“Il vostro
cuore non si turbi, credete in Dio e credete anche in Me”. Gv 14 Vs 1
Argomenti: Fare
conto du Dio – La possibilità di pensare Dio – Accogliere da Dio e riportare a
Dio – Raccogliere con il Verbo -
20/Settembre/1980
Gesù
agli apostoli dice di non turbarsi, proprio dopo aver annunciato la sua
partenza e la loro impossibilità ad andare dove Lui va, dopo aver annunciato il
tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro. Preannuncia tutto questo, ma
non nella veste di giudice, perché Gesù viene per salvarci, non per giudicarci.
Gesù non guarda dove siamo, ma ci
presenta il luogo dove dobbiamo andare. Egli
viene e ci offre la salvezza; non viene per dirci “guarda dove sei”, ma viene
per portarci là dove Lui è, dove abbiamo la vita.
Dice
“non sia turbato il vostro cuore”,
perché prima aveva annunciato
·
la sua partenza dicendo “dove Io vado voi non potete venire”;
·
il tradimento di uno di essi
·
e il rinnegamento di Pietro.
Nonostante
questi tre “gravi” avvenimenti Gesù li invita alla fiducia, perché è Lui che
supplisce a tutto. “Credete in Dio”, cioè
“abbiate fiducia, fate conto su di Lui!”.
Pietro
faceva conto su di sé e diceva di essere disposto a seguirlo fino alla morte.
Ma Gesù che sapeva ciò che c’era nel suo cuore, gli rispose “Tu darai la vita per Me? In verità ti dico,
questa notte stessa mi rinnegherai per tre volte!”.
Gesù
perciò invita ogni uomo a non far conto su se stesso, anche se in buona fede
pensa di amarlo, al punto da dire “darò
la mia vita per te”. Egli ci dice “Non
fate conto su di voi, ma su Dio e su di Me”.
L’importante,
in tutte le nostre situazioni, è far conto su Dio. Se ne esce, da ogni
situazione critica, solo facendo conto su Dio. Se invece facciamo propositi o
sforzi contando su di noi, ci apriamo al tradimento. Proprio come Pietro: nel
suo entusiasmo faceva conto su di sé; è qui che Gesù gli fa capire che si apre
al tradimento “questa notte stessa per ben tre volte mi rinnegherai”.
Solo
facendo conto su Dio riceviamo luce e grazia per essere fedeli e non tradire.
In tal modo, quando arriveremo, potremo veramente dire in coscienza “è stato tutto dono tuo, o Signore!”,
cioè attribuiremo tutto a Lui, perché si entra nel Regno di Dio soltanto
facendo conto su di Lui.
In
qualunque situazione tu ti trovi, cerca Dio; anche se ti trovi nel male più grave, non cercare di uscirne con le tue
forze, ma cerca presso Dio, fa conto su Dio, Dio ti libererà. Lui è il
Liberatore! Egli non è il liberatore quando siamo liberi, ma quando siamo
schiavi; “Ti senti schiavo? Guarda Me, Io ti libererò. Sei malato? Guarda Me,
Io ti curerò. Sei morto? Guarda Me, Io ti risusciterò!”.
In
qualunque situazione ci troviamo, possiamo pensare Dio: è lì la meraviglia!
Lo possiamo pensare sempre, perché Dio è con noi anche senza di noi. Lui è con
noi anche quando noi non siamo con lui, quindi ci da sempre la possibilità di
pensare a Lui, di guardare Lui. Se guardiamo Lui, Lui ci ricostruisce, in
qualunque situazione noi ci troviamo. L’importante è non far conto su altro, né
appoggiarci ad altro, ma confidare unicamente in Dio, perché l’aiuto ci viene
da lì.
Nei
salmi preghiamo: “Tu, Signore, sei il mio
aiuto, il mio liberatore, il mio baluardo, la mia forza in tutto”, cioè il
mio appoggio deve essere Lui in tutte le cose.
