora di morire”. Quindi vuol dire che
questo è accessibile. È un parlato per farci conoscere. “Conoscerete la
verità e la verità vi farà liberi”, quindi vuol dire che la verità è
possibile. Non è che Gesù ci abbia presentato un’utopia, un sogno, no! allora
vuol dire che questa verità che è accessibile, ci dona certezza. Certo che se
io la trascuro, qualunque cosa se io la trascuro, la ignoro, il giorno in cui
la debbo incontrare mi trovo impreparato. Ecco per cui è necessario l’avvento,
la preparazione. Ognuno di noi incontra……….L’incontro è sempre determinato
dalla preparazione; se io aspetto una persona e mi sono preparato molto
all’incontro con quella persona, per cui mi sono immedesimato nei suoi
desideri, nella sua mentalità, l’incontro sarà felice. Se invece io non mi sono
preparato, l’incontro con quella persona mi metterà terribilmente a disagio,
perché è tutto un mondo improvviso che mi capita addosso, al quale mi debbo
adeguare. È perché non mi sono preparato, perché tutto dipende dalla
preparazione. Ora, se noi siamo sicuri che stiamo andando verso questo mondo
spirituale al cui centro c'è Dio e se noi ci prepariamo molto, più ci
prepariamo e più lo conosciamo, lì non è più un’incognita.
Solo un po’ di tempo fa è
morto Bastian; se c'è una creatura senza studi e senza conoscenza è
proprio quella creatura lì, eppure ha fatto una morte serenissima.
Ora, basta che un’anima
abbia assimilato le lezioni della vita che il Signore dà, per arrivare a questa
maturità per cui la morte per lui è stata serenissima.
La morte diventa
un’incognita quando noi non ci pensiamo mai; certo, non basta il sentito dire,
perché le conoscenze sono sempre personali; non basta che io abbia sentito
parlare tanto del mondo spirituale, del Regno di Dio, dell’eternità, ma
personalmente non mi sia mai applicato a capire. Perché le conoscenze che
convincono, si acquisiscono sempre soltanto personalmente, non si trasmettono a
parole. Anche se ne ho sentito tanto parlare, la convinzione si acquisisce
soltanto se io mi impegno personalmente, se personalmente cerco di adeguare
quello che io già conosco a quello che io ho sottomano qui, se è vero o non è
vero. In quanto uno si è applicato, se si arriva personalmente, Dio apre, Dio
illumina, Dio dà degli elementi di certezza, di sicurezza e più uno ci pensa e
più questo diventa realtà.
Ad un certo momento è quasi
come se uno avvertisse un fastidio ad occuparsi di cose materiali. San Paolo
dice: “Ma io vorrei morire per trovarmi col Cristo; se resto qui, resto
ancora per voi, ma il mio desiderio sarebbe là”, perché la nostra
conversazione è nei cieli: quando ho capito che la realtà è quella, in questo
senso avverto un po’ di fastidio quando mi devo impegnare in cose che non
riguardano lo spirito, che sono in secondo ordine.
Ora, direi che più il peso
del nostro corpo, la tragedia della morte, il male è tutto un problema
essenzialmente d’amore, cioè il peso è l’amore. Più noi amiamo le cose dello
spirito e più rendiamo leggere le cose del corpo, le cose del mondo.
Sì, lo so che ci sono dei
santi che hanno tribolato molto, bisogna sempre bilanciare queste cose qui.
Anche il Cristo è stata una tragedia, però bisogna precisare una cosa: che
questi santi hanno preso su di sé, parte, tanto o poco non so, le colpe del
mondo; hanno scontato i nostri peccati, sempre per associarsi alla passione,
alla morte del Cristo, alla funzione di chi soffre per un altro, in quanto
soffre per un altro salva l’altro. Come la funzione del Cristo che si rende
uguale a noi, che prende su di sé il peso senza essere peccatore, salva
l’altro. L’altro sarebbe disperato se non ci fosse uno senza peccato, perché si
troverebbe giudicato, condannato. Se invece io trovo uno che soffre come me
peccatore, io ho l’appoggio della liberazione, non sono più giudicato perché
l’altro ha sofferto come ho sofferto io: ma l’altro certamente è innocente.
Ecco allora io ho un punto d’appoggio.
Giovanni:
San Paolo dice: “Vorrei morire per trovare Cristo”.
Luigi:
Sì…….
Giovanni:
Parlava della morte materiale…….
Luigi:
Sì, morire a questo mondo qui.
Giovanni:
Ma aveva già una certa conoscenza di Dio.
Luigi:
Certo.
Giovanni:
Allora aveva ancora dei legami materiali.
Luigi: No,
ma tu capisci che avendo una certa conoscenza di Uno, e sapendo chi è
quest’Uno, tu vorresti vivere con quell’Uno lì. Quando due si amano cosa fanno?
Cercano di trovare una casa per convivere insieme, perché l’amore tende ad
unire. Quando uno conosce Dio tanto più desidera perché capisce il gran bene
che riceve restando con Dio. “Uno solo è buono”, più conosci Dio e più
desideri restare con Dio e realizzare tutta la vita con Dio è quando uno non
conosce che praticamente scappa, ma quanto più uno conosce più vuole restare.
Quindi è un’espressione quasi naturale, è un’espressione d’amore quella di San
Paolo; anche Sant’Agostino con sua madre ha sperimentato tutta la tristezza del
dover ridiscendere e restò loro solo più un ricordo d’amore, anche se avrebbero
voluto restare. Perché? Perché quello che si prova quando uno ha la grazia di
poter sostare un poco con il Signore, quella gioia, quella felicità, “Facciamo
tre tende…” è talmente forte che uno dice: “Chi me lo fa fare di
ritornare in quel mondo di prima?”, perché ha gustato gioia, ha gustato
felicità. “Facciamo tre tende….” esprime il desiderio di restare.
Giovanni:
Come Simeone nella presentazione del Bambino al tempio.
Pinuccia:
Gesù non si affidava ad essi perché sapeva quello che c'è nell’uomo, sarebbe la
sabbia di cui hai parlato?
Luigi:
Sì, fintanto che l’uomo giudica, stima, conosce nel pensiero del suo io è
sabbia, è instabile, per cui Dio non si fida a costruire.
Pinuccia:
Però qui lo dice in relazione al versetto precedente, perché credettero a Lui
per i miracoli che aveva fatto….
Luigi:
Due pagine dopo Lui dirà “Voi se non vedete i miracoli non credete”.
Quindi soltanto il fatto di credere perché ho visto un miracolo è sempre nel
pensiero dell'io. Come quando Gesù dice: “Voi mi cercate perché avete
mangiato i pani e vi siete saziati”, quindi l’io è soddisfatto se ha visto
qualcosa di straordinario. Come non so un errore è quello di ritenere che Dio
sia soltanto nello straordinario, mentre noi dobbiamo imparare a vedere Dio
nell’ordinario, anche nelle cose più umili, più piccole della vita perché Dio è
presente in tutto. Non basta che io scopra Dio nella cometa, nell’evento
straordinario che mi capita un bel giorno, perché quello è ancora nel pensiero
dell'io. Se effettivamente sono uscito dal pensiero dell'io in tutto vedo
l’opera di Dio, dal filo d’erba al fatto più comune, più quotidiano, più usuale
che mi capita tutti i giorni, perché in tutto c'è Dio. Bisogna imparare a
vedere la presenza di Dio in tutte le cose, anche nelle cose più insignificanti
perché niente è insignificante per Dio. Dio è nell’universo stellato immenso,
ma Dio è anche nella formichina, è nel grande infinito ed è nell’infinitesimo,
nel grande e nel piccolo, anche nelle cose di tutti i giorni, anche nelle cose
più abituali e dobbiamo imparare a vedere questa presenza, questo è restare
sempre con Lui.
Ma per vedere questo,
perché le cose diventano abitudinarie, abituali e così noiose e così vecchie
per noi? perché noi vediamo sempre l’io e allora uno non ci fa più caso. Quello
che ho visto oggi, l’ho visto ieri e l'altro ieri, tre giorni fa e cinque
giorni fa e allora non ci faccio più caso. “Facci caso perché in tutto è Dio
che ti parla…”. Quindi nel pensiero dell'io scopro Dio soltanto negli
avvenimenti straordinari, poi ad un certo momento non c'è più niente di
straordinario che mi colpisca; all’inizio per il bambino anche la margheritina
è straordinaria, ma ad un certo momento tutto diventa margherita: anche le cose
più straordinarie diventano straordinarie. Ora, l’io rende vecchie tutte le
cose, rende abitudinarie, niente più attrae, invece il Pensiero di Dio fa nuove
tutte le cose, anche le cose più abitudinarie nel Pensiero di Dio sono tutte
nuove.
Pinuccia:
Il vangelo dice che questi giudei credettero in Gesù perché avevano visto dei
miracoli, invece i discepoli credettero anche alla Scrittura…
Luigi:
Sì, perché è nella Scrittura che viene detto questo; la Scrittura che parlava
di Gesù. Questo passo lo raffronti con quello che avvenne a Cana quando dice: “I
suoi discepoli credettero in Lui”. Quel “credettero” va inteso come “furono
confermati nella fede che avevano avuto in Lui” però avevano creduto già
prima, questo episodio viene dopo quando ubbidendo a Giovanni Battista non
hanno seguito Gesù, hanno creduto in Gesù. Giovanni Battista lo ha segnalato,
l’Agnello di Dio e loro hanno creduto. Con Dio si va di conferma in conferma,
quindi queste sono conferme. Mentre nel mondo noi siamo sempre più delusi, con
Dio noi andiamo di conferma in conferma, siamo sempre più confermati, ci
troviamo confermati nella fede, per cui siamo sempre più sicuri, non si va più
verso l’ignoto ma si va verso il conosciuto. Come si forma in noi questo
conosciuto? In quanto si è sempre più confermati, tutte le cose ci confermano e
quindi crediamo sempre di più: sono conferme di fede. Credettero alla Scrittura
in quanto videro nella Scrittura la conferma del Cristo, ma è una conferma
progressiva, come la conferma di Cana, furono confermati in quello che avevano
creduto, furono rassicurati nella loro fede.
Pinuccia:
Poter vedere la conferma nella Scrittura della risurrezione di Gesù…..
Luigi:
Teniamo presente che per loro la Bibbia era tutto, noi abbiamo tante scienze,
mentre per loro era tutto Bibbia. Quando scoprono Gesù cosa dicono? “Abbiamo
trovato colui di cui hanno parlato Mosè e i Profeti”. Noi quando leggiamo
Mosè e i Profeti cosa ci capiamo che parlino del Cristo? Loro per dire: “Abbiamo
trovato colui di cui hanno parlato Mosè e i Profeti” vuol dire che avevano ben
capito di ciò di cui parlavano Mosè e i Profeti, quindi l’aspettavano e l’hanno
trovato. Abbiamo visto che per trovare bisogna avere l’immagine dentro di noi,
cioè bisogna sapere quello che noi vogliamo per trovarlo, non noi troveremo mai
una cosa se non sappiamo quello che vogliamo, una cosa che non vogliamo non la
troviamo assolutamente, bisogna averla dentro di noi se vogliamo trovarla
fuori.
Ora, loro l’avevano già, e
come l’avevano dentro, per cui dicono: “Abbiamo trovato”? Cos’è che li
aveva formati dentro? È la Scrittura.
Per cui Gesù dice: “Se
non credono alla Scrittura, se non credono alle parole, anche se i morti
risuscitassero non servirebbe”. Quindi è l’amore, ma questo amore qui,
questo amore di Dio nasce già dal primo giorno, nasce già dall’inizio della
creazione e noi naturalmente se uno ha questo amore per Dio, questa attenzione
a Dio allora è attento a tutte le cose che parlano di Dio, non trascura mica
niente. Se uno sta attento, poco per volta, tutte le opere di Dio formano in
noi la fame, l’attesa, il volto di Colui che incontreremo e allora lo
riconosceremo. Con Dio non si va verso l’ignoto è con il mondo che si va verso
l’ignoto, ma con Dio no! con Dio si va verso la conoscenza, verso la verità,
verso quello che si conosce e tutto quello che accade, con Dio, è una conferma
che veramente è così. Gesù dice: “Vegliate e pregate affinché siate fatti
degni di sfuggire a queste prove”; e le prove quali sono? Quelle delle
sorprese, quelle dell’avvenimento che spaventa perché non siamo preparati.
Quindi spaventa tutti coloro che abitano sulla faccia della terra, di tutte
queste cose che accadranno su coloro che abitano la faccia della terra, cioè
che vivono per le cose della terra, ognuno abita là dove è il suo interesse.
Per tutti coloro che abitano sulla faccia della terra allora abbiamo la
sorpresa che può essere terribile, ma per coloro che invece abitano nel cielo,
non c'è questa sorpresa: Gesù in questo è chiaro ed esplicito. Perché si va di
conoscenza in conoscenza, si va verso la luce, verso la verità, ma si va verso
la verità in quanto uno ama quelle cose lì, amandole si interessa, si occupa e
conosce per cui non resta la sorpresa. Gesù non è stato un ignoto per i suoi
discepoli e come mai non è stato un ignoto? Ma perché lo amavano, lo portavano
già dentro di sé. È chiaro?
Pinuccia:
Volevo approfondire questo argomento. Tu hai parlato della necessità di volere
noi Dio, che è un prodotto nostro, che se noi non lo vogliamo Dio non esiste
per noi.
Luigi: Certo,
perché noi dobbiamo generare il Verbo di Dio in noi.
Abbiamo detto molte volte
che la Madonna, la Vergine, è il prototipo della creatura.
Direi che è la creatura
perfetta, quella a cui dobbiamo guardare. Perché?
Perché quello che è
avvenuto in lei deve avvenire in noi.
Colui che lei ha generato,
è Colui che noi dobbiamo generare dentro di noi.
È vero che lei lo ha
generato fisicamente, ma abbiamo detto che tutto quello che avviene nel mondo
fisico è significazione di quello che deve avvenire nel mondo spirituale e che
non può avvenire senza di noi.
Però teniamo presente che
la Madonna non l’ha generato lei, così, capricciosamente. Non basta dire: “Io
voglio concepire il Verbo di Dio”, non basta! Uno può voler concepire tutto
quello che vuole e concepisce un cavolo, capisci? San Paolo dice: “Voi
concepite vento!”. Sapete che esistono le gestazioni immaginarie, no?
La Madonna ha concepito per
opera di Dio, per opera dello Spirito Santo.
Anche noi siamo chiamati a
concepire, ma per opera dello Spirito Santo, cioè in unione con Dio, cioè noi
da soli non concepiamo proprio niente, generiamo vento.
È con Dio che si genera il
Verbo di Dio.
La creatura ideale, il
prototipo, cioè quella figura che Dio ebbe prima di incominciare tutta la
creazione, davanti a sé. Tutte le opere della creazione sono state fatte in un
fine. Qual è il fine?
La creatura che concepisce
il Verbo di Dio.
Eligio: È
comunque un incontro d’amore; la Madonna deve aver amato intensamente,
appassionatamente.
Luigi:
Sì, lei dice: “Non conosco uomo”. È la creatura che ha un solo amore, la
semplicità. Essere vergine mentalmente è avere un pensiero unico. Ecco però ha
concepito per opera di Dio e proprio il prodotto che si ottiene è la
testimonianza della verità di Dio.
Perché se io da solo mi
metto a concepire, concepisco vento e il mio vento l’irrealtà mia, la falsità,
il niente. Per cui il niente, il vento, mi dimostra quello che sono.
Ma se mi unisco al Signore,
amo Dio, penso Dio e in nome di Dio genero una verità, il Verbo di Dio in me,
questo prodotto, il Verbo di Dio in me, questa vita che si realizza, è la
testimonianza della verità di Dio.
Eligio:
Direi che c'è qualcosa di più del semplice pensare come lo intendiamo noi: è
proprio un amare quello della Madonna, è un amare fortissimamente, che la fa
poi incontrare con lo Spirito Santo…..
Luigi:
Diciamo così: è un pensiero che assorbe tutto. Noi molte volte giochiamo su
quel termine “amore” e confondiamo amore con il sentimento; addirittura
chiamiamo amore quello che poi è strumentalizzazione dell’io che è tutt’altro
che amore. Il vero amore è proprio pensare a-; in un rapporto d’amore noi
andiamo sempre alla ricerca: “Dov’è il tuo pensiero?”, perché ci sta a
cuore il pensiero dell’essere amato e noi ci sentiamo amati in quanto ci
sentiamo pensati. È il pensiero che rivela l’amore. Molte volte noi
squalifichiamo il pensiero, mentre il pensiero è di una importanza enorme. Noi
non ce ne rendiamo conto ma…
Eligio:
No, io squalificavo il pensiero come astrazione, come cerebralizzazione…..
Luigi:
Quello che vale è l’applicazione personale, quindi il pensiero personale,
entriamo in una dimensione personale: quindi in quanto uno è personalmente
interessato a-, personalmente pensa a-.
Noi siamo conosciuti nel
pensiero da Dio, Dio dice: “Io non so cosa farmene delle vostre parole, io
guardo al cuore” e per cuore gli ebrei intendevano il centro del pensare.
Ognuno di noi pensa al suo tesoro, al suo amore; è nel pensiero che uno rivela
ciò che ama; noi pensiamo sempre a ciò che amiamo; lì il pensiero è valido,
tanto valido per cui noi lo prendiamo a misura dell’amore e ci sentiamo offesi
se una persona a parole ci dice: “Ti amo” ma il suo pensiero è altrove,
ci sentiamo offesi, come mai?
Se è valida la parola io
sto a quello che dice la parola e poi che pensi pure quello che vuole.
Eh, no! Vedi che noi
intuiamo che il pensiero è un elemento di stabilità, per cui non facciamo leva
sulla parola.
La parola è instabile, oggi
si dice una parola e domani se ne dice un’altra.
Invece il pensiero dà stabilità;
perché tendiamo a cercare l’elemento stabile di una persona e quando so quello
che una persona pensa, allora incomincio a conoscere la persona, non guardo più
l’abito, non sto più alle parole che una persona dice o può recitare, ho capito
il suo pensiero.
Il pensiero mi dà
l’elemento formante la persona stessa, allora lì mi posso basare perché conosco
quella persona lì.
So che quella persona, in
quei determinati rapporti si comporterà così, in determinati luoghi si
comporterà così perché ha quel pensiero.
E fintanto che noi non
riusciamo ad arrivare al nocciolo, a quel pensiero……
Noi per mangiare il
nocciolo dobbiamo rompere il guscio, questo vuol dire che dobbiamo sempre
andare al di là della superficie, al di là delle cose, degli avvenimenti ed
arrivare al significato. Il significato sarebbe il nocciolo, il gheriglio; ma
quando si arriva al pensiero, noi abbiamo un elemento di stabilità. Ora,
l’elemento massimo di stabilità è il Pensiero di Dio.
Quando noi abbiamo il
Pensiero di Dio, lì abbiamo la pietra fondamentale su cui la costruzione non
crolla più.
Eligio:
Sant’Agostino dice che ha trovato mutevole la facoltà intellettiva……
Luigi:
Niente di noi è stabile, perché Dio solo è stabile. Dio è immutabile e tutto
ciò che non è Dio è instabile, anche gli angeli. Gli angeli diventano
immutabili in quanto sono uniti a Dio; staccati da Dio sono mutevoli anche
loro. La caratteristica del tema centrale di Sant’Agostino è questa: l’immutabilità
è Dio, tutto ciò che non è Dio è mutevole.
Quindi si tratta di passare
dal mutevole all’Immutabile. Allora nell’Immutabile anche noi, per
partecipazione, diventiamo immutabili; per cui più noi ci fondiamo su Dio più
anche noi diventiamo fedeli perché Lui è fedele; più diventiamo immutabili
perché Lui è immutabile; più diventiamo costanti perché Lui è costante.
Mentre più andiamo avanti
nel mutevole e più diventiamo molteplici, il demonio dice addirittura: “Il
mio nome è Legione”, cioè tanti nomi, tante facce; per cui noi cambiamo
forma a seconda dell’ambiente in cui ci troviamo, secondo le persone con cui
trattiamo. Noi realmente non siamo, solo Dio è Colui che è. Più noi ci uniamo a
Dio e più noi, per partecipazione, siamo.
Questo “siamo” noi
lo diciamo rendendo gloria a Dio: è Lui che mi fa essere, è Lui che mi rende
stabile, è Lui che mi fa fedele.
È Lui che mi fa amare:
sempre Lui, sempre Lui, sempre Lui, perché il punto di riferimento è Lui.
Invece dimenticando Lui:
ecco l’instabilità, l’inquietudine; restiamo in balìa di tutte le cose, siamo
informati, dominati da tutti gli eventi. Cina, cosa dice?
Cina:
Peccato che non ho scritto……
Luigi:
Ma guarda che è stato registrato tutto l’incontro e anche adesso che stiamo
parlando, stiamo registrando…………
Riassunto:
Pinuccia:
Dobbiamo generare Dio, fare Dio in noi, altrimenti non lo troviamo, non esiste
per noi, bisogna volerlo, è un atto personale.
Ma è possibile questa
generazione soltanto se siamo uniti a Dio, è un prodotto nostro, ma in quanto
siamo uniti a Dio.
Questa generazione avviene
nell’ascolto della Parola; il vero ascolto ci porta a fare la Parola.
Gesù dice: “Non chi dice
Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio entrerà nel Regno dei
cieli”.
È una presa di coscienza
progressiva, cioè una presa di coscienza crescente di Dio e del suo Regno
Ma questa presa di
coscienza si ha solo se si fa la parola ascoltata; e la parola si fa solo in
unione a Dio, solo permanendo nell’ascolto anzi, questo fare consiste nella
fedeltà all’ascolto, costi quel che costi.
Infatti l’ascolto, che è
l’essenza della preghiera, è ascolto solo se si rimane nell’ascolto.
Chi ascolta e poi va dietro
alle idee o ai concetti degli altri, lascia entrare cioè altre mentalità, non rimane
nell’ascolto e genera confusione.
Ci vuole lo sforzo per
restare nell’ascolto; Gesù dice: “Se resterete nelle mie parole conoscerete
la verità e la verità vi farà liberi” e questo è soltanto possibile
contando su Dio, col Pensiero di Dio.
È come la Madonna che
concepì il Verbo solo per opera dello Spirito Santo; “Non conosco uomo”, cioè
non voglio conoscere altro aiuto.
Dio non è un nostro
prodotto perché esiste indipendentemente da noi, ma per conoscerlo bisogna
farlo, generarlo in noi.
È quanto ci dice Gesù:
“Cerca prima di tutto il Regno di Dio”, cioè devo fare questo Regno di Dio
dentro di me, cioè far dipendere tutto il nostro mondo interiore da Dio; il
mondo esteriore è già Regno di Dio.
È una presa di coscienza
che deriva da questo nostro far dipendere da Dio tutto ciò che dipende da noi.
Entrare nel Regno di Dio è
vedere, prendere coscienza che Dio regna; sapendo che già regna, devo cercarlo
questo Regno di Dio e con amore.
Se amo, soffro e provo tristezza
se non capisco e non vedo, se so che Dio mi parla in tutto, se non capisco,
soffro se amo e allora mi sforzo per capire e per vedere.
È tutto il lavoro di
raccogliere in Dio per cercare di intendere in Dio il significato di ogni cosa.
Dio parla in ogni cosa e
parlando significa qualcosa di Sé.
Quindi il fare Dio, il
generare Dio, significa raccogliere in Dio e capire il significato di ogni
cosa, persona o avvenimento che mi giunge.
Fare la parola ascoltata,
vuol dire assimilarla, farla entrare nel mio mondo, affinché illumini il mio
mondo.
La parola è viva, la parola
è universale, abbraccia tutto; i segni sono molti, ma il significato è uno
solo, lo capiamo solo se teniamo unito il segno a chi ci dà questo segno.
Ad esempio un gesto della
mano, non lo posso intendere se lo stacco dalla persona che lo fa.
Dio che è l’essere,
significa, esprime l’essere, cioè Se Stesso in tutto.
Quindi l’opera di Dio non
mi distrae, quello che ci distrae è la nostra distrazione, la nostra infedeltà.
Così anche gli avvenimenti
bisogna intenderli alla luce del vangelo, in cui ogni avvenimento è illuminato
dalla presenza di Cristo o dalla sua parola. Gli avvenimenti del vangelo sono
originali mentre quello di oggi sono delle copie; così pure gli avvenimenti
dell’Antico Testamento, ad esempio il Libro dei Giudici dove il Signore spiega
il perché, siccome il popolo si è allontanato da Lui, ecco che il Signore
suscita un nemico che lo perseguita o che lo sconfigge affinché il popolo
ritorni a Lui.
Come ad esempio la torre di
Siloe che cadendo uccise molte persone, è un avvenimento che il Signore dice di
interpretarlo come un avvertimento: “Se non farete penitenza, cioè se non
cambiate interesse principale, perirete tutti allo stesso modo”, anche se
sotto ben altre distruzioni, ben altri terremoti, vere rovine spirituali. In
qualunque situazione noi ci troviamo, fossimo anche in fondo ad un abisso, lì
ci raggiunge sempre anche un solo raggio della luce di Dio.
Ebbene basta fissare il
nostro sguardo su questo unico punto luminoso, ad esempio come se in fondo al
pozzo noi vedessimo una stella e senza che ce ne accorgiamo, questo punto si
amplierà, perché noi veniamo portati su pian piano, come salendo su da un pozzo
il cielo si amplia. Ma questo è possibile se si conta su Dio solo: “Non
conosco uomo”.
Quindi fare il Regno di Dio
è far ordine in noi perché abbiamo tante idee pasticciate e ingarbugliate, ma
bisogna fare la verità di Dio in tutto il nostro mondo, vedere il Regno di Dio,
la volontà di Dio in tutto il mio mondo.
La parola ascoltata deve
essere fatta nel proprio mondo, ma è tutto opera di Dio.
Chi parla è Dio quindi non
possiamo ascoltare la parola senza Dio e tanto meno farla.
La generazione del Verbo
avviene soltanto per opera di Dio.
Ascoltare la parola e poi
farla cioè predicarla in tutto il mondo, il nostro mondo, quindi il fare non va
inteso come azione, anche se per restare nell’ascolto, a volte devo fare
qualcosa perché me lo dice la persona che ascolto, ma va intesa come fedeltà
nell’ascolto, un raccogliere. Resistere ad ogni difficoltà anche se ci portasse
a qualche rottura. Per rimanere nell’ascolto siamo autorizzati a lasciare ogni
cosa, infatti Gesù ci dice: “Chi ama suo padre e sua madre più di me non è
degno di me”. La fedeltà è unità, quindi è pace e riposo, non c'è riposo
nell’essere infedele, Gesù dice: “Vigilate e pregate sempre”, ma è il
vero riposo perché ci si riposa solo quando si ascolta una sola persona.
Poi c'è un altro argomento:
come superare il problema dell’io.
Giovanni:
Prima è un prodotto nostro, la seconda parte è un prodotto di Dio…..
Pinuccia: È
un prodotto nostro in quanto siamo uniti a Dio.
Luigi:
La generazione è un prodotto nostro con Dio perché non può avvenire senza di
noi, cioè non possiamo generare il Verbo di Dio in noi se noi non lo vogliamo.
Quello che avviene, avviene
con l’opera nostra, ma non è opera nostra perché un’opera è nostra quando la
facciamo autonomamente, cioè io mi decido a fare questo e lo faccio; ma se per
farlo ho bisogno di un Altro, è grazia dell’Altro.
Ora noi non possiamo
concepire il Verbo di Dio in noi senza Dio, è per opera dello spirito santo, è
per opera di Dio.
Quindi soltanto in quanto
siamo uniti a Dio: la vergine concepisce per opera dello Spirito Santo.
Pinuccia: Volevo
chiedere questo, se per generare il Verbo di Dio in noi vuol dire illuminare
tutto il nostro mondo interiore alla luce della parola….
Luigi:
Ognuno di noi ha un suo mondo interiore…..
Pinuccia:
Quindi siccome ognuno ha un suo mondo interiore, la generazione del Verbo è
diversa da una persona all’altra?
Luigi:
Certo.
Pinuccia:
Quindi c'è un Dio diverso…..
Luigi:
No, Lui è uno solo, ogni nostro mondo è diverso uno dall’altro.
Pinuccia:
Sì, però questa generazione del Verbo, il Verbo generato…..
Luigi: Il
Verbo è uno solo, il Verbo è uno solo. Il sole è uno solo però tu capisci che
ognuno riceve di quel sole in base alla posizione in cui si espone al sole, le
posizione nostre sono diverse: uno si trova in via Falletti, uno si trova in
via Roma e l’altro si trova in Piazza d’Armi, il sole è sempre uno ma ognuno
vede da un’angolazione diversa e da luoghi diversi.
Ognuno ha un suo mondo che
deve illuminare con quel sole.
Pinuccia:
Questo mondo interiore ci dà una diversa conoscenza di Dio……
Luigi:
Certo, perché la conoscenza è personale. È il nostro Dio però è uno solo, Dio è
uno solo. Ognuno approfondisce quell’unico Dio in gradi diversi e i diversi
gradi sono dati da quanto del suo mondo ha fatto entrare in Dio.
Cioè il mondo di ognuno di
noi è la moneta che abbiamo da spendere per conquistare Dio; Dio però è uno
solo, ognuno ha una quantità di monete diversa dall’altro; ognuno può spendere
tutte le sue monete oppure può spenderne soltanto una parte o ne può spendere
niente, per conquistare Dio.
Più spende e più acquista
possibilità di conoscere Dio, di penetrare in Dio; però la conoscenza è data da
quello che poteva spendere.
Ognuno di noi ha un mondo,
che sono segni di Dio, per cui Dio parla in tutte le cose; per cui una cosa che
è giunta a noi e che noi non conosciamo, quella noi non possiamo raccoglierla
in Dio, noi possiamo raccogliere in Dio soltanto quello che noi conosciamo.
Ora, però noi possiamo
anche non raccogliere niente di quello che conosciamo in Dio, per cui è un
disperdere.
Se noi raccogliamo tutto
quello che Dio ci ha dato, cioè se noi spendiamo la moneta che Dio ci ha dato
per conoscere Lui, allora noi abbiamo tanta conoscenza di Dio, tanta
possibilità di penetrare in Dio, ma Dio è uno solo per tutti.
Pinuccia:
Conta l’intensità di amore con cui uno vive, non sono le circostanze diverse……
Luigi:
Certo; perché uno può avere tante cose diverse e non spenderle, non avere
intensità d’amore.
Pinuccia:
Ciò che conta affinché ognuno abbia una diversa conoscenza di Dio è l’intensità
d’amore, non è determinata dalle difficoltà o dalle situazioni avverse, ma dal
grado diverso d’amore…
Luigi:
Dal grado diverso d’amore; però questo grado diverso d’amore cosa ha
determinato?
Ha determinato che uno ha
offerto a Dio tutto quello che poteva offrire e questo ha generato tanta
conoscenza di Dio.
Però questa tanta
conoscenza di Dio è diversa dalla tanta conoscenza di Dio che ha un altro che
ha anche offerto tutto quello che aveva da offrire: perché ognuno ha un mondo
diverso da offrire.
Perché la conoscenza è personale:
Dio si fa conoscere personalmente; dà un nome ad ognuno di noi diverso.
Il nome che hai tu è
diverso dal nome di un altro: ognuno ha un suo nome presso Dio.
Cosa vuol dire questo nome?
È proprio questa conoscenza
che ognuno ha di Dio.
Dio è uno solo, ognuno però
ha un’infinità di conoscenza perché ci sono miliardi di persone quindi ci sono
miliardi di conoscenze diverse e questo ci dà poi la possibilità di comunione
tra noi perché ognuno comunica all’altro qualche cosa dell’Altro.
Pinuccia: È
comunicabile….
Luigi: È
comunicabile, però ognuno, anche nella comunicazione, può ricevere soltanto per
quel tanto di amore che ha, o che ha avuto per Dio.
Per cui magari la stessa
parola con cui uno significa qualche cosa di Dio, uno la percepisce in una profondità,
l’altro la percepisce in una profondità diversa.
La felicità della
conoscenza è uguale, perché ognuno in base a quello che può ricevere è contento
e felice però abbiamo strati diversi.
Per cui abbiamo Dio che è un
infinito e poi abbiamo tante creature che in quell’infinito penetrano con quel
che possono e che però comunicano tra loro.
Ma diciamo che il dialogo
tra noi è sempre riferito a Dio, si parla di Dio, tra le creature si parla di Dio;
perché Dio parla di Sé e le creature tra di loro parlano di Dio.
Ed è l’unico modo di
comunicare; per cui c'è sempre il triangolo: c'è una trinità tra Dio e le
creature.
Dio è il punto di
riferimento attraverso il quale si comunica (es. il satellite).
Ma evidentemente ogni
creatura ha qualcosa da comunicare all’altra, quindi c'è occasione di dialogo:
ma questo avviene sempre attraverso Dio.
Perché ognuno avrà una
profondità diversa.
Noi non ci rendiamo conto
che cosa sia questo infinito divino in cui tutti quanti, miliardi, miliardi,
miliardi penetrano ed ognuno attinge qualche cosa di diverso, perché ognuno ha
un nome diverso dall’altro.
Altrimenti che motivo ci
sarebbe che ci fossero tante creature e ognuna diversa dall’altra?
Perché c'è questa conoscenza
diversa e una penetrazione diversa.
Emma:
Il proverbio che dice: “Le vie del Signore sono infinite”, è valido in
base a quello che noi possiamo spendere per Dio.
Luigi:
Però c'è questo, che noi possiamo anche non spendere o spendere poco. Per cui
abbiamo tutto un mondo in noi stessi, una diversificazione a seconda della
quantità d’amore con cui abbiamo speso per Dio.
Eligio:
Il quanto dobbiamo spendere per Dio dipende da noi o è Dio stesso che ci
suggerisce come e quanto dobbiamo dare via, sempre a livello spirituale?
Luigi:
Ah, ma è tutta opera di Dio! Guarda, l’iniziativa nostra è sempre una
sottrazione.
Quello che dipende
dall’iniziativa nostra è sempre un dare meno di quello che Dio ci chiede.
L’azione positiva è sempre
su richiesta di Dio. “Non siete voi che avete scelto me, ma sono io ho
scelto voi”, quindi quando siamo sul cammino positivo, non facciamo altro
che rispondere a-. Cioè abbiamo l’azione di Dio che precede e noi lo capiamo,
cioè Dio ci fa capire quello che dobbiamo dare e noi rispondiamo.
L’azione di iniziativa
nostra è solo una sottrazione all’iniziativa nostra, cioè se Dio chiede cento
noi diamo dieci.
Eligio: A
volte posso anche fare una scelta per sentimento…..
Luigi:
Sì, come San Francesco. Dio gli dice di restaurare la Chiesa e lui si mette
materialmente a riparare la cappella. Quindi ha inteso materialmente; poi il
Signore interviene e gli fa capire che deve restaurare spiritualmente la
Chiesa.
Eligio:
Quindi è Dio che ci fa capire…
Luigi:
Sì, nel cammino spirituale positivo, la creatura è sempre in una situazione di
risposta e si trova in una situazione di risposta in quanto è sollecitata, Dio
sollecita. Non è che venga lì e mi dica: “Dammi questo!”, ma noi in
coscienza capiamo che la volontà di Dio è quella, che Dio vuole quello. Per cui
c'è una resistenza da parte nostra, “Ah, ma se io faccio così poi che figura ci
faccio?”, subentrano altri motivi, motivi del mondo, motivi del nostro io, ma
noi sappiamo che ci sottraiamo a questa purezza di Dio.
Eligio:
Allora noi su che cosa dobbiamo assumere l’iniziativa? Che cosa dobbiamo fare?
Luigi:
Ma io ti dico che tu non devi mai prendere l’iniziativa; mai!
Eligio:
Allora potrei fare il nulla prendendo alla lettera il “mai”.
Invece prima hai detto che
noi dobbiamo generare.
Luigi:
Sì, ma questo è opera dello Spirito Santo. È Dio che ci visita e che ci chiede
quello.
Eligio:
Abbiamo detto che nel campo della conoscenza non ci sono processi automatici,
ma che è sempre richiesta una partecipazione attiva da parte nostra.
Luigi:
Certo, ma tu capisci che quando io dico: “Andiamo sul viale?”, ti faccio
una proposta, c'è la partecipazione da parte tua, anche se l’iniziativa è mia.
Io ti propongo e tu rispondi, non c'è l’automatismo. Non basta che io dica: “Eligio,
andiamo!”, tu non sei una macchina. Così opera Dio. Noi siamo fatti a sua
immagine e somiglianza e quindi anche questo ha un significato. Allora Dio
propone. Noi avvertiamo l’esigenza di Dio, l’esigenza della verità di Dio,
questa nettezza, questa purezza, questo far conto su di Lui. “Non conosco
uomo”. Questa è la proposta, adesso noi prendiamo l’iniziativa, ma che è
una risposta: l’adesione. “Sia fatto di me secondo la tua parola”.
Noi possiamo sempre e solo
dire: “Sia fatto di me secondo la tua parola”. “Sia fatto di me…”, se
noi siamo nell’ordine. “Sia fatto di me…”, ma ci vuole la sua parola.
Perché io posso dire: “Sia fatto di me secondo la tua parola”, ma perché
la parola è giunta: non c'è automatismo.
Eligio:
Io capisco il senso delle tue parole, non sempre capisco il senso delle parole
di Dio.
Luigi:
La parola di Dio in quanto parla a noi, si rivela come esigenza di-, proposta
di-, noi avvertiamo che l’esigenza della verità di Dio è questa. Se noi abbiamo
delle riserve, ecco allora qui abbiamo delle iniziative nostre, delle riserve;
per cui penso: “Dove vado a finire? Cosa faccio? Cosa non faccio?”
Eligio:
Scatta l’autonomia, il senso del peccato; rivestiamo dei nostri interessi,
delle nostre comodità la proposta di Dio. Non l’ho mai capito bene come
stasera, pensare che ci siamo soffermati poco su questo argomento.
Luigi:
Ah, ma certe volte basta una parola; il Signore parla ma ognuno riceve in tempi
diversi, perché le cose maturano lentamente in noie man mano che affiorano
dici: “Ho capito!”.
Eligio:
Il senso profondo del peccato è autonomia, è non rispondere alla proposta di
Dio.
Luigi:
Mentre l’ordine è adesione a-. Nel peccato devo necessariamente dire:“Sono io”,
perché non ho aderito. Invece quando aderisco, l’opera è di Dio e non posso
farne a meno di dirlo, perché l’opera è di Dio. la proposta me l’ha fatta Lui,
quindi la grazia è sua. Per cui è verità quello che Gesù dice: “Non siete
voi che avete scelto me ma sono io che ho scelto voi”.