HOME

 


Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?” Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gv 2 Vs 18/19 Primo tema.


Titolo: La distruzione della casa di Dio.


Argomenti: Casa è il luogo in cui si fa esperienza della presenza di qualcuno. L'esperienza della presenza di un essere. Vivendo “naturalmente” non esperimentiamo la presenza di Dio. L’inganno di essere lontani da Dio. L’esperienza della presenza di Dio ci libera dai condizionamenti del mondo. La fede è personale, l’ateismo è di massa. Dio ci ripresenta, ci annnuncia continuamente la sua Verità. Solo sottomettendoci a Dio facciamo esperienza di Dio. Tutta l’opera di Cristo è sottomettere tutto di noi a Dio: così ricostruisce il nostro tempio interiore.


 

7/Novembre/1976


 

Questa sera ci raccogliamo su questo pensiero: “Distruggete questo tempio ed io lo riedificherò in tre giorni”. Va collegato, in quanto si parla di tempio, con il pensiero che abbiamo svolto la volta scorsa: “Lo zelo della tua casa mi ha consumato”.

Abbiamo visto che la casa di Dio non è una casa materiale, fatta di mattoni o di pietre perché Dio non abita in luoghi fatti da mani di uomo, Dio essendo spirito, abita nell’anima dell’uomo e quindi questa casa è dentro di noi, è la casa di Dio.

Abbiamo visto che noi, in un modo o nell’altro, vivendo, anche senza rendercene conto, noi costruiamo sempre una casa; le nostre scelte di ogni giorno, i nostri pensieri, il nostro parlare, il nostro agire, è sempre un apporto di pietre, di mattoni ad un certo edificio, un edificio spirituale nel quale abiteremo: ognuno abiterà nella casa che avrà edificato attraverso le scelte fatte giorno per giorno. Soltanto se i nostri pensieri, il nostro parlare, le nostre scelte, le nostre azioni sono fatte secondo Dio, noi edifichiamo la casa di Dio in cui abiteremo.

Ora è l’amore, lo zelo per questa casa che ci dà la possibilità di abitare in questa casa.

Qui i Giudei avevano fatto quest’obiezione a Gesù: “Quale miracolo…”, o meglio, siccome abbiamo specificato che Giovanni quando parla di miracolo intende sempre il segno, “Quale segno, quale prova ci mostri, ci dai, da agire in questo modo?”. Gesù aveva cacciato i venditori, i mercanti, i cambiavalute dal tempio di Gerusalemme e avevamo riflettuto che questo significa che tutte le volte che Dio entra nel nostro tempio interiore, che è casa di Dio, il primo segno nel tempio della sua venuta, è questa sferza, è questa incompatibilità, questo farci sentire l’incompatibilità tra il suo amore e gli idoli, altri amori, la vita vissuta per altre cose. Dio entrando dentro di noi, fa pulizia di tutto ciò che non è secondo Lui; fa pulizia, abbatte a terra anche i cambiavalute, tutti i falsi valori, mette fuori gli altri maestri ai quali noi abbiamo ubbidito quando, seguendo certi interessi, ci siamo sottomessi ai maestri del mondo che cambiano i valori veri per renderci accettabili le ideologie, oppure le nostre passioni nel mondo.

Ora qui i Giudei chiedono a Gesù quale prova egli dia loro e, abbiamo già notato, che la risposta di Gesù: “Distruggete questo tempio…”, non è una sfida, non è una provocazione ma è una constatazione che Gesù fa.

Andrebbe tradotta così: “La prova che io do di quello che faccio è questa: che voi distruggete la casa di Dio ed io la ricostruisco”.

Questo ci fa capire che l’uomo vivendo naturalmente, tende a distruggere la casa di Dio, Gesù è Colui che costruisce in noi e per noi la casa di Dio.

Questa sera noi vorremmo approfondire il concetto di distruggere e il concetto di riedificare, di ricostruire la casa di Dio.

Teniamo sempre presente che per tempio, per casa di Dio si intende una costruzione spirituale, dentro di noi e che quindi non si tratta di cosa materiale.

Per poter arrivare ad intendere personalmente, per ognuno di noi, cosa vuol significare questo distruggere la casa di Dio e questo riedificare da parte di Cristo, fermiamoci ancora sul concetto di casa.

Per casa si intende il luogo in cui si fa l’esperienza della presenza di qualcuno, ognuno nella sua casa rivela la sua presenza, dispone tutte le sue cose secondo il suo pensiero, secondo il suo vivere e ognuno, entrando nella sua casa constata la presenza di un essere, fa l’esperienza della presenza di un essere. La casa di Dio è il luogo in cui noi facciamo l’esperienza della presenza di Dio.

C’è da tener presente che l’esperienza della presenza si fa dentro la casa, non fuori della casa, perché se casa è il luogo in cui si fa esperienza di un essere, soltanto entrando in una casa si fa l’esperienza di questo essere, non la si fa fuori. Fintanto che si è fuori di casa non si fa l’esperienza di questa presenza. Allora ecco una prima conseguenza: noi non dobbiamo mai pretendere, essendo fuori della casa di Dio, di fare l'esperienza della presenza di Dio. Quante volte noi diciamo: “Se non tocco qualcosa, se non vedo, non credo…”, è pretendere di fare l'esperienza della presenza di Dio, della verità di Dio essendo fuori casa e questo è un assurdo perché l'esperienza della presenza di Dio si fa soltanto “in” casa.

Ora però come si fa ad entrare nella casa? Ho detto che ognuno di noi abita nella casa che si edifica, per cui si entra in una casa edificando una casa; ora, la casa di Dio si edifica facendo, pensando, operando sempre secondo Dio. Più noi scegliamo, pensiamo le cose secondo Dio e più noi apportiamo dei mattoni in questo edificio in cui noi viviamo e più questo edificio spirituale si costruisce dentro di noi, e più noi abitando nella casa di Dio facciamo esperienza della presenza di Dio. Ora, l'esperienza della presenza di un essere la si fa sottomettendoci a quell’essere, non sottomettendo quell’essere a noi perché vorrebbe dire farlo entrare in casa nostra, sottometterlo al nostro io. Sottomettendo un essere a noi, non è che noi possiamo fare l’esperienza di quell’essere, per fare esperienza di quell’essere dobbiamo sottometterci noi e tutte le cose nostre a quello, allora noi facciamo esperienza di quello. Ne deriva che noi facciamo esperienza di Dio, della verità di Dio, della presenza di Dio, soltanto sottomettendo i nostri pensieri, il nostro parlare, il nostro operare, sottomettendolo a Dio. Quindi più noi operiamo secondo Dio e operando secondo Dio poco per volta ci porta a constatare, a verificare la presenza di Dio, mentre invece fintanto che siamo fuori di questa casa, noi esperimentiamo l’assenza di Dio. Cioè noi esperimentiamo quello che noi abbiamo messo prima di tutto. Ora, distruggere la casa di Dio, vuol dire rifiutarci o meglio, metterci in condizione di non esperimentare la presenza di Dio. Questo è distruggere, perché non è più provare la presenza di Dio, constatare la presenza di Dio. Ora, fintanto che noi siamo fuori, tutte le volte che operiamo per il mondo, per i nostri interessi, per il pensiero del nostro io, cioè sottomettiamo le cose a qualche essere o a qualche pensiero diverso da Dio, allora noi distruggiamo la casa di Dio in noi e distruggendo la casa di Dio in noi, ci impediamo di esperimentare la presenza di Dio. Noi però cosa esperimentiamo? Esperimentiamo l’assenza, esperimentiamo quello che noi abbiamo messo al di sopra di tutto. Se uno ama il denaro, si costruirà una casa in cui sperimenterà la validità, l’importanza, la presenza del denaro e tutte le cose le subordinerà a questo. Lui addirittura costruirà una casa per poter proteggere questo denaro, per poter rendere assoluto questo denaro, per poter vivere con questo denaro. Così in ogni cosa, tutto quello che non è Dio, quando noi lo mettiamo come scopo della nostra vita al di sopra dei nostri pensieri come punto fisso di riferimento, diventa la pietra fondamentale per la costruzione della nostra casa in cui noi abitiamo e in cui noi facciamo l'esperienza della presenza di quello che noi abbiamo messo prima di tutto. Questo è il lavoro che noi facciamo nella nostra vita. Ho detto che noi naturalmente distruggiamo la casa di Dio perché noi naturalmente, cioè secondo il mondo, secondo la natura, secondo le nostre esigenze, secondo i nostri bisogni, secondo la nostra figura, le nostre ambizioni, noi non edifichiamo secondo Dio, edifichiamo secondo altri pensieri, edifichiamo altre case, e quindi distruggiamo la casa di Dio e non esperimentiamo la presenza di Dio. Ecco perché noi naturalmente non tocchiamo Dio e non potremo toccarlo mai perché noi naturalmente tocchiamo tutto ciò che non è Dio, tocchiamo la materia, i corpi, il mondo e le passioni del mondo. Noi nel mondo verifichiamo che tutto quello che regna è ben altro che Dio. Ora, come mai noi verifichiamo tutto questo? Perché noi siamo fuori dalla casa di Dio, noi distruggiamo, vivendo per altri motivi, la casa di Dio.

Per vivere secondo Dio, bisogna da parte nostra un superamento consapevole, cioè di un atto cosciente; la casa di Dio non si costruisce naturalmente, si costruisce personalmente. Per cui se noi personalmente non vogliamo o non ci preoccupiamo di costruire la casa di Dio, noi naturalmente distruggiamo la casa di Dio e quindi constatiamo il non-Dio, non verifichiamo la presenza di Dio, ma verifichiamo l’assenza di Dio per cui noi crediamo sempre più di aver ragione a vivere come viviamo: ecco l’inganno dell’essere lontani da Dio. Quello che diceva Sant’Agostino è che la tragedia sta lì: che noi più siamo lontani dalla luce, tanto più noi ci crediamo di essere nella luce per cui non ci accorgiamo nemmeno di sbagliare, anzi scambiamo i nostri errori per verità, scambiamo il nostro morire per un vivere. È lì l’inganno perché per vedere la strada sbagliata bisogna già conoscere la strada giusta; per poter vedere la notte, bisogna già avere la presenza della luce, per poter vedere gli errori, bisogna aver presente la verità altrimenti noi scambiamo l’errore per verità. Soltanto se ci impegniamo personalmente a superare il nostro mondo, la nostra natura, le nostre esigenze, il pensiero del nostro io per mettere prima di tutto il pensiero di Dio e sottomettere ogni cosa al pensiero di Dio, soltanto da quel momento lì incominciamo ad edificare la casa di Dio in cui esperimentiamo la presenza di Dio; naturalmente più esperimentiamo la presenza di Dio e più questa ci libera perché più noi esperimentiamo la presenza di Dio, la verità di Dio, il Regno di Dio e più naturalmente noi siamo liberi da tutti gli altri condizionamenti del mondo perché capiamo, vediamo la vanità, l’inutilità, la falsità e quando uno vede l’errore ha la forza, la possibilità di sfuggire a quell’errore lì. La tragedia è quando noi ci troviamo nell’errore e non abbiamo la possibilità di vedere l’errore. Allora se la casa di Dio si costruisce soltanto personalmente e ne deriva che quanto più il Regno di Dio si avvicina a noi e quanto più noi ci avviciniamo a Dio, tanto più questo diventa un fatto personale; mentre invece tutto quello che è massa, quello che fa parte di massa, gruppo, ecc., viene sempre di più ad appartenere all’ateismo, all’assenza di Dio, alla negazione di Dio. Per cui il Regno di Dio diventa una cosa sempre più personale e tutto quello che è invece massa, mondo, diventa sempre più negazione di Dio, rifiuto di Dio, cioè ateismo. Ecco andiamo sempre più verso questa grande differenziazione di esseri:

·         esseri che personalmente vivono sempre di più con Dio,

·         e esseri che invece, in massa, vivono sempre di più nell’ateismo, nella lontananza da Dio;

perché ho detto che la massa è la vita vissuta naturalmente secondo il mondo e naturalmente secondo il mondo c’è la distruzione della casa di Dio, quindi la non esperimentazione della presenza di Dio. Però qui Gesù dice: “….e io lo riedificherò”, cioè quella casa, quel tempio che l’uomo distrugge Dio lo riedifica. Questa riedificazione significa questo: che Dio opera anche attraverso tutti i nostri errori per ripresentarci continuamente la sua verità, la sua presenza. E ce la ripresenta in questi termini qui: che Lui attraverso tutte le cose, anche attraverso i nostri errori, Lui ci ripresenta…… ma la ripresentazione della sua presenza, ricordiamo che tempio, casa, vuol dire presenza di Dio, constatazione della presenza di Dio, la ripresentazione di questa presenza di Dio, il Signore ce la annuncia, non ce la impone, ce la annuncia, ecco la riedificazione del tempio. In quanto Dio attraverso i nostri errori ci annuncia la sua verità, ce la presenta, ci invita, ci fa giungere la sua parola. Gesù dice: “Verrà il tempo in cui anche nei sepolcri giungerà la mia parola e quanti l’avranno ascoltata…”, ecco quindi tra l’annuncio della verità di Dio, della presenza di Dio e l’entrata nella verità di Dio c’è questo passaggio che è sempre un passaggio personale. Invece la parola giunge a tutti, anche nei sepolcri, quindi anche a coloro che sono fuori, anche a coloro che hanno distrutto, coloro che continuamente distruggono la casa di Dio, Dio fa giungere, perché la verità di Dio che è al di sopra di tutte le opere degli uomini, anche delle opere sbagliate, per cui Dio fa giungere il suo annuncio. Allora diciamo che l’annuncio di Dio arriva a tutti, dentro e fuori, la constatazione, l’esperimento della presenza di Dio si ha soltanto nel tempio di Dio, nella casa di Dio. E casa di Dio è là dove è tutto sottomesso a Dio; mentre noi quando siamo fuori tendiamo a sottomettere Dio a noi, cioè a fare entrare Dio nelle nostre case. Ora, evidentemente Dio non entra nelle nostre case, Dio non può essere sottomesso a noi; qui abbiamo un principio di assurdità e quindi in questa assurdità noi non potremo certamente mai constatare la presenza di Dio anzi verremo piuttosto forse a trovarci in un dubbio eterno che potrebbe anche portarci nell’inferno perché non potremo mai verificare la presenza di Dio. Per verificare la presenza di Dio bisogna sottomettersi; l’esperienza è una sottomissione, sottometto a-. Se voglio fare esperienza dell’azione del fuoco devo sottomettere un pezzo di carta all’azione del fuoco, lo sottometto, il fuoco brucia, constato. Così è nei riguardi di Dio: soltanto sottomettendoci a Dio noi facciamo esperienza della presenza di Dio, della verità di Dio. Ma dobbiamo riconoscere assurdo il voler sottomettere Dio alle cose nostre perché in questo modo qui verremo a trovarci nella impossibilità di constatare, per l’assurdo che c’è nei termini stessi, la presenza di Dio. Ed è per questo che noi non constatiamo, non verifichiamo mai la verità di Dio, Dio è al di sopra; se fosse verificabile con i nostri mezzi la verità, la presenza di Dio, Dio non sarebbe più Dio. Dio per verificarlo deve ottenere da noi una sottomissione, una dipendenza e questo rapporto di dipendenza non si crea senza di noi, richiede la partecipazione nostra, senza la partecipazione nostra non c’è questo rapporto di dipendenza e quindi non c’è questa esperienza della verità di Dio, della presenza di Dio. E fintanto che noi non faremo esperienza della presenza di Dio, della verità di Dio, naturalmente questa esperienza non ci libera e noi saremo schiavi di tutte quelle cose che ci portano e ci conducono verso morte. Questo è il segno, la prova della verità di Dio di cui parlano i farisei quando gli chiedono: “Quale prova tu ci dai?”; la prova è questa, dare la dimostrazione che l’uomo distrugge e che Lui ricostruisce la casa di Dio e la ricostruisce proprio sottomettendoci a Dio. Tutta l’opera del Cristo è rivolta a questo: sottomettere tutta la nostra vita, i nostri pensieri, il nostro cuore, la nostra volontà, il nostro agire, tutto quanto. “Cerca prima di tutto il Regno di Dio e non preoccuparti del mangiare e del vestire….”, ecco la sottomissione. “Metti prima di tutto Dio, perché tu sei stato creato per Dio…”: soltanto mettendo Dio in alto e tutto il resto dipendente da-, quindi si richiede da parte nostra questo rapporto, questa sottomissione, questo vedere le cose dal punto di vista di Dio. Ora, nello stabilire questo rapporto, noi possiamo stabilirlo male o possiamo stabilirlo bene. Soltanto quando stabiliamo bene il rapporto con Dio, cioè rispettando la verità, noi constateremo la presenza di Dio, noi verificheremo la presenza di Dio, cioè verificheremo Dio che opera con noi, per noi, in mezzo a noi. Fintanto che noi non stabiliamo questo rapporto o lo stabiliamo male, noi non possiamo arrivare a constatare, ad esperimentare la presenza di Dio. E questa è tutta la conseguenza del seguire il Cristo perché seguendo il Cristo, Cristo ci porta a questa ricostruzione del tempio. seguendo Cristo prima di tutto ci libera dalle costruzioni sbagliate poi ci porta ad edificare quel tempio in cui noi esperimenteremo la presenza di Dio. Quel Dio che dice: “Noi verremo e faremo abitazione in-…”. Ora, non è che Dio si sposti da un luogo all’altro perché Dio è sempre presente, ma dicendoci “Noi faremo abitazione in-…”, noi condurremo colui, coloro che ci seguono ad esperimentare la nostra abitazione, la nostra presenza.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Pinuccia: Vorrei ancora fermarmi su questo edificare da parte di Dio; è un edificare che sempre richiede la nostra partecipazione.

Luigi: Da parte di Dio, Dio attraverso tutte le sue opere, quindi dico anche nel male, anche nella nostra dispersione, Dio annuncia la sua verità, quindi la compie sempre Lui la riedificazione. Perché noi distruggiamo il tempio di Dio…..

Pinuccia: Da parte di Dio c’è sempre la riedificazione ma noi possiamo anche non vederla…

Luigi: “La parola giunge anche nei sepolcri, coloro che l’ascolteranno…”, ecco noi possiamo anche non ascoltare, ascoltando allora noi edifichiamo con Lui questo tempio in cui si esperimenta la presenza di Dio. Perché soltanto edificando entriamo. Quindi Lui edifica l’edificio in quanto ci annuncia la sua verità. Ora, fintanto che noi siamo fuori la verità di Dio ci viene solo annunciata ma noi non la esperimentiamo. Infatti tutti quanti sentiamo parlare di Dio, a tutti quanti giunge la parola di Dio, a tutti (parola intesa anche solo come avvenimento, come fatto) a tutti quanti giunge questo, però chi esperimenterà…infatti tutti quanti perché non aderiscono a questo? perché per continuare, per poter aderire a questa parola, prima vogliono provare. E fanno un errore perché è soltanto aderendo noi proviamo invece non possiamo provare prima di aderire. Ad esempio Tommaso che dice “Se prima non vedo e non tocco non credo”, è un capovolgimento completo dei termini per cui assolutamente non si può arrivare, perché per poter esperimentare le cose di Dio bisogna essere nella casa di Dio, dentro Dio, nel Regno di Dio. Gesù dice: “Io parlo in parabole affinché coloro che sono fuori non capiscano, a voi che siete dentro, invece è dato capire i misteri del Regno di Dio”, vedi che fa distinzione tra dentro e fuori. “A voi che siete dentro è dato capire il Regno di Dio, a coloro che sono fuori tutto è detto in parabola affinché non capiscano”; cioè è il Signore che acceca coloro che credono di vedere affinché scoprano di essere ciechi, perché soltanto quando l’uomo si sente cieco incomincia ad invocare la luce, la vista; ma prima, fintanto che crede di vedere, la tragedia incomincia dal fatto che noi scambiamo l’errore per verità, le nostre tenebre per luce, crediamo di vedere invece siamo ciechi. Ecco allora il Signore come ricostruisce il tempio? facendoci toccare con mano che noi siamo ciechi; parla in parabole per accecare, per non farci vedere, affinché capiamo che non capiamo, ecco la ricostruzione. La ricostruzione da parte di Dio arriva sempre soltanto all’annuncio di questa verità, se noi ascoltiamo, allora entriamo e entrando esperimentiamo la presenza, esperimentiamo la verità di quello che abbiamo creduto. Per cui, diciamo così, fintanto che noi siamo in terra, siamo chiamati a credere, in cielo noi constateremo quello che avremo creduto; ma se noi non abbiamo creduto, noi non avremo niente!

Pinuccia: Soltanto in cielo si potrà constatare questo?

Luigi: No, no, perché noi più entriamo, perché il cielo comincia già qui. Più noi entriamo aderendo, credendo alla parola, più noi crediamo e più noi, la fede è un cammino, più noi seguiamo ciò a cui abbiamo creduto e quindi edifichiamo questa casa; edificando vediamo. Il vedere è una conseguenza del credere. Cina cosa hai capito di questo argomento?

Cina: Mi sembra di aver capito che è un grande impegno personale perché sennò distruggi…

Luigi: Sì, noi non impegnandoci personalmente con Dio, a sottomettere tutto a Dio, quindi: “Perché devo pensare a questo e non a quell’altro?”, se io metto prima di tutto Dio, faccio già una scelta già nei pensieri, perché Dio mi impegna nel pensare. Se guardo Dio, Lui mi dice: “Pensa a me… e perché tu pensi a quell’altro?”. Allora:

·         se metto Dio prima di tutto incomincio a fare tutta una scelta di pensieri perché incomincio ad impegnarmi come mente, in certe cose, in certi argomenti propostomi da Dio;

·         se non metto Dio prima di tutto la mia mente viene già occupata da tante altre cose: il problema della figura, dei miei interessi, la mia carriera, il mondo, gli affari, ecc.; già interiormente. Pensiamo poi dopo a tutto lo sviluppo!

Allora, vivendo naturalmente noi siamo portati via da tutta questa vita di impressioni, soltanto personalmente perché soltanto il pensiero di Dio, in quanto ci impegna a superare il pensiero del nostro io, è sempre un lavoro personale, non è mai una esplicazione di vita naturale. Noi naturalmente diciamo………… ma noi naturalmente andiamo all’inferno, personalmente dobbiamo dire, fatto da noi, fatto un superamento.

Cina: Nello stesso tempo non dobbiamo aspettarci tutto da Dio, invece di essere noi a costruire? Perché noi cosa possiamo fare? Invece con la grazia di Dio, con la sua verità, con la costanza nelle cose è tutto un ricevere dal Signore……

Luigi: Tutto noi riceviamo dal Signore, tutto, tutto, tutto…

Cina: Invece sembra che sia in mano nostra questo distruggere e questo costruire…

Luigi: Un momento:

·         il distruggere è tutta opera nostra, solo opera nostra, qui Dio non c’entra per niente, perché noi distruggiamo proprio in quanto dimentichiamo Dio;

·         il costruire è tutta opera di Dio, perché noi non possiamo costruire niente se non ci uniamo a Dio; ma unendoci a Dio, Dio ci impegna ed è proprio per restare con Dio che dobbiamo costruire. Non si può restare con Dio senza costruire: però la costruzione è tutta opera di Dio, è tutta grazia di Dio.

Se uno si preoccupa di pensare Dio, Dio stesso non soltanto dà la grazia, ma dà la volontà di costruire: è Dio che fa costruire perché ci dà la volontà, ci dà l’impegno a mettere tutto sotto di Lui. Ora, quel mettere sotto di Lui, è quello il costruire, perché è proprio quel mettere sotto che ci fa fare quell’esperienza di-. Perché ho detto che esperimentare vuol dire accostare a-. fintanto che le cose sono lontane noi non esperimentiamo niente, è soltanto accostando, cioè facendo andare vicino una cosa e l’altra come la carta col fuoco. Se io tengo lontano la carta dal fuoco non faccio l’esperienza di che cosa sia il fuoco; ma se io avvicino la carta al fuoco, sì. Però quell’avvicinare fa intervenire la mia opera, capisci? –

·         Il fuoco è di Dio

·         e la carta è tutto quello che Dio ci dà nelle mani, cioè tutti i nostri pensieri, il nostro mondo, la nostra vita, il nostro tempo, tutto! Tutte cose che noi dobbiamo sempre sottomettere a Dio;

·         la volontà di avvicinare e di sottomettere una cosa all’altra, è grazia di Dio cioè viene a noi soltanto in quanto noi abbiamo presente Lui, cioè soltanto in quanto superiamo noi stessi.

Più noi pensiamo a Lui e più Lui ci fa sentire la sferza, ci fa sentire il bisogno di sottomettere, quindi di accostare tutte le cose, quindi di non fare le cose indipendenti. Per cui dico: “Quella cosa non la posso fare se io penso Dio!” fintanto che io non la vedo come vuole Lui. Gesù infatti definisce il Figlio come colui che non può fare niente se non lo vede fare dal Padre: questa è proprio la caratteristica del Figlio, quella di operare tutto secondo il Padre, quindi è tutta grazia del Padre. Ma è il Padre che impegna per cui la costruzione è tutta opera di Dio perché noi non possiamo costruire niente senza Dio, soltanto per opera nostra. Soltanto per opera nostra noi distruggiamo, perché tutti gli edifici, è vero che noi costruiamo degli edifici, perché ognuno di noi in quanto è un essere esistente ha la possibilità (ho fatto l’esempio del pettirosso), di avere un suo campo di vita, un habitat, un campo di alimentazione, ognuno si costruisce una casa attorno a quello che è il suo interesse principale o il suo amore principale per poter restare sempre con quell’amore lì. Chi si sposa, per poter restare sempre con la sua sposa, si costruisce una casa; chi ama il denaro si costruisce una casa per poter restare sempre con quel denaro; perché noi operiamo per assicurarci sempre la presenza di-: e questa è la casa. Però tutte le costruzioni che facciamo non secondo Dio sono una distruzione del tempio di Dio, capisci? Come noi distruggiamo la casa di Dio? Con le costruzioni diverse da Dio, costruendo cose diverse da Dio noi distruggiamo la casa di Dio. Perché Dio ci chiama a costruire la sua casa, infatti quando noi lasciamo entrare Dio nella nostra vita, la prima cosa che fa qual’è? È quella di buttare fuori tutto il resto, di sgombrare perché noi siamo pieni di mondo, il quale mondo ci impedisce l’attenzione a Dio perché ci toglie via la disponibilità, il tempo, l’anima, la volontà, tutto. Ma come mai questo mondo qui è entrato dentro di noi? se il nostro interiore, la nostra vita interiore è casa di Dio? come mai è entrato? Abbiamo detto che quello che lascia entrare, che apre la porta della nostra anima al mondo è l’interesse per-. Quando io interesse per una cosa, ecco io apro la porta; tutte le volte che quella cosa lì mi viene ripresentata, quella mi interessa io apro la porta e quella mi entra e mi domina e io non sono più libero. Ma c’è stato un interesse da parte mia perché lì c’era la mia ambizione, la mia figura, il mio orgoglio.

Cina: Sono demente…..

Luigi: Sempre quando sono autonomo. La distruzione……

Cina: Nello stesso tempo non c’è niente di autonomo perché ogni cosa è opera di Dio….

Luigi: Tutto ciò che noi facciamo indipendentemente da Dio è distruzione della casa di Dio. per cui noi ci priviamo della possibilità, di esperimentare la presenza di Dio. Ecco distruzione vuol dire privarci della possibilità di esperimentare la presenza di Dio, capisci, vedi il danno che ci facciamo? Per cui noi siamo convinti perché noi non tocchiamo con mano, non esperimentiamo la presenza di Dio, anzi magari siamo convinti di essere nel giusto perché le cose effettivamente sono così, Dio è un’astrazione, Dio è una cosa lontana, la verità invece è questa. Perché noi ci siamo costruiti una casa in cui esperimentiamo la presenza di quello che abbiamo messo prima di tutto. È logico che se io mi sottometto al denaro, io esperimento tutte le conseguenze del denaro e allora Dio lo vedo molto lontano perché io sottomettendomi al denaro, quindi costruendo una casa per il denaro, io esperimento l’assenza di Dio non la presenza, l’assenza di Dio. Per cui dico: “È giusto vivere per il denaro, perché senza denaro non si può far questo, non si può fa quell’altro”; qui Dio è lontano, Dio è assente. Per esperimentare l’importanza della presenza di Dio, bisogna sottomettere le cose a Dio; soltanto sottomettendolo si fa l’esperienza della presenza di Dio e allora si constata e allora si constata che tutto quello che si poteva fare con il denaro non soltanto era niente anzi era addirittura una mancanza di vita, una privazione, una perdita di tempo. Infatti la bibbia ci dice che il Signore conduce a vecchiaia gli uomini che amano il denaro, la ricchezza, l’ambizione senza che se ne accorgano: vedi la perdita di vita? Per cui facciamo il nostro danno mentre noi credevamo di fare cose utili, noi facevamo cose dannose.

Signora:……

Luigi: Sì, ma glielo dico io signora: quando si è lontani dalla luce, quando si è lontani dalla verità, il danno più grave che noi facciamo a noi stessi, è quello di scambiare la nostra notte per luce, di scambiare il nostro errore per verità, i nostre sbagli per giustizia, le nostre colpe noi le scambiamo per virtù; ma questa è proprio una conseguenza dell’essere lontani dalla verità, perché per poter vedere e l’ingiustizia e il peccato e la notte e l’errore, bisogna già essere vicini alla verità, bisogna cioè avere la luce. Tu capisci che se uno non conosce la verità, non conosce l’operazione giusta, lui fa l’operazione sbagliata credendo di farla giusta; se non conosce la verità, lui scambia i suoi errori per veri: è lì il danno peggiore perché noi restiamo confermati di essere nel giusto e siamo nell’errore, di far bene e facciamo il male. Gesù arriva a dire: “Vi uccideranno credendo con ciò di rendere gloria a Dio…”, si arriva a questo, a uccidere credendo di rendere gloria a Dio, di fare le cose buone, di far bene. E Gesù lo giustifica dicendo: “Tutto questo accade perché non conoscono il Padre…”, ecco perché non si conosce. Ecco quindi la cosa più importante: questa ricerca, questo conoscere perché soltanto chi è dentro esperimenta, vede, chi è fuori non può; e allora il Signore, a tutti coloro che sono fuori fa sentire l’annuncio: l’annuncio lo fa giungere, l’invito lo fa arrivare, la sua parola la fa arrivare però il soggetto è questo: per l’uomo, per poco che sia orgoglioso, convinto di essere lui nella verità, di essere lui nel giusto arriva a fare come i farisei e dire: “Quale prova tu ci dai…”, mentre Gesù aveva dato una prova santissima; la prova era questa: che aveva fatto pulizia nel tempio di Dio. “Non trasformate la casa del Padre mio in una spelonca di ladri”, ecco la sua prova. Ora, di fronte a questo, perché la parola di Dio è valida in sé, di fronte a questa opera di giustizia, loro gli chiedono un segno, una prova per giustificare quello che Lui ha fatto. Capisci? Vedi l’errore? Chi è semplice, non chiede la prova, sta a vedere e constata che quello che ha fatto Gesù è una cosa giusta e non va alla ricerca di una prova: no, la prova di quello che Tu fai è quello che Tu fai! La verità di quello che tu dici è quello che Tu dici, non c’è bisogno di una prova.

Angelo: Soltanto passando attraverso le nozze di Cana noi constatiamo……….

Luigi: Abbiamo detto che il segno delle nozze di Cana è la novità: il segno della presenza di Dio è la novità; il vino nuovo cambiato, no? Questo è un segno, un segno esterno.

Però abbiamo anche visto che non basta quella novità lì per cambiare gli animi; perché di fronte alla novità del vino nuovo:

·         alcuni fraintesero e l’attribuirono agli sposi dicendo: “È stata una novità tua di offrire il vino buono all’ultimo perché tutti quanti fanno diverso!”, non hanno visto l’opera di Dio;

·         alcuni hanno visto il miracolo ma non hanno capito il significato;

·         soltanto i suoi discepoli, quelli che erano dentro, che erano già dentro, che avevano vissuto, che avevano già vissuto; quelli hanno capito il significato di quello che Gesù ha fatto, del segno, quello che ha voluto intendere con la trasformazione dell’acqua in vino, perché loro erano già stati trasformati, loro erano già dentro nella casa: perché la trasformazione è interiore ed è personale.

Ora, loro come erano arrivati? Erano arrivati attraverso il Giovanni Battista, attraverso quel battesimo di acqua; allora in questo caso, se noi intendiamo le nozze di Cana il processo attraverso l’acqua che questa purificazione interiore, questo mettere Dio al centro, questo superamento del nostro io, questo riempire il nostro mondo interiore di giustizia, il fare questa giustizia dentro di noi, allora tu hai ragione. Però si deve passare attraverso il Giovanni Battista, non basta solo il segno esterno. Capito? Per edificare la casa di Dio, si edifica in quanto si sottomette a-, e per sottomettere bisogna mettere qualcosa al di sopra di tutto: ecco il battesimo di Giovanni Battista. Il battesimo di giustizia è il battesimo che ognuno di noi è chiamato a fare, sta nel mettere Dio al di sopra di tutto nella nostra vita. Ora, mettendo Dio al di sopra di tutto nella nostra vita, che cosa succede in noi? Se io effettivamente ho messo Dio al di sopra di tutto, sottometto tutto a Lui, non mi permetto, né di dire una parola,né di pensare qualcosa, né di agire senza averlo prima sottomesso a Lui. ecco come si costruisce l’edificio avendo messo Dio al di sopra di tutto, se è vero quello che ho fatto, perché non basta dire: “Io consacro la mia casa!”, oppure: “Signore, io mi consacro a te!”; no! è un lavoro di tutti i giorni questo di mettere Dio al di sopra di tutto. Se io metto Dio al di sopra di tutto, vuol dire che tutto quello che penso, dico, faccio, lo sottometto a Lui e non mi permetto, e non devo permettermi di fare qualcosa che non veda voluto da Lui. ecco, allora così si edifica la casa di Dio in cui si esperimenta la presenza sua, si tocca con mano la presenza di Dio, l’opera di Dio.

Giovanni: Le nozze di Cana allora che segno rappresenta?

Luigi: È il segno di Dio nel mondo e per il mondo. Cioè qual è il segno che Dio lascia quando incontra una creatura? È la vita nuova. Però gli altri vedono la vita nuova, vedono il cambiamento però non capiscono; per cui dicono: “Quello lì è diventato matto!”, oppure: “A quello lì è successa una cosa straordinaria, perché ha cambiato carattere!”. Ecco soltanto coloro che hanno esperimentato la stessa cosa, coloro che hanno vissuto quella vita nuova dicono: “Ah, quello lì ha incontrato Dio!”. Questo è il segno di Dio nel mondo! Perché abbiamo detto che le nozze di Cana è il segno di Dio nel mondo, sono il segno di Dio nel mondo, è la novità di vita: la vita nuova. Il segno di Dio nel tempio, cioè dentro di noi, è questa incompatibilità, questa insopportabilità e Dio non sopporta altri amori, non sopporta altro. Quindi è necessaria questa semplicità di essere.

Angelo: Allora un ateo che non crede in niente non vede niente…

Luigi: Non vede niente! Resta nel dubbio, non può vedere, non ha creduto. Cioè, un momento, noi vedremo quello che abbiamo creduto a Dio perché Dio è la luce, no? Credendo si arriva a vedere e ognuno di noi vedrà nella misura in cui avrà creduto e per quello che avrà creduto.

Angelo: Quindi se io credo che una cosa sia bene e invece è male, vedrò quella cosa bene o male?

Luigi: Ah! No, no! Perché Dio ricostruisce sempre il tempio, eternamente, la sua verità è superiore a noi, ci fa toccare con mano il male. Ci fa toccare con mano l’errore del non credere, ad esempio. Perché ad un certo momento diventa tutto tempio di Dio. Ad esempio la pace è una conseguenza dell’essere nella casa; nessuno fuori avrà la pace. Quindi più il segno di Dio si afferma, più l’uomo trova dentro di sé l’inquietudine che è fondamentale. Mentre colui che mette Dio al di sopra di tutto, la prima esperienza che fa è la pace interiore, magari si trova in un mondo di conflitti fuori, di guerra, fuori (“Verranno guerre, pestilenze, ecc…”, dice Gesù), però lui dentro ha la pace, una pace che però si estende sempre di più, perché più siamo nel Regno di Dio e più questa casa si allarga e tutto ad un certo momento diventa casa di Dio. perché noi cominceremo la casa di Dio mettendo una pietra, un mattone, e poi, giorno dopo giorno, se noi sottomettiamo tutto a Dio, giorno dopo giorno apportiamo mattoni, mattoni, ad un certo momento il Signore dice che: “Anche gli uccelli dell’aria entreranno in questa casa, in questo Regno”. Ad un certo momento tutto diventa edificio di Dio e più diventa edificio e più c’è questa grande pace che invade tutto. Invece se noi non mettiamo Dio al di sopra di tutto cosa succede? Che il Regno di Dio si avvicina e più si crea in noi e attorno a noi un’inquietudine, l’ansia, il tormento, perché tutte le nostre sicurezze crollano e se c’è un’esperienza che facciamo al giorno d’oggi, è proprio quella di questo fallimento, il crollo di tutte queste sicurezze. Gli uomini hanno voluto avere la sicurezza del denaro e il denaro crolla, la sicurezza del mutuo, delle pensioni e sono tutti valori che un giorno o l’altro noi ci accorgiamo che sfumano, che non tengono più; le creature, tutto quanto: è l’opera di Dio, è il Regno di Dio. Chi vede l’opera di Dio dice: “Guarda come Dio opera; guarda il Regno di Dio che si manifesta!”, ma per vedere questo bisogna essere dentro, gli altri invece attribuiscono alla società, agli eventi, alle disgrazie, non possono vedere l’opera di Dio. Però l’inquietudine l’avvertono perché è logico che se Dio è la pace e se io faccio leva su altro, non trovo la pace, se Dio è la sicurezza e io faccio leva su altro, non trovo la sicurezza. Ecco, questa constatazione la fanno tutti. L’intelligenza è data soltanto a coloro che sono dentro.

Signora: Sentirsi in pace è già una conseguenza di essere con Dio…

Luigi: Certo…

Giovanni: Come ad esempio i discepoli di Gesù….

Luigi: Ma più uno resta con Gesù, siccome Gesù opera confermando, più va di conferma in conferma, di illuminazione in illuminazione, in una luce crescente, una conferma crescente fino ad arrivare al possesso dello Spirito, dello Spirito di verità, a Pentecoste.

Lo Spirito Santo è spirito di amore, quindi amore per Dio è Spirito Santo, più uno conosce Dio e più partecipa dello Spirito di Dio. Gesù dice che tutto l’universo è stato creato nello Spirito Santo, cioè nell’amore di Dio, perché tutto è stato creato per risvegliarci a quell’interesse per Dio, amore vuol dire interesse per-. Quindi in quanto uno ha desiderio di Dio, ha trovato lo Spirito santo. Quindi c’è il Padre che è il creatore, il Verbo, il Figlio che è la parola che giunge a noi, il desiderio di-, l’amore è opera dello Spirito Santo.



Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?” Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gv 2 Vs 18/19 Secondo tema.


Titolo: La fuga da Dio.


Argomenti: Si esperimenta ciò che si mette prima di tutto. Non sopportare la presenza di Dio. Dio si riprende tutto. Come Dio arresta la fuga dell’uomo. Dio parla nelle nostre parole. “Abbandonati” ai nostri desideri. Sottomettersi a Dio. Il dialogo di Dio con noi.


 

14/Novembre/1976


Luigi: Se hai sentito la cassetta e se hai ancora qualche cosa da chiedere…, poi finiamo questo argomento.

Eligio: L’interpretazione che hai fatto domenica scorsa è quella più interessante tra quelle che ho sentito finora. Infatti il tempio di Dio risiede nell’anima nostra. E anche vero che noi abitiamo nella casa che ci siamo costruiti cioè quei pensieri, quelle passioni che abbiamo portato. Quello che mi resta difficile capire è che noi vivendo per il nostro io, distruggiamo la casa di Dio. Ora Gesù dice che ricostruisce questo tempio che noi abbiamo distrutto in tre giorni. Io mi chiedo come possa avvenire questa ricostruzione da parte di Dio quando io, distruggendo il tempio di Dio, abito in un’altra casa, cioè esperimento un’altra presenza. La ricostruzione della casa di Dio, dove avviene, quale significato ha per me, quale funzione di riabilitazione può avere in me? Io avevo capito che questa ricostruzione avvenisse senza la partecipazione consapevole dell’uomo, il che non è possibile.

Luigi: Però il fatto che la distruzione del tempio di Dio avvenga da parte dell’uomo, questo lo capisci? Perché mi sembra che tu non abbia capito come possa avvenire questa distruzione del tempio di Dio da parte dell’uomo.

Eligio: E la ricostruzione da parte di Dio senza che l’uomo possa rendersene conto essendosi stabilito in un’altra casa, dopo aver distrutto quella di Dio.

Luigi: Come avviene la distruzione quello è chiaro?

Eligio: Sì, è chiarissimo, non compiendo l’atto di giustizia.

Luigi: Non sottomettendo tutto a Dio, perché siamo d’accordo che la casa, il tempio, è il luogo in cui uno esperimenta una presenza?

Eligio: Sì.

Luigi: Siamo d’accordo che noi siamo figli delle nostre opere, sì? Per cui agendo autonomamente, cioè agendo non secondo Dio, cioè non sottomettendo il pensiero, la parola, l’azione a Dio, noi diamo luogo a dei pensieri, a delle parole non motivate da Dio che ci condizionano perché diventiamo figli di quello che facciamo. Se faccio un pensiero, se faccio un desiderio non secondo Dio, divento figlio di questo desiderio e questo mi condiziona. Ma cosa vuol dire quel condizionarmi? Quel condizionarmi vuol dire che mi sottomette, cioè in quanto io non ho sottomesso a Dio qualche cosa, resto a mia volta sottomesso da quello che ho prodotto. È chiaro? Allora cosa succede? Che esperimento quello che ho fatto, perché divento Figlio di-, esperimento. La Bibbia dice: “Saranno tormentati dai loro idoli, dai prodotti delle loro mani, da quello che loro hanno voluto”. Ecco noi stessi subiremo il danno delle nostre opere. Esperimentiamo le nostre opere. Abbiamo amato il denaro? Esperimenteremo quanto vale il denaro al posto di Dio. Abbiamo voluto un re al posto di Dio? Esperimenteremo cosa vuol dire servire la creatura anziché servire il Creatore, ecco ognuno di noi esperimenta quello che ha messo prima di tutto. Dal momento che noi non sottomettiamo a Dio, le cose ci sottomettono. Sottomettono noi stessi e la casa si costruisce così perché ci fanno esperimentare la loro presenza. Se per casa noi intendiamo sperimentazione di una presenza, noi esperimentiamo quello che vale, quello che è, quello che vuol dire servire la creatura, qualunque sia, anziché il Creatore. Questo all’atto pratico non è che ci porti a distruggere il tempio di Dio, ci porta ad una fuga da Dio.

Eligio: Ecco, qui allora c’è già una correzione di tiro.

Luigi: Sì, siamo dominati da altre presenze che praticamente come si risolvono in noi? Queste altre presenze si risolvono in noi in una fuga da tutto ciò che è Dio, non fuga in senso lineare, ma fuga in senso riduzionale. Questa fuga consiste in questa riduzione al nulla, sempre più al nulla, mentre invece, sottomettendo a Dio, noi avremmo dovuto ampliarci all’infinito. Perché noi con Dio unifichiamo raccogliendo all’infinito, tutto in Dio, perché in Dio è possibile raccogliere tutto. Invece non sottomettendo a Dio, restando sottomessi alle cose, prodotti nostri autonomi non sottomessi a Dio, queste ci costringono ad una fuga a tutto ciò che riguarda Dio, appunto perché noi siamo sottomessi a queste cose. Cioè avendo sperimentato la presenza di altro, non sopportiamo la presenza di quell’Altro e tutto là dove quell’Altro accenna ad una sua presenza, crea in noi una fuga; c’è una fuga da Dio sottomettendoci alle cose si crea una fuga da Dio. Ma questa fuga da Dio non è un allontanamento in senso lineare ma in senso riduzionale. Cioè noi ci riduciamo sempre al più stretto, al più piccolo, perché anche quelle cose che noi abbiamo messo al posto di Dio e che ci hanno sottomessi, in quelle cose lì Dio mette la sua mano.

Eligio: Non ci cancellano la presenza di Dio….

Luigi: Cioè, le cose ci cancellano, ci creano questa fuga, quel distacco da Dio, perché noi restiamo sottomessi alle cose, perché Dio opera su queste cose. Ecco la ricostruzione di Dio: praticamente Dio ce le fa passare. Perché noi sottomettendoci alle cose, vorremmo che queste cose fossero assolute come Dio, pretendiamo che siano così. Dio mette il suo dito in queste cose qui, ce le rende relative, ce le fa passare e come lui mette la sua mano, il suo dito, crea un allontanamento e una riduzione sempre più nel piccolo, sempre più nello stretto. Dio ad un certo momento si riprende tutto, cioè tutto quello che noi abbiamo messo come assoluto, autonomo e di cui siamo diventati figli, Dio se lo riprende, mette il suo segno, fa risentire la sua presenza, fa risentire che lui è l’assoluto, cioè ricostruisce la sua presenza. Ma come ricostruisce la sua presenza, crea sempre di più, scaccia sempre di più noi, non è che ci metta dentro la casa, ci mette fuori, lui si riprende tutto. Se io ho messo del denaro al posto di Dio, Dio ad un certo momento si riprende il denaro, ma io vengo messo fuori, io sono cacciato fuori, resto senza Dio e senza denaro: il tempio è stato ricostruito ma io sono stato messo fuori perché non posso essere dentro se io stesso non sottometto tutto a Dio. Perché Dio opera la ricostruzione e segna il passaggio delle cose per farmi entrare, ma io non entro se non sottometto a Dio. Non è che entro soltanto perché Dio opera; io scappo da Dio, Dio mi corre dietro ma più mi corre dietro e più crea in me una fuga. Se non capisco la lezione e se non sottometto il pensiero del mio io a Dio, io non entro. Il tempio è ricostruito, ma l’uomo è cacciato fuori perché non ha l’abito di nozze.

Quindi Dio opera ricostruendo e abbiamo il tempo, nasce così il tempo in noi che è questa venuta di Dio, perché Dio si riprende quello che noi facciamo autonomamente. Tutte quelle case che noi costruiamo e nelle quali ci infiliamo e nelle quali abitiamo praticamente sono di Dio, noi spostiamo soltanto i valori quindi presto o tardi Lui se le riprende tutte, se le riprende e le fa abitazione sua. Ma come Lui le fa abitazione sua, noi non ci stiamo più in questa casa perché ci accorgiamo che la casa che credevamo nostra, non è nostra ma è dell’Altro, di quello che noi non abbiamo amato e allora noi stessi scappiamo, perché non la sopportiamo più. Perché ci accorgiamo che quello pietre che quei mattoni che credevamo di aver messo noi, è Dio, sono opere di Dio.

Ora, Dio opera in questa fuga (non so se ho reso l’idea di cosa significa questa fuga nostra da Dio e come avviene), Dio opera in questa fuga prima di tutto facendoci toccare con mano la relatività, quindi il non assoluto delle cose che noi abbiamo messo al di sopra di Lui; se noi capiamo la lezione, sottomettiamo noi le cose a Lui e allora rientriamo: Dio opera per farci rientrare.

Dio opera soprattutto per fermarci in questa fuga, per fermarci perché l’importante è arrestare questa fuga.

Ora, da che cosa è causata questa fuga?

Questa fuga è causata dal pensiero del nostro io non sottomesso a Dio.

Ora, come si arresta l’uomo in fuga?

Si ha una sola possibilità di fermare l’uomo in fuga: ed è in quanto incontra uno che si sottomette a lui; quello che arresta l’uomo dalla sua fuga è la sottomissione.

Allora, soltanto in quanto Dio si sottomette a noi, ha la possibilità di arrestare la nostra fuga; non automaticamente, perché noi qui, in conclusione, abbiamo il Golgota, abbiamo la crocee, abbiamo la morte del Cristo che si fa figlio dell’uomo, che si lascia uccidere dall’uomo per fermare la fuga dell’uomo. L’uomo sta scappando da Dio e Dio ha un solo modo per fermarlo: quello di sottomettersi.

Perché? Perché l’uomo di ferma con ciò in cui trova se stesso, pensando a se stesso.

Cioè nel paradiso terrestre, l’uomo si unisce alla donna quando scopre la donna come “ossa delle mie ossa; carne della mia carne”, cioè ritrova se stesso. Nel ritrovare se stesso, ma abbiamo sempre l’io, però si ferma. Quando quell’”osso delle sue ossa e quella carne della sua carne” gli richiederà il superamento dell’io, l’uomo scappa. Però l’unica possibilità per fermare l’uomo in questa fuga, è quella della sottomissione.

Già nel paradiso terrestre l’uomo si unisce alla donna quando scopre la donna come “ossa delle mie ossa”, come “carne della mia carne”, cioè ritrova se stesso. Nel ritrovare se stesso (abbiamo sempre l’io al centro) però si ferma. Quando quell’”osso delle sue ossa” e quella “carne della sua carne” gli richiederà il superamento dell’io, l’uomo scappa.

Però l’unica possibilità per fermare l’uomo in questa fuga, è quella della sottomissione ed è Dio che si sottomette all’uomo, che si fa Figlio dell’uomo per far toccare con mano e può essere che l’uomo rinsavisca. Ma l’unico modo da parte di Dio per fermare l’uomo nella fuga è quello di sottomettersi. Però non si sottomette nel senso assoluto in quanto condivida l’orgoglio e l’egoismo, si sottomette per fermare l’uomo e riprenderlo, se l’uomo si lascia riprendere.

Quindi da parte di Dio c’è il dono totale di se stesso fino a lasciarsi uccidere in modo che l’uomo tocchi con mano cosa vuol dire essere senza Dio e capisca che essere senza Dio vuol dire essere senza vita, forse rinsavisce: e questo è l’unico modo per arrestare la sua fuga. Quindi Dio opera sottomettendosi all’uomo però come l’uomo si arresta incontra…perché anche Dio ucciso dall’uomo opera ancora la salvezza dell’uomo, dialoga ancora con l’uomo e se l’uomo capisce che il suo io è solo delitto e che arriva ad uccidere l’autore della vita, ecco che ha la possibilità di sottomettersi a Dio e di capire il suo errore. Non so se è chiaro.

Eligio: Sì, ma tu hai parlato di riduzione e di fuga mentre Gesù ha parlato di distruzione che mi pare sia un concetto più assoluto.

Luigi: No, scusa, restiamo nel concetto casa che è il luogo in cui si sperimenta la presenza di un essere. Se io mi rendo impossibile la sperimentazione della presenza di Dio, io distruggo la casa di Dio; intendendo casa come il luogo in cui sperimento la presenza di Dio. Per sperimentare bisogna sottomettere a-. Se io non sottometto a Dio distruggo la casa di Dio; è logico, la distruggo per me, ma la distruggo. Questa distruzione della casa di Dio che mi mette in prigione, nella mia casa, cioè nei miei pensieri, nei miei prodotti, nelle mie azioni, quello che io ho fatto nelle mie mani e queste sono le pietre che io ho messo, in cui mi chiudo; questo per l’opera di recupero da parte di Dio che relativizza quello che io ho fatto come assoluto, crea in me la fuga: è la frusta. Cioè è Dio che recuperando quello che io ho messo come assoluto; e come lo recupera? Facendomi toccare che quello che io ho messo come assoluto, cioè luogo in cui io sperimento la presenza di quello, del denaro, della creatura, delle mie passioni, del mio mondo, che quello che io sperimento voglio sperimentarlo come assoluto: non è assoluto.

Cioè Lui mi mette la sua parola, mi fa sentire la sua parola in quello che io ho messo come parola. Cioè Lui parla le nostre parole; non so se ho reso l’idea! Pinuccia hai capito? Nelle nostre parole Dio mette la sua parola. Ma mettendo la sua parola, cosa succede? Che io mi accorgo che la mia parola non è più mia, ma l’Altro se ne è appropriato e la fuga nasce da lì. Ho reso l’idea? Il Signore si riprende quello che noi abbiamo messo come assoluto nella nostra vita e ci fa toccare con mano che quello che noi credevamo assoluto è relativo. E cosa vuol dire questo? che la nostra parola mi fa sentire la sua parola; ma come fa sentire la sua parola io scappo. Ho reso l’idea? Perché io resto unito solo a quella cosa in cui io vedo il mio io che è fatto da me. Ma quando io mi accorgo che è fatto dall’Altro, che l’Altro se ne è appropriato, quello mi crea la fuga, perché io mi sono sottomesso all’Altro e fintanto che non mi sottometto all’Altro, io scapperò sempre. Il demonio è definito come colui che non trova un luogo in cui sostare; passa di cosa in cosa, ma non può fermarsi in niente perché la fedeltà, la stabilità sono opera di Dio, di sottomissione a Dio. Se noi siamo sottomessi a Dio, ci riduciamo ad una fuga, non possiamo restare in niente, perché come noi facciamo nostra quella cosa, subito Dio dice: “No, è mia!”, la fa sua; ma come la fa sua, siccome noi non abbiamo accettato Lui, noi per scappare da Lui, scappiamo anche da quella cosa lì, perché non….

Ecco perché ho parlato di questa riduzione al nulla che è poi una riduzione in una situazione di inquietudine, di instabilità; mentre in Dio abbiamo una situazione di stabilità infinita ed è da qui che poi sfioriamo l’eternità, perché abbiamo l’unificazione infinita in Dio e quindi una visione unitaria. Quindi abbiamo l’eternità, vero? Staccati da Dio abbiamo la massima instabilità, quindi il passaggio è…ecco… l’inquietudine massima perché non c’è luogo di pace, perché tutto è di Dio, capisci? Tutto è di Dio! quindi se noi non ci sottomettiamo a Dio, non potendo sperimentare la casa, la presenza di Dio, noi siamo scacciati da tutto e da tutti, non troviamo un luogo per sostare.

Eligio: Il significato della ricostruzione del tempio da parte di Dio che rapporto ha con la creatura che distrugge il tempio?

Luigi: Ecco il Signore opera prima di tutto per fermarci nella fuga (e ne abbiamo già parlato), quindi per farci vedere, per farci sottomettere, perché il principio della stabilità e quindi il principio della unificazione, della fedeltà è il Pensiero di Dio.

Il principio della fuga, della riduzione al nulla, quindi della inquietudine, del tormento è il pensiero dell’io.

Dio opera per fermare questo principio di fuga, cioè Dio opera per far sottomettere il pensiero del nostro io a Lui; e per ottenere questa sottomissione cosa fa?

Si sottomette Lui a noi e questo è il primo giorno. Se noi aderiamo a Lui, cioè ci sottomettiamo, allora ecco Lui ci apre alla ricostruzione, cioè ci orienta all’essenziale: “Vedrete i cieli aperti”, cioè ci orienta alla conoscenza del Padre, a quella che è la coscienza, la speranza del fine.

Cioè il Signore ci dice: “Prima tu vivevi nel pensiero del tuo io, adesso che hai sottomesso il tuo pensiero, guarda che la vita sta nel conoscere Dio. Io ti prometto che questa conoscenza ti sarò data e sarà possibile”.

Il terzo giorno è l’inserimento in questa conoscenza, la Pentecoste, la conoscenza del Padre e quindi la possibilità di vedere, di vivere in questa casa perché avendo lo Spirito di Verità, si ha la possibilità di conoscere la verità. Anzi, lo Spirito di verità condurrà a vedere tutta la verità, anzi, condurrà a vedere la casa di Dio, tutto secondo Dio, tutto sottomesso a Dio e nel tutto sottomesso a Dio, noi sperimentiamo la presenza di Dio. L’esperimentazione della presenza di Dio, sta appunto nella casa, anzi la casa è il luogo in cui tutto è sottomesso al padre. Tutto, perché tutto è sottomesso al padrone; ma siccome questo “tutto sottomesso al padrone” presuppone una presa di coscienza da parte del pensiero del nostro io (la presa di coscienza è un fatto cosciente), questo non può avvenire per noi personalmente, senza la partecipazione nostra. Per cui Dio ricostruisce la casa, ma se non c’è la partecipazione noi siamo buttati fuori da tutto perché tutto è di Dio. Per cui tutto sarà di Dio, ma questo essere fuori, sta in un’inquietudine continua, in una impossibilità di sostare. Noi ci troveremo contraddetti da tutto; direi che è la presenza della contraddizione dentro e fuori di noi, dappertutto; c’è la contraddizione continua che è poi l’inquietudine, la constatazione dell’inquietudine. Invece se siamo sottomessi, noi constatiamo il tutto sottomesso a Dio e nel tutto sottomesso a Dio, ecco, troviamo la pace; perché troviamo la possibilità di contemplare, mentre fuori non possiamo contemplare. Non è che non potendo contemplare noi abbiamo un luogo per conto nostro, perché non c’è nessun luogo, “Non fu trovato un luogo dove Lui potesse sostare”; “Vedevo Satana precipitare……”, capisci cosa vuol dire questo “precipitare”? perché non c’è la possibilità di sostare perché tutto è di Dio, quindi c’è l’inquietudine massima. Invece nella sottomissione a Dio c’è la possibilità di contemplare in Dio tutto; all’infuori di Dio noi non possiamo raccogliere niente perché tutto Dio se lo riprende. In Dio invece noi abbiamo la possibilità, ed è la pietra fondamentale, in cui noi possiamo ricostruire tutto, vedere tutto in Dio, vedere tutto sottomesso a Dio perché effettivamente è tale; allora c’è la pace, la contemplazione, c’è la conoscenza e quindi la testimonianza. Per cui tutte le creature a questo punto, mentre prima ci contraddicevano, qui tutte le creature ci approvano, ci confortano, testimoniano. Ecco, allora uno si sente confortato, testimoniato, approvato da tutte le creature di Dio, ecco che allora si sperimenta la presenza, la validità di quello che uno ha messo come fondamento di questa casa. Mentre se ha messo altro fondamento, constata la contraddizione in tutto, tutto mi contraddice, tutte le creature mi contraddicono.

Eligio: C’è ancora un punto che non mi è chiaro: il concetto tra il tempio che viene distrutto e l’opera di Dio; pensavo a San Paolo che dice che Dio abbandona gli uomini al desiderio del loro cuore. Per questi come avviene la ricostruzione? Esperimentano l’abbandono?

Luigi: Sì, l’abbandono di Dio è proprio quello sforzo da parte di Dio per fermare la creatura nella fuga. Il lasciar fare alla creatura, seguire le proprie passioni vuol dire: “Tocca con mano! Hai voluto toccare la stufa, tocca con mano che brucia, ti scotterai!”. Se noi siamo in ascolto di Dio, Dio ci insegna e ci dice: “Non toccare la stufa perché scotta!” e se noi siamo sottomessi non abbiamo bisogno di toccare. La sapienza ti insegna e noi ubbidiamo alla parola, al Verbo e il Verbo ci evita l’esperimentazione del danno. Ma se noi non siamo sottomessi a Dio, Dio ci abbandona al nostro desiderio, alla nostra passione. Ecco: “Vuoi il re? Vuoi la creatura al posto di Dio? Tocca con mano cosa vuol dire servire Dio, tocca con mano!”. Ora però questo toccare con mano sostanzialmente cosa vuol dire? Che Dio si sottomette, ci dà la possibilità cioè di esperimentare perché se Lui non volesse, non ci fa proprio sperimentare niente. Se io covo in me il delitto, Dio per farmi toccare con mano quello che covo dentro di me, si deve sottomettere alla mia passione, cioè deve offrirmi, ma è Lui che mi offre l’occasione, la possibilità di uccidere altrimenti non uccido proprio nessuno, anche se covo il delitto, non lo esperimento. Quindi quell’abbandonare alle passioni, vuol dire che è Dio che si sottomette alla creatura affinché la creatura tocchi con mano, ma per toccare con mano Dio deve mettere il banco di prova. È Dio che gli mette davanti il banco di prova affinché tu abbia ad esperimentare quello che vuol dire seguire i tuoi desideri, le tue passioni anziché ascoltare Dio, anziché riferire a Dio, anziché sottomettere le cose a Dio.

Eligio: Allora non giusto parlare di abbandono in un’azione di recupero.

Luigi: Ma l’abbandono è azione di recupero. Di recupero in quanto la creatura non ha ascoltato la sapienza; perché se la creatura ascolta la sapienza di Dio non abbandona la creatura alle sue passioni. Ma l’abbandonare la creatura alle sue passioni è la condizione per far toccare con mano alla creatura. Ma tu capisci che per far toccare con mano alla creatura, Dio si deve sottomettere. Andiamo alle estreme conseguenze, se io nego Dio, Dio deve mettersi nelle mie mani, ma è Lui che si mette nelle mie mani per farmi toccare con mano che negando Dio io uccido la mia vita. Ora però, se Lui non si mette nelle mie mani, io non lo posso uccidere. Infatti è solo quando Lui ha deciso di offrirsi alla morte che la morte è venuta; prima, anche quando gli uomini cercavano di ucciderlo, non potevano mica ucciderlo. Quindi non basta che l’uomo desideri, bisogna che Dio si sottometta.

Per cui diciamo che se l’uomo commette il male, è anche opera di Dio quello! È Dio che fa per arrestare l’uomo in questa fuga, per cercare di salvarlo, fino alle ultime conseguenze. Dio opera per cercare di salvare l’uomo, affinché l’uomo tocchi con mano e forse, toccando con mano, se renda conto. Perché fintanto che l’uomo non esperimenta, resta nel sogno e crede che quello sia il suo bene, tocca con mano.

Da parte di Dio c’è sempre l’opera di ricostruzione, da parte dell’uomo, l’uomo solo, abbiamo sempre l’opera di distruzione; per cui il segno è questo: “Voi uomini distruggete il mio tempio ed io lo ricostruisco”. Quindi l’uomo distrugge il tempio di Dio, Dio lo ricostruisce continuamente. Cioè ritorniamo a quel principio: “Senza di me non potete fare nulla e senza di Lui, tutto ciò che è fatto è ridotto a niente”. È la riduzione al niente della creatura autonoma che non tiene conto di Dio, che non si sottomette a Dio.

Per quello che dico che il segno dell’opera di Dio sta in questo; tutto là dove vediamo ricostruzione, noi abbiamo la mano di Dio; tutto là dove noi abbiamo distruzione, noi abbiamo la mano dell’uomo. Ora, dicendo distruzione, diciamo l’uomo che tende a far fuori la parola di Dio per mezzo delle sue parole. Ricostruzione: siccome tempio è sperimentazione di una presenza, ricostruzione è tutto là dove Dio si fa sentire.

La parola di Dio si fa sentire in tutto e dappertutto: l’uomo si riduce al nulla perché man mano che la parola di Dio si fa sentire, l’uomo scappa perché non sopporta quel tale che sta parlando perché non l’ha accettato.

Soltanto colui che ha accettato l’Essere può accettare, ascoltare le parole dell’Essere. Ma colui che non ha accettato l’Essere può accettare solo le parole di coloro che lo approvano: ecco la fuga.

Per cui in un primo tempo la creatura che nega Dio avrà tanti che apparentemente la approvano, e lei si illude di essere approvata; ma man mano che il tempo passa, siccome Dio opera, le fa toccare con mano che nessuno più la approva e man mano che non l’approvano, lei scappa: non può sopportarli perché parlano un linguaggio che lei non vuole intendere, non può intendere.

Eligio: E nella fuga incontra la parola di Dio che si sottomette.

Luigi: Ecco, e dico che l’unico modo, direi, l’unico modo possibile per fermare la creatura nella fuga è la sottomissione perché la creatura si unisce a ciò che è sottomesso a sé.

Fintanto che una cosa è sottomessa, uno l’accoglie perché trova il suo io lì e si ferma con quella; ma non appena quella pretende qualcosa, un superamento, un sacrificio, la creatura scappa (la creatura che è incentrata nell’io). Allora, per fermare la creatura, da parte di Dio, l’unica opera è quella di sottomettersi: può darsi che attraverso questa sottomissione, siccome sottomettendosi Dio dialoga con la creatura, perché Dio incarnato è sottomissione.

Eligio: All’inizio hai parlato di una collaborazione da parte dell’uomo nella costruzione della casa di Dio.

Luigi: Questa è la condizione essenziale perché senza di noi diciamo che Dio ricostruisce tutto però noi siamo fuori, senza di noi non si entra, non si costruisce.

Diciamo che il concetto di entrare è subordinato al concetto di sottomissione a--; in quanto uno sottomette a-, entra in-. Non ci può essere sottomissione se noi stessi non ci sottomettiamo. Si tratta di sottomettersi a-, ma se io non voglio sottomettermi o non voglio sottomettere quello che ho, a Dio non posso entrare. Quella fatica “Sforzatevi di entrare”, il Regno di Dio c’è già, voi sforzatevi di entrare perché per entrare bisogna sottomettere,

Soltanto nella misura in cui uno sottomette cose sue e i suoi pensieri, le sue parole, le sue azioni a Dio, entra nel Regno di Dio e esperimenta la presenza di Dio nella misura in cui sottomette. Ecco allora la collaborazione che chiede Dio “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, collaborazione, no? Proprio perché Dio propone e l’uomo deve sottomettere e come sottomette entra, ma se l’uomo non sottomette non entra.

Adesso non so se il concetto di distruzione della casa e il concetto di fuga sono sufficientemente chiari.

Eligio: È tutto oggi che penso ad una frattura tra la distruzione della casa di Dio da parte della creatura e la ricostruzione da parte di Dio.

Luigi: Dio si sottomette alla creatura per fermare la creatura in questa fuga ma non è detto che questa la salvi. Cioè noi non siamo salvati perché abbiamo ucciso il Cristo, non basta! Non basta che il Cristo muoia e noi siamo salvi! Cristo muore per farci rinsavire, cioè affinché noi moriamo a noi stessi, affinché noi ci rendiamo conto del male che portiamo dentro di noi quando non ci sottomettiamo a Dio.

Se noi ci rendiamo conto allora ecco che il sacrificio è valido, allora la nostra salvezza sta lì; allora attraverso quel punto noi abbiamo preso coscienza della necessità di questa sottomissione. Ma se noi però non maturiamo in questa riflessione, quel sacrificio lì per noi è sangue sparso inutilmente. Resta come testimonianza del sangue di Dio sparso per noi ma noi non maturiamo.

Eligio: La ricostruzione da parte di Dio avviene continuamente e questo induce a una grande speranza.

Luigi: Sì, appunto, Dio parla nelle nostre parole, Dio pensa nei nostri pensieri, per cui mentre noi pensiamo una cosa, già nei nostri stessi pensieri Dio dialoga per farci sempre toccare con mano ad esempio la relatività di quello che scambiamo per assoluto. Io ad un certo momento dico: “Per me quello è il bene” e immediatamente Dio dietro mi suggerisce: “No, guarda che quello tra dieci anni passerà, sarà niente!”; vedi che Dio dialoga con noi e ha presente tutti i nostri pensieri, tutte le nostre scelte, tutti i nostri desideri? Ecco la ricostruzione; perché mentre io tendo a fare eterna una cosa, Dio mi butta nel tempo e mi dice: “Guarda che domani mattina quella cosa non ci sarà più!”: basta questo.

Vedi che la ricostruzione avviene in quel modo?

Giovanni: Dio dialoga con noi ma senza la sua presenza.

Luigi: No, Lui è presente in tutto, ma noi non la percepiamo la sua presenza. Per percepire la sua presenza, dobbiamo essere in casa, per essere in casa dobbiamo aver sottomesso.

Giovanni: E allora, come facciamo a dire che Dio dialoga con noi in tutto?

Luigi: Dio dialoga con noi in tutto perché c’è un punto in comune tra noi e Lui e il punto comune; è quello che mettiamo noi al posto di Dio. Ad esempio io metto il denaro al posto di tutto, evidentemente qui c’è il mio io perché se non ci fosse il mio io, cioè se noi fossimo semplici, noi metteremo sempre Dio al di sopra di tutto. Come mai io metto il denaro, che è inferiore a Dio, al posto di Dio? È perché c’è il mio io che mi scambia i valori, che mi falsifica le cose per cui io penso la mia ambizione e penso: “Se io riesco ad avere quel denaro lì, tutti mi battono le mani”; è il pensiero del mio io che mi fa scambiare. Mentre invece se seguo Dio, mi accorgo che nessuno mi batte le mani. Quindi quello che mi fa scambiare i valori è il pensiero del mio io. Però il denaro è anche di Dio, tutte le creature sono di Dio, anche se le metto al posto di Dio, sono di Dio. Ora Dio riprendendosi, cioè facendoci toccare con mano che quella cosa oggi c’è ma domani non c’è, che quella creatura tra quindici anni non ci sarà più: quello è il colloquio. Mi toglie l’assoluto, quindi il colloquio sta lì. Cioè io metto l’assoluto e Lui mi mette il relativo, me lo toglie. Ecco dico: nasce il tempo. Il tempo nasce da questo colloquio con Dio. mentre io tendo ad affermare: “Questo per me è tutto!”, Dio mi dice: “No, quello è relativo, quello passa, quello è niente”: ecco il colloquio con Dio, e mi mette nel tempo: domani non ci sarà più. Come può dialogare? Dialoga perché quello che io ho messo come assoluto è suo quindi c’è un trait d’union , c’è un qualcosa in comune: perché io utilizzo le cose che sono di Dio, noi siamo dei ladri.

Il denaro è solo un segno che sta al posto di tutti i beni cioè di tutte le creature, e tutte le creature sono di Dio. Quando io me ne approprio le porto via a Dio, perché io le dovrei sempre considerare in relazione a Dio, non appropriarmene “Dai a Dio quello che è di Dio”, tutto è di Dio, quindi sottometti tutto a Dio. Quindi usa di tutte le cose secondo Dio perché tutte le cose sono di Dio. Sei in casa d’altri e in quanto sei in casa d’altri rispetta la volontà di colui che è presente in questa casa, non agire autonomamente come se fossi in casa tua perché allora io ti sconfesso. Ma proprio sconfessandomi io dico: “Ah! Quella poltrona lì è bella e io me la prendo e me la porto a casa!”; tu mi dici: “No, è mia!” come dialoghi. Ma come dialoghi? Perché in quando c’è la poltrona in comune, da parte mia che tendo a farla assoluta, da parte tua che dici. “No, è mia!” e mi offri l’occasione di rispettare la presenza del padrone; vedi come ricostruisci la casa?

Eligio: Vorrei chiederti come mai abbiamo tanto presente il diritto di proprietà umana ed è così difficile tener conto della proprietà di Dio, del tutto di Dio.

Luigi: Vedi com’è facile? Io ragioni qui in casa tua, è molto facile, l’esempio viene chiaro. È quello che dicevo la volta scorsa, noi vivendo naturalmente, andiamo all’inferno perché naturalmente noi seguiamo il pensiero del nostro io, allora per noi tutto è chiaro: “Questo è mio; questo è tuo” perché nel pensiero dell’io, per intuizione, per natura, tutto è incentrato sull’io per cui è l’uomo che decide, è l’uomo che sceglie e noi non vediamo mica Dio, mentre dovremmo sempre tener conto di Dio.

Cioè noi siamo in questa superficialità, mentre Dio è profondità e per arrivare a Dio è sempre necessario quel complemento, quel superamento, un surplus di attività da parte nostra di anima, nel superamento di quello che appare, di quello che è superficiale.

Per cui apparentemente il sole gira intorno alla terra; approfondiamo un pochino e ci accorgiamo che la terra gira attorno al sole. Quindi noi abbiamo una situazione apparente che si riferisce al nostro io; apparentemente noi siamo al centro di tutta questa volta celeste di cieli, di sole e la nostra terra è fissa. Apparentemente, perché per poco che approfondiamo, dobbiamo capovolgere le cose. Ecco, la verità è profondità, mentre invece…….

Eligio: L’io è solo fonte di inganno.

Luigi: L’io è fonte di inganno, ma questo è lezione di Dio. Vedi che Dio sta dialogando con noi? e dialogando ci dice: “Guarda che il tuo io, se tu non tieni conto di Dio, è fonte di inganno. Quindi non fermarti al tuo io, supera, riferisci a Dio!”. vedi che dialogando, Dio ci fa capire che l’io è fonte di inganno?

Eligio: Dio ci ha dato una natura infernale.

Luigi: Siccome c’è questo pensiero dell’io da superare e fintanto che noi non superiamo il pensiero dell’io, la chiave è tutta lì! Però mentre tu dici che Dio ci ha dato una natura infernale, devi considerare che in questa natura qui Dio dialoga: tutti quanti noi siamo convinti di non essere Dio, convintissimi. E perché siamo convintissimi? Perché come dico sovente, basta un filo d’erba per sconfessarci. Quando io dico: “Domani mattina io farò questo, farò quell’altro……”, io domani mattina posso essere steso su un letto e non mi muovo più da lì. Convintissimo quindi che la mia volontà non è quella che decide; vedi che Dio mi fa toccare con mano? Non siamo noi che decidiamo. Se io dicessi: “Io voglio uccidere Dio”, Dio, quando deciderà Lui di lasciarsi uccidere per salvarti, tu lo ucciderai, prima no. tu sei impotente. Vedi che Dio dialoga? Dio ci mette in questa condizione qui perché ci deve essere la coscienza del nostro io e questo nostro io ci mantiene in questa superficialità. Però in questa superficialità Dio ci fa toccare con mano. Quindi i suoi messaggi, i suoi annunci, ci arrivano continuamente.

Come dico, noi continuamente, tutti i giorni, siamo bombardati da questi messaggi di Dio attraverso i quali Lui ci convince che noi non siamo Dio. ma basta sapere che noi non siamo Dio per convincerci che il nostro io non sta al posto suo se sta al centro della nostra vita. E allora, convinti di questo, si richiede il superamento, perché tutte le volte che mi fermo al mio io, implicitamente, ritengo il mio io come centro di riferimento, quindi come centro assoluto, quindi come Dio e faccio un errore perché sono sconfessato da tutto. Io non lo posso sostenere, io magari metto un’etichetta di umiltà, di ideale, di servizio agli altri. Perché se io dicessi apertamente: “Io sono Dio” tutti mi riderebbero in faccia. Vedo che sono sconfessato da tutto? Ma allora, se tutto mi sconfessa, io non posso sostenere la parte di Dio e devo dire: “No, io sono una creatura!” e se sono creatura non devo riferire le cose al mio io, non debbo scegliere soltanto in funzione di quello che mi piace, di quello che mi è utile, ma devo sempre tener presente Dio, devo sempre tener sottomesse le cose a Dio. Quindi le mie scelte, l’orientamento della mia vita, le decisioni, i giudizi, non devo mai fermarmi alle impressioni del mio io, ma devo sempre riferirle a Dio, devo sempre sottometterle a Dio perché è Lui il punto fisso di riferimento, non sono io.

Ad un certo punto noi potremo dire: “Ma tu Signore, mi hai dato una natura infernale per cui io credo di essere Dio”, noi non possiamo dire questo davanti a Dio perché tutti i giorni Lui ci fa toccare con mano che noi non siamo Dio.

Eligio: Noi tutti siamo convintissimi di non essere Dio; il punto è che c’è una frattura drammatica tra quella che è la nostra convinzione e quella che è la nostra giornata.

Luigi: È lì il difficile della vita, è lì che c’è la frattura in noi tra quello di cui noi siamo convinti (che noi non siamo Dio) e il nostro vivere. Perché noi viviamo come se fossimo Dio, allora c’è la frattura tra la nostra anima, la nostra mente e le nostre convinzioni e quello che facciamo: allora lì c’è l’infelicità. Infelicità che è sempre dialogo di Dio è Dio che ci fa toccare con mano; perché il nostro sospiro è proprio quello di vivere secondo Dio: è lì la fatica del vivere che richiede da noi questo stabilire la linea retta tra quello di cui siamo convinti e il nostro vivere quotidiano. Per cui noi dobbiamo realizzare il nostro vivere quotidiano secondo quello di cui siamo convinti.

Eligio: A livello teorico ci sentiamo il più delle volte dei collaboratori con Dio nella costruzione del tempio di Dio e invece praticamente operiamo delle distruzioni: è questa la rottura……

Luigi: È questa la fatica della vita e anche la bellezza della vita. Perché tu capisci che Dio prima di imporre la sua costruzione, ce la mette nelle mani e ci dice: “falla tu”. Cioè nella quantità, nel modo in cui noi facciamo, edifichiamo la costruzione secondo Dio, è tutto amore che noi diamo a Dio, quindi è tutta conoscenza perché noi potremo conoscere Dio nella misura in cui avremo cooperato all’edificazione, cioè alla sottomissione di tutto a Dio. Tu capisci che se Dio sottomettesse già tutto, noi saremmo bloccati nella conoscenza di Lui. Ma se Lui mi mette tutto nelle mani, mi dà il lume dell’intelletto e mi dice: “Guarda, il disegno è questo! adesso fallo tu!”, Dio mi dà tanta possibilità, capisci? Dio mi dà tutto da sottomettere a quel disegno: “Guarda, io ti do tutto questo materiale qui, il disegno te lo presento, adesso opera tu”. Mi dà la possibilità di cooperare alla costruzione. Noi abbiamo tanto materiale da sottomettere a Dio, tanto è l’amore, tanta è la conoscenza che noi guadagniamo di Dio. Perché tutto ciò che noi sottomettiamo a Dio, è un apporto di conoscenza in noi di Dio; perché la conoscenza cresce nella misura in cui noi sottomettiamo a Dio. Se io non ho niente da sottomettere, io non conosco più niente. Ma è proprio quella fatica di sottomettere la cosa a Dio, che mi dà la conoscenza di Dio, perché mi espande la conoscenza di Dio.

Eligio: La conoscenza di guadagna anche se sottomettiamo per fede?

Luigi: Sì, ci facilita, infatti noi vedremo nella luce di Dio tutto quello che noi avremo creduto di Dio, nella misura in cui noi avremo creduto. Abbiamo la lezione di Gesù a Pietro: “Adesso non capisci, capirai poi dopo. Ma se non mi lasci lavarti i piedi, non avrai parte con me!”. Ecco per cui, sapendo che esiste Dio, la lezione fondamentale è questa: “Accetta tutto da Dio, accetta tutto dalle mani di Dio perché c’è la mano di Dio in tutto. Accetta tutto; in quanto accetti, quello ti favorisce nella luce. “Per crucem ad lucem” (lezione medievale): attraverso la sofferenza che è accettazione di tutto dalle mani di Dio, si arriva alla luce. Perché la luce è vedere le cose sottomesse a Dio, è sperimentazione della presenza, ma la presenza presuppone la sottomissione perché si entra nella casa nella misura in cui si sottomette. Quindi se io ho tante cose da sottomettere a Dio, ho la possibilità di conoscere Dio, ma se non avessi niente da sottomettere, in quanto Dio avesse già tutto sottomesso e io sono bloccato, non conosco più Dio, ma a questo punto io sono fuori.

Pinuccia: Praticamente la sottomissione è l’accettazione.

Luigi: Diciamo che è l’inizio l’accettazione perché bisogna accettare tutto, tutto dalle mani di Dio.

Pinuccia: Se io accetto da Dio già sottometto tutto a Dio.

Luigi: Tu capisci che questo è l’inizio, è l’atto di fede fondamentale. In quanto debbo accettare tutto dalle mani di Dio, man mano che accetto, e apparentemente sembra una cosa facile, dico: “Accetto tutto dalle mani di Dio”. Ma se io fossi ammalato, steso su di un letto e non ho la possibilità di muovermi, ma proprio questa accettazione mi impegna tutti i giorni in quanto muovo, parlo, penso, a pensare certe cose, a parlare in un certo modo, ad agire in un determinato modo e quando penso, parlo agisco, non sono mica soltanto nel piano dell’accetazione. È lì il difficile, perché noi dobbiamo imparare accettando tutto.....

Perché abbiamo detto che ci sono delle cose che arrivano a noi senza di noi e lì ci vuole l’accettazione; ma ci sono invece tante cose che partono da noi e lì ci vuole l’intelligenza della cosa sottomessa a Dio. Perché soltanto se quello che parte da me è sottomesso a Dio perché poi noi diventiamo figli delle nostre opere. E allora se parte da me qualcosa di autonomo, ecco che questo già mi porta via a Dio. Quello che parte da me deve essere sottomesso a Dio. Allora, se da noi non potesse partire niente, se noi fossimo dei cadaveri, allora sì; allora tutto quello che arriva lo accetto dalle mani di Dio ma come dico, Dio è proprio in quanto ci chiede quella collaborazione, questa sottomissione, perché ci dà del materiale da sottomettere a Lui. ecco allora, tutto quello che parte da noi deve essere prima visto in Dio, secondo Dio. Allora dico: “Ma perché pensi questo?”, “Penso questo perché Dio è così! Perché Dio vuole così!”. Non dico questo perché mi piace o penso questo perché mi è simpatico, mi è utile, ecc.. no, se dico o penso questo è perché Dio è così, dico questo perché Dio è così, faccio questo perché Dio è così: ecco allora qui si edifica la casa, il tempio di Dio.

Pinuccia: Questo presuppone già una grande conoscenza di Dio perché come faccio a dire che Dio è così?

Luigi: La conoscenza viene dal dialogo con Dio, man mano che noi accettiamo le cose dalle mani di Dio, siccome abbiamo detto che Dio dialoga con noi anche nella nostra fuga, per arrestarci e dialogare con Lui. Lui ci corre dietro, ad un certo momento ci serve, si mette nelle nostre mani e ci dice: “Fermati un momento a parlare con me!”, perché nella fuga noi non parliamo, affermiamo e scappiamo. Lui arriva a sottomettersi a noi unicamente per stabilire un contatto, un dialogo. Dal dialogo scaturisce immediatamente la scintilla della conoscenza e allora abbiamo la comunione.

Pinuccia: Ma io volevo dire che prima di pensare, parlare, agire perché Dio è così, dovrei già conoscerlo tanto.

Luigi: Sì, perché mettiamo in chiaro che Dio già ci ordina di conoscerlo, di cercarlo, di metterlo al primo posto nella nostra vita dato che sei stato creato per conoscere il tuo Signore: quindi preoccupati di Lui, cerca Lui, conosci Lui. È necessario pregare sempre. Quindi direi che la preoccupazione fondamentale della vita è questa: io sono qui per conoscere il mio Signore. Cosa faccio per conoscere il mio Signore? Ora, è sufficiente che noi ci apriamo a questo orientamento che Dio immediatamente risponde, capisci? Perché mentre io faccio il passo della formica, Dio fa il passo da gigante per venirci incontro. Perché se noi lo cerchiamo è perché già Lui ci è venuto incontro. Quindi Lui opera inondandoci di conoscenza, inondandoci di luce, per cui basta che noi ci mettiamo di fronte al pensiero di Dio, che già immediatamente dentro ci sentiamo ribollire un’infinità di problemi: ma questo è già vita. È Lui che chiama attraverso questi problemi, ci invita ad approfondire, ci fa vedere un lungo cammino, tanto lavoro da fare! E più noi lo cerchiamo, più lo conosciamo, più diventiamo capaci di vivere secondo Lui: cioè di muoverci nella sua casa. Si capisce che in un primo momento magari siamo paralizzati perché viviamo in casa d’altri e poco per volta dobbiamo ricostruire tutto. Allora abbiamo il silenzio, il deserto, la crisi, è necessario poter vedere. Man mano che uno conosce il Signore, magari fa un passo fin lì e poi si ferma perché pensa che non conosce. Non si permette di fare perché lì non ci vedo Dio; quindi se posso soltanto muovermi di un metro, mi muovo soltanto di un metro e non di più perché penso: “Chi me lo fa fare?”.

Però man mano che non conosco Dio…… ad un certo momento uno si muove in tutto l’universo perché tutto l’universo è casa di Dio. E allora anche tutti i pensieri, tutti i problemi che vengono, uno li vede nella luce di Dio. mentre in un primo tempo magari non si scostava nemmeno da una parola perché non poteva muoversi successivamente altrimenti avrebbe parlato, agito non secondo Dio.

Signora: Mi ha già risposto perché avevo la stessa domanda di Pinuccia.

Luigi: Cosa hai capito stasera, di tutta questa conversazione?

Cina: Ho capito che il lavoro principale è sottomettere a Dio.

Luigi: Tutto, bisogna sottomettere tutto, perché magari noi crediamo di sottomettere tutto e diciamo: “Mi sottometto al pensiero di Dio…”, ma poi durante il giorno come opero? Tutto, anche le cose più sciocche vanno sottomesse a Dio, cioè vanno viste secondo Dio e se non riesco a capirle non le faccio, non le devo fare. Perché la vera liberazione, la vera felicità, sta nel poter vivere secondo Dio. ma per vivere secondo Dio devo vedere che quella cosa lì è secondo Dio, e secondo lo Spirito di Dio.

Cina: Questo mi ricorda la prima lezione di quando sono venuta a questi incontri che è stata che tutto viene da Dio, di avere questa fede che tutto viene dalle sue mani, che è il fondamento di tutto. Stasera me lo ricorda tanto questo fondamento….

Luigi: Sì, però ho detto che tutto viene da Dio però poi nella giornata noi facciamo tante cose che, se noi non abbiamo conosciuto Dio, incontrato Dio, partono dal nostro io o partono dalle abitudini che abbiamo assunto nel mondo, per cui facciamo le cose così, convenzionalmente, per tradizione o perché tutti fanno così; ma io sono convinto che novantanove persone su cento mi rispondono che tutti fanno così.

Pinuccia: E questo ci schiavizza, è fuga…

Luigi: Ma certo è già schiavitù, è fuga da Dio.

Pinuccia: Anche se apparentemente è una vita onesta…

Luigi: Ah sì, sì……facciamo l’esempio di una nostra giornata: tutto lavoro e casa, lavoro e casa, lavoro e casa. Ma Gesù ha proprio detto così: “Quelli che sono tutto lavoro e casa non assaggeranno la mia cena” e per noi lavoro e casa sono ideali di virtù di una persona. Quello a cui il Signore dice che non assaggeranno la sua cena cosa avevano poi? Il lavoro, la campagna, i buoi, la famiglia, la casa: “Non gusteranno la mia cena!”. Vedi come noi ci rendiamo? Perché noi mettiamo il “tutti fanno così” e per noi il “tutti” è un tetto, è l’assoluto, è Dio, ma tutti non è mica Dio. Dico che se noi interroghiamo novantanove persone su cento su questo argomento o sul loro modo di vivere, “tutti fanno così”, perché non c’è un’altra ragione, non lo sanno. Ecco come noi rimaniamo schiavi della convinzione, della tradizione che è poi conformismo. Ma il Signore ci dirà: “Ma come mai tu avevi preferito il “tutti” a me?” È lì che entro in gioco perché è il motivo che determina tutto poi davanti a Dio: “Per quale motivo tu hai preferito quello che dicevano tutti a quello che dicevo io?”. Perché se io facevo come facevano tutti, tutti mi battevano le mani, allora c’è il mio io lì dietro. Perché se non c’è l’io noi non possiamo assolutamente, nessuno di noi accetta il “tutti” al posto di Dio, se non c’è l’io in primo piano noi mettiamo Dio prima di tutto anche se tutti fanno in modo sbagliato. E questo lo abbiamo sperimentato tutti perché quando abbiamo scelto un amore, una passione principale tutti possono vivere in modo tutto come vogliono noi non sentiamo assolutamente, non c’è nessuna ragione che ci contrasta. Quindi “tutti” non è una ragione sufficiente per chi ha un amore; “tutti” diventa una ragione per chi non ha un amore.

Pinuccia: Anche perché conformandoci agli altri ci priviamo di una cosa meravigliosa: al destino a cui Dio ci chiama……

Luigi: Comunque in ogni modo il non vivere secondo Dio è sempre una diminuzione di vita perché Dio è vita. Per cui noi incontriamo sempre persone tristi, angosciate, piatte, monotone perché non c’è niente che possa riempire la vita, non c’è niente. Il Signore dice: “Ma se anche possedeste tutto il mondo……”, anche tutto il mondo, perché la vita non viene da quelle cose lì. Quindi in fondo in fondo, siamo noi che scegliamo la nostra tristezza, all’ultimo scopriamo la nostra tristezza; mentre apparentemente, mettendo Dio prima di tutto, apparentemente sembra che uno scelga una via difficile, di tristezza ma la conclusione è una grande gioia, una grande felicità, una grande pace perché Dio è vita. Dio è mica un essere che ami le torture, siamo noi che ci torturiamo, siamo noi che ci incateniamo, siamo noi i fabbricatori delle catene anche se siamo liberi, anche se siamo liberi! Viviamo come dei mendicanti a cercare chi ci domini, chi ci sottometta, chi ci renda schiavi, chi ci faccia soffrire, siamo noi nel pensiero del nostro io. E di lì, ecco il dialogo di Dio: “Tocca con mano, tocca con mano, tocca con mano…”, fintanto che ci convinciamo che veramente dobbiamo mettere Dio prima di tutto e non gli altri, non gli interessi.

Pinuccia: Praticamente abbiamo approfondito l’argomento di domenica scorsa….

Luigi: Sì, ma adesso chiudiamo una volta per tutte.



Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?” Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gv 2 Vs 18/19 Terzo tema.


Titolo: Armonia e luce nel tempio,confusione e tenebre fuori del tempio.


Argomenti: Il segno nel tempio. Voi distruggete, io ricostruisco. L’armonia di un unico amore. La ribellione dell’uomo. Avere presente il Fine. Adorazione e attenzione.


21/Novembre/1976


N.B.: L’incontro non è stato registrato.

 

RIASSUNTO 

(tratto dall’ Introduzione dell’incontro della domenica successiva 29/11/1976):

 

Meditando su questi versetti abbiamo dedotto che se ci sottomettiamo a Dio, abbiamo la possibilità di contemplare Dio in tutto e allora c’è la pace.

Bisogna precisare che si mette Dio al centro, in quanto si sottomette tutto a-.

Esperimento la persecuzione nel mondo se sono instabile, invece se metto Dio prima di tutto rimango nella la pace anche se subisco la persecuzione.

Sottomettendo tutto a Dio, si amano anche i nemici, non c’è più contrasto con nessuno, perché in tutto si vede l’opera di Dio, la mano di Dio, quindi si forma in noi questa armonia che è la casa di Dio: che è il “tutto secondo Dio”.

Cioè quanto più noi ci sottomettiamo a Dio, tanto più le cose le vediamo secondo Dio.

Il vedere le cose secondo Dio, crea questa armonia; l’armonia infatti è unità, il tutto fuso in un unico amore, in un unico Spirito e allora c’è l’armonia.

Abbiamo disarmonia quando abbiamo pensieri diversi, volontà diverse. Ma se cerchiamo di vedere le cose secondo Dio, allora anche i nemici, coloro che offendono, anche quelli che fanno la guerra contro di noi, anche in quelli si vede la volontà di Dio e vedendo la volontà di Dio si amano.

Si vede l’armonia perché tutto serve, San Paolo che ringrazia sia gli amici che i nemici, perché tutto ha contribuito a fare di lui quello che egli è diventato.

Infatti per colui che cerca Dio, che mette Dio al centro, tutto è opera di Dio, quindi tutto contribuisce, sia quello che a noi fa piacere, sia quello che a noi non fa piacere, tutto contribuisce alla nostra edificazione, alla nostra purificazione, cioè ad accelerare il nostro cammino verso Dio, perché tutte le creature servono Dio, anche l’inferno, anche i demoni servono Dio, tutto serve Dio.

Per cui anche colui che mi pesta un piede, il famoso piede pestato, è opera di Dio.

Ma come lo vediamo opera di Dio? In quanto mettiamo Dio al centro e quindi sottomettiamo tutto a Dio.

Sottomettendo tutto a Dio, accettiamo tutto dalle mani di Dio sapendo che in tutto c’è Lui che opera per la nostra salvezza.

Allora anche se non capiamo, ma sapendo che Lui opera per la nostra salvezza, vedendo in tutto la sua mano, si forma questa pace interiore; non c’è più il conflitto con niente, si accoglie tutto.

Il fatto che non esperimentiamo questa armonia è perché siamo noi che ci inganniamo, siamo noi che ci guastiamo perché la condizione per avere questa armonia è che noi mettiamo Dio al centro realmente e non solo a parole, che mettiamo Dio come interesse principale nella nostra vita, quindi che sottomettiamo tutto a Dio, che raccogliamo tutto in Dio: che costruiamo cioè la casa di Dio!

Abbiamo detto che la casa di Dio si costruisce sottomettendo a Dio.

Ma essa non si costruisce senza di noi, perché in noi niente è sottomesso a Dio se noi non sottomettiamo a Dio.

L’armonia quindi è interna ed è esterna perché anche in coloro che ci fanno del male, anche magari in quelli che oggi ci odiano (perché il Signore parla di persecuzioni), in tutto c’è la volontà del Padre, c’è la volontà di Dio.

Se tu operi facendo la volontà di Dio, c’è la pace interiore in quello che tu fai, lo fai perché Dio vuole quello e in quanto Dio vuole, la pace non ti viene portata via e tu operi per amore.

Gesù quando scaccia i mercanti dal tempio, opera per amore.

Quindi quell’atto violento non ha turbato la pace, perché era un’espressione d’amore.

Quando il Signore manda tante rovine, lo fa per amore, per amore delle creature, per salvarle.

Lui ovviamente ha un metro diverso perché Lui guarda il nostro interno, Lui sa che quando arriveremo alla luce vera, Lo ringrazieremo per tutte le prove attraverso le quali Lui ci ha salvati.

Dio ci provoca l’urto, ci manda una disgrazia, una rovina e noi non capiamo e allora si forma in noi una ribellione.

Però Lui che sa dove ci vuole condurre, sa che un giorno noi lo ringrazieremo di tutto ciò che Lui ci ha fatto passare.

E quindi ci rimangeremo le bestemmie, gli urti e piangeremo sui nostri errori:

·         Lui vede il fine, guarda nel fine e opera per il fine,

·         noi invece generalmente ci orientiamo, quando non abbiamo messo Dio al centro, a seconda delle condizioni di vita attuali;

per cui quando subiamo un contrasto, una disgrazia, quando veniamo urtati in quello che sono i nostri disegni, ecco che questo provoca un urto nei riguardi del Signore.

Però il Signore, vedendolo nel fine, sa che è necessario che io passi proprio attraverso quel momento apparentemente negativo: è l’opera chirurgica di Dio.

Dio non è che abbia creato delle sale chirurgiche, che ami tagliare, perché Lui, prima di operare avvisa.

Quindi noi abbiamo le parole di Dio che ci insegnano la giustizia, che ci insegnano la verità, che ci preparano, però noi possiamo non ascoltare le parole di Dio.

Allora, non ascoltando le parole di Dio, Dio prima di passare all’operazione chirurgica, Lui ci manda degli ammonimenti, delle lezioni più tenui, poi proprio quando non si può fare altro, allora arriva all’operazione, e lo fa per salvare.

L’operazione si fa per salvare la vita all’uomo, Dio opera per salvare l’anima, cioè l’essenza.

Perché Lui stesso dice: “Cosa vale guadagnare anche tutto il mondo se si perde l’anima?”. Quindi Lui tende a salvare l’anima e Lui sa che salvando l’anima, l’anima quando vedrà le cose nella luce, Lo ringrazierà di tutti gli interventi che ha fatto: perché lo ha portato alla salvezza, alla felicità, mentre se l’avesse lasciata ai desideri del suo cuore non si sarebbe salvata, “Soltanto colui che ama castiga…”.

Essere nello Spirito di Dio vuol dire vedere l’opera di Dio, vuol dire avere presente il fine.

Avendo presente il fine, l’anima sa che Dio opera per questa finalità qui e allora c’è questa armonia profonda che rende accettabile tutte le cose; per cui anche i conflitti che possono sorgere sono per il bene.

Quella persona che oggi mi è nemica, domani magari la ringrazierò di questo perché mi ha fatto maturare, perché mi ha fatto fare un passo avanti, mi ha aperto una luce nuova che prima invece mi avrebbe accecato (convinto magari di fare il bene mentre facevo il male).

C'è una beatitudine che dice che saremo perseguitati, ma che sperimentiamo questa pace interiore che è profonda e personale, se però questa persecuzione la prendiamo dalle mani di Dio, in quanto si vede che è opera di Dio.

Non è che sia un atto di virtù il prenderla dalle mani di Dio, ma è perché la si vede come mandata da Dio, come opera di Dio perché in tutto c’è la mano di Dio.

Quando arriviamo a questa convinzione, è questa che crea l’armonia interiore, questa grande pace.

Ci vuole una fiducia, un abbandono infiniti: ma questo deriva dal fatto che uno ha messo Dio come suo interesse principale, come centro della sua vita, perché la casa di Dio si costruisce, è costruita sopra la pietra di Dio, Dio è l’elemento sostanziale, l’elemento su cui va fondata la casa. Ed è di lì che deriva quella grande fiducia, quella grande pace, quell’armonia.

Però noi non siamo capaci di rimanere in questo pensiero perché noi siamo dei grandi incoerenti, dei grandi illogici, perché magari crediamo di credere in Dio, ma poi non siamo conseguenti perché basta soltanto il Pensiero di Dio per trarre immediatamente tutte queste conseguenze: se Dio esiste, io non posso fare a meno di accettare tutto dalle mani di Dio, perché tutto, Gesù dice: “Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati…”, “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, perché niente vi può accadere senza che il Padre vostro lo voglia, non cade nemmeno un uccello dai rami senza la volontà di Dio”.

D’altronde è logico, è una conseguenza diretta del semplice concetto di Dio: se Dio esiste, nulla può accadere che non sia voluto da Lui, tutte le cose sono volute da Lui personalmente per ognuno di noi, perché Dio dialoga personalmente con ognuno di noi.

È lì che salta fuori la difficoltà: quella di capire, perché sapendo che Lui parla con noi, il passo successivo è intendere le sue parole.

Il segno nel tempio

Adorare è accogliere in noi la rivelazione della Presenza di Dio: è riconoscerla e rispettarla. Essa infatti ci è annunciata.

Adorare è riconoscere in tutto la Presenza di Colui che parla e dice ad ogni uomo: "Sono io che parlo con te" (Gv 4,24).

Dio stesso si presenta all'uomo, poiché in tutto c'è Lui. Tutto è opera di Dio; tutto è adorabile; tutto è grazia; tutto è rivelazione di Dio a noi.

Dio opera in tutto per annunciare e rivelare a noi la sua Presenza. Dio è Colui che viene nella nostra vita.

Il tempo che passa è Dio che viene. Il suo venire è rivelazione della sua Verità, della sua Presenza in tutto. All'ultimo nostro giorno Dio sarà tutto in tutti.

Di fronte al Dio che viene l'uomo non può far altro che silenzio: coscienza del tutto di Dio e del nulla nostro; e questo è vera preghiera, adorazione. "Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo" (Dt 6,4-13), cioè: riconoscerai che tutto viene da Dio, che tutto è opera sua, che tutto è parlare di Dio con te, a te personalmente.

Siamo in un'aula in cui Dio tiene le sue lezioni per noi e parla a noi personalmente; siamo in un tempio in cui Dio è sempre presente, sempre esposto, sempre maestro. E noi dovremmo riempire i nostri pensieri e la nostra vita di tale sua Presenza per camminare nella realtà; per questo dovremmo sgombrare la nostra mente e mantenerla libera per ascoltare e intendere Lui che parla. Adorare è fare attenzione al Dio che parla con noi per rivelarci la Verità e per educarci alla vita.

Dio ha dato all'uomo un’intelligenza, una volontà, una vita perché le adoperasse non per conoscere le cose del mondo, non per guadagnare ricchezze e benessere, non per accumulare tesori in terra non per cercare la propria gloria, non per far trionfare una classe, una nazione o un popolo, ma per cercare e conoscere Lui, in cui è la vera sua vita, la sua luce e la sua vera libertà. "La vita dell'uomo è la visione di Dio" scriveva S. Ireneo. Conoscere la Verità è essere liberi (cf Gv 8,32).

Il valore della vita dell'uomo è costituito dal suo impegno di adorazione, dalla sua capacità di sostare in preghiera. Ma l'uomo può fare, e lo fa, della casa di Dio una casa di traffico e della sua vita un mercato. È la profanazione della vita.

Quel mattino in cui Gesù giunse al Tempio di Gerusalemme, lo trovò invaso da trafficanti e mercanti. Narra infatti il Vangelo di S. Giovanni: "La Pasqua era vicina e Gesù salì a Gerusalemme. E trovò nel Tempio uomini che vendevano buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute ai loro banchi. Allora fatta una sferza con delle corde, cacciò tutti dal Tempio con le pecore e i buoi e, sparse per terra le monete dei cambiavalute, rovesciò i loro banchi. A quelli poi che vendevano le , colombe ordinò: portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio una casa di traffico" (Gv 2,13-17). Li aveva scacciati tutti. Evidentemente quel mattino la pazienza di Gesù era giunta ai limiti di rottura e non aveva più sopportato.

Quello che avvenne nel Tempio di Gerusalemme è segno di quello che avviene nella vita di ogni uomo quando Dio viene, entra in essa.

Vero Tempio di Dio è la vita intima di ogni uomo. E quello che Gesù rimproverò allora, è quello che rimprovera ad ogni uomo: "La mia casa è un luogo di preghiera, ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri" (Mt 21,13).

Tutto è segno per la nostra vita, perché tutto è lezione di Dio per ognuno di noi. Egli ci ammonisce circa le esigenze della sua Verità, affinché abbiamo ad evitare di essere sorpresi dalla sua venuta, che può essere "come un ladro di notte" (Mt 24,43).

Con la cacciata dei mercanti dal Tempio di Gerusalemme, Cristo ci ha significato i limiti della sua pazienza e della sua sopportazione e ci ha rivelato il "segno" della sua presenza nel nostro tempio interiore. Tale segno è la incompatibilità in noi delle esigenze di Dio con le esigenze del mondo. Non si possono servire due padroni; non si può cercare la gloria di Dio e la gloria degli uomini. "E come potete credere voi che elemosinate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria dell'unico Dio?"(Gv 5,44).

Quando Dio entra nella nostra vita ci rende incompatibili gli idoli e le passioni del mondo. È la violenza di Dio che prende possesso del "suo" luogo.

Ma fintanto che in noi non avvertiamo tale incompatibilità e non troviamo difficoltà ad andare d'accordo con Dio e con il mondo, a servire Dio e il denaro, ad ascoltare cose di Dio e ad ascoltare cose del mondo, è segno che Dio non è ancora entrato nella nostra vita e che noi stiamo vivendo senza di Lui.

(I – 09.11.1977)

La casa è il luogo in cui si rivela e si esperimento una Presenza. Casa di Dio è il luogo in cui si rivela la presenza di Dio e se ne fa l'esperienza.

Fintanto che viviamo con pensieri non dipendenti da Dio, non in relazione a Dio, siamo fuori della casa di Dio, fuori del Regno, e profaniamo, con la nostra esteriorità, la profondità, l'interiorità del Tempio di Dio.

Tutto ciò che facciamo, o consideriamo, in modo autonomo da Dio, senza tener conto di Dio, ci mette fuori della casa di Dio, e quindi ci rende impossibile intendere la sua presenza e la sua verità. Allora Lo cerchiamo e non Lo troviamo, e poiché non Lo troviamo e non Lo esperimentiamo diciamo: non è vero, non esiste. Ma Dio esiste anche se noi non Lo troviamo. La sua esistenza non dipende da ciò che noi troviamo o non troviamo: se dipendesse dalle nostre ragioni, non sarebbe più Dio.

Piuttosto se noi non troviamo Dio ciò non è prova che Dio non esista, ma è segno che noi siamo fuori casa e Lo cerchiamo là dove Egli non si può trovare. Scriveva S. Agostino nel libro delle sue Confessioni: "Io non ti trovavo, Signore, perché ero tutto rivolto alle cose esteriori, mentre Tu sei nelle interiori; io nelle superficiali, mentre Tu sei nelle profonde; io nelle cose materiali, Tu nelle spirituali, io applicavo il mio animo, il mio interesse, i miei discorsi, nelle cose che passano, mentre Tu, Signore, abiti nelle cose eterne, perché sei l'Eterno".

L'esperienza della presenza di Dio si fa in casa, non fuori. L'intelligenza delle cose di Dio è data a chi è dentro, non a chi è fuori. Fuori di casa si fa l'esperienza della assenza di Dio.

La casa di Dio, essendo luogo della sua presenza, è fatta per un Amore unico, semplice, totale. Per questo l’uomo non può coltivare due amori senza perderli tutti due; non può servire due padroni senza scontentarli tutti due: senza cioè mettersi fuori casa. Ed è così, per i suoi tanti amori, che l'uomo viene ad esperimentare il "fuori" anziché il "dentro"; l'assenza anziché la Presenza; la materia anziché lo Spirito.

Dio ci ha dato la vita per edificare la sua casa ed abitare in essa, e quindi per esperimentare la sua Presenza e vivere in comunione con Lui. Ma la città di Dio è illuminata da una Luce unica. In essa c'è una vita unica e solo i semplici e i puri di cuore possono abitarvi.

Cristo entrando nel Tempio di Gerusalemme non sopportò i mercanti, i trafficanti. Non sopportò perché non sopporta. Entrando nella nostra vita, nella nostra mente e nel nostro cuore, non sopporta gli idoli. "Lo zelo della tua casa mi ha consumato" è scritto di Lui (Sal 69,10).

Tutti consumano la loro vita dietro qualcosa, per qualcosa: il denaro, il lavoro, la politica, la figura, la gloria. Sono idoli. Il Figlio di Dio la consuma per la casa del Padre, il luogo della sua dimora e della dimora di ogni uomo.

Vero tempio di Dio è ogni uomo, poiché Dio abita nell'uomo e si rivela nell'uomo. È per questo tempio che Cristo consumo se stesso: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio suo per salvare il mondo"(Gv 3,16).

Quello che avvenne nel Tempio di Gerusalemme quel mattino in cui Gesù scacciò i mercanti e i cambiavalute, è segno di quello che avviene nella vita di ogni uomo.

I mercanti, i trafficanti, i cambiavalute non vanno cercati o identificati fuori di noi (Cristo non ha operato per farci giudicare gli altri, ma noi stessi), ma vanno cercati nel nostro cuore, nella nostra vita, nei nostri interessi. È la nostra vita che è invasa dagli idoli del mondo. È nei nostro tempio interiore che abbiamo introdotto i miti del mondo e il culto del denaro e disposto banchi per i cambiavalute e i venditori di colombe, svuotando la nostra vita di Dio e trasformando la sua casa in una spelonca di ladri.

Non c'è più posto per la preghiera, per l'adorazione di Dio. Scriveva Kierkegaard: "Questo è appunto il paganesimo: la vita dell'uomo nell'assenza di Dio. L'uomo allora si conforma alla natura e perde la capacità dell'adorazione commettendo il reato più grave che gli si possa imputare".

L'uomo, anche quando prega e si crede religioso, riempie la sua mente, il suo cuore, la sua vita di pensieri di mondo, di affari, di passione per le cose che passano: trasforma la sua vita, che è un luogo di preghiera, in un mercato, in un luogo di traffici. Distrugge il tempio, la casa di Dio. Ma Dio non sopporta nella sua casa, che è l'uomo, tutto ciò che è estraneo al suo Spirito.

(II - 16.11.1977)

Ciò che profana il Tempio di Dio non è fuori, ma dentro l'uomo, perché è solo interiormente che l'uomo può distogliere il suo sguardo da Dio, la sua adorazione da Colui che l'ha creato, il suo ascolto da Colui che gli parla, per rivolgersi ad altro od a se stesso.

Profanatori del Tempio sono i profanatori del silenzio interiore, della fede, della preghiera, dell'adorazione; sono i profanatori dell'anima dell'uomo: coloro che esaltano come sacro ciò che non è sacro e come profano ciò che è sacro; che esaltano come giusto e adorabile ciò che non è né giusto, né adorabile, son coloro che dicono volontà di Dio ciò che volontà di Dio non è, ma interesse, ambizione, arriviamo, orgoglio; sono coloro che considerano autonomo ciò che autonomo non è, poiché tutto è di Dio e tutto va riferito, riportato a Dio.

Tutto è di Dio, anche l'uomo, questo essere che per nascere ebbe bisogno di un cielo con miliardi di stelle e di una terra fatta su misura per lui nel sistema solare. L'universo è di Dio, e l'uomo è di Dio, e la vita dell'uomo è di Dio, e tutto è di Dio.

Il Tempio è di Dio e tutto va dall'uomo considerato rispetto a Dio. È la condizione necessaria per restare nella realtà e nella giustizia.

Non c'è niente che possa essere considerato separato da Dio, poiché tutto è opera sua: "Contempla il cielo e la terra, osserva quanto è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti", così la Parola di Dio insegna (2 Mac 7,28).

Se l'uomo è orientato a Dio e lo mette prima di tutto, tutto in lui è ordinato a Dio e lo serve in silenzio. Allora nel Tempio si rivela la presenza di Dio.

Tutto è fatto per rivelarci la presenza di Dio; ma solo quando nell'uomo tutto è ordinato a Dio, tutto è in pace e in silenzio, solo allora la presenza di Dio si rivela: "Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, l'onnipotente tuo Verbo, Signore, dal cielo discese dal suo trono regale" (Sap 18,14). Quello che avvenne è lezione per quello che deve avvenire nella vita personale, interiore, di ogni uomo.

Il silenzio delle cose non è opera dell'uomo, ma è segno che l'uomo è entrato nell'ordine e nella pace del Tempio di Dio.

E questo è opera di giustizia, di quella giustizia essenziale che deriva in noi quando Dio è posto al centro dei nostri pensieri e della nostra vita.

Più l'uomo ha compiuto tale giustizia verso Dio, più il silenzio è in Lui, abita in lui. È la grande pace nell'anima, è il silenzio nel Tempio quando nel Tempio tutto è a posto.

Anche il nostro corpo quando sta bene è in silenzio: non si fa sentire. Ma se si fa sentire è segno che qualcosa in noi e di noi non va. Così l'universo, questa meraviglia di ordine, di intelligenza e di potenza che si sintetizza nel nostro corpo, è in silenzio. E le piante e i campi compiono un lavoro immenso e stupendo, quale nessuna industria dell'uomo può mai sognarsi di fare, poiché senza di essi non ci sarebbe vita umana sulla terra, nel massimo silenzio: non disturbano l'uomo, non si fanno sentire.

Tutte le cose sono state fatte bene da Dio: non disturbano l'uomo, ma lo servono, l'aiutano ad elevarsi a Dio. In questo si rivela se una cosa è fatta bene.

Ma se l'uomo non si occupa di Dio, se non dà spazio né tempo a Dio nei suoi pensieri, se non ha interesse e non tiene conto di Dio nella sua vita, un grande disordine incomincia a regnare in lui e in tutto l’universo, e allora le cose e i fatti si fanno rumorosi, pesanti, opprimenti: un mondo disumano da depressioni nervose, paure, angoscia, in cui tutto urla perché l'uomo non si occupa di Dio e si dimentica del suo destino. Allora il Tempio diventa un mercato, una spelonca di ladri.

Siamo stati creati per una cosa sola: abitare nella casa del Signore per tutti i giorni della nostra vita e vedere sempre, e quindi in tutto, la sua Verità.

Siamo stati creati per imparare a convivere con Dio. Per questo tu, uomo, chiunque tu sia, non ti fare alcun idolo né con la tua testa. né con le tue mani, né di ciò che fanno la testa e le mani degli altri. Non amare di accumulare alcun tesoro in terra; non ti prostrare davanti a ciò che il mondo esalta; non dire “mia vita” a nessuna cosa o creatura o luogo o impegno della terra; né a ciò che possiedi, né a ciò che non possiedi; né a ciò che fai, né a ciò che non fai o non puoi fare; né a ciò che guadagni, né a ciò che perdi, né a ciò che sei, né a ciò che non sei o che vorresti essere. Non dire "mia vita" a niente e a nessuno, perché tua vita è Dio.

(III – 23.11.1977)

Dio solo giustifica l'esistenza e la vita dell'uomo. La ricchezza, il lavoro, le scienze, la società, i partiti, le classi, le nazioni, non racchiudono né lo possono, il senso della nostra esistenza e della nostra vita.

Avendolo creato per la conoscenza della Verità assoluta ed eterna, Dio non ha lasciato l'uomo in balia delle tenebre delle cose che passano e nell’incertezza delle strade del mondo, ma gli ha fatto giungere i suoi annunci ed ha posto i suoi avvisi e le sue segnalazioni su tutte le strade. Per questo l'uomo fu riempito da Dio di fede e di speranza; anche se egli può con i suoi pensieri deviati e le sue passioni egoistiche riempirsi di angoscia e di morte, perché non c'è alternativa alla sua vocazione eterna che non sia distruzione dell'uomo e regno della violenza e degli automi.

Non ci sono destini diversi, ma uno solo per tutti gli uomini, poiché Dio è uno solo e la vita è una sola. "Solo l'incontro con Dio realizza completamente l'uomo" scrive il teologo Von Balthasar. Se questo è vero, fintanto che noi cerchiamo la realizzazione dell'uomo in altro e con altro, siamo destinati al fallimento, e quando orientiamo qualcuno a rivolgere la sua realizzazione in altro che non la ricerca e la contemplazione di Dio, lo orientiamo a falsi scopi e quindi al fallimento della vita.

Ogni uomo è creato, e quindi chiamato, per cercare Dio, per conoscerlo, per contemplarlo e deve fare di tutto per camminare su questa strada. Non perché Dio abbia bisogno di essere conosciuto ed amato dall'uomo, ma perché l'uomo non può essere ciò per cui Dio l'ha voluto e destinato se non cercando e conoscendo Lui.

L'uomo, è un vero tempio di Dio: tutto in lui è ordinato per ascoltare, pensare, pregare e amare Dio. Egli è fatto per trovarsi con Dio, e tutto in lui è inquieto, incerto, desolato, fino a che non trova la via per mettere prima di tutto la ricerca di Dio, la preghiera, il silenzio, l'ascolto.

Tutta la terra è desolata, orribilmente straziata, perché l'uomo non mette prima di tutto ciò che va messo prima di tutto, perché non intende e non segue il suo destino, perché non cerca Dio, non pensa e non prega.

Ognuno vivendo fa delle scelte, mette prima certi interessi, rivela un amore. Ognuno vivendo edifica una casa, anche se non ne è consapevole. Ed ognuno giorno dopo giorno viene ad abitare nella casa che vivendo edifica.

Non si entra in una casa che non si è edificata, né si può abitare in essa se non si è partecipati alla sua costruzione. Non si entra e non si rimane nella casa di Dio se non si edifica in noi la casa di Dio.

Una casa si edifica sottomettendo ogni cosa ad un disegno, ad un principio. La casa di Dio si edifica sottomettendo tutto a Dio. "Occorre condurre ogni cosa a Dio, invece di condurre tutto a sé" scriveva P. Garrígou Lagrange.

Sottomettendo invece la propria vita, i propri pensieri e desideri, ad altro da Dio, si distrugge la casa di Dio e ci si rende impossibile trovare la sua Presenza. Allora tutto diventa per noi estraneo, autonomo, corpo staccato, e in tutto si esperimento l’assenza di Dio. Ed esperimentando il silenzio e l'assenza di Dio si dice: Dio non c'è, anziché chiederci perché Dio ci abbia messi fuori dal suo Regno e dal suo Tempio.

Se vivendo edifichiamo comunque una casa, la casa in cui si esperimenta la Presenza di Dio non si costruisce senza di noi. Ne deriva che l'esperienza della presenza di Dio è personale.

Fintanto che viviamo senza stabilire un rapporto personale con Dio, siamo in fuga da Dio, dalla sua Presenza, dalla sua Verità, dalla sua Luce, dalla sua eternità; allora precipitiamo sempre più nell'abisso del tempo, della superficialità, della materialità, e non vediamo più le cattedrali di luce che si innalzano sopra di noi.

Dio è un fuoco che tutto trasforma, consuma e spiritualizza: Egli con le nostre rovine costruisce cattedrali e con le nostre note sbagliate costruisce sinfonie. E quando entra nella nostra vita fa sentire le sue esigenze ed inizia la consumazione, la purificazione e la spiritualizzazione di tutto in noi, poiché Egli è amore e l’amore rende simili.

Avendoci creati per partecipare al suo Spirito ed alla sua Vita ci rende simili a Sé; avendoci creati per l'eternità, ci rende insopportabile tutto ciò che non è eterno.

(IV - 30.11.1977)

Dio è amore, e l'amore rende simili. Infatti Dio creando l’uomo disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza" (Gen 1,26).

Nell'amore si diventa sempre più desiderosi di ciò che è conforme a colui che si ama. Per cui quanto più Dio ci rende simili a Sé, tanto più ci rende insopportabile dentro di noi ciò che è diverso da Lui e dal suo Spirito.

Questo accade "dentro di noi", non fuori, verso gli altri, poiché anzi l'amore di Dio in quanto arricchisce la mente e il cuore, rende più comprensivi, più buoni, quindi universali, cattolici. La carità di Dio tutto crede, tutto sopporta, tutto ama. È l'amore di Dio che rende l'uomo cattolico, universale, come il Padre nostro celeste "che fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi e manda la sua pioggia sui giusti e sugli ingiusti" (Mt 5,45).

Mentre l'uomo naturale che vive pensando a sé non può amare il suo nemico, e non sopporta fuori di sé chi non ha lo stesso suo amore e la stessa sua passione, ma dentro di sé sopporta i compromessi, le contraddizioni e le illogicità, l'uomo spirituale sopporta e comprende fuori di sé chi ha un amore diverso, ma non sopporta dentro di sé ciò che non è secondo la volontà e il pensiero di Colui che egli ama.

L’incompatibilità è dentro di noi, non fuori di noi; il "segno" è nel tempio, non fuori di esso. "Dio corregge e castiga coloro che ama", ci insegna la Parola di Dio (Pr 3,12; Eb 12,6; Ap 3,19).

L'amore di Dio quando entra nella nostra vita inaugura in noi un processo di unificazione e di semplificazione fino a consumare tutto di noi e del nostro mondo nella Verità e Unità. "Affinché siano consumati nell'unità" dice Gesù al Padre per i suoi discepoli (Gv17,23).

È un processo di purificazione e di spiritualizzazione, di liberazione. Per questo Dio è un fuoco che tutto purifica e consuma.

Dio avendoci creati per la Verità, ci rende insopportabile ciò che non è vero; avendoci creati per l'assoluto, ci rende insopportabile ciò che è relativo; avendoci creati per l'eternità, ci rende insopportabile vivere per cose che passano.

Abbiamo bisogno di assoluto, di eternità in noi e attorno a noi.

È il segno della nostra vocazione, perché è il segno della vocazione di Dio scritta nella nostra carne, nella nostra stessa terra, per cui essa non ci basta e non ci soddisfa. Così accade che Cristo, rivelazione della Presenza di Dio tra noi, quando entra nella nostra vita con la sua passione per il Padre, opera in noi, come primo segno della sua venuta, proprio questo renderci incompatibili i valori e le passioni del mondo, le vanità e tutto ciò che non ha il segno dell'eternità; ci fa cittadini del cielo, pellegrini dell'assoluto. Per liberarci dalle nostre dispersioni accende in noi la passione per l'assoluto e, l'essenziale.

"Dio è Spirito e vuole adorato i in spirito e verità" (Gv 4,24). Per questo viene sempre un giorno in cui Dio scaccia e anche malamente se è necessario per la nostra vita vera, tutto ciò con cui abbiamo riempito il suo Tempio, anziché riempirlo di Lui. È l'amore di Dio per l’uomo, che in ultimo per salvargli l'anima, esplode e si fa violento contro tutto ciò che è nemico dell'uomo, contro tutto ciò che disperde, soffoca e uccide l'anima, la vita vera dell'uomo.

Vero nemico dell'uomo è tutto ciò che gli impedisce di guardare in alto, che gli toglie la visione del cielo rendendolo incapace di amare e di pregare. Dio, non sopporta a lungo i nemici dell’anima dell’uomo, anche se l’uomo stesso, nella sua notte, li abbraccia e si stringe a loro, scambiandoli doli per amici e considerando Dio come un nemico. Solo l’amore di Dio si può permettere questa violenza. È la contestazione estrema di Cristo alla mentalità del mondo.

Cristo usando la frusta nel suo tempio non ci ci ha autorizzati ad usarla verso gli altri, ma verso di noi stessi. Le sue lezioni sono sempre personali e non debbono quindi essere applicate per giudicare gli altri, ma per cambiare noi stessi. Ci ha ammoniti cioè a liberare il nostro tempio interiore da tutto ciò che lo profana, da tutto ciò che sa di ambizione, di esaltazione, di interesse, di mercato, affinché in noi risplenda l'adorazione, la preghiera, l'amore verso Colui che è tutto.

Cristo è venuto a guarire l'uomo dal didentro, nella mente e nel cuore, poiché tutti i mali di cui soffriamo sono lì. A guardare fuori di noi non si risolve niente, si cambia niente, nemmeno facendo guerre e rivoluzioni, poiché non si rimuove nessuna delle cause che scatenano i mali. A guardare fuori non si fa altro che rinviare la soluzione del vero problema, e ciò che si rinvia si rende più difficile, più pesante e più ossessivo.

(V – 07.12.1977)

La nostra vita non riesce più ad accordarsi con i pensieri e le esigenze dell’anima. Tutti proiettati nelle cose dell'anima ci trasciniamo di cosa in cosa, di evento in evento, sempre alla ricerca di qualche scintilla di vita che dia colore e tono alla nostra giornata.

Non conosciamo più il nostro paese. L'amore all'interesse ed alle passioni del mondo hanno paurosamente fratturato l'integrità interiore dell'uomo, distrutto il Tempio di Dio.

Abbiamo bisogno di sentir parole che ristabiliscano in noi l'unità di vita tra noi e i motivi eterni di Dio e dell'anima. Abbiamo bisogno di sentir parlare il Signore, e che ci liberi da questa folla di parole urlanti sulle piazze della nostra vita; ci liberi e ci raccolga nel silenzio del suo Tempio.

Egli ha ancora parole per la nostra vita, poiché Egli stesso dice: "Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò. Prendete sopra di voi il mio giogo e imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime" (Mt 11,29)

Egli ha parole di pace e di perdono, ce lo assicurano i suoi profeti: “Egli perdona tutte le colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua vita; ti corona di grazia e di misericordia. Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. I giovani faticano e si stancano; gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali di aquila" (Sal 103,3-5).

Cristo viene per ricostruire l'uomo; e poiché l'uomo si costruisce in Dio, Cristo viene per riedificare in ogni uomo il Tempio di Dio che l'uomo, esaltandosi, distrugge.

Noi, pensando e vivendo per noi stessi, secolarizziamo il sacro; Cristo sacralizza anche il profano. Noi facciamo nostro ciò che è di Dio; Cristo fa di Dio anche ciò che è nostro. Noi proiettiamo la nostra ombra su tutto; Cristo irradia la sua Luce anche sulle nostre ombre. Dove noi facciamo il deserto, Lui promuove la sete; dove noi proclamiamo la sua assenza, Lui dice: eccomi; là dove noi togliamo il seme, Lui fa nascere un fiore. All'ultimo, quando noi crediamo di aver distrutto il suo Tempio, Lui ce lo la ritrovare più vero e splendente. "Voi distruggete questo Tempio; Io lo riedificherò in tre giorni"(Gv 2,19). È una realtà che si fa constatare nella vita di ogni uomo, e ci fa riconoscere la presenza operante di Dio tra noi.

Non siamo noi ad operare, ma Dio. Quanto più l'uomo si crede autore e di essere lui a regnare, tanto più Dio gli fa toccare i limiti, la noia, l'impotenza, il niente.

È Dio che regna: "Egli abbassa chi si esalta, ed esalta chi si abbassa. Disperde quelli che si gonfiano di orgoglio nei pensieri del loro cuore; rovescia i potenti con i loro troni e innalza gli umili; sazia di beni gli affamati e rimanda a mani vuote i ricchi. La sua misericordia si estende di generazione in generazione su quelli che lo temono"(cf Lc 50-53).

Nel Tempio di Dio, quel Tempio che Dio ricostruisce in ogni uomo, nonostante l'uomo, tutto è ordinato all'adorazione, alla coscienza cioè del tutto di Dio e del niente nostro. Qui non si litiga, non si contende, non si urla, ma tutto si accoglie dalle sue mani. La vita dell'uomo, quella vera, quella che si accorda con i pensieri e le esigenze dell'anima, nasce qui, all'interno del Tempio, nell'adorazione di Dio.

È per non privarlo della possibilità di questa nascita che Dio ricostruisce continuamente il suo Tempio nell'uomo che continuamente lo distrugge. L'uomo è nato da Dio e si realizza in Dio.

La ricostruzione del Tempio è personale, poiché l'amore è personale e il rapporto con Dio è personale. "Noi siamo essenzialmente destinati al rapporto personale con Dio, togliere all'uomo questa meta vuol dire tagliare le ali del suo spirito" disse Paolo VI. E Thomas Merton scrive: "La scoperto di Dio è l'unico scopo per cui un uomo possa vivere".

Dio è fonte di vita personale poiché chiama ogni uomo per nome. E quanti si sentono chiamare per nome da Dio se ne vanno dietro le sue Parole alla ricerca delle cose eterne.

Certamente il mondo non può capire perché non trova in essi le sue ragioni, le sue passioni e le sue lotte. Il mondo li critica e li contesta, ma quelli non ci pensano nemmeno a contestare il mondo ed a difendersi: se ne vanno cantando la gloria di Dio sui pascoli eterni del cielo.

(VI – Fine – 14.12.1977)

(articoli scritti da Luigi Bracco, pubblicati su “La Fedeltà”)

Voi distruggete, Io riedifico”(Gv 2,19)

È necessario pensare a Dio, parlare di Dio, perché è necessario che ogni uomo conosca Dio. Non c'è salvezza in altro, per noi e per tutto il mondo.

Fintanto che non ci convinciamo di questo, calcoliamo guadagni là dove sono perdite; ci vantiamo di quello che è nostra rovina; proclamiamo la nostra libertà e siamo carichi di catene; ci diciamo ricchi e vivi e siamo miseri e morti; continuiamo a battere l'aria con le nostre parole e ci allontaniamo sempre più dalla soluzione dei veri problemi della nostra vita, problemi nostri e di tutto il mondo che di giorno in giorno si fanno più pesanti ed ossessivi senza nemmeno la speranza di toccare un fondo. Non c'è un fondo toccando il quale l'uomo risorge: si può cadere di male in peggio all'infinito.

La ricostruzione non parte dal fondo, ma dall'alto. La vita viene dall'alto, dallo Spirito. La ricostruzione, nostra e del mondo, è in Dio, perché è Lui il protagonista di tutto.

Siamo in un'aula in cui ignoriamo il Maestro che parla e insegna. Ignorarlo non vuol dire farlo tacere o escluderlo dall'aula, ma vuol dire mettere noi in difficoltà.

Siamo in una casa in cui non teniamo conto del proprietario che vi abita. Non tenerne conto non vuol dire ch'egli cessi di essere proprietario nella sua casa, poiché non siamo noi che possiamo mutare la Verità. Noi da soli possiamo solo separarci dalla Verità, distruggere la nostra vita.

Quando Gesù scacciò i mercanti dal Tempio di Gerusalemme, i Farisei gli chiesero: “Quale segno ci dai per fare quello che fai?” La prova è questa, rispose loro Gesù: “Voi distruggete questo Tempio; Io lo ricostruisco”. Era il segno di Dio. Nessuna parola fu detta più chiara per distinguere l'opera dell'uomo dall'opera di Dio: l'uomo distrugge; Dio ricostruisce.

L'uomo disperde; Dio raccoglie. L'uomo chiude, Dio riapre. L'uomo rende schiavi e si rende schiavo, Dio libera. L'uomo schiaccia la vita, Dio la rifà. “Ritieni di poter schiacciare questo bruco? Ecco, è fatto. Non era difficile. Ora rifà il bruco” dice in un suo libro Lanza del Vasto. Ecco l'uomo: distrugge, ma non può più ricostruire.

È facile all'uomo schiacciare un bruco; non gli è più altrettanto facile rifarlo. Può staccare con facilità una foglia da un albero; non può più riattaccarla. Il segreto della vita e il mistero dell'uomo stanno qui, in questa semplice foglia che può staccare ma non più riattaccare.

La vita è un dono meraviglioso; ma non è nelle mani dell'uomo e non dipende da lui; così la fede; così la luce, l'amore. L'uomo può perdere la fede, soffocare la vita; ma non gli è più facile ritrovarle. Da solo fa il male; non può da solo fare il bene.

Ogni uomo porta così in sé, a testimonianza di ciò che egli è e di ciò che Dio è. Quello che l'uomo fa è la prova di ciò che egli è, e quello che Dio fa è la prova di ciò che Dio è.

Le opere dell'uomo rivelano e testimoniano l'uomo; le opere di Dio rivelano e testimoniano Dio.

Le opere di Dio, come le parole di Dio, hanno in se stesse la prova che le distingue da ogni opera e parola di uomo. “Nessun uomo ha mai parlato come Lui” dicono un giorno le guardie che i Farisei avevano mandato per arrestare Gesù (Gv 7,46). Nessun uomo ha mai parlato, e nessun uomo potrà mai parlare, come Lui.

Nel mistero di Cristo è il senso della esistenza e della vocazione dell'uomo; ma è anche il senso della presenza di Dio tra noi. In Lui non c'è soltanto l'uomo ideale, c'è Dio.

Tutto è stato da Dio ordinato all'uomo affinché questi possa conoscere che Egli esiste e che tutto è opera sua. Tutto è stato da Dio sottoposto all'uomo affinché questi possa liberamente occuparsi di Dio; così le cose esteriori sono state ordinate alla vita del corpo, e il corpo alla vita dell'anima affinché questa possa cercare Dio, sapendo che esiste, occuparsi di Lui, conoscerlo, amarlo ed entrare nella Verità e nella pace. Dio infatti è il massimo desiderio dell'anima, quindi il vero oggetto della sua occupazione.

La nostra anima non potrebbe desiderare la Verità se Dio stesso non le avesse fatto il dono di farsi oggetto della sua occupazione. Siamo stati creati per occuparci di Dio, per pensarlo, conoscerlo, parlare, vivere di Lui. È un dono, è la vita, è come la foglia che vive attaccata all'albero: noi la possiamo staccare dall'albero, perderla: e non ci è più possibile riattaccarla. Nel Regno della vita non c'è la reversibilità.

L'anima dell'uomo è fatta per pensare Dio, e l'uomo non deve disprezzarla orientandola a interessi diversi, a cibi diversi, o togliendole il vero cibo o privandola del tempo per nutrirsi della Verità, togliendole cioè il tempo per pregare, pensare, meditare, cercare e conoscere Dio. Disprezzerebbe la sua vita.

(I – 18.01.1978)

Bisogna ragionare di Dio; bisogna ragionare con Dio; bisogna far conto su Dio, perché Lui è la Realtà della nostra esistenza e della nostra vita, il "luogo" in cui noi esistiamo, ci muoviamo e siamo. "All'inizio, Dio; alla fine, Dio; tra questo inizio e questa fine, ancora Dio", scrive H. Rosier.

Certamente possiamo dire tante parole vane, errate, e proclamare che l'uomo è il padrone, che l'uomo è il protagonista della storia, il re del mondo, colui dal quale dipende il bello e il brutto tempo; possiamo dire che l'uomo è qui, che l'uomo è là; possiamo anche dire che ciò che fa tutto è il denaro, la violenza, il potere, o altro. Possiamo dire tante cose, e le diciamo; ma tutto quello che diciamo non cambia di un capello la Realtà.

Le parole degli uomini passano; anche gli uomini passano. La Realtà di Dio rimane, e Dio non ha difficoltà a dimostrarci, dopo che noi abbiamo urlato ai quattro venti la nostra onnipotenza, in tre minuti, e anche meno, la nostra impotenza e il nostro niente.

Dio è il Signore della vita, della storia; non l'uomo. Dio è il Signore dell'universo, e quindi dell'uomo, di ogni uomo, buono o cattivo. Dio è il Signore della nostra mente e della nostra anima. Senza di Lui possiamo solo agitarci ed agitare, ma facciamo niente.

È Lui che si degna di ospitarci nel suo universo. E siamogliene grati.

Lui ci ha dato la vita per imparare a convivere con la sua Presenza e la sua Verità. La vita non è una lotta per un posto di potere, né per prenderci a coltellate per un "mio" o un "tuo" che di qui a un quarto d'ora non è più né "mio", né "tuo". In questa lotta molti hanno perduto, e molti ancora perdono, la loro anima. Gesù dice: "Che serve ad un uomo conquistare anche tutto il mondo se perde la sua anima?" (Mt 16,26). Non possiamo dargli torto.

Perdere la propria anima per un po’ di prestigio, o per un posto di potere, o per mettere sul piedistallo una classe piuttosto che un'altra, è pagare a ben caro prezzo il posto di prestigio e di potere, che poi non è né di prestigio né di potere, ma soltanto rivelazione di un'ambizione e di una vanità. È vendere la propria primogenitura per un piatto di lenticchie, con il risultato dello scatenarsi di una lotta fratricida.

L'anima dell'uomo è desiderio, fame di Dio. Essa ci è data per guardare in altro, al disopra del mondo, perché la vita ci viene dall'Alto.

L'uomo che disprezza la sua anima, si rende impossibile la vita. Disprezzare è non tener conto. Disprezzare la propria anima è non tener conto della fame che l'anima ha di Dio, è vivere come se Dio non ci fosse, non ci interessasse. Allora ci crediamo noi i padroni, noi gli aventi diritto.

Senza fame non ci si nutre. La nostra anima è fame di Dio affinché abbiamo a nutrirci di Dio. Dio infatti è la nostra vita. Egli ha fatto la nostra anima fame di Verità, fame di assoluto, ed ognuno di noi porta con questa fame il segno e la prova del suo destino e della sua vocazione. Questo significa che Dio si è fatto pane della nostra anima, cibo per la nostra vita. Molti invece riempiono la loro anima di pietre e di affari, che non sono pane di vita. Riducono il Tempio di Dio, che essi stessi sono, in un luogo di mercato; lo profanano e ne fanno una spelonca di ladri.

Gesù dice, che gli uomini distruggono il tempio, la casa di Dio, soffocano la loro anima. Il Figlio di Dio invece la ricostruisce, giorno dopo giorno. L'uomo cioè per natura distrugge, materializza, inquina, disperde. Il veleno e la morte sono il segno del suo passaggio.

Il Figlio di Dio opera per dare la vita, per ricostruire ciò che l'uomo distrugge, e vuole che manteniamo la speranza, perché se senza Dio i problemi diventano insolubili, con Dio tutto i problemi hanno una loro soluzione.

Non c'è notte in cui Dio non semini la speranza dell'alba. Così la paura che è entrata nelle nostre città vedendo ciò che gli uomini politici non possono fare, ci apre il cammino alla speranza di ciò che Dio può fare: ci ritorna il senso di Dio e ci fa assistere alla gestazione di una umanità diversa e di una società nuova.

(II – 25.01.1978)

Gesù dice che gli uomini distruggono il tempio, la casa di Dio; il figlio di Dio invece la ricostruisce. Ma che significa distruggere la casa di Dio? E che significa ricostruirla?

La casa è il luogo in cui si trova e si rivela una presenza; è il luogo in cui si incontra, si conosce, si fa l'esperienza di colui che vi abita. Essa infatti è l'habitat che ha al centro l'esistenza, la presenza, il pensiero e la volontà di un essere.

In essa tutto è ordinato alla sua vita; tutto parla di colui che vi abita, perché in essa tutto è ordinato secondo la sua volontà e in tutto si rivela il suo pensiero. Per scoprirlo bisogna entrare nella casa, bisogna cioè entrare nel riconoscimento del rapporto di dipendenza tra le cose e colui che vi abita.

Fintanto che questo rapporto non è stato stabilito, o non è stato stabilito bene, non si scopre la presenza, o la si scopre malamente, in quanto si è presi a calci e messi fuori. Per cui la conoscenza della presenza è il banco di prova dell'autenticità del rapporto di dipendenza posto tra le cose e Dio.

Quando tale rapporto è stato posto bene, secondo giustizia e verità, si edifica in noi la casa di Dio, e questo ci conduce alla presenza di Dio.

Si edifica bene solo cercando Dio prima di tutto. Allora si entra nel Regno di Dio, si entra nel sacro. Infatti «è sacro tutto quello che accorda al Divino il suo primo posto» scrive Sertillanges. È profano invece tutto ciò che non accorda a Dio il primo posto. Farlo è profanare il suo Tempio. L'uomo non deve profanare il Tempio di Dio, non deve cioè non accordare a Dio il primo posto. Disprezzerebbe la Verità di Dio; ma disprezzerebbe anche la fame di verità, di luce, di infinito che Dio ha posto nella sua anima per mantenerlo sulla strada del suo destino e per la quale ha creato, e continua a creare, tutte le cose. Disprezzerebbe la sua vita.

La casa è di Dio e tutto va in essa sottoposto a Dio, in modo che in tutto risplenda la luce della sua Verità e abbia a vedersi la sua Presenza. Ecco, se noi facciamo il sacro, se mettiamo cioè Dio prima di tutto, tutto nel Tempio ritorna a posto: l'ordine si fa là dove era il caos, l'amore dove era l'odio, la pace dove era la guerra, la luce dove regnavano le tenebre. Allora si esperimenta la presenza dello Spirito di Dio e del suo Regno.

Il giorno in cui riconosciamo il nostro nulla e il suo Tutto, quello è il giorno benedetto in cui scopriamo il suo Tutto. È il nostro silenzio davanti alla testimonianza della sua Presenza, che molti uomini, purtroppo, esperimentano soltanto in punto di morte, perché soltanto quando Dio rimette a zero tutto di loro scoprono quello che Dio è, quello cioè che essi avrebbero dovuto scoprire fin da principio poiché Dio lo scrive in tutte le sue opere.

Ma proprio in questa ignoranza di Dio troviamo come l'uomo possa nella sua vita distruggere il tempio, la casa di Dio.

Distruggere una casa è impedirsi l'esperienza di una presenza. Distruggere la casa di Dio è impedirsi l'esperienza della presenza di Dio.

Che cos'è che impedisce all'uomo l'esperienza della presenza di Dio, poiché Dio è presente in tutto? Dio è una grandezza «incommensurabile» quindi non esperimentabile dall'uomo. Per questo, ogni volta che l'uomo vuole sottomettere Dio alle sue prove trova il vuoto; se chiede un segno, in uno mondo che è tutto segno di Dio, il segno non gli viene dato.

Siamo circondati, penetrati dalle opere, dai segni di Dio, ché tutto, cose, creature e avvenimenti sono segni, testimonianze di Dio. Ma l'uomo deve riconoscere e mantenere il rapporto di dipendenza di ogni cosa da Dio.

Separare, dividere le opere e i fatti dal loro Creatore, prescindere da Dio, considerare le creature in modo autonomo, è distruggere il Tempio di Dio, è disperdere e disperdersi; è privarsi dell'esperienza della presenza di Dio.

Bisogna riconciliare in noi i pensieri, i fatti, la vita, tutta la creazione con Dio. L'universo è retto da un Dio personale, Onnipotente, Intelligenza somma, Creatore, Padre degli uomini, che presiede alla vita di ciascuno di noi, che ci dà la possibilità di pensarlo, di ascoltarlo, di invocarlo, di conoscerlo. Anzi, non solo ce ne dà la possibilità, ma ci comanda di cercarlo, di conoscerlo di amarlo, affinché non abbiamo a morire.

Ci comanda di cercarlo perché ci comanda di vivere. Dio è la vita. Per questo ci comanda di cercarlo. E questo è testimonianza ch'Egli ci ama.

(III – 01.02.1978)

Dio è una grandezza che non è «esperimentabile», ma che si fa esperimentare.

Non risponde a chi pretende parli; ma parla a chi ascolta e veglia per ascoltare la sua parola. Non si assoggetta a prova ed esperimento, ed è logico, ma assoggetta l'uomo a prova, e quindi lo rende responsabile della sua fede. «Se non crederete che Io sono morirete nel vostro peccato» dice il Signore (Gv 8,24).

Il peccato in cui l'uomo muore è quello di vivere in modo autonomo da Dio, senza tener conto di Dio, senza riferire ogni cosa a Dio, senza cioè colloquiare con Dio, perché lo vuole ignorare. È il peccato di vivere, pensare, parlare come se Dio non ci fosse. Allora ci si mette fuori della casa di Dio e si esperimenta la sua assenza, la sua morte. «Avete ucciso l'autore della vostra vita» dirà s. Pietro sulle piazze di Gerusalemme (At 3,15). Non tener conto dell'Autore della vita è privarci della vita. Per questo Gesù dice: «morirete nel vostro peccato». Non credere in Dio, non far conto di Lui, è il peccato mortale per l'uomo.

L'esperimentazione di una presenza richiede il trovarsi nelle cose in cui quella presenza si rivela, cioè nelle cose di quell'essere, nella sua «casa», dentro il suo Regno. A coloro che sono «fuori», tutto è detto in parabole. Essi si trovano cioè con un testo la cui chiave è altrove.

È solo chi è «dentro» che fa l'esperienza della presenza e può leggere e intendere.

La presenza è luce per l'intelligenza. «A voi è dato conoscere i misteri del Regno» dice Gesù a coloro che sono con Lui, ai suoi discepoli, cioè a coloro che sono attratti dal Padre perché hanno Dio nel loro cuore, al centro dei loro interessi (Mt 13,11). A coloro che sono fuori, tutto è solo annunciato, ma non rivelato, e quindi non esperimentato.

Per essere dentro alle cose di un essere, in casa sua, è necessaria la componente soggettiva, personale, che riconosca ciò che è di un essere, che riconosca cioè il rapporto di dipendenza delle cose da Lui. Per questo l'autonomia della creatura da Dio la mette fuori della casa di Dio. E poiché tutto è di Dio, tutto ciò che noi consideriamo in modo autonomo, separato da Dio, senza riferirlo a Dio, ci mette fuori della casa di Dio, nelle tenebre esteriori. Ci rende impossibile l'intelligenza delle cose di Dio. «Chi con Me non raccoglie, disperde» dice il Verbo di Dio (Mt 12,30).

Solo facendo dipendere ogni cosa da Dio, dando a Dio ciò che è di Dio; solo facendo questa giustizia, ed è la vera, si entra nel Tempio di Dio, nel suo Regno, si edifica la casa di Dio.

Per essere dentro alle cose di Dio è necessario uscire dalle cose nostre, del nostro mondo, dei nostri interessi; uscire da tutto ciò che ha per centro il pensiero del nostro io, e mettere al centro il Pensiero di Dio. È necessario dare a Dio ciò che è di Dio.

Non si entra cioè nella sua casa se non la si edifica; ma non la si edifica se non si considera ogni cosa in dipendenza da Dio.

La casa di Dio è il luogo dentro il quale si manifesta la presenza di Dio. Presenza che è ovunque, opera e si annuncia in tutto, ma che per manifestarsi richiede la sacralità: Dio posto prima di tutto, sopra tutto. Dio si annuncia in tutto; ma si manifesta nella sua casa.

La casa di Dio è sacra; tutto in essa è in rapporto a Dio, dipendente da Dio. È questa sacralità che illumina la casa interiormente e rivela la presenza di Dio. Per questo il Vangelo dice: “Chi fa la Verità giunge alla Luce” (Gv 3,21).

La casa in cui si esperimento la presenza di Dio non si costruisce senza di noi. È una costruzione spirituale, personale, interiore.

Allora si fa luce sulla realtà umana. Ogni uomo è un collaboratore nella costruzione interiore e soprannaturale del Tempio di Dio. Ma chi non lo edifica, si mette fuori. L'uomo non esperimento la presenza di Dio perché non si preoccupa di edificare interiormente la casa di Dio. Egli così è sempre fuori casa. Per questo esperimenta in tutto l’assenza di Dio, pur non potendo negare la Verità di Dio che si annuncia in tutto, anche a coloro che sono fuori.

Tutti protesi sul mondo esteriore ci condanniamo all'incertezza ed alla superficialità, e quindi alla volubilità del mondo esteriore che è in continua mutazione.

Se non edifichiamo la casa di Dio in noi sottomettendo ogni cosa a Dio, riferendo tutto a Dio, e se non la edifichiamo come va edificata, non possiamo esperimentare la presenza di Dio. Ne deriva che l'esperienza della presenza di Dio è «personale».

(IV – 08.02.1978)

L'annuncio di Dio, della sua Verità, della sua presenza in tutto, è universale. Tutti annunciano la sua Verità, tutti la comunicano, anche coloro che la negano.

Dio è un faro che fa giungere il suo raggio di luce a tutti per mezzo di tutti e di tutto, fino agli estremi confini della terra.

L'annuncio di Dio è ovunque, per tutti ma l'esperimentazione della sua Presenza è solo per chi è «dentro», «nella casa».

Ora, per entrare nella casa di Dio, luogo in cui tutto è ordinato secondo la volontà di Dio, si richiede un passaggio personale: il superamento dei pensiero dei proprio io «Chi vuol venire dietro di Me rinneghi sé stesso» dice Gesù (Mt 16,24). Questa è la porta che introduce nella città di Dio, nel suo Regno, dove si incontra la sua Presenza.

Attraverso tale porta si passa uno per volta, proprio perché si richiede il superamento del pensiero dei proprio io, che è personale. Ne deriva che l'esperienza della presenza di Dio è personale, quindi incomunicabile. È la pietra bianca di cui parla l'Apocalisse su cui è scritto un nome riservato a chi la riceve (Ap 2,17).

La casa è il luogo in cui tutto ha senso e significato per chi vi abita; in cui tutto è ordinato ad un fine e chi vi abita trova qui la sua pace. Ognuno costruisce una casa per realizzare la sua vita e vivere con ciò che ama e per ciò che ama. Ognuno si costruisce una casa come un suo luogo di rifugio e di pace.

La pace infatti è armonia di tutto in un fine, accordo di ogni cosa secondo un'unica volontà. Cosi è la casa, il tempio di Dio, per cui ogni uomo ha avuto l’esistenza e in cui deve imparare ad entrare, a restare ed a vivere. Qui la pace assume un profondo significato e ci rivela il suo luogo.

Ogni cosa nell'universo ha un suo luogo, e non si fa trovare fintanto che non la cerchiamo in esso. Anche questo ha un significato per i nostri rapporti con Dio. Chi andasse a cercare uva su di un faggio od un larice, si condannerebbe all'utopia, appunto: al non-luogo. L'uomo può condannarsi al non-luogo e passare tutta la sua vita a cercare uva su di un faggio od un larice. È la vita della maggior parte di noi.

Per trovare una cosa bisogna sapere il luogo in cui essa si può trovare. Invano gli uomini parlano di pace, sognano la pace se non sanno il luogo dove essa si trova.

Allora la pace diventa veramente utopia, un non-luogo, una parola vuota. Cercano uva su di un faggio. Invano essi si affrettano a dirsi a vicenda: vogliamo la pace! Come due persone invano si direbbero a vicenda: “camminiamo insieme” quando una vuole andare in un luogo e l’altra in un altro.

La condizione per camminare insieme è di avere la stessa meta. Il voler camminare insieme quando si hanno mete diverse diventa sogno, utopia. È qui la causa del fallimento di tante unioni: vorrebbero stare insieme quando hanno mete diverse. Il vero amore non sta nel voler stare insieme, ma nel guardare tutti due alla stessa meta.

È la stessa meta che unisce, non le volontà. Cosi è per la pace: questa è accordo non tra gli uomini, ma tra gli uomini e il padrone di casa: Dio. La pace è nella casa di Dio in cui tutto è in accordo con la sua volontà. Il «luogo» della pace non è nella volontà dell'uomo, ma nella volontà di Dio. È utopia cercarla altrove. Essa è dentro la casa, non fuori di essa.

Oggi si punta tutto sull'uomo, ma è sbagliato, perché non si tiene conto di Dio, il padrone di casa. «Il male attuale del mondo è il trono dell'io che disprezza quello di Dio fingendo di ignoralo. Dio è ridotto ad una astrazione, ad un semplice ornamento e non è più considerato come il principio di tutto» scriveva Dom Chautard.

Bisogna puntare sui nostri rapporti con Dio. Oggi si dice: sono gli uomini che debbono fare la pace: È un sogno, un'utopia; gli uomini da soli non possono fare la pace. Oggi dicono: facciamo la pace, e domani già sono con le armi in mano

Come non basta che gli uomini dicano: camminiamo insieme, per camminare insieme, così non basta che dicano: facciamo la pace, perché ci sia la pace. La volontà degli uomini non basta.

Non possono fare la pace se hanno la guerra dentro, nei cuori. Per questo dicono una cosa e poi debbono farne un'altra. Ogni uomo è menzognero: promette una cosa e deve farne un'altra.

Il luogo della pace è nel cuore dell'uomo; ma il cuore dell'uomo dipende dal suo rapporto con Dio, dall'accordo di ogni pensiero, desiderio, con la volontà di Dio. È Dio che dà la grazia di fare la pace dentro di noi, e quindi anche fuori, poiché l'esterno procede dall'interno.

Dio è l'Essere con il quale dobbiamo armonizzare ogni cosa in noi. La pace è «dentro», nella casa di Dio. Non possiamo eliminare la guerra attorno a noi quando c'è la guerra tra la nostra anima e Dio.

(V – 15.02.1978)

Vivendo edifichiamo una casa, giorno dopo giorno: una casa spirituale, ma non per questo meno vera, meno reale di quella fatta di pietre e mattoni, una casa in cui entriamo ad abitare, o in cui ci chiudiamo come in un carcere, da cui da soli non ne possiamo più uscire, poiché la chiave di esso non è in mano nostra.

Ognuno finisce di abitare nella casa che si è voluto costruire. Cioè vivendo, comunque sia ci creiamo dei rapporti di dipendenza tra le nostre scelte e noi, da cui restiamo sempre più condizionati, determinati e limitati.

Così accade che ci costruiamo una prigione o un luogo di pace e di vita libera, a seconda della pietra su cui edifichiamo. Edificare infatti significa far dipendere tutto da un disegno, da una intenzione. La casa vera che edifichiamo giorno dopo giorno, anche senza saperlo o volerlo, ed in cui veniamo ad abitare, è una casa spirituale e si costruisce spiritualmente ogni giorno con le nostre scelte e le nostre opere.

Spiritualmente il vivere è tutto un scegliere; e il tempo della vita diventa un processo di evidenziazione di una scelta: è una proclamazione sui tetti di quello che abbiamo messo prima di tutto nei nostri cuori.

Vivere è raccoglierci sempre più da vicino in un amore; è quindi una separazione da tutto il resto. Per questo accade che la nostra autonomia da Dio ci conduce progressivamente e fatalmente, anche se non lo vogliamo, alla desacralizzazione, alla secolarizzazione, all'ateismo, al rifiuto totale di ciò che è spirito, perché questo si fa sempre più incompatibile con la nostra autonomia. È l'azione di rigetto da parte del Regno di Dio di ciò che si è separato da Dio.

Come il tralcio separato dalla vite viene a poco a poco distrutto da quegli stessi elementi, luce, pioggia, terra, aria, che prima servivano alla sua vita quando era unito alla vite, così l'uomo che vive in modo autonomo da Dio incomincia a restare preda di forze disgregatrici, quelle stesse che servono a dargli vita quando è unito a Dio.

L'uomo separato da Dio non è più nella vita. Egli è ormai un essere che si difende, sempre più malamente e sempre più debolmente, da ciò che lo sta distruggendo.

Noi, nella nostra superficialità, diciamo che il tralcio è distrutto dall'acqua che lo fa marcire, dall'aria, dal freddo, dal caldo, dalla terra che lo disgrega; in realtà esso è distrutto dalla sua mancanza di vita dentro, cioè dalla sua separazione dalla vite.

Come per il tralcio, così per l'uomo. Nulla accade fuori che non sia già accaduto dentro: la morte non distrugge se non ciò che è già morto dentro; gli altri non portano via se non ciò che uno ha già messo fuori dalla sua vita, e il mondo non sconsacra se non ciò che i cuori hanno già sconsacrato. Ma gli uomini si rifiutano di guardare dentro di sé; così non possono rendersi conto di ciò che avviene.

Lo sguardo alla realtà che è dentro i cuori fa paura perché la prima cosa a emergere è il vuoto, la confusione, la morte che portano. Allora proiettano tutti i loro problemi nella realtà che li circonda: la società, i tempi, la tecnica, il consumismo, e spendono tutte le loro energie a tener a bada le forze che il mondo attorno scatena loro contro, e fanno ricorso alla politica, ai mezzi di comunicazione, alla scienza, alla tecnica, alla socialità, all'ecumenismo per risolvere i loro problemi. È la risposta superficiale ed errata al loro problema interiore.

In realtà più si parla di socialità e più aumenta la solitudine dell'uomo; più aumentiamo i mezzi di comunicazione e più si verifica in modo impressionante l'incomunicabilità; più cerchiamo il benessere per la nostra sicurezza e più aumenta la paura, più si parla di ecumenismo e più ci si divide anche in casa.

Abbiamo sperato nella scienza e nella tecnica; mai ci siamo trovati tanto ingolfati in problemi creati dalla scienza e dalla tecnica, che stanno mettendo in forse la vita stessa sulla nostra terra. Ci siamo dati da fare per far dipendere la vita dalle mani dell'uomo per renderla più stabile e sicura, e siamo giunti a soffocare la vita nel suo stesso nascere con le nostre mani.

Solitudine, isolamento, incomunicabilità, paura, morte, sono i muri di una prigione invisibile che si alzano attorno a noi man mano che proclamiamo la nostra autonomia da Dio e ci stringono sempre più da vicino.

Tutto questo accade perché consideriamo le cose senza tener conto di Dio, senza cioè risolvere il nostro problema interiore, che è un problema non sociale, né politico, né economico, ma di rapporto tra i nostri pensieri e Dio, cioè un problema religioso. E se rimane in noi qualcosa di religioso, è solo recitazione.

(VI – 22.02.1978)

La presenza di Dio è grazia, dono di rivelazione per chi è nella casa di Dio, e l'essere dentro casa è effetto di un rapporto di dipendenza stabilito, edificato tra noi e Dio, tra i nostri pensieri e Dio, soprattutto tra il pensiero del nostro io e Dio.

Quando non si stabilisce tale rapporto con Dio, con Dio messo prima di tutto, al disopra di tutto, per cui Dio è il punto fisso di riferimento per ogni nostro giudizio e ogni nostra scelta, si inaugura in noi la fuga da Dio. Allora si precipita nel tempo, nelle vicende del mondo esteriore, superficiale; si precipita nel fiume delle cose che passano senza la possibilità di resistere alla sua corrente: alienati da un mondo disumano che ignora la nostra anima e il nostro cuore, un mondo che divora l'uomo.

«La nostra infelicità non è dovuta alla mancanza di ricchezza o di altra posizione, o di gloria, o di insufficienti vitamine. Non è dovuta alla mancanza di qualche cosa fuori di noi; ma è dovuta alla mancanza di qualche cosa dentro di noi» scriveva Fulton Sbeen. La nostra infelicità è dovuta alla nostra mancanza di vita nell'anima. «L'anima respira nella solitudine, e una certa dose di solitudine è indispensabile alla vita dello spirito» aggiungeva Maritain.

La mancanza di vita dentro è causata dalla nostra lontananza da Dio.

Quando non poniamo l'interesse per Dio, la ricerca di Dio prima di tutto, questo fa nascere in noi la fuga da Lui, poiché ciò che non si ama, non si accoglie; e ciò che non si accoglie nella nostra vita, lo si deve fuggire, o distruggere, prima dentro, poi fuori, poiché ci diventa di ostacolo per la nostra vita.

Ciò che non si accoglie, genera in noi la paura, la violenza, l'odio. «Non sapete che amare il mondo è odiare Dio?». Non si possono servire due padroni, e chi ha per padrone il mondo, non può amare, Dio, perché niente di Dio lo attrae.

Il non essere attratti da Dio significa che abbiamo come nostro padrone il mondo. «Chi vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio» scrive l'apostolo S. Giacomo nella sua lettera (Gc 4,4).

Così accade che, senza quasi accorgercene e senza volerci distaccare da Dio, per voler essere amici del mondo, veniamo a trovarci sulla sponda opposta a quella di Dio e del suo Regno, e quasi ci interroghiamo stupiti come mai ci troviamo lì, con la compagnia di tanto odio e di tanta violenza, che mai avremmo voluto ospitare in casa nostra, noi che forse proclamavamo di seguire una via d'amore. Quando scegliamo il mondo come nostro futuro non possiamo mai prevedere le conseguenze alle quali ci farà approdare la nostra scelta.

Poiché la casa che si edifica è interiore, la distruzione del Tempio di Dio è una distruzione interiore: è l'uomo interiore che sperpera tutti i beni del suo Signore, sperpera i doni, i segni, tutte le testimonianze, tutte le parole di Dio e si rende quindi incapace di portare lo Spirito di Dio nella sua anima. Come mai accade questo? È la conseguenza dell'aver trascurato, e quindi disprezzato nei nostri cuori, il cielo di Dio per il quale siamo stati creati. Abbiamo preferito il dato immediato, pratico: il piatto di lenticchie.

Tutti siamo stati creati per occuparci di Dio ed entrare nel suo Regno; ma non tutti se ne occupano. Così nasce la perdita del senso della nostra vita, la dispersione nelle cose esteriori e le schiavitù. «Chi non raccoglie, disperde» dice il Signore (Mt 12,30).

La Scrittura antica reca queste gravi parole: «Coloro che ti abbandonano, o Dio, saranno scritti in terra» (???).

Essere scritti in terra è avere la propria la vita proiettata e dominata dagli eventi esteriori, è non possedere più la propria anima. Solo con i nostri occhi rivolti in alto, al cielo di Dio, abbiamo in noi stessi la nostra vita, poiché la nostra vita è in Dio, e Dio abita in noi.

L'uomo esce dalla casa di Dio e sperpera tutto ciò che riguarda Dio quando non ha più interesse per le cose di Dio. Al lato opposto troviamo Maria, la Madre di Gesù, che «raccoglieva, custodiva, meditava» (Lc 2,51), faceva tesoro delle cose di Dio. Maria è la creatura nella casa di Dio.

Nel raccoglimento o nella dispersione abbiamo l'inizio delle due vie: quella della vita e quella della morte. La vita è raccoglimento in Dio, la morte è dispersione.

L'uomo può raccogliere o può disperdere le cose di Dio, può abbracciare la vita o scegliere la sua morte. Ma non basta ch'egli dica: voglio la vita, per avere la vita.

Deve sapere che la vita è Dio e che egli ha la vita nella misura in cui raccoglie in Dio.

(VII – 01.03.1978)

L’uomo vive nella misura in cui vede Dio e dialoga con Dio: l'Essere che è con noi sempre ed ovunque.

Il primo passo del cammino di liberazione dalle nostre prigioni interiori, dai condizionamenti della società, del mondo, dei giudizi degli altri, condizionamenti che tarpano le nostre energie, è la presa di coscienza della nostra situazione reale, totale, della realtà spirituale in cui ci troviamo.

Conoscere la nostra realtà spirituale vuol dire ritrovare se stessi, il proprio destino, il proprio pensiero, il proprio fine, il valore, l'orientamento e il senso della vita vuol dire liberare il nostro pensiero dall'ammasso. E questo vuol dire ritrovare le proprie energie da spendere per la nostra vita vera.

La realtà sensibile non è tutto; anzi è illusoria, e quindi alienante, se non viene riferita a Dio, riportata a Dio, penetrata fino a scorgere la Verità divina, assoluta, eterna, che parla in essa.

Bisogna imparare a scorgere l'eterno nel tempo, l'assoluto nel relativo e nel transitorio: è questa la scoperta della nostra realtà. «Poiché siete stati creati con una intelligenza che vi fa comprendere la realtà di Dio, non lasciatevi ingannare dalle realtà che durano quanto dura un giorno» scriveva S. Gregorio di Nissa.

L'uomo deve radicarsi profondamente nel soprannaturale: è questa la realtà in cui egli si trova immerso fin dalla nascita.

Per chi ha toccato anche una volta sola la Verità di Dio, il particolare e il transitorio non dice più nulla, poiché in lui si è formato l'esigenza dell'assoluto e dell'eterno; acquista trascendenza e universalità, entra in una visione verticale delle cose. Così chi raccoglie in Dio riceve il potere, ed è grazia, di raccogliere sempre più fino alla vita eterna, che è pienezza di vita. «Solo l'incontro con Dio realizza pienamente l'uomo».

Ma chi disperde resta sempre più disperso, e quindi sempre più incapace di «portare» uno spirito, un pensiero, un amore. Portiamo infatti il peso di tutto l'amore che non abbiamo dato e la vita si fa pesante di tutto ciò che non abbiamo vissuto in dimensione verticale. Quanto più abbiamo il peso di ciò che ci manca, tanto più diventiamo incapaci di portare lo spirito.

Tutto ciò che non abbiamo vissuto diventa in noi una morte crescente fino al punto di soffocarci la vita. Le omissioni pesano su di noi più delle cose fatte; l'amore che non abbiamo dato ci porta via la capacità di amare. Si diventa incapaci di amare e di essere fedeli.

L'incapacità di amare rende incapaci di restare alla presenza di Colui che è presente, Dio. Chi è disperso non esperimenta la presenza e quindi si trova «non conosciuto, non compreso, non amato». Si diventa ignoti anche a tutto l'universo; stranieri a tutto ed a tutti.

Tutto ciò che da noi e in noi non è sottomesso a Dio ci porla via l'esperienza della presenza di Dio.

È nella «casa della preghiera», è nel «Tempio di Dio» che si fa l'esperienza della presenza di Dio, e quindi della vita: in quel Tempio che l'uomo vivendo solo per le cose che passano distrugge giorno dopo giorno.

Ma se l'uomo distrugge il Tempio di Dio, e quindi si priva della possibilità di vedere la presenza di Dio opera per ricostruirlo e quindi per salvare l'uomo. «Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo ricostruirò». Sono i tre giorni della permanenza di Dio nella nostra terra: Dio tra noi, Dio con noi, il Cristo.

Ecco l'azione dell'uomo ed ecco l'azione di Dio. L'uomo tende ad eliminare la presenza di Dio da tutte le cose, da tutti i fatti e dalla sua stessa vita, per mettervi al posto la presenza del mondo, degli uomini, della natura, del caso. L'uomo tende ad impedirsi la sperimentazione della presenza e dell'opera di Dio. Si priva della vita, e non lo sa. L'uomo guasta; Dio ripara.

In che cosa consiste la riparazione di Dio? Cristo riporta la presenza di Dio tra noi; ci insegna a far dipendere tutto da Dio e parlandoci le sue parole, che “sono spirito e vita” (Gv 6,63), fa dipendere tutto di noi da Dio, cioè ricostruisce il tempio, la casa di Dio. È Dio che ripara in noi e per noi la sua casa.

Dio ripara la sua casa ripresentando la sua Presenza con concessioni successive di Sé fino a metterla totalmente nelle mani dell'uomo. Allora abbiamo il Calvario: Cristo morto in Croce nella vita e per la vita di ogni uomo. Qui il Tempio della presenza di Dio tra gli uomini è totalmente ricostruito, compiuto.

(VIII – 08.03.1978)

Tutti nel mondo spendono e consumano la loro vita dietro qualcosa, per qualcosa: il lavoro, il denaro, la carriera, la politica, la gloria. Ognuno si consuma nell'amore di una realizzazione in cui esperimentare la presenza del suo disegno e la visione di ciò che ama più di tutto.

Ognuno consuma la sua vita nell'amore di una casa. Il Figlio di Dio la consuma per la casa del Padre: «lo zelo, l'amore per la tua casa mi ha consumato» (Gv 2,17).

È la passione che rivela una presenza. La passione di Cristo rivela la presenza del Padre; «affinché il mondo sappia che Io amo il Padre» dice Gesù avviandosi alla sua passione e morte (Gv 14,31).

Coloro che sono del mondo tendono a condurre ogni cosa a sé; coloro che sono di Dio tendono a condurre ogni cosa a Dio, è questa la condizione per salvare la vita e il mondo. Tutti i figli di Dio consumano la loro vita nella passione per la casa del Padre.

E poiché la casa è il luogo in cui tutto è sottomesso a colui che vi è presente, il potere di Dio di ricostruire la sua casa è il potere che Egli ha di sottomettere a sé tutte le cose, anche l'uomo. Certamente tutte le cose saranno sottomesse a Dio, poiché Dio è il Creatore e il Signore di tutto, il Principio e il Fine, Colui che ha in Sé la ragione di tutto e che regna in tutto.

Dio ha dunque il potere di sottomettere a sé tutte le cose, e quindi di ricostruire la sua casa. «Andremo nella case del Signore» (Sal 122,1), questo è certo, per ogni uomo. Là salgono tutte le genti, non per volontà loro, ma per l'opera di Dio.

Nella nostra fuga da Dio, Dio stesso ricostruisce il nostro ritorno: è la sua opera. Il che significa che sul limite estremo della nostra fuga da Dio, quando noi ci crediamo al massimo della lontananza da Lui e sicuri delle nostre ragioni, ci veniamo a trovare faccia a faccia con Lui. La nostra fuga da Dio si conclude davanti a Dio.

Ma che tutti vengano a trovarsi davanti a Dio, poiché Dio ha il potere di sottomettere a sé tutte le cose, anche i nemici, ciò non significa che tutti possano comprendere la Presenza di Dio e la sua opera, che tutti possano cioè restare con Dio. Non si può restare con ciò che non si comprende.

Si può essere uccisi dalla presenza di Dio. Vi è una parabola di Gesù in cui il re dà l'ordine che quanti non lo vollero come loro re siano portati davanti a lui e uccisi alla sua presenza (Lc 19,27). Nessuna parola del Figlio di Dio è detta inutilmente, quindi anche questa deve avere una lezione particolare per noi e la nostra vita essenziale. Venirsi a trovare nella casa di Dio non significa cioè avere la possibilità di restarvi.

Per restare nella casa bisogna avere l'abito. In un'altra parabola di Gesù, quella degli invitati al pranzo di nozze del figlio del re, si legge che il re entrato per vedere i convitati, ne osservò uno che non era vestito con l'abito nuziale, e gli disse: «Amico, come sei entrato qui senza indossare l'abito per le nozze». Quegli ammutolì. Allora il re disse ai suoi servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 22,1-14).

L'uomo condotto alla presenza di Dio dall'opera stessa di Dio, ed è un'opera alla quale nessuno può sottrarsi poiché Dio ha il potere di sottomettere a sé tutte le cose, può essere cacciato via, nelle tenebre esteriori. Il restare richiede una partecipazione d'amore. «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze. Sono queste le parole che io ti comando oggi di scrivere nel tuo cuore. Tu le ripeterai ai tuoi figli e ne parlerai quando stai in casa, quando cammini per la strada, quando ti corichi e quando ti alzi» (Dt 6,5-7): così lo Spirito di Dio dice ad ogni uomo introducendolo sul cammino della vita. L'uomo cioè non può restare in quella casa che egli non ha partecipato ad edificare superando il pensiero di se stesso.

Per iniziare la vera vita occorre superare il pensiero di se stessi. «Quando un uomo ha rivolto la sua intima volontà al vero bene in modo efficace, è già giustificato, è in stato di grazia e c'è in lui il germe della vita eterna. Possiede ormai una certa vita interiore, vita vera e propria, anche se manca del raccoglimento desiderabile», scriveva P. Garrigou-Lagrange.

Ecco, è necessario che nell'uomo ci sia questo interesse per Dio se vuol giungere a vedere. la Verità ed a restare in essa.

Non può restare nella casa di Dio se non chi ha posto Dio al centro della sua anima e della sua vita.

(IX – Fine – 15.03.1978)

(articoli scritti da Luigi Bracco, pubblicati su “La Fedeltà”)