Dio
non è con noi per giudicarci, ma per salvarci; quindi l’importante è guardare a
Lui. Non ci dice “guarda Me e io ti condanno”, no! Ma ci dice “guarda Me e Io
ti salvo!”. È il pensiero del nostro io che ci giudica e ci condanna, perché
vorrebbe essere qualcosa; ma Dio è misericordia e amore, quindi non condanna,
perché la misericordia e l’amore non condannano. Se invece pensiamo a noi
stessi, proviamo avvilimento, perché non siamo fedeli nei nostri propositi,
perché sbagliamo, perché non concludiamo niente; questo rivela che non abbiamo
capito che siamo su questa terra per
imparare a far conto in tutto su Dio, per imparare a convivere con Dio.
Convivere con Dio vuol dire far conto su di Lui e riportare tutto a Lui, per
cercare in Lui il significato di ciò che ci dice. È questo che ci fa vivere;
perché noi non siamo vivi di per sé, ma viviamo per partecipazione. Lui è il
Vivente! Noi viviamo nella misura in cui partecipiamo del Vivente, dell’Essere:
Dio. Dio è vita ed è principio di vita. Viviamo nella misura in cui
accogliamo da Lui e riportiamo a Lui, nella ricerca del suo Pensiero in tutto.
Domanda:
Riportare a Dio è un invito che ha una grande potenza, ma in concreto che cosa
vuol dire?
Luigi:
Vuol dire raccogliere in Dio, e si può solo raccogliere col Verbo di Dio,
col Pensiero di Dio, con Cristo. “Chi
con Me raccoglie riceve mercede di vita eterna, ma chi non raccoglie con me
disperde”. Nella misura in cui raccogliamo con Lui, veniamo raccolti. Cristo
è venuto per raccoglierci in Dio, prendendoci da tutte le nostre dispersioni.
Dio è Colui dal quale tutto viene e al
quale tutto fa ritorno. Dobbiamo imparare ad accogliere tutto da Dio,
perché tutto viene da Dio. Ma non basta prendere tutto da Lui, non basta
accettare da Lui. Bisogna anche imparare a riportare a Dio. Perché questo?
Perché tutte le cose Arrivano da Lui e si fermano nelle nostre mani, dicendoci
“siamo di Dio, riportaci a Dio”. Tutte le cose
(fatti, creature, parole, incontri, ecc.) arrivano da Dio, però si
fermano nelle nostre mani fintanto che noi
non le riportiamo a Dio (e solo noi lo possiamo fare); e se ciò che
arriva a noi resta separato da Dio, non può essere illuminato, resta nella
notte: non lo possiamo capire.
Riportare
a Dio è possibile, poiché Lui è presente. Dunque se noi unifichiamo le cose,
i fatti, le persone, le parole in Dio, tutto si illumina. Il lavoro
essenziale che dobbiamo fare nella nostra vita è riportare tutto in Dio, per
vederlo in Dio, per raccoglierlo in Dio. È un lavoro che solo noi personalmente possiamo fare; nessuno
può farlo al posto nostro.
Raccogliere
quindi vuol dire cercare il Pensiero di Dio in ogni cosa. Solo così ogni cosa
si illumina. Ogni cosa che arriva a noi, da sola, non è luce: ha bisogno di
essere portata nel Pensiero di Dio. Noi possiamo vedere le cose nel pensiero
del nostro io, possiamo cioè fermare le cose al nostro io (perché ci piacciono,
perché ci servono…); in tal mondo fermiamo noi stessi al nostro io. E alla
domanda “perché fai così?”, rispondiamo: “perché mi conviene!”; “Perché parli
così?”, “perché davanti agli altri mi serve…”, ecc. In questo modo non si
ragiona secondo Dio. Purtroppo il nostro vivere “normale” è questo: “faccio
questa cosa per la carriera, per la figura, per il giudizio degli altri, perché
mi è comodo, ecc”; vediamo le cose in funzione dei nostri interessi e non le riportiamo
più a Dio. E ogni scelta la facciamo in funzione dell’io e le cose non le
vediamo in Dio. Tutto questo ci porta lontano da Dio, perché si crea una
frattura, una divisione in noi, un principio di schizofrenia.
“Ogni cosa divisa in se stessa va
in rovina”, dice Gesù. Separando da Dio, rimaniamo separati da
Colui che abita in noi. È un lavoro paziente e lungo quello del raccogliere
(“raccogliete perché nulla vada perduto”).
Ci vuole silenzio per mettersi in dialogo con Dio e non fermarsi alle cose.
Se
per esempio ti pestano un piede, la prima reazione è quella di urlare o di fare
altrettanto. No, non fermarti all’impressione che ricevi, accogli da Dio “è Dio
che mi ha mandato quel tale a pestarmi un piede”. Sì, è Dio che ti ha pestato
un piede. Quindi prenditela con Lui e non con la creatura che Egli ha usato;
ragiona con Dio, non con la creatura. La creatura è stata il bastone, il mezzo
per urtarti. Comincia perciò a dialogare con Dio, e inizi a capire che con Dio
non te la puoi prendere, perché Dio ha sempre ragione e se ti ha fatto
soffrire non l’ha fatto per cattiveria; dunque se l’ha fatto c’è qualcosa da
modificare in te. Dialogando con Lui
lo invochi, “Signore, dimmi che cosa è che deve cambiare in me”. Il dialogo tra
l’anima e Dio sorge in conseguenza di un fatto ricevuto da Dio.
La
base fondamentale è accogliere tutto da Dio; se non si fa questo lavoro
attribuisci la cosa alla creatura, al caso, alla natura e non dialoghi più con
Dio.
Devi
arrivare a dialogare con Dio come Dio dialoga con te. Parla con Colui che sta
parlando con te, perché soltanto guardando Lui, Lui ti può illuminare e farti
capire perché ti ha mandato quel tale a pestarti un piede.
Non c’è nulla che arrivi a noi
senza significato, perché Dio è intelligenza infinita, quindi non fa le cose
senza significato. Dobbiamo sempre cercare presso Dio il
significato di ciò che accade. Solo Dio ce lo può dire questo significato. Per
questo bisogna mettere molto tempo di silenzio; per questo bisogna fare questo
dialogo con Dio come Lui lo fa con noi, riportando a Lui le sue parole (fatti,
ecc.) affinché vengano illuminati. Le parole che giungono a noi sono dei corpi
nudi che noi possiamo rivestire dei nostri abiti anziché degli abiti di Dio.
Rivesti
le parole di Dio secondo gli abiti di Dio, secondo ciò che Dio ha in mente, non
secondo ciò che hai in testa tu.
Più
c’è intimità con Dio e più c’è conoscenza del significato dei suoi segni.
Con una persona che conosci, ad un minimo cenno capisci subito ciò che ti vuol
dire; invece con una persona che non conosci ti ci vuole più tempo per capire.
Più
siamo amici di Dio più siamo facilitati nel capire i suoi segni. Dio opera
tutto per renderci intimi a Lui, partecipi di questa vita con Lui. Ci chiama a
questa sua intimità attraverso tutte le cose. “Ti faccio questo, ti mando
questo, ti dico questo, perché voglio che tu viva in amicizia con Me”.
È
logico che più siamo lontani da Lui, più difficile è la comprensione del
significato dei suoi segni. Per cui in un primo tempo qualche volta sbagliamo e
possiamo confondere la nostra volontà con la sua, ma poi, poco per volta, nella
misura in cui guardiamo a Lui, vediamo la Luce. E la luce di Dio non si
confonde mai col pensiero del nostro io; nella luce di Dio capiamo
perfettamente se stiamo facendo la volontà nostra o quella di Dio.
Non
possiamo barare con Dio, perché sappiamo quando diciamo una menzogna. A una
creatura possiamo far credere che stiamo facendo la volontà di Dio, ma a Dio
no.
Tiziana:
Quindi, quando seguiamo il nostro sentimento, come Pietro, sbagliamo?
Luigi:
Sì, ma Dio ci corregge. Pietro faceva conto sulla sua volontà, sul suo amore
per Cristo (“Ti seguirò fino alla morte”).
Cristo, che conosce ciò che c’è nel cuore dell’uomo, sa che l’amore di Pietro è
sentimento, che il suo è entusiasmo, per cui sa anche che fra tre ore sarà
rinnegato da lui. “Non lo conosco”
dirà Pietro. Come mai? Perché siamo volubili. È sufficiente che cambi
l’ambiente o le persone e già diciamo cose diverse, passiamo dall’entusiasmo al
rinnegamento. Siamo come l’acqua che assume la forma del recipiente che la
contiene. Solo ricevendo lo Spirito Santo cominciamo a diventare fedeli. Senza
lo Spirito la nostra vita si riduce ad essere una semplice reazione a degli
stimoli esterni.
Noi
viviamo nella misura in cui partecipiamo della vita di Dio, in cui conosciamo
Dio, perché Dio è il vivente; noi non abbiamo la vita in noi. Cristo,
annunciando a Pietro il suo rinnegamento, gli insegna che tutte le volte che fa
conto su di sé deve rimangiarsi quanto dice. In diverse occasioni Gesù lo
corregge e gli fa capire che non deve far conto su di sé, su ciò che sente, su
ciò che sa (addirittura lo chiama satana). Cristo dialoga sempre con
ciascuno di noi per dirci “Fa conto su di
Me”. Per questo, dopo avergli annunciato il tradimento, dice “Abbiate fiducia”, “Non si turbi il vostro
cuore”.
Dobbiamo
imparare a far conto su Dio in tutto; è
questo far conto su di Lui che ci rende fedeli e capaci di vivere, di camminare
nella luce. Imparare a far conto su di Lui richiede pazienza, “è con la pazienza che guadagnerete le anime
vostre”, dice Gesù.
Noi
non possediamo ancora le nostre anime. È
sufficiente mettersi in silenzio a pregare per accorgerci che non la
possediamo, in quanto non riusciamo a stare con Dio, non riusciamo a pensare a
Lui perché altri pensieri prendono il sopravvento. Ma toccare con mano che
non riusciamo a pregare è positivo, è
già un passo in aventi rispetto a chi si crede di essere padrone della propria
anima, dei propri pensieri e poi non lo è.
Solo
con Dio avremo il possesso della nostra anima. Prima di conoscere Dio la nostra
anima è venduta ad altri o ad altro; e quando vorremmo rivolgerla a Dio non
riusciamo. Scoprire questa nostra povertà è già grazia di Dio. Se pensi Dio,
se ti impegni a pensare sovente a Lui, se ti impegni a far silenzio, subito Dio
ti da la grazia di capire che sei infedele, incapace a pensare, a pregare. E
quando l’anima tocca la sua povertà, è ricondotta alla sua dimensione.
Quando
invece non ha ancora scoperto la sua povertà è gonfiata, ed ha bisogno di
essere ricondotta, dalla misericordia di Dio, alla sua dimensione; ha bisogno
di prendere coscienza del tutto di Dio e del niente suo. “Quand’anche aveste fatto tutto ciò che dovevate, dite sempre “siamo
servi inutili”, ci insegna Gesù.
Pinuccia:
Queste parole (“Non si turbi…”), Gesù
le dice non solo perché ha annunciato il tradimento, il rinnegamento e la sua
partenza, ma anche per preparare i discepoli a ciò che avrebbero tra poco
assistito, cioè alla sua Passione, no?
Luigi:
Certo, Egli ha detto “Me ne vado” e
di fronte a queste sue parole è naturale che l’animo umano si turbi, perché fa
conto ancora sulla sua presenza fisica. Egli sta operando per educarli a
ricevere la sua Presenza spirituale, cioè alla scoperta di ciò che Lui è. Li
educa al passaggio dalle cose che si vedono alle cose che non si vedono. “Ora lo sposo è con voi e vi parla, ma tra
poco lo sposo vi verrà tolto perché dovete passare alle cose che non si vedono”.
Dio è superiore a noi, quindi “naturalmente” (con i nostri sensi) non lo
possiamo vedere, però siamo chiamati a vederlo. Si richiede il superamento del
nostro io e il far conto su di Lui. Se Lui ha detto “Dove vado Io voi non potete venire”, non l’ha detto per escluderci
ma per insegnarci la via; è come se dicesse “voi
nel pensiero dell’io non potete venire, ma nel Pensiero di Dio sì”. Per
andare anche noi là dove Lui è, bisogna passare dal pensiero dell’io al
Pensiero di Dio. Cristo ci insegna la via (la morte a se stessi) in quanto è
necessario per poter passare dal mondo che si vede al mondo che non si vede,
cioè per raccogliere tutte le cose nel Pensiero di Dio. E tutto questo richiede
molto silenzio.
Le
cose che arrivano a noi, che noi vediamo, hanno bisogno di essere trascese, nel
silenzio, in Dio, per vedere il Pensiero di Dio in esse. Questo è un lavoro
faticoso per la creatura, perché invece vorrebbe starsene seduta, comoda, in
poltrona davanti alla TV. Ma la Verità, che non si vede perché è superiore a
noi, la si trova solo conoscendola; ma per conoscerla, cioè per fare il
passaggio dal visibile all’invisibile, si richiede tanta fatica: bisogna
riportare, consacrare tutto a Dio (s. Agostino dice che la nostra mente è
il vero altare su cui tutto viene consacrato a Dio).
Amalia:
Questo turbamento rivela sempre un difetto nell’anima?
Luigi:
Sì, c’è sempre un difetto dell’anima nel suo rapporto con Dio quando si è
turbati. “Perché vi ho detto che me ne
vado, vi siete rattristati…”. Quando un amico se ne va c’è una tristezza,
in quanto la sua presenza faceva comodo, dava gioia averlo. Ma questo
turbamento, questa tristezza deriva dal pensiero di sé, da un errato rapporto
con Dio; deriva dal pensiero dell’io. Cristo se ne va per farci superare
questo sentimento ed educarci al passaggio ad un’altra presenza in cui non ci
sarà più il pensiero dell’io. Noi siamo fatti per vivere con qualcuno, per
vivere per un altro. E quest’altro o è la creatura o è Dio.
La
creatura necessariamente se ne va, perché o ci delude o muore: per questo la
creatura ci sollecita ad andare a Dio che non ci deluderà e non ci lascerà,
perché nella solitudine siamo tristi.
All’inizio,
il passare della creatura al Creatore, il cercare cioè in tutto il Pensiero di
Dio è fatica. Però Dio opera per farci fare questo passaggio, opera in tutto
per insegnarci ad essere sempre con Lui come Lui è con noi; opera perché
impariamo a conoscere Lui come Lui conosce noi, ad amare Lui come Lui ci ama,
ad essere presenti a Lui come Lui è presente a noi. Dio opera in tutto, e in
tutto ci da le sue lezioni per portarci lì. È Lui il Maestro, Lui solo (né le
creature, né il mondo, ecc).
Se
siamo attenti a Dio, Egli ci educa e ci porta a questo rapporto di amicizia, di
intimità, di conoscenza. E finché non arriviamo lì,
quando una creatura o la presenza fisica di Cristo stesso ci viene a mancare,
proviamo turbamento, perché nella solitudine siamo turbati, poiché non siamo
fatti per essere soli. Ma questo passare
delle cose, questo andarsene della presenza fisica di Gesù, sono una
sollecitazione ad arrivare a quella presenza spirituale, stabile, eterna, dove
non ci sentiremo più soli, perché sarà una presenza che non ci lascerà più.
Amalia:
Noi proviamo turbamento di fronte ad una fatto che non vediamo in Dio, no?
Luigi:
Sì, perché non vedendolo in Dio, non lo conosciamo: dove non si conosce ci si
sente soli, quindi si prova turbamento. La conoscenza è data dalla presenza di
Dio; ma fintanto che non siamo giunti a questa sua presenza noi ci sentiamo
soli ogni volta che una creatura se ne va, ogni volta che non comprendiamo un
avvenimento, ecc. La liberazione dal turbamento avviene nella conoscenza,
nella scoperta della presenza di Dio in tutto. Finché c’è un rapporto
difettoso tra noi e Dio sperimentiamo il turbamento; non capiamo, siamo confusi
e le risposte ai problemi che Dio ci pone sono stonate. Ma è questo rapporto
difettoso che genera in noi il turbamento e il turbamento è un segnale
d’allarme o una sollecitazione a camminare.
Paolo:
L’unica cosa da fare quando il cuore è turbato è l’ascolto della Parola di Dio,
vero?
Luigi:
Certo, perché è la parola di Dio che ci fa superare il turbamento, “Non si turbi il vostro cuore”. Quante
volte troviamo questa parola nel Vangelo, ad es. nella tempesta “Non temete, sono Io”. Questa è parola
scritta, ma quella parola che disse allora (siccome la Parola di Dio è
assoluta, fuori dal tempo) ce la ripete in ogni avvenimento che ci capita: “il vostro cuore non si turbi”: è
quindi una parola che lui ci dice in ogni fatto, in ogni avvenimento della
giornata “Non temete, sono Io”. Sì,
Lui è in tutto. Forse possiamo smentire che tutto è opera sua? Ogni avvenimento
è mandato da Lui. Se non ricorriamo alla sua Parola ci spaventiamo, perché
pensiamo a noi.
Se
penso a Lui non temo nulla. Bisogna
sempre ricordarsi della parola “non si
turbi il vostro cuore”, perché è una parola che ci dice e ci ripete in ogni
cosa, in ogni incontro, in qualunque cosa ci capiti, anche nel male, anche
nel peccato. Bisogna ricordarsene, perché è il pensiero del nostro io che ci
porta alla disperazione, e lo si supera solo ricorrendo alla parola di Dio,
pensando a queste sue parole. In tal modo riceviamo tutto dalle sue mani: è
Lui, “Non temete, sono Io”; perché
Lui viene e opera per salvarci, non per giudicarci. Infatti annuncia a Pietro
il rinnegamento, però anziché giudicarlo gli dice queste parole: “non si turbi il tuo cuore” “abbi fiducia in
Dio e in me”. La prima parola che ci dice in ogni avvenimento è questa “Non temere”. Ci ha fatti dal niente, quindi è ben capace a toglierci dai
pasticci.
Quindi
non toccare, non modificare tu le cose, se no finisci di fare lo sbaglio di chi
mette le mani in una macchina rotta che non conosce e, volendo aggiustarla, la
rovina ancor di più. La vita umana è ancor più complicata di una macchina, ma
noi vogliamo mettervi sempre le nostre mani senza conoscerla.
Marco: “Non si turbi il vostro cuore” è
l’aspetto passivo? “Credete in me”, è
l’aspetto positivo?
Luigi
Il non turbarsi è anche un atteggiamento attivo, perché richiede il far conto
su Dio. Nel pensiero dell’io noi siamo turbati: facciamo tanti programmi,
propositi, ecc. e non riusciamo; per cui
ne rimaniamo avviliti. “Non turbarti, è
necessario che questo accada – ci dice il Signore – fa conto su di Me, io rimedio a tutte le tue deficienze, a tutti i tuoi
sbagli, abbi fiducia: in Dio e in Me”, se ne corri il rischio di rimanere
schiacciato dalla tua stessa impotenza, o miseria, ecc.
Dio
ha la possibilità di rimediare a tutti i nostri errori, perché ci ha fatti dal
niente; per cui su ogni nostra nota sbagliata Egli costruisce delle sinfonie
nuove. L’importante è non aver paura.
Lui è il Maestro. Non turbarti quindi, ma apriti a Lui. Il turbamento è sempre
nel pensiero del nostro io.
“Credete in Dio e credete anche in
me”: credere, aver fede è imparare a cercare Lui in tutto
sapendo che c’è, perché Lui per primo ci dice: “Io sono”. Quindi,
cercalo ora che sai che c’è.
Fede
vuol dire cercare. Il primo dato, l’iniziativa è di Dio che si annuncia, è “Io
ci sono”. Basta un semplice filo d’erba per capire che un Altro l’ha fatto e
che non l’ho fatto io.
Ma
che Lui si annunci non vuol dire che io lo veda; se non lo cerco nell’annuncio
non lo posso conoscere. Posso aver sentito il suo grido, la sua voce, ma se non
lo cerco non posso trovarlo. Se invece credo, incomincio a interessarmi di quel
Tale che mi manda una voce.
Questa
è onestà, giustizia. Nella misura in cui c’è questa giustizia, in me,
onestamente comincio a cercare, facendo conto su di Lui, perché è Lui che ha
iniziato e sarà ancora Lui che porterà a compimento l’opera iniziata.
La fiducia è un elemento di questa fede, ma non è tutta
la fede. Gesù fa questa distinzione “credete in Dio e credete anche in Me”, perché Lui è la Parola. Non
possiamo accogliere la Parola (cioè credere alla Parola), se non crediamo in
Dio, se non siamo attratti dal Padre.
Credere in Dio vuol dire lasciarsi attrarre da Dio.
Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a
prepararvi un posto; Gv 14 Vs 2
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20/Settembre/1980
Gesù
ci dice che nella casa del Padre ci sono molti posti e che Lui va a prepararci
un posto, riferendosi a quanto prima aveva detto “Dove Io vado voi non potete venire”. Corregge l’apparente
esclusione dicendo “dove Io vado c’è
posto per tutti”.
Prima
sembrava volesse escluderci, invece in quello che ci dice ora comprendiamo che
non l’ha detto per escluderci, ma per insegnarci la via: Lui stesso. Cioè, Lui
ci dice “Se fai conto su di te, non puoi
venire dove Io vado; ma Io ti preparo il posto, abbi fiducia in Dio e in Me”.
È
Lui stesso che ci prepara il posto. Egli, andandosene, prepara il posto dentro
di noi. Lo prepara perché noi siamo incapaci di restare con Lui.
Tutto
ciò che fa Cristo, lo fa per formare la nostra anima e renderla capace di
restare dove Lui è. Dio abita in noi, ma noi non siamo capaci di restare con
Lui che è in noi, non sappiamo restare dove Lui è, perché siamo invasi
dalle creature.
Cristo
allora ci prende per mano e se noi lo seguiamo forma questa capacità di restare
col Padre; è questo il senso del prepararci il posto: forma in noi la capacità
di restare sempre con Lui, dove Egli è.
Proprio
andandosene, facendoci superare la sua presenza fisica, attraverso questo
nostro travaglio, attraverso questa morte a noi stessi, prepara la nostra anima
a restare con Dio, ad adorare, a contemplare Dio. Cioè prepara in noi il posto del Figlio.
Il
posto del Figlio è la casa del Padre. Il suo andare è un morire a se stesso,
abbracciando la morte per fare la volontà del Padre. Ci prepara il posto
insegnando a noi a morire a noi stessi, a superare il nostro io (perché il
nostro io va superato, così come dobbiamo superare le creature per trovare in
esse il Pensiero di Dio).
È
necessario questo superamento totale dell’io e del mondo relativo all’io,
perché Dio lo si conosce solo nel
Pensiero di Dio, non nel pensiero dell’io; se noi potessimo conoscere Dio
nel pensiero dell’io, saremmo Dio. Nel pensiero di Dio possiamo conoscere l’io,
ma nel pensiero dell’io non possiamo conoscere Dio. Dio lo si conosce solo in
Dio.
E
noi abbiamo questa possibilità, perché Dio ha dato a noi il suo Pensiero: è un
tesoro immenso che ci dà la possibilità di stare con Dio. Non trascurare quindi
questo tesoro. È questo il tesoro nascosto nel campo per avere il quale, chi lo
scopre, va e vende tutto con gioia per comprare quel campo. È un tesoro
enorme avere la possibilità di pensare Dio! La luce ci viene da questo
tesoro, così come l’amore ci viene da Dio (perché noi da soli non siamo capaci
né di amare né di vedere).
Dio
ha posto questo tesoro in noi, ma noi passiamo la vita trascurandolo e andiamo
elemosinando altrove spiccioli di vita. Mendichiamo briciole d’amore dalle
creature e trascuriamo il tesoro, il grande dono che Dio ha posto in noi e che
abbiamo a nostra disposizione.
“Vi sono molti posti”:
dice molti perché se dicesse che c’è posto per tutti, essendo il “tutti”
universale, sembrerebbe un fatto automatico; invece l’ingresso nella casa di
Dio richiede sempre la nostra adesione. Egli dice “molti” per evitarci
l’illusione che si entri automaticamente.
Questo
lo dice per precisare, o meglio, per approfondire ciò che aveva detto prima “dove vado Io c’è posto anche per voi; Io ve
lo preparo; ma se non me ne vado, non ve lo preparo e non potete venire dove
sono Io”.
Cioè,
bisogna seguire Gesù fino alla
conclusione, in tutti i suoi insegnamenti, fino al Padre; perché Lui è uno
che va, e seguire uno che va vuol dire andare fino là dove Egli va, se no si
creano le distanze. Egli viene dove siamo noi, non per condividere la nostra
mentalità, ma per portarci nella sua mentalità.
Egli
assume un corpo umano, perché non siamo capaci di vedere altro, ma il suo è il
linguaggio di Dio. Non viene per giocare a birille con noi, a confortarci nelle
lotte per i nostri diritti, nei nostri problemi sociali, ma viene per liberarci
da tutto questo, per portarci nel suo Regno. Gesù stabilisce un contatto, ma
parla secondo Dio non secondo gli uomini.
Il
Regno di Dio è la realtà, è in tutto.
“Sforzatevi di entrare oggi”,
seguendo le parole di Cristo. “Oggi”,
perché Dio parla oggi; non rinviare a domani, perché puoi morire stanotte.
Nella misura in cui seguiamo Cristo, restando nelle sue parole e assimilandole
tutte, Egli prepara per il posto. Ma bisogna seguirlo fino alla fine, fino alla
sua Croce e fino alla sua Ascensione.
“Nella casa di mio Padre…”:
casa è il luogo in cui uno abita. Il Padre ha una casa da cui noi possiamo
essere cacciati fuori. Dice Gesù “i figli
restano in essa, i servi non vi rimangono sempre”, se non passiamo ad
essere da servi a figli, saremo cacciati. Quindi abbiamo un luogo da cui
possiamo essere cacciati fuori: la casa del Padre, il regno di Dio. Possiamo
trovarci di fronte ad essa come di fronte ad una porta chiusa, a cui bussiamo
invano. In realtà noi siamo sempre nel Regno di Dio, nella casa di Dio, ma
soggettivamente, per le nostre condizioni psicologiche noi possiamo sentirci
esclusi, gettati nelle tenebre esteriori (= immersi nelle cause seconde).
Quindi
non scostarti mai dalla Parola di Dio, affinché non avvenga questo; perché è la
Parola di Dio che ti fa tener presente la causa prima di tutto, è la Parola di
Dio che ti fa passare dalla situazione di servo alla situazione di figlio, di
amico. Quanto più noi riceviamo le parole del Cristo tