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“...lo Spirito di Verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede né lo conosce; ma voi lo conoscete perché dimora in voi e sarà in voi”. Gv 14 Vs 17


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6/ Dicembre /1980


Interlocutore: Il mondo non può ricevere lo Spirito di Verità perché non ha lo Spirito di Dio, ma uno spirito diverso.

Luigi: Quindi fintanto che noi siamo del mondo, o apparteniamo al mondo, non possiamo ricevere lo Spirito di Verità.

Interlocutore: Qui precisa perché il mondo non lo vede: perché il mondo vede cose diverse, secondo lo spirito dell’io.

Luigi: Qui afferma chiaramente che fintanto che noi viviamo nell’io o pensiamo a noi stessi, non possiamo vedere lo Spirito di Dio: vediamo altro da Dio. Ed effettivamente vediamo altro da Dio, non vediamo lo Spirito di Dio.

Interlocutore: E così pure il mondo non può conoscere lo Spirito di Dio perché ognuno conosce ciò per cui è interessato; ma il mondo non ha interesse per Dio.

Luigi: Possiamo capire come ci sia un mondo apparente, contrapposto ad un mondo essenziale. Il mondo essenziale sfugge all’uomo, fintanto che l’uomo vive pensando a sé, nel pensiero di sé. La condizione per superare l’apparenza delle cose è il superamento del pensiero del nostro io; perché se noi non superiamo il pensiero del nostro io, non abbiamo la possibilità di superare l’apparenza delle cose, perché l’apparenza delle cose preme su di noi e ci domina. Ci domina! Non possiamo farne a meno; per cui la realtà (ciò che noi chiamiamo “realtà”, che poi non è la Realtà, ma una realtà sentimentale, dei sensi) ci domina, e impedisce al nostro pensiero la dedizione alle cose dello Spirito, e quindi impedisce di giungere a conoscere la Verità.

Interlocutore: Perché la realtà esteriore è incentrata nell’io, e si riassume nello spirito dell’io che si contrappone allo Spirito di Dio; per cui chi vive proiettato all’esterno, quindi nell’affermazione del proprio io, non può conoscere lo Spirito di Verità. Ma qui Gesù aggiunge ai suoi Apostoli: “voi lo conoscete o conoscerete perché dimora in voi e sarà in voi”.

Luigi: Cioè, qui Gesù promette la Pentecoste. In quanto la promette è un futuro. Però dice: “questa Pentecoste è riservata per qualcuno, non per tutti. Il mondo non la può ricevere”. Infatti Gesù dice: “Io non prego per il mondo”, eppure è venuto a salvare il mondo. Questo per dire a noi: fintanto che noi apparteniamo al mondo non possiamo arrivare alla Pentecoste: è necessario non appartenere più al mondo. Essere nel mondo , ma non appartenere al mondo; perché Lui non è venuto a portare via dal mondo, a togliere dal mondo. Non bisogna però appartenere al mondo. Si può essere nel mondo, senza essere del mondo. Ognuno di noi appartiene a ciò che ama, a ciò per cui vive.

Interlocutore: Questo però è già un secondo tempo, perché Gesù dice anche: “Sono venuto per i peccatori”.

Luigi: Certo, Lui viene per salvare tutti, quindi la sua Parola giunge a tutti, a tutto il mondo. Anche il mondo appartiene al Regno di Dio; non è che il mondo sia fuori del Regno di Dio: il mondo appartiene al Regno di Dio; però il Regno di Dio non appartiene al mondo. Cosa vuol dire? Vuol dire che il Regno di Dio non può essere visto dal mondo, però nel mondo il Regno di Dio si esercita, si annuncia; quindi abbiamo l’annuncio di Dio a tutti, ma tra l’annuncio e la conoscenza c’è un abisso. Quanti sentendo l’annuncio partono dal loro mondo per andare dietro ciò che è stato loro annunziato arriveranno a Pentecoste. Ma andare dietro, camminare vuol dire lasciare tutta una situazione precedente, quindi lasciare tutto un mondo, per arrivare là dove l’annuncio ci convoca. Abbiamo Uno che chiama e chiama ovunque: ovunque ci fa sentire la sua voce; qui adesso, si fa sentire in tutto, in tutti gli avvenimenti e in tutte le cose, però non si fa vedere in tutti gli avvenimenti e in tutte le cose. Quindi c’è un passaggio da fare, c’è un passaggio dal “qui” a “là”: è la Pasqua, l’esodo alla Terra promessa; il passaggio dal “qui”, cioè dal mondo, il mondo in cui Dio si annuncia (perché Dio si annuncia nel mondo, si annuncia in ogni luogo, anche nel peccato: Dio si annuncia ovunque, nell’uomo che pensa a se stesso, che vive per se stesso, che magari è ateo, che magari bestemmia, non importa, Dio si annuncia ugualmente) fino a quel mondo di cui parla l’annuncio, per arrivare a vedere ciò che è stato annunciato. Ecco abbiamo la diversità tra l’ascolto e la visione. Noi udiamo il suono, il rumore, l’annuncio, poi dobbiamo darci da fare per vedere qual è la fonte, la sorgente di quel rumore, di quell’annuncio.

Interlocutore: L’annuncio è già un inizio di conoscenza? Perché tutti cercano Dio e non lo cercherebbero se non lo conoscessero, sia pur inconsapevolmente.

Luigi: Dio è Colui che nessuno può ignorare, perché Dio si annuncia a tutti, e in quanto si annuncia a tutti, siccome la Verità è superiore a noi, nessuno lo può smentire; però non è che lo conoscano. Dio non si può smentire, perché la Verità si annuncia. In quanto si annuncia (si annuncia, ma non è conosciuta: è il rumore, è l’annuncio) non possiamo smentirla, perché si afferma su di noi. Tant’è vero che noi tutti cerchiamo Dio, cerchiamo l’Assoluto, ma lo cerchiamo nel denaro, nella creatura, nella famiglia, nel lavoro, nella carriera. In tutto cerchiamo l’Assoluto, cerchiamo Dio! “Tutti cercano Te” dicono i discepoli un giorno a Gesù. È verissimo: tutti gli uomini cercano Dio, però non sanno che cosa cercano, non sono consapevoli di quello che cercano. Allora come mai questa inconsapevolezza? Cercano l’Assoluto e non sanno quello che cercano. Come mai? È perché hanno ricevuto l’annuncio, ma non sono divenuti consapevoli di quello che è stato loro annunciato, e allora subiscono l’attrazione di questo annuncio e la proiettano sui segni. Per cui diciamo: tutti gli uomini cercano Dio, ma lo cercano in un luogo sbagliato, e allora ritengono che l’assoluto sia altro. Per molti il denaro è tutto, la salute è tutto, la carriera è tutto, la famiglia è tutto. Ecco, è sempre questo “tutto”; mentre invece “tutto” è Uno solo. “Tutto” è Dio. Ma per arrivare a dire a Dio: “Mio Tutto sei Tu”, ci dev’essere un distacco fortissimo.

Per arrivare ad individuare il mio tutto debbo lasciare tutto. E qui abbiamo la consapevolezza. Quindi si richiede la partecipazione, che è interiorizzazione, in cui la creatura prende consapevolezza di ciò che le è stato annunciato.

Interlocutore: E per arrivare a dire a Dio: “Il mio tutto sei Tu”, penso che bisogna già arrivare al compimento della conoscenza.

Luigi: Non è ancora il compimento: è presa di coscienza dell’importanza, del valore di ciò che è annunciato. Perché noi abbiamo l’annuncio che arriva a noi senza di noi e non lo possiamo smentire; però arrivando a noi senza di noi, non ne siamo consapevoli, per cui sbagliamo il luogo in cui cerchiamo ciò che ci è annunciato. Possiamo fare un passo in avanti scoprire l’importanza di ciò che ci è annunciato. Ma questa scoperta non avviene senza di noi.

Interlocutore: E’ l’attrazione del Padre?

Luigi: Ecco, è l’attrazione del Padre. E’ la scoperta del valore. Quando uno scopre il valore, incomincia a dire: “Tu sei il mio Tutto”. Ha capito l’importanza che per lui ha l’arrivare a conoscere Dio. Si è accorto attraverso le lezioni che ha ricevuto dalla vita che tutto dipende dalla conoscenza di Dio: “soltanto che io arrivi a vedere il tuo Volto! A conoscere Te”. Quindi non è ancora arrivato (quindi non è ancora compimento), però ha capito l’importanza, cioè che: “tutte le cose dipendono dall’incontrare Te, dal vedere Te, dal conoscere Te”. A questo punto l’anima dice : “Mio Dio e mio tutto”; ecco, “tutto”! E cessa di cercare l’Assoluto nel denaro, ecc.; …e abbiamo l’esodo. L’esodo, la partenza dall’Egitto non avviene fintanto che l’anima non si è convinta dell’importanza che per lei ha il giungere alla Terra promessa. La Terra promessa è la conoscenza di Dio.

Ecco, Dio chiama tutti: Cerca Me, perché sei stato creato per conoscere Me; conoscere Me è vivere. Tu cerchi la vita? Io sono la tua vita! Ecco la conoscenza di Me è per te la vita eterna, cioè vita vera, vita che non muta più”. Mentre invece tutta la vita che tu esperimenti è una vita che muta, per cui resti deluso. Oggi tu vivi, domani muori, perché non hai trovato la vita. Il giorno in cui tu trovi la vita, quella non cambia più.

Ora, tutti i nostri cambiamenti di vita, denunciano che noi non abbiamo ancora trovato la nostra vita. L’anima riflettendo sulle lezioni che Dio dà (perché Dio dopo aver annunciato, non ci abbandona, ma continua giorno per giorno a darci delle lezioni, per correggere), arriva a convincersi che la vita è in Dio. Noi ricevendo l’annuncio, non essendone consapevoli (perché se fossimo intelligenti ne prenderemmo già subito consapevolezza), incominciamo a proiettare l’attrazione di questo annuncio (perché ricevere l’annuncio vuol dire essere attratti!) verso tutto quello che vediamo. E cos’è che vediamo? Le creature, le cose, i beni di questo mondo, e pretendiamo che questi siano come Dio. Non intendiamo! E allora abbiamo bisogno di esperimentare il nostro errore. E Dio ci fa esperimentare il nostro errore. Ecco, allora abbiamo le lezioni che Dio dà a noi, essendo noi stolti, per farci capire l’errore che abbiamo fatto nel proiettare la nostra anima, questa sete di assoluto verso le cose apparenti, le cose del mondo, cioè nel cercare il nostro Dio nelle cose del mondo, perché Dio non è materia, non è creatura, non è cosa che si vede. Il Regno di Dio non viene tra le cose che si vedono. Il Regno di Dio, essendo Verità, si trova solo conoscendolo: Dio è Spirito e vuole adoratori in Spirito e Verità.

Dio opera per fare toccare con mano alla creatura il suo errore. La creatura attraverso l’esperienza apprende: tocca una cosa e resta bruciata, tocca quell’altra e resta bruciata, tocca quell’altra ancora  e resta bruciata… in modo che possa rinsavire. Cioè Dio praticamente ci fa fare dei test perché non abbiamo intelligenza. La creatura intelligente non ha bisogno di essere sottoposta a dei test, perché con Dio capisce l’importanza di Dio, capisce il fine per cui Dio l’ha voluta, l’ha creata e si orienta al massimo bene.

Interlocutore: Il mio Vangelo non usa il futuro, ma dice: “voi lo conoscete”. Che tipo di conoscenza è questa? Non è ancora la conoscenza di Pentecoste e non è più la conoscenza iniziale.

Luigi: E’ il tipo di conoscenza che ci viene dal Maestro che parla a noi. Il Maestro parlando a noi, ci conduce a vedere, ma quello che noi arriviamo a vedere, non lo vediamo consapevolmente,  perché non lo possediamo, non lo vediamo noi: lo vediamo in quanto il Maestro, insegnando a noi, ci conduce a vedere quello che Lui vede, cioè ci comunica il suo Pensiero. È il momento della Trasfigurazione: portandoci in alto ci conduce a vedere un raggio della sua luce. Noi vediamo, ma quello che vediamo, lo vediamo perché siamo stati condotti, ma non siamo capaci di restare e non sappiamo quali sono le condizioni per restare. Invece la Pentecoste è arrivare a vedere restando: è la consapevolezza della creatura; qui la creatura ha la partecipazione consapevole di ciò che vede. Mentre invece ascoltando il Maestro, giunge a vedere senza possedere. È logico, perché il Maestro insegnando ti conduce a vedere e tu non puoi che assentire: “si è vero”, però non lo possiedi. Ecco, è vero per quel tempo, per quel poco che sei stato in ascolto del Maestro: il Maestro ti ha condotto a vedere perché hai imbrigliato la tua mente, i tuoi pensieri, il tuo cuore, e l’ha proiettato sul suo Pensiero, perché l’ha incentrato lì e ti ha condotto a vedere, ma è tutto opera dell’Altro.

Interlocutore: Quindi sappiamo che esiste, ma manca l’esperimentazione.

Luigi: Manca l’esperimentazione. Sappiamo che esiste perché l’Altro me l’ha comunicato, ma non lo possediamo.

Interlocutore: E’ ancora una conoscenza per sentito dire.

Luigi: E’ una conoscenza per sentito dire dal Maestro. Certo, se noi non ascoltiamo non arriviamo a quella conoscenza; noi restiamo al primo annuncio, ma più ci fermiamo ad ascoltare e più per partecipazione siamo condotti a vedere; ma quello che siamo condotti a vedere, non è ancora un possedere. Infatti Gesù stesso dice: “Fintanto che io sono con voi, non può venire in voi lo Spirito di Verità”, eppure ascoltando Lui, già partecipo dello Spirito di Verità, ma “lo Spirito di Verità non può venire in voi: è necessario che io me ne vada”. È necessario che loro siano lasciati soli, a tu per tu con il Padre, però che abbiano la possibilità di attingere alla Sorgente. E allora il Figlio, il Cristo, fa tutta quest’opera di preparazione, per cui dicendo le sue Parole ci conduce a vedere il suo Pensiero. Noi lo vediamo, ma possiamo restare nel suo Pensiero per quel tanto che Lui parla a noi e basta, e poi noi subito decadiamo nel nostro mondo. Attingiamo un momento perché Lui ci conduce, ma poi non possiamo restare sulla cima.

Interlocutore: E’ il Maestro interiore dentro di noi che ci convince che quello che Cristo dice è vero.

Luigi: Certo, non lo puoi smentire.

Interlocutore: Ma non ne abbiamo ancora l’esperienza personale, diretta. Ma a Cristo diamo fiducia piena.

Interlocutore: Quindi non è solo una conoscenza per sentito dire.

Luigi: No, è verificata, però tu non la possiedi.

Interlocutore:Verificata col Maestro interiore.

Luigi: Certo. Infatti tu non puoi smentire quello che ti dice.

Interlocutore: Lui ci convince, ma la convinzione non è ancora visione; cioè si può essere convinti senza vedere?

Luigi: Certo, Lui ti convince per un certo tempo, però poi non puoi restare. Tu dici: “io credo”.

Interlocutore: Ma non è mai un credere per voler credere, come sforzo di volontà.

Luigi: No, non esiste l’atto di volontà di credere. Non esiste nemmeno intellettualmente.

Interlocutore: In pratica intellettualmente può esistere. Tu nel pensiero puoi dire: “Lo faccio, perché lo voglio fare”.

Luigi: Lo faccio, bene; ma: “credo perché voglio credere”, no. Ci devono essere dei dati. Quando tu dici che credi è perché hai dei dati, altrimenti non puoi credere. Hai dei dati che ti sfuggono, ma hai dei dati. Non puoi dire: “voglio credere perché voglio credere”. Non puoi, è assurdo, perché la volontà non parte se non ha un elemento intellettuale che la muova. La volontà di per sé non è capace di volere; noi non siamo autonomi nella volontà. La nostra volontà è sempre una proiezione d’intelletto. Tu non sei libero di volere. Se tu fossi libero di volere saresti Dio. Non sei libero di volere. La tua volontà è mossa da dati intellettuali, sempre; e allora per voler credere devi esser mosso da un dato intellettuale, per cui hai dei fattori a fondamento del tuo atto di fede; ma se non ci sono dei dati tu non puoi dire: “ io voglio credere”.

Interlocutore: Eppure sul piano umano noi riceviamo delle suonate proprio perché abbiamo voluto credere qualcosa, magari a dispetto di chi sa cosa.

Luigi: Ah, ma c’erano dei fatti o dei dati sentimentali… Certo, ma sono dei dati per cui resti giocato nei tuoi sentimenti. Ti puoi sbagliare nel credere, ma hai dei dati. Sei mosso da dei dati: fra questi dati ci può anche essere il tuo io che ti inganna; perché fintanto che tu hai il tuo io come movente, questo ti devia dalla Verità. Per cui ti fa aderire a quello che ti conviene: ma questo è un dato! Ti fa aderire, ti fa credere. Quanti di noi crediamo perché conviene a noi, ma c’è un elemento che muove la volontà. La volontà è mossa da un interesse e l’interesse è dato da un pensiero. Ora, se nei nostri pensieri c’è il nostro io, questo io (ecco perché è necessario superare il nostro io) ci conduce a credere quello che poi ci inganna.

Interlocutore: Eppure di fronte a certe difficoltà le risolvo dicendo: “Hanno creduto in questo dei geni, tipo S. Agostino, S. Tommaso, per cui anch’io posso credere”.

Luigi: Ma non è un atto di volontà quello! “Ha creduto S. Agostino”: questo è un dato intellettuale! Vedi? Hai dei fattori che muovono la tua volontà, altrimenti la tua volontà da sola non si muove. Tu hai bisogno di mettere un appoggio alla volontà. La volontà non scatta da sola. Non può scattare da sola, perché se scattasse da sola sarebbe Dio. Non può scattare da sola.

Interlocutore: Comunque “credo” senza avere questa conferma interiore di cui parlavi prima.

Luigi: Ma è questo il fatto: quando il Verbo di Dio parla a noi, parlando rivela la Verità, e la rivela con una potenza tale (perché ha il sigillo della Verità) che non può essere smentita dalla creatura. La creatura può non capire Dio, può bestemmiarlo, può rifiutarlo, ma non può negarlo, perché la Verità è superiore ad essai, si impone sulla creatura.

Quindi il Verbo parlando a noi, conduce noi, se aderiamo, a vedere; e conducendoci a vedere ci dà dei dati. Noi abbiamo dei dati, però come Egli cessa di parlare, perdiamo il sostegno, per cui diciamo: “io credo, ma…” e non sappiamo ricostruire tutto il discorso che Lui ci ha fatto per condurci a vedere. Abbiamo visto un momento, ma poi non riusciamo a stare. Perché non riusciamo a restare? Perché non conosciamo il sentiero attraverso cui Lui ci ha condotto. Lui conosce il sentiero e ci porta fin sulla cima; giunti sulla cima vediamo com’è bello! Ma come diciamo: “com’è bello”, Lui se ne va, ed immediatamente cadiamo giù nella valle; non riusciamo a stare lassù, perché non abbiamo tutto il supporto dei dati che Lui parlando ci ha presentato. Allora, seguendo Lui, arriviamo a vedere, ma non possiamo restare.

Tutto quello che Lui ci annuncia è un lampo nella notte; ma è un lampo! Ci fa vedere un lampo e poi immediatamente la notte ci riprende. Intanto però il lampo ci fa vedere che c’è una realtà diversa dalla nostra notte: c’è una luce. Ed è questo che comincia a metterci in movimento, perché noi non ci metteremmo in movimento se qualcuno non ci avesse fatto in un lampo vedere qualche cosa. Ecco perché dico che la nostra volontà non si muove fintanto che un lampo non illumina la nostra notte, fosse anche soltanto per una frazione di secondo. Ma come questo lampo illumina, cominciamo a sognare, incominciamo a desiderare e a dire: “per un momento ho visto!”; ed ecco allora tutta la fatica per trovare la sistemazione in quella luce.

Interlocutore: E qui siamo a quel livello di conoscenza di cui Gesù parla agli Apostoli, dicendo loro: Voi mi conoscete.

Luigi: Sì, perché Lui parlando a me, mi fa conoscere, però non posso restare.

Interlocutore: C’è però una conoscenza iniziale che l’incontro col Cristo, e quale è?

Luigi: La conoscenza iniziale è l’annuncio, cioè è Dio che parla a noi. La creazione è il primo annuncio: Dio si annuncia a noi, senza di noi, e qui abbiamo una prima conoscenza; è una  conoscenza di cui noi non siamo consapevoli, che subiamo, per cui cerchiamo Dio in tutto senza però sapere quello che cerchiamo. E prima di arrivare a scoprire che quello che noi cerchiamo è Dio, certe volte passa tutta la vita: arriviamo a 80, 90 anni, se arriviamo, o magari sul letto di morte e diciamo: “Ma guarda, io ho sprecato tutta la vita a cercare in quel punto, ecc… e non mi son reso conto che stavo cercando Dio: stavo cercando Te!”. Ecco perché c’è la morte, perché nella morte noi scopriamo questa verità. Così abbiamo sprecato tutta la vita a cercare Dio in un luogo sbagliato. E’ molto importante svegliarci per tempo e renderci conto: ma che cosa stai cercando tu?

Tutti gli uomini cercano Dio, sono affamati di Dio e soffrono perché non trovano Dio, perché non toccano Dio. Ecco per cui il vero bene che si può dare agli uomini è dare loro la possibilità di conoscere Dio! Questo è il vero bene! Non importa il denaro, non importa la casa, non importa la ricchezza, non importa la società; quello che importa è che l’uomo, ogni singolo uomo, possa incontrare Dio, possa toccare qualche cosa di Dio, possa esperimentare Dio. Quando ha esperimentato Dio, quando ha toccato qualcosa di Dio è felice e canta di gioia in qualunque luogo si trovi, anche in mezzo ad una strada, perché ha la vita in se stesso, ha la gioia in se stesso.

Tu trovi delle persone che magari sono ricchissime, affermatissime, con una carriera brillante, ecc. che, come esperimentano qualcosa di Dio, piantano lì tutto, vendono tutto, danno via tutto e vanno ad abitare in un deserto, a fare una vita tale che vien da chiedersi: “Chi mai la farebbe?”. Noi diciamo: “Ci vuole la promozione sociale!”; promozione sociale vuol dire portare l’uomo dal capo di un deserto a una grande città, in una metropoli. E invece chi trova Dio parte dalla metropoli e va a finire in un deserto: e dov’è la promozione? Questa è la vera promozione: chi lascia tutto per Dio ha una carica interiore tale di promozione che gli trasforma il deserto in un’oasi, in un giardino; perché ha toccato qualcosa di Dio. Quindi la vera malattia degli uomini è non toccare niente di Dio. Il vero bene da dare agli uomini è dare loro Dio, offrire la possibilità di trovare Dio. E per poterlo dare, prima di tutto dobbiamo cercarlo noi, perché se uno non cerca non può dare la possibilità all’altro di toccare Dio. Il vero amore sta nell’offrire all’altro la possibilità di toccare qualcosa di Dio.

Interlocutore Quindi noi abbiamo tre tipi di conoscenza: la conoscenza iniziale che è una forma incosciente…

Luigi: …subita.

Interlocutore: E poi quella che ci viene dall’ammaestramento di Cristo…

Luigi: …che presuppone però da parte della creatura l’adesione. Più la creatura aderisce e più conosce.

Interlocutore: Infatti Cristo queste parole le dice solo agli Apostoli.

Luigi: Ecco, Gesù dice: “Non prego per il mondo”. A questo punto non prega per il mondo. Quindi c’è un parlare di Cristo a tutto il mondo, ad es. quando Lui dice: “Non preoccupatevi del mangiare e del vestire, cercate prima di tutto il Regno di Dio”, lo dice a tutti; oppure quando dice: “Beati i poveri nello spirito”, lo dice a tutti. Quando invece quando dice le parole diquesto versetto non le dice più a tutti, ma le dice a coloro che Lo ascoltano, che l’hanno seguito. E man mano che Lo ascoltano, approdano ad una conoscenza che non è ancora Pentecoste, ma che è una conoscenza partecipata, perché c’è l’allievo che sta ascoltando. E naturalmente più l’allievo ascolta il Maestro e più riceve il Maestro. Per cui in un primo tempo c’è l’annuncio, l’invito: “frequenta la scuola!” (al quale la creatura può rispondere: “no, a me la scuola interessa proprio niente: a me interessa guadagnare denaro, ecc. e non andare a scuola”, o  può rispondere: Sì, vado a scuola”. Andando a scuola incomincia la partecipazione, che non è ancora la laurea, cioè la vera conoscenza, la Pentecoste.

Interlocutore: Che è la terza conoscenza.

Interlocutore: Qual è la traduzione più giusta: “Lo conoscete” o “Lo conoscerete?”.

Luigi: E’ lo stesso.

Interlocutore: “Lo conoscerete” è una promessa, “Lo conoscete” è una constatazione, cioè l’arrivo.

Luigi: No, anche lo “Lo conoscete” è una promessa. Dice: “Lo conoscete” perché sta parlando dello Spirito Santo, per cui fa vedere il suo Pensiero; in questo senso dice: “Lo conoscete”. Come ha detto: “Il Padre l’avete visto”, e gli altri dicono: “no, abbiamo visto un bel niente”; da parte del Cristo invece l’ha fatto vedere… Quindi, sostanzialmente, abbiamo la stessa cosa.

Interlocutore: Qui Gesù dice: “Lo Spirito Santo di Verità dimora in voi. Sempre si è parlato di attrazione del Padre in noi, dello Spirito del Padre che ci ammaestra continuamente, del Maestro interiore, del Verbo del Padre che parla in noi, dello Spirito di Dio in noi. A questo punto faccio confusione. Che differenza c’è tra lo Spirito di Dio, il Verbo interiore, la Parola del Padre dentro di noi?

Luigi: E’ la stessa cosa.

Interlocutore: Allora il Verbo si identifica con lo Spirito di Dio in noi?

Luigi: Certo…

Interlocutore: Però sono due Persone diverse.

Luigi: Se tu mi parli di Spirito Santo, lo Spirito Santo lo ricevi soltanto a Pentecoste, pur avendolo in te, ma è un’altra Persona. La distinzione delle Persone tu ce l’hai a Pentecoste, non ce l’hai prima, pur avendo già lo Spirito in te, perché avendo lo Spirito di Dio in te, tu hai Padre, Figlio, Spirito Santo. Dio è già in noi! Quando Gesù dice: “sarà in voi” o quando dice: “Verrà”, non intende che deve ancora venire, perché Dio non si sposta: siamo noi che ci spostiamo. Ci spostiamo nella consapevolezza. Siamo noi nella nebbia, ma Lui è presente. Quindi quando dice “verrà”, utilizza un linguaggio umano per farci capire che noi saremo condotti a prendere consapevolezza di una Verità che portiamo già in noi.

Lo Spirito Santo lo sentiamo come attrazione della Verità. L’attrazione per la Verità è lo Spirito di Dio in noi. Lo Spirito Santo è attrazione, è amore. Noi Lo subiamo e non sappiamo. Infatti S. Paolo dice che: “lo Spirito di Dio, lo Spirito Santo, prega per voi quello che voi non siete capaci di pregare, invoca per voi quello che voi non siete capaci di invocare”: cioè non ne siete consapevoli, ma è tutta opera di Dio dentro di noi. Quindi abbiamo il Padre che crea, il Padre che attrae e abbiamo il Verbo che colloquia con noi e ci dice: “Guarda che quello è vero, ecc”. E abbiamo l’interesse per-. E l’interesse per Dio è lo Spirito Santo.

Interlocutore: Quando noi portiamo qualcosa al Padre, a Dio, per poterlo capire nel Pensiero di Dio o nello Spirito di Dio, è lo Spirito di Dio che ci fa agire così?

Luigi: Sì, certo, è lo Spirito di Dio che ci fa agire così: è l’attrazione.

Interlocutore: Ma non è il Figlio che ce lo fa fare? Perché è il Figlio che riporta tutto al Padre.

Luigi: La distinzione delle Persone l’avremo solo a Pentecoste. Noi attualmente subiamo. Ad es. il “dato”: il “dato” che opera su di noi è opera del Padre. C’è tutta una manifestazione di Dio che arriva a noi indipendente da noi: e qui abbiamo l’opera creatrice di Dio, è il Padre che opera in noi; poi abbiamo il Verbo che parla a noi, che dialoga con noi.

Interlocutore: Sempre del “dato”?

Luigi: Sempre del “dato”.

Interlocutore: E dialoga con un certo Spirito.

Luigi: Che dialoga con lo Spirito di Dio, è logico. Perché il Figlio è quello che riporta tutto al Padre e che riconosce dal Padre, cioè accetta tutto dal Padre. Ora, se noi accettiamo da Dio e riportiamo a Dio, questo è opera del Figlio.

Interlocutore: Posso anche dire che è lo Spirito del Padre in me che mi fa fare quello.

Luigi: Sì, è sempre lo Spirito di Dio.

Interlocutore: Quindi ecco che rimane la confusione…

Interlocutore: Diciamo che sono una cosa sola, però non distinguiamo le Persone.

Luigi: No, la distinzione delle Persone non la puoi fare. Non puoi distinguere le Persone. Tu subisci degli effetti diversi. Tu ti trovi con dei “dati” che non sono opera sua. Quindi noi abbiamo, o meglio riceviamo la creazione, l’universo in cui ci troviamo, la vita stessa in cui noi stessi esistiamo, ecc., tutto questo ci è dato, lo riceviamo. E lo chiamiamo “creazione”, opera di Dio. Quindi abbiamo un’opera di Dio che indipendente da noi manifesta qualcosa di Dio a noi; però questi “dati” possono restare così allo stato embrionale, cioè staccati. Il riportare i “dati” nell’unità, cioè riconoscere che sono di Dio e riportarli a Dio, è opera del Figlio.

Interlocutore: Con questo non è che io possa distinguere lo Spirito del Padre dallo Spirito del Figlio…

Luigi: Tra uno che parla e ti dice: “questa cosa è così” e l’altro cerca di convincerti che effettivamente la cosa è così, c’è una distinzione. E poi anche l’amore che tu esperimenti, che provi per ciò che ti viene detto e il disinteresse, anche qui abbiamo una distinzione; perché tu potresti anche non avere interesse, non avere amore. Ecco, l’amore, l’attrazione per ciò che ti viene detto o ti viene annunciato, anche questo è effetto di un’altra Persona: lo Spirito Santo. Però a questo punto il circolo si chiude. Il circolo si chiude perché tu hai l’Essere che ti parla, l’Essere che ti convince, l’Essere che ti attrae in quello e ti mantiene in quell’unità. Non so dirti in modo diverso.

Interlocutore: Il circolo si chiude, ma ci prende dentro.

Luigi: Soltanto se il circolo si chiude noi restiamo presi; altrimenti non possiamo restare, altrimenti  scappiamo.

Interlocutore: E si chiude quando io prendo consapevolezza di questa distinzione tra le tre Persone?

Luigi: Sì, certo; in caso diverso, noi riceviamo, ad es. dal Padre, da Dio, i “dati”, però non ascoltiamo il Verbo. In tal caso siamo dispersi nel mondo, cioè a questo punto apparteniamo al mondo, viviamo per il mondo, e corriamo verso la rovina, perché la salvezza sta nell’unificazione. Allora, abbiamo l’opera di Dio Padre che crea tutti quei fattori che però richiedono da parte nostra una unificazione; e l’unificazione è l’ascolto del Verbo. Se noi non ascoltiamo il Verbo non unifichiamo. Non unificando siamo portati via, siamo dispersi dalle cose, distrutti dalle cose.

Interlocutore: Mi son posto questa domanda sulla distinzione delle Persone perché Gesù dice, al versetto precedente: “Il Padre vi manderà un altro Consolatore”; con questo ci dice che c’era già un Consolatore prima di questo.

Luigi: il primo Consolatore è Lui, il Verbo.

Interlocutore: Consolatore vuol dire che dà luce?

Luigi: No, che dà gioia. La gioia viene dalla luce e naturalmente il Verbo parlando a noi, dà gioia.

Interlocutore: Sì, sono due opere simili: entrambi sono Consolatori.

Luigi: Sì, ma c’è una diversità forte.

Interlocutore: Sono Consolatori in modo diverso perché uno ci parla prima di Pentecoste e l’altro nella Pentecoste?

Luigi: Uno ti dice le cose, l’Altro te le fa vedere.

Interlocutore: Rispetto a quanto si diceva prima: “Dio è Tutto”, per credere veramente debbo dire che “sento” che Dio è il nostro tutto.

Luigi: Sì, uno lo “sente” perché ha esperimentato certe cose, ha ricevuto certe lezioni, per cui si è convinto che Dio è il suo Tutto. C’è un elemento intellettuale.

Interlocutore: Dire che “Dio è il mio tutto” vuol dire “tutto”.

Luigi: E’ “mio tutto” ciò da cui io faccio dipendere tutto di me. Cioè, diventa per me il mio tutto quando io riferisco tutto a Lui, quando riporto tutto a Lui, quando faccio dipendere tutto da Lui, soprattutto come pensiero. Diventa “tutto” in quanto per me è il punto fisso di riferimento: riferisco tutto a Lui. Ad es.: quando si ama intensamente una persona, tutte le cose che si fanno si riferiscono sempre a quella persona; e allora quella persona diventa il “tutto”.

Interlocutore: Qualunque cosa, anche se…

Luigi: Certo, il fatto è riportare tutto, incominciare a riportare tutto a Lui, far dipendere tutto da Lui, riferire tutto a Lui per incominciare a capire ciò che Lui vuole; ad es.: “questa cosa fa piacere a Lui o non fa piacere a Lui? Questa cosa chissà come la pensa Lui…” e riferire tutto a Lui. Soltanto conoscendo uno si prepara l’Avvento (siamo in Avvento): l’Avvento è proprio questa preparazione, è  questa conoscenza in anticipo, prima della realtà. Ora, come avviene una conoscenza in anticipo, prima della realtà? Avviene attraverso il pensiero. Perché essendo tutto immerso in un altro mondo, solo  col pensiero posso precedere l’incontro con la persona che ancora non è venuta, che ancora non è la mia realtà; in quanto la mia realtà è altra. Quindi, anche se io sono immerso in una realtà tutta diversa, posso in qualche modo pensare l’Altro, cercare il Pensiero dell’Altro. Ecco, è proprio questa preparazione in anticipo dell’incontro con l’Altro, che mi renderà capace di accogliere l’Altro quando l’Altro si presenterà. In quanto ognuno di noi è capace, è in grado di riconoscere e di accogliere l’Altro nella misura in cui Lo porta dentro. Ma come lo porta dentro? Nella misura in cui l’ha conosciuto prima che l’Altro si manifestasse.

Tutto dipende dalla preparazione. È la solita parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte. La distinzione tra esse sta tutta nella preparazione dell’olio, nella riserva. Le vergini sagge hanno saputo anticipare il tempo. Bisogna anticipare il tempo. Chi ama veramente anticipa il tempo, prevede le cose: non è sorpreso dalle cose. Se noi siamo sorpresi dalle cose, se siamo sorpresi dall’avvenimento, siamo finiti, perché vuol dire che in noi è mancato l’amore, è mancato l’interesse per Dio, è mancato il pensiero!

Chi ama veramente pensa, perché si trasferisce nell’Altro; col pensiero si trasferisce nell’Altro. E si trasferisce nell’Altro per conoscere tutto dell’Altro, quasi è la mentalità dell’Altro la volontà dell’Altro, i desideri dell’Altro, quello che fa piacere all’Altro e senza accorgersene, entra nella Volontà dell’Altro, diventa il “regno” dell’Altro, diventa conforme all’Altro. Ora, Dio dà a noi la possibilità, adesso, in questa vita, di anticipare il suo incontro. Nella misura in cui anticipiamo il suo incontro, diventeremo capaci di restare con Lui quando Lui si manifesterà. Quindi attraverso questo anticipo cosa di forma? Si forma il suo Volto dentro di noi; e si forma attraverso questo pensare a Lui. E nella misura in cui noi l’avremo portato dentro di noi, diventeremo capaci di restare con Lui quando Lui si manifesterà. Quindi è un problema di anticipo sul tempo. Ora, l’anticipo sul tempo, se noi ci troviamo immersi in un mondo diverso, si ha soltanto attraverso il pensiero.

L’unica facoltà con cui noi possiamo anticipare il tempo, pensare alla vita eterna, è il pensiero; perché noi siamo immersi in un mondo che è ben diverso dalla vita eterna, dal Regno di Dio. Per questo dico: noi abbiamo già un piede sulla soglia eterna. Ma questo piede l’abbiamo col pensiero. Ora, nella misura in cui noi siamo attratti da Dio, siamo interessati a Dio, incominciamo a pensare a Dio. Ma proprio questo pensare a Dio incomincia a formare in noi il Volto di Dio, la conoscenza di Dio; ed è questo che ci rende accetti a Dio, perché diremo: “era questo che io aspettavo!”.

Ma come possiamo dirlo se non lo portiamo dentro? Io posso dire: “ti aspettavo” proprio nella misura in cui lo porto in me. D’altronde è l’esperienza che facciamo noi tutti i giorni: se arriva uno all’improvviso, il suo arrivo mi disturba, mi secca e ad un certo momento gli dico: “abbi pazienza ho altro da fare”. Se invece il suo arrivo l’ho preparato tanto, anche se ho altro lavoro, quando arriva dico: “ah, ma ti aspettavo da tanto!”. È tutta una preparazione interiore. Quindi quello che mi rende accetto è tutto quello che porto di Lui, il desiderio di Lui, la conoscenza di Lui che porto dentro di me. Allora non resto sorpreso, anzi per me diventa gioia. Infatti quando Gesù parla della sua venuta, dice: Vegliate e pregate, affinché siate fatti degni di sfuggire a queste prove, di sfuggire a queste sofferenze, a queste tribolazioni”; vuol dire che c’è la possibilità di sfuggire ad esse. L’avvenimento avviene, questo è poco ma sicuro; il terremoto c’è nella vita di ognuno di noi, il diluvio c’è nella vita di ognuno di noi, perché la Verità si afferma indipendente da noi: è opera del Padre. Si afferma su di noi. La Parola non è che un anticipo di questa Realtà. Quindi è importantissimo per noi ascoltare la Parola di Dio, perché ascoltandola, questa  ci fa pensare a Dio che ancora non vediamo; ci fa pensare al suo Regno che ancora non vediamo. Cioè ci anticipa quello che domani sarà; ma se ce lo anticipa, man mano che quello avviene, diciamo: “ma è proprio così! avviene proprio così! Signore come sei grande! Ecco la tua Realtà!”. Ecco, uno constata, e constata quello che porta già dentro. Ma se uno non lo porta dentro, resta sorpreso, resta deluso, resta ingannato, resta tribolato. In tal caso subisce la fine di tutte le cose, senza la speranza.

Tutto dipende da questa interiorità. Ecco per cui si dice: Rientra dall’esterno all’interno, perché Dio abita dentro di te”. (Qui Gesù dice: “dimora in voi”). Cosa vuol dire: “abitare dentro di te”? 

Interlocutore: E’ una gran cosa prevedere ciò che mi può succedere in futuro: anche avvenimenti spiacevoli, imprevisti in cui mi posso trovare, perché non ne rimango più sorpreso se succedono.

Luigi: Certo. Ora tu dici: “domani mi posso trovare… mi può succedere…”; ma se tu ragioni con Dio, non dici più “mi può succedere”, perché tu ragionando con Dio capisci che le cose sono così, cioè lo deduci da Dio.

Interlocutore: Ma è proprio ragionando con Dio che riesco ad accettare in anticipo anche le soluzioni che Dio vorrà dare a certi problemi, anche se contrarie al mio modo di pensare, ai miei interessi, ecc. Se le ho previste, se arrivano, le supero più facilmente.

Luigi: L’elemento dominante in noi è l’interiorità, quindi bisogna che l’avvenimento esterno sia sempre preceduto dall’interno. Se non è preceduto dall’interno, l’avvenimento esterno ci distrugge.

Interlocutore: Questo fa anche capire quanto Gesù dice qui: “Il mondo non può ricevere lo Spirito di Verità, perché non lo vede, né lo conosce, cioè non ha questa dimensione interiore, quindi non lo può capire, né ricevere.

Luigi: Non lo può ricevere, perché ciò che domina in noi è l’interiore; anche nel male, in tutte le cose, è sempre l’interiore. A seconda di quello che portiamo dentro di noi, noi vediamo e leggiamo l’esterno; è l’interno quello che domina in noi. Quindi metti dentro la dimensione divina, l’armonia con Dio e ti accorgerai che ad un certo momento vedrai il Regno di Dio attorno a te in tutto. Perché noi non leggiamo con gli occhi, noi vediamo con il cuore, con quello che portiamo dentro di noi, cioè con la passione che portiamo dentro di noi.

Interlocutore: Quindi questa Parola di Gesù ci promette lo Spirito di Verità, ci dà la possibilità di pensare a quello che avverrà, e quindi di riceverLo.

Interlocutore: “Gesù dice: “dimora in voi”: significa che ogni uomo porta in sé lo Spirito di Dio?

Luigi: Certo, ma non lo sa. Lo porta ma non lo sa. Noi portiamo Dio in noi, ma non lo sappiamo: abbiamo bisogno di sentircelo dire. È il Verbo di Dio che ce lo dice, e come ce lo dice, noi non possiamo più smentirlo. Lo possiamo rifiutare, ma non smentire. Lo possiamo rifiutare, perché possiamo dire la menzogna; dopo aver incontrato una persona posso dire: “no, non l’ho incontrata”, però la mia coscienza mi rimorde. Ecco, non sono innocente. Così è lo stesso: se il Verbo mi ha parlato, non posso più ignorare quello che Lui mi ha detto. Prima lo potevo ignorare; lo portavo dentro, ma lo ignoravo. Perché è soltanto il Verbo che illumina. Il Verbo parlando a noi ci illumina, ci fa scoprire, cioè ci annuncia quello che già è, per cui diciamo: “ah, è vero, io non me ne rendevo conto”. Ad es. la vita: ad un certo momento scopri che la vita ti è stata data per conoscere Dio, e dici: “io credevo che la vita stesse nel far carriera, nel guadagnare soldi, nel lavorare, nel mangiare, nel vestire, nella figura, nello sposarsi, nell’avere la villa, l’automobile, la casa, ecc.”; poi ecco una Parola! È il Verbo che ti ha parlato. Come ti ha parlato, tu non sei più innocente come prima. Prima eri innocente. Prima cercavi il denaro, la carriera, il lavoro, innocentemente, ma quando il Verbo ha parlato, non sei più innocente. Quando il Verbo ti dice: “No, guarda che io ti ho dato la vita per quello…”. Tu dici “è vero! Non lo posso smentire”. Sì, lo puoi bestemmiare, rifiutarlo, ecc. però non lo puoi smentire. Sei costretto a dire: “sì, non può essere in modo diverso: la vita mi è stata data per conoscere il Signore. Tutti gli altri motivi passano, tutte le altre cose se ne vanno. Ad un cento momento il Signore mi fa toccare con mano che tutto il resto vale niente. Quindi è quello!”. Adesso il Verbo ha parlato.

Ecco qui il Verbo ci dice che lo Spirito di Verità abita in noi. Quindi noi portiamo la Verità in noi: però per prendere consapevolezza di questa Verità abbiamo bisogno che il Verbo parli a noi, che ci educhi, altrimenti noi non ne prendiamo consapevolezza. La portiamo, la subiamo, la sentiamo, ma non la percepiamo. Quando il Verbo parla, cominciamo a percepire, cominciamo a dire: “è vero!”; ecco, aderiamo. Se poi Lo seguiamo, arriviamo a possedere questa Verità, a colloquiare con essa, a scoprire l’Altro che è con noi, perché noi non siamo mai soli. La Luce ci dice: “Tu non sei mai solo”; ma noi facciamo esperienza di solitudine, perché? Sappiamo che c’è un Altro, ma la tribolazione eterna è lì; sappiamo  che c’è l’Altro, ma non riusciamo mai a guardarlo in faccia, non riusciamo mai ad ascoltarlo, non riusciamo mai a parlare con Lui.

Quindi non basta che io abbia l’annuncio. L’annuncio io non lo posso smentire, però non mi salva. Non basta che io sappia che Dio parla in tutto. Sì, Dio parla in tutto, però se io non Lo sento, e non Lo sento come Persona, l’annuncio non mi salva, perché quello che mi salva è la conoscenza.

Interlocutore: La realtà dello Spirito di Verità che abita in noi ci dà gioia: sapendolo abbiamo la possibilità di verificarlo.

Luigi: Sì, certo. Però chi mi dà la possibilità di questa verifica è il Verbo, nella misura in cui io lo ascolto. È Lui che mi conduce. Per cui noi abbiamo già tutto Dio con noi, però ne siamo incoscienti. Perché Dio abita in noi prima di noi, ma noi non ne siamo coscienti. Se ci fermiamo ad ascoltare il Verbo, il Verbo ci fa prendere coscienza di questo. Però come se ne prende coscienza, non restiamo. Ecco per cui la gioia è diversa. Dicevo prima: la gioia è diversa, perché Cristo se ne va. Il Cristo mi parla, mi fa toccare con mano e poi: “Ciao!”. Ecco, Lui se ne va, per cui io ho esperimentato, ma poi rimango “solo”…; non posso più ignorarlo, però non lo posseggo. Invece quando arriva lo Spirito di Verità, lì posseggo, perché “lo Spirito Santo resterà sempre”, e quindi la gioia è molto diversa. Qui si resta. Ma non è il Verbo che resta, perché il Verbo è sempre rimasto, e pure lo Spirito Santo è sempre rimasto; resterà sempre in quanto noi resteremo sempre in questa gioia.

Il Verbo parla e se ne va, perché noi non siamo ancora in grado di restare; però ci prepara il terreno per ricevere quello Spirito che resterà sempre, cioè che darà a noi la possibilità di restare sempre, e quindi sarà una gioia continua.

Interlocutore: Quindi quel “sarà in voi” vuol dire: “prenderete consapevolezza che Lui “dimora in voi”.

Luigi: Sì, certo.

Interlocutore: Il mondo siamo noi quando non guardiamo al Padre ma al mondo, che così entra in noi.

Luigi: Sì, perché noi diventiamo figli di ciò a cui guardiamo. Più guardiamo a Dio, più diventiamo figli di Dio. Se noi guardiamo il mondo, diventiamo figli delle creature. Perché noi diventiamo ad immagine e somiglianza di ciò in cui ci specchiamo: se ci specchiamo negli animali diventiamo simili agli animali; se ci specchiamo negli uomini, diventiamo simili agli uomini e subiamo le passioni degli uomini; se ci specchiamo in Dio, diventiamo figli di Dio. Noi siamo stati creati per diventare ad immagine e somiglianza di Dio. Però per diventare ad immagine e somiglianza di Dio, ci dobbiamo specchiare in Dio, cioè dobbiamo continuamente guardare a Dio. Dio ha detto: “facciamo . Non ha detto: “sia fatto”. Perché se fosse “fatto”, noi saremmo fatti. Noi non siamo fatti. Dio ogni giorno dice ad ognuno di noi: “facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, cioè invita noi a guardare Lui, perché guardando Lui, possiamo diventare ad immagine e somiglianza Sua. Quel “facciamo” è un invito alla collaborazione; lo dice a noi, perché Dio fa noi con noi. Ecco, l’uomo si fa in Dio con la partecipazione, perché Dio chiede la consapevolezza. La Verità chiede consapevolezza, quindi la partecipazione. Per questo dice: “facciamo”. Però, essendo creati da Dio per essere fatti ad immagine e somiglianza di Dio, noi possiamo guardare altro da Dio, e allora cresciamo ad immagine e somiglianza di altro. La Parola di Dio mi dice: “no, facciamo l’uomo ad immagine e somiglianza nostra, cioè ad immagine e somiglianza di Dio”. Quindi la Parola di Dio mi dice: Io ti ho creato perché tu cresca ad immagine e somiglianza Mia; Io ti ho creato per questo, quindi ti invito a specchiarti in Me”. Ecco, se noi ci stacchiamo da Lui, cominciamo a guardare altro; allora diventiamo ad immagine e somiglianza di altro. Naturalmente diventando ad immagine e somiglianza di altro subiamo l’interesse e la passione dell’altro. Ecco perché ad un certo momento restiamo dominati dalle passioni del mondo, perché specchiandoci nel mondo, subiamo le passioni del mondo. Siamo drogati! Drogati dalle passioni del mondo e non possiamo uscirne, perché noi siamo effetti di ciò cui pensiamo. Noi non siamo liberi.

Interlocutore: Posso diventare libero se inizio a guardare Dio.

Luigi: Ecco, fintanto che ho la possibilità di alzare gli occhi dalle creature al Creatore, ho la possibilità di uscirne dalle schiavitù, magari con la tribolazione, perché sotto un certo aspetto sono già stato improntato da certe passioni del mondo. L’importante è spostarmi con lo sguardo (sguardo inteso come pensiero), dalla creatura al Creatore. Ecco, bisogna fare questo lavoro in continuazione: guardare sempre a Dio (pensare Dio) attraverso tutte le cose: cercare sempre Dio, cercare il Pensiero di Dio, il significato di Dio, ecc. in tutte le cose.

Interlocutore: In me però c’è altalena: ogni tanto guardo Dio, ogni tanto torno a guardare le cose del mondo.

Luigi: Lo so, ci vuole pazienza. Il Signore dice: “con la pazienza arriverete a possedere l’anima”. Possedere l’anima vuol dire possedere questo sguardo. Noi siamo terribilmente incostanti, volubili. Dio è l’Essere costante, Dio è l’Essere fedele: noi per natura siamo infedeli; noi siamo l’acqua che basta cambiarla di recipiente che assume la forma diversa del recipiente in cui si mette. Ecco, noi siamo terribilmente volubili, siamo incostanti. Infatti la fedeltà si impara da Dio, perché Dio è il Fedele. Più noi guardiamo a Dio e più diventiamo fedeli, cioè diventiamo capaci di possedere il nostro sguardo rivolto a Lui. Più ci allontaniamo da Dio e più noi siamo in continuo mutamento: abbiamo mille nomi, mille facce. Lontani da Dio noi non sappiamo più chi siamo, perché siamo tanti! Noi siamo l’effetto dell’ambiente, delle persone che incontriamo, perché veniamo ad immagine e somiglianza loro. Quindi abbiamo tanti nomi, mille nomi, miliardi di nomi. Ecco, soltanto con Dio noi ci fermiamo, con pazienza. “Con la pazienza arriverete a possedere… cioè a restare. E la permanenza è data a noi dallo Spirito Santo. Ci vuole però questa pazienza. Quello che ha formato i santi è stato proprio questa pazienza. Nonostante tutti i mali, i peccati, ecc., essi ebbero questo continuo ritornare… Guardiamo S. Pietro. L’abbiamo detto tante volte: se c’è una figura volubile nel Vangelo è proprio S. Pietro. Eppure, nonostante tutto, un essere che continuamente si lascia portare da entusiasmi, sentimenti, promettendo mille mondi e poi tradisce…; eppure è sempre rimasto con Gesù. Ecco, con la pazienza di restare, nonostante tutti i suoi mali, a poco per volta è stato condotto anche Lui a Pentecoste. Ma la natura umana di per sé è volubile.

Interlocutore: Gesù qui contrappone il mondo a “voi”; quindi il mondo non può ricevere lo Spirito di Verità, ma i suoi lo ricevono.

Luigi: Sì, infatti dice: “voi lo conoscerete”: ricevere e conoscere è la stessa cosa.

Interlocutore: “Perché il mondo né lo vede né lo conosce”: cioè, sembrerebbe più chiaro se dicesse: “non lo può vedere e non lo può conoscere”.

Luigi: No. È giusto così: “non lo vede”. Non può ricevere perché non lo vede. Il mondo si caratterizza in questo: vive di ciò che vede. Invece la condizione per avere lo Spirito Santo è proprio superare quello che si vede. Bisogna superare la superficialità, la Verità è in profondità. Quindi “non aspettatevi di vedere il regno di Dio tra le cose che si vedono”, tra le cose apparenti, perché voi vedete quello che è in relazione all’io. Il mondo vive di quello che vede. Coloro che credono in Dio non vivono di quello che vedono, ma superano quello che vedono, per arrivare a vedere quello che non vedono. Tutto sta lì. Il mondo non supera quello che vede: si adegua. Quante volte si dice: “Ma noi dobbiamo avere i piedi per terra, siamo figli di questo mondo… la realtà è questa!”. La realtà non è questa: io non posso dire che la realtà è quella che vedo con i miei occhi. I miei occhi non vedono la realtà. La Realtà è Dio, ma i miei occhi non vedono Dio ( “il mondo non lo vede e non lo conosce”). Ecco, il mondo si caratterizza in questo: il mondo vive per quello che vede. I figli di Dio vivono per quello che non vedono, che non vedono naturalmente, nel pensiero dell’io.

Interlocutore: “Ma voi lo riceverete”, cioè lo conoscerete perché vivrete per quel che non si vede.

Luigi: “…perché dimora con voi”, cioè lo Spirito Santo dimora, quindi è la Realtà.

Interlocutore: Lo Spirito però dimora in ogni uomo, anche se chi appartiene al mondo non ne ha consapevolezza.

Luigi: Per il mondo è segno, è annuncio, non dimora. L’abitazione, la dimora è nello Spirito di Dio, è in Dio. In sé e per sé, Dio dimora in Se stesso. Dio si annuncia a tutti e annunciandosi a tutti, invita tutti ad entrare nella sua dimora. Fintanto che noi non entriamo in questa dimora non prendiamo consapevolezza di Colui che è. Noi diciamo: “Dio è nell’albero”. Dio non è nell’albero. L’albero è un segno, l’acqua è un segno, la creatura, i corpi sono dei segni, ma se io scavo l’albero per cercare Dio, non trovo Dio.

Interlocutore: In realtà siamo noi che siamo chiamati a dimorare in Dio, quindi non è lo Spirito che dimora in noi.

Luigi: Qui dice: “Dimora con voi”. Lo dice Gesù, è Parola di Dio. Dimora, dimora con voi. Dimora con voi; perché “con voi” e non “con il mondo”? Chi sono questi “voi”? Qui Gesù dice: “dimora con voi”; lo dice a coloro che sono con Lui; se son discepoli suoi, lo Spirito dimora in loro. Egli dimora con quelli che sono con Lui, quindi: “dimora con voi”. Quindi  non dimora in tutti, ma si annuncia a tutti.

Interlocutore: Ed è questa sua dimora in noi che ci dà la possibilità di conoscerLo, giusto?

Luigi: E’ la Parola di Dio che parlando a noi la Realtà, ci conduce a vedere la Realtà; annunciandocela ci prepara a riceverla. Se la Parola di Dio non parla a noi, noi non possiamo prendere consapevolezza della Realtà. La Realtà sfugge a noi. Noi chiamiamo realtà quello che vediamo con i nostri occhi, quello che tocchiamo con le nostre mani, ecc.; e diciamo: “no, Dio è un’astrazione, Dio non esiste, Dio è lontano, perché io non Lo vedo e non Lo tocco”. E no! Allora Dio esisterebbe perché tu lo vedi e lo tocchi? Se così fosse tu saresti Dio! Dio non esiste perché tu lo vedi e lo tocchi. Dio esiste anche se tu non Lo vedi e non Lo tocchi: Dio è superiore a te. Quindi esiste anche se tu non Lo vedi e non Lo tocchi. Altrimenti noi diremmo: “Sono io che misuro Dio”. Se noi potessimo dire: “Dio esiste perché lo vedo e lo tocco”, condizioneremmo Dio alla nostra esistenza. Tu vedi e tocchi questo tavolo perché è inferiore a te. Dio non è inferiore a te. Quindi Dio non esiste in quanto tu lo vedi o lo tocchi.

Interlocutore: Quindi se siamo col Cristo possiamo ricevere lo Spirito di Verità, perché lo Spirito di Verità abita in noi. E “sarà” in noi quando ne avremo preso consapevolezza.

Luigi: E’ la sua Parola che ci conduce a questa consapevolezza.

Interlocutore: Perché troviamo tante difficoltà a convincerci che Dio è in noi?

Luigi: Noi difficoltà ne abbiamo tante, perché prima di tutto non siamo noi che parliamo. La Parola arriva a noi e arrivando a noi ci porta là dove noi non viviamo e naturalmente non vediamo. Se ad es. viene uno ad invitarmi ad andare sul Monviso, e io aderisco e vado,  lui mi porta sul Monviso; però io non posso restare sul Monviso, perché abito a Fossano, quindi debbo scendere giù. Il che vuol dire che noi abbiamo tutta una vita condizionata dalle nostre abitudini, dai nostri legami, ecc.  gni parola che diciamo, ogni azione che facciamo, già ci condiziona. Siamo dei drogati dalle nostre parole. Una parola detta già mi condiziona e mi stabilisce un’aderenza, mi determina un comportamento, ecc. Quando mi arriva una Parola diversa, la Parola di Dio, non posso smentirla. Se ho un po’ di fede, aderisco e dico: “è vero!”; però ho una tribolazione grande, perché debbo rompere, tagliare tutte queste aderenze, tutte queste mie abitudini, questo mio vivere, perché abito in una casa che è molto strana, che è molto lontana da quella che è la Casa di Dio. E quando Dio mi si annuncia e mi dice: “ma io ti avevo creato per abitare nella mia Casa”. Allora capisco: “Oh, che baracca mi sono creato! Che pasticcio!”; e allora voglio uscirne, ma hai voglia!

Perché ci troviamo tutti in un pasticcio. È lì tutta la difficoltà, la penitenza, la tribolazione. Tribolazione per uscire dalle baracche che noi abbiamo costruito e in cui ci siamo immersi.

Interlocutore: Questa difficoltà si esperimenta anche quando uno deve staccarsi da un certo cibo o bevanda di cui è convinto che fa male alla salute.

Luigi: E sì, perché tu sei condizionato da tutto. È necessario essere convinto, anche se non è sufficiente; è necessario, perché tutto viene dall’intelletto. Quindi ci vuole la convinzione, perché se non sei convinto è peggio. Ci vuole prima di tutto l’elemento che convince e poi ci vuole tutto l’inserimento. Ora, tutta questa partecipazione personale ti rende capace di gioire dopo. Se uno tribola per arrivare, quando arriva non si stacca più tanto facilmente, perché “so quanto mi è costato!”. Ecco, è il prezzo che uno ha da pagare. Per cui non è tutto negativo, anche se abbiamo costruito tante abitudini contrarie allo Spirito di Dio, tutte queste diventano un prezzo per stabilire un’unione molto salda con Dio; perché più si fatica e più si stabilisce un legame forte, saldo. Ecco perché Gesù dice: “le prostitute vi precederanno”; perché il dover superare tutto un mondo sbagliato, diverso, di schiavitù, stabilisce un legame fortissimo, che non ci stacca più da Dio.

Pensieri conclusivi:

Interlocutore: Il fine della vita è conoscere Dio.

Interlocutore: Impegnarmi personalmente nell’ascolto di Dio.

Interlocutore: Ritornare continuamente a Dio, quando si sbaglia, per restare sempre con Lui.

Luigi: E non aver paura. Non lasciarsi mai dominare dalla paura. Dio è più grande dei nostri errori.

Interlocutore: Dare molti momenti della giornata a Dio.

Interlocutore: Noi diventiamo ad immagine e somiglianza di quello che guardiamo. La caratteristica dei figli di Dio è che vivono per quello che non si vede naturalmente.

Luigi: Mentre i figli del mondo vivono per quello che vedono, per l’apparenza.

Interlocutore: Vigilare sui nostri interessi: deve essercene uno solo.

Interlocutore: Bisogna tener presente quel punto immacolato, assoluto che è in noi e che è dato dalla Presenza di Dio in noi: è un invito…

Luigi: …a vivere in armonia con l’Assoluto che portiamo in noi.

Interlocutore: Devo vigilare per portare tutto al Padre, se no ricado nello spirito del mondo che non può accogliere lo Spirito di Verità.

Interlocutore: Mettere tutto il nostro sforzo per cercare di uscire dal nostro mondo.

Luigi: Sì, ma forse più che lo sforzo per uscire dal quel mondo, penso che bisogna guardare a Dio. Non è tanto il problema di togliere la zizzania; il problema è di far crescere il grano. Ecco, l’importante è che il grano cresca. Man mano che cresce ti conquista con la sua bellezza. Non è tanto lo sforzo di staccarmi dalle cose; e non è tanto il problema di non preoccuparsi: preoccupati del positivo non di quello che devi lasciare. Cerca di far crescere in te, per quanto ti è possibile, la conoscenza di Dio; in modo che quanto più cresce, tanto più il resto tramonta, di per sé. Il problema non è tanto di svuotare una stanza quanto di riempirla dello Spirito buono.

Interlocutore: Questa promessa di Gesù: “Lo conoscerete…” è un impegno di ascolto, perché dall’ascolto viene la conoscenza e la dimora dello Spirito in me, e innanzitutto la consapevolezza di questa sua dimora. Perché coloro che sono del mondo non ascoltano; quindi lo Spirito non dimora in essi.

Luigi: Certo, però quel “dimorare” rivela che sono essi che non dimorano nello Spirito. Lo Spirito c’è dappertutto e quindi anche in essi. Come quando dice: “Io verrò”, non è che Lui viene; siamo noi che dobbiamo “venire”, siamo noi che dobbiamo entrare.

Interlocutore: Questo però dipende dall’ascolto; quindi è un invito all’ascolto.

Luigi: Certamente.

Interlocutore: “Lo conoscerete perché dimora in voi”: la conoscenza allora dipende da questa dimora dello Spirito in noi?

Luigi: Certo, perché la conoscenza da parte nostra è sempre una conseguenza di un dono da parte di Dio. Dio per primo si dona a noi, perché se Lui non si dona, noi non possiamo neppure pensarLo. Conoscere vuol dire vedere la Presenza; ma noi possiamo vedere la Presenza nella misura in cui Dio viene a noi per primo; perché se Lui non viene a noi per primo, noi non ce lo sogniamo nemmeno! Quindi la conoscenza presuppone la Presenza; però non è che data la Presenza, noi vediamo. Dio è presente, ma noi vediamo i segni, le creature: Dio non Lo vediamo. Però Dio è presente. Ecco, Lui per primo dona a noi la sua Presenza. Proprio il fatto di sapere che Lui è presente e noi non lo possiamo smentire (proviamo a smentire che Lui sia presente: dovremmo dimostrarlo che Lui sia assente; ma questo non lo possiamo), quello ci porta nella fede. Quindi sapendo che Lui è, noi siamo impegnati a cercarLo. Ecco, la fede ci impegna. Quindi già la sua Presenza, di per sé, anche se non dico niente (d’altronde la sua Presenza è già una Parola) anche se non dice niente, la semplice sua esistenza, la sua Presenza tra noi è vocazione. E se noi non ci interessiamo, siamo in colpa, perché non ci interessiamo di Colui che esiste, di Colui che è presente. Cioè, il voler ignorare Uno che abbiamo davanti ai nostri occhi, ci mette in colpa. Perché? Perché noi non lo possiamo smentire: il non tener conto di Uno che abbiamo presente, ci mette in colpa, perché io ho trascurato Uno che è con me. Dio esiste, ed esiste in modo che noi non possiamo negarlo, già per noi è fede e quindi è vocazione, e quindi è impegno, e quindi è già una garanzia: “Mi vedrai!”, però adesso che Lui esista, che Lui sia presente è una cosa, ma vederlo è tutta un’altra perché richiede tutto; una realizzazione di condizioni, cioè una purificazione dei nostri occhi per arrivare a vedere Colui che si annuncia presente, ma che i nostri occhi non vedono. Ma allora, Signore che cosa debbo fare per poterti vedere? Ecco, Tu dici a me che sei con me, ma io non ti vedo, io non ti sento, non ti esperimento, che cosa debbo fare? E se io chiedo a Lui: “Che cosa Signore vuoi da me, che cosa debbo fare per arrivare a vedere quella Presenza che tu mi affermi, mi confermi?” ecco, che se Lo interrogo, Lui a poco per volta mi insegna, mi guida, mi conduce verso la realizzazione di quelle condizioni al punto tale da poter vedere, toccare, esperimentare, la sua Presenza. S. Giovanni nella sua lettera dice: “Noi abbiamo toccato con le nostre mani, abbiamo visto con i nostri occhi la Vita che era presso Dio e che si è manifestata a noi”. Quindi qualcuno l’ha visto, l’ha toccato. Ora questo qualcuno è una caparra, un campione di umanità per ognuno di noi, perché “se qualcuno…”allora anche tu, se realizzi quelle condizioni… Ora il semplice fatto che Lui dimori con noi, che Lui sia con noi è già una promessa ed è già una garanzia e quindi una sollecitazione a “affrettatevi a conoscere il Signore, perché Lui è con voi”.

Interlocutore: “e sarà in voi”.

Luigi: Sì, è una presa di coscienza. Se dimora, è”. Quindi quel sarà è da parte nostra. Siamo noi che dobbiamo arrivare a quel livello di presenza in cui già Egli è. Dio è presente, noi siamo assenti; Dio ci conosce e noi non Lo conosciamo; Dio ci ama, noi non Lo amiamo. Lui per primo si dona a noi, Lui per primo ama noi, Lui per primo guarda a noi, Lui per primo pensa a noi. Ora questa sua azione per primo, mette in movimento noi, per far arrivare anche noi allo stesso livello; per cui noi dobbiamo arrivare a vederlo come Lui ci vede, a conoscerlo come Lui ci conosce, ad amarlo come Lui ci ama, a pensarlo come Lui ci pensa. Ecco, allora noi siamo con Lui.

Interlocutore: “Voi lo conoscete perché dimora con voi”: qui Cristo si riferisce al Figlio, al Verbo interiore?

Luigi: No, lo Spirito di Verità; perché prima aveva detto: “Vi manderò Uno che resterà sempre con voi, mentre Io non resto sempre con voi”. Quindi Cristo non resta sempre con noi e non può restare sempre con noi, mentre invece “lo Spirito di Verità resterà sempre con voi”: per questo sarà gioia.

Interlocutore: “Lo conoscete” non è ancora la conoscenza definitiva, Pentecoste; però il segno che lo Spirito è entrato in noi e dimora con noi è il rispondere affermativamente alla richiesta di Dio?

Luigi: No, anche se noi non diamo una risposta affermativa, lo Spirito è sempre presente, perché Dio è presente dappertutto. Dio è sempre con noi, anche se noi non Lo conosciamo. Qui Cristo sta parlando per preparare le anime alla Pentecoste, quindi afferma una cosa che loro non esperimentano ancora, ma proprio l’affermazione da parte del Figlio di Dio, rende la nostra anima attenta, perché Lui mi dice che io lo vedo ( “voi lo conoscete”). “Ma io non lo vedo, Signore!”. Ma allora apri bene gli occhi. Egli ti dice: “Guarda là che c’è il sole!” Ma no, io vedo la notte, vedo la luna, vedo le stelle e Lui continua a dirmi: “Ma guarda che c’è il sole”; Lui mi dice: “c’è”, allora stai attento, ad un certo momento lo vedo. Si richiede questa dedizione; bisogna arrivare a quella tale dedizione: “ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore…”. Quando lo ami con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, lo vedi. Fintanto invece che lo ami soltanto parzialmente, pensi a Lui soltanto quando ti fa comodo, ecc. non puoi assolutamente vederlo; perché Dio è un dono totale richiede da parte della creatura un dono totale. È soltanto con il dono totale che si arriva alla Presenza. Ma fintanto che il nostro dono è parziale, noi non possiamo arrivare a vedere Colui che si dona totalmente. Noi quindi Lo vediamo per parti. Le persone le vediamo per parti, noi non le vediamo nella loro totalità, cioè noi non vediamo le persone: noi vediamo la presenza del loro fisico; ma il fisico è una presenza parziale; ecco, la totalità ci sfugge. Ma perché ci sfugge? Perché non c’è la dedizione totale. Qui Lui afferma una cosa, che però noi non percepiamo.

Interlocutore: Non la vediamo, ma ne percepiamo l’esistenza: in questo senso penso Cristo dica: “Lo conoscete”.

Luigi: Sì, noi percepiamo, senza però esserne consapevoli.

Interlocutore: Infatti Egli dice: “Sarà in voi”.

Luigi: E’ una percezione che non può essere rifiutata.

Interlocutore: Lo sappiamo, ma non lo esperimentiamo.

Luigi: Lo sappiamo. Non la esperimentiamo, ma non possiamo negarla.

Interlocutore: Neppure possiamo dimostrarla.

Luigi: Non possiamo dimostrarla, certamente, perché il dimostrarla vuol dire già averne consapevolezza (e questo sarà a Pentecoste), e quindi sfugge. Però da parte di Dio, proprio affermando ciò che Egli è e come Egli è, prepara noi alla Pentecoste. Perché se Lui per primo non parlasse, cioè se Lui per primo non si donasse, noi non potremmo arrivare a vederLo.

Interlocutore: Quindi la sua dimora in noi precede anche questa nostra conoscenza parziale.

Luigi: Sì, certo. Dal momento in cui Lui ha creato l’uomo, dimora con l’uomo. Dimora con l’uomo anche quando l’uomo lo bestemmia, anche quando l’uomo lo uccide.

Interlocutore: Qui Gesù dice: “Dimora in voi”: quel voi è in contrapposizione con il mondo che non lo vede né lo conosce. Possiamo allora dire che dimora anche nel mondo?

Luigi: Certamente, Lui dimora anche nel mondo. La contrapposizione non importa mica: che il mondo non Lo conosca non impedisce a Dio di conoscere il mondo. Dio ci conosce anche se noi non Lo conosciamo. Dio dimora anche là dove è rifiutato. Dio dimora ovunque, Dio abita ovunque. La sua Verità è al disopra di tutto. Non c’è nessuno che Lo possa far fuori: ma è proprio questo che costituisce anche l’inferno, perché la creatura non può annullare ciò che non comprende. Dio è il proprietario della casa: noi non possiamo cacciarlo fuori. Possiamo crearci l’inferno perché non andiamo d’accordo, ma Lui è il Proprietario della casa. Se noi ci vantiamo di essere proprietari, tutti si mettono a ridere, perché quando noi diciamo: “io sono il proprietario”, ad un certo momento ci accorgiamo che noi siamo invece torturati, tormentati dalle nostre insufficienze, dalle nostre incapacità a reggere la casa. Quindi chi regge la casa è ben un Altro!

Interlocutore: Comunque il fatto che Lui dimori, non è sufficiente perché sia conosciuto. Il dimorare è un dato oggettivo: occorre un elemento soggettivo. Se Lui dice agli apostoli: “Lo conoscete” è perché essi avranno avuto questo elemento soggettivo.

Luigi: No, la Parola di Dio ci parla di Dio! Non ci parla mica di noi. La Parola di Dio ci parla di Dio! Parla a noi di ciò che è Dio, di ciò che è lo Spirito di Dio. E qui dice: “Lo Spirito di Dio è con te”. E grazie! Lo Spirito di Dio è con me? Ma Signore mio, io non ti vedo! Quindi mi dice: “Dio è con te”. Molto bene: Dio è con me. Ma questo non è sufficiente perché io Lo conosca. Qui mi sta dicendo il Pensiero di Dio, la Verità di Dio. La Verità di Dio è questa: io te l’annuncio: Dio è con te. “sappilo!”. Ed io non lo posso negare, perché la Verità è superiore a me. Io non lo posso negare, però non lo posso capire.

Interlocutore: Qui però Gesù fa una constatazione di fatto perché dice : “Voi lo conoscete”. Ci sarà pur un elemento soggettivo per cui gli apostoli lo conoscono e gli altri no; e in che cosa consiste?

Luigi: Dio afferma una Verità e proprio in quanto afferma questa Verità, dà all’apostolo la grazia, la possibilità di arrivare a constatare ciò che Egli afferma. Dà la grazia di arrivare, ma non è detto che arrivi.

Interlocutore: Ma allora l’affermazione “Voi lo conoscete” sembra già grazia acquisita.

Luigi: No! Quando Cristo dice: “Il Padre voi lo conoscete” gli apostoli gli rispondono: “Signore, mostracelo questo Padre”. eppure Lui dice: “Voi lo conoscete”. L’affermazione da parte del Verbo non coincide con la consapevolezza da parte della creatura: è vocazione! Cioè la Parola di Dio che arriva a noi è vocazione per noi ad arrivare là, a ciò che essa afferma, a ciò che il Verbo afferma. Quindi è vocazione, Lui afferma la Verità ed io non la posso smentire. Però non la posso constatare fintanto che non arrivo a quel livello al quale Lui mi chiama, a cui Lui mi chiede di arrivare. Però quando constaterò, dirò: “Aveva ragione Lui”. Non avevo ragione io, perché constatando dico: “Signore, era proprio vero: io già ti conoscevo, ma non lo sapevo. Tu mi eri presente…”. Trovando Lui, noi troviamo una Verità vecchia quindi aveva ragione Lui quando diceva: “Voi mi conoscete”. Ma noi non Lo conoscevamo. Vedi? C’era un difetto da parte nostra: l’avevamo presente e non l’avevamo presente. Allora che cosa difettava in noi? Cos’è che mancava in noi? Da parte di Dio c’era la Presenza; da parte nostra c’era l’assenza perché ci divertivamo: ecco, eravamo incapaci di sostare quel tanto davanti a Lui per percepirlo. Quando lo percepiamo diciamo: “ma era sempre presente con me, era Colui che ha sempre parlato con me, ed io non mi son mai reso conto”. Scopro Colui che ha sempre parlato con me.

Interlocutore: Quindi Gesù dice questo: “Lo conoscete perché dimora in voi”, per invitarci a prendere coscienza di questa realtà che ancora non percepiamo.

Luigi: Certo, ma è proprio per questo prendere coscienza che da parte nostra c’è difficoltà.

Interlocutore: In questo senso sta bene anche il presente (= Lo conoscete), anziché “Lo conoscerete”.

Luigi: Sì, può andare anche il presente, però il presente di Dio non coincide col presente nostro; cioè, quando Lui mi dice: “Tu lo conosci”, non è detto che io lo conosca.

Interlocutore: So però che esiste in me, perché Lui me lo dice.

Luigi: Sì, so che esiste, ma non è detto che io prenda consapevolezza di questo. Eppure Lui mi dice: “Ecco, tu mi conosci”.

Interlocutore: Infatti aggiunge: “Sarà in voi”: cioè ne prenderete consapevolezza.

Luigi: Certo. Comunque teniamo soltanto presente questo fatto: che qui Dio parla una Verità che noi non possiamo ancora percepire, ma La parla affinché noi La percepiamo; perché se Lui non La parlasse, noi non La percepiremmo affatto. Quindi Lui afferma una cosa che noi attualmente non percepiamo, e che quando percepiremo riconosceremo vera. Ora, l’importante è questo: che Lui parli a noi  e che Lui parli a noi quello che per noi sarà futuro; ma proprio in quanto parla noi, dà a noi la grazia, se noi accogliamo in noi il suo parlare, dà a noi la grazia per poter arrivare a verificare quello che Lui dice. E allora sarà la gioia, perché constateremo la Verità, toccheremo con mano, vedremo con i nostri occhi, personalmente. Dico: questo è gioia. La gioia ci viene dallo Spirito. L’importante però è questo: che Dio annunci già a noi la sua Verità prima che noi possiamo capirla, prima che noi possiamo conoscerla, perché è proprio il suo annuncio a noi prima di noi che dà a noi la capacità di giungere a vedere ciò che ancora non vediamo.

Interlocutore: Quindi lo Spirito dimora in tutti: discepoli e mondo; però il mondo non lo può conoscere, i discepoli sì. Gesù mette in contrapposizione il mondo e “voi”. Cioè non basta che lo Spirito dimora per poter giungere a conoscerlo.

Luigi: Bisogna tener presente che la differenza tra il mondo e il “voi”, la si trova sovente in Gesù, anche nel Vangelo di S. Matteo, quando per es. parla delle parabole: A voi è dato conoscere i misteri del Regno; agli altri tutto è detto in parabole, affinché non capiscano”. E allora in che cosa consiste questa differenza tra “voi” e gli altri? Precisa: a voi che siete dentro” e “agli altri che sono fuori”. C’è un dentro e c’è un fuori. Si può essere dentro e si può essere fuori. Ecco: a chi è dentro è dato conoscere i misteri del Regno di Dio; a coloro che sono fuori, tutto è detto in parabole, affinché non capiscano. Fintanto che si è fuori, non si capisce, e quindi, non capendo si è sollecitati ad entrare perché la luce è nel Tempio; cioè uno capisce di non capire: “affinché non capiscano”, cioè affinché capiscano che non capiscono. Allora, come mai? Io capisco niente: mi trovo in un mondo in cui non capisco niente; mi trovo con una vita di cui non capisco niente, ecc. Come mai non capisco niente? Ecco, perché sei fuori; allora tutto ti è detto in parabole, per accecarti, per farti capire che non capisci niente: entra nel Tempio di Dio e lì troverai la luce perché Gesù stesso dice: “a coloro che sono dentro, è dato conoscere i misteri del Regno di Dio”. Quindi Dio regna in tutto: tutto il mondo è Regno di Dio; la nostra vita è Regno di Dio, tutto è Regno di Dio e dico: questo è il mistero del Regno di Dio. Fintanto che siamo fuori non ci capiamo niente, però c’è il cartello: “se tu entri capirai”. Noi abbiamo la segnalazione: Dio ci mette il fuori e ci mette il dentro, però ci mette anche il cartello: “Se vuoi capire, entra”: perché soltanto a chi è dentro è dato conoscere i misteri del Regno di Dio. Il mondo è quello che è fuori. Fuori, il mondo non può intendere. Ma forse che Dio fuori non c’è? Anche il mondo è Regno di Dio; tutto è Regno di Dio, però non può capire, perché si capisce con Dio. Le cose di Dio si capiscono in Dio, dentro. Ora per entrare dentro, ci vuole questa dedicazione, perché dice a “voi”? E chi siete questi “voi”? “Signore, noi abbiamo lasciato tutto per seguire Te”. Ecco quello che li ha fatti entrare!: abbiamo lasciato tutto per andare dietro di Te; “Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso… lascia, va, vendi…” E così: “Noi abbiamo lasciato tutto per venire dietro di Te”. Ecco a voi è dato di conoscere i misteri del Regno di Dio. Ma fintanto che siamo abbarbicati al pensiero del nostro io, al pensiero delle cose del mondo, alle parole degli uomini, alla nostra figura, alle nostre ambizioni, ai nostri guadagni, ai nostri interessi, ecc. noi siamo fuori. E in questo fuori tutto è detto in parabole, “affinché non capiscano”. Ora il fatto di non capire è una sollecitazione da parte di Dio: Dio che acceca la creatura affinché la creatura scopra la sua miseria, la sua povertà, la sua cecità e invochi la luce. Se invoca la luce, Dio comincia ad annunciare: “Se vuoi trovare la luce, entra”. Abbiamo la differenza tra il dentro e il fuori, quindi tra voi e il mondo.

Interlocutore: Entrare vuol dire allora dedicarsi?

Luigi: Entrare vuol dire dedicarsi. Dedicarsi a ciò di cui parla Dio a noi. nella misura in cui ci dedichiamo alla sua Parola entriamo. Ecco, è molto importante sapere quello che ci  dice Lui, perché Lui parlando a noi annuncia la sua Verità, annuncia già ciò che Egli è. Se noi l’accogliamo, e meditiamo sulle sue Parole, le sue Parole ci fanno entrare. Sono le sue Parole che ci fanno entrare. Lui parlando a noi, fa entrare noi nel Tempio, nel Tempio di Dio, dove le cose, a poco per volta si illuminano, perché lì c’è la luce; fuori invece no, non c’è la luce.

Interlocutore: Queste parole di Gesù sono promesse di Dio.

Luigi: Sì, sono promesse di Dio, che ci invitano a camminare. La Parola di Dio, la promessa di Dio è una vocazione, cioè una chiamata a: interessati di, di ciò di cui ti parla. La promessa è un campione che arriva a noi, un campione della merce: ecco, vedi un po’ se questa merce ti interessa. Adesso, se ti interessa informati del prezzo, della via per arrivare a  comperarla, ecc. Quindi, le parole di Dio sono un campione, quale promessa: la merce c’è. Però adesso, se vuoi ottenerla, informati circa il prezzo; circa il modo per poter ottenerla.

Interlocutore: Quindi quel “Lo conoscete” al presente, va inteso come: lo sapete, lo conoscete perché io vi dico che: “esiste, che dimora in voi” e “sarà” in voi, cioè ne prenderete conoscenza.

Luigi: Certo.

Interlocutore: Ne prenderemo conoscenza se ci dedicheremo a questa parola che ce lo annuncia.


“Io non vi lascerò orfani: ritornerò a voi”. Gv 14 Vs 18


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13/ Dicembre /1980


Interlocutore: Lo dice perché non cadano nella tristezza: Egli deve andarsene perché venga in essi lo Spirito, ma ritornerà. Ritornerà nel senso che con lo Spirito, sarà conosciuto quale Egli è, come Pensiero del Padre.

Luigi: E quindi come Persona…

Interlocutore: Per cui il rapporto con Lui diventa un rapporto personale, mentre prima era un rapporto indiretto.

Luigi:di sentimento, un rapporto esterno. Ora la venuta dello Spirito diventa un rapporto personale.

Interlocutore: Orfano è chi è senza padre. In che senso usa questa parola il Cristo.

Luigi: Dice: “orfani” nel senso di “essere privati di”, quindi è come se dicesse: “Non vi lascerò privi della mia Presenza”. Rimanere orfani ha il significato di privazione. Egli fa capire a noi che la sua partenza fisica è una partenza transitoria in vista di un dono maggiore. E in questo dono maggiore c’è l’incontro con un'altra Persona e c’è il ritrovamento di Lui stesso. Si trova Lui. “Ci rivedremo”, ci dice in sostanza: “Ci rivedremo in un modo molto più intimo, molto più personale, molto più vero di quel che voi attualmente esperimentiate”.

Interlocutore: Più che di partenza transitoria allora si tratta di una partenza apparente, perché si sottrae sì la sua presenza fisica, ma Lui rimane.

Luigi: Per chi scambia la presenza fisica per realtà, quella è una partenza sostanziale. Noi soventi volte diciamo che quando una persona muore, non muore, ma entra nella vita. Però per chi scambia la presenza fisica per realtà, quello è morte; quello è un distacco: lui non avverte più: prima parlava e l’altro rispondeva. Adesso io parlo e l’altro non mi risponde più, e quindi è diventato assente, non è presente. Quindi fintanto che per noi quello che conta è la presenza fisica, noi siamo privati con la morte di quella presenza; quindi noi siamo privati della realtà, di quello che per noi è realtà. La presenza fisica per noi è realtà. Ora, lo scoprire che la realtà è Spirito richiede da noi il superamento del pensiero di noi stessi, perché la scoperta che la realtà è Spirito viene da a noi da Dio, non viene dal pensiero dell’io. Dal pensiero del nostro io viene: “tutto quello che io vedo e tocco,questa è la realtà”. Fintanto che noi siamo nel pensiero del nostro io, la realtà è quella che il nostro io vede e tocca ed esperimenta. E qui non esperimenta assolutamente Dio! Noi esperimentiamo la materia che è la negazione di Dio nel pensiero dell’io, perché è logico, perché Dio non si sottomette all’io. Quindi la materia è in relazione al nostro io; infatti noi diciamo: mondo relativo”: è in relazione al nostro io. Dio esiste anche se noi non ci siamo; quindi Dio non è in relazione al nostro io. Noi siamo in relazione a Dio, ma Dio non è in relazione a noi. tu non puoi dire: “Dio esiste perché io ci sono”: ti metteresti in una situazione in cui non arriveresti mai ad  intendere la Verità di Dio. Dio esiste perché il mondo c’è. No! Anche se il mondo non ci fosse, noi dobbiamo arrivare lì: a quella “gloria che era prima che il mondo fosse”: al disopra del mondo. Ma fintanto che noi conosciamo Dio perché ci sono le creature, noi siamo in una situazione, anzi ci mettiamo in una situazione di incapacità, di impossibilità di intendere veramente Dio. Ora è necessario tutto questo travaglio per arrivare a conoscere Dio per quello che Egli è. Ecco la necessità di formare in noi un occhio che sia in grado di vedere la Verità spirituale come Realtà. E Dio opera -non siamo noi- opera nella nostra vita per formare in noi questo occhio. Questo occhio è l’occhio dello Spirito, e questo occhio viene a noi da Dio; non viene a noi dall’io; quindi si richiede tutto questo superamento del pensiero del nostro io. E allora c’è questa morte, questo annullamento di tutto quello che noi scambiamo per realtà, perché fintanto che io chiamo realtà la materia, io condanno questa materia ad essere annientata. Per cui Dio ha soggetto tutte le creature all’annientamento, ma per salvare noi. Le creature sono destinate a vivere eternamente: le ritroveremo eternamente; ma Dio momentaneamente le annulla le fa morire per salvare noi. San Paolo dice: che tutta la creazione è stata soggetta alla vanità. Cos’è questa vanità? Tutte le cose passano… e in quanto passano, ecco, per noi diventano vane… “Tu vivi per quello? Guarda che questa cosa passa”. E già mi è annullata. Io amo quella creatura… “guarda che quella creatura passa… domani non sarà più così…”. Già me l’annulla anche se passerà da qui a mille anni, non importa; il pensiero che già so ciò che non sarà più, annulla già tutto, mette nell’ansia, non lascia più tranquillo. Ora, tutte le creature sono state soggette alla vanità. Per cosa? Per divertimento? No, per noi, per ognuno di noi. Ecco, per questo dico che fintanto che noi scambiamo per realtà quello che non è realtà, cioè i segni di Dio, scambiamo per realtà la creazione, che è segno di Dio, noi stessi condanniamo quella realtà alla morte. Ecco per cui c’è tutto un mondo che soffre, per salvare un altro mondo, e fintanto che nel mondo c’è uno che pensa a se stesso, ci sarà sempre uno che muore per lui, per salvare lui. Ecco la funzione del Cristo: Cristo che muore è la sintesi di tutta la creazione che muore per salvare l’uomo, perché l’uomo ha scambiato la creazione per la Verità. Ecco, ha dato il nome ineffabile “Colui che è” alla creatura, e allora ha condannato la creatura alla morte. E tutte le volte che noi diamo il nome di Dio alla creatura, noi la condanniamo alla morte; noi stessi la condanniamo alla morte. Quando io dico alla creatura: “Tu per me sei tutto”, io condanno la creatura alla morte.

Interlocutore: La condanno perché Dio per salvarmi la fa morire.

Luigi: Certo. Perché? Perché il “Tutto” per noi è Dio, è lo Spirito. La realtà non è la materia, la realtà è lo Spirito. E la nostra salvezza sta nello Spirito, non sta nella materia. Ecco, la materia è un segno: è segno di Dio per noi. Ma se è segno, allora intendi! Intendi quello che Dio ti significa in queste cose: cioè tutta la materia è parola, ma se è parola, ascolta, arriva al pensiero, perché la parola ti comunica il pensiero di Colui che ti parla. Allora tu non fermarti alla parola, ma attraverso la parola sali allo Spirito, sali al pensiero di Colui che ti sta parlando. Allora tu salvi te stesso e salvi anche la creatura, e salvi anche la creazione. Quindi l’importante è proprio questo trapasso, questo passaggio: è questo che richiede il superamento del pensiero del nostro io. Dio opera appunto per salvare il nostro io; e portarci nella percezione che la Realtà è spirituale: la Realtà è Spirito. Questo vuol dire entrare. In questo Spirito, da questo Spirito, noi cominceremo a vedere il Regno di Dio.

Interlocutore: E qui si realizza questo “ritornerò a voi?”.

Luigi: Sì, ritornerò a voi dopo questo trapasso. Quindi è necessario il primo tempo: questo esperimentare l’orfanezza , la privazione. È necessario questo, perché attraverso questo, noi ci mettiamo in cammino verso… lo Spirito. Sì, perché quello ci mette in crisi: come mai? Perché questo? Ci mette in movimento. Se, per grazia del Signore, arriveremo allo Spirito, ritroveremo ogni cosa. Ritroveremo ben altra dimensione e con una ben altra Presenza, perché quella sarà la vera Sorgente della gioia: “una gioia che nessuna cosa al mondo vi potrà portare via”. Noi oggi esperimentiamo della gioia, ma è una gioia transitoria che tutto ci può portare via: basta un mal di pancia, basta un callo, basta che una persona mi abbia guardato in un modo piuttosto che in un altro e in un momento già tutta la gioia se ne va. Qui la nostra gioia è in balia dei tempi, dei luoghi, delle persone. Invece la gioia di Dio, quella, non c’è più nessuna cosa ch te la possa portare via, perché è Realtà spirituale che è confermata da tutte le creature, ma che non può essere smentita da nessuna creatura. Ora Dio opera per portarci a questa sicurezza, a questa certezza.

Interlocutore: Quindi in sostanza non è tanto un suo ritornare perché Lui non se n’è andato, ma è un ritrovarlo.

Luigi: Certo. È un ritrovarlo su di un altro piano, che richiede da noi questa purificazione interiore, cioè questo superamento dell’io.

Interlocutore: E sarà una conseguenza della rivelazione che il Padre farà di Se, vero?

Luigi: Certo.

Interlocutore: S. Paolo dice che: “tutte le cose del mondo sono per noi…

Luigi: Sì, lui dice: “…sono per noi, noi siamo di Cristo, e Cristo è di Dio”.

Interlocutore: E prosegue dicendo che: “noi siamo immersi in Dio” e riferisco questo a quel “abita in voi” di cui parla Gesù; “e tutto Egli ci ha dato per conoscerlo”. Ma noi questi doni li possiamo usare in modo sbagliato e questo mi fa pensare che se è vero che Gesù non ci lascia orfani, io però lo posso lasciare, abbandonare; e questo a me personalmente succede quando ho dei problemi.

Luigi: Non riesce più a pensarlo.

Interlocutore: Ecco, per cui sfuggo il silenzio per non pensare a questi problemi.

Luigi: Sì, ma anche i nostri problemi, anche questi sono una voce di Dio per noi, e noi li dobbiamo contemplare in Dio; dobbiamo cercare di avvicinarci a Dio anche attraverso i nostri problemi; questi sono sempre determinati da una nostra lontananza da Dio, quindi sono una sollecitazione da parte di Dio: è il semaforo rosso, per dirmi: “stai attento, che ti stai dimenticando di me”. Per cui debbo vedere questi problemi come richiamo a Dio: “Signore, io mi sono ingarbugliato in questi problemi proprio perché ti ho dimenticato, ti ho trascurato…” e debbo cercare di vedere anche in questi problemi il tuo richiamo, perché anche in questi problemi noi siamo immersi in Dio: cioè è Dio che ce li fa subire, e se li fa subire è un richiamo, è una voce da parte sua per noi.

Interlocutore: Ci vuole anche tanta fiducia nel Signore, ma nel momento della prova, ne ho poca.

Luigi: Però se noi approfondiamo quando abbiamo la possibilità di un po’ di raccoglimento, di silenzio, approfondiamo il Cristo, cioè lavoriamo su di Lui, più noi approfondiamo e più ci prepariamo per i tempi difficili ad uscirne con facilità. Tutto dipende da quanto noi abbiamo raccolto in Dio: più noi abbiamo raccolto in Dio e più anche ci è dato uscirne, quando arriva il momento della prova. Per cui il momento dell’orfanezza può essere molto lungo e può essere anche molto breve e questo dipende dalla tanta preparazione che uno ha avuto: più uno si è preparato con Cristo, più uno ha raccolto in Dio, e più questo tempo si accorcia è l’agonia. L’agonia può essere molto lunga e può essere invece ridotta a pochissimo, a pochi istanti. Tutto dipende da quanto abbiamo raccolto in Dio. Il problema essenziale è sempre: “metti del tempo per Dio”: metti del tempo per Dio, fintanto che sei giovane, ecco, approfitta della tua giovinezza, metti del tempo per Dio, per conoscere Dio: questo è veramente importante; non importa tutto il resto, perché quello ti dà veramente il grande respiro, la grande liberazione.

Interlocutore: Queste parole: non vi lascerò orfani” è una promessa della Presenza, sempre, anche quando non lo vediamo. La sua sarà una presenza diversa, ma importante è sapere che non siamo mai soli.

Luigi: Certo, non siamo mai soli, anche quando noi esperimentiamo di essere soli, non siamo mai soli, perché c’è la sua parola che mi dice: “Io non ti lascerò, non ti lascerò orfano”. Però noi esperimentiamo di essere orfani, sentiamo di essere orfani; ci sentiamo soli: nessuno pensa a noi. Questo lo esperimentiamo: nessuno pensa a noi; lo esperimentiamo. Ecco, dobbiamo far conto sulla Parola di Dio, per cui anche se io esperimento tutto in modo diverso: “Signore, io credo in Te; credo in Te, domani vedrò, e allora quando vedrò, capirò che Tu non mi avevi lasciato solo; ero soltanto io con i miei sentimenti, con i miei problemi, (ecco i miei problemi) che sentivo la solitudine, mi sentivo solo; io, ma eri Tu, perché anche nei miei problemi c’eri Tu”. Io non me ne rendo conto, ma era Lui che parlava con me. ecco, nella matassa ingarbugliata in cui mi ero trovato c’era Lui, e non mi rendevo conto. Quando vedrò: “Oh, Signore, eri Tu, e io non mi son reso conto”, e allora grande sarà la gioia, perché eri Tu anche lì”. Però c’è il momento in cui noi c’è la nostra pochezza; esperimentiamo l’assenza, crediamo di essere soli; siamo amati e crediamo invece di non essere amati… che nessuno pensi a noi.

Interlocutore: Però questa certezza, questa parola è forte perché nonostante l’esperienza…

Luigi: Se noi crediamo in Dio e quindi accettiamo la Parola di Dio, la Parola di Dio ci dà sempre questa forza e questa fiducia: anche se io non vedo niente, so che il sole c’è.

Interlocutore: Perché l’anima che cerca Dio esperimenta la solitudine? Quale funzione ha questa esperienza?

Luigi: Fintanto che non conosciamo Dio come Realtà Presente, noi siamo soggetti sempre a questi giorni di solitudine, a questi giorni di silenzio, di silenzio di Dio. E’ necessario proprio questo. Ha la funzione di farci superare il pensiero di noi stessi, di farci superare il nostro sentimento, la vita nel nostro sentimento, la nostra vita relativa con il mondo: è una sollecitazione al trapasso. Perché il giorno in cui noi scopriamo la Realtà di Dio come Spirito, come Padre, quello non potremo assolutamente più lasciarlo, perché la Realtà non è più una realtà che va e che viene. Le cose del nostro mondo sono cose che vanno e che vengono: i nostri sentimenti vanno e vengono, i nostri sentimenti vanno e vengono, la Realtà di Dio viene e sta, ecco, non è più soggetta a mutamento. Viene, non nel senso che muta: viene per noi, perché ne prendiamo consapevolezza; ma il giorno in cui abbiamo preso consapevolezza, non va più via perché è Verità; la Verità non muta mica.

Interlocutore: Quindi per l’anima è necessario esperimentare la solitudine?

Luigi: E’ necessario, senz’altro è necessario. È una tappa sulla strada del cammino verso la Pentecoste. È proprio una tappa.

Interlocutore: Il “vi lascerò orfani” che Gesù ci dice non deve darci sofferenza, perché Egli promette lo Spirito.

Luigi: Egli dice: “Non vi lascerò orfani”. Comunque la tribolazione c’è. La Parola di Dio ci dà conforto se crediamo: però la prova c’è. Infatti il Signore paragona quel tempo in cui a noi viene sottratta la sua Presenza fisica, alla gestazione di una donna che deve dare alla luce un figlio. E dice: “sarete tribolati, perché deve nascere un uomo nuovo al mondo. Quando sarò nato, allora si dimenticheranno tutte le pene precedenti”; ma fintanto che non è nato c’è tribolazione. Quindi la tribolazione c’è: è la tribolazione del trapasso; è la tribolazione della nascita: in noi deve nascere una creatura nuova. E diciamo, noi siamo tutti in gestazione, siamo tutti delle madri, sotto un certo aspetto, che dobbiamo dare alla luce una creatura nuova, un io nuovo, per opera di Dio. E c’è questa gestazione, che certe volte è molto difficile; però la parola di Dio ci conforta e ci sostiene e dice: Io ci sono: io sono presente, io non ti lascio; fa conto su di me, anche se tu non mi vedi, anche se tu non mi tocchi, ecc.”. Ed è sulla sua Parola che noi ci sosteniamo. È soltanto sulla sua parola.

Interlocutore: Questa orfanezza e questo suo ritorno può realizzarsi durante tutta una vita.

Luigi: E’ durante la vita…

Interlocutore: …o anche durante una giornata o durante un momento, quando lo sentiamo presente.

Luigi: Sì, certo… Lui è sempre presente; però per noi ci sono questi alti e bassi, ci sono queste oscillazioni, appunto perché siamo creature in formazione e quindi naturalmente dobbiamo passare attraverso queste diverse sperimentazioni.

Interlocutore: Queste parole mi richiamano quelle di Gesù quando dice: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

Luigi: Certo, anche quello, anche quello! Gesù l’ha detto per noi. il Verbo Incarnato, si è incarnato per noi e tutto ciò che dice, Cristo Verbo Incarnato, lo dice per noi; parla sempre come Persona Divina, però parla per noi, affinché noi ci troviamo. Quello che noi esperimentiamo, lo esperimentiamo in conseguenza del male, del peccato che abbiamo fatto noi,  perché noi trascuriamo Dio; ecco, Lui lo rivive, ma senza peccato. Quindi Lui è senza peccato. Lo rivive per noi, per dare a noi la possibilità di ritrovarci e di uscirne. Ecco la liberazione dal peccato! Perché Lui innocente, mentre subisce il nostro stesso stato d’animo, dà a noi la visione della strada per uscire da questo stato d’animo.

Interlocutore: E’ Lui che ce la dà o è il Padre?

Luigi: E’ Lui stesso. Vediamo ad esempio le prove della tentazione: Lui insegna a noi come trionfare; mentre invece quante volte noi cediamo al problema del pane; ecco, vendi la tua vita spirituale per il pane, perché se sei affamato, hai timore, ecc. No, ci dice: “l’uomo vive di ogni parola che procede dalla bocca di Dio”: non sottomettere la tua vita al pane, non sottomettere la tua vita alla gloria, non sottomettere la tua vita all’ambizione. Ecco, però se Lui avesse subito le stesse tentazioni che noi subiamo perché pensiamo a noi stessi, non avrebbe insegnato a noi come uscirne. Quindi Lui si è vestito dei nostri abiti, per dare a noi la possibilità di vedere la via per arrivare nella luce, altrimenti noi restiamo schiacciati e diciamo: “No, io senza questo non posso vivere” e intanto sottometto, vendo la mia vita, vendo il mio spirito a queste cose, e perdo quindi il contatto con Dio.

Interlocutore: Riferendomi a quanto l’interlocutore diceva circa i problemi, penso che è sempre necessario fermarci un attimo: lì capiamo che il problema che abbiamo è perché prima abbiamo dato poco spazio a Dio.

Luigi: E infatti… è un richiamo. Prima che le cose diventino per noi problemi più grossi di noi, dovremo sempre, in ogni cosa, riportare sempre a Dio, per cercare il Pensiero di Dio, per vedere le cose dal punto di vista di Dio. Allora le cose non diventano più problemi. Le cose diventano problemi proprio in quanto noi non abbiamo dato spazio sufficiente a Dio. Ci vuole dello spazio, perché noi naturalmente non colleghiamo le cose con Dio; noi le cose le colleghiamo con le nostre impressioni, con il giudizio degli altri, con la figura, con i nostri problemi pratici, ecc. Invece tutte le cose che arrivano a noi, dobbiamo sempre vederle in Dio, perché in tutte le cose c’è una proposta di Dio, c’è una scelta che Dio ci offre per farci trionfare nello Spirito; però per vedere questo, noi dovremmo sempre collegare il fatto, l’avvenimento, la proposta, quello che mi viene dato di scegliere, collegarlo con Dio. Secondo Dio, cosa vale questo, cosa serve? È meglio questo o quell’altro? Ma devo pensarlo con Dio: e qui ci vuol del tempo. Quando noi siamo lì in corsa e non abbiamo tempo, è finito! Allora noi ad un certo momento ci troviamo ingolfati in un problema, un problema che è al disopra di noi. Ma tutto dipende dal fatto che tu non hai visto le cose secondo lo Spirito di Dio, e allora lì devi tribolare per cercare di ricollegarti di nuovo con Dio e certe volte diventa una tribolazione grossa.

Interlocutore: Per questo è importante fermarci per rivolgere gli occhi a Lui, perché non è che da soli noi possiamo risolvere i nostri problemi.

Luigi: …anzi ingarbugliamo di più la matassa… il problema è dare spazio a Dio… Il problema su tutte le strade su cui ci troviamo, con qualunque lavoro noi ci troviamo è quello; perché l’importante non è mica cambiare lavoro o cambiare strada: l’importante è dare spazio a Dio. Stai correndo sull’autostrada? Guarda, fermati un momento, mettiti lì nell’angolo e pensa un pochino a Dio. Ecco, l’importante è dare spazio a Dio, poi le cose Lui le cambia, ma è Lui che le cambia, non siamo noi che le facciamo cambiare. È Lui che cambia le cose. L’importante è dare spazio a Dio in noi.

Interlocutore: Possiamo dire che l’orfanezza, l’esperienza di solitudine sia di due tipi? L’uno quando l’anima è staccata da Dio, nel peccato e allora Dio le fa esperimentare di essere sola, proprio perché non ha collegato le cose con Dio ha trascurato Dio; e poi l’altra quando l’anima cerca Dio, collega le cose con Dio ma non ha ancora fatto il passaggio definitivo, per cui Dio le fa esperimentare l’orfanezza per aiutarla a realizzare questo passaggio.

Luigi: Se non ci fosse il peccato non ci sarebbe orfanezza.

Interlocutore: Ma per es. per gli Apostoli, dopo che Gesù ascese al cielo, in quei dieci giorni di silenzio prima di Pentecoste non si sono sentiti soli?

Luigi: No, lì c’era la promessa di Cristo, quindi avevano con sé la promessa di Cristo. La loro tragedia è stata durante la passione e morte del Cristo, quando hanno tradito: questa è stata la loro grande tribolazione; ma qui avevano il conforto che Lui era risorto, ecc. e quindi avevano già una carica… La grande paura per loro è stato il momento in cui effettivamente Lui se n’è andato in balia degli altri, cioè gli altri hanno avuto ragione. E quando ad un certo momento uno si accorge che l’uomo ha ragione e Dio ha torto è lì la paura: uno fa conto su Dio, fa conto su Dio e poi ad un certo momento: “ma quello là aveva ragione… gli uomini hanno ragione… l’uomo con il denaro, con la violenza, ecc. trionfa”: è lì allora che subentra la paura; quella paura che poi impedisce di entrare nella Terra Promessa e ci costringe a vagare nel deserto fino alla morte. Però non è che siano due tipi di orfanezza: è un tipo solo, perché Adamo non è stato soggetto ad orfanezza. Adamo  non era soggetto ad orfanezza. Quindi l’orfanezza è conseguenza del peccato. È un travaglio che è necessario passare in conseguenza appunto di un errore che avviene nella nostra vita: quello di scambiare per realtà quello che non è realtà.

Interlocutore: Gesù dicendo: “Vado, ma non vi lascerò orfani”, si riferisce alla sua prima partenza tragica, con la morte o alla sua partenza definitiva con l’Ascensione?

Luigi: Si riferisce all’una e all’altra. Comunque qui Lui parla affinché in noi non abbiamo ad entrare in disperazione. L’importante è quello: che in noi non abbia ad entrare la disperazione. Perché in noi può arrivare, entrare la disperazione. La parola di Dio ci libera dalla disperazione. La disperazione subentra quando noi restiamo delusi da Dio e crediamo che il mondo abbia ragione, che la realtà sia veramente quella del mondo. Ecco allora per evitare questo, Dio parla a noi parole di speranza e di fiducia, se noi crediamo in Lui e ci dà questa forza per passare attraverso il momento, l’ora delle tenebre, come Gesù la chiama. Ecco, per superare l’ora delle tenebre, perché è necessario che avvenga quest’ora delle tenebre. È necessario cioè che l’uomo trionfi. C’è un momento in cui l’uomo deve trionfare su Dio.

Interlocutore: Cioè che si esperimenti l’apparente trionfo dell’uomo.

Luigi: Ecco, l’uomo può bestemmiare e Dio non lo fulmina. E non lo fulmina proprio per misericordia. C’è il momento in cui l’uomo dice: “Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce e noi ti crederemo”, e Lui dalla croce non scende. Ma proprio la sua gloria sta lì: Lui non scende dalla Croce proprio perché è Figlio di Dio e salva gli uomini che bestemmiano e gli dicono: “Se sei Figlio di Dio scendi dalla croce”, proprio restando in croce. Il giorno in cui vedranno la Verità, capiranno che Lui è Figlio di Dio proprio perché è rimasto in croce non perché è sceso dalla croce. Se Lui fosse sceso dalla croce per dimostrare che era Figlio di Dio, non avrebbero veramente creduto e non si sarebbero salvati.

Interlocutore: E’ un invito questo a credere anche senza vedere.

Luigi: Bisogna sempre credere senza vedere; per arrivare a vedere. Non si può credere vedendo. Quando lei vede, non crede più: ama! Bisogna credere per arrivare a vedere. Si crede per giungere a vedere, perché se non crede non può arrivare a vedere. La condizione per arrivare a vedere è quella di credere. Credere la Parola di Dio che arriva a me. Credendo, la Parola mi conduce a vedere. È necessario credere per arrivare a vedere. Se non credo non arriverò certamente a vedere, perché resto fuori e allora non arriverò certamente a vedere: per vedere bisogna essere dentro. Però la Parola di Dio che arriva a me, arriva già con una certa garanzia, con il sigillo della Verità, per cui non la posso smentire. Se la credo arriverò a vedere a capire.

Interlocutore: Penso anche a S. Teresina che ha passato tutti quegli anni di aridità.

Luigi: di tribolazione, certo: la prova c’è per ogni creatura.

Interlocutore: Sì, perché naturalmente con gli occhi materiali noi vediamo solo le apparenze; però queste vengono sottoposte al giudizio del pensiero che è una realtà immateriale, per cui non dovrebbe essere così.

Luigi: Ma il pensiero nostro e la nostra ragione, funziona sempre in base ai dati materiali. Noi ragioniamo sui dati dei nostri sensi, e i nostri sensi sono sempre in relazione all’io e l’io non coglie la Verità.

Interlocutore: Ma non è il nostro corpo che giudica, ma il nostro pensiero.

Luigi: Il nostro pensiero ragiona sui dati e i dati sono cose sensibili. Tu quando ragioni, ragioni su dati sensibili e i dati sensibili hanno al loro centro l’io.

Interlocutore: Ma li sappiamo apparenti, contradditori, destinati a scomparire.

Luigi: Non basta, perché noi implicitamente, anche sapendo che sono transitori, apparenti, ecc.; li scambiamo per realtà. È lì il guaio: che noi ragioniamo in queste realtà e desideriamo queste realtà, mentre noi dovremmo sempre collegarle con Dio. Se siamo veramente convinti che sono apparenti, che sono segni, noi dobbiamo ragionarle con Dio.

Interlocutore: Ma guarda che siamo convinti, eppure…

Luigi: mica ancora, perché quando io mi fermo…

Interlocutore: E’ lo sforzo e la paura che ci impedisce di entrare nella Terra promessa.

Luigi: E’ la paura! Ma perché abbiamo paura? Perché abbiamo paura di perdere qualche cosa che ci sta a cuore; quindi sempre in relazione dell’io. “Ma qui ci rimetto la figura, qui ci rimetto la concorrenza,qui ci rimetto il pensiero degli altri, qui gli altri chissà cosa dicono di me, ecc.” Capisci? È la paura che mi ferma sulla soglia, che mi impedisce di entrare; ma la paura è una proiezione dell’io! Se noi fossimo capaci di non pensare a noi stessi, saremmo degli eroi di coraggio, non avremmo assolutamente nessuna paura. La paura è una proiezione del nostro io!

Interlocutore: Quindi noi in pratica, lavorando e ragionando sui dati materiali costruiamo tutta la nostra esistenza sul nulla, su cose apparenti, che passano.

Luigi: Si capisce… Per questo dobbiamo imparare a riferire le cose a Dio. Dobbiamo imparare a ragionare con Dio, a pensare Dio, perché: “Io sono il Principio ed io sono il Fine: guarda sempre a Me, niente è senza di Me”. E quindi dobbiamo imparare a convivere con Dio. La vita eterna sta lì: la vita eterna sta nel convivere con Dio. E noi dobbiamo imparare a convivere con Lui: Dio è la Verità; tutte le cose che arrivano a me, arrivano da Dio e quindi sono parole di Dio: è Dio che parla con me! = primo momento. Ora, se Dio parla con me, “Signore che cosa mi vuoi dire?” = secondo momento. È la fine dell’interrogazione. Interrogando è ancora Lui che mi spiega quello che Lui mi vuol dire, e allora abbiamo la fase dell’illuminazione, dell’intelligenza = terzo momento. L’intelligenza mi unisce. Quanto più noi abbiamo la capacità di intendere il Pensiero di Dio, di conoscere il Pensiero di Dio, tanto più questo ci unisce a Dio, ci rende partecipi. Quindi non basta accettare tutto da Dio. Certo, questa è la tappa iniziale, fondamentale, perché senza questa io sono completamente fuori. Io debbo accettare tutto da Dio, quello che mi piace e quello che non mi piace, perché è parola di Dio per me. Dio sta parlando personalmente ad ognuno di noi. Però non basta, perché se Dio parla con te, che cosa ti vuol dire? Ecco inizia la seconda fase: “Signore che cosa mi vuoi dire? Che cosa mi vuoi insegnare?” Dio mi insegna Se stesso, mi insegna il Suo Pensiero, mi vuol rivelare il suo Verbo; qui si richiede la dedizione: avendo ricevuto tutto da Dio, adesso riporto tutto a Dio, affinché Dio ti faccia vedere il suo Verbo: ti faccia scoprire il suo Pensiero. Con il riporto a Dio, si stabilisce l’unione. La vita, la vita vera, sta proprio in questo riportare a Dio: non basta ricevere tutto da Dio. Ecco, la vita vera inizia quando noi incominciamo a riportare a Dio, a unificare in Dio, a cercare in Dio il Pensiero di Dio.

Interlocutore: Però noi abbiamo paura a riportare, perché chissà quale sarà la risposta?

Luigi: Negli argomenti delle ultime domeniche abbiamo trattato il fatto che tutto il popolo ebreo fu costretto a vagare quarant’anni nel deserto e non poté entrare nella Terra promessa. Perché? Perché nel momento in cui fu sulla soglia della Terra promessa (dopo quaranta giorni dalla partenza dall’Egitto erano già sulla soglia della Terra promessa) ha avuto paura. Allora, avendo avuto paura, è stato costretto a vagare nel deserto fino all’estinzione. Per dirci: ecco dobbiamo stare attenti a questa paura. Perché Colui che chiama, è anche Colui che dà a noi la forza di entrare, ma dobbiamo far conto su di Lui. D’altronde Lui ci ha dato la vita mica per spaventarci. Se ci ha dato la vita è perché ci ama, quindi non vuole mica il nostro male! Di che cosa aver paura? Noi dobbiamo avere paura di noi stessi, delle nostre soluzioni, delle nostre risposte: di questo dobbiamo aver paura! Devo aver paura di me, delle risposte che do a me stesso, ma non delle risposte che mi dà Dio! Dio è un intelligenza infinitamente superiore a tutte le nostre e quindi vede molto meglio qual è la nostra felicità. Lui ci costruisce la vita, mica la morte; la morte ce la scaviamo noi con le nostre mani, con non cercare Lui. Dio non vuole mica la nostra tribolazione, sia ben chiaro. Dio non vuole tribolarci. Colui che ci ha creati dal niente è Colui che pensa alla nostra gioia, alla nostra felicità: “affinché la vostra gioia sia piena”, dice. “Domandate, chiedete affinché la vostra gioia sia piena”. Cos’è questo domandare? Riferire tutto a Lui, affinché possiate ottenere la pienezza della gioia Dio vuole la pienezza della vita, non vuole la tribolazione: siamo noi che ci inganniamo. Dio è il grande liberatore.


“Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché Io vivo e voi vivete”. Gv 14 Vs 19


Titolo:


Argomenti:


20/ Dicembre /1980


Luigi: Conferma quello di prima: “non vi lascerò orfani”.

Interlocutore: Annuncia la sua partenza fisica, per cui il mondo che ha solo colto il suo aspetto fisico, non lo vedrà più. La sua presenza fisica tra noi è transitoria: o la cogliamo quando è tra noi o non la cogliamo più, come succede per il mondo.

Luigi: “Ma voi mi vedrete, perché Io vivo e voi vivrete”. Vede che conferma quello che aveva detto: “Non vi lascerò orfani”.

Interlocutore: E anche quel “mi conoscerete”.

Luigi: Certo.

Interlocutore: Mi vedrete: non più come natura umana, ma il suo Spirito.

Luigi: Sì, però ci afferma una Presenza: “Io vivo”, perché Lui si afferma. Quindi ci fa pensare che Lui è presente anche se noi non lo vediamo fisicamente.

Interlocutore: Si ricollega: “Io sono il Pane Vivente, il pane e vita”.

Luigi: Certo.

Interlocutore: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più”: si riferisce alla prossima passione e morte, no?

Luigi: Comunque è presenza fisica che se ne va.

Interlocutore: “E il mondo non mi vedrà più”: nel senso che non lo vedrà risorto?

Luigi: Nel senso che la presenza fisica è passata.

Interlocutore: E non ci sarà più come segno.

Luigi: I segni passano.

Interlocutore: Anche per gli Apostoli la presenza fisica è passata però a loro non dice: “non mi vedrete più”.

Luigi: No, anzi a loro dice: Voi mi vedrete o “mi vedete”. È la stessa cosa tanto il presente come il futuro perché è Parola di Dio e in quanto parola di Dio, da parte di Dio Lui parla come presente, per noi invece è un futuro, quindi è sempre la stessa cosa.

Interlocutore: “Mi vedrete perché Io vivo”, cioè perché Lui è sempre presente. “E voi vivete”.       Questo “vivete” dipende dal “mi vedete?”. Oppure : “mi vedrete perché vivete?”.

Luigi: Il mondo non mi vedrà perché per il mondo ciò che vale è la presenza fisica. Il mondo non vive. Voi vivete perché siete dentro. Quindi chi è dentro cioè chi è con Cristo, in quanto è Cristo, è orientato a Dio, quindi è nella vita. L’uomo può essere o può essere morto. Chi è vivo? Vivo è Colui che è collegato a Dio. allora Lui parla ai suoi, in quanto erano “suoi” appartenevano alla vita, dice loro: “voi vivete”, cioè: “appartenete alla vita”.

Interlocutore: E quindi può dire loro anche: “mi vedete”.

Luigi: certo.

Interlocutore: Quello che li fa vivere è il suo spirito e lo Spirito del Padre.

Luigi: Certo. Principio di morte è il vivere nelle realtà del mondo; principio di vita è essere in cammino verso lo Spirito.

Interlocutore: “Io vivo” equivale a dire: “Io sono” no?

Luigi: E’ lo stesso. L’Essere è Vivente. L’Essere è il Vivente. È la stessa cosa.

Interlocutore: Questa promessa di Gesù “voi vivrete” si realizza solo per chi è stato con Lui e che rimarrà con Lui anche dopo la sua morte, no? 

Luigi: Certo, perché Lui dice: “Io sono”: Io vivo; anche dopo la mia morte fisica, Io sono”, quindi se voi siete collegati con me, ecco, voi siete nella vita, perché Io sono il Vivente. Lui vive. E così ci sollecita a questo passaggio dalla presenza fisica alla presenza spirituale. È una sollecitazione. Sono le sue parole che ci mettono in cammino, ma ci mettono in cammino proprio perché affermano cose superiori a noi. E in quanto superiori, noi non dobbiamo dire: “e questo non lo accetto perché non lo capisco”. No, proprio perché tu non capisci, impegnati, perché Lui ti sta dicendo cose che servono per la tua vita, e nella misura in cui ti impegni in quello che non capisci, ti mantieni in vita. Ma per impegnarmi io debbo credere alla Parola, alla parola che non capisco, per arrivare poi a capirla. Perché è proprio questa parola che arriva a me da parte di Dio, superiore a me, che mi mette in movimento, quindi mi mette in vita: è la Parola di Dio che ci mette in vita, mentre invece tutte le cose create ad un certo momento si esauriscono, muoiono, non sono più interessanti, si spengono e allora noi incominciamo la routine, incominciamo a vivere per abitudine: ecco non c’è vita; nell’abitudine non c’è vita; nel dovere non c’è l’amore. L’amore è dedizione. Quando uno fa le cose per dovere, l’amore è spento. E così anche quando uno vive per abitudine.

Interlocutore: Allora non si ha nemmeno più la dimensione di Dio Padre e si fanno le cose per paura, per dovere. E da questa situazione non si esce…

Luigi: No, si può uscire: incontrando il Cristo.

Interlocutore: Non bisogna confondere sentimento con amore. Se faccio una cosa per volontà, anche se non mi sento portata, lì c’è l’amore, no?

Luigi: Amore è dedizione ad una Persona, cioè uno ama in quanto ha la presenza di una persona. Se non ha presente la persona non può amare.

Interlocutore: Ma se uno vuole amare…

Luigi: Non basta; anche se uno vuole amare, non basta!

Interlocutore: Per amare ci vogliono tre cose: la volontà, l’intelligenza e il cuore.

Luigi: Ci vuole prima di tutto la Presenza dell’Altro! Se lei toglie la presenza dell’Altro, cosa ama? Bisogna ce ci sia Uno che si doni per primo, cioè che mi annunci la sua Presenza, che mi pensi, perché soltanto se io mi scopro pensato, incomincio ad amare. Noi amiamo come risposta ad Uno che ci ama. Noi abbiamo bisogno di essere amati per primi, di esperimentare questo amore: allora diventiamo capaci di amare. Per questo dico che Dio per primo viene verso di noi. Dio per primo ci testimonia il suo amore. Ecco perché è morto in Croce: per testimoniare che ci ama. Ha dato la prova. “Guardate la misura dell’amore con cui Dio ci ha amati”. Ecco, Lui per primo ha testimoniato che ci ama, perché? Per dare a noi la capacità di amare. Quindi, noi siamo capaci di amare, soltanto nella misura in cui riceviamo amore, soltanto nella misura in cui riceviamo amore, cioè riceviamo presenza dell’Altro! Ma quando noi perdiamo la presenza dell’Altro, incominciamo la routine, il dovere, l’abitudine, la regola, la legge, ecco, ma non siamo più in vita. L’essere che chiude il cerchio è l’essere che non vive più, perché la creatura è creata come slancio verso… L’anima è questo: è verticalità, è desiderio, passione per. Come si ripiega su se stessa e incomincia a girare è finito: lì abbiamo l’anima che si spegne! Chi ci libera è la Presenza dell’Altro. Quindi soltanto trovando il Cristo, trovando un Altro di cui mi posso interessare, che posso conoscere, presso il quale mi posso intrattenere, entro nel processo di vita, di amore.

Interlocutore: Quando uno pur non percependo la Presenza dell’Altro, la crede e fa certe cose con la speranza di arrivare a conoscerlo, le fa per ubbidienza a Dio, pur senza capire, questo è un fare le cose per dovere?

Luigi: No, se lo fa per conoscere, è amore.

Interlocutore: Per conoscerlo e farlo conoscere a volte.

Luigi: Adesso lasci stare il farlo conoscere; noi ci preoccupiamo di farlo conoscere quando non Lo conosciamo. Ad es. quando insegno matematica e insegno una cosa che non conosco, non so cosa possa insegnare ad un altro se non la mia ignoranza. Quindi sia ben chiaro: il problema è uno solo: tu sei stato creato per conoscere Dio. Allora se ti preoccupi di conoscere Dio, appartieni alla vita, appartieni all’amore, perché la vita eterna è conoscere Dio.

Interlocutore: Bisogna raccoglierci e chiederci se veramente crediamo in Dio, se esiste o no.

Luigi: Sì, bisogna dare del tempo e dello spazio, come dicevamo prima: bisogna dare del tempo e dello spazio a Dio, per interrogarlo.

Interlocutore: Non bisogna aver paura di porci queste domande solo per paura di perdere… E’ meglio lasciare tutto per un po’ di tempo.

Luigi: Certo, piuttosto di andare avanti così per abitudine, per routine.

Interlocutore: Nel silenzio comprendiamo che tutto ce l’ha dato Lui: la capacità di pensare, di amare, di volere; non sono stati i miei genitori a darmela; o si accetta Dio o lo si rifiuta, ma se lo si accetta allora si finisce di amarlo.

Luigi: Il più delle volte noi ci diamo convinti che Dio esiste, ma in fondo non siamo sufficientemente convinti. Quindi dobbiamo sempre rivedere se siamo veramente convinti. Ecco, rivedere la nostra fede in Dio, riportare sempre tutto a Dio.

Interlocutore: Con questa parola: “ancora un poco e il mondo non mi vedrà più”, Gesù dice che non lo vedranno più coloro che si sono fermati alla sua persona fisica: Lui muore e allora non lo vedranno più.

Luigi: Coloro che si sono fermati alla sua presenza fisica, non alla Persona, perché bisogna distinguere sempre tra persona e presenza fisica.

Interlocutore: E invece voi che credete che Io ci sono anche se fisicamente non sono più visibile, voi Mi vedrete, perché Io vivo; Io vivo quindi sono sempre con voi, per cui voi vivrete, in quanto Io sono in voi e voi in Me. E’ così?

Luigi: D’accordo, confermato.

Interlocutore: La parola di Dio è una parola di speranza. Quindi non bisogna aver paura: “il deserto fiorirà”.

Interlocutore: Se l’altro interlocutore riesce a vedere tutti i doni personali che Dio gli ha fatto, questi sono una parola di Dio per lui, e allora sì che ha dei doveri verso Dio, ma dei doveri di amore, non più di paura.

Luigi: E allora aspettiamo il fiore nato nel deserto!

Pensieri conclusivi:

Interlocutore: Lo Spirito abita in noi e noi abbiamo, perché Dio ce la dà, la possibilità di arrivare a prenderne consapevolezza.

Interlocutore: Chiedo al Signore la costanza di ascoltarlo tutti i giorni.

Interlocutore: Ricordando questa promessa di Gesù: “Non vi lascerò orfani”, non disperare mai, anzi avere sempre una grande fiducia in Lui.   

Interlocutore: Fiducia, perché Dio è sempre presente in me sia che lo percepisca o no, e poi avere la speranza di arrivare a vederlo.

Luigi: Sia che lo percepisca o no: questo è importante, perché che lo percepisca o no, Lui c’è, e non lo posso smentire; noti: di lì la grande fiducia: Io non posso smentire che Dio non sia in me.

Interlocutore: Dal mattino alla sera fermarmi il più possibile con Lui.

Interlocutore: Pensavo al problema di Marco…

Luigi: Allora sei vincolato a pregare per lui: gemellaggio.

Interlocutore: Se chiediamo a Dio che ci faccia conoscere tutto quello che ha fatto per noi, la vita acquista un aspetto meraviglioso; ad es. pensiamo al prof. Medi, malato di cancro, con che impeto d’amore parla di Dio.

Interlocutore: Mettere più silenzio nella giornata, perché la mancanza di questo silenzio è il vero mio problema.

Interlocutore: Chiedo al Signore di aumentare la mia speranza.

Interlocutore: Ricordare le parole di Gesù: “Non vi lascerò orfani” quando Lui mi farà esperimentare la sua assenza, il suo silenzio, nella certezza che Lui è presente anche se non l’avverto.

Interlocutore: Se Lui è presente, dimora in me e non mi lascia orfana, chiedo al Signore che mi aiuti a vivere in amore, cioè a non vedere le cose che faccio come realtà in sé, ma come segni suoi.

Luigi: Se lei vede le cose alla sua presenza, appartiene all’amore, perché l’amore è dato dalla presenza dell’Altro. Quando lei dimentica la presenza dell’Altro, non è più nell’amore, cade nel dovere, nell’abitudine.

Interlocutore: Per cui vedo le cose separate da Lui.

Luigi: L’amore è dato dalla presenza dell’Altro. Amare vuol dire avere la Presenza dell’Altro.

Interlocutore: Amare è cercare la presenza.

Luigi: Ma no, è l’Altro che si rende presente a lei. Lei ha un bel cercare la presenza se l’altro non viene! Vuol dire aderire a Lui che si rende presente.

Interlocutore: O che sappiamo presente, anche se non percepiamo.

Luigi: Il campanello del telefono non suona se l’Altro non mi chiama dall’altra parte.

Interlocutore: L’uomo che è un finito non può da solo raggiungere l’Infinito, se non è Dio che entra in lui: anche se fosse sulla vetta, è sempre un finito di fronte all’Infinito. Per quanto lo cerchi non può trovarlo e non può amare.                                                                 Eligio: Gesù qui allude alla sua passione e morte, per cui dice che il mondo non potrà più vedere la sua presenza fisica, che è l’unica cosa che il mondo aveva conosciuto di Lui, perché non ha creduto in Lui. Invece per i discepoli che hanno creduto in Lui, non verrà meno la sua Presenza, il suo Spirito, perché Lui, essendo Pensiero del Padre, non viene meno, ma vive, anche se viene ucciso fisicamente. “E voi vivrete”: è una conseguenza dell’aver creduto in Lui, perché Lui è venuto a portare la vita, la conoscenza del Padre.

Luigi: Cosa può significare per la nostra vita personale questo “ancora un poco e il mondo non mi vedrà più?”.

Eligio: Vuol dire che c’è una scadenza. C’è un tempo per poter accogliere il messaggio del Verbo di Dio tra noi, ma se noi non stiamo attenti al suo passare tra noi, oltre questo tempo non lo potremo cogliere più.

Luigi: Cioè la grazia passa…

Eligio: Dio cercherà di ricuperarci attraverso le prove, ma se si rifiuta il Pensiero di Dio, la Parola passa accanto a noi e noi la rifiutiamo per cui non la vedremo più.

Luigi: La Parola non passa. “Le mie parole non passeranno” dice il Signore: quindi le sue parole restano, però noi non possiamo agganciarci più cioè la grazia passa, il tempo della grazia passa.

Amalia: I segni passano?

Luigi: Sì, i segni. Ma il tempo della grazia è determinato dai segni di Dio per noi. Se noi non camminiamo in questi, noi perdiamo contatto e anche quando anche noi volessimo non potremo più, perché il tempo lo determina Dio, non possiamo determinarlo noi. Il tempo della grazia è Lui che lo determina. Cioè, l’iniziativa deve essere di Dio. La condizione essenziale perché noi possiamo entrare nella Verità, nella Luce, quindi nella vita vera è questa: che l’iniziativa sia di Dio, non nostra. Se l’iniziativa è nostra noi non possiamo entrare, perché noi avremo sempre questo pensiero: “qui l’iniziativa è stata mia” e questo ci impedisce di entrare. La condizione sostanziale per poter entrare nel Regno di Dio è che l’iniziativa sia di Dio che non dipenda quindi da noi; per cui richiede da noi una disponibilità quando Lui prende l’iniziativa, non quando prendiamo noi l’iniziativa, perché quando prendiamo noi l’iniziativa noi perdiamo il contatto.

Pinuccia: Quand’è che prendiamo l’iniziativa noi in questo?

Luigi: Per es. quando diciamo: “non ho tempo adesso, mi occuperò di te quando potrò”. Questo scegliere io il tempo per occuparmi di Dio e questo non invece impegnarmi quando Lui mi impegna, quando Lui mi occupa.

Pinuccia: Ma di per sé Lui ci impegna sempre.

Luigi: Non sempre avvertiamo la sua Parola. Non sempre, anche quando leggiamo il Vangelo, avvertiamo la sua Parola. Cioè non sempre la sua Parola arriva a noi presentandoci l’impegno a pensare a Lui. Quando lo presenta è un momento che l’anima lo avverte: ecco, lo vede come interesse per, come dedizione a, e invece no, preferisco altro, si occupa di altro e dice: “mi occuperò di te domani”; questo domani resta iniziativa mia; ora, questa iniziativa mia impedisce a me di entrare nella Luce: non posso entrare. La condizione essenziale di poter entrare nella Luce è che noi rispondiamo ad una proposta di Dio, quindi l’iniziativa è sua. Noi siamo sorpresi dalla sua iniziativa. Sorpresi perché l’iniziativa è sua. Quindi noi avvertiamo questa sorpresa, siamo visitati; non siamo noi che siamo andati a visitare è Lui che viene a noi. Visitandoci propone a noi qualche cosa. Generalmente noi non abbiamo tempo per impegnarci in quello che Lui ci propone, ed allora noi rimandiamo. Questo rimandare vuol dire che l’iniziativa adesso viene nelle nostre mani; ma come viene nelle mani perdiamo la possibilità di entrare.

Eligio: Ma noi per vedere la Parola, il segno, il Cristo stesso come segno di Dio, dobbiamo avere in noi il desiderio di Dio, se no non lo vediamo.

Luigi: Certo, però il segno è arrivato. Cioè è arrivata a me la Parola che mi propone di occuparmi di Dio. Quando arriva a me la proposta del Signore: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire: cerca prima di tutto il Regno di Dio”, anche se io non penso a Dio, questa Parola che arriva a me mi propone una scelta tra ciò che mi interessa (mangiare, vestire, carriera, figura, ecc.) e impegnarmi per Dio. Mi fa una proposta.

Eligio: Se io ho interesse per Dio, questa proposta…

Luigi: La riconosco.

Eligio: Altrimenti non la intendo.

Luigi: Certo, però la proposta mi è arrivata. Io non avverto il rischio che corro di perdere ciò che mi è offerto.

Eligio: E’ un po’ come se uno mi parlasse cinese: io non capisco.

Luigi: Si capisce: però in quanto mi propone cose di Dio, io avverto che in quel giorno, in quella determinata ora mi era stato proposto qualche cosa di Dio: non sapevo chi fosse (pensavo che fosse magari un bambino, un ubriaco, pensavo che fosse un villano). Ecco, io non sono stato disponibile, avevo altro per la testa altre cose da fare; però la proposta mi è arrivata. Io non ho avvertito la cosa, però la parola mi è arrivata. Ora Dio parla a noi anche se il nostro spirito è lontano da Lui; Dio, essendo Onnipotente, ha la possibilità di arrivare a noi ovunque noi siamo, e quindi di farci arrivare la sua proposta. Ora Dio parla a noi anche se il nostro spirito è lontano da Lui; Dio, essendo Onnipotente, ha la possibilità di arrivare a noi ovunque noi siamo, e quindi di farci arrivare la sua proposta. Che Lui faccia arrivare a noi la sua proposta, non è detto che noi la riconosciamo, non è detto che noi aderiamo, però Lui ha parlato con me. Lui parla con chiunque, Lui parla con tutti e parla personalmente, cioè, ci tratta sempre personalmente. Ora, ci tratta anche nel nostro male, nel nostro peccato, nel nostro orgoglio, nelle nostre ambizioni, Lui parla con noi, e parlando con noi, cosa fa? Parlando con noi propone Se stesso. Quindi tende a capovolgere la nostra vita, perché propone a noi un valore diverso da quello che noi stimiamo. Non è detto che noi accettiamo. Per poterlo accettare dobbiamo riconoscerlo, per poterlo riconoscere dobbiamo averlo dentro. Però la proposta mi arriva. Tanto più che io non potrò smentire Dio nel giudizio dicendo: “non è vero che Tu n quel giorno mi hai proposto…”. Non posso smentirlo, quindi vuol dire che porterò dentro di me, la Parola di Dio. quindi la Parola di Dio arriva a tutti, non tutti la riconoscono. Infatti: “Gerusalemme, Gerusalemme, non hai riconosciuto l’ora in cui sei stata visitata e questo è peccato. Perché peccato? Perché non ce l’avevi nel cuore. Quindi non avere nel nostro cuore Dio, è colpa, ma perché è colpa? È colpa perché hai separato la creatura dal Creatore: non hai messo Dio al suo posto. Quindi la condizione essenziale è che noi portiamo Dio dentro il nostro cuore; perché questa è la condizione per poter riconoscere ed essere disponibili per la Parola: “ah, era quello che aspettavo!” ecco, allora sono disposto a partire. Il popolo ebreo al momento della partenza dall’Egitto deve mangiare la cena in piedi, col bastone in mano pronto a partire al passaggio dell’Angelo. Ecco, ci vuole questa disponibilità, perché se non c’è disponibilità non si parte, si rinvia; ma rinviando l’iniziativa cade in mano nostra. Ora questa iniziativa in mano nostra impedisce a noi di entrare, perché il Regno di Dio è caratterizzato da questo: tutto fa capo a Dio. E in quanto fa capo a Dio, non può fare capo ad un’iniziativa mia, come creatura. Quindi anche io come creatura devo far capo a Dio: questa è la condizione per arrivare a vedere. Così abbiamo una transitorietà, perché la Parola di Dio arriva a me e aspetta da me la risposta. La mia risposta crea la transitorietà della Parola di Dio, per me, è logico, mica della Parola di Dio in sé. Per me, sì: quindi il segno passa, ecco, non ce l’ho più nelle mani. Arriva a me, però come arriva a me, da me ottiene una certa risposta e questa risposta o la ferma o la fa passare.

Marco: La nostra risposta deve venire dal profondo del nostro io, senza seguire il nostro comodo.

Luigi: Certo, perché la Parola di Dio propone sempre a noi un superamento dell’io, del pensiero di noi stessi. Ora noi, tutti i rifiuti che facciamo a Dio, li facciamo sempre in nome del pensiero del nostro io, di noi stessi. Anche questo: “non mi fa comodo, ecc.” è sempre il pensiero di me stesso. Ora, la condizione essenziale per poter aderire a Dio, è proprio questo superamento, cioè questo mettere Dio prima di me. ecco, non posso mettere “io” prima di Dio, perché se metto “io” prima di Dio capovolgo i valori e questo mi impedisce di entrare, perché mettendo “io” prima di Dio, sottometto Dio a me, cioè voglio esperimentare Dio col pensiero del mio io: non posso, questo è assurdo. Dio è la Verità, ecco noi siamo la creatura, noi siamo la conseguenza della Verità, e come conseguenza della Verità noi dobbiamo sempre mettere la Verità prima di noi, e allora noi esperimenteremo la Verità. Ecco per cui la Parola di Dio venendo a noi, crea sempre un certo disagio perché impegna noi a superare poco o tanto il pensiero del nostro io e crea questo senso di crisi in noi. Non viene a noi con la caramella, accarezzandoci, ecc.; può anche arrivare con la caramella, ecc. ma subito dopo però ci richiede un certo impegno, perché richiede questo superamento.

Tiziana: Ritornando all’argomento dell’iniziativa presa da noi: questo avviene quando pretendiamo di determinare noi il tempo per Dio, rinviando le proposte di Dio. E’ un rifiuto, ma Dio continuerà sempre a riproporci la stessa cosa, anche se attraverso prove sempre più dolorose, a causa dei nostri rifiuti, per ricuperarci, no? Cioè la proposta di Dio è sempre valida? nonostante il nostro rifiuto, è sempre presente?

Luigi: Non è sempre valida. È sempre presente, ma non sempre valida. “Non sempre avrete me”. Dio ha infiniti modi per poter arrivare a noi, certo, e fa di tutto, fino alla morte per ricuperarci, però ad ogni sua proposta, immediatamente, noi non possiamo farne a meno, immediatamente si unisce una nostra risposta: qualunque cosa Lui ci proponga, immediatamente noi diamo una risposta, perché le parole di Dio sono sempre proposte. Dio ci propone sempre qualche cosa che tende ad impegnarci, perché Lui è Superiore a noi; quindi il suo parlare è sempre una proposta per noi. Se una persona mi incontra per la strada e mi chiede qualche cosa: in un modo o nell’altro io rispondo; anche se alzo le spalle, io rispondo ugualmente; non posso non rispondere. Ora, se la Parola di Dio ci interroga, noi non possiamo non rispondere. La risposta sostanziale è sempre l’una o l’altra: sì o no. Il nostro parlare, andiamo alle estreme conseguenze = il nostro parlare si riduce soltanto a queste due espressioni: sì o no: tutto lì. Alla Parola di Dio noi possiamo dire sì, possiamo dire no. Necessariamente diciamo uno o l’altro. A seconda di quello che diciamo noi entriamo, oppure quella parola di Dio per noi non è più efficace, perché c’è unito alla Parola di Dio il nostro rifiuto, il nostro io. La Parola di Dio per essere efficace in noi deve essere pura, non deve essere macchiata dal nostro io. Quando invece è macchiata dal nostro io, quella non è più efficace su di  noi, non ha più la grazia efficace.

Tiziana: Ma cosa vuol dire che è presente, ma non è valida?

Luigi: E’ presente perché non la posso dimenticare. Io non posso dimenticare che in quel momento, in quell’ora, Dio mi ha proposto questo. Quindi è presente: però non è efficace su di me, perché in me io vedo, di fronte a quello, sempre la mia obiezione, la mia risposta, il mio no. E quella risposta che ho dato, come iniziativa del mio io, m’impedisce di camminare: mi troverò sempre di fronte a questo muro. Noi diventiamo figli delle nostre opere, e quando io ho fatto una cosa, questa me la vedo davanti, non la posso più dimenticare, l’avrò sempre davanti. Ora, soltanto se le nostre opere sono opere di Dio, allora noi diventiamo figli di Dio; ma se le nostre opere sono opere autonome che partono dal pensiero del nostro io, quindi dall’io separato da Dio, queste ci separano da Dio e impediscono a noi di esperimentare Dio, di restare uniti a Dio, di ascoltare Dio, di intendere la sua voce. Noi ci sentiamo soli. Noi esperimentiamo la solitudine, l’incomunicabilità. Come mai questa incomunicabilità? Che cos’è questa incomunicabilità? È la campana in cui si è fatto il vuoto: non trasmette più il suono. E come mai si è fatto questo vuoto? Si è formato questo vuoto, perché noi abbiamo detto dei no, ecco, abbiamo lasciato partire dal nostro io una risposta che ha messo una certa distanza tra noi e Dio, per cui la Parola di Dio su di noi non è più efficace. La Parola di Dio per essere efficace in noi, deve essere pura, cioè deve essere solo lei a operare. Quando Maria dice: “Si faccia di me secondo la tua Parola”, dice una cosa meravigliosa, per tutti noi. Cioè noi dovremmo poter dire sempre di fronte ad ogni proposta: “Si faccia di me secondo la tua Parola”: allora qui abbiamo la parola efficace, la parola che ci fa concepire: ci fa concepire Dio! E quindi ce lo fa esperimentare; ma perché? Perché abbiamo la Parola pura; non abbiamo l’obiezione della creatura; non abbiamo la creatura che dice: “adesso no, domani…”, perché allora questo resta, qui la parola di Dio viene inquinata dai miei pensieri, dai miei prodotti e questo mi impedisce di entrare nella luce, perché per entrare nella luce bisogna entrare in modo da poter dire: “Signore, è stato tutto opera tua, è stato tutto grazia tua!” La Madonna cosa fa? “Signore è stato tutto opera tua! L’anima mia magnifica il Signore!” L’anima mia magnifica me stessa, non magnifica la mia iniziativa: l’anima mia magnifica il Signore! Ora, noi entriamo nella luce solo dicendo: “L’anima mia magnifica il Signore”. Nel cielo di Dio non entra nulla di inquinato.

Amalia: La Madonna è sempre in atteggiamento di risposta.

Luigi: Di ascolto e di risposta pura, cioè di attuazione della Parola di Dio. Lei non ha difficoltà nei riguardi di Dio. Lei ha difficoltà nei riguardi degli uomini: “io non conosco uomo”. Lei è tutta disponibile per Dio. Ho detto molte volte che la Madonna rappresenta per noi la creatura tipo, il disegno immacolato che Dio ha per ognuno di noi. Quindi è la creatura, il prototipo di ognuno di noi per farci vedere qual è la condizione per concepire Dio. Ecco, tutta la nostra tribolazione è che non arriviamo a concepire Dio, non arriviamo a toccare qualche cosa di Dio: ecco, ci sono delle distanze; queste distanze fanno sentire a noi l’incomunicabilità; ecco, non ascoltiamo, non parliamo, ci sentiamo soli, ecc. E perché tutto questo? Il Signore dice: “sono i vostri peccati, le vostre colpe che hanno messo la distanza”. Non che Dio sia distante da noi: Dio è vicinissimo, Dio è presente: siamo noi distanti da Lui. Ecco, nel campo dello spirito, è molto diverso dal campo fisico: nel campo fisico chi è vicino ad un altro, l’altro gli è vicino; nel campo dello spirito no: nel campo dello spirito uno può essere vicinissimo all’altro e l’altro essere immensamente lontano. Ora, Dio è vicinissimo a noi, ma a seconda dei prodotti del nostro io, noi possiamo essere lontanissimi da Lui. E non basta sentirci dire: “Ma Dio ti è vicino, Dio ti è vicino”, non basta che gli altri me lo dicano: io mi sento solo, perché non lo sento, non lo avverto, perché in me ci sono delle dimensioni, e queste dimensioni sono create dal pensiero di noi stessi, dalla nostra volontà.

Eligio: Gesù dice: “Il mondo non mi vedrà più”; queste parole fanno pensare che allora c’è stato un momento in cui il mondo l’ha visto, ma non l’ha accettato.

Luigi: No, ha sentito soltanto parlare di Dio per mezzo del Cristo, o parlare del Padre, però non ha riconosciuto il Cristo, Colui che doveva essere seguito; non gli è stato possibile, perché per poterlo riconoscere, bisogna averlo dentro di noi. Ora, Dio arriva a noi anche senza di noi, quindi anche se dentro di noi c’è l’orgoglio, c’è l’ambizione, c’è il demonio, c’è satana, Dio arriva lo stesso, Dio si fa sentire, però non permane, e non può permanere perché ottiene da noi la risposta; a questa risposta se è negativa, immediatamente mette una distanza, e noi non avvertiamo più la Presenza, perché noi avvertiamo di più la nostra risposta della sua proposta; perché noi diventiamo figli delle nostre opere, e diventando figli delle nostre opere per noi è molto più premente su di noi la nostra risposta che la proposta di Dio: l’avvertiamo molto di più. E questa ci impedisce di avvertire Lui; mentre invece per sentire, per sperimentare, per avvertire l’unione con Lui, l’amicizia con Lui, la Presenza sua, la comunione con Lui, l’ascolto di Lui, è necessario che in noi ci sia questa sintonia: è proprio la sintonia dell’apparecchio che riceve le onde. Tu devi mettere in sintonia l’apparecchio per ricevere l’onda da una stazione; e così, per ricevere l’onda dalla stazione di Dio, noi dobbiamo essere in sintonia con Dio. E cosa vuol dire essere in sintonia con Dio? Essere in sintonia vuol dire aver superato il pensiero di noi stessi, aver cioè Dio al centro del nostro cuore; allora se in noi c’è il Pensiero di Dio al centro del nostro cuore, prima di tutto, e questo si riflette in noi con interesse per, allora come Dio parla fuori, perché Dio parla dentro e fuori, come parla fuori, immediatamente noi captiamo l’onda, entriamo in sintonia, allora avvertiamo la comunione, e allora da parte nostra non c’è difficoltà a seguirlo, anzi, è gioia per noi. La comunione, l’unione con Dio, l’ascolto di Dio presuppone questi due dati: la Parola di Dio e la nostra sintonia. Non basta che Dio parli, perché Dio parla sempre, Dio parla in tutto: “passeranno i cieli e la terra, ma le mie parole non passeranno”: Dio parla sempre, però per noi no. Ed è lì il guaio!

Eligio: Ma allora il “non mi vedrà più” come va inteso? Nel senso che l’hanno visto e l’hanno rifiutato?

Luigi: Qui hanno visto una presenza, hanno visto la presenza fisica, cioè il Verbo di Dio si è fatto carne! Ora facendosi carne (ne parliamo alla domenica, nell’argomento della “carne”) cosa vuol dire? Si è offerto come dato sensibile, sperimentabile al nostro io, si è sottomesso al nostro io, come segno esterno, si è sottomesso al nostro io!

Eligio: Quindi: “non mi vedrete più” come segno esterno, solo come segno esterno.

Luigi: Certamente, come segno esterno. Si è sottomesso al nostro io! Cioè, essendosi fatto oggetto sensibile per noi, si è fatto oggetto esperimentabile, per cui io parlo e l’altro mi risponde fisicamente. Io c’è l’ho come presenza fisica: non capto la divinità che c’è in Lui, però in quanto è presenza fisica Lui parla. Lui come carne è uomo; come Spirito, ma lo Spirito mi sfugge, come Spirito è Dio, però tra lo Spirito e la carne c’è la Parola. Lui parla a me nel suo corpo, Lui dialoga con me e dialoga (e dialogare vuol dire che tiene presente me), dialoga con argomenti divini, mica con argomenti umani, per cui le parole, fintanto che c’è la sua presenza fisica, la parola che Lui fa sentire a me è Parola di Dio! Non è parola umana! Lui è uomo, ma la sua parola è parola di Dio! Il vestito è umano, ma la persona è Divina. Infatti in Cristo ci sono due nature, ma una Persona sola e la Persona è Divina, non è la persona umana, la Persona è Divina. È Dio che parla con l’uomo: fintanto che c’è la Presenza fisica. E questa presenza fisica però, siccome è segno, passa, perché tutti i segni passano, perché quello che rimane è la sostanza è lo Spirito. E allora lo Spirito dà i segni di Sé, però i segni non essendo sostanza mutano, passano, come le parole che diciamo. Noi diciamo tante parole: magari in questo momento stiamo dicendo tante parole, però le parole una dietro l’altra passano. Il pensiero è una cosa diversa. Il pensiero rimane. La parola che uno dice con la bocca è segno, segno del pensiero, il segno passa per lasciare luogo al pensiero. Ora  quando però la parola arriva, se l’altro non è disponibile e non la capta, non giunge certamente al pensiero; perché uno possa arrivare al pensiero mentre un altro parla, bisogna che sia attento. Essere attenti è già un atto di amore; perché vuol dire disponibilità all’altro. Ora, soltanto se uno è disponibile all’altro, riesce ad arrivare al pensiero dell’altro. Ora, notiamo che il pensiero nostro è pensiero, ma il Pensiero di Dio è il Verbo. Se noi siamo attenti al parlare di Dio, disponibili, siamo nell’amore. Allora questa disponibilità conduce noi, mentre i segni passano, cioè mentre le parole che Dio dice passano, questa disponibilità conduce noi a vedere il Pensiero di Dio a vedere il verbo.

Eligio: IL “voi invece mi vedrete”, fa riferimento alla Resurrezione?

Luigi: No, alla Pentecoste: “in quel giorno voi conoscerete - dirà poi - che io sono nel Padre mio”: in quel giorno conoscerete!

Nino: Gesù dice: “Voi vivrete”: noi però già incominciamo a vivere fin da quando siamo attratti dal Padre, quando coltiviamo l’interesse per Lui; però siamo ancora nella possibilità di morire.

Luigi: Certo. Diciamo meglio: noi viviamo in quanto partecipiamo; perché bisogna sempre mettere ben chiaro questo: il Vivente è Lui solo. Dio è il Vivente! Noi non siamo vivi; noi viviamo per partecipazione, nella misura in cui comunichiamo con Dio. Se non comunichiamo con Dio, noi perdiamo vita e quel che noi chiamiamo “vivere” è un perdere vita.

Nino: Qui si dirige ai discepoli

Luigi: che sono in ascolto

Nino: che quindi sono già vivi, anche se non sono ancora nella vita eterna. Per questo ci mette il futuro (“voi vivrete”) perché sarà quella la vera vita.

Eligio: “Mi vedrete, perché io vivo”: perché nonostante l’assenza fisica del Cristo…

Luigi: Lui permane nel pensiero

Eligio: Rimane nell’intimo

Luigi: Si capisce; non è più nel mondo, ma…

Eligio: Anche se ancora non è arrivata la Pentecoste, vero?

Luigi: Lui afferma qui: “perché”: “perché Io vivo”.

Nino: Durante il cammino, attraverso l’ascolto c’è una parzialità di visione; a Pentecoste ci sarà la totalità di visione.

Eligio: Però questo “vedrete” è riferibile alla Pentecoste?

Luigi: Lui fa questo “vedrete” come una conseguenza del fatto che Lui vive. Dice: “perché”: “voi vedrete, perché”. Quindi la visione è una conseguenza del fatto di essere con Lui che vive, mentre invece “il mondo non può ricevere lo Spirito di Verità”.

Eligio: Anche se fisicamente non è più presente, lo vedono ugualmente.

Luigi: Anzi son proprio queste parole che conducono le anime a Pentecoste. Lui sta parlando qui per preparare le anime dei suoi discepoli alla Pentecoste. Ormai il mondo si è separato, ma Lui sta ancora convogliando i suoi per la Pentecoste e quindi sta affermando delle cose che loro poi a Pentecoste vedranno. Lui qui sta affermando le Verità che loro attualmente possono credere perché Gli appartengono, che non possono capire, perché capiranno poi quel giorno; però proprio in quanto le accolgono, accogliendole, preparano la loro anima alla Pentecoste, perché Lui sta già dicendo delle cose che vedranno a Pentecoste.

Eligio: Ma accogliendole non acquisiscono già una certa visione interiore del Verbo di Dio?

Luigi: No!

Eligio: Ma allora come restano uniti a Lui in quel periodo tra la morte del Cristo e la Pentecoste?

Luigi: Per la fede, perché loro credono in Lui, anzi per queste stesse parole che Lui dice: “io me ne vado, ma io vivo”. E se mi trovo con Uno nel quale io credo (perché se non credo dico: no, mi ha detto una storia: Lui se n’ è andato! Non c’è più!) e che mi dice: “Io me ne vado, ma io vivo, ma ci sono” mi preoccupo di capire: “ma che cosa mi sta dicendo?”. Queste parole mi impegnano a superare la presenza fisica, e capire che c’è questa differenza: c’è una presenza fisica e c’è una presenza spirituale, per cui mi incentro sulla sua Presenza spirituale. Ora in questa presenza spirituale io attualmente credo perché seguo Lui, ma non vedo ancora: è necessario credere per arrivare a vedere. Vedi, la vita vera (“voi vivrete”) sta proprio in questo impegnarci in cose che ancora non vediamo, ma che crediamo e soltanto credendo, arriveremo a vedere; se non crediamo non possiamo arrivare alle cose che non vediamo.

Nino: Lui ci sta parlando del giorno in cui tutti i segni saranno superati, Lui compreso.

Luigi: Lui sta affermando delle cose che debbono impegnare noi: molto di noi, perché sono superiori a noi; però le sue parole sono la scala, afferrandoci alla quale, noi di gradino in gradino, stiamo salendo alla conoscenza del Padre, nella conoscenza della Verità di Dio, come spirito. Lui è sceso fino a noi, attraverso questa stessa scala, è sceso fino a noi sul piano della materialità, e si è incarnato: “Verbo fatto carne”; ma adesso avendoci preso con Sé, a poco per volta ci fa di nuovo risalire, di gradino in gradino, con le sue parole, fino alla sua Verità, alla sua Verità spirituale,fino a vedere la sua Verità spirituale.

Eligio: Quindi la visione, la vita e la conoscenza sono tre aspetti della Pentecoste.

Luigi: Senz’altro, si capisce. Lui già sta parlando di questa Pentecoste; sta affermando delle cose che devono essere credute, perché il credere è la condizione per poterle seguire e per poter arrivare a capirle e quindi a vederle, perché sono superiori a noi.

Eligio: Quindi è necessario, nel momento in cui i segni vengono meno e in particolare la sintesi dei segni che è Cristo, restare in questa unione di fede fino alla visione.

Luigi: Sì, perché quando il Cristo fisico viene meno, cioè la sua espressione fisica viene meno, restano le sue parole, qui c’è un cammino che prosegue. Prima c’è un cammino con Lui: “Presenza fisica”; poi c’è un cammino con Lui, con le sue Parole; e finalmente poi c’è la scoperta di Lui, Presenza spirituale. Ecco, ma c’è il passaggio dalla presenza fisica al cammino con le sue parole pure, ed è la condizione per arrivare poi alla presenza spirituale.

Amalia: Non capisco questo fatto: che quando Lui se ne va fisicamente rimangono le sue parole.

Luigi: Quando una persona muore, sa che cosa rimane?

Amalia: Ma per noi?

Luigi: Per noi, proprio per noi: rimangono le sue parole. Quando una persona cara muore, e dico che una persona è cara in quanto è unita a noi, quando questa muore, restano con noi evidenziate al massimo le sue parole, e sono proprio queste parole che ci conducono; mentre invece quando viveva fisicamente, le sue parole per noi contavano poco, perché contava molto la sua presenza fisica: “a me basta la tua presenza fisica”, noi diciamo. A noi interessa relativamente poco il suo parlare; interessa molto la presenza fisica della persona cara.

Amalia: Ma per noi non c’è la presenza fisica del Cristo, ma la sua Parola.

Luigi: C’è il tempo in cui lei legge il Vangelo, leggendolo, s’immedesima con la scena che legge e quindi è una presenza fisica. Non importa che è stata duemila anni fa, perché duemila anni fa o cinque minuti fa interessa ben poco. Il fatto è come io lo penso il Cristo cioè, lo penso, mi immedesimo in quella scena, in quel fatto, ecc. e lo vedo, lo sento che parla in quel modo… ma c’è la presenza fisica che mi parla queste parole ed io Lo seguo perché ho bisogno di questa presenza fisica, perché se non ho presente questa presenza fisica, ho altre presenze fisiche che mi attraggono e mi portano via: ho il mio mondo, i miei interessi, ho le creature che ho attorno, le quali però non mi parlano di Cristo, non parlano come Cristo; allora io ho bisogno di un’altra presenza fisica, tra le tante presenze fisiche… Se io sono schiavo delle presenze fisiche, posso essere salvato soltanto attraverso una presenza fisica, perché quelle mi portano via, e allora soltanto se mi innamoro di una presenza fisica che mi parla di Dio o in cui parla Dio, questa mi dà la possibilità di essere libero da tutte le altre presenze fisiche. E allora poi seguendo questa presenza fisica, ad un certo momento, arrivo a seguire le sue parole, senza più il bisogno della presenza fisica. Per cui acquista molto più importanza il suo Spirito della sua stessa presenza fisica.

Pinuccia: Vuol dire che arriva un momento in cui uno non riesce più a trovare la Presenza fisica, non riesce più ad immedesimarsi in queste scene.

Luigi: Ma no “non riesce”! Non è che non riesca! Non vuole, non ha interesse. Le ha superate, perché c’è il suo parlare, il parlare del Cristo, ci sono le sue parole che sono molto più importanti della sua presenza fisica. In un primo tempo a me interessa magari il colore che avevano i suoi capelli, come era il suo naso, la sua bocca, la vita che ha fatto, ecc. perché quello è necessario per interessare tutto il mio mondo; poi ad un certo momento scopro in Lui delle cose che sono molto più importanti di quello che è stato il suo mondo fisico, il suo mondo storico, ecc. e che mi interessano molto di più.

Pinuccia: Allora questo momento significa che il Cristo se ne va?

Luigi: Significa il passaggio dalla presenza fisica alla presenza spirituale.

Pinuccia: Questo momento quale tappa della vita di Gesù significa per noi? La morte di Gesù?

Luigi: Sì, il passaggio tra la morte e la Pentecoste.

Eligio: Però aiuta molto la presenza fisica. Ireneo di Lione, già avanti nella santità, ricordava e si sentiva infiammato di amore, mentre parlava delle abitudini di Gesù che aveva apprese da  S. Giovanni Evangelista.

Nino: Certo, la presenza fisica di Gesù mica si dimentica, ma si è superata come interesse. La ricordi con un amore infinito perché è essa che ti ha portato fin lì.

Luigi: Certo.

Nino: Ti ha portato proprio Lui a superarla, quindi è mica un’offesa che gli fai.

Luigi: Ah; no!

Eligio: Però aiuta molto.

Luigi: E’ Lui che te la propone.

Nino: E’ indispensabile! È indispensabile che Lui si incarni, altrimenti non arriveremmo.

Pinuccia: Quindi all’inizio la dedizione che Lui ci chiede è alla sua presenza fisica.

Eligio: E poi a poco per volta passiamo alle sue parole. E dalla presenza fisica passiamo al suo Spirito.

Amalia: Questo versetto è quindi una sollecitazione a cercare la Presenza spirituale di Gesù…

Luigi: Sì, è Lui che ci propone la sua presenza spirituale dicendoci: “Io vivo”. Io vivo: quindi ci impegna a pensare, perché Lui parla a noi per impegnare i nostri pensieri nelle sue parole, in quello che Lui dice. E Lui dice: “Non mi vedrete più, perché io vivo” e allora: “Signore, che cosa mi vuoi dire con queste parole? Mi dici: “ancora un poco e non mi vedrete più…”: cosa vuoi dire con questo?” Ecco, se noi amiamo Lui, se abbiamo interesse per Lui, ci impegniamo per cercare di capire le sue parole; ma proprio in questo sforzo sulle sue parole, facendo leva su di esse, la nostra anima incomincia a salire verso le Verità eterne; perché qui già ci sta parlando di cose eterne. Quando dice: “Io vivo”: è una cosa eterna: Lui vive! È Lui che vive! E intanto ci fa capire che se è Lui che vive, non siamo noi i viventi: ecco, noi viviamo soltanto in quanto siamo in comunione con Lui, partecipiamo a Lui; cioè è il tralcio che vive soltanto in quanto si mantiene unito alla vite. Quindi, attraverso le sue parole Lui ci sta proponendo cose sempre più alte che richiedono tanta dedizione da parte nostra, tanta disponibilità, perché è il nostro pensiero che Lui vuole portare a delle contemplazioni infinite. Ora naturalmente Lui sta proponendoci dei doni infiniti che richiedono a nostra volta da parte nostra dei doni infiniti, cioè dei doni totali di noi, per questo richiede una dedizione totale.

Margherita: Per ascoltare Dio bisognerebbe dedicare moltissimo del nostro tempo: io trovo molta difficoltà.

Luigi: Quando noi avvertiamo che per ascoltare Dio dobbiamo dare molto tempo, vuol dire che Dio si è fatto molto vicino alla nostra anima. Certo, noi no dobbiamo fare delle obiezioni, perché noi dobbiamo essere disponibili per Dio, costi quel che costi; intanto che cosa interessa il resto?

Pinuccia: Ma trovare difficoltà non è fare obiezioni.

Luigi: Il trovare difficoltà è un obiezione.

Pinuccia: Esporre una difficoltà, può essere una richiesta di aiuto; di come fare a superarla, no?

Luigi: Se Dio le parla, lei sa benissimo cosa deve fare, e non ha bisogno di chiederlo a nessuno

Margherita: E’ però molto complessa la cosa, per me nella vita pratica.

Luigi: Ma certo! È un amore, capisce? È un amore! È un amore che richiede dedizione. Ed è logico che richieda dedizione.

Margherita: Ma per es. una madre con sette figli, come fa a trovare il tempo per mettersi ad ascoltare?

Luigi: Ma guardi che i sette figli non vanno messi davanti a Dio: bisogna mettere Dio davanti ai sette figli. Dio d’altronde è talmente potente che quando parla ad un’anima dà la possibilità di educare sette figli e di ascoltare Lui, anzi, soprattutto di ascoltare Lui e di educare i sette figli, perché soltanto ascoltando Lui si educano i sette figli. Guardi che più noi ci dedichiamo a Dio, e più Dio dà la possibilità a noi di fare tutto ciò che è necessario per le creature, per quelle che dipendono da noi, nel campo essenziale, molto, molto di più che se noi ci dedicassimo soltanto alle creature, senza occuparci di Dio! perché se noi ci occupiamo soltanto delle creature senza occuparci di Dio, sa cosa facciamo? Da mattina a sera, 24 ore su 24, sudiamo e facciamo niente e roviniamo tutto. Roviniamo tutto! Cioè lei perde i sette figli, perde il marito, perde tutto, se cerca di tenerli senza cercare Dio: se dice: mi prodigo tutta per il marito, per i sette figli, per tenere… ma non mi occupo di Dio, fa nulla, perché lei può fare veramente le cose buone, soltanto con Dio, e quindi può tenere in vita le creature che Dio le ha affidato, soltanto nella misura in cui si tiene in dialogo con Dio! Perché l’unione è Dio che la fa, non siamo noi. Noi con tutto il nostro sudare, con tutto il nostro trafficare, ecc. facciamo soltanto dei vuoti attorno a noi, ma non possiamo unire nessuno a noi. Quindi il vero bene che si può dare ai figli è cercare noi Dio. Santa Caterina da Siena era la ventiquattresima e dopo di lei sono ancora nati altri figli: altro che sette! E fu una Santa, e di quale calibro! Quindi non è che l’avere tanti figli o tanto lavoro possa impedire di cercare Dio. No, non c’è nessun lavoro che possa portarci via a Dio, non c’è niente al mondo, né figli, né marito, né famiglia che possa portarci via, perché Dio è il più forte di tutto.

Margherita: E’ solo dono di Dio l’essere legati a Lui.

Luigi: E’ solo dono di Dio! Però i doni di Dio, dono delle proposte che richiedono da parte nostra della dedizione, dell’ascolto; e non bisogna aver paura di dedicare del tempo a Dio, perché lo si guadagna immensamente dopo! Non si è mai trovata con delle persone che magari parlano, parlano, parlano e non dicono niente e stufano da matti? E ci sono delle persone invece che dicono una parola sola e illuminano? Tutto deriva dalla profondità da cui viene la parola. Se una persona è superficiale parla, parla, parla e dice niente e fa solo venir voglia di scappare in fretta, perché non si sopporta più. Crede di fare tanto, magari! No, fa il vuoto. E così lo stesso, tutto il nostro parlare, il nostro operare, il nostro darci da fare, ecc. se non viene dal profondo, dalle profondità di Dio è vuoto! Fa niente! “senza di me, voi non potete fare niente!” Ma Signore, io mi dedico 24 ore su 24 ore perché tutto il resto è niente!Comprende? Dio è Colui che mantiene in vita tutto, perché ci ha creati dal niente, e quindi è capacissimo ancora di mantenere in vita sette figli ad una madre, se la madre si occupa di Dio. Non bisogna aver paura! Negli incontri della domenica, oltre agli altri, stiamo anche trattando il tema della paura, cioè quella che ha impedito al popolo ebreo di entrare nella terra promessa è stata la paura. Ora, il più delle volte, quello che impedisce a noi di entrare nella Luce di Dio è la paura, perché abbiamo paura di perdere: “ma se io mi dedico là, adesso perdo…” No, non bisogna aver di queste paure con Dio, perché certamente Dio è superiore a noi e quindi chiede a noi una certa dedizione. Ma se quando io mi dedico dico: “Ah, ma qui io perdo la concorrenza con gli altri… ah, quell’altro mi passa davanti…” Non sei tu che fai, è Dio che fa. Tu pensa a Dio e poi vedrai Dio quali miracoli fa! Dio non ha difficoltà a fare miracoli.

Marco: Credo che per una madre con sette figli ci voglia dieci volte di più di fede a dedicare un ora di silenzio a Dio, che per me. Perché in quel tempo potrebbe succedere qualcosa ai figli.

Nino: Ma noi possiamo stare con i figli pensando a Dio! o avere tanta fede da affidare i figli a Lui.

Luigi: Comunque anche una mamma deve mettere il tempo il tempo di silenzio e di raccoglimento con Dio, assolutamente, e per fare questo ci vuole della fede. Ci vuole molta fede, si capisce! Per occuparsi di Dio, ci vuole molta fede! Sì, lei dice che per una madre occuparsi di Dio, per dedicare magari un quarto d’ora di silenzio a Dio, si richiede molta più fede che non magari per un’altra persona dare un’ora a Dio. E’ logico che questa madre offre anche i suoi figli in quel quarto d’ora, siamo d’accordo, è logico, e questo per chiunque sia preso da tante occupazioni. Più abbiamo cose dipendenti da noi, e più ci vuole della fede, perché uno deve rinunciare non soltanto a se stesso, ma anche ai figli, ad es. o ad altro: deve far conto su Dio! E poi Dio parla ad ognuno personalmente.

Ida: Mi ha colpito il fatto della disponibilità: ma è tanto difficile essere disponibili fin dal mattino.

Luigi: Che sia difficile siamo d’accordo.

Ida: Ad es. al mattino quando mi alzo mi progetto la giornata, però sono io che la progetto, che faccio il programma.

Luigi: Ma io la progetto, però davanti a chi? Quando progetto queste cose, le progetto come risposta o come iniziativa mia? Cioè, io sto rispondendo ad una proposta di Dio, oppure faccio di iniziativa mia? Tutto dipende da ciò cui io guardo! Perché se lo sguardo è rivolto a Dio già per me è proposta di Dio a me: “Signore, ecco, mi offri una giornata! Perché mi offri questa giornata? Cosa vuoi da me?” La prima cosa da chiedere è: “perché mi dai una giornata da vivere?” Tu me la dai da vivere perché io ti conosca di più. Quindi, Signore, io ti ringrazio perché mi dai una giornata per conoscerti di più. Ecco, adesso, se Tu in questa giornata mi proponi o mi fai vedere magari l’angolo del silenzio, l’angolo del contatto col fratello che soffre, o altro, Tu già in anticipo me lo presenti, dicendomi: “Guarda che in questa giornata ti proporrò questo, ti proporrò quello, quindi tieniti disponibile” e allora rispondo: “Signore, io accetto; l’accetto in anticipo, perché Tu me lo fai vedere in anticipo, affinché quando verrà io sia disponibile, perché me l’hai fatto programmare. Però l’ho programmato, in quanto Tu me l’hai proposto”; non sono io che mi sono scervellato ad un certo momento ad immaginarmi come sarà la mia giornata. No la vedo: “ecco, è una giornata che Tu mi metti a disposizione per conoscerti di più, e naturalmente in questo conoscerti di più, Tu non mi lasci mica sola, mi aiuti; ecco, mi aiuti con gli incontri magari con i fratelli, con delle proposte, perché io non saprei come fare a pregare, se dovessi stare 24 ore su 24 ore in silenzio, Signore, chissà dove andrebbe la mia testa”. E il Signore ecco allora interviene e magari mi fa incontrare il tale ed il tal altro, magari anche in famiglia, magari lo studio, ecc. ma son tutte proposte sue, in modo da dirmi: “Ecco, io ti aiuto in questo modo, però cerca sempre di collegarti con me, in tutte le cose”. Quindi già al mattino questo “quadro”, questo programma, lo debbo sempre vedere sulla proposta di Dio, cioè nel Volto di Dio, non da sola.

Cina: In questo versetto Gesù annuncia la scomparsa della sua presenza fisica, mettendo in evidenza la differenza tra il mondo e i discepoli: il mondo non lo vedrà più, ma i discepoli sì.

Luigi: Il mondo non lo vedrà più, perché il mondo si caratterizza in questo: crede come realtà ciò che vede, ciò che tocca; quindi vive in funzione di ciò che vede e tocca: questo è mondo. Ora il mondo è mica soltanto esteriorità: se dentro di noi in questa nostra interiorità noi viviamo per la realtà che i nostri occhi vedono e i nostri sensi toccano noi siamo “mondo”, noi apparteniamo al mondo e la nostra vita è il mondo. Ecco, questo mondo ad un certo momento non può assolutamente prendere contatto con Cristo, lo perde.

Pinuccia: E quindi rimane senza Dio.

Luigi: Senz’altro; è perché è già senza Dio.

Pinuccia: Invece chi ha accolto il Pensiero del Cristo continua a vederlo, ma in un altro modo.

Luigi: Cioè chi l’ha seguito, non lo vede più fisicamente, ma nel pensiero, quindi passa anche lui attraverso la crisi; c’è anche la crisi per lui; perché è il passaggio dalla sua presenza fisica alla presenza spirituale; per cui c’è la tristezza. Gesù la paragona ad una donna che deve avere un bambino: “ecco, quando è il momento di avere il bambino ci sono le doglie, ecc. , però quando il bambino è nato si dimentica tutto, perché è nato al mondo un uomo”. Ora, si tratta di una nascita: del travaglio, il momento della crisi, perché è il passaggio da una realtà che noi vediamo e tocchiamo ad un’altra realtà che non vediamo e non tocchiamo, che è superiore a noi, nella quale dobbiamo imparare a vivere, nella quale dobbiamo imparare a nascere, perché noi in questo mondo nasciamo senza di noi; nessuno ci chiede prima: “vuoi nascere? Non vuoi nascere?” Nel mondo dello Spirito non si nasce senza di noi: la nascita nel mondo dello Spirito è consapevole, per cui Dio ci dà questa vita fisica, così, unicamente per interrogarci. Ci dice: “vuoi nascere?” Quindi ci dà una vita in cui noi nasciamo senza che nessuno ci interroghi e ci troviamo  qui; come sono arrivato? Sì, c’è un padre e una madre ma io non capisco niente, però sono qui. Ma sono qui per sentire che cosa? Ecco per essere interrogato se voglio nascere. Ecco, tutto questo è soltanto un tempo per rispondere: vuoi nascere nella vita dello Spirito o no? Tutto lì: perché nella vita dello Spirito non si nasce senza di noi, e allora è necessaria questa partecipazione, quindi anche questa tribolazione da parte nostra.

Pinuccia: Comunque il tempo di questo passaggio è Dio che lo stabilisce.

Luigi: Tutto è opera di Dio, tutto è iniziativa di Dio! Tutto è opera di Dio perché se tutto non è opera di Dio, se noi vediamo qualcosa del nostro io, è fallito tutto di noi: non entriamo! Perché si entra solo potendo dire: “Tutto, Signore è opera tua!”

Pinuccia: Quindi dobbiamo vedere tutto come proposta di Dio.

Luigi: Tutto come proposta, e come adesione da parte nostra a questo “tutto di Dio”, in modo da poter dire: “Tu sei il mio Tutto: mio Signore, mio Dio e mio Tutto”. Noi dobbiamo poterlo confessare, ma confessarlo dal profondo dell’anima, con tutta la nostra anima, con tutta la nostra mente, con tutta la nostra convinzione, mica così a parole, in modo da poter dire: Sei Tu il mio Creatore, sei Tu che mi hai fatto, sei Tu che mi hai portato a compimento, sei Tu che mi hai fatto entrare nella Luce, sei Tutto Tu, e niente è stato opera mia. Dobbiamo poter entrare in questo, perché soltanto a questa condizione si entra nel cielo di Dio, altrimenti no.

Pinuccia: Qui dicendo: “ Mi vedete… voi vivete” anticipa la Pentecoste.

Luigi: Si capisce, anticipa. Lui afferma delle cose che saranno, per cui credendo adesso noi arriviamo alla Pentecoste, se non crediamo, non arriviamo. Ora credere vuol dire impegnarci in quello che Lui ci sta dicendo e che ci supera.

Eligio: La traduzione più esatta, poiché si riferisce alla Pentecoste, dovrebbe essere il futuro: “mi vedrete e vivrete”.

Luigi: Si capisce, anche se approfondendo è poi la stessa cosa.


“In quel giorno voi conoscerete che Io sono nel Padre mio e voi in Me ed Io in voi”.Gv 14 Vs 20


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27/ Dicembre /1980


Luigi: Qui siamo nel pieno…!   E’ la Pentecoste! Lui anticipa i tempi.

Eligio: In quel giorno vedrete che Io vivo della vita del Padre, che sono Dio come il Padre.

Luigi: Cioè, conoscerete… Non solo, ma: che voi siete in Me.

Eligio: Perché avete fatto vostre le stesse ragioni di vita che vi ho proposte e rivelato. Ma è difficile capirlo.

Silvana: A Pentecoste per forza l’uomo è in Lui.

Luigi: Certo.

Nino: Si può intendere così: voi siete nel Pensiero di Dio?

Luigi: Certo.

Eligio: “Io vivo in voi”: in quanto in voi si è formato un altro Cristo, il Figlio, il Pensiero del Padre.

Nino: Ci diventa chiaro se quel “Me” ed “Io” lo vediamo come Pensiero di Dio.

Eligio: Però noi stentiamo a far coincidere il Pensiero con la Persona, perché tendiamo a vedere il Pensiero come un’astrazione. Però per fede sappiamo che il Pensiero è una Persona.

Luigi: Sì, il Pensiero di Dio è Persona.

Amalia: Questo indica unione di vita: noi in Lui, Lui in noi.

Cina: E’ una grande promessa.

Luigi: Certo, una promessa che ci impegna, perché sono parole che il Signore ci dice lì, come un muro in cui non possiamo entrare. No, ce le dice affinché abbiamo a sprofondarci in esse. Le sue parole vanno mangiate (è l’argomento della domenica del cap. VI). Le sue parole vanno mangiate! Quindi Lui ci sta dicendo parole perché noi le mangiamo, perché soltanto mangiandole, viviamo di quelle! “Chi mangia di Me, vive di Me”. Quindi non basta guardarle. No, le sue parole debbono essere assimilate da noi, perché le parole che non sono assimilate vanno perse. Nella parabola del seminatore vediamo che la parola che non è capita è persa e la promessa viene perduta: non basta guardarla, bisogna assimilarla. Perché tutte le parole di Dio rientrano nella parabola del seminatore, perché qui Gesù stesso l’ha commentata dicendo che il seme è la sua Parola: allora tutte le sue parole sono dei semi per noi, semi di vita eterna, e siccome dice che il seme che non penetra nel terreno e non è portato a maturazione è perduto (e poi commenta così: “il seme caduto lungo la strada rappresenta coloro che ascoltano la parola, ma non giungono a capirla allora viene portata via”), ecco allora che anche questa parola di questo versetto è un seme e deve essere da noi portata a maturazione, altrimenti è persa. Quindi è una grande promessa, ma proprio perché è promessa deve impegnare tutto di noi per arrivare a capire quello che Lui vuole dirci e comunicarci.

Amalia: “Voi saprete…” si tratta cioè di consapevolezza.

Luigi: Certo, si arriva alla consapevolezza. Adesso lo sappiamo per fede, là invece constateremo, cioè è consapevolezza. Si arriva alla consapevolezza! Saprete, conoscerete, cioè sarete consapevoli che Io sono nel Padre…

Silvana: Queste parole fanno crescere il desiderio di arrivare qui, per cui si cammina…

Luigi: Cioè, siamo stimolati dalle sue Parole. Le sue parole ci stimolano a camminare in ciò che promettono. Le sue parole non sono un quadro da ammirare, direi meglio: sono un quadro da penetrare. Ecco, le sue parole sono stimolo a noi; a camminare. Infatti Gesù dice: “Camminate fintanto che avete la Luce, affinché le tenebre non vi sorprendano”. Ecco, quindi bisogna camminare nelle parole di Dio, fino ad arrivare a capire: ma quando si arriva a capire è la Pentecoste. Però si arriva consapevolmente, cioè si arriva per partecipazione: eppure questa partecipazione non è opera nostra: è tutto dono di Dio! E’ tutto dono di Dio: anche l’attenzione a Dio, la dedizione a Dio: da parte nostra c’è soltanto il difetto. Cioè, quello che dicono i dottori: se l’ammalato guarisce il merito è di Dio, se l’ammalato muore la colpa è del medico. E così è lo stesso per ognuno di noi. Cioè, tutto quello che di bene facciamo, di adesione, ecc. è tutta opera di Dio, quello che facciamo di male, ecc. tutto opera nostra. Cioè, noi siamo solo un difetto. Il male non esiste di per sé: il male è soltanto difetto di bene. Non esiste il male. Il male è “bene non portato a compimento”. Quindi tutto quello che noi non portiamo a compimento, lì è il male. Ma il non portare a compimento è difetto. Noi abbiamo assolutizzato il male, l’abbiamo figurato, dicendo: “il male è questo”. No, il male non è. Il male è soltanto un bene non portato al suo compimento. È opera incompiuta. Allora l’opera incompiuta è soltanto nostra. L’opera compiuta è invece tutta di Dio; tutto è dono di Dio, perché, noi non possiamo fare niente in positivo senza Dio; per questo riconosciamo che tutto è opera di Dio. Pensateci bene e poi vedrete che è così. Comunque l’importante è questo: vedere che quello che noi chiamiamo male è soltanto qualche cosa che in noi non è stato condotto a suo compimento. Cioè è il seme che non è arrivato a noi e non è stato portato al frutto: quello diventa male. È la creatura che è rimasta a metà strada. È l’aborto! Ecco, l’aborto è male: è la creatura che non ha portato a compimento quello che è stato concepito: perché il seme è arrivato! La parola di Dio arriva comunque, però noi possiamo interrompere la gestazione e non arrivare alla nascita.

Tiziana: Io non riesco ad identificare il dono con la consapevolezza. Cioè: l’arrivare a conoscere che: Gesù è nel Padre, noi in Lui e Lui in noi cioè l’arrivare a conoscere la Verità è un dono di Dio, il dono che Dio fa di Sé.

Luigi: Tieni presente che la consapevolezza è dono di Dio. Soltanto Dio è consapevole.

Tiziana: Consapevolezza mi sa di qualcosa di ragionato mentre il dono …

Luigi: No, non è qualcosa di ragionato. Certamente anche la ragione c’entra perché Dio è Ragione, è Matematica sotto un certo aspetto, quindi include anche la ragione, ma non è ragione. Dio è qualcosa molto di più che ragione. Sì, giustamente noi crediamo che Dio è tutto Dono di Sé. Però Dio solo è l’Essere veramente consapevole, tant’è vero che noi siamo incoscienti: noi non sappiamo chi siamo e non sapremo mai chi siamo fintanto che non troviamo Dio. Dio solo è l’Essere che sa Se stesso, che conosce Se stesso. Noi quanto più ci avviciniamo a Dio, quanto più riceviamo da Dio, tanto più conosciamo anche quello che siamo noi. Quindi la consapevolezza di noi, ad esempio, del Tutto di Dio e del niente nostro, deriva dalla vicinanza con Dio. Quindi anche lì: come la vita non è vita in noi senza Dio, così la consapevolezza non è in noi senza Dio. Ecco perché per noi tutto è ignoto: guardiamo una cosa e sprofondiamo nel mistero; ne guardiamo un’altra e sprofondiamo nel mistero; guardiamo noi stessi e sprofondiamo nel mistero; non capiamo niente né da una parte né dall’altra. Sì diciamo tante parole, ma non capiamo niente. Perché questo? Appunto perché Dio solo è l’Essere consapevole. Allora, vuoi prendere consapevolezza di te? Avvicinati a Dio. Ma allora il dono di chi è? Il dono è di Dio. Per cui: “Signore, sei tu che mi hai fatto conoscere, solo Tu, perché la Luce è tua”. Soltanto nella Luce noi vediamo le cose… per cui non basta avere gli occhi: se la luce non si accende e noi siamo al buio, abbiamo bel avere gli occhi aperti, ma non vediamo assolutamente niente: è necessario che la luce si accenda. Abbiamo bisogno della luce per vedere la luce, quindi il vedere è dono della luce. L’occhio ce l’ha fatto Dio: “Signore, la capacità di vedere nella luce è opera tua, certamente non l’ho fatta io; nessuno di noi si è fatto l’occhio. La luce poi è opera tua, quindi tutto è dono tuo”.

Silvana: Io devo solo aprire gli occhi.

Luigi: Devo soltanto aprire gli occhi. Ma per aprire gli occhi ho bisogno di Dio, perché senza Dio io gli occhi li tengo chiusi.

Tiziana: Quindi la capacità di vedere è niente senza…

Luigi: Senza Dio è niente. Noi siamo solo privazione. Tutto è dono di Dio, anche il fatto di aprire gli occhi. “Signore apri i miei occhi…” Noi diciamo: “Aperi, Domine, os meum” cioè “Signore apri la mia bocca”, e dobbiamo dire: “Signore, apri i miei occhi”, perché se non tengo presente Dio, se non parto da Dio, siccome Dio è il Principio, se io non tengo presente Dio, io gli occhi non li apro, come la bocca non la apro, non parlo. Quando noi parliamo, dovrebbe sempre essere Dio a farci aprire la bocca. Ma per noi purtroppo quello che ci fa aprire la bocca è sempre ben altro! Ecco perché ad un certo momento ci troviamo nei pasticci! Dovremmo sempre essere motivati da Dio: chi è che ti fa parlare? È Dio? Allora sei figlio di Dio! Ecco, ma deve essere Dio che ti fa parlare, e allora noi vediamo quanto silenzio si forma nella nostra giornata! Molte volte ci lamentiamo che non abbiamo silenzio! Lasciati aprire la bocca soltanto da Dio! Ti accorgerai quanto silenzio hai a disposizione nella giornata! Allora dici soltanto le cose essenziali, le cose vere, le cose valide; allora veramente dai doni buoni alla tua anima e anche ai tuoi fratelli, perché dici l’essenziale: se Dio apre la tua bocca, ma se invece è altro ad aprire la tua bocca, dici delle  grandi sciocchezze.

Amalia: Tutto ciò che diciamo non motivato da Dio è una sciocchezza.

Luigi: Sì, per forza perché “senza di me potete far niente” e quindi noi facciamo niente e arriviamo a toccare con mano che è niente. Quanti discorsi cadono nel niente! Guarda soltanto la storia, il tempo! Tutti i valori che esso annulla! È un mare, un abisso in cui sprofondano tutto e tutti: uomini che credevano di essere grandi chissà che cosa… niente, niente, niente! Non rimane niente di essi! Creature invece piccolissime, prendiamo un Francesco, un Cottolengo, un don Orione, creature minime, venute dalla povera gente: unite a Dio, hanno fatto cose stupende! E il tempo dà loro ragione! Il tempo dà ragione, perché il tempo lavora per l’eterno! Creature umilissime… la Vergine Maria, una ragazzina di quindici anni sperduta nell’angolo più lontano dell’Impero Romano, da Roma: ad un certo momento dice: “Tutte le genti mi diranno beata”. Chi l’avesse sentita avrebbe esclamato: “costei vaneggia!”. Eppure il tempo ha dato ragione a Lei. I grandi imperatori o imperatrici invece, tutti quelli che si credevano o che si credono di essere chissà che cosa, stanno sprofondando nel nulla: niente! Ecco, guarda, resta niente! Chi è allora che opera nel mondo? È Dio! Guarda i valori come vengono fuori! Uomini che fanno grandi discorsi, grandi paroloni. Lasciate passare un pochino di tempo e vedrete dove vanno a finire! Niente! Dicevano niente! Avete mai provato a prendere dei giornali vecchi? Prendete un giornale di 20, 30, 50 anni fa: ti accorgi che dicevano niente, niente, niente, ecco! E ti accorgi subito dov’è l’essenziale, e allora per questo evitiamo ciò che non parte da Dio. Son tutte lezioni di Dio. Evita di parlare quando non è Dio che ti motiva, perché diresti soltanto sciocchezze, cose vane, cose vuote, che non servono a niente: tutto è vanità! Il Signore dice: “Sia il vostro parlare sì, sì, no, no, il di più viene dal maligno”: dal maligno! Il maligno è niente, fa niente; quindi: sia il vostro parlare sì sì no no”: ecco avere quella nettezza: rispondere: sì, sì, no, no a Dio, perché è Dio che interroga o fa proposte. Il sì, il no a chi lo debbo dire? A Dio! Quindi rispondi sempre a Dio: sì o no a seconda di quello che Egli ti propone. Allora abbiamo la vita con Dio, allora le parole sono valide, perché non è più la creatura che fa, ma è Dio che fa. Allora è Dio che parla, è Dio che ci fa guardare, è Dio che ci fa colloquiare.

Pinuccia: “Voi in me ed io in voi”: è la stessa cosa ripetuta in forma diversa?

Luigi: Dio non ripete mai cose uguali, quindi c’è sempre una diversità. Qui abbiamo in sintesi la preghiera “Ut unum sint”, l’ultima preghiera di Gesù, la preghiera sacerdotale: “Affinché siano tutti una cosa sola come Tu ed io siamo uno”. Quell’unione che c’è tra Padre e Figlio, Lui prega il Padre affinché tra tutte le creature e Lui ci sia quest’unione. È una unione simile a, uguale a quella che c’è tra Padre e Figlio, quindi è la comunione che è determinata dallo Spirito Santo, legame di unità determinato dal rapporto Padre-Figlio.

Pinuccia: Infatti Lui dice prima: “Io sono nel Padre mio”.

Luigi: Certo.

Pinuccia: Così allo stesso modo voi in me ed io in voi.

Luigi: Certo.

Pinuccia: Questa parola va approfondita.

Luigi: E allora cosa fare? Sprofondarsi in silenzio e star lì in raccoglimento col Signore; quando il Signore vorrà e solo quando vorrà Lui ce la farà capire.

Pinuccia: Però nel silenzio devo tener presente queste parole.

Luigi: Certo, perché sono parole sue. Però non devi pretendere, ma invocare la Luce: “Signore…” perché la Luce viene da Dio. E se il Signore ci aiuta con altre parole, facciamo questo approfondimento avvalendoci anche di esse, perché le parole del Signore vanno commentate con le parole del Signore. Tutto però va raccolto sempre alla Presenza dello Spirito di Dio, sempre con Dio; questo è il lavoro essenziale, perché non basta sentire in gruppo. Il gruppo può stimolare, può presentare, poi ognuno personalmente se ama Dio deve raccogliersi in Dio e vedere in Dio quello che magari nel gruppo è stato presentato; ma nel silenzio perché è quella la vera preghiera. La luce, l’approfondimento viene tutto da Dio.

Pensieri conclusivi:

Silvana: Tutto è proposta di Dio e quindi sono chiamata a rispondere in tutto a Dio.

Ida: Chiedo al Signore di essere disponibile a Lui tutto il giorno.

Luigi: Si rende conto di quello che dici? Sei consapevole?

Tiziana: L’importanza d’interiorizzare ciò che mi succede durante la giornata, per cercare il Pensiero di Dio in tutto.

Margherita: Mettere Dio sempre al primo posto.

Amalia: Vivere in atteggiamento di risposta e questo implica l’ascolto

Nino: A questa parola di Gesù rispondo: “amen”

Cina: La fede è un grande dono, è un ricevere vita.

Luigi: La fede ci fa ricevere vita da ciò che Dio dice.

Eligio: E come dice Policarpo, è liberatorio il pensiero del comportamento di Cristo esteriore ed è di grande aiuto. Come sarà allora la sua vita nella visione del Padre. Non devo sciupare i mezzi, i doni, che mi dà ogni giorno per condurmi lì.

Pinuccia: Metter il silenzio prima di tutto per poter vivere in ascolto, in continua risposta a Dio.

Luigi: Qui fa una promessa. La promessa della conoscenza di una Verità. Noi attualmente conosciamo secondo i nostri sensi, gli occhi; e secondo i nostri sensi non possiamo vedere la Verità. Qui il Cristo sta promettendo la conoscenza della Verità. Già prima aveva detto: “Conoscerete la Verità”. Ecco, Cristo viene tra noi e ci fa una promessa. Cioè la Verità non è inconoscibile. Noi non possiamo dire: “la conoscenza di Dio è impossibile all’uomo”; è possibile a certe condizioni. Ecco, Cristo viene a noi e promette a noi la possibilità se naturalmente ascoltiamo Lui, seguiamo Lui, di arrivare a conoscere e quindi ad esperimentare la Verità di Dio. Non solo, ma esperimentando la Verità di Dio, constatiamo che Lui è vero Figlio di Dio (“Io sono nel Padre mio”). Quindi non è che noi possiamo attualmente conoscere Lui come Figlio di Dio: noi Lui Lo conosciamo come uomo, uno tra noi che parla in un certo modo. La conoscenza di Lui come Figlio di Dio l’avremo quel giorno. “In quel giorno conoscerete che Io sono nel Padre”. Quel fatto di dire: “Io sono nel Padre”, noi attualmente non lo possiamo capire. Infatti quando Lui dice: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, chi allora lo ascoltava diceva: “Facci vedere tuo Padre. Dov’è tuo Padre?”. Le nostre conoscenze sono secondo i nostri sensi, per cui quando qualcuno ci dice: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, non capiamo più niente, perché lui è uno e il Padre è un altro e non possiamo quindi capire come siano uno. Per questo Egli dice: “In quel giorno Lo conoscerete”, soltanto in quel giorno. Però Lui annuncia già adesso cose che noi esperimenteremo quel giorno, per cui quel giorno diremo: “Signore, Tu avevi ragione, hai detto la Verità”. Lui ci promette un giorno in cui noi stessi, non altri, constateremo. Quindi non crederemo più per sentito dire, non conosceremo più per sentito dire, ma per esperimentazione personale: constateremo noi stessi. Questa è la meta alla quale Cristo, venendo tra noi ci conduce. E bisogna avere la pazienza di seguirlo fino ad essa. Noi generalmente Lo ascoltiamo per cinque minuti e poi ce ne andiamo per i nostri fatti, e naturalmente non esperimentiamo proprio niente, perché per esperimentare bisogna avere la pazienza di arrivare in quel luogo, cioè arrivare a quella meta alla quale Lui ci conduce. Ogni conversazione, proprio in quanto conversazione, richiede un certo ascolto e una certa durata nell’ascolto. Non basta ascoltare cinque minuti. Bisogna ascoltare quel tanto che è necessario, fino ad arrivare al Pensiero di Colui che parla con noi.

Nino: Quel “Io in voi” ci diventa più chiaro se lo traduciamo quel “Io” come Pensiero del Padre. Noi dobbiamo arrivare ad essere Pensiero del Padre.

Luigi: Sì, però per noi adesso, quando diciamo “Pensiero” riteniamo il pensiero cosa nostra: noi non possiamo arrivare ad esperimentare come il Pensiero di Dio sia in noi. Ecco, noi lo vediamo come pensiero nostro. Ma Gesù dice: Allora toccherete con mano che il Pensiero di Dio…”

Nino: Una certa esperienza parziale possiamo già averla per strada, tutte le volte che noi ascoltiamo nel Pensiero di Dio il Maestro interiore, noi abbiamo un’esperienza della Verità del Pensiero di Dio in noi.

Luigi: Certo. Abbiamo un’ esperienza della Verità… Quanto più noi approfondiamo tanto più constatiamo. Se noi restiamo in superficie, non constatiamo niente, perché in superficie siamo superficiali e la Verità non è superficialità. La Verità si annuncia anche in superficie, ma la conoscenza della Verità non è in superficie, perché la Verità non è superficialità. La Verità la si trova soltanto conoscendola, ma è in profondità: richiede il superamento di tutto ciò che appare in noi, perché la Verità non è tra le cose che appaiono: la Verità è interiore, quindi richiede dedizione da parte nostra.

Nino: Queste parole possono essere accettate solo da chi si è lasciato istruire dal Maestro interiore e che ci istruisce quando abbiamo il pensiero rivolto a Dio.

Luigi: Certo.

Eligio: Mi è difficile intuire quel “Voi in me”.

Luigi: Debbo richiamarti a quella verità che non dobbiamo dimenticare mai: che quando noi pensiamo Dio, non siamo noi a pensare Dio, o per lo meno: noi pensiamo Dio col Pensiero di Dio. Noi pensiamo Dio col Pensiero di Dio, quando pensiamo a Dio! Guarda che questo è molto importante! Il che vuol dire che noi siamo nel Pensiero di Dio: quando pensiamo Dio, non siamo noi soli, ma siamo nel Pensiero di Dio! Noi siamo nel Pensiero di Dio!

Piero.: Tutto parte da Lui.

Luigi: Tutto parte da Lui, noi però possiamo non pensare Dio. Noi possiamo essere per difetto: fermarci alle creature: ci fermiamo a quello che “io tocco, io vedo, io sento”. Mi rapporto a quello che sono i miei sentimenti, a quello che è mio piacere, per cui: “perché fai questo?” perché mi piace. Ecco qui la motivazione al mio io: “Io faccio questo perché mi piace”. Perché fai quello?” “Perché così ci guadagno”, ma è sempre il mio io. Lì non sono nel Pensiero di Dio: lì sono nel pensiero del mio io, cioè sono motivato dal mio io. Ma quando penso Dio, lì non sono motivato più dall’io, ma sono nel Pensiero di Dio, cioè sono col Pensiero di Dio. Io penso Dio col Pensiero di Dio, non più nel pensiero del mio io.

Eligio: Quindi dobbiamo pensare il Pensiero di Dio come altro da noi, come altro dalla coscienza che abbiamo di noi stessi?

Luigi: Certo!

Eligio: Ma come possiamo avere la percezione di un qualcos’altro da noi facendo funzionare le nostre categorie mentali?

Luigi: Ecco, perché noi abbiamo bisogno di giungere al Padre, a Colui dal quale viene tutto a noi! Noi non ci siamo fatti da soli; tutte le creature non si sono fatte da sole. Siamo sempre lì con l’esempio del filo d’erba: il filo d’erba non si fa da solo, non siamo noi che facciamo il filo d’erba, perché noi non ne siamo capaci, quindi c’è un Altro che fa. Non soltanto, ma quell’Altro che fa, presenta a noi tutte le cose come fatte, e non fatte da sé, ma fatte da Lui. Allora, questo annuncio: “C’è un altro che opera, non sei tu che fai, non sono le cose si fanno… c’è un Altro che le fa…” questo annuncio: “C’è un Altro che fa tutte le cose e c’è un Altro che te le presenta”, ci richiama all’interesse per Dio, a conoscere Dio, a cercare Dio. Ed è proprio dalla ricerca di Dio e dalla conoscenza di Dio che noi scopriamo in noi questa sua Presenza e non lo facciamo invece come coscienza del nostro io.

Eligio: Ma dalla conoscenza di Dio a processo concluso, a Pentecoste.

Luigi: Sì, a processo concluso; cioè, a processo concluso, noi scopriamo che il Pensiero di Dio in noi non è Pensiero nostro, ma è Pensiero di Dio.

Pinuccia: Adesso però lo dobbiamo credere per fede perché siamo creature.

Luigi: In quanto creature, tutte le cose sono date a noi, quindi anche il Pensiero di Dio è dato a noi; quindi certamente noi non possiamo dire: “è mio”. Tant’è vero che quando tu magari vuoi conoscere Dio, tu non puoi conoscere Dio: “Molti mi cercarono, ma non mi trovarono”, perché questo? Perché non è la creatura che possa conoscere Dio quando decide lei: “Adesso io voglio conoscere Dio: mi metto lì e conosco Dio”; no, stai fresco! Tu conoscerai Dio quando Dio si farà conoscere da te. Per noi è già molto difficile conoscere una scienza, conoscere certe nozioni, e allora andiamo da maestri, da professori e, frequentando lungamente una certa scuola, arriviamo a conoscere qualcosa. Tanto più Dio che è Verità, profondità infinita, richiede da noi una scuola, una dedizione, una frequenza, una permanenza.

Eligio: E’ vero, impieghiamo un’infinità di ore, di tempo nelle scuole umane, per apprendere qualcosa di relativo e dopo tanti sforzi.

Luigi: Ora tutte queste cose sono segni. Tu per capire qualcosa, devi metterti alla scuola di qualcuno. Quanto più per conoscere Dio, devi metterti alla scuola di Dio. E’ a questa scuola che noi impariamo. È lì che scopriamo che i pensieri nostri non sono nostri, cioè noi siamo sempre solo per difetto; quindi soltanto quando non pensiamo a Dio, lì c’è il nostro io; ma quando pensiamo a Dio, lì c’è il Pensiero di Dio e non è il nostro io. Quindi tutte le volte che noi pensiamo Dio, lo pensiamo col Pensiero di Dio.

Eligio: Gesù dice: “Voi in me ed io in voi”: dovrebbe esserci una differenza tra le due espressioni, perché in Dio non c’è ripetizione.

Luigi: No, non c’è ripetizione. Comunque il fatto è questo: noi prima di tutto dobbiamo scoprire che quando pensiamo Dio, Lo pensiamo col Pensiero di Dio. Quando un giorno arriveremo a scoprire che questo Pensiero di Dio è il Verbo stesso di Dio, in quel giorno constateremo che noi siamo nel Pensiero di Dio se nasciamo da Dio, se siamo nati da Dio. Nati da Dio siamo nel Pensiero di Dio, perché noi possiamo non essere nel Pensiero di Dio. Ho detto: tutte le volte che noi agiamo nel pensiero del nostro io non siamo nel Pensiero di Dio. Cioè, il Pensiero di Dio è in noi e noi siamo nel Pensiero di Dio quando in noi è motivante. Infatti noi diciamo molte volte: “Noi siamo figli di-”. Il più delle volte noi siamo figli dei nostri interessi, figli della nostra figura, figli delle creature: noi siamo figli di ciò per cui viviamo. Tu per che cosa vivi? “Vivo per la figura del mondo, davanti al mondo”. Tu sei figlio del mondo. Figlio, perché la nostra paternità, in senso spirituale, è ciò che motiva la nostra vita. Da che cosa sei motivato? Nella vita pratica, che cos’è che ti muove? Che ti fa agire? Quello è tuo padre! E quella è la vera nascita spirituale. Fintanto che noi non potremo dire: “Chi mi fa muovere, chi mi fa agire, chi mi fa pensare, chi mi fa parlare è Dio”, fintanto che noi non siamo motivati da Dio, noi non siamo figli di Dio, noi siamo figli di altro, perché motivati da altro. Però pur essendo figli di altri o di altro, noi siamo chiamati a diventare figli di Dio. Ecco il motivo per cui Dio è con noi anche quando noi non siamo con Lui: Dio è sempre con noi, anche quando noi siamo delinquenti, anche quando noi siamo egoisti, orgogliosi, ecc. Dio è sempre con noi, perché guai se Lui non fosse con noi. Lui è con noi ed essendo con noi fa sentire il suo richiamo. Quindi anche nei nostri pensieri sbagliati, anche nei nostri interessi, nei nostri egoismi, Lui fa sentire la sua voce e ci dice: “Guarda che sei un egoista, guarda che vivi solo per te, guarda che pensi sempre in tutto a te, ecc.” per cui noi ci accorgiamo di essere così. Anche se non riusciamo a confessare apertamente: “Io vivo solo per me”, ci accorgiamo che c’è qualcosa di sfasato, che non siamo nella Verità. E quando qualcuno dice: “Io sono tutto, io mi son fatto da solo, io qui… io là… ecc.”, noi ci mettiamo a ridere, perché vediamo subito la relatività della creatura: è un pallone gonfiato che crede di essere qualcosa, ma basta uno spillo e questo pallone si sgonfia e resta niente. Ecco in tutto noi abbiamo questa percezione. Ma allora come mai noi conosciamo questa relatività? Noi non conosceremmo questa relatività e noi non sorrideremmo quando vediamo un pallone gonfiato, se non avessimo presente Dio, se non avessimo presente l’Assoluto. Quando noi abbiamo presente l’Assoluto, e l’Assoluto è presente a noi anche senza di noi, vedendo una creatura che ci dice: “Io sono tutto”, è logico che ci mettiamo a ridere, perché diciamo: “Il tutto è Dio: questo qui domani mattina magari non sarà più… e dov’è il suo tutto?”. Questo per dire che in noi c’è sempre la presenza dell’Assoluto, c’è sempre la presenza di Dio. E questa presenza di Dio discute con noi, tant’è vero che quando noi diciamo: “Io sono tutto ecco che immediatamente la voce dentro, il Verbo interiore ci dice: “Tu sei niente”. Quando noi ci vantiamo, noi non possiamo dimenticare o soffocare quella voce, perché quella parla anche contro di noi e ci dice: “Pensa un poco: ieri, che figura facevi là, ecc. e tu adesso credi di essere tutto? Guardati un po’…”. Ecco, vedi, c’è sempre questo richiamo: è la voce di Dio che parla a noi, per ricondurci nella nostra dimensione. Noi siamo sempre delle creature che escono dalla loro dimensione: usciamo dalla nostra dimensione perché dimentichiamo Dio; tutte le volte che noi dimentichiamo Dio, noi siamo creature che sono fuori dimensione, gonfiate: ci mettiamo al posto di Dio. La Parola di Dio ci riconduce alla nostra dimensione. Soltanto nella nostra dimensione, noi incominciamo a camminare verso Dio; incominciamo cioè a proclamare la nostra povertà: “Io sono niente e io sono una povera creatura, Signore aiutami, dammi una mano, fammi capire, fammi vedere, io sono immerso nella notte, nelle tenebre, ecc. ho bisogno dell’alba…”. Ecco, tutto questo ti mette in cammino verso il bisogno di un Salvatore, di un Messia, il bisogno di Uno che ti aiuti ad illuminare le tue tenebre. Ora l’importante è restare nella nostra dimensione, in questa dimensione di creature. Quando si è creature, è facile riconoscere che tutto viene da un Altro, che tutto noi riceviamo e soprattutto il pensiero, la possibilità di pensare Dio. La possibilità di pensare Dio, è un tesoro immenso che abbiamo nelle nostre mani, tu creatura puoi pensare Dio! Un infinito! Tu che sei finito! Puoi pensare l’Infinito! E’ un tesoro immenso! Noi ce ne rendessimo conto, 24 ore su 24 non smetteremmo di pensare a questo! È la cosa più preziosa che ho nelle mani; poter pensare Dio! Mi posso fermare a pensare Dio! A guardare Dio, a dialogare con Dio, ad ascoltare Dio! Quando io ascolto un essere sapiente, io ricevo da lui della luce! E se ho la possibilità di pensare a Dio, più mi fermo a pensare Dio, più ricevo da Dio; ricevo luce, ricevo vita, ricevo pace, ricevo tutto e naturalmente. più invece mi allontano da Dio, e più entro nella notte, nella confusione, nell’angoscia, nell’incertezza, nella tristezza, cioè è privazione di vita, perché la vita è Dio. Lontani da Dio noi esperimentiamo la non vita. È lì che arriviamo a capire che il Pensiero di Dio in noi non è nostro, ma ci è dato; quindi quando noi non lo pensiamo, Lui discute con noi, anche contro di noi; discute con noi! Quando siamo con Lui, allora esperimentiamo anche i doni suoi; ma Lui è sempre con noi!

Eligio: Quindi Gesù dice: “Voi in me ed io in voi” come rafforzativo l’uno dell’altro, per insegnare alla creatura a non presumere di poter giungere al Pensiero di Dio con il pensiero dell’io, ma con il Pensiero di Dio che ci è dato, formato in noi da Cristo.

Luigi: Certo.

Pinuccia: Attualmente Lui può dirci: “Io sono in voi” ma non può ancora dirci “voi in me”, perché Lui è in noi comunque, anche se non ci pensiamo, ma non è detto che noi siamo in Lui. Invece in quel giorno a Pentecoste potrà dirci l’una e l’altra cosa e noi le potremo constatare, perché effettivamente saremo in Lui.

Luigi: Certo. Attualmente noi non siamo in Lui. Lui è in noi anche senza di noi. Lui è sempre con noi, anche senza di noi, noi non siamo con Lui.

BBBBB: E’ con noi anche quando pensiamo qualcosa di diverso da Lui?

Luigi: Certo. Lui è sempre con noi.

BBBBB: anche quando pensiamo male?

Luigi: Certo, perché quando tu pensi male, tu non sei mica solo a pensare il male. C’è Dio con te, non che pensa male, ma che ti rimprovera, perché ti dice: “Guarda che tu non dai a Dio quello che è di Dio”. Ad es. quando io dico: “Io sono Dio”: io a parole posso dire: “io sono Dio”, come posso dire a parole: “Dio non esiste”; ma dentro di me, c’è qualcuno che si mette a ridere. È Dio che si mette a ridere! Perché Dio dal suo cielo dice: “guarda questa creatura! Dice di essere Dio! E non è capace a fare un filo d’erba”.

BBBBB: Sì, se io dico queste cose sentirò il rimprovero, ma alla lunga finirò di non sentirlo più.

Luigi: Guarda; alla lunga, cosa succede? Che tu ad un certo momento sei steso su un letto in agonia, e con la tua morte non fai altro che proclamare: “io non sono Dio”. perché noi ci possiamo vantare e dire: “io sono tutto, io qui, io là”, ma ad un  certo momento denunciamo davanti a tutti il nostro niente. Ecco le lezioni di Dio! Perché Dio in un primo tempo le lezioni ce le dà con la voce interiore, con le parole, ad un certo momento queste diventano realtà. E già! Se tu credi di essere Dio, ad un certo momento Dio ti mette davanti ad una parete di fronte alla quale non puoi assolutamente fare un passo: batti la testa contro un muro, sei nella confusione. Prima però di condurti lì, Dio te lo dice a  parole, oppure tu lo senti ridere dentro di te per le sciocchezze che dici. Ecco l’importante è stare attenti alle sue Parole: se poi stiamo attenti alle sue parole, noi possiamo scampare cioè Lui ci evita le prove dolorose dell’sperimentazione che noi non siamo Dio; perché in fondo in fondo, nel nostro vivere noi ci crediamo sempre degli dei: sarà nel nostro piccolo mondo, sarà nella nostra casa, ma io nella mia casa sono tutto, mi credo un Dio. Ecco, Dio mi deve ricondurre, è logico, perché Lui opera in tutto per salvarci. Ora però la Salvezza ci viene da Lui; quindi bisogna riconoscerci creature: “Tu, Signore, sei il mio Signore! Io sono una povera creatura”.

BBBBB: E quand’è che noi ci accorgiamo che siamo arrivati alla Pentecoste?

Luigi: Guarda, il passaggio obbligato prima di tutto è questo: imparare a morire a noi stessi; cioè non si arriva a Pentecoste se non attraverso la morte di Cristo in Croce. La morte di Cristo in Croce è questo dimenticare noi: imparare a dimenticare noi e a partire da Dio, a interessarci di Dio, a fare di Dio la nostra vita. La morte di Cristo in Croce è un ammonimento per noi, perché, come Lui è morto, anche tu devi morire a te stesso; anziché vivere per te, devi imparare a vivere per Dio: devi mettere Dio al centro della tua vita e non più il tuo io.

Eligio: Non si tratta allora di un momento; può essere un anno, dieci anni… Noi forse siamo abituati a vedere la Pentecoste come un attimo, come fu per gli Apostoli.

Luigi: No, pensa a tutta la preparazione che si richiede per arrivare lì… Richiede magari tutta una vita. Comunque certo, la Pentecoste è un momento, un momento particolare che ci illumina: è un lampo! Gesù lo chiama: “quel giorno”. Però il passaggio obbligato è questo superamento dal pensiero di noi stessi. Fintanto che noi non superiamo il pensiero del nostro io, siamo chiusi completamente a questa strada di Pentecoste. Bisogna imparare a non più pensare a noi, a non più parlare di noi, a non più vivere per noi.

BBBBB: Tu pensi che ci sia qualcuno che sulla terra sia arrivato a questo?

Luigi: Sì, qualcuno è arrivato a Pentecoste

BBBBB: Forse solo qualche santo.

Luigi: E va bene, basta questo: basta che sia uno, non interessa. D’altronde c’è questo fatto: la Parola del Cristo ci promette questo! Lui ce lo promette! Non dico che sia facile,ma che è possibile, perché noi potremmo anche dire: “no, questo è impossibile”. No, tu sei chiamato a questo: “uomo sei stato creato per conoscere Dio! La tua vita sta lì! quindi non tradire il tuo destino!”. Perché noi tradiamo il nostro destino generalmente con un piatto di lenticchie: “a me sta bene il piatto di lenticchie e non mi interessa…”

BBBBB: Per un piatto di lenticchie che sono buone.

Luigi: Che sono buone, va bene; certo, sono buone; tutte le cose sono buone e proprio perché sono buone  ci possono tradire. Tutte le creature, anche le lenticchie sono creature di Dio, Dio le fa bene. Dio le fa bene, quindi sono buone, e sono belle: è lì che noi siamo traditi! Perché le cose sono belle e sono buone! Le cose, avendo il sigillo di Dio hanno il carattere della “realtà”: sono vere. Il fuoco ti brucia, quando nevica fa freddo, ecc. Sono una realtà in cui tu ti trovi in mezzo. Sono segni, ma hanno un carattere di realtà, hanno un carattere di bellezza, per cui ti attraggono; hanno carattere di bontà. E noi generalmente ci fermiamo a questo impressioni nel pensiero del nostro io, cioè non le riportiamo più a Dio. Ed è lì il nostro errore. Noi siamo degli ingiusti, perché ci appropriamo delle cose belle, buone, vere di Dio: che sono parole, che sono segni di Dio, attraverso cui Dio parla con noi. Tutta la creazione è un parlare di Dio con noi. Ma in quanto Lui parla con noi, parla per chiamarci a Sé, e noi invece ci fermiamo ai suoi doni, e in nome dei suoi doni noi dimentichiamo Lui. Ecco, ad un certo momento Lui ci toglie i doni, ci toglie tutto perché noi abbiamo fatto dei suoi doni un motivo di ingiustizia, un motivo di morte per noi, perché ci fermiamo a quello. Anche il nostro io è una cosa bella e buona, perché anche questa è creatura di Dio: il nostro io è una creatura di Dio! Però come tutti i doni di Dio, bisogna superarlo. Ed è per questo allora che la chiave di volta è proprio di imparare a superare il pensiero del nostro io, non fermarci ad esso. E tutte le volte che ti viene la tentazione di parlare di “te”, ecco, mettilo a tacere, non parlare di te. Cerca qualche cosa per parlare di Dio, per glorificare Dio! Riporta tutto a Dio, riferisci tutto a Lui, cerca il significato delle cose presso Dio! Non fermarti alle tue impressioni; non dire: faccio questo perché mi piace Ecco, noi ci fermiamo sempre al nostro io, e questo diventa un muro che ci impedisce di arrivare a Pentecoste. Invece sappi superare.

Amalia: In quel giorno quindi constateremo una Verità che oggi non possiamo ancora vedere.

Luigi: Constateremo. Ora, però chi fa constatare questo? Non siamo mica noi. Ecco, è il Padre, è Dio. E’ la conoscenza di Dio che ci fa constatare questo. Noi da soli constatiamo soltanto il nostro io: “sono io che penso, sono io che dico, sono io che faccio, sono gli altri che pensano, sono gli altri che dicono, sono gli altri che pensano”, ecco, noi da soli constatiamo il nostro io, non constatiamo Dio! Invece, arrivando a conoscere Dio, Dio ci fa constatare quel che è il nostro io! E dov’è il nostro io! Allora constateremo che il nostro io è in Dio! e che Dio è in noi.

Pinuccia. La nostra capacità di pensare è dono di Dio, viene da Dio; quindi quando pensiamo male non è un pensare; ma è solo un difetto del pensare.

Luigi: Certo. Il nostro non pensare Dio, cioè il pensare male è un difetto. Quel pensare male è un difetto! Cioè, la cosa, ogni cosa che arriva a noi, arriva a noi da Dio, ma come arriva a noi da Dio, deve essere riportata a Dio.

Pinuccia: Quello è pensare!

Luigi: Pensare vuol dire riferire a Dio, riportare a Dio, cioè riferire tutto alla sua Causa. La Causa di tutto è Dio. Lei dice: “Credo in Dio Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili”. Creatore! Creatore vuol dire Causa: Causa di tutto. È Lui che opera! Quindi un avvenimento, un fatto, non avviene da solo, non avviene per caso: nemmeno una foglia cade per caso, nemmeno un capello cade per caso: è tutto voluto da Dio! Questa è la Causa. Allora, essendo questa la Causa, noi tutte le cose che vediamo o che ascoltiamo dobbiamo riportarle alla Causa: è atto di giustizia! “Dare a Dio quel che è di Dio”. La giustizia sta nel dire : “Questo è dell’Altro, non è mio”, altrimenti io divento un ladro. Se io vedo una giacca, un pastrano e dico: “Questo è mio”, mi vien detto: “No, guarda che quello è di M. non è tuo”. Dicendo: “E’ mio”, faccio un’ingiustizia. E allora devo chiedermi: “Di chi è?” Tutti gli avvenimenti di chi sono? Tutti i fatti, tutte le creature di chi sono? Sono mie? Le posso usare come voglio? No, perché sono di Dio. E allora: dà a Dio quello che è di Dio! Riporta a Dio!

Pinuccia: E’ questa la capacità di pensare che ci viene da Dio.

Luigi: Ecco: questo riportare a Dio.

BBBBB: Ma allora anche il suo cappotto è di Dio.

Luigi: Sì, adesso ho fatto l’esempio, perché abbiamo delle relazioni tra di noi che sono segno… certo, questo è di Dio, è logico.

BBBBB: I comandamenti ci proibiscono di desiderare la roba degli altri; però io posso disediderare di avere una bella macchina? Non c’è nulla di male, no?

Luigi: Non so, perché ho detto che i nostri desideri devono essere motivati: da che cosa devono essere motivati? Tutto dipende da che cosa è motivato. Soltanto se noi riferiamo tutte le cose a Dio, allora i nostri pensieri, i nostri desideri vengono da Dio, ma tutte le cose le facciamo perché Dio ci suggerisce, Dio ci chiede questo. Allora la tua vita diventa espressione di Dio. Se invece tu sei ingiusto, cosa succede? Che non riporti la cosa a Dio, non la vedi: “Questo è di Dio, quindi se è di Dio lo devo usare secondo Dio”; questa cosa è di Dio. Ma se è dell’Altro allora chiedo: “Posso?” e la devo utilizzare secondo la mente dell’Altro, secondo l’intenzione dell’Altro; non la posso usare secondo quello che piace a me. Quindi devo sempre interrogare Dio: “Signore, questa cosa è tua”, “Signore, mi presenti questo, ma come mi devo comportare in questo?”, “Signore, mi hai mandato questa somma di denaro, ma come mi devo comportare secondo il tuo volere?”; “Signore, mi hai fatto guadagnare questo denaro, come mi devo comportare?”. Perché tu sei amministratore! Niente è tuo, niente! nemmeno il nostro pensiero è nostro! Allora: “Signore, mi hai dato la possibilità di pensare, di amare, di volere, di vivere; mi hai dato del tempo: ma è tuo, non è mio e allora come lo devo usare? Come devo usare il mio pensiero? Come devo usare il mio amore? Come devo usare il mio tempo? La mia vita? Come devo usarla?” Devo sempre interrogare Dio: questa è giustizia e questo è il vero pensare. Quando penso male, noi diciamo: “Penso male”, ma il pensare male vuol dire non guardare la Causa, non riferire più a Dio le cose; per cui le considero soltanto nel pensiero del mio io. Dico: “Se vendo vendo questo, ci guadagno, faccio un affare”, cioè riferisco tutto al mio io, non interrogo più Dio. Questo è un pensiero per difetto; sono in difetto, mi fermo a metà strada, non arrivo alla Causa. Qui Dio è presente nel mio difetto, perché mi fa capire che è un difetto. Comprendi? Per capire che una cosa è difettosa, devi avere presente la cosa vera, la cosa perfetta. Quando correggi un compito ad un allievo, hai presente la soluzione esatta del compito, e allora confronti con la soluzione esatta che hai in te e dici: “Questo è sbagliato”. Ecco, è sempre un rapporto. Però dico: se tu non avessi presente la soluzione esatta, non potresti scoprire l’errore. Quindi l’errore è il male. Noi lo chiamiamo male, ma è errore. L’altro giorno tu mi dicevi: “La macchina da scrivere mi dà del cretino, perché mi dice “errore”, “sbagliato”. Ora, Dio fa lo stesso; Dio presente in noi, vede che stiamo dando delle soluzioni sbagliate e ci dice: “Errore”. Lo dice sulle nostre soluzioni di errore, di incertezza, di tristezza, anche di angoscia: è quel “Errore”. E’ errore, è semaforo rosso, ti impedisce di andare avanti, sei bloccato.

BBB: Ma quando la macchina da scrivere dice: “Errore”, non è facile trovare il tasto giusto. Capisci di aver sbagliato, ma ci vuole del tempo per capire che cosa bisogna fare.

Luigi: Certo, bisogna fermarsi. Se tu trovi tutti semafori rossi sulla tua strada, non riesci più ad andare avanti; allora dici: “Signore, che cosa ho combinato che mi presenti tutti i semafori rossi?”. Ecco, vedi che è Dio che ti richiama? Dio è presente anche nei nostri sbagli, anche nei nostri errori: Dio è sempre presente con noi. Dio parla in tutto, anche quando lo bestemmiamo, anche quando diciamo: “Dio non esiste”, Dio è ancora presente. Dio è sempre presente, non ci lascia mai. Però il fatto di sapere che Lui è sempre presente, è una grande speranza in noi, perché se Lui è presente, è presente proprio per riportarci nella vita, per richiamarci, per portarci nella luce.

BBB: Anzi anche gli stessi errori che abbiamo fatto nella vita servono…

Luigi: Certo, certo. D’altronde se gli errori avvengono, avvengono perché noi abbiamo bisogno di imparare. Dio non è un’autorità che si impone dal di fuori. Noi facciamo gli autoritari e ci imponiamo dal di fuori. Dio non opera imponendo, perché se Dio volesse dei servi, non ha che da comandare e tutte le creature lo servirebbero; anche l’inferno lo serve. No, Dio non opera imponendosi, Dio opera convincendo. E allora aspetta. Aspetta che in noi si formi il terreno utile per convincersi della sua Verità. Cioè Dio vuole dei figli e i figli sono figli proprio in quanto sono convinti dell’amore del Padre. Sono amici del Padre, non subiscono l’autorità del Padre. Chi subisce l’autorità è servo, non è un figlio. Ora, Dio cerca dei figli; vuole dei figli, cioè vuole delle creature che siano convinte di Lui, che siano convinte della sua Verità, convinte di quello che devono volere; Dio forma le convinzioni. Ed è per questo che Dio non si impone. Potrebbe benissimo farlo: può mandare un terremoto ci mette tutti a terra; non ha nessuna difficoltà. Se Lui è paziente, è paziente appunto perché aspetta; fa silenzio, aspetta che in noi maturino le cose: “Forse matura; forse matura”. Magari noi vorremmo diversamente: “Questo sta sfruttando il terreno; togliamolo di mezzo”. “No, - ci dice - aspetta, forse matura; c’è un qualcosa che forse può portare frutto”. Ecco, fintanto che Dio ci mantiene in vita, è perché c’è questa pazienza, c’è questa speranza: forse matura, c’è qualcosa in noi che può ancora maturare. Però come dico, Lui è sempre presente a noi, perché è proprio la sua Presenza che ci mette in movimento verso le cose ancora non vediamo, che non capiamo, cioè verso la sua Verità. Ecco, l’importante è capire questo: che tutte le volte che non riferiamo a Lui, noi siamo in difetto, quindi il nostro pensare è difettoso e quindi nel pensiero difettoso, tutte le soluzioni sono sbagliate. Tutte le nostre soluzioni, quando non pensiamo a Dio, sono sempre sbagliate. Noi ci troviamo sempre di fronte a problemi, ma a questi problemi diamo delle risposte sbagliate, e naturalmente la matassa si aggroviglia e non ne usciamo più. Invece se noi facciamo la fatica, lo sforzo di interrogare Dio, di riportare le cose a Dio, e diciamo: “Questo lo vedo secondo le mie impressioni e mi piace, ma sentiamo un po’ Dio!”, allora cerco di raccogliere tutto in Dio: ecco l’importanza del pregare. Il vero pregare è proprio questo: raccoglierci nel silenzio per cercare di vedere le cose secondo Dio, non secondo quello che sembra a me o secondo quello che dicono gli altri. No, gli altri non sono la mia vita! Non è il giudizio degli altri che mi deve stare a cuore, non è quello che piace a me; io non sono la mia vita. E allora cerchiamo presso Dio! questo è l’importante! Soltanto vedendo le cose secondo Dio, imparo a risolvere bene i miei problemi secondo la Verità. Quindi il male, il pensare male è soltanto difetto. È non portare a compimento, è non riportare a Dio. Siccome in me ho la possibilità di riportare a Dio, se non riporto a Dio, penso male. E quello che noi diciamo “male” è questo difetto. Il male è soltanto difetto di Verità: è dono di Dio non portato a compimento, cioè fermato a metà strada.

Margherita: “In quel giorno voi conoscerete”, significa che solo con la Presenza dello Spirito si può conoscere?

Luigi: Si, solo in quel giorno; è chiaro. Qui è una promessa che Dio fa: promette un giorno.

Margherita: E’ la conseguenza di una nostra ricerca?

Luigi: E’ la conseguenza soprattutto di essere con Lui. Dell’essere con Lui! Qui Lui sta parlando a chi è stato con Lui. Non sta parlando alle masse. Alle masse, a tutti, Lui dice: “Non preoccupatevi del mangiare, del vestire..; non datevi da fare per le cose del mondo, non accumulate tesori in terra, ecc.”, questo lo dice a tutti. A tutti dice questo: “Non”, perché tutti vivono per accumulare tesori in terra, tutti vivono per mangiare e vestire, aver la casa, la famiglia, ecc. per cui il Signore dice a tutti: “Non preoccupatevi di questo: cerca prima di tutto il regno di Dio!”. Ecco l’orientamento: “Tu uomo sei stato creato per conoscere Dio: occupati di Dio!”. Cosa fai durante il giorno per conoscere ciò per cui sei stato destinato? Sei stato destinato per quel fine. E tu per che cosa vivi? Ecco, noi tradiamo la nostra vita; Dio, parlando a noi, ci riporta nel nostro destino: vivi per questo! Ci riporta sulla strada. Questo lo dice a tutti. Naturalmente questo non vuol dire che tutti lo ascoltino, perché le sue parole sono proposte. Coloro che aderiscono, allora incominciano a seguirlo e seguendolo, Lui fa queste promesse, arriva a queste promesse: promesse di conoscenza.

Marco: Appunto per questo non capisco quel “Voi in me”; che Lui dica: “Io sono nel Padre”. “Io in voi” è giusto. Invece “Voi in me” non è detto, perché saremo in Lui solo se accogliamo la sua proposta.

Luigi: Se non l’accogliamo, non arriviamo certamente a quel giorno. Soltanto accettando, arriveremo, ma in quanto accettiamo siamo già “in”. Perché noi entriamo nella misura in cui accettiamo, altrimenti restiamo fuori. Infatti il linguaggio di Giovanni parla di “in”; ma il linguaggio dei Sinottici (Matteo, Luca e Marco), parlano di “dentro” e “fuori”. Ecco: “A quelli che sono fuori tutto è detto in parabole, affinché capiscano di essere fuori”. Allora se uno dice: “Io non capisco niente” rivela di essere fuori. Soltanto chi è dentro capisce. È dentro la casa, è dentro il Tempio, che si vede: fuori no, fuori non si vede. Però Dio parla fuori in parabole, dice il Signore: “Affinché non capiscano”, cioè non capendo, si rendano conto di essere fuori. Come mai non capisco niente? Vedo tutto questo universo, vedo tutta la storia, vedo tutti gli uomini che corrono, che si danno da fare. Cos’è? Che significato ha tutto questo? Non si capisce niente? Tutto è un mistero! Cos’è tutto questo? Ecco, sei fuori! Sei fuori del regno di Dio! Ma dicendoti: “Sei fuori” ti invita ad entrare. Se vuoi vedere, se vuoi capire, entra! “Perché a chi è dentro, a voi, a coloro che sono dentro, è dato di capire i misteri del regno di Dio”. E’ dato vedere! Qui la distinzione è chiara. La visione è data a coloro che sono dentro. Ma chi sono coloro che sono dentro? Coloro che sono dentro sono coloro che hanno messo Dio al centro, che hanno lasciato tutto: “Noi abbiamo lasciato tutto per venire dietro di Te!. Ecco, è proprio colui che ha dimenticato tutto il resto. Ma perché? Perché si è innamorato del Signore! Avendo dimenticato tutto, è entrato. “In Lui vede!”. Ma fintanto che noi pensiamo a noi, siamo fuori! Essendo fuori, allora tutto è detto in parabole, affinché ci accorgiamo di essere fuori. Abbiamo detto che anche il Natale diventa una parabola, per cui tutti i nostri Natali soltanto un misto di auguri, di regali, ma tutto è parabola per dirci: “Guarda che non capisci niente del Natale; non è un Natale quello!”. Ed è tutta una parabola per dirci: “Guarda che sei fuori! Non hai scoperto, non scopri il Natale”. Il Natale è per coloro che sono dentro. Infatti per arrivare a vedere il Verbo di Dio fatto carne e sua Madre, bisogna fare dei chilometri. I pastori hanno dovuto lasciare il loro gregge, i Magi hanno dovuto fare tanta strada dietro a quella stella. Tutti quanti! Ecco, si richiede movimento e movimento vuol dire partire. Partire vuol dire lasciare. Ora, senza questo lasciare, non si entra! Si riceve l’annuncio: “Vi annuncio che…”, ma l’annuncio è fuori, io non lo vedo. Infatti i pastori debbono dire: “Andiamo a vedere il Verbo che ci è stato annunciato”. Eh già, ma per andare a vederlo, bisogna lasciare il gregge, bisogna lasciare tutto, far della strada e allora ad un certo momento arrivano ed entrano. Ora, entrare è questo “in”. Qui, Giovanni parla di “in”; gli altri parlano di “dentro” e “fuori”. Però non si arriva a questo “in” se non c’è stata questa dedizione. La dedizione è la premessa per poter entrare.

Ida: Per entrare, per essere “in”, bisogna lasciare; ma io sto sperimentando l’impotenza a lasciare qualcosa per trovare il tempo per pregare; però mi sono trovata anche bene a non farlo; ma ho un po’ paura, non proprio del castigo, ma della correzione.

Luigi: Ma come? Dobbiamo cercare il Signore per paura del castigo? Ah, no!

Ida: E poi mi sorgono molti problemi, forse per quel motivo. Comunque per esempio, in questa settimana non ho concluso proprio niente.

Luigi: E’ logico che non concludi niente! Se non mettiamo la preghiera prima di tutto, la ricerca di Dio prima di tutto, certamente non concludiamo niente. Bisogna ringraziare Dio che ci fa toccare con mano che tutta la settimana non abbiamo fatto niente. E’ grazia di Dio! Perché? Perché è lezione! Lui vuol dire che ci ama: “Vedi? Tu ti sei dimenticato di me e hai fatto niente”. “Signore, ho lavorato tutta la notte e ho pescato niente”. Ma è grazia di Dio! Ci fa capire che soltanto con Lui riusciamo a fare qualcosa di valido, altrimenti facciamo grandi buchi nell’acqua!

PRO: Se uno dà un vero volto alla preghiera, allora gli piace pregare.

Luigi: Bisogna imparare cos’è la preghiera.

PRO: E allora la preghiera la fai sempre: in macchina, per la strada, sul lavoro. Invece la preghiera “formula”, a me non diceva niente. Ma quando s’impara a pregare, tutto prende significato: il Padre nostro, la Messa, mentre prima no. E allora uno prega tutto il giorno e gli piace.

Luigi: Certo, perché uno ha capito il significato della preghiera.

PRO: E poi uno comincia a parlare di meno.

Luigi: Si, perché l’essenza della preghiera è l’ascolto.

PRO: Qui, in questi incontri ho trovato la chiave della vera preghiera: il pensiero. Stare col pensiero al Signore.

Luigi: Certo, stare col pensiero rivolto a Dio, perché l’essenza della preghiera è ascolto. Soprattutto, bisogna avere già dal mattino, l’animo occupato in qualcosa di Dio; attingere al Vangelo, ad un sua Parola, in modo da avere l’animo occupato, in modo da non essere disoccupati dentro. E’ molto importante non essere disoccupati!

Ida: Ma io cerco di occuparlo diversamente, questo è il problema.

Luigi: Lo so, ma quel diversamente, siccome non è una vera occupazione, ci lascia con niente. Bisogna convincersi di questo: che la vera preghiera è ascolto di Dio, quindi è pensare Dio! E pensare Dio ci impegna a vedere le cose secondo Dio. Non basta programmarci la nostra giornata: bisogna programmarla nello Spirito di Dio, secondo Dio; bisogna cioè vederla in Dio.

Paolo: Cioè non bisogna rassegnarci a vedere le cose umanamente perché non è la visione vera.

Luigi: Ah, no!

Ida: Quando c’è tanta aridità, per cui si dicono delle parole a cui in realtà uno non crede?

Luigi: Meglio non dirle.

Amalia: E’ anche vero che la preghiera non è sempre piacevole come sentimento.

Luigi: Prima di tutto la preghiera non è sentimento. La preghiera cala dall’alto, cioè cala dal pensiero. Se noi non mettiamo il pensiero prima di tutto, abbiamo un bel ripetere le parole!

PRO: Anche le cose materiali, le buone azioni sono conseguenza del nostro modo di pregare. Se dedico molto della mia giornata col pensiero al Signore, tutto di me diventa conseguenza di quello.

Luigi: Tutta la vita viene motivata da.

PRO: Non è che dobbiamo proporci noi le cose: stiamo più tempo possibile con Lui col pensiero, e tutto verrà di conseguenza, anche la povertà, la rinuncia delle cose, ma come conseguenza.

Luigi: Siccome Dio è sempre con noi, anche nel male è sempre con noi, questo suo essere sempre con noi, ci dà la possibilità di pensarlo ovunque siamo. Non è quindi che io per pensare Dio debba prima diventare quello o fare quello. No! Tu, ovunque tu sia, puoi essere in autostrada, puoi essere su una giostra, sul lavoro, a casa, ovunque tu sia puoi pensarlo, anche nel peccato. Anzi, il più delle volte, Dio parla con più efficacia quando noi siamo nel peccato che quando noi crediamo di essere buoni, di essere giusti; parla con più efficacia perché Dio viene per i peccatori, quindi parla con più efficacia quando siamo nel male.

BBB: Il peccato più grave è crederci santi.

Luigi: Si, è crederci giusti. Infatti quel Fariseo che dice: “Signore, ti ringrazio perché non sono come gli altri”, tornò a casa non giustificato.

PRO: Il primo passo obbligato quindi è stare molto con Lui col pensiero; ma credo che un secondo passo obbligato sia quello di essere poveri.

Luigi: Ma questo è già una conseguenza.

PRO: Ma è una conseguenza che viene, perché non c’è una via di mezzo.

Luigi: Certo, perché lo stesso Pensiero di Dio, ci fa toccare con mano la nostra povertà.

PRO: Ma ci chiede anche di essere poveri nel senso materiale, perché ne riceviamo una grande ricchezza interiore.

Luigi: Ma anche come creatura, perché noi siamo povere creature. Cosa ti credi di essere?

PRO: Abbiamo bisogna di tutto.

Luigi: Ma più pensi Dio, più ti accorgi di essere niente, noi siamo niente, noi siamo creature, quindi tutto è dono di Dio. Di che cosa ti vanti? Tutto hai ricevuto! Infatti se tu trovi una creatura che si vanta dici: “Guarda questo qui crede di essere chissà che cosa; io, io, io e invece”. Ora questo è il primo dono che ci viene dalla preghiera, cioè dal pensare a Dio. Quando uno pensa Dio, non può dire: “Ma io qui, ma io là”. Ecco, il primo regalo che noi otteniamo è proprio questa dimensione vera: “Dio è tutto, io sono niente”. Allora, in conseguenza di questo, tu cominci a parlare umilmente, non ti vanti mai, non ti puoi vantare. E ti sembra poco? Il primo dono è questa consapevolezza. Il secondo dono è quello del parlare umile. Ma quando tu parli umilmente, cominci a comprendere anche tutti gli altri. Il nostro parlare generalmente è una critica verso gli altri, di disprezzo agli altri e tutto perché noi ci crediamo qualcuno. Credendoci qualcuno, per raffronto, diciamo: “Guarda quel tale!” e disprezziamo, critichiamo e condanniamo. Ma quando tu invece scopri che sei niente, allora capisci anche tutta la debolezza degli altri e cominci a scusare, a comprendere, ad amare il prossimo, e questo è un altro dono della preghiera. Ma è tutta una conseguenza. Se invece mi dico: “Tu devi amare tuo fratello”, ma se non prego Dio, non penso Dio, tutto il mio amare i miei fratelli è tutta una recitazione, è una farsa. Quello non è amare!

PRO: Posso dare ai poveri anche centomila lire al giorno e non amare.

Luigi: Certo.

Nino: Non è che non proviamo nemmeno a recitarla quella carità.

Luigi: Ma il più delle volte è una recitazione. Il più delle volte si recita, perché si recita anche l’amore al prossimo, la dedizione agli altri. Se non c’è la vera preghiera, è recitazione. La nostra vita il più delle volte è tutta una recitazione, non è vivere! La vita non è recitazione. Siamo noi che la trasformiamo in recitazione.

BBB: Il farci un programma al mattino può essere una presunzione.

Nino: E’ una presunzione se non lo fai nel Pensiero di Dio.

Luigi: Bisogna imparare, in tutte le cose, sempre, a riferire le cose a Dio, ad accettare tutto da Dio, perché tutto è opera sua. Quindi accettare tutto da Dio: anche i nostri fallimenti. Anche se constato che tutta la mia settimana è stata niente, ho fatto niente, devo accettarla da Dio: è una lezione di Dio. Dico: è una lezione preziosa di Dio, se mi fa constatare che tutta la settimana ho fatto niente. Se invece constato che ho fatto niente, è una lezione preziosa di Dio. Anche questo è valido.

Marco: Se la preghiera è vera, si è anche meno pessimisti, perché si ha più fiducia nel Signore.

Luigi: Ma certo, perché nella preghiera scopriamo che Dio ci ama. Dio ci ama! Ci ha creati spontaneamente! Nessuno lo obbligò a crearci. Quindi la sua è una creazione spontanea: Lui ci ha voluti, di che cosa dobbiamo avere paura?! La paura mi viene quando non prego; la paura mi viene quando dimentico Dio; la paura nasce dal mio io staccato da Dio. Lì nasce la paura, perché comincio a sperimentare la morte. Ma l’esperienza della morte, della nostra povertà è una conseguenza del fatto che ci siamo staccati dalla vita. Ma se noi preghiamo, se noi ascoltiamo Dio, se noi pensiamo Dio, uno dei primi doni è proprio questa fiducia, questa gioia, questa pace interiore. Infatti il saluto del Cristo è sempre: “La pace sia con voi”. Ora, Lui viene a noi e viene con un augurio di pace, di fiducia e si scopre l’amicizia. Dio è il vero amico che è sempre con noi ed è sempre con noi anche quando lo bestemmiamo. Quindi io mi devo fidare tanto di Uno che è sempre con me, anche quando io lo prendo a calci. E quale amore è più grande di quello? E devo aver paura adesso? No, nemmeno per sogno! Ecco, ma questo viene proprio dal tener presente Lui. Lui viene proprio per allargare il nostro animo, per creare una fiducia immensa.

Appendice:

“Io sono nel Padre”: “essere in” vuol dire “abitare in”; “sempre” si è là dove si è con il pensiero: è il pensiero che forma unità di vita con la persona amata, perché noi viviamo dove è il nostro pensiero. Infatti si soffre quando la persona amata è lontana e muore; perché col pensiero è con essa, si vive in lei, con lei, però si subisce la situazione di lontananza, perché  non la si vede. Si subisce una privazione, perché uno “abita in”, ma è messo fuori casa, perché non può trovare più quella persona con cui vive. Questo ci fa pensare che nasciamo da ciò a cui pensiamo, e che nascendo da, mi fa “abitare in”: sono inserito lì. Se nasco da Dio, abito in Dio; ma se nasco da altro, abito in altro. Quindi è difficile per noi abitare in Dio, perché siamo figli di altro, perché pensiamo ad altro. Gesù è sempre nel Padre, perché in continuazione nasce dal Padre, sempre: “Oggi ti ho generato”: è un “oggi” in continuazione, perché Gesù fa sempre ciò che piace al Padre. Noi solo ogni tanto siamo in Dio, perché non si nasce da Dio senza di noi: la nascita da Dio è consapevole. Solo nascendo da Dio, impariamo a pensare tutto in Dio. E allora nascendo da Dio, si vive in Dio.

“Voi in me”: saremo stabilmente in Lui perché nascendo da Dio, si vive in Dio. Questa stabilità in Lui deriva da quanto uno ha raccolto in Dio. Ognuno avrà ciò che avrà voluto avere, ciò che avrà raccolto. È raccogliendo che si cammina interiormente. Si cammina rapportando tutto a Dio, realizzando cioè il passaggio dalla visione dell’io alla visione di Dio: per questo è una fatica il raccogliere e richiede il superamento di sé. È fatica superare le impressioni dell’io. Anche le stesse parole del Vangelo sono impressioni su di noi, fintanto che non le si vede in Dio. In Dio si illuminano, e illuminandoci ci conquistano: per questo la vera autorità sull’anima viene dalla luce, che libera.

“Io in voi”: lo constaterete, ne sarete consapevoli. Lui è sempre con noi anche senza di noi, ma non è questa la presenza che ci salva. Bisogna arrivare alla sua presenza in noi con noi: cioè alla consapevolezza di questa sua presenza. È quanto ci promette Gesù per quel giorno. Per sperimentare questa sua presenza in noi, bisogna aver la capacità di conoscerla se no questa sua presenza, può diventare un inferno, perché Lui è presente e non possiamo smentirlo, ma non Lo capiamo. Ciò che ci salva non è la sua presenza, ma la possibilità di conoscere questa sua Presenza. Devo quindi passare dall’essere Lui presente senza di me, all’essere Lui “presente con me”, consapevolmente: questo mi dà la possibilità di conoscere questa presenza di Dio, di sperimentarla e quindi di restare stabilmente in essa: infatti si può restare solo là dove si conosce.


“Chi accoglie i miei precetti (o meglio le mie parole) e li osserva quegli è che mi ama; e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio, ed io l’amerò e mi manifesterò a lui”.Gv 14 Vs 21


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3/ Gennaio /1981


Eligio: Cristo ci dà la possibilità di misurare l’amore che abbiamo verso di Lui dall’osservazione che facciamo dei suoi precetti, perché possiamo illuderci di amarlo e poi in pratica non abbiamo Dio per Padre, ma siamo motivati dall’io.

Luigi: Certo. Comunque, intanto precisiamo bene quel “Chi osserva i miei precetti”. Siccome  il precetto è parola sua, è proposta, si può ritradurre così: “Chi osserva quello che io gli propongo”. Ora Lui che cosa propone? Una delle lezioni principali, siamo sempre lì all’inizio, all’attacco, è questa: generalmente noi viviamo per e Lui ci propone di vivere per: “Tu uomo vivi per mangiare, per vestire, per la figura”. La parola di Dio giunge a noi e ci dice: “Non vivere per questo o per quell’altro, perché quello non ti dà vita. La vita non è questo. Ecco, cerca prima di tutto il Regno di Dio. Chi accoglie la mia proposta, quegli mi ama, cioè entra nell’amore. Ecco, chi accoglie. Non chi non accoglie resta fuori.

Nino: Prima entra nella conoscenza e la conoscenza si trasforma in amore.

Luigi: Certo, è logico, perché la conoscenza precede sempre. Ma tu capisci che in quanto la Parola di Dio parla a te e ti dice: “Non vivere per mangiare, per vestire, per guadagnare, per la figura, ma vivi per conoscere Dio”, ti propone una cosa; e in quanto te la propone già te la fa vedere. Cioè, tu rifiutando la proposta di Dio, rifiuti la conoscenza che Lui ti ha offerto, perché la Parola di Dio arriva a te con una certa garanzia. Perché in quanto ti propone una cosa, tu dentro la valuti. Arriva a te una parola. Ad esempio ti arriva la parola di uno che ti dice: “Senti, domani non andare a Cuneo, vieni con me a Torino”; è una proposta. La proposta ti è arrivata, adesso tu dentro la valuti: “Mi conviene andare qui o mi conviene andare là?”. Ora, quando la Parola di Dio arriva a me e mi dice: “Non vivere per mangiare, per vestire, non preoccuparti di questo, occupati invece di conoscere, di cercare Dio prima di tutto”, mi fa una proposta. Ora, quando questa propostra arriva a me, comincio a valutare e valutando cosa faccio? La peso: già, se io mi occupo di questo, non posso più occuparmi di quell’altro, ma per quale motivo devo occuparmi di Dio e non occuparmi di questo? Davanti al mondo, che figura ci faccio? Se a me sta più a cuore la figura davanti agli altri, quello che dicono gli altri, il mio prestigio, naturalmente non posso accettare quello che Lui mi propone. Io esamino la sua proposta con una certa luce. Ecco quella proposta che Lui mi fa, mi presenta l’argomento “Dio” e qui è una conoscenza. È una conoscenza che mi viene proposta. Quindi è in conseguenza di questa conoscenza che rispondo; per cui resto responsabile, perché preferendo altro, io rifiuto Dio. Rifiuto di interessarmi di Dio; quindi rifiuto Dio; rifiuto una conoscenza.

PRO: Non si può più dire: “Io non sapevo!”.

Luigi: Già.

Nino: Dentro di me l’ho valutata, l’ho ritenuta valida.

Luigi: Prima che valida, l’hai ritenuta giusta: dunque se Dio esiste, è giusto che io mi occupi più di Dio che di altro. Ecco perché se mi occupo più di altro che di Dio, faccio un’ingiustizia perché metto altro al posto di Dio. Qui il rapporto essenziale è un rapporto di giustizia: “Dai a Dio quello che è di Dio”.

Nino: Dio all’inizio cerca di recuperarci anche solo facendoci vedere i vantaggi umani della scelta di Lui.

Luigi: Si. Dio cerca tutti i modi per recuperarci.

Nino: Magari non hai ancora messo Dio al centro, però Lui ri aggancia con delle verità parziali.

Luigi: No, perché la verità parziale ha sempre come centro Dio, la giustizia verso Dio, messa prima di tutto; devi mettercela prima di tutto; ma la metterai soltanto come pensiero, non è detto che tu debba fare l’azione, no: Dio non ti chiede l’azione. Tu continua a pasticciare con le azioni che fai, però riconosci: riconosci che è giusto fare questo. Riconoscilo con la mente, poi dopo tu pasticcia tutto quello che vuoi; ubriacati tutti i giorni, però riconosci che la giustizia sta in questo. Dio prima di tutto richiede il pensiero; perché noi a volte facciamo delle azioni oneste, però con il pensiero non siamo giusti verso Dio. Dio ci dice: “No, fa delle azioni disoneste, tutto quello che vuoi, comincia però a pensare, a riconoscere che tu dovresti vivere così”.

Nino: Dicevo questo perché all’inizio personalmente sono stato attratto da quello che credevo fosse una filosofia che aiutava a vivere meglio. Dio non mi ha cacciato, anzi poco per volta mi ha condotto anche attraverso questa idea a scoprire Lui.

Luigi: Tu vedi che implicitamente, in quanto ti fermavi ad ascoltare certi argomenti (tu li chiami filosofia, ma puoi chiamarli come vuoi), sostanzialmente tu ti fermavi all’ascolto, quindi in preghiera, di queste cose. E naturalmente partecipavi soltanto col tuo pensiero e la tua vita pratica era magari tutt’altro, però il tuo pensiero già dava qualche cosa a Dio, e in quanto dava qualcosa a Dio, quel Dio ti gratificava, ti faceva riconoscere: “Vedi che è una cosa valida? Vedi che è una cosa vera? È nella misura in cui uno dà che riceve”. Noi non ci rendiamo conto, ma in quanto ci fermiamo ad ascoltare, noi amiamo. L’ho già detto molte volte che ascoltare è un atto di amore. Quindi quando uno si ferma ad ascoltare argomenti di Dio, questo è già amore per Dio; ha interesse per Dio. Ma chi vi fa venire qui ora o tante volte alla domenica, passare mezza giornata, se non aveste interesse per Dio? Ma va a giocare a football e se non hai questo interesse, va al cinema, va in montagna, va dove vuoi; ma chi ti fa fare quello? Se lo fai è perché hai una certa disponibilità ed amore per Dio e allora Dio ti ricompensa.

Nino: Fin dall’inizio trovavo però già una gratificazione immediata, pur ancora nella confusione di idee.

Luigi: Ogni piccolo passo che noi facciamo, immediatamente Dio lo ricompensa, proprio anche per confermarci che il cammino è buono, perché  come quando noi camminiamo male, Dio ci richiama attraverso i semafori rossi, quando facciamo un passo buono, troviamo il semaforo verde: “Oh, Signore, posso correre avanti!”. Ecco, il fatto che posso andare avanti, è già una gratificazione. Quindi come Dio ci sta dietro quando sbagliamo e ci richiama, così quando invece facciamo un passo buono, ci dice: “Bravo, hai fatto un passo buono”; è la gratificazione, c’è il conforto. Lui non è soltanto Uno che sta laggiù in fondo e che aspetta a vedere un po’ come noi ce la togliamo, Lui è Uno che ci accompagna in tutto, e quando sbagliamo strada, ci lancia una pietra per dirci: “Guarda che hai sbagliato strada, ritorna indietro”. Ma quando siamo sulla strada buona, Lui ci conforta e ci dice: “La strada è buona! Vai avanti, sta tranquillo, la strada è buona, continua così”, ad ogni passo.

Piero: All’inizio ciò che conta è proprio l’intensità di quei due o cinque minuti per restare con Lui.

Luigi: Certo, è la fedeltà nel poco.

Piero: Poi quei cinque minuti te li ritrovi lungo la giornata. È come un vulcano, allora ti viene da stare con Lui in macchina, sul lavoro, senza sforzo.

Luigi: L’importante è constatare questo: che più pensiamo a Dio, e più Dio ci aiuta. E invece più noi ci diamo da fare e più facciamo dei grandi buchi. E invece se pensiamo Dio… ; infatti il Signore dice: “Pensa a me ed io penso a te”; è logico, perché tutta la vita sta lì, nell’imparare a vivere pensando a Lui.

Eligio: Si, perché Gesù stesso dice che il centro, il primo di tutti i comandamenti (e noi dimentichiamo sempre il primo), è: “Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutto te stesso”. Ora, amare vuol dire cercare la Presenza, cioè vuol dire pensare. Chi veramente ama, pensa a, e desidera essere con. Ora, Egli dice: “Tutti i comandamenti sono una conseguenza di questo; ma se tu non metti questo, anche se non rubi, anche se non uccidi, anche se non desideri, tutto è una recitazione nella tua vita, perché ti manca l’anima. L’anima è: “Pensa Dio”. Quel tale che diceva: “Signore, io ti ringrazio perché pago le imposte, perché io sono giusto, perché faccio questo e quello”, non è stato giustificato, perché gli mancava il Pensiero di Dio, cioè praticamente non osservava il primo comandamento. Per cui anche tutto era un fallimento, quell’altro invece diceva: “Signore, abbi pietà di me, perché io sono un peccatore”, quegli era nel primo comandamento. Non osservava niente: era un peccatore. Peccatore, cioè vuol dire che praticamente non osservava tutti gli altri comandamenti, però lo riconosceva: “Signore, io sono una povera creatura, abbi pietà di me”. Questi era nel primo comandamento! Questi stava pensando a Dio, e questi è andato a casa giustificato, dice il Signore. È questa la meraviglia!

BBB: E col tempo riuscirà ad osservare anche gli altri comandamenti.

Luigi: Ma certo, è logico!

Margherita: “Chi accoglie i miei comandamenti”, questo accogliere indica consapevolezza, conoscenza di Dio, e quindi come conseguenza abbiamo che Lui è con noi.

Luigi: Certo, abbiamo l’amore! Perché l’amore è una conseguenza. L’amore diventa una conseguenza di questo, di questo mettere prima di tutto Lui. Mettendo prima di tutto Lui, entriamo nell’amore, e allora entrando nell’amore noi ci sentiamo amati, e quando uno si sente amato, diventa capace di amare, perché noi da soli non siamo capaci di amare. Noi siamo capaci di amare nella misura in cui riceviamo amore. Il giorno in cui noi siamo offesi nell’amore, diventiamo degli egoisti nel senso più assoluto. Per questo non bisogna condannare nessuno che sia egoista. Perché? Perché molto probabilmente non ha trovato amore, non è stato amato. Noi siamo capaci ad amare solo nella misura in cui riceviamo amore. Quindi non dobbiamo vantarci: “Io sono capace di amare”. No, tu sei nella gioia, sei capace di amare, perché hai ricevuto tanto amore. Scopri chi ti ha amato! Ora, noi più entriamo nell’amore di Dio, cioè scopriamo di essere amati da Dio, e più naturalmente l’anima comincia a cantare, e comincia a diventare generosa, perché riceve tanto. Chi ha guadagnato duecento milioni, gli è facile regalare, dare via qualcosa. Perché ha ricevuto tanto. Ora, più noi stiamo con Dio, più riceviamo tanto e più riceviamo tanto e più diventiamo capaci di amare. Ma la capacità di amare è  una conseguenza! Noi siamo creature! Noi purtroppo ci possiamo sottrarre all’amore, e allora perdiamo questa capacità ecco, non ci sentiamo più amati e non sentendoci più amati, allora diventiamo solo più un: “Io qui, io là, io là”, cioè incapaci di amare.

Margherita: Ad esempio se non so amare una persona, significa che questa persona non mi ama abbastanza?

Luigi: No!

Margherita: Ma tradotto a livello umano, è difficile allora.

Luigi: Lo so, ma noi non possiamo misurare a livello umano, perché a livello umano sono soltanto dei segni. Sono dei segni. È logico, più sono amato e più sono capace di amare; però posso anche tradire. Anche Dio per primo ci ama, però non è detto che noi amiamo perché Lui ci ama, perché noi possiamo sottrarci a questo amore. Se noi mettiamo Lui prima di tutto, cioè se noi siamo giusti verso di Lui, cominciamo a scoprire l’amore, a scoprire di essere amati. Non basta che l’altro mi ami. Sia ben chiaro: non basta che l’altra persona mi ami perché io sia capace di amare, perché se io magari desidero altro e quell’altro che mi ama non me lo dà, io non mi sento amato. Ecco, bisogna che io mi senta amato. Quindi non basta che Dio ci ami, bisogna che noi proviamo questo amore, che noi sentiamo questo amore. Soltanto quando noi sentiamo questo amore, allora diventiamo capaci di amare. Prima noi. magari gli diciamo: “Signore, fammi guadagnare tanti milioni”. Tu non mi fai guadagnare i milioni, io mi sento solo, non mi sento amato, non mi sento compreso. Non sentendomi, allora divento triste, divento feroce, violento, ma perché? Unicamente perché ho delle pretese sbagliate, e Dio non soddisfa le mie pretese sbagliate. Comincia ad essere giusto. Ecco, metti Dio al suo posto, sii giusto verso Dio; scoprirai allora che Dio ti ama; ti sentirai amato.

Amalia: Il fatto di sentirsi amato è una conseguenza dell’osservare i precetti.

Luigi: E’ una conseguenza, certamente.

BBB: Così, per far bene la scuola bisogna amare di più gli alunni antipatici e ritardati. Ed è difficile.

Luigi: Bisogna sovrabbondare in amore. Certo, è difficile, perché generalmente tu sei più portato ad amare il simpatico. Ma bisogna anche dire che per amare tu devi avere già al mattino l’animo carico di amore. Ma se tu al mattino ti svegli col piede sinistro, ha bel sentirsi la regola: “Io debbo amare il più ignorante, il più antipatico” non ce la fai. E’ duro. Ora dico che noi il vero amore lo otteniamo da Dio. Quindi più noi siamo in sintonia con Dio più diventiamo capaci di amare. Altrimenti noi amiamo soltanto in quanto siamo riamati, nella misura in cui siamo riamati, e naturalmente la persona bella, la persona simpatica, perché non siamo capaci di donare amore: e quello è soltanto amore possessivo. Per poter donare amore, noi dobbiamo ricevere amore di Dio. Dio per primo è la Sorgente di questo amore. Restando in sintonia con Dio ricevi e allora diventi capace di donare.

Silvana: “Sarà amato dal Padre”: non è che il Padre ci ami prima, ma ne prenderemo consapevolezza.

Luigi: Si, è consapevolezza: noi constatiamo. Qui ci fa un po’ la trafila per arrivare alla consapevolezza dell’amore, cioè alla consapevolezza dello scoprirci amati da Dio. Noi diciamo molte volte: “Dio ci ama”. Ma non basta che uno dice delle parole, perché le parole si sentono dire: “Già, lui mi dice che Dio mi ama, però io mi sento solo. E quando desidero una cosa ricevo una scopa. Altrochè Dio mi ama!”. Quindi non basta: bisogna arrivare alla consapevolezza. Qui Lui ci traccia la strada per farci arrivare alla consapevolezza, a constatare che veramente Dio mi ama. Ci dice: “Vuoi constatare, vuoi sperimentare che veramente Dio ti ama?” Guarda, ascolta quello che devi fare: metti Dio prima di tutto; ecco, comincia a pensare a Dio, ovunque tu sia, comunque tu sia; anche se fossi un ubriacone: fa quello che vuoi, ma comincia a pensare Dio. Più pensi a Dio e più scoprirai che sei amato da Dio. Ma bisogna mettere Dio per primo, come pensiero.

PRO: La serenità uno ce l’ha solo quando metto il pensiero di Dio prima di tutto. Nessuno può dire che non è vero: lo possiamo sperimentare tutti.

Luigi: Diciamo così: la serenità è già un effetto della sintonia con Dio. Se io entro in sintonia con Dio, allora… L’apparecchio radio per cogliere la stazione deve mettersi in sintonia con quella stazione. Allora diciamo così: noi siamo tristi, siamo turbati e inquieti, perché non siamo entrati in sintonia. Dunque la stazione trasmittente trasmette, Dio trasmette, il nostro apparecchio non riceve. Allora sentiamo i rumori ma non percepiamo l’amore. Se ci mettiamo in sintonia con Dio, dalla sintonia (la sintonia è armonia), ecco abbiamo già serenità che è armonia. La serenità è conseguenza della pace. Questo è effetto di sintonia.

PRO: D’altronde quando noi guadagnassimo cinque milioni, proveremmo cinque milioni di gioia, e poi passerebbe, lasciandoci vuoti, e quindi peggio di prima. Invece basta dedicare cinque minuti col pensiero a Dio e ricevi tanta pace; sei tranquillo. E questo è vero.

Luigi: Ogni persona lo sperimenta.

PRO: Così quando si dona ai poveri: si riceve molto di più di quello che si dona. Bisogna solo provare.

Luigi: Certo, ciò che si dà è niente rispetto a ciò che si riceve. La vita comincia in noi nella misura in cui noi doniamo. Non in quanto riceviamo, ma in quanto doniamo.

PRO: E anche questo è una coseguenza.

Luigi: Si capisce.

Pinuccia: Questa esperienza dell’amore di Dio, è a livello di convinzione.

Luigi: E’ a livello di consapevolezza.

Pinuccia: E questa consapevolezza può anche essere priva del sentimento?

Luigi: Può anche essere priva, ma non importa. La consapevolezza è gioia.

Pinuccia: Quindi è anche sentimento.

Luigi: Ma non sentimento come intendiamo noi: è consapevolezza! Consapevolezza è spirito e nello spirito c’è gioia. Lo Spirito dà gioia. La vera gioia è nello Spirito, non è sentimento.

Pinuccia: “Io l’amerò e mi manifesterò a lui”: cioè, come conseguenza, noi sperimenteremo l’amore e la rivelazione di Cristo.

Luigi: Certamente. Ma questo andrà ancora approfondito.

Pensieri conclusivi:

Silvana: Il fine della vita è conoscere Dio.

Margherita: Impegnarci a vedere tutte le cose presso Dio.

Ida: Ringraziare il Signore quando ci fa capire che siamo niente.

Luigi: O che passiamo tutta la settimana a fare niente. si, ma bisogna proprio convincerci che anche questo è dono di Dio, convincerci che è dono di Dio. E’ dono l’accorgerci che tutta la settimana l’abbiamo sprecata a far niente.

Paolo: Accorgermi che tutto ciò che mi succede attorno è Dio che mi parla e che mi invita a rivolgere il mio sguardo a Lui.

Nino: L’amore di Dio è così grande che si è accontentato per tanti anni che io andassi a Messa più per far piacere a mia madre morta che al pensiero che Lui esistesse realmente.

Luigi: Dio si accontenta anche di quello, per svegliarci, e farci arrivare a metterlo prima di tutto.

Eligio: Chiedo la grazia di vivere lo spirito dei suoi comandamenti, per non illudermi.

BBB: Se riconosciamo che abbiamo passato la giornata senza far niente e che abbiamo sbagliato questo è preghiera.

Luigi: Certo, quello è preghiera: il riconoscerlo è preghiera.

Amalia: La sperimentazione dell’amore di Dio e quindi della nostra capacità di amore è una conseguenza del mettere Dio prima di tutto.

Luigi: E’ logico, e quindi dell’ascolto della sua Parola.

Salvina: Devo ascoltare.

PRO: Il Signore mi ha fatto capire il vero modo di pregare; ora sta a me coltivare questo dono.

Luigi: Bisogna restare, restare.

Pinuccia: Essere fedele ai tempi dell’ascolto per arrivare a mettere sempre Dio prima di tutto e così arrivare a percepire il suo Amore, cioè alla consapevolezza di essere amata e avere così la possibilità di amare.

Luigi: Sostituiamo il termine “precetti” con “parole”, cioè “chi accoglie le mie parole”. Anche perché Lui lo preciserà dopo quando dice: “Se qualcuno mi ama osserverà le mie parole. “Parole” per noi è un termine più chiaro, perché i “precetti” noi li confondiamo con “comandi”, comandamenti. Poi anche perché dice: “I veri miei discepoli sono coloro che restano nelle mie parole”. Qui si rivela che la parola è un mezzo di comunicazione, un ponte attraverso cui noi passiamo da certe conoscenze, ad altre conoscenze, se noi ci fermiamo su quella parola. Quindi la parola, in quanto arriva a noi, annuncia qualcosa che ancora non capiamo, però se l’accogliamo, per mezzo di essa abbiamo la possibilità di arrivare a capire quello che ancora non capiamo. La Parola è un annuncio. Se noi la seguiamo arriviamo a vedere ciò che ci annuncia. La parola è un segnale stradale. Il segnale stradale, quello che troviamo sulla nostra strada, è una segnalazione: possiamo osservarla o possiamo non osservarla. Se non la osserviamo, andiamo a finire in un prato; se la osserviamo andiamo nella direzione giusta, evitiamo gli incidenti. Quindi le parole sono delle segnalazioni: ci segnalano la meta verso la quale dobbiamo andare, ci segnalano la strada e, naturalmente tutte le condizioni per poter restare sulla strada per evitare quei guai. Questi sono annunci, segnali. Ecco, la parola arriva, si annuncia: se noi facciamo attenzione, l’ascoltiamo, allora quella ci guida verso la meta. Se invece, come accade il più delle volte, non la osserviamo, non stiamo attenti, naturalmente non arriviamo là dove essa ci dovrebbe condurre. Quindi non arriviamo a vedere e non arrivando a vedere, restiamo in balia degli eventi. Dicevo prima: se io non osservo un segnale stradale, vado a finire in un prato, se non mi capita di peggio. Ora, siccome le parole di Dio sono segnali stradali, generalmente noi non le ascoltiamo ed è per questo che la nostra vita è sempre un finire in un prato o un finire malamente. Ed è un po’ la situazione in cui veniamo a trovarci nella nostra vita, in cui abbiamo situazioni di tristezza, situazioni di noia, situazioni di confusione, non sappiamo più perché viviamo: sono tutti segni che noi siamo finiti fuori strada, non sappiamo più perché viviamo. Come mai è successo questo? Non sei stato attento ai segnali stradali, non sei stato attento a certe parole. E come mai non sono stato attento a certe parole? Hai preferito il pensiero del tuo io al Pensiero di Dio. Noi il più delle volte facciamo questo. Se abbiamo in noi interesse per Dio, allora siamo sempre attenti a tutti i segnali di Dio, che sono le parole di Dio. E allora cominciamo a riflettere: perché Dio ha detto questo? Perché mi ha presentato quell’altro? cosa vuol dire? Che cosa mi segnala? Ecco, e tutto questo ci mantiene in direzione e ci evita di uscire di strada. Se invece pensiamo al nostro io, noi guardiamo ai nostri interessi, alle nostre comodità, alla nostra figura davanti agli altri, il nostro prestigio, e tutto questo ci fa deviare, perché ci impedisce di prestare attenzione ai segnali stradali.

Pinuccia: Gesù dice: “Chi accoglie e chi osserva”: accoglierla è la condizione per osservarla, no?

Luigi: Si. Osservarli significa prestare attenzione.

Amalia: Nella parabola del seminatore Gesù dice che si può accogliere con gioia subito, ma poi non restare, per cui si perde. Cioè, si può accogliere e non restare. Quindi è per questo che Gesù fa distinzione tra accogliere e osservare?

Luigi: Si, appunto; si può anche non accogliere, perché il segnale, la parola può arrivare a noi e noi semplicemente vederla, ma non accoglierla; per cui si fa distinzione tra “cosa che si fa vedere e non viene accolta” e “cosa che si fa vedere, viene accolta, osservata, seguita, custodita, fino ad arrivare alla meta”. Perché accolta poi bisogna osservarla, ma osservarla lungamente, custodirla, fino a portarla a compimento, perché noi possiamo osservarla per un certo tempo e poi dimenticarcene e allora naturalmente deviamo.

Luisa: Qui invece è tradotto: “Chi ha i miei comandamenti”, cioè chi li possiede; cioè devono diventare miei.

Luigi: Si, devono diventare motivo di vita, devono diventare motivazione del mio vivere. Perché tu cammini in questo modo? Ma perché ho visto quel tale segnale, oppure mi è stata segnalata la tale cosa, per cui io adesso cammino su questa strada così e così. Per cui la parola udita diventa per noi motivazione di cammino: camminiamo perché abbiamo ricevuto questa segnalazione. La Parola di Dio che arriva a noi è sempre una proposta. Per esempio: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire, cerca prima di tutto il Regno di Dio”. vedi che è una proposta? Ecco, è un segnale che arriva a noi: in quanto segnale, io lo vedo: la proposta in quanto mi arriva la vedo, però posso tenerne conto o posso non tenerne conto. Il segnale mi dice: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire: cerca prima di tutto il Regno di Dio. ecco, tu uomo sei stato creato per conoscere Dio: occupati di Dio, cerca Dio”. Ora, per accoglierla, io debbo cominciare ad applicarmi a fare questa parola.

Luisa: Ci vuole interesse: ecco, mi piace.

Luigi: Ci vuole interesse; il piacere no, qualche volta può anche non piacere. Ci vuole interesse.

Luisa: Il trasformarla poi in me stessa è tutto opera di Dio.

Luigi: Tutto è opera di Dio. Anche l’accoglierla è opera di Dio, perché se non teniamo presente Dio, noi abbiamo presente il nostro io e il pensiero del nostro io ci impedisce di accoglierla, perché dice: “Già, se io non penso a me, chi pensa a me?”. Quindi se non tengo presente il Pensiero di Dio, necessariamente non posso fare a meno di preoccuparmi del mangiare e del vestire, della figura davanti agli altri, del giudizio, del prestigio, dell’onore. Debbo necessariamente, non posso farne a meno. Soltanto se tengo presente Dio, se credo in Dio, posso superare il pensiero del mio io; in caso diverso, non posso superarlo. Noi siamo schiavi del pensiero del nostro io; non possiamo superarlo da soli; è necessario avere il Pensiero di Dio, cioè chiederci prima di tutto: “Ma io credo veramente che Dio esiste? O no?”. Se credo, se posso rispondere in coscienza: “Si, credo che Dio esista”, allora comincio a far conto solo su Dio. Facendo conto su Dio, ho la possibilità di superare, di vincere la paura che viene dal pensiero del mio io, la paura che viene dal pensiero degli altri, la paura che viene dal dire: “Ma io domani come farò?”. Il pensiero del nostro io ci carica di paure perché il nostro io da solo non sta su e quindi abbiamo bisogno di proteggerlo e proteggerlo vuol dire: avere la mutua, avere il posto di lavoro, vuol dire avere la carriera assicurata, vuol dire avere attorno tanti che ci stimano, vuol dire difendere la mia figura, vuol dire vestirmi bene, vuol dire avere la macchina lussuosa, avere la villa. Ecco, ho bisogno di mettergli tante cose attorno; soltanto che per mettergli tante cose attorno, io devo vivere per queste cose: ad un certo momento queste cose mi tradiscono, mi lacerano e io muoio.

Amalia: Per cui diventano proprio motivo di vita: vivo per esse.

Luigi: Per cui ad un certo momento mi chiedo: “Ma io sono vissuto per che cosa? Sono vissuto per niente. Sono vissuto per correre dietro ad una cosa che ho perso”. Ma già! La vita non ti era stata data per quello! La vita non ti è stata data per la macchina, non ti è stata data perché tu cercassi la tua figura davanti agli altri o salissi in cattedra; hai sbagliato strada, non sei stato attento ai segnali. C’era la segnalazione: “Uomo, per che cosa sei stato creato? Nessuno ti ha detto che sei stato creato per mangiare, per vestire, per cercare la gloria davanti agli altri, e allora perché l’hai cercata?”. Ecco, i segnali c’erano e tu non li hai visti o non hai voluto vederli, perché sei stato dominato dal pensiero di te stesso. Quindi, è sempre necessario partire da Dio: o uno crede in Dio o non crede in Dio.

Luisa: Noi abbiamo la libertà di decidere il contrario di quello che Dio ci propone.

Luigi: Si, ma questa libertà, questa possibilità di decidere il contrario è possibilità di trascurare le parole di Dio: è un difetto, che viene dal nostro io, perché la possibilità di aderire, di tener conto dei segnali di Dio, viene a noi non dal pensiero dell’io, ma dal Pensiero di Dio. Ho la possibilità di non tener presente Dio, di pensare a me stesso. Noi abbiamo la possibilità di aderire a Dio o di trascurare Dio per pensare a noi. Questa è la possibilità che abbiamo noi: di mettere il nostro io al centro anziché mettere Dio. Ma il fatto di mettere il nostro io al centro è già un difetto, un difetto nostro, non è libertà. Noi molte volte chiamiamo libertà, ma questa libertà non è per noi un dono: questa libertà è ignoranza. Questa possibilità di rifiutare la Verità noi la chiamiamo libertà! Ma solo colui che conosce la Verità è veramente libero! Noi chiamiamo libertà la possibilità di scegliere e di sbagliare, ma poi diciamo: “Ah, se avessi saputo!”. Ma allora non eri libero! Ti sei lasciato dominare, ecco, dominare da impressioni.

Salvatore: Vorrei capire meglio questo concetto.

Luigi: Noi diciamo: “Io sono libero”, cioè ci riteniamo liberi. La nostra libertà è soltanto una sensazione che deriva dal fatto che non conosciamo. Ad esempio, io sono libero di scegliere questo o quello: mi ritengo libero. Ma la mia libertà di scegliere deriva dal fatto che non conosco a fondo i pregi di questo o di quello. Se io conoscessi veramente che differenza c’è tra questo e quello, non sarei più libero: sceglierei senz’altro il migliore. Cioè, la capacità mia di scegliere (la libertà), deriva dal fatto che io ignoro che differenza c’è tra una cosa e l’altra. È una situazione di grossolanità.

Pinuccia: Infatti dopo aver scelto uno dei due registratori, mi accorgo che uno racchiudeva un difetto.

Luigi: Apparentemente due cose mi sembrano uguali, per cui mi sento libero. Ma se io conoscessi veramente e profondamente che una cosa vale più dell’altra, non potrei fare a meno di scegliere la migliore. Allora la mia libertà è effetto di ignoranza, è difetto! Ignoranza di valori. Se uno ad esempio mi presenta un biglietto da centomila e un biglietto da cinquemila e io non li conosco, perché moneta straniera, non riesco a rendermi conto che hanno un valore diverso allora dico: “Per me è indifferente, ne scelgo uno” e dicendo: “Per me è indifferente scegliere l’uno o scegliere l’altro” mi sento libero, mi sento indifferente. Ma se io conosco i valori, quando mi si dice: “Sei libero di scegliere quello che vuoi”, io non posso, in quanto veramente l’altro mi lascia libero di scegliere, non scegliere quello che vale di più, cioè sono attratto da quello che vale di più. Allora se io dico: “Sono libero di pensare a Dio o non pensare a Dio” è soltanto effetto di ignoranza. Se io conoscessi Dio, non potrei fare a meno di scegliere Dio.

Pinuccia: Quindi la vera libertà è conoscere il bene e poterlo scegliere.

Luigi: Tant’è vero che quando noi scegliamo senza conoscere i valori, dopo aver scelto ci accorgiamo di aver scelto male; dopo! Perché dopo aver scelto mi accorgo di aver scelto il biglietto da cinquemila anziché quello da centomila; e me ne accorgo perché anche spendendolo mi danno soltanto la merce di cinquemila, e allora dico: “Ho sbagliato!”. Dicendo: “Ho sbagliato!”, che cosa dico? Dico: “Non ero libero! Perché se avessi saputo!”. Infatti diciamo: “Se avessi saputo!”. Vedi? Ti sei lasciato dominare soltanto dall’apparenza: hai scelto quello perché ti sembrava più bello, perché era più colorato; e quindi ti ha attratto di più, perché aveva qualcosa di diverso. E invece i valori erano diversi. Quindi la libertà di scegliere è effetto di ignoranza di valori. La nostra libertà è soltanto effetto di ignoranza! Ora, soltanto conoscendo io riesco, posso scegliere giustamente quello che vale di più: non posso non sceglierlo!

Luisa: Allora la Parola di Dio è una presentazione della Verità.

Luigi: La Parola di Dio ci presenta i valori veri. Ritorno al segnale stradale: io vedo il segnale stradale, però vedo una scorciatoia e mi sembra di far meglio a scegliere la scorciatoia e dico: “Si, il segnale stradale mi ha dato un’indicazione ma io prendo questa scorciatoia perché mi sembra migliore”. Poi vado a finire in un burrone, perché la scorciatoia anziché essere una scorciatoia, va a finire in un burrone da cui non esco più. E allora dico: “Ah! Se avessi saputo!”; “Ma il segnale c’era!”; “Si, c’era ma mi è sembrato che la scorciatoia mi avrebbe rimesso sulla strada, e invece no, mi ha complicato le cose!”. Questo succede perché ci lasciamo guidare dalle impressioni che vengono a noi, cioè ci lasciamo guidare da: “Questo mi piace; questo mi fa fare bella figura, in questo ci guadagno”. Ecco, ci lasciamo guidare da impressioni, da sentimenti nostri, anziché lasciarci guidare dalla Verità. Se noi avessimo sempre presente questo: “Io devo lasciarmi guidare dalla Verità e non invece da quello che sento, non da quello che mi sembra”. No, non lasciarti guidare da quello che ti sembra, ma cerca presso Dio quello che è vero. Se tu cerchi presso Dio, non ti lascia guidare dalle impressioni. Dio ti libera dal lasciarti guidare dalle impressioni. Vedo una persona è subito dico: “Come è in gamba questa persona” è la prima impessione; poi ad un certo momento dovrò constatare: “Ho sbagliato, invece è un furfante”. Ecco, non lasciarti guidare dalle impressioni, cerca sempre presso Dio, perché le impressioni ti ingannano, è apparenza. Non fermarti all’apparenza. Se uno ha presente Dio, non si ferma all’impressione, perché le impressioni sono soltanto relazioni col pensiero del mio io. Invece devo andare a fondo, cerco presso Dio; allora supero i sentimenti, supero le impressioni, supero quello che può interessare il mio io; allora mi lascio guidare dalla parola di Dio, dalla Verità.

Tiziana: Si sente tante volte dire che la libertà è il più grande dono che Dio ci ha dato.

Luigi: Ma si, si dicono tante cose. Qui abbiamo la Parola del Signore: “La verità vi farà liberi”, quindi vuol dire che non lo siamo ancora. Anche i Farisei dicevano: “Come, noi siamo liberi! Non siamo figli di prostituzione! Noi siamo liberi, noi siamo un popolo libero”. No – dice Gesù – Chi fa il peccato è schiavo del peccato, soltanto la verità vi farà liberi”. Lo dice Gesù. Ma se dice: “Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”, vuol dire che fintanto che non conosciamo la Verità non siamo liberi. È inutile che noi ci vantiamo di libertà. Come posso io essere libero se ho fame? Ho fame e sono libero? Necessariamente cerco il pane. E se ho un “bubù” certamente cerco la medicina; e quando sono stanco, cerco il letto e sono dominato da tutte le cose: altro che essere libero! Noi ci vantiamo di essere liberi! È soltanto impressione nostra. Chi conosce la Verità è libero e può superare il pensiero di se stesso, ma chi non conosce la Verità è schiavo. E questa è parola di Gesù! Lo dice Lui: “Sarete veri miei discepoli se resterete nelle mie parole e se resterete nelle mie parole conoscerete la Verità”; conoscerete: futuro! Non adesso: conoscerete! Quando la conoscerete sarete liberi. Cosa vuol dire? Che fintanto che tu uomo non conosci la Verità sei schiavo, riconosciti schiavo: schiavo delle tue passioni, schiavo dei tuoi interessi, schiavo delle tue ambizioni, schiavo del pensiero di te stesso; schiavo degli altri, schiavo della figura, sei schiavo! Io credo di essere libero e invece mi vesto come vuole l’altro; continuamente penso: “Ma gli altri cosa dicono? Come mi giudicano? Cosa pensano? Per cui sono costretto a comportarmi in un certomodo”. E questa è libertà? No, è schiavitù. E come mai ci vantiamo di essere liberi? E come un uomo che ha preso una macchina lussuosa e per questo crede di essere superiore e magari ha un animo vile. Ha forse cambiato l’animo perché si è comprato una macchina lussuosa o perché è vestito bene? Che differenza c’è tra uno che è vestito di stracci e l’altro che invece è vestito in modo lussuoso? Magari quello che è vestito di stracci ha un animo più nobile di quello che è vestito lussuosamente. Noi ci vestiamo bene e crediamo di essere diversi. No, non sei diverso; ti credi diverso solo perché ti sei vestito bene e gli altri ti ammirano; credi di essere qualcuno. Fintanto che noi ci comportiamo secondo queste cose, siamo schiavi, schiavi della figura o degli altri, schiavi del pensiero del nostro io: non siamo liberi.

Pinuccia: La libertà è una promessa.

Luigi: E’ una promessa che viene dalla conoscenza della Verità. Fintanto che non arriviamo a conoscere la Verità, noi non siamo liberi, ma siamo dominati dalle cose che si presentano a noi, che appaiono a noi.

Luisa: La libertà allora è conoscenza.

Luigi: E’ conoscenza.

Luisa: Però io devo volerla. Ed io mi sento libera proprio in quel punto in cui dico: scelgo di conoscere la verità oppure scelgo di non conoscerla. Se fossi libera non sarei più responsabile dei miei atti, e neppure potrei definirli buoni o cattivi.

Luigi: Si, siamo sempre lì; se tu tieni presente Dio, tenendo presente Dio, tu aderisci a Dio e quindi anche a tutte le parole di Dio. Il fatto di aderire a Dio e di poter accogliere le parole di Dio, tu lo devi attribuire tutto a grazia di Dio, a opera di Dio, non a te stessa: “Non sono io che ho scelto; è Dio”. Solo il difetto è opera mia. Cioè il rifiutare, il non tener conto di Dio è difetto nostro. Qui è sempre l’eterno problema: cioè, in quanto tu puoi amare il Signore, la grazia è del Signore, non è tua. Se invece tu ami il Signore, non hai interesse per il Signore, la colpa non è del Signore, ma è tua. Siamo sempre lì, con il dilemma del medico che si lamenta: “Che cosa ci sto a fare? Perché se il medico guarisce, il malato dice: “E’ la grazia di Dio”; se il malato muore: “E’ colpa del medico”. Ma sotto sotto ci rivela una cosa molto vera: che tutto il bene che facciamo, noi da soli, non possiamo farlo, è tutto grazia di Dio. Il male che facciamo non è opera di Dio; il male che facciamo, cioè il trascurare Dio, il non riferire a Dio, è opera nostra perché non teniamo presente Dio. Il Signore stesso dice: “Senza di me non potete fare niente”. Allora se io faccio niente durante tutta la mia vita, è perché non ho tenuto conto di Lui. Lui mi aveva detto: “Senza di me tu non puoi fare niente”. Noi diremo: “Ho sprecato tutta la mia vita in niente”. “Eh già, perché non hai tenuto conto di me”. Quindi la colpa è mia, perché non ho tenuto conto di Dio. Io ho la possibilità di non tener conto, cioè di non gurdare Dio, ma questo non è libertà.

Luisa: Eppure questa è una forma di libertà, perché ad un certo momento posso decidere di tener conto di Dio o no.

Luigi: Si, ma questa libertà che tu affermi è la libertà di trascurare Dio, che deriva dal fatto che non conosco ancora Dio. Perché se io conoscessi Dio, non potrei trascurarlo. Chi conosce Dio assolutamente non può non amarlo, non può trascurarlo. Può trascurarlo colui che non lo conosce; ma allora questa libertà, cioè libertà di non tener conto di Dio è effetto di ignoranza, perché non lo conosco, perché se lo conoscessi non lo dimenticherei assolutamente. Dico molte volte: se noi sapessimo l’importanza che ha per noi il pensare Dio, se conoscessimo il tesoro che abbiamo in noi con la possibilità di pensare Dio, penseremmo a Dio ventiquattr’ore su ventiquattro, non lo trascureremmo mai. Se lo trascuriamo è perché non ci rendiamo conto e quindi non conosciamo il tesoro che abbiamo, perché pensando Dio ho la possibilità in me di conoscere la verità, di rendermi conto delle cose; ma io perché dovrei trascurare questo? Vendo tutto pur di non trascurarlo, perché l’uomo che conosce la Verità, che ha in sé la Verità, è più forte di tutto il mondo. Quindi se noi abbiamo la possibilità (che noi chiamiamo libertà) di non tener conto di Dio, di non guardare Dio, di non interessarci di Dio, questo è soltanto effetto dell’ignoranza che abbiamo di Dio, perché non lo conosciamo ancora; quanto più lo conosciamo, tanto meno possiamo trascurarlo. Chi ama poco Dio, chi cerca poco Dio, è perché lo conosce poco; ma chi lo conosce tanto, non può fare a meno di pensare sempre a Lui, di essere sempre con Lui, perché ha trovato una cosa meravigliosa: ha trovato la Verità! Tu da bambina avrai giocato con le bambole; perché adesso non giochi più con le bambole? Perché capisci che ci sono altre cose più importanti.

Pinuccia: Quindi non posso dire che sono libera di scegliere questo o quello perché scelgo Dio e l’iniziativa è di Dio: è Dio che si annuncia, che si presenta a me perché io aderisca a Lui. Quindi l’iniziativa nostra sta solo nel rifiutarlo.

Tiziana: Certo, se l’iniziativa fosse nostra, allora ci sarebbe il momento in cui decidiamo di scegliere questo o quello. Ma siccome l’iniziativa non è nostra, ma è Dio che si annuncia, allora la cosa è diversa, perché una volta annunciato, io nonposso pià dire che sono io lo scelgo.

Luigi: L’iniziativa viene sempre da Dio. Dio è sempre Uno che ci visita, si annuncia a noi.

Tiziana: Quindi io posso solamente prendere l’iniziativa di rifiutarlo.

Luigi: Noi possiamo solo dire di no. Se noi diciamo di si, la grazia è Sua.

Tiziana: Perché è Lui che si è presentato.

Luigi: Io non posso dire di si, se Lui non si presenta. Faccio sovente l’esempio del telefono: tu aspetti una telefonata, se l’altro non ti chiama, il telefono non squilla. Se squilla è perché l’altro ti ha chiamato. Tu aspetti una telefonata; l’altro ti chiama e tu rispondi. Ma la grazia di chi è? E’ di chi ti ha chiamata. Adesso, in quanto l’ha chiamata, tu puoi rispondere, ma l’iniziativa è stata dell’altro; l’altro ha chiamato. Ora, noi ci troviamo sempre di fronte ad uno che ci chiama: è Dio che chiama al telefono. Noi magari aspettiamo, e non sappiamo, abbiamo bisogno che qualcuno ci chiami per nome, ci dica per che cosa dobbiamo vivere; ma fintanto che l’altro non ci chiama, tutto il nostro aspettare serve a niente. Poi ad un certo momento Lui ci chiama. Chiamandoci, la grazia è sua, adesso io posso rispondere o non rispondere. Se rispondo, la grazia da parte di chi è? La grazia è tutta sua. Tutto quello che noi facciamo è grazia sua. Se non rispondo la colpa è mia, perché Lui mi ha chiamato, l’iniziativa l’ha presa: io non ho alzato il telefono. Però io lo so che sono stato chiamato e che però mi sono rifiutato: avevo altro per la testa, non mi andava a genio, non ho risposto; però mi resta questo: tu sei stato chiamato. La chiamata l’hai ricevuta e come mai non hai risposto? Ecco, il segnale stradale l’hai visto, si è presentato a te: perché non ne hai tenuto conto? Allora, se ne tengo conto e dico: “Guarda, mi hanno messo questo segnale, meno male che ne ho tenuto conto, perché ho capito a che cosa serviva: il ponte era rotto”. Ma se ho evitato il ponte rotto, la grazia di chi è? E’ di chi mi ha messo il segnale. Se non ne tengo conto e precipito nel burrone perché il ponte è rotto, dico: “La colpa è mia”. Perché il segnale c’era, l’ho visto ma non ne ho tenuto conto. Quindi, allora, cosa dobbiamo dire? Che se osservo il segnale, la grazia è del segnale se non osservo il segnale, la colpa è mia. Tieni presente che ogni opera di Dio, ogni parola di Dio, è una telefonata che Lui ci fa; ogni avvenimento è una telefonata che Lui ci fa per dirci: “Guarda che ti ho creato per questo, guarda che l’essenziale della vita è questo: conoscere Me. Quindi non affannarti, non preoccuparti di altro. Non lasciarti portare via dalle cose perché ci sono Io”. Attraverso la telefonata Lui mi chiama e mi propone di interessarmi di Lui che è più importante di tutto. Quindi c’è da parte di Dio l’iniziativa. Adesso posso aderire o no. Per questo dico: “Signore, la grazia è stata tutta tua; non sono io che ho scelto. Signore, se Tu non mi chiamavi, io non potevo scegliere niente. Signore, ti ringrazio che mi hai presentato la tua parola, ti ringrazio che mi hai chiamato al telefono, ti ringrazio che mi sei venuto a trovare; venendo, Tu mi hai cambiato, mi hai fatto capire tante cose; ma la grazia è tua, non sono io che ho scelto”. Non sono io che ad un certo momento dico: “Adesso io parto e vado a trovare il Signore, perché noi siamo creature; come creatura noi possiamo sempre soltanto rispondere, non possiamo prendere delle iniziative. E noi siamo sempre in situazione di risposta. Anche il nostro vivere comune. Per questo dico che siamo schiavi: noi non ci rendiamo conto, ma il nostro vivere comune è sempre soltanto un reagire: io reagisco a delle sollecitazioni: queste sollecitazioni, questi bisogni mi possono venire dal corpo, dalla società, dalla famiglia. Ma io sono sempre sollecitato da altri o posso essere sollecitato da Dio. Allora, se rispondo alle sollecitazioni di Dio, passo dalla schiavitù delle cose che non conosco (“Ho sbagliato perché ho scelto dei padroni indegni”), alla figliolanza di Dio, alla conoscenza di Dio.

Pinuccia: “Quegli è che mi ama”: cioè rivela che Lo ama veramente chi accoglie e osserva le parole?

Luigi: Noi il più delle volte diciamo: “Signore, io ti amo con tutto il cuore, però non faccio attenzione alle tue parole, alle tue telefonate”. Allora Lui ci dice: “Volete misurare se veramente mi amate? Osservate se meditate sulle mie parole, se le custodite, perché chi custodisce le mie parole, quello mi ama! Non colui che mi dice a parole: Signore, io ti amo”, da mattino a sera”. Infatti io posso trovare una persona che mi dice: “Io ti amo con tutto il cuore”, ma poi il suo pensiero dov’è? A parole mi dice: “Ti amo” e poi il pensiero è con un altro. Ecco, noi con Dio siamo sempre così: a parole diciamo: “Signore, io ti amo”. Però il pensiero dov’è? Il Signore dice: “Io non guardo le tue labbra, guardo dove hai i tuoi pensieri: a che cosa pensi? Quali sono i tuoi interessi principali? Per che cosa vivi? Lì è il tuo amore! L’amore di ognuno lo si vede in ciò per cui vive; se lui vive per il denaro, il suo amore è lì; non è col Signore, anche se lui dice da mattino a sera: “Signore, io ti amo”. Pensa a se stesso, non pensa a Dio! Allora il Signore dice: “Chi è che mi ama? Mi ama non colui che dice a parole: “Signore, io ti amo”, ma è colui che custodisce le mie parole, che le medita, che cerca di capirle. Questi rivela che ha interesse per me. Se uno ama veramente una persona, sta attento alle cose che dice quella persona, alle cose che fa quella persona, perché cerca di conoscerla, di capire il suo pensiero, il suo carattere. Gesù dice: “Se uno veramente mi ama, il suo amore non sta in quanto mi dice che mi ama, ma sta nell’interesse che ha per conoscere me”.

Amalia: Infatti Gesù dice: “Non chi dice: Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio”. E a quelli che gli dicono: “Noi abbiamo mangiato con te”, Lui risponde: “Non vi conosco” cioè non fa consistere il fare la volontà del Padre con il fare delle opere apparentemente buone. Cioè, è proprio un fatto di animo, di pensiero.

Luigi: Si capisce, perché amare significa desiderare di conoscere l’essere amato. Chi ama desidera conoscere tutto dell’altro; perché quando si ama, si vive col pensiero nell’altro e vivendo nel pensiero dell’altro, si desidera conoscere tutto dell’altro, si ignore se stesso. Ma chi dice di amare e poi pensa a sé, quello non ama. Questo è amore possessivo, cioè è strumentalizzare l’altro, è far servire l’altro, non è amore. Il vero amore è pensare all’altro: ma quando io penso all’altro, desidero conoscere tutto dell’altro, perché non penso più a me, e quindi vivo per l’altro fino a guardare con gli occhi dell’altro. Ecco, fino a ragionare con la mentalità dell’altro. Allora questo è amore. Ora, chi ama Dio desidera vedere tutte le cose secondo Dio, per cui desidera conoscere i pensieri di Dio, la volontà di Dio, desidera vedere tutte le cose come le vede Dio. Ora, noi abbiamo questa meravigliosa possibilità: possibilità di amare. Amare vuol dire trasferirci col pensiero, nel pensiero di un altro, è cercare la sua presenza. Per cui chi ama veramente, soffre quando è lontano dall’altro: perché? Soffre perché non sa quello che fa l’altro in questo momento. Soffre perché col pensiero vive nel pensiero dell’altro. Quando si ama, perché si desidera sempre essere insieme? Perché si ha la possibilità di vivere con l’altro, di guardare con gli occhi dell’altro. Ora, Dio ci ha dato questa possibilità per farci vedere le cose con la sua mente, con il suo Spirito, cioè ci ha dato la possibilità di vedere le cose nella Verità. E questo è amare. Noi purtroppo cambiamo la faccia a tutte le cose, cambiamo i valori a tutte le cose e diciamo di amare, ma a parole: “Signore, io ti amo” e mentre glielo diciamo, abbiamo il pensiero nei nostri interessi, nella nostra figura, nel nostro io. E magari dicendo: “Io non sono capace di fare niente” e intanto pensiamo sempre a noi e siamo delle “lagne”, non siamo delle creature che amano. La creatura che ama si caratterizza in questo: che non pensa a sé, pensa all’Altro. Non pensa a sé, né dicendo che vale tanto, mettendosi in vetrina, ma nemmeno dicendo che vale niente, sminuendosi. Non lo dice né in un modo né nell’altro perché pensa all’Altro.

Luisa: E’ difficile, perché naturalmente si è portati a pensare a se stessi.

Luigi: D’accordo, il Signore non dice che amare sia facile. Questo non lo dice, anzi dice che è difficile. Quando amando si dice: “Questo è troppo difficile”, vuol dire che non si ama perché la caratteristica dell’amore è proprio quella di superare ogni difficoltà, direi, quasi di essere contento di dover affrontare la difficoltà. L’amore vero è contento di essere in difficoltà, perché più è nelle difficoltà, più ha la possibilità di dimostrare che veramente ama. Quando uno ama soltanto perché tutte le cose vanno bene, l’amore non è provato. L’amore è provato quando ci sono difficoltà, ma se nella difficoltà si resta fedeli, allora l’amore si rivela veramente. L’amore che è presente soltanto quando si fa baldoria, quando si fa festa e poi quando invece c’è la tribolazione, la sofferenza ti saluta, non è amore.

Pinuccia: La seconda parte del versetto dice le conseguenze di questo nostro amore: saremo amati dal Padre e da Lui stesso. Però in realtà siamo amati già prima, perché il nostro amore è già una risposta all’amore di Dio.

Luigi: Si, come conseguenza sperimenteremo questo amore. Certo, Lui ci ama già prima, ma ora Lo sperimentiamo. Così anche quando Lui dice: “Io non vi conosco”, cioè noi sperimentiamo di non essere conosciuti. Così noi sperimentiamo di non essere amati, ma Dio in realtà ci ama. Così noi sperimentiamo di essere soli. Come mai sperimenti di essere solo? Dio non ti lascia mai solo, però tu sperimenti di essere solo, perché? Io decido questo e poi tutte le cose vanno al rovescio. Ecco, non sono accompagnato, non c’è nessuno che mi aiuti, sperimento di essere solo. Non è che io sia solo, perché se conoscessi la Verità, scoprirei che Dio è sempre con me, perché Dio non abbandona nessuno anche nel male, però in quanto maturiamo cose, volontà diverse da Dio, vedendoci contrariati, non ci accorgiamo che in queste contrarietà è Dio che ci pensa: è Dio che pensa a noi! Noi invece, crediamo di essere soli, perché non siamo aiutati a conseguire quel fine che vogliamo: io desidero guadagnare tanti soldi, non riesco a guadagnarli e allora dico: “Ecco, Dio non mi aiuta, Dio mi lascia solo”. Ma perché succede questo? Perché io ho un’intenzione sbagliata, perché confondo la mia vita con la ricchezza e ritengo che se io avessi tanti soldi vivrei meglio. E’ sciocco perché la tua vita non dipende dalle cose che possiedi, la tua vita viene da Altro. e Dio ti corregge, ti pensa. Ti impedisce, ti ostacola, quindi ti sta pensando. Ti impedisce di fare un errore. Ed io invece penso che Dio non mi pensa, che mi lascia solo. Allora si ha la sensazione della solitudine, del non essere pensati, del non essere amati: conseguenza di una volontà diversa in noi da quella che è la volontà di Dio. Quindi anche quel “sarà amato”, vuol dire: “sperimenterà che è amato”, cioè proverà l’amore di Dio, l’amore del Padre.

Pinuccia: “Ed Io vi amerò”, è lo stesso significato: “Sperimenterete che Io vi amo”, perché in realtà Lui già ci ama.

Luigi: Certo, si capisce.

Pinuccia: “E mi manifesterò a lui”: cioè arriviamo alla conoscenza del Figlio.

Luigi: Si, la conoscenza.

Pinuccia: Ma non si conosce prima il Padre?

Luigi: Si, la conoscenza del Figlio è una conseguenza della conoscenza del Padre. In quanto uno scopre di essere amato dal Padre, scopre anche la presenza del Figlio, la presenza in noi del Verbo di Dio.

Amalia: Però l’amore di Dio noi lo sperimentiamo già anche prima di arrivare a quella meta, no?

Luigi: Si, lo sperimentiamo anche prima: basta superare un po’ il nostro egoismo. Tutte le volte che noi superiamo un pochino il nostro egoismo, (ad esempio vedo un povero, mi interesso un poco a lui, esco dal mio egoismo, entro nell’amore, faccio un piccolo atto d’amore), sperimento l’amore di Dio. Anche un semplice bicchiere d’acqua dato nel suo nome, mi fa sperimentare l’amore di Dio. L’egoismo mi fa sperimentare l’assenza, ma basta un piccolo atto in cui supero il mio egoismo che già sperimento l’amore. Dio non aspetta laggiù in fondo. Dio è sempre con noi, e quando facciamo qualche cosa in cui superiamo il pensiero del nostro io, Lui dice subito: “Bravo!” e ci fa sperimentare l’amore. Però indubbiamente è un piccolo passo, e dopo magari chiede altro, e ancora altro… e allora lì possiamo ripiegarci su noi stessi e sperimentare di nuovo di non essere amati. Ma è tutto un cammino! Ogni piccolo atto che noi facciamo, attraverso cui cerchiamo di vincere il pensiero del nostro io, già immediatamente sperimentiamo qualcosa dell’amore di Dio. Allora diciamo: “Guarda il Signore come mi ha risposto subito”. Gli ho dato questo, mi ha fatto subito arrivare quell’altro o mi ha aiutato in quell’altro”. Ecco, ci sentiamo conosciuti, diventiamo amati, ma perché? Perché ho dato ascolto ad una sua parola: “Chi accoglie e osserva le mie parole”. Ho ascoltato e Lui subito mi ha risposto; questo per dirmi: “Questa è la strada buona, continua così”.

Luisa: Così non è più difficile.

Luigi: Allora non diventa difficile.

Pinuccia: Quindi l’esperienza dell’amore di Dio è progressiva; però questa manifestazione: “Mi manifesterò a lui”, l’avremo soltanto alla conclusione del cammino, a Pentecoste, oppure già lungo il cammino?

Luigi: Anche lungo il cammino. Lungo il cammino, abbiamo conoscenza, ma sono sempre conoscenze finite, conoscenze relative, per cui, come dicevo prima: faccio un atto d’amore e subito ricevo qualcos’altro in cui mi trovo aiutato: allora dico: “Com’è buono il Signore, mi ha mandato la caramella” e lo conosco perché mi ha aiutato! Questa è una conoscenza per quello che mi dà, non è ancora la conoscenza di quello che Lui è. Alla conoscenza in Sé arriveremo con lo Spirito Santo, alla Pentecoste.

Pinuccia: Qui Gesù dice: “Mi manifesterò a lui” parla già della conoscenza di Pentecoste?

Luigi: Lui parla sempre della Pentecoste, perché Lui parla sempre nel fine.

Cina: Gesù per invitarci ad amare ci fa molte promesse.

Luigi: Si, qui direi che per invitarci ad amare, è per correggere il nostro amore, perché noi il più delle volte crediamo di amare, ma non amiamo. Allora Lui dice: “Se tu mi ami, osserva le mie parole, cerca di capire le mie parole, medita sulle mie parole; questo vuol dire che tu hai interesse per me, vuol dire che mi ami”. Infatti Lui dice: “Chi mi ama, osserva le mie parole; chi non osserva le mie parole, vuol dire che non mi ama; anche se da mattina a sera dice di amarmi, non mi ama”. Qui ci aiuta a scoprire il vero amore: ce ne dà i segni. Una persona noi la conosciamo soltanto attraverso le parole che dice, perché ogni persona è un mistero, un segreto. Noi non conosciamo nemmeno noi stessi: pensa un po’ conoscere Dio! Dio lo possiamo conoscere soltanto attraverso le parole che Lui dice a noi. Noi non possiamo mica conoscerlo: Lui è un infinito, noi siamo finiti. C’è un salto di qualità tra noi e Lui. Noi non possiamo mica conoscerlo! Se Lui non parlasse, noi non potremmo conoscerlo per niente. Noi Lo possiamo conoscere soltanto in quanto ci parla. Ma non basta che Lui parli a noi, ecco: bisogna che noi custodiamo le sue parole, che noi facciamo tesoro di esse, che meditiamo su di Lui, che pensiamo alle cose che Lui dice: perché noi generalmente ci riempiamo di parole di uomini: giornali, politica, radio, televisione, tutte parole di uomini. Cosa mi dicono? Si, conosco il pensiero dell’uno, dell’altro, ma cosa mi serve questo? Ciò che interessa a noi è la Verità. Come diceva Medi: “A me quello che interessa è sapere che 6 x 5 = 30; che poi Tizio dica che fa 24 e quell’altro dica che fa 28 e un altro che fa 29, che io conosca tutti i pensieri degli uomini, sono sempre in difetto. Per cui quando so che c’è un uomo che dice che 6 x 5 fa 25, posso dire: “Io so che quel tale ha detto che fa 25 e ha sbagliato. Conosco il pensiero di quel tale”. Ma a me non interessa quello che dice Tizio, Caio, Sempronio circa il 6x5, mi interessa la verità: 6x5=30. Quindi non mi interessano le parole degli uomini. Ora, a noi, se interessa la Verità, interessa la parola di Dio. Non mi interessa quello che dicono gli uomini, perché gli uomini mi parlano di se stessi. Quando noi abbiamo sentito tutte le parole che dicono gli uomini, sappiamo che il tale ha detto questo, il tal altro ha detto quello. Ma che cosa ci serve per la vita? Quello che serve per la vita è quello che dice Dio, non quello che dicono gli uomini. Allora, se tu hai interesse per Dio, fai molta attenzione e dai molto tempo per cercare di ascoltare, di meditare, di capire quello che dice Dio, perché le parole di Dio non sono le parole degli uomini. Esse sono molto diverse. Basta aprire il Vangelo e vediamo come sono diverse le parole di Dio dalle parole degli uomini, e allora non ci interessano più le parole degli uomini, perché le parole degli uomini sono sempre in difetto rispetto alla Verità. Infatti come ho detto prima, se un uomo dice che 6x5 fa 24 a me non interessa e non mi interessa nemmeno poter dire: “Quello ha sbagliato”. E’ cultura, non mi dà vita. Ciò che dà la vita è la Verità. Se noi abbiamo interesse, amore per Dio, abbiamo amore per la Verità, allora a noi sta molto a cuore ascoltare, meditare, custodire le parole di Dio, perché soltanto attraverso le parole di Dio possiamo conoscere la Verità, conoscere Dio. Le parole degli uomini non ci fanno e non possono farci conoscere la Verità.

Cina: E’ la prova.

Luigi: E allora Gesù dice: “Ecco la prova che mi amate non sta nel dirmi che mi amate”. Lui non dice: “Se voi mi amate direte mille volte al giorno: “Signore, io ti amo”, e quella è la prova che voi mi amate”. Lui non dice questo. Anzi, dice: “Se anche tu dicessi centomila volte al giorno: “Signore, io ti amo”, guarda che sei un menzognero, perché io non guardo quello che tu dici con le labbra, guardo a quello a cui pensi, dove hai i tuoi pensieri, a quello di cui ti interessi prima di tutto. Se tu hai tanto interesse per me, questo è il tuo amore”. È lì la prova: “Se tu veramente mi ami, tu hai tanto interesse per le mie parole”.

Amalia: Ritornando all’argomento di prima sulla libertà: fintanto che non arriveremo alla Pentecoste, alla conoscenza della Verità, sperimenteremo…

Luigi: Sperimentermo la schiavitù e non ci dobbiamo vantare di essere liberi, perché non siamo liberi.

Amalia: Però nella misura in cui cerchiamo di conoscere Dio si comincia a sperimentare anche già qualcosa della libertà (così come per l’amore e per la conoscenza).

Luigi: Si, più tu ti interessi a Dio, più cominci a sperimentare la libertà dalle cose che dicono gli uomini. Se ad esempio tu non hai presente Dio, allora senti la paura: un uomo mi minaccia la guerra, un altro mi minaccia un disastro, un altro mi fa paura, e allora io vivo con ansia. Invece più tu cerchi Dio e più cominci a godere di libertà, perché: “L’uomo dice questo ma intanto chi governa tutto è Dio”.

Amalia: E allora non si è più dominati dalla paura.

Luigi: Eh già; e poi guarda, cominci ad avere più tempo per l’essenziale, cominci a trascurare tante cose, e già questo è una liberazione. Uno che deve correre da mattina a sera perché pensa: “Mi manca questo, mi manca quello” ecco, quello è un incatenamento. Più cerchi Dio, più tu tante cose le lasci, scopri la Verità di tante cose, le lasci correre, le lasci andare. Ecco, allora Dio il liberatore! Quindi più noi mettiamo nella nostra vita attenzione per Dio e più Dio ci libera. Non è che Dio ci liberi con un atto magico. No, Dio ci libera nella misura in cui noi ci occupiamo di Lui. Più ci occupiamo di Lui, e più Lui ci libera perché ci fa vedere la vanità di tante cose, dicendoci: “Questo è una sciocchezza, questo è un errore, questo è una vanità”. E allora dico: “Beh, questo lo lascio perdere, quello non mi interessa, perché devo fare quello? Chi me lo fa fare?”. E senza accorgersi uno ad un certo momento si sente libero. Prima mancava di tutto, e adesso comincia a fare a meno di tante cose. Ecco, è Dio che ti ha liberato. Ora, non sono io che mi sono liberato. Nessuno può dire di essersi liberato da sé, ma: “Signore, sei tu che mi hai liberato, perché più ho ascoltato Te, più ho seguito Te, e più ho lasciato perdere questo, ho lasciato perdere quello, ed ecco, Tu mi hai liberato. E sto sperimentando una vita meravigliosa! Ma è tutto dono tuo! Ecco, è tutto dono tuo! “Ecco, è tutto dono tuo!”. Perché, tenendo conto di Lui, dobbiamo fare delle scelte molto diverse dalle scelte che invece facciamo istintivamente per la natura, per la figura. Ecco, l’importante è proprio non credere che siamo noi che possiamo liberarci. Perché noi generalmente partiamo dal principio: “Io sono un uomo libero”. No, è un errore. Noi ci crediamo liberi! Invece prima di tutto dobbiamo prendere consapevolezza che noi siamo delle creature che ancora non sono fatte: siamo in formazione, in gestazione: è Dio che ha cominciato a farci, ma non siamo ancora fatti! Quindi continua a lasciarti condurre per mano da chi ha cominciato a farti, perché Chi ti ha cominciato a fare, ti porterà al compimento, non tu! Tu non sei fatto. Quindi nessuno di noi è fatto, siamo delle creature in formazione. Dio ci sta facendo giorno per giorno, lasciati fare. Ecco, lasciati fare. La parola di ogni giorno dire che è questa: primo, lasciati fare dal Signore, non sei tu che fai; secondo, non ritenerti libero. È Dio che ti libera: man mano che ti fa, Lui ti libera se tu l’ascolti; se tu lo segui. Non ritenerti libero, perché attualmente sei schiavo di tutto. Hai paura di tutto, sei dominato da tutto. Riconosci la tua schiavitù. Riconoscilo, se non altro perché sei cieco. Ecco, un cieco, quando deve attraversare una strada, non può dire: “Io sono libero”, deve stare attento a tutto, perché non vede. Ora, chi è più cieco di noi? non capiamo niente, tutto è misterioso, non vediamo. Se sei cieco come puoi vantarti di essere libero?

Tiziana: Infatti nella Genesi, per ogni cosa Dio disse: “Sia fatto”, ma per l’uomo disse: “Facciamo”.

Luigi: “Facciamo” appunto perché l’uomo non è fatto. L’uomo è un essere in formazione. Il più delle volte, noi arriviamo al fine della vita, non fatti, degli aborti, perché non ci siamo lasciati fare dal Signore.

Luisa: Dobbiamo essere come nel seno di Dio.

Luigi: Certamente, siamo in gestazione.

Luisa: Però come il feto respira con la madre, io ho la possibilità di respirare, di mangiare come voglio io.

Luigi: Ho la possibilità di non tener conto di Dio, perché noi crediamo di essere già fatti.

Salvatore: Per uno che per tanti anni non si è lasciato fare, per cui si trova in situazione di schiavitù, c’è la possibilità di uscirne fuori. Se il telefono squilla soltanto ogni tanto, c’è una soluzione?

Luigi: Si, anche se ormai è legato a tante cose, dipendente, schiavo, la soluzione c’è perché Dio è Onnipotente.

Salvatore: Devo abbandonare tutto? Uscire da tutto?

Luigi: Il problema non è abbandonare; intanto non puoi uscire da certe situazioni; anche se fai dei salti mortali, non ne esci. Perché non siamo noi che ci liberiamo, è Lui che ci libera. La cosa importante è cominciare a mettere il pensiero. Continua pure a fare tutto quello che hai fatto fino adesso, continua pure ad essere schiavo, però comincia a dire: “C’è un Altro”. Se non l’hai scoperto prima, dillo ora: “C’è un Altro! Devo tener conto di Lui”. Devo cominciare a pensarlo. Le cose non sono io che le faccio, non sono gli uomini che le fanno: è un Altro che le fa. Comincia ad accettare questa dimensione. O per lo meno comincia a pensare se puoi accettare che esista Dio. Comincia a convincerti se veramente esiste. Se esiste comincerò a dire: “Si, io faccio queste cose perché non sono capace a liberarmene”. Però in tutte le situazioni in cui ci troviamo, anche nelle schiavitù più nere, siccome Dio è sempre con noi, è sempre presente, dà a noi la possibilità di pensarlo; non dico di viverlo, perché viverlo è tutta un’altra cosa, ma di pensarlo. Cioè comincia a dire: “Un momento, posso far conto su Dio, io sono nei pasticci, però c’è un Altro che pensa a me. Lui è Onnipotente, ha la possibilità di aiutarmi. Lascia fare!”. Cioè non cominciare a ragionare soltanto da solo, come se fossi da solo. Comincia a ragionare come se ci fosse un Altro da cui le cose dipendono. E poi comincio a scoprire che effettivamente quest’Altro interviene. Una delle prime cose è proprio questa: bisogna cominciare dal pensiero, tutto in noi viene dal pensiero, non viene dal fare dei salti mortali, dal far ginnastica. Viene dal pensiero: “Tu che cosa pensi?”, “Ma io penso che tutte le cose dipendano da me”: sei su una strada sbagliata, ti ingolferai sempre di più. Comincia a pensare che le cose non dipendono da te, ma che c’è un altro che pensa a te e pensa anche alle cose che ti stanno attorno. Fidati di Lui. Comincia a fare questo atto di fiducia. Ecco, comincia a fare questo. Comincia a pregare! Ma pregare in questo senso: cominciare a far conto che c’è un Altro che fa, e fidarci di Lui; non far conto su noi, perché noi il più delle volte camminiamo nella notte e non vediamo Realtà: ci lasciamo spaventare dalle ombre: qui c’è un furfante, qui c’è un delinquente, comincio a correre e precipito in un burrone, soltanto perché vedo delle ombre e non vedo la Verità. Pensando a noi stessi, ci lasciamo guidare dalle ombre, e allora cominciamo a correre, ad affannarci, ci ingrovigliamo sempre più. No, stai attento, sono soltanto ombre. Comincia a pensare che c’è un Altro che guida, che pensa a te, fidati di Lui. Ecco, bisogna cominciare a fare così. Non c’è lontananza che ci impedisca di pensare a Dio. Il pensiero supera tutte le lontananze. Noi fisicamente possiamo essere lontani, con tutte le nostre colpe addosso, però abbiamo sempre la possibilità di pensare a Dio. Abbiamo l’esempio del buon ladrone che in cinque minuti sulla Croce, trova la risposta del Signore: “Oggi tu sarai con me nel tuo regno”. Perché? Ecco, basta questo pensare a Lui: “Signore, ricordati di me”; basta questo: “Signore, ricordati di me”. Non è che il Signore si dimentichi di me, ma sono io che ho bisogno di dire, di fidarmi del Signore, perché possa sperimentare la sua presenza e non possa più essere dominato dalla paura; perché dicendo: “Signore, ricordati di me”, comincio a respirare, a dire: “C’è un Altro su cui io posso far conto, non sono solo”. Invece quando io mi sento solo e credo che tutte le cose dipendano da me, perché ho sempre pensato a me e pensando a me dico: “Sono io, tutte le cose dipendono da me, quindi se non mi do da fare qui affogo, allora è lì che mi ingroviglio e non ne esco più. E’ il Signore che mi fa sperimentare: “Vedi? Tu più pensi a te e più naturalmente affoghi. No, pensa a me, io ti tiro fuori da tutto”. Ecco, l’importante è sempre il legame del pensiero, quest’altra dimensione che deve entrare in noi col pensiero, perché Dio è Spirito, quindi non ha bisogno che diciamo certe parole o che facciamo tante cose. Dio comincia a dire: “Pensami”.


“Gli domandò allora Giuda, non l’Iscariota: “Signore, che cosa è avvenuto perché tu debba manifestarti a noi e non al mondo?” Gv 14 Vs 22


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3/ Gennaio /1981


Luigi: Qui correggerei perché è una frase un po’ involuta; quindi, non: “Signore, che cosa è avvenuto”, ma: “Signore, cosa avviene, che cosa può avvenire, perché tu ti possa manifestare a noi e non al mondo?”. Anche quel: “Tu debba” va cambiato con: “Tu possa”. Che cosa succede, che cosa può accadere. Ma non dobbiamo leggere: “Che cosa è avvenuto”. Non è una cosa passata, perché Egli mi sta parlando in futuro, e Giuda, non l’Iscariota, risponde su questo futuro. Il Signore dice: “Io mi manifesterò”. Ma come? Ti manifesterai a lui e non agli altri? Ma allora cosa succede? Per cui uno ti vede e gli altri non ti vedono, ecco, come mai? Va inteso in questo senso, quindi non è: che cosa è avvenuto, ma: che cosa avviene, come avviene, che tu ti manifesti a lui? È un perché.

Pinuccia: Qui Giuda è stato colpito da quel “Mi manifesterò a lui”.

Luigi: Cioè è un rapporto personale. Gesù dice: “Mi farò conoscere”. Ora, la conoscenza è sempre una cosa personale, non è una conoscenza di massa, di gruppo, di mondo. Le conoscenze del mondo sono conoscenze esterne. Le conoscenze esterne sono le conoscenze dei sensi: non è consapevolezza. La vera consapevolezza è sempre personale. E’ come il mangiare: uno mangia un pollo e un altro mangia una rapa; non è che il pollo che ha mangiato uno serva all’altro che ha mangiato la rapa. Ecco, il mangiare è personale; a maggior ragione, e sono tutti segni, la conoscenza è personale. Abbiamo detto molte volte che il mangiare è simbolo di conoscenza, assimilazione. Ora, come quando uno mangia, non mangia mica per l’altro, così la vera conoscenza è sempre personale.

Amalia: Cioè, Dio si annuncia a tutti, ma si rivela soltanto personalmente. C’è una dimensione personale, perché Dio è amante delle persone, anzi, Dio è Colui che fa le persone, forma le persone.

Pinuccia: Quindi Giuda chiede una spiegazione di questo rapporto personale. Cosa succede, da che è determinato?

Luigi: Certo, in che modo avviene? Come può avvenire che io ti veda e che gli altri non ti vedano più?

Amalia: Ma forse Giuda non capisce che la manifestazione è legata ad una dimensione personale.

Luigi: No, lui ha capito soltanto che Gesù promette una manifestazione personale a colui che ama Dio e non agli altri. Per cui dice: “Ma come può succedere questo? Che uno ti veda e l’altro non ti veda più? Come può succedere?”. Perché le nostre conoscenze noi le riteniamo sempre estensibili a tutti. Ad esempio se io vedo Cina, anche Luisa vede Cina perché Cina è lì. Ma se uno ci dicesse: “No, Cina la vedrà soltanto colui che…”. Allora non capiamo più: cosa succede che uno la vede  e un altro non la vede più? Cosa deve succedere?

Tiziana: Cioè a chi segue Lui, Lui si manifesterà.

Luigi: Va bene, Lui dopo lo dirà in quale modo, lo spiegherà, adesso il problema è questo interrogativo.

Pinuccia: Il problema è capire ciò che domanda Giuda. Egli fa questa domanda perché evidentemente non ha colto la dimensione personale della vera conoscenza.

Luigi: Non può coglierla e quindi chiede spiegazione: come può avvenire un fatto di questo genere.

Pinuccia: Egli pensa che si tratti di manifestazione esterna, e allora non capisce.

Luigi: Appunto, per questo chiede: “Come può succedere questo?”.

Luisa: Anche lui, come tutti, aspetta la manifestazione gloriosa esterna del Messia; ma se il mondo non la potrà vedere, allora cosa è venuto a fare? Non è venuto meno il suo scopo?

Luigi: Infatti qui Gesù sta educando i suoi, come educa tutti coloro che Lo ascoltano, che meditano sulle parole di Dio, al grande giorno della Pentecoste, cioè a questo giorno in cui l’anima viene illuminata, conosce la Verità di Dio, conosce la Presenza di Dio, che è una conoscenza essenzialmente personale, perché convince l’anima. Ora, quando uno è convinto, non è che anche l’altro sia convinto. Chi è convinto è personalmente convinto. Cercherà magari di dire all’altro: “Io sono convinto”. Ma non basta che lo dica all’altro; fintanto che l’altro non mangerà quello stesso cibo, non si convincerà. Le convinzioni sono sempre essenzialmente personali.

Amalia: Sono personali anche perché sono legate ad una risposta della creatura, ad una adesione.

Luigi: Certamente, è logico.

Tiziana: Tutti sentiamo una voce, l’annuncio: c’è chi parte e va a vedere.

Luigi: E c’è chi invece non parte.

Tiziana: Per cui a Giuda che gli domanda: “Come mai non ti sei manifestato al mondo?”, Gesù può rispondere: “Ma per vedere bisognava partire, andare là, seguire l’annuncio”.

Luigi: Si, certo. Lui si annuncia a tutti, perché tutta la creazione è un parlare di Lui. Chi segue l’annuncio, arriva a vedere: a Lui Gesù si manifesta.

Luisa: Ed è un bene che Giuda abbia fatto questa obiezione, perché la risposta che Gesù dà è meravigliosa.

Luigi: Certo.

Cina: La manifestazione di Gesù sarà personale perché ci chiama personalmente.

Luigi: Ci chiama personalmente, magari attraverso un avvenimento, un filo d’erba, attraverso qualche piccola cosa, ma è sempre Lui che parla. I pastori hanno sentito: “Vi annuncio… vi è nato…”. Essi potevano anche non andare a vedere e starsene col gregge. È sempre necessario partire, lasciare il nostro gregge; ma il gregge vuo dire magari anche gregge di pensieri, gregge di interessi, di sentimenti, di preoccupazioni. Ecco, non resto, vado a vedere quello che mi è stato annunciato: “Andiamo a vedere il Verbo che ci è stato annunciato”. Ecco, andando, vedono. E’ sempre necessario questo andare, cioè questo poco o tanto superare il nostro mondo, i nostri pensieri, i pensieri degli altri, per pensare Dio, per mettere Dio al di sopra di tutto; questo trasferirci dai pensieri del mondo, dagli affari del mondo, dalle preoccupazioni del mondo, dalla politica del mondo, da quello che fanno gli uomini, a ciò che dice Dio: “Andiamo a vedere quello che dice Dio, come le vede Dio queste cose”. È questo trasferirci, è questo che ci porta a vedere.

Pinuccia: E’ la prima volta che appare Giuda. Anche questa figura ha un significato per la nostra vita?

Luigi: Tutto ha una lezione. Nella scelta degli apostoli ci sono due Giuda; quando Gesù scelse i dodici apostoli  perché restassero sempre con Lui…

Salvatore: Tra i dodici c’è anche Giuda il traditore. Ma perché sceglie proprio uno che Lui sa che lo tradirà?

Luigi: Perché era necessario questo, affinché noi non fossimo dei Giuda. Cioè quel Giuda che è stato un attore per noi, uno che ha recitato una parte. Dio l’ha scelto per fargli recitare quella parte, per noi che siamo spettatori. Ora, quando io rappresento un dramma, distribuisco le parti: a uno gli faccio fare la parte di un santo, ad un altro gli faccio fare la parte di un demonio, ma non è che quello sia un demonio. Deve fare quella parte perché è necessario. Ma perché? Perché la platea capisca una certa lezione; perché forse nella platea c’è chi può essere un Giuda, un vero Giuda. Affinchè noi non fossimo dei Giuda, fu necessario che ci fosse uno che recitasse la parte di Giuda. Nessuno di noi può dire che Giuda ha tradito, che sia nell’inferno. Nessuno lo può dire: può essere un santo. E se può essere un santo? Che cosa debbo dire? Che il Signore l’ha adoperato per fargli fare, recitare quella parte, affinchè io, che portavo un Giuda dentro di me non fossi Giuda, cioè non tradissi. Quindi, sapendo che si può tradire in quel modo, facendo così, sto attento: ecco, ho ricevuto una scena. Quella è scena. Tutto quello che avviene, tutto quello che è avvenuto, è scena per noi, non possiamo giudicare i personaggi. I personaggi sono dietro le quinte, noi non li conosciamo. Noi conosciamo quello che recitano: ma quello è recitazione. Dobbiamo imparare la lezione, quello si, perché la lezione viene da Dio. Dio un giorno mi dirà: “Guarda che Io per te ho fatto recitare ad uno la parte di Giuda, per te, perché tu capissi la lezione”. Quindi noi, in tutte le cose, non dobbiamo giudicare i personaggi: dobbiamo intendere la lezione. Ecco, anche lì: tutte le cose noi dobbiamo sempre meditarle come scena che Dio ci presenta, come lezione che Dio ci dà: sono lezioni. Ecco, perché Dio mi presenta questo? Che lezione mi vuol dare attraverso questo fatto, questo avvenimento, questo personaggio, questo amico? E’ sempre lezione! Non dobbiamo mai fermarci a giudicare le creature, perché le creature noi non le conosciamo, non le vediamo, sono nascoste a noi: noi le vediamo solo nella recitazione esterna; ma l’animo chi lo conosce? L’animo lo conosce soltanto Dio. Nemmeno noi ci conosciamo. Non conosciamo nemmeno noi stessi: il più delle volte facciamo le cose e poi ci chiediamo: “Chissà perché lo ho fatte?”. Ecco cosa c’era dentro di me che mi ha fatto fare quello? È Dio che ci conosce. Se noi nemmeno conosciamo noi stessi, a molto maggior ragione non possiamo giudicare gli altri; però dobbiamo sempre ricevere le lezioni.

Luisa: Quindi più conosco Dio, più conosco me stessa.

Luigi: Certo, è logico. E più anche ho la possibilità di comprendere gli altri: di comprenderli, di scusarli e di non giudicarli; anzi, divento riconoscente verso tutti perché tutti sono opere di Dio per aiutare me. Per cui sono riconoscente anche ad un Giuda, perché Giuda è stato un’opera di Dio per me, per aiutare me, per evitarmi di tradire; essendo riconoscenti verso tutti si diventa capaci di amare tutto e tutti, anche i nemici, perché anche i nemici sono opera di Dio per me. Non vediamo più il male, non c’è più il male, perché il male è soltanto dentro di noi.

Pinuccia: E’ una vera liberazione.

Luigi: Ma la chiave di tutto è sempre partire da Dio, perché se uno non crede in Dio, allora non può giungere a vedere le lezioni di Dio. Il punto di partenza è sempre questo: è Dio che opera in tutto, è Dio che è presente in tutto, è Dio che opera tutto per fare noi attraverso tutte le cose. Ma se Lui opera attraverso tutte le cose per fare noi, allora anche chi mi è nemico, è un’opera di Dio, per farmi maturare, per farmi crescere, per liberarmi da tante ambizioni: ecco, è tutta opera di Dio. Quindi accetto tutto da Dio.

Pinuccia: Giuda qui nella sua domanda a Gesù richiama la contrapposizione tra i discepoli e il mondo che Gesù stesso aveva messo in evidenza al versetto 19: “Il mondo non mi vedrà più, ma voi invece mi vedrete”. Questa è la grande distinzione tra chi ha seguito il Cristo e chi non l’ha seguito. Gesù però fa anche capire agli stessi discepoli che la manifestazione è personale: “mi manifesterò a lui”.

Luigi: Certo.

Pensieri conclusivi.

Amalia: Confrontarmi sempre con Dio, come punto di riferimento e lasciarmi fare ogni giorno da Lui.

Cina: Il vero amore è dedizione: “Chi mi ama si dedica a Me”, altrimenti sono solo parole.

Luigi: “Chi mi ama osserva le mie parole”, le osserva, cioè fa quello che faceva Maria: ascolta, custodisce, medita le parole di Dio.

Luisa: Vivere nella gioia, nella consapevolezza che Dio pensa a me personalmente, se io però mi interesso a Lui.

Luigi: Ma se anche non ti interessi a Lui, Lui pensa ugualmente, personalmente a te.

Luisa: Ma io però non ne prendo coscienza.

Luigi: Certo.

Tiziana: Se aderisco, sperimento l’amore di Dio.

Luigi: Si, ecco, se non aderisci non è che non ci sia l’amore di Dio: Dio ti ama, però se aderisci, sperimenti. Se non aderisci, non sperimenti. Se aderisci, ti accorgi, lo scopri.

Pinuccia: Però se io aderisco è perché  ho già sperimentato anche solo un po’ dell’amore di di, perché la nostra risposta di amore è sempre una risposta ad un amore; quindi non è che si scopra l’amore solo dopo.

Luigi: Ma tu aderisci per giustizia, perché Dio si annuncia. Dio si annuncia: basta un filo d’erba. L’hai fatto tu il filo d’erba? No, quindi l’ha fatto un Altro. Ecco, Dio si annuncia. E allora scopro che c’è un Altro: non sai ancora chi sia, però sai che il filo d’erba non si è fatto da solo, tu non l’hai fatto, un Altro l’ha fatto. O si è fatto da solo o è un Altro che l’ha fatto. Ecco, allora scopro che c’è un Altro. Ecco, questo è Dio che si annuncia attraverso ogni cosa.

Pinuccia: Ma è già un amore questo.

Luigi: Certo, da parte di Dio tutto è amore. Dio si annuncia, attraverso il filo d’erba e mi dice: “Ciao!”, mi saluta. Ma chi è che mi saluta? Ecco, scopro che c’è Uno che fa tutto e che mi saluta in tutto. L’amore è una conseguenza, l’amore è dopo. Certo, l’amore è già fin dall’inizio, ma in un primo tempo è Dio che prende l’iniziativa: se io aderisco, scopro: “C’è” e allora mi interesso; e cominciando ad interessarmi, comincio a sperimentare l’amore.

Salvatore: Io mi sono accorto che c’è, però bisogna conservare le sue parole per capirle.

Luigi: Certo. Scoprire che c’è una grande cosa: soprattutto se si pensa che non siamo noi che Lo scopriamo, ma è Lui che si fa scoprire, perché anche se Lo scopriamo è opera sua, non siamo noi: è Lui che incrocia la nostra strada e ci dice: “Vedi che ci sono?” e noi diciamo: “Ah, ci sei!”: è Lui che ha incrociato il nostro cammino, ha attraversato la nostra strada.

Pinuccia: La vera dimensione dell’uomo è l’ascolto, l’attenzione a Colui che gli sta parlando; e questo è il vero amore, il vero interesse. Quindi penso che il vero segreto sta qui: non in quello che uno fa o non fa, stare qui o là, ma è proprio questa attenzione costante ad Uno che è presente e che mi parla.

Luigi: Certamente. C’è Uno che parla con te. Ecco, in tutte le cose c’è Uno che parla con te: sappilo!

Pinuccia: Ma questo presuppone il silenzio del mio io.

Luigi: E’ logico, perché il pensiero di noi stessi è una sorgente di rumori.

Tiziana: Però da sola non posso fare il silenzio del mio io, ma è Lui nella misura in cui prende possesso di me; altrimenti se penso di essere io a fare silenzio, sono ancora sempre io che faccio.

Pinuccia: Certo, perché il vero silenzio è stare attenti a Uno che è presente, quindi è dimenticanza di sé. È Lui che attira la nostra attenzione su di Sé.

Luigi: Certo.


Gli rispose Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di Lui”.Gv 14 Vs 23


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10/ Gennaio /1981


Silvana: Osservare la sua parola vuol dire aderire all’amore.

Luigi: Non è solo aderire, è approfondire, è scavare, è scrutare. Gesù infatti dice: “Scrutate le Scritture, parlano di me”, cioè non fermatevi in superficie. Il concetto di osservare, noi sovente lo traduciamo in azione; osservo e traduco in azione. Per osservare, Gesù intende penetrare nella sua parola per giungere al nucleo, per giungere allo Spirito che ci vuole comunicare. Questa è la condizione per restate nelle sue parole: “Sarete veri miei discepoli se resterete nelle mie parole”, si resta in quanto ci si impegna a scavare. La parola è un seme, e come seme, giunge a noi per essere portato a maturazione, a compimento, al frutto. Quindi la parola che arriva a noi, può essere rifiutata o può essere ascoltata. Ma l’ascolto può essere superficiale per cui si traduce in azione, riteniamo che basti darci da fare. Ma il fare ha un senso: spostarci a lavorare. Invece la parola di Dio è rivelatrice quindi è messaggio che va approfondito.


Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Gv 14 Vs 24


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17/ Gennaio /1981


Silvana: “Chi non mi ama non osserva la mia parola; ora la parola che udite non è mia ma del Padre che mi ha mandato”.

Luigi: La prima affermazione: “Chi non mi ama non osserva la mia parola” è collegata col versetto precedente: “Se qualcuno mi ama osserva le mie parole”. Gesù rivela che l’amore si nota in quanto uno osserva le parole dell’essere amato. Quando si ama di vero amore, si sta molto attenti alle parole, ai segni di colui che si ama, perché si desidera conoscerlo; perché amare vuol dire conoscere, amare è desiderio di conoscenza. E quanto più si ama, tanto più si desidera conoscere. Ora, siccome la persona è un segreto, (infatti la conoscenza della persona non è data a noi se l’altro non si rivela), a maggior ragione Dio è un segreto. Dio solo conosce Se stesso. Noi non possiamo conoscere Dio. Tra noi e Dio c’è un salto di qualità: Dio è infinito, noi siamo finiti. Non c’è nessuno rapporto tra il finito e l’Infinito. La possibilità di conoscere Dio, ci viene data soltanto per grazia di Dio: è soltanto puro dono di Dio. Quindi soltanto se Dio parla, ci fa il dono di Sé, si rivela. Ma si rivela nella misura in cui noi abbiamo interesse per Lui, per ascoltare le sue parole. Se invece non siamo aperti a Lui, la sua parola arriva a noi, ma noi non la osserviamo: allora non c’è amore. Gesù dice che la caratteristica dell’amore è quella di osservare le parole. Caratteristica dell’amore di Dio è quella di osservare le parole di Dio. In un altro luogo Gesù dice: “Sarete veri miei discepoli se resterete nelle mie parole, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Questo in risposta a quello che gli aveva chiesto il discepolo Giuda, non l’Iscariote: “Come può avvenire che tu ti farai conoscere a noi e non al mondo?”. Perché Gesù prima aveva affermato che si sarebbe rivelato personalmente ai discepoli. “Come può succedere che tu ti faccia vedere da noi, riconoscere da noi e il mondo non ti veda più?”. Gesù risponde che si tratta di una conoscenza personale, di una conoscenza d’amore. Infatti dice: “Chi mi ama osserva la mia parola, il Padre mio lo amerà e noi verremo a Lui e faremo la nostra abitazione presso di Lui”, è una conoscenza intima, personale. È la vocazione di ogni uomo perché la verità si conosce personalmente ma richiede da parte della creatura questa dedizione. Non è una conoscenza esterna; quello che conosciamo esternamente non è mai verità perché sono conoscenze relative ai sensi: crediamo di conoscere senza possedere la verità di quello che vediamo. Infatti non sappiamo e non possiamo sapere che cosa sono le creature, che cosa sono le cose. Le possiamo vedere, udire, toccare, ma non sappiamo che cosa siano in sé. La vera conoscenza, direi il possesso della cosa, è intima. Dio essendo verità, si trova soltanto conoscendolo personalmente: uno ha in se stesso la ragione di quello che conosce. Quindi non è più una conoscenza esterna. Tutte le conoscenze che noi possiamo avere attraverso i sensi, conoscenze esterne, non ci danno il possesso della cosa, perché non abbiamo in noi la ragione della cosa. Invece la conoscenza interiore di Dio, ci dà la conoscenza della ragione della cosa. Allora forma una cosa sola con Dio perché Dio ha in Se stesso la ragione di Sé e di tutte le sue opere. Tutto quello che vediamo e tocchiamo, non ha in sé la ragione di sé. Allora, dopo aver detto: “Se qualcuno mi ama osserverà le mie parole”, adesso dà la controprova dicendo: “Chi invece non mi ama non osserva le mie parole”. Con questo Lui ha chiuso la sua argomentazione con la quale ha voluto dimostrare perché chi lo conoscerà, lo conoscerà personalmente e non come ci si conosce nel mondo. Per cui c’è una conoscenza personale: non sarà visto da tutti. Dio si manifesta e si manifesta personalmente e non è che l’altro, perché gli è vicino, lo veda anche. È come quando si mangia: per quanto si sia vicini, se uno mangia un pollo e l’altro fa astinenza non è che abbiano mangiato tutti e due mezzo pollo ciascuno. Il mangiare è un fatto personale. È come chi ha un dolore, una sofferenza, non è che il suo vicino possa partecipare, perché è un fatto personale, propria. Per quanto si sia vicini a chi soffre, si può compatire però non si può dividere il dolore. Sono tutti segni della grande verità, della conoscenza della verità di Dio che è essenzialmente personale.

Silvana: Comunque la parola la ascoltiamo, cioè anche chi non ama ode la parola di Dio.

Luigi: Dio fa sentire le sue parole a tutte le creature, sia che la ascoltino, sia che non l’ascoltino in modo che nessuno potrà dire: “A me Dio non ha parlato”. La parola di Dio arriva a tutti fino all’estremità della terra. In qualunque luogo la creatura sia, nel bene o nel male, che sia buona, che sia cattiva, che sia nella luce, o che sia nelle tenebre, la parola di Dio, essendo onnipotente, può farsi sentire da tutti. In qualunque luogo la creatura si trovi, che sia al mercato, che sia al cinema, nella guerra, nella pace, ovunque, la parola di Dio si fa sentire dappertutto. Però una cosa è che la parola di Dio si faccia sentire, un’altra è che sia ascoltata. Poi non basta ascoltarla, bisogna restare nella parola di Dio. Restare nella parola di Dio non vuol dire registrarla, ricordarla a memoria. Si resta nella parola nella misura in cui ci si impegna a scavare, ad approfondirla altrimenti si perde. Si, possiamo ricordare per un certo periodo di tempo una frase, un versetto, però ad un certo momento se ne va se non l’ho approfondito, se non l’ho capito. Quindi la parola di Dio giunge a tutti ma non tutti la ascoltano. Coloro che l’ascoltano devono imparare a restare in essa perché non tutti coloro che ascoltano restano. Restare vuol dire camminare perché coloro che credono di restare, facendo uno sforzo di memoria, di scrivere o di registrare, non adempiono sufficientemente perché Gesù dice: “Sarete veri miei discepoli se resterete”. Si resta nella parola di Dio nella misura in cui si scava in essa, si approfondisce: è il terreno profondo. Bisogna camminare nella parola di Dio e camminare con pazienza. Perché non basta camminare, bisogna camminare con pazienza fino ad arrivare al frutto, fino a capire quella parola in Dio. Perché noi possiamo anche credere di aver capito quella parola in relazione ad un nostro modo di essere, ad una nostra morale, ad un nostro comportamento. Questo non è ancora capire la parola. La parola di Dio essendo rivelatrice di Dio, va portata in Dio, per cercare presso Dio la luce su di essa. Colui che parla a noi, è anche Colui che ci fa capire le parole che dice. A questo punto si richiede il silenzio, il raccoglimento a tu per tu con Dio per arrivare a capire nello Spirito di Dio la parola che Lui ha detto. Allora si arriva al frutto e quello è un frutto di vita eterna perché diventa per noi conoscenza di Dio. La parola di Dio che è arrivata a noi da distanze immense, che ci ha colti là dove eravamo, ad un certo momento ci ha portati nella vita eterna, ci ha portati a conoscere qualche cosa di Dio. Quella conoscenza che si ottiene di Dio, è una conoscenza che rimane eternamente perché è conoscenza di Dio, non muta più mentre tutte le altre mutano perché sono relative ai nostri sensi, alle nostre esperienze. Noi siamo creature e le creature mutano in continuazione, soprattutto nella conoscenza. Per cui quello che abbiamo conosciuto a dieci anni non è più quello che abbiamo conosciuto a venti, a trenta perché man mano che viviamo, accumuliamo conoscenze diverse che ci fanno approfondire, rivedere le conoscenze che avevamo già acquisito. Quindi noi mutiamo, Dio non muta e la conoscenza che abbiamo di Dio, per grazia di Dio, diventa immutabile, vita eterna. Però richiede tutto questo travaglio. Per questo dico che la parola di Dio che arriva a noi è un sentiero in cui dobbiamo camminare. Non solo per un certo tratto, ma fino alla vita eterna, fino alla conoscenza di Dio come vero Dio. infatti Gesù dice: “Chi con me raccoglie riceve mercede di vita eterna”, riceve una paga. Noi generalmente ci accontentiamo della paga in denaro, che ci illude soltanto. Quello che trasforma veramente la nostra vita che dà luce all’anima (noi sostanzialmente abbiamo bisogno di luce, di pace), è il senso delle cose, il senso della vita. Ora, è soltanto Dio che ci dà il senso della vita. Infatti se viviamo per delle cose che passano, ad un certo momento sperimentiamo che queste cose ci deludono. In un primo tempo ci entusiasmano (la laurea, la gloria, la carriera), ma poi ci deludono. Le cose passano, non danno un senso alla nostra vita. E quando la nostra vita perde il senso, precipitiamo nella crisi di identità perché non sappiamo più per che cosa vivere, chi siamo. E questo avviene per tutti, non solo per qualcuno, fintanto che si vive per le cose che passano. Perché le cose, passando, ci mettono in crisi. Uno ama una creatura e quella muta, passa, cambia e chi l’amava entra in crisi. Credevo che fosse stabile e invece no. Accumulo denaro, faccio conto su di esso perché credo che il denaro mi risolva i problemi della vita, e ad un certo momento sperimento che col denaro non riesco a risolvere quello che mi sta più a cuore. Resto deluso, la cosa è fallita. Vivevo per la famiglia, per i figli e proprio nel momento cruciale, in cui avrei voluto intervenire, non lo posso fare, sono bloccato, non posso fare niente: sopraggiunge la crisi. È Dio che interviene in tutte queste cose. È Dio che ci blocca per farci capire: hai sbagliato fine. Tutte le creature sono buone ma sono mezzi: tu sei stato creato per altro, quindi non fare della creatura il tuo fine. Davanti ad un malato di tumore la creatura è ridotta all’impotenza. Davanti ad una persona con l’esaurimento non posso fare niente anche se gli sono vicinissimo. Sono lezioni che Dio ci dà alle quali assistiamo tutti i giorni, per farci capire che la nostra vita non ha lì il suo significato, è altrove. Noi da soli non stiamo su, abbiamo sempre bisogno di avere un significato nella nostra vita. E un significato eterno perché se tra mille anni penso che quella cosa a cui mi sono legato cambierà, già questo mi mette in crisi. Abbiamo bisogno di amare qualche cosa che rimanga in eterno, che dia un senso alla nostra vita. “Chi raccoglie con me riceve mercede di vita eterna” cioè riceve una luce che non muta più. Questa è la luce della verità, la luce di Dio che dà senso e significato alle cose perché solo Dio ha in Sé il senso, la ragione, il significato delle cose. Tutte le altre cose non hanno in sé la ragione di sé. Per questo tutte le cose ci rimandano a Dio perché non c’è nessun uomo, nessuna donna, nessuna creatura, nessuna cosa creata che abbia in se stessa la ragione di sé. Dio solo è Colui che ha in Sé la ragione di Sé perché è la Verità. Allora tutte le creature ci rimandano ad un Altro che ha in Sé la ragione di ciò che esse sono. Anche la ragione di ciò che noi siamo, non è in noi, è in un Altro. Ecco perché siamo sempre insoddisfatti fintanto che non troviamo la ragione di ciò che noi siamo. Noi crediamo che sia in noi, ma non è mai in noi. Infatti noi ci crediamo liberi ma non siamo liberi, siamo sempre determinati, condizionati. Anche dalla società nella quale viviamo la quale esalta un certo sport, un certo attore e noi ci appassioniamo e non ci accorgiamo che siamo succubi di quei valori che ci vengono presentati. Per cui ciò che noi siamo o che crediamo di essere, non è mai in noi stessi. La ragione nostra è sempre altrove. Fintanto che non troviamo Colui nel quale è la ragione del nostro vivere, del nostro esistere, di ciò che siamo, della nostra stessa insoddisfazione, del nostro bisogno di luce, non siamo pacificati. Perché abbiamo bisogno di luce? Perché non ci accontentiamo delle cose? L’animale si accontenta. È la pecora di Leopardi che quando ha mangiato se ne sta tranquilla. Perché? Perché invece io quando ho mangiato non sono tranquillo, non mi basta mangiare come non mi basta stare bene fisicamente? Perché in noi c’è il bisogno di capire, di conoscere, di renderci conto del senso delle cose? Perché abbiamo Dio in noi. Noi sentiamo cose di cui non abbiamo in noi la ragione e fintanto che non troviamo Dio noi saremo sempre di fronte al mistero, alle tenebre. Ora, questo mistero, queste tenebre che ci avvolgono non sono altro che la parola di Dio che arriva a noi e che ci chiama: “Non sei tu che ti fai ma è un Altro che ti sta facendo”. E proprio perché è un Altro che ti sta facendo, ti fa sentire il bisogno di Sé. Se noi dovessimo ridurre in un comune denominatore ciò che noi siamo, dovremmo dire: “Io sono essenzialmente un bisogno di Dio, di luce”. Allora qui Gesù dice: “La parola che avete udito, che è arrivata a voi, non è parola di creatura, di uomo, non è mia”. Non siamo mai noi che parliamo ma è sempre un Altro che parla attraverso noi. E’ l’esempio del meccanico e della chiave inglese. Non diciamo che è venuta la chiave inglese ad aggiustare il termosifone, ma è il meccanico che lo ha aggiustato. Ora, Dio è il meccanico ma non lo vediamo perché è superiore a noi, è Spirito però vediamo il mezzo, la creatura. Per cui sbagliamo dicendo: “E’ la creatura che ha fatto questo”, no! In tutte le cose non è la creatura che parla, che opera, ma è Dio che sta parlando, che sta parlando. “La parola che udite non è mia ma del Padre che mi ha mandato”. Tutte le cose ci testimoniano che è Dio che parla a noi, che opera in tutte le cose. L’errore che noi facciamo è quello di fermarci alle creature mentre l’Operatore, il Creatore di tutte le cose è Dio. Attribuendo i fatti alle creature ad un certo momento non capiamo più niente. Comincia a vedere Dio che opera in tutte le cose e vedrai quanta luce si forma nella tua anima. Di conseguenza comincia a comportarti partendo dalla convinzione che è Dio che fa tutte le cose: vedrai quanta luce avrai dentro di te. Allora non dirai più di essere nelle tenebre e di non capire più niente ma camminerai nella luce e farai esperienza della luce perché Dio ti conferma. Mentre ti smentisce quando non arrivi a Lui perché ti fermi alle cose, altrettanto Lui ti conferma dandoti la luce, quando vedi le cose da Lui, le ricevi da Lui e le riporti a Lui.

Amalia: L’amore vero consiste nell’osservare i suoi comandamenti.

Luigi: Chi ama Dio, osserva le sue parole e chi non ama non le osserva. Ci dà in mano il termometro per misurare se lo amiamo o no. Ti interessa approfondire la parola di Dio? Hai amore per Dio. Non ti interessa approfondire le parole di Dio? Vuol dire che non hai amore per Dio anche se reciti da mattina a sera: “Signore, Signore”. Chi ama desidera conoscere tutto dell’essere amato e quindi ha molto interesse per l’essere amato.

Amalia: Gesù parla sempre motivato dal Padre quindi anche noi dovremmo sempre parlare motivati dal Padre.

Luigi: Certo. Dobbiamo accogliere questa grande distinzione che c’è in tutte le cose; tutto l’universo si può dividere in queste due parti: ci sono dei fatti che non dipendono da noi, che arrivano a noi senza di noi e ci sono fatti che dipendono da noi per cui io posso pensare una cosa o posso non pensarla, posso dirla oppure no, posso fare una cosa oppure no. E ci sono fatti che arrivano a noi senza di noi: incontro un amico, leggo una notizia. Tutto ciò che arriva a noi senza di noi lo dobbiamo accogliere da Dio perché tutto arriva a noi per mano di Dio perché in tutto Dio sta parlando con noi. Quindi non criticare, non condannare, non giudicare, non ribellarsi, ma cerca di capire perché è Dio che sta parlando con te. Questa è la prima grande classificazione dei fatti. Poi ci sono i fatti che dipendono da noi. Stai attento che quello che esce da te, esca sempre da Dio, non lasciarti muovere, non essere motivato da altro perché quell’altro ti disperde, ti porta molto lontano da Dio. Fa che le cose che partono da te, partano dallo Spirito di Dio, dall’amore di Dio. Così è anche per le parole. Tutte le parole che arrivano a noi, arrivano come opera di Dio quindi dobbiamo vedere in esse quello che Dio vuole dirci. Stai attento che le parole che escono da te, escano dallo Spirito di Dio. Quindi non parlare secondo il mondo, gli uomini, le passioni, le ambizioni, cerca sempre di parlare secondo la verità di Dio. Quando parliamo secondo altri motivi, senza accorgercene, ci incateniamo a tal punto da non riuscire più a liberarci come un baco da seta chiuso nel suo bozzolo. Il problema è che ci crediamo liberi mentre siamo costretti a correre come dei matti, condizionati dai fatti esterni di cui siamo schiavi. Come hai fatto a ridurti così? Perché hai pensato, parlato, agito non motivato da Dio. Tutto ciò che facciamo non motivati da Dio ci costringe in una prigione.

Piero: Il rapporto con Dio è essenzialmente personale.

Luigi: E’ solo quello che conta! Il gruppo è per stimolare il rapporto personale con Dio. Chi mai ha mandato un altro ad amare al posto suo? L’amore è sempre personale e il rapporto con Dio è un rapporto d’amore quindi essenzialmente personale. Ci troviamo in gruppo per ascoltare la parola di Dio, per accogliere degli argomenti nuovi ma poi personalmente si deve rivedere tutto alla presenza di Dio, nel silenzio, nel suo rapporto con Dio. Non basta sentire parlare di Dio, ma devo raccogliermi e domandarmi: “E’ vero o non è vero?”. Non posso vivere solo perché il tale mi ha detto la tale cosa. Il tale è una creatura qualunque. Gli argomenti che mi arrivano attraverso le creature, arrivano da Dio, perché le creature sono solo degli strumenti. Poi questi argomenti vanno portati nel silenzio, nel raccoglimento, nella meditazione, per vederli da Dio. Per questo è importantissimo mettere ogni giorno del tempo per Dio, che è più importante del mangiare, del dormire. Ad un certo momento ci accorgiamo che non riusciamo a stare su senza il silenzio, che facciamo solo dei disastri. Anzi, ci accorgiamo che anche se esteriormente siamo in salute, interiormente siamo un disastro.

Piero: Ad un certo momento ti accorgi che tutto il resto ti dà fastidio.

Luigi: Diventa relativo. Prima il lavoro era importante mentre adesso lo è molto meno. Non c’è niente di negativo ma tutto si relativizza perché assume un valore diverso perché il vero equilibrio si stabilisce soltanto mettendo Dio prima di tutto. Dio è un fattore di equilibrio interiore. Senza Dio, poco o tanto, siamo degli squilibrati. Scoprendo la validità del tempo dedicato a Dio nel silenzio, adesso scopro il valore immenso che ha per la mia vita. Ad un certo momento smetto di giocare a birille, di perdere tempo, di divertirmi perché ho scoperto quale grande valore ha Dio per me. Anche giocare a birille ha il suo valore, ma ne ha molto di meno che stare con Dio.

Piero: Anche la morte assume un aspetto diverso.

Luigi: Certo, perché non consideri più la morte come la fine di tutto. E poi soprattutto Dio ti convince che morire non è un annullamento ma è entrare in una dimensione superiore. Noi diciamo: “E’ morto” perché noi ci consideriamo vivi, oppure perché non lo vediamo più. Ma quello è più vivo di te. Tu che ti credi vivo, forse sei più morto di quello che credi morto. Noi crediamo che esistano solo le cose che vediamo coi nostri occhi. Il mondo che vale molto di più, è il mondo superiore a noi e che ancora non vediamo. Quelli che muoiono vanno verso un più non verso un meno.

Marco: “Le parole che voi ascoltate non sono mie ma del Padre che mi ha mandato”. È la stessa cosa che dicevano i profeti.

Luigi: Non è la stessa cosa perché quello che ha detto Cristo è comprensivo di tutto ciò che hanno detto i profeti, che ha detto la legge, ed è ancora qualcosa di più. Non c’è contraddizione tra quello che dicono le creature e quello che dice Gesù però Egli dice cose che le creature non possono dire. Quindi comprende ed è superiore perché altrimenti non ci sarebbe stato bisogno del Cristo. Cristo conferma tutte le cose che sono avvenute, infatti la verità comprende, però, pur comprendendo tutto quello che dicono le creature, dice qualche cosa che supera tutto ciò che hanno detto le creature. Infatti nelle parole del Cristo troviamo tante tracce dell’Antico Testamento: “Scrutate le Scritture, parlano di me”. Tutte le creature sono opera di Dio, quindi sono parola di Dio. La parola tende a rivelare un pensiero. La parola ci convoca alla rivelazione del pensiero; il pensiero conferma la parola ma è superiore alla parola stessa. Le parole passano ma il pensiero rimane. Noi attraverso le parole tendiamo a capire il pensiero. Una volta capito il pensiero, le parole le lasciamo andare. Così è l’opera di Dio è un parlare a noi per rivelarci il suo pensiero. Quello che mi rivela nel suo pensiero è superiore a tutte le parole: quello rimane. Il Cristo, essendo Pensiero di Dio, conferma tutte le cose di prima, però dice qualche cosa di più per noi.

Pinuccia: Quel qualcosa di più solo il Figlio ce lo può dire.

Luigi: Non sono parole quelle che dice: soprattutto ci rivela il suo Pensiero. Abbiamo parole ed abbiamo pensiero: le parole ci conducono al pensiero. Quando arriviamo al pensiero, constatiamo, cioè il pensiero ci convince. Le parole non convincono, ci rimandano al pensiero. Quando arriviamo al pensiero siamo convinti, allora abbiamo in noi stessi la ragione di quello che ci è stato rivelato. E questo è un di più, non è più una parola. Il pensiero è ancora parola ma è una parola molto diversa, che rimane eternamente, convince, è l’Essere.

Pinuccia: Gesù ci dice che se rifiutiamo Lui, rifiutiamo il Padre.

Luigi: Certo, questo avviene in tutte le cose perché è sempre Dio che parla. L’uomo, nel pensiero del suo può dire: “Sono io che parlo”, ma capiamo che è una menzogna. Come l’uomo che dice: “Io sono tutto”, “Io mi sono fatto da me”, è ridicolo. L’uomo si può vantare, si esalta perché ha dimenticato Dio. L’errore nasce proprio dall’esaltazione di sé. Rimaniamo nella verità in quanto manteniamo il confronto con la verità. Posso restare nella verità soltanto in quanto la tengo presente, continuamente la guardo, mi misuro, mi confronto. Più mi raffronto e più cresco perché siamo creati per diventare ad immagine e somiglianza di Dio. L’originale è Dio, quindi dobbiamo sempre guardare Dio. Se non lo guardiamo, immediatamente facciamo uno scarabocchio: nasce l’errore. Mettiamo la creatura al posto del Creatore, il nostro io al posto di Dio. Come mai, l’uomo che è fatto da Dio, può sbagliare? Come mai c’è l’errore? Se tutto è opera di Dio, come mai posso fare la menzogna? Perché Dio ti sta dimostrando che puoi restare nella verità solo se guardi Lui.  Per poco che ti distrai da Lui, cambi colore, devi dire che le cose sono diverse da come sono. Non puoi fare in modo diverso: nasce l’errore. Siccome diventiamo figli di quello che facciamo, diventiamo figli del nostro errore.

Pinuccia: Questo succede quando uno è occasionato, quando è sorpreso.

Luigi: Noi non siamo liberi e più ci scostiamo da Dio e più siamo sorpresi, condizionati, determinati. Infatti dopo aver sbagliato diciamo: “Se avessi saputo!”. Te ne accorgi dopo. Avresti dovuto saperlo prima! Quando le vergini stolte si trovano davanti alla porta chiusa: “Ah se avessi saputo!”. Le esigenze di Dio devono anticipare. Quando ci allontaniamo da Dio, gli avvenimenti ci prendono per il collo e ci costringono a fare delle scelte non illuminate. E quando scelgo senza essere illuminato, sbaglio sempre.

Pinuccia: Appunto dico che gli avvenimenti che ci sorprendono suscitano in noi dei sentimenti.

Luigi: Tutti i fatti che ci arrivano suscitano sempre dei sentimenti in noi perché non siamo liberi! Incontro una persona, mi giunge una notizia: è una tempesta che si scatena in me. È sentimento che entra dentro di noi e che ci determina. È sentimento che mi fa piangere, mi fa ridere, mi fa mangiare, mi fa scrivere, mi fa sedere, mi fa parlare, sono provocato. Il nostro vivere, è solo una risposta a delle provocazioni.

Pinuccia: E come facciamo a liberarci da tutto questo?

Luigi: Soltanto Dio può liberarci da questo. La vita nostra è in Dio! In caso diverso non viviamo ma siamo vissuti dagli avvenimenti. Sono gli avvenimenti che ci provocano. Il nostro vivere è solo un reagire a degli stimoli. Mangio perché reagisco ad uno stimolo, dormo perché reagisco ad uno stimolo. Ma quello non è vivere, non è essere liberi. Si è liberi, si ha la vita  solo in quanto uno ha la ragione in sé di quello che vuole; in quanto uno ha la ragione di sé in Dio.

Marco: Quindi viviamo solo quando siamo in silenzio.

Luigi: E anche quando ci comportiamo guidati dallo Spirito di Dio. Quando siamo motivati dallo Spirito di Dio. “Perché fai questo?”, “Perché Dio è così”. “Perché Dio vuole questo e allora io mi comporto così”, quando uno ha in sé la ragione di quello che vuole. Senza Dio invece noi alla domanda: “Perché fai questo?”, rispondiamo: “Perché tutti fanno così”. Oppure: “Perché altrimenti muoio di fame”, ma non si può vivere tutta la vita dietro al corpo! Il corpo è un animale quindi non posso vivere tutta la vita dietro ad un animale. La vita è qualcosa di diverso. Il corpo ti è stato dato perché tu possa vivere, ma la tua vita deve servire ad altro. Quindi non vivere motivato dal corpo. Serviti di esso, serviti delle creature, ma vivi avendo in te stesso la ragione del tuo vivere. Questo lo scopriamo soltanto conoscendo Dio. Se quando stiamo in silenzio siamo motivati da Dio, se quando  pensiamo, parliamo, agiamo motivati dallo Spirito di Dio, perché Dio è così, allora viviamo perché abbiamo in noi stessi la ragione del nostro vivere. Non abbiamo più negli altri, nel mondo biologico, all’esterno, la ragione del nostro vivere. In quel caso reagiamo solo a degli stimoli.

Paolo: Pensavo quanto la nostra vita è determinata da tutto ciò che ci succede intorno.

Luigi: Certo, però in tutto questo c’è Dio che sta parlando con te, che ti sollecita al recupero, a portarti in alto. Non preoccuparti se la tua vita è tutta un disastro, se sei sbandato, se devi correre a destra e a sinistra, ma fa crescere dentro di te questa luce, approfondisci, dai spazio. Questa è la vera preghiera. Quanto più si approfondisce, tanto più ci si accorge che i valori cominciano a cambiare. E quanto più uno si accorge che i valori cominciano a cambiare, acquista spazio per le cose che valgono di più e ad un certo momento si scopre libero, non è più dominato. Colui che ha cominciato a farci è anche Colui che porta l’opera a compimento. Dobbiamo far conto su Dio: non siamo mai soli.

Tore: Io cerco di fare silenzio, ci ho già provato ma quando mi metto a pregare mi assalgono un mucchio di pensieri. Quando fate silenzio a cosa pensate? Bisogna cercare di pensare oppure bisogna pensare senza pensare?

Luigi: Pensare è unificare, raccogliere in quanto uno ha presente, è convinto di una verità. Pensando, cerca di raccogliere altre cose in quella verità, cerca di unificare.

Tore: Ad esempio stasera cerco di fare veramente attenzione a quello che sento ma poi ogni tanto il pensiero mi scappa. Troppo spesso mi succede questo: non riesco a concentrarmi.

Luigi: Quello è un difetto, è un termometro che ci fa capire in quale situazione è la nostra anima perché per fermare un po’ il nostro pensiero, abbiamo bisogno di sentire altri che parlano. E questo succede proprio per farci constatare che siamo in balia degli avvenimenti, non abbiamo l’anima nelle nostre mani. Per cui se mi metto in silenzio, non riesco minimamente perché c’è tutto il mondo che mi porta via. La matassa è aggrovigliata. Non siamo padroni di noi stessi, siamo in balia degli avvenimenti e lo sperimentiamo proprio nel silenzio. La prima cosa che sperimentiamo nel fare silenzio è la nostra povertà. Ed è anche la prima grazia. Noi, vivendo nel mondo, apriamo la nostra casa a tutti; tutti vi entrano e la fanno da padrone e quando vogliamo entrare nella casa non possiamo perché è piena di tutti gli altri: per noi non c’è più posto. Ce ne accorgiamo quando abbiamo bisogno di pensare un po’: non siamo più capaci di pensare. Questo vuol dire che la mia anima, la mia mente è in balia degli altri, sono malato. Attualmente è una malattia spirituale, ma domani diventerà una malattia biologica perché non c’è unità dentro di me. Ormai i miei pensieri sono in balia degli altri.

Luigi: Nel versetto precedente Gesù dà la dimostrazione: “Chi mi ama osserva la mia parola”, invece qui dà la controdimostrazione: “Chi non mi ama non osserva la mia parola”, cioè ci fa capire in che cosa consiste l’amore vero. Qui abbiamo il banco di prova dell’amore: se tu osservi la parola vuol dire che hai interesse, che hai amore ma se non la osservi vuol dire che non hai amore. È un banco di prova perché ha messo l’amore alla tua portata. Io mi rendo conto se osservo la parola o non la osservo. La osservo nel senso che sto attento, la scruto per cercare di capire. Perché quando mi si dice amore, posso illudermi e dire a parole: “Io ti amo” ma faccio solo del sentimento. Gesù mi offre un banco di prova dal quale non posso sfuggire tanto facilmente. Quindi se mi interesso della parola di Dio per approfondirla, per capirla, la scruto, vuol dire che ho amore per Dio. Se la parola è parola di Dio, cioè se mi fa pensare Dio; perché se è parola di uomini, cioè che mi fa pensare alle questioni degli uomini, non mi deve interessare. La parola è parola di Dio se mi fa pensare Dio. Se io la penetro, cerco di capirne il significato presso Dio, questo è segno, dice Gesù, che in me c’è amore per Dio. Quindi l’amore di Dio non sta nel dire: “Io ti amo”, l’amore di Dio non sta nel fare certe azioni piuttosto che altre, comportarmi in un modo piuttosto che in un altro, fare delle promesse, fare dei giuramenti, fare dei voti, l’amore di Dio non sta in tutte questo. L’amore di Dio sta nell’osservare le sue parole. Capite che se uno si interessa per cercare di capire le parole di Dio non dice: “Io ti amo”? Perché dicendo: “Io ti amo” non cerca di capire. Se veramente tu ami, certamente non dici: “Io ti amo” ma ti preoccupi soltanto di arrivare a capire.

Piero: Qui Gesù è chiaro, se lo ami osservi la sua parola; se non la osservi vuol dire che non lo ami.

Luigi: Qui Gesù dice una parola molto grave. Ti sta dicendo una parola che ti costringe a capirla per dice: “La parola che io ti ho detto, non sono io che te l’ho detta”, cioè ci fa fare il passaggio che ti ha detto prima. Ti rivela che non è Lui che parla ma che è il Padre che ti sta parlando e quindi ti rivela la presenza del Padre. Lui parlando, attraverso la sua parola, ti conduce al: “Noi verremo”, a vedere una cosa che prima non vedevi. Perché se Lui avesse detto: “Sono io che parlo con te”, tu vedi Lui che parla con te. Invece Lui ti sta dicendo che è il Padre che parla con te quindi ti costringe a fare un salto. A questo punto tu puoi smentire, dire che non è vero, oppure puoi fare il salto a credere. Alla Samaritana Gesù dice: “Sono io che parlo con te” e lei si può ancora confondere e pensare che il Messia sia la presenza fisica che le sta parlando. Qui, a questo livello, la creatura non si può più confondere perché Gesù è chiarissimo: “Non sono io che parlo ma è il Padre che parla a te. Non a me ma a te”. Allora è il Padre che parla.

Piero: E’ un salto a cui Gesù ci conduce: è il Padre che parla a noi.

Luigi: Vedi che è il Figlio che parlando con te ti conduce a scoprire che è il Padre che parla con te e che quindi ti conduce alla presenza del Padre? Perché Lui ti dice: “O credi o non credi a quello che ti dico”; se credi, sei impegnato a capire. “Le parole che io ti dico non sono io che te le dico ma è il Padre”, allora è il Padre che mi sta parlando; allora se mi sta parlando vuol dire che ti è presente. Vedi che ti sta rivelando una cosa? Quella venuta è rivelazione di una presenza. Ma è Lui, è la sua parola che ti dice quello che ti aveva già detto prima: “Noi verremo”. Se tu osservi la sua parola, la sua parola ad un certo momento ti dice: “Non sono io che parlo ma è il Padre che sta parlando a te”. O provi a smentirlo, oppure impegnati per arrivare a capire. È l’importanza della parola perché nessuno mai ha parlato in questi termini e nessuno mai parlerà come Lui perché è vincolato: solo il Figlio può parlare così!

Tiziana: Gesù è il Verbo del Padre, e come tale agisce nella volontà del Padre al punto che fanno una cosa sola.

Luigi: Questo è per farci capire la presenza del Padre e del Figlio in noi. Lui non può dire niente se non è del Padre e solo del Padre. Lui parla solo del Padre altrimenti non sarebbe più Figlio. Lui non può parlare senza nominare il Padre. Perché se potesse parlare senza nominare il Padre, non sarebbe più Figlio. Il Figlio è Figlio in quanto parla solo del Padre. Non fa niente di sua iniziativa. Noi invece possiamo parlare di una cosa piuttosto che di un’altra, perché le cose partono dalla nostra iniziativa: a questo punto noi siamo figli di tanti. Se invece fossimo figlio di uno, noi parleremmo solo di quello. Uno che abbia un amore solo, il calcio ad esempio, pensa e parla solo di calcio. Quando uno ha un amore unico, pensa solo a quello e parla solo di quello e in tutto si comporta determinato da quello. Ecco, questo è un segno del figlio. Il figlio è caratterizzato dal fatto che in tutto è determinato dal Padre: nel suo pensare, nel suo parlare, nel suo agire. Anche noi, non siamo figli di Dio solo perché ce l’hanno detto, (anzi pensando così andiamo all’inferno), ma in quanto nel pensare, nel parlare, nell’agire, ci comportiamo secondo Dio: è quello che mi caratterizza come figlio, cioè non faccio niente di mia iniziativa. Quello che ci fa figli di Dio è questa dipendenza, è questo rispettare in tutto l’iniziativa di Dio, nell’agire nei quadri di Dio. Perché pensi Dio? Perché sei condizionato dalla presenza di Dio. “Penso a Dio” allora il tuo pensiero è una conseguenza della presenza di Dio: allora qui sei figlia di Dio. Se io dico una parola, ma la dico determinato da altri, divento figlia di altri. Ecco per cui noi possiamo diventare figli di altri. Ognuno di noi diventa figlio di ciò a cui dedica il pensiero, di ciò per cui vive.

Tiziana: Qui Gesù annuncia di essere il ponte, il tramite, il mezzo attraverso il quale il Padre è in relazione con noi: “Io sono la via, la verità e la vita”. È via in relazione a noi che dobbiamo percorrere la via, ma una volta che si è percorsa la vita, la via non c’è più.

Luigi: Si, hai ragione.

Tiziana: Anche se in Sé, Gesù è la via.

Luigi: Certo.

Tiziana: Quindi quando Gesù ci conduce al Padre, la via di Cristo rimane sempre.

Luigi: Si, perché è una realtà. Cioè è il tuo pensiero che non è più tuo ma è Pensiero di Dio: per cui tu formi una cosa sola col Pensiero di Dio.

Giovanna: Osservare le sue parole avviene nel silenzio, col pensiero.

Luigi: Solo col pensiero; se io credo di osservare le parole di Dio agitandomi, sto fresco. Oppure  vestendomi in un modo piuttosto che in un altro; d’altronde voglio vedere, senza pensiero, solo con l’azione a osservare queste parole qui! Voglio vedere, cosa succede! Prova ad osservare le parole senza pensarle, cercando di “farle”: vedi dove vai a finire.

Amalia: Lui qui mi annuncia che quando Lui parla a me, è il Padre che parla a me.

Luigi: Parla a me: per cui impegna me a trovare, questa presenza: sapendo che c’è, perché me l’ha detto. Se non osservo le Sue parole non arriverò mai a capire che la realtà è il Padre che parla a me. E resterò giudicato dal rifiuto ad osservare le Sue parole. La Parola ti dice: “E’ il Padre che ti parla”; devi arrivare a constatare che è il Padre che ti parla.  Tutta la parola è sviluppo, è dinamica. Ogni parola è per condurti ad un’altra parola, ad un’altra e a qualunque punto tu ti fermi, perdi tutto; perché la parola era in funzione di condurti a quel punto là. È come una strada: la strada ha una meta; a qualunque punto della strada tu ti fermi, tu hai perso tutta la strada, perché non sei arrivato alla meta. Ecco: tutto il parlare di Dio è una strada. Se io prendo le parole del Signore riguardo alla povertà, alla semplicità, e il resto lo lascio correre, in realtà lascio correre tutto. Ora, ogni parola è in funzione di un’altra successiva, bisogna passare, passare, passare, fino ad arrivare al punto centrale, che è proprio questa rivelazione della presenza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo che è inizio di vita eterna. Ora, se non si arriva lì, tutto è stato sprecato. La fedeltà è tale in quanto conduce alla meta.

Silvana: Il punto luce è il Padre.

Luigi: Per questo è necessario che ad un certo punto tutto se ne vada, anche Cristo stesso, che è Dio! Altrimenti non possiamo giungere a ricevere lo Spirito. Con questo Lui ci rivela il significato del passare di tutte le cose. Perché il Cristo è il rivelatore del significato di tutto. Noi siamo immersi nel tempo, tutte le cose passano, ogni giorno noi non facciamo altro che subire la morte di tante cose: ogni cosa che vediamo, è già passata; arriva un momento in cui gli stessi pensieri vengono e non li possiamo trattenere un istante che son già andati. Ecco: perché tutto questo passare? Che significato ha? Ecco, Cristo rivela: “Tutto passa per lasciare il posto allo Spirito, allo Spirito di Verità, in te”. Perché se le cose non passassero, in te non potrebbe venire lo Spirito di Verità. Ora il centro di tutte le cose è il Cristo e anche Lui deve passare, per lasciare il posto allo Spirito Santo. Come Giovanni Battista che a un certo punto dice: “E’ necessario che io diminuisca, e che Lui cresca” ecco come parlano i veri maestri. “Lui deve crescere” il vero maestro. Ma lo stesso vero maestro a un certo momento dice: “Io me ne devo andare, affinché  venga in voi lo Spirito”. Cioè è questo essere che non si pone mai al posto di Dio; per dare la possibilità alle nostre anime di attingere personalmente. Cioè, la funzione del maestro, la funzione della strada, è quella di condurti alla sorgente; ma quando ti ha condotto lì, si ritira e dice: “Adesso tu bevi”.

Ascoltando tutto quello che mi dice l’altro, io stesso divento come l’altro: perché l’altro mi trasmette il suo pensiero. Per cui ad un certo momento io sono là dove si trova quell’altro, e allora vedo quello che vede quell’altro. Se io non vedo, è perché non sono tutto come l’altro.

Questa rivelazione è una presenza che è estremamente personale; per cui, la Realtà la si attinge personalmente: non la si attinge in gruppo, non la si attinge nel mondo, è una cosa estremamente personale: è lì la meraviglia di Dio! Che Lui si dona tutto ma personalmente. 


“Vi ho detto queste cose stando ancora in mezzo a voi”. Gv 14 Vs 25


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24/ Gennaio /1981


Luigi: Prima di tutto uno comincia a scoprire che non è solo, che c’è sempre Dio con noi e questo è un principio di grande pace. “Nemmeno un capello cade senza che Dio lo voglia”, quindi tutti gli avvenimenti sono voluti da Lui. Quando uno cammina sulla sua parola, parte con un carico di fiducia perché: “Io so che sono pensato da Te”. Noi sbagliamo sostanzialmente quando diciamo: “Siamo noi che pensiamo”! non siamo noi che pensiamo! Ad un certo momento facciamo questa grande scoperta, che è una meraviglia, che non siamo noi che pensiamo Dio ma è Dio che pensa a me. Noi sostanzialmente siamo pensati da Dio, noi esistiamo in quanto siamo pensati da Dio. Continuamente noi siamo l’oggetto del pensiero di Dio ed è questo che dobbiamo scoprire! Non sono io che penso ma è Lui che pensa a me. Pensando noi non facciamo altro che rispondere al suo pensiero. È una risposta che diamo al suo Pensiero ed è lì che uno trova la conferma di Dio che dice: “Ci sono!”.

Piero: Lui c’è già, l’importante è scoprire la sua presenza.

Luigi: L’importante è entrare in sintonia con Dio. La radio quando si sintonizza con la stazione trasmittente, riesce a captarla. Dio è la stazione trasmittente e noi il più delle volte non siamo in sintonia con Lui perché pensiamo a noi stessi, facciamo dipendere le cose da noi, dagli uomini, dalla natura. Non sei in sintonia perché la verità non sono gli uomini, la verità non sei tu, la verità è Dio. Se ti sintonizzi con Dio, allora ti accorgi che avvengono dei miracoli davanti a te perché cominci a vedere che Lui ti prepara tutto, ti accompagna in tutto, ti suggerisci i tuoi stessi pensieri: noi abbiamo un tesoro immenso nelle mani e lo buttiamo via! Non ci rendiamo conto di questo! Noi sostanzialmente soffriamo perché non siamo amati. Non essere amati significa che non siamo pensati. Noi siamo pensati continuamente da Dio, ma non essendo in sintonia con Lui, ci sentiamo soli. La meraviglia dell’amore è questa: scoprire che siamo pensati da un altro. Allora uno si sente compreso. Noi siamo sempre pensati da Dio ma pensando a noi stessi usciamo da questa sintonia e allora cominciamo a sentirci soli, non ci sentiamo compresi e di conseguenza subiamo tutte le problematiche del nostro io (compresa l’incomunicabilità). Mettiti in sintonia con la verità. Siccome noi siamo materialisti pensiamo che tutto si giustifichi nella materia per cui diciamo che la verità è un’altra, che bisogna tenere i piedi per terra, per cui sono gli uomini che fanno, la verità è la ricchezza, è il denaro, la gloria. Diamo il nome di Dio a queste cose, ci facciamo degli idoli e di conseguenza sperimentiamo la solitudine. Mettiti in sintonia con Dio e riconosci chi è Colui che ti crea, che opera in tutto. Entrando in sintonia con Dio, scopri di essere pensato, che sei voluto da Lui, che non sei solo, che Lui ti guida in tutto, che Lui ti accompagna in tutto. Ma quando scopri questo cominci a trionfare sul mondo, a diventare signore del mondo, non più schiavo del mondo. Di cosa hai ancora paura?

Piero: Di tutte le sicurezze che ci eravamo creati non resterà pietra su pietra.

Luigi: Certo, perché quando non siamo in sintonia con Dio, abbiamo paura di tutto, per cui ci circondiamo di puntelli: l’assicurazione, il conto in banca, il lavoro, la medicina, tutto perché da soli non stiamo su. Poi quando abbiamo costruito una bella difesa tutta intorno a noi, ci accorgiamo che non ci sostiene perché quando arriva il momento della prova, tutto crolla! Allora mi accorgo di aver sbagliato tutto perché per risolvere questo problema tutto quello che ho costruito intorno a me, non mi è servito. Credevo che avendo guadagnato un patrimonio mi sarei assicurato l’amore della creatura che amavo di più. Invece quella creatura se va e mi rivela che non le è mai interessato nulla del mio patrimonio. È da notare che il Signore è un artista, perché ci tocca proprio nel punto che ci sta più a cuore proprio per farci capire l’errore che abbiamo fatto. Ci tocca in un punto solo e ci confonde tutte le nostre certezze. L’importante è scoprire che c’è un Creatore che non ha creato all’inizio, non c’è una creazione all’inizio. Il Signore è il Creatore di ogni giorno. Noi facciamo un errore dicendo: “Dio ha creato l’inizio”(se crediamo in Dio). Anche questo è tutto da vedere perché forse il mondo è sempre stato eterno. Se tu credi che Dio è il Creatore, non è creatore solo dell’inizio, ma è il Creatore di ogni giorno. Il Creatore non ti ha creato solo il giorno della tua nascita, ma crea ogni giorno. È Lui che ti fa correre su una strada, è Lui che ti porta a casa, è Lui che ti fa sorgere il sole, Lui è il Creatore di tutto, sempre, in continuazione. La creazione continua. Allora, vivi in questa presenza, vivi, con la consapevolezza che Dio tutte le cose le sta creando per te, e quindi sta parlando a te. Qui entriamo in sintonia e cominciamo a scoprire che nel silenzio, raccogliendoci nel suo Pensiero, scopriamo la sua Presenza perché non siamo noi che pensiamo ma è Lui che pensa a me. In questo momento non sono io che mi sono deciso ad entrare in silenzio a pensare Dio, è Dio che mi ha convocato a raccogliermi alla sua presenza. È Lui che mi chiama alla sua Presenza. È lì che scopro Dio che mi dice: “Io sono Colui che è”. Perché non sono io che penso ma è Lui che mi chiama. Perché neanche un capello cade senza che Lui lo voglia, quindi non mi posso fermarmi a pensare se Dio non mi fa pensare, nessuno di noi lo può fare. Tutto quello che accade è opera del Creatore. Quindi se ci mettiamo in silenzio, non siamo noi che ci mettiamo in silenzio, riconosci il Creatore, è Lui che ti chiama, è Lui che ti invita a fare un po’ di silenzio. Allora è Lui che pensa a te, è lì che si scopre la sua presenza.

Ida: Vivo delle contraddizioni perché anche se so che certe cose non fanno la gioia del Signore, le faccio lo stesso. Perché?

Luigi: Perché per imparare a fare quello che vuole il Signore, prima di tutto dobbiamo essere molto allenati. Generalmente noi siamo portati a fare ciò che siamo portati a fare perché diventiamo figli delle nostre opere. Se oggi mangio una bignola e poi mi propongo di non mangiarla più domani, quando il giorno dopo arriva quell’ora mi arriva la tentazione. Come mai? Non voglio farlo però lo faccio. Perché quello che ho fatto ieri, oggi mi domina. Come noi facciamo una cosa, poi siamo sollecitati a ripetere e così che si forma il vizio. Noi da soli, diventiamo abitudine e diventando abitudine ci chiudiamo in una routine. Le persone vecchie, non solo di anni, sono tutta un routine, non riescono più ad uscire dalle loro abitudini.

Ida: Però il rendersi conto di non dover vivere una vita secondo Dio e poi non viverle, vuol dire non rispondere positivamente a Dio. Nello stesso tempo resti schiacciato da questa situazione.

Marco: Io non vorrei mangiare la bignola, magari non la mangio, però resta il fatto che vorrei mangiarla.

Luigi: Dobbiamo tenere presente che la nostra volontà, il più delle volte, è soltanto effetto di abitudine perché ho fatto questa azione, l’ho fatta tante volte nella mia vita, ora sono sollecitato a rifarla. Però il dover rompere le nostre abitudini, diventa un’impresa molto faticosa, molto difficile per cui abbiamo bisogno di tanta grazia da parte del Signore per rompere le nostre abitudini. Senza renderci conto noi ci chiudiamo in una prigione di routine, di abitudini mentre Dio è una sorgente di novità continua. Dio opera in noi per creare una certa agilità, in modo da essere sempre disponibili secondo quello che capiamo che è vero. Per cui capisco quello che è vero, però non riesco a farlo, e ricado nell’abitudine. Sarebbe bello, ma non posso, non ci riesco. Il giorno in cui riconosco ciò che è vero e riesco a farlo, sono libero: questa è la libertà. La libertà sta in questo: vedo la verità e posso farla. Mentre la schiavitù sta nel vedere la verità e non poterla fare. Vedo ciò che è giusto ma non posso fare in modo diverso, allora sono schiavo. Come mai sperimentiamo la schiavitù? Perché abbiamo questo conflitto: vediamo il bene ma non riusciamo a farlo. Al mattino ci facciamo un proposito e poi durante il giorno facciamo il contrario. Sono dominato da altre cose. La vera libertà sta in questo: quando la nostra anima vede la verità e abbiamo tutte le nostre facoltà, la nostra volontà che risponde: “E’ vero!”; ma il poter fare ciò che l’anima riconosce come vero, è libertà, è gioia.

Amalia: Il fatto di renderci conto della nostra schiavitù non deve gettarci nell’angoscia.

Luigi: Certo, quello è un richiamo di Dio per dirci quanto abbiamo bisogno di Lui. Infatti più pensiamo a noi o più facciamo leva sulla nostra volontà e più cado. Il Signore ci vuole insegnare a non far leva sulla nostra volontà, sul nostro impegno, sul nostro proposito ma a far leva su di Lui perché è Lui che mi libera, è Lui che mi aiuta ad uscire dalle mie abitudini. La soluzione è far crescere la parola di Dio in me, devo fermarmi a meditare, ad approfondire, a conoscere sempre di più il Signore. Più conosco Dio, più approfondisco e più Lui mi libera dalle schiavitù del mio io. Il Signore è buono, è paziente, Lui ci perdona sempre quindi non dobbiamo aver paura di cadere. Dio perdona sempre, l’uomo perdona qualche volta, con la grazia di Dio, la natura non perdona mai. L’importante è far conto su Dio perché Dio è l’Essere veramente buono.

Marco: A volte penso che sono parecchi mesi che vengo all’incontro e sono sempre allo stesso punto.

Luigi: L’importante è mantenere questa apertura verso Dio e se, per grazia di Dio, arriviamo in punto di morte con questa fiducia nel Pensiero di Dio, noi abbiamo risolto il problema. Certo che se il Signore ci dà la grazia di poter arrivare prima a fidarci solo di Lui, meglio. Però l’importante è approdare a questa fiducia in Dio.

Piero: L’importante è essere in sintonia con Dio poi sarà Lui a decidere se in punto di morte o prima arriverò a fidarmi totalmente di Lui.

Luigi: Dobbiamo convincerci profondamente di questo: il Signore c’è ed è Lui che opera tutto e non dobbiamo muoverci da lì, fintanto che non ne siamo veramente convinti. “Io sono veramente convinto che è Dio che opera in tutto, o no?”, in tutto! Quando sarai convinto di questo, allora vedrai i passi successivi da fare. Prima di tutto bisogna fare questa tappa che è il primo atto di fede: credi in Dio? credi che Dio esiste? Ma non a parole, nel vero senso: Dio è Colui che fa tutto, Dio è il Creatore di tutte le cose, visibili e invisibili, tutte, giorno per giorno, momento per momento, attimo per attimo, dentro di te e fuori di te. Fintanto che non sei convinto di questo discutiamo, discutiamo, discutiamo su questo argomento perché questo è il primo passo.

Piero: Dopo che si è formata la convinzione che Dio è il Creatore di tutto, sarà Dio stesso a proporti gli altri passi da fare, le altre scelte.

Luigi: Teniamo presente che Dio non è un Essere burbero, un padrone, ma Dio è un Padre, Dio è buono, è Lui che ci ama per primo. Se noi siamo capaci ad amare, è perché è Lui che ci ha insegnato ad amare. A volte sento dire: “Dio non parla”, ma come?! Noi che siamo creature parliamo e Dio che è il Creatore non parla? Noi che siamo creature ci amiamo, è cerchiamo di essere buoni gli uni con gli altri e Lui che è il Creatore non ci ama? Noi amiamo perché Lui è una sorgente di amore. E dobbiamo avere paura di Lui? Noi dobbiamo avere paura di noi stessi, non di Dio.

Teresa: Il desiderio di approfondire le parole di Dio viene da Dio. E le difficoltà che sorgono vengono anche da Dio?

Luigi: No, vengono dal nostro io ma nonostante questo tutto ci aiuta per conoscere Dio perché Dio fa tutto per aiutarci a conoscerlo. Quindi tutto è positivo, non c’è il negativo. Il negativo viene soltanto dal pensiero del nostro io. Se noi cerchiamo Dio prima di tutto, ci accorgiamo che tutto concorre al bene, cioè a conoscere Dio. Se noi siamo orientati all’essenziale tutto ci serve per conoscere Dio.

(Incontro 7.11.1987)

Luigi: “Vi ho detto queste cose mentre mi trattengo ancora in mezzo a voi”.

Franco: Gesù parla al nostro livello, usando parole che noi possiamo capire.

Luigi: “Non sempre avrete me”, “E’ necessario che io me ne vada”. Gesù ci fa capire che ci dice queste come mentre è ancora con noi quindi mi fa pensare che arriva un tempo in cui non è più con me. Un periodo in cui mi restano le sue parole. C’è una diversità enorme. Ad esempio, in questo momento io sto parlando con te: c’è la mia presenza e c’è la parola. Arriva un momento in cui la presenza se ne va e resta solo la parola. C’è una diversità enorme, abissale, tra il momento in cui c’è la persona che dice la parola, e il momento in cui mi resta solo la sua parola. In che cosa consiste questa diversità, per cui è importantissimo che la parola sia detta e che colui che la dice sia presente, invece che la parola sia detta senza la presenza della persona che la dice. La presenza di Dio è con me, ma poi passa. Mi resta la parola, ma quella parola lì, senza la presenza di Dio che me la dice, non è più efficace. Perché è Dio che mi fa fare il passaggio, non è la parola. È Lui che mi dice la parola, e con la parola mi aggancia, ma è Lui. Mi resta il vestito, la fotografia, ma Lui non c’è più. La differenza è tra avere la fotografia di una persona ed avere la persona. Ad un certo momento noi conserviamo la reliquia, il vestito, ma Lui non c’è. Quindi la presenza di quel: “Con me”, che mi dà la grazia, la possibilità di passare dal luogo in cui io sono al luogo in cui Lui è. Fintanto che Lui è con me, mi dà la possibilità: “Camminate fintanto che la luce è con voi, altrimenti le tenebre vi possono sorprendere”. Quindi è la sua presenza che mi dà la possibilità, parlando con me, alla sua presenza, di passare dal luogo in cui io sono al luogo in cui Lui è. Ora, bisogna capire bene che cosa significa questa presenza: “Con me” che passa. Perché ad un certo momento Lui mi dice: “E’ necessario che io me ne vada” però: “Dove io sono voi non potete venire”, il che vuol dire che io posso andare solo con Lui, dove Lui è. E se posso andare solo con Lui, ed io l’ho lasciato andare, è finita. Fintanto che Lui è “Con me”, ho la possibilità di fare il passaggio altrimenti la cosa cade nella mia iniziativa. Quando Lui non è con me, adesso sono io che mi devo dare da fare per correre dietro il treno! Ho perso l’occasione, ora non ho più la possibilità.

Mario: Però noi non ce ne accorgiamo quando Lui è presente e ci parla.

Luigi: Quando Lui è presente, dobbiamo preoccuparci. Perché con la sua presenza noi abbiamo una grazia grande perché la presenza di una persona mi dà la possibilità di uscire dal pensiero del mio io e di fare attenzione all’altro. La grande grazia è questa. Altrimenti cosa succede? Che quando l’altro se n’è andato, sono io che penso, la cosa è caduta nella mia iniziativa. E nella mia iniziativa io non posso andare dove Lui va, non posso arrivare al Padre. Il valore veramente importante è la presenza di Lui con me. È quando Lui parla con me che mi dà la possibilità di passare dal pensiero del mio io al suo Pensiero e quindi di uscire dalla mia iniziativa. Perché quando l’altro mi parla, sono nell’iniziativa dell’altro. Allora, nell’iniziativa dell’altro posso andare dove Lui è, di mia iniziativa non posso andare: “Dove io sono non potete venire”. Perché se sono nel pensiero dell’io, per quanti sforzi faccia, sono sempre nel pensiero dell’io. Invece il problema è quello di superare il pensiero del nostro io. Ma lo supero solo alla presenza di un altro. Ecco perché è una grande grazia avere la presenza di un altro, perché noi da soli non possiamo liberarci dal pensiero del nostro io. Il pensiero dell’io diventa ossessivo in noi e l’altro, venendo a me, parlando con me, mi dà la possibilità di superarmi. E questa è una grande liberazione, il poter dimenticarci è una grande liberazione.

Grazia: Dio è sempre con me.

Luigi: “Ma non sempre avrete me”. Quando Lui parla con me, mi dà la possibilità di superare me stesso. Ma è solo quando parla con me che mi dà la possibilità. Se Lui non parla io resto nel pensiero del mio io. Oppure se mi arriva la sua parola, ma non mi arriva la sua presenza, continuo a rimanere nel pensiero del mio io perché sono io che medito sulle sue parole. Ma sono sempre io che medito, non è Lui che mi trascina. È una situazione molto diversa: è la grande grazia della presenza di Dio. E’ Lui che mi dà la possibilità di superare me stesso con la sua presenza.

Grazia: Però nel caso in cui io volessi superare il pensiero del mio io per abbracciare il Pensiero di Dio …

Luigi: Perdo il contatto perché la cosa cade nella mia iniziativa. Adesso sono io. Magari voglio ritrovare la presenza di Dio, però siccome sono io che voglio, non lo ritrovo nel modo più assoluto. Perché io ritrovo Lui se Lui viene a me e mi parla, non in quanto sono io che lo voglio. È come se tu volessi che il telefono squillasse, se l’altro non mi chiama, io posso sognare che il mio desiderio si avveri ma il telefono non squilla. Posso pensare una persona, posso immaginarmela però se quella persona non viene a me, io resto con tutti i miei desideri insoddisfatti e le mie fantasie. Mi resterà sempre il dubbio se quella persona era veramente come me l’ero immaginata io, oppure non lo era. Non c’è nessuna che ci possa liberare da questa soggettività. Soltanto la presenza dell’altro mi può liberare da questa soggettività altrimenti io cado nel campo della soggettività e in questo campo che si creano i dubbi: vado all’inferno col dubbio. Non ne esco, non arrivo alla certezza. La certezza non viene dal mio io. La certezza viene dall’altro che mi porta la presenza. È la presenza dell’altro che mi porta la certezza.

Delfina: Ma quel trattenersi non è solo per i discepoli.

Luigi: No, quello che Gesù ha fatto con i discepoli, è rivelazione di ciò che Dio fa con ognuno di noi. Tutta la vita di Gesù è rivelazione per ognuno di noi personalmente e se ci fermiamo a meditare capiamo i nostri rapporti con Dio, per farci capire come Lui tratta con ognuno di noi.

Tiziana: Dobbiamo fare il passaggio dalla sua presenza come concessione alla sua presenza come partecipazione alla realtà di Dio.

Luigi: La presenza come partecipazione deriva dal Padre. Invece la sua presenza come concessione è: “Ancora per poco tempo sono con voi” ed è questa presenza che mi dà la possibilità di passare all’altra presenza che viene poi dal Padre.

Tiziana: E il modo per passare è l’osservanza della parola.

Luigi: Si, però quando è “sua parola” non quando è “mia parola”. Oppure non in quanto “sono io che penso” ma in quanto “è Lui che parlando mi fa pensare”, per cui mi sorprende. Ecco, io mi trovo nella sua iniziativa, sono operato da un altro. Tutto si interrompe quando io sono l’operante, quando l’iniziativa cade in mano mia, non posso arrivare alla verità. Cioè sarò io che mediterò, che farò buone riflessioni ma sono sempre io. C’è un abisso tra: “Sono io che medito la parola di Dio” e “E’ Dio che mi fa pensare quello che mi sta dicendo”.

Tiziana: Si può avere la parola ma non la Presenza. Però da parte di Dio non ci può essere la parola senza la presenza.

Luigi: Da parte di Dio sì, però è da parte nostra la fregatura! Non che Dio si sposti ma sono io che cado nella mia iniziativa per cui Dio può essere vicinissimo a me, posso essere a tu per tu con Dio e non toccarlo, e non vederlo e piangere perché mi sento solo. I malati immaginari patiscono la malattia drammaticamente e muoiono del loro male. La realtà è diversa ma questo non mi libera dalla soggettività perché: “Dove io sono voi non potete venire”. Per cui Lui è presente ma io non posso andare dove è Lui. Solo se Lui mi conduce io posso andare: “Io vado a prepararvi un posto affinché dove sono io siate anche voi e vedere”. Vedere è una conseguenza di trovarci nello stesso posto dove Lui è.

Maria Pia: L’iniziativa è di Dio, per cui se rimango unita a Dio, rimango nella sua iniziativa.

Luigi: Io però posso perdere questa iniziativa. Guarda che l’iniziativa è “una pieghetta”, è come una “pieghetta di una foglia”, si può perdere con un pensiero e di conseguenza ricadere inevitabilmente nella nostra iniziativa. Per questo Gesù ci dice: “Vegliate perché non sapete il momento in cui io passo”. Passano cinque minuti e Lui non c’è più: ed io sono ricaduto nella mia iniziativa.

Nino: “Queste cose io le dico essendo con voi”, quindi le dice mentre noi siamo ancora nel campo della fede. Quando le avrete interiorizzate, vi sosterranno quando non ci sarò più come presenza fisica.

Luigi: Si, se saremo passati con Lui. Dopo che Lui è passato fisicamente, per gli altri è finita, ma per i suoi discepoli rimane presente spiritualmente. A questo punto scopriamo una cosa: che noi assolutamente, nel pensiero del nostro io, non possiamo né pensare, né immaginare di capire; per cui ci accorgiamo che è tutta opera di un Altro, che non è opera del nostro pensare.

Raffaella: “… mentre sono ancora …” fa pensare ad una situazione temporanea.

Luigi: Certo, ci fa capire che questa situazione, non sarà più: “Ancora per poco sono con voi. Camminate fintanto che la luce è con voi, affinché le tenebre non vi sorprendano”. Quindi ci fa capire che:

-                     c’è il rischio che le tenebre ci sorprendano;

-                     della necessità di non fermarci: “Tanto Lui è con me”;

-                     della necessità di camminare ma camminare dove? Con Lui! cioè passare dal mio mondo, al Suo mondo, dai miei pensieri al suo Pensiero! Quando Lui è presente posso fare il passaggio ma quando Lui se n’è andato non lo posso più fare.

Raffaella: L’importanza di camminare nel momento in cui la parola e non è ancora stata macchiata dal pensiero del mio io per cui mi dà la possibilità di fare il passaggio alla presenza.

Luigi: Certo, quindi non deve essere macchiata dal pensiero del mio io perché quando è macchiata non serve più per l’offerta, non serve più per il sacrificio. L’ostia deve essere immacolata: quello che macchia tutto è il pensiero del mio io. E siccome tutto finisce, perché tutto è segno di Dio, il mio io può macchiare tutto. A quel punto il Signore si alza e chiude la porta; io posso bussare per l’eternità ma la porta non si apre più perché sono caduto nella mia iniziativa e dove c’è la mia iniziativa non posso passare. Nel mondo di Dio posso passare solo su iniziativa di Dio, se cado nella mia iniziativa non passo perché la porta è chiusa. È importante capire questa grande diversità:

-                     si entra nel regno di Dio su iniziativa di Dio,

-                     e non si entra su iniziativa nostra.

Raffaella: Gesù ci dice questa cose mentre è ancora fisicamente con noi ma noi non siamo nella condizione di poterle capire.

Luigi: Si, però le dobbiamo interiorizzare perché lo Spirito Santo ci farà capire tutto quello che abbiamo interiorizzato di Lui, tutte le parole del Figlio. “Lo Spirito Santo non vi dirà niente di nuovo ma vi farà ricordare tutte le cose che vi ho detto e ve le illuminerà” ve le farà capire. Non vi dirà niente di nuovo eppure lo Spirito di Verità farà tutto nuovo. Mi farà capire in quanto le porto in me, ma se io non porto niente in me di Lui, lo Spirito di Verità, venendo, mi butta nella notte perché non trova niente del Figlio, quindi mi annulla tutto.  Lo Spirito di Verità brucia tutto ciò che non è di Dio ciò che è di Dio te lo illumina.

Franca: L’importanza di non scollarci da questa presenza  perché è preparazione alla presenza spirituale.

Luigi: E’ la realtà in cui ci troviamo. È la realtà e noi dobbiamo imparare a restare in questa realtà. Il rischio grande in cui ci troviamo è quello di scollarci da questa realtà in cui ci troviamo perché allora crediamo di essere noi che pensiamo, che fantastichiamo, e lì è finita.

Franca: Lui se ne va e noi rimaniamo…

Luigi: Rimaniamo staccati dalla realtà per cui cominciamo ad accorgerci che siamo noi che facciamo la realtà. E quando ci accorgiamo che siamo noi che facciamo la realtà è finita, entriamo nel fantastico, nella pazzia per cui: “Sono io che faccio la realtà”. E mi accorgo che sono io che faccio la realtà e non posso pensare in modo diverso: sono io che il lettore della realtà, sono io l’interprete della realtà. Entro nel dubbio: “Sono io che faccio la realtà, sono io che vedo le cose così” e chi mi libera da questo dubbio?

Luigi: L’iniziativa è mia quando penso che sono io che medito la parola, sono io che prego, sono io che penso, sono io che la dico; invece con la Presenza di Dio, è Lui che la dice, è Lui che parla, è Lui che mi fa pensare quindi l’iniziativa è sua. Noi entriamo nella verità su iniziativa dell’Altro e quando le cose cadono nella nostra iniziativa siamo chiusi fuori.

Pensieri conclusivi:

Franco: Dobbiamo stare molto attenti a non lasciar passare inosservata la parola di Dio nella nostra vita.

Luigi: S. Agostino dice: “Io temo il Signore che passa”; dobbiamo avere quel timore: non lasciarlo passare. Invece il nostro timore consiste nell’affaticarci per le cose che passano.

Nino: Custodire in noi la parola col desiderio che il Padre ce la farà capire.

Luigi: Si, perché la parola è illuminata dal Padre, restando col Figlio altrimenti la cosa cade nella nostra iniziativa e allora siamo noi che vogliamo capire.

Grazia: La parola è sempre presente in noi.

Luigi: Cristo viene a morire in noi, la parola di Dio viene a morire in noi.

Fabiola: C’è sempre il rischio di leggere la parola nel pensiero del nostro io.

Daniela: Solo la presenza di Dio ci salva.

Luigi: Si, è solo la presenza di Dio che ci libera dal pensiero del nostro io e anche se avessimo tutta la cultura, tutti i libri, tutta la Bibbia, tutte le parole di Dio, non sono sufficienti a liberarci dal pensiero del nostro io.

Pinuccia: E’ il Padre che mi sta parlando.

Luigi: Certo.


Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Gv 14 Vs 26


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14/ Novembre /1987


Luigi: Lo Spirito Santo fa capire le cose; anche Cristo, ma lo Spirito Santo fa capire in maniera diversa, in maniera “definitiva”; lo Spirito illuminerà tutto ciò che la creatura ha custodito del Figlio; mentre quanto essa porta ‘non del Figlio’, le verrà –dallo Spirito Santo- bruciato.

 

Luigi: Lo Spirito Santo è lo Spirito della Presenza del Padre e del Figlio; qui, con queste parole, Gesù ci fa capire che questa Presenza è una conseguenza della conoscenza del Padre e del Figlio.

Ecco: il Figlio ci conduce al Padre, e nel Padre si ritrova il Figlio; dal Padre e dal Figlio giunge la conoscenza dello Spirito Santo, che è, dunque, lo Spirito della Presenza del Padre e del Figlio.

 

Luigi: Nel mondo sensibile, noi prima troviamo le presenze, e poi le conosciamo (per modo di dire).

Nel campo spirituale è il contrario, c’è un capovolgimento.

Si tratta un po’ del capovolgimento che c’è tra il cervello ed il nostro corpo; c’è sempre un capovolgimento…qui sulla terra si dice: “beati i ricchi”, mentre nel campo dello Spirito di dice il contrario.

Quindi, anche qui: nel campo dello Spirito, prima si conosce, e poi si constata la presenza.

 

Luigi: Se tu hai creduto alla Parola di Dio, Essa ti conduce; però si richiede l’opera dello Spirito: è per opera Sua che avviene questa rinascita.

E nella scoperta della Presenza del Padre e del Figlio in te, tu scopri anche te stesso come un io nuovo.

Non è più l’io di prima; è un io nuovo, in quanto forma una cosa sola con il Figlio, con il Pensiero di Dio.

 

Luigi: La luce è sorgente di gioia: è questa la pace che ci promette il Signore.

 

Luigi: Con lo Spirito avviene questo capovolgimento: anche la nostra notte diventa più luminosa del giorno.

Perché la stessa assenza di Dio diventa segno della Sua Presenza: diventa Presenza di Dio; ecco la meraviglia.

Nel campo sensibile, l’assenza è assenza: se una cosa non la vedo, non la vedo!  Ma nel campo dello Spirito, se io non vedo una cosa, significa che la ho presente.

E siccome la Realtà è Spirito, ecco che l’assenza diventa testimonianza di presenza.

Cioè viene confermato il: “tu non Mi cercheresti se non Mi avessi già trovato”.

Nel campo dei sensi io cerco perché non ho trovato; però Dio mi dice: “se tu cerchi è perché hai già trovato”.

E Lui ha ragione. 

Se capiamo questo, capiamo che l’assenza è una presenza.

Fermati lì, cerca di capire questa Parola, ed arrivi a Pentecoste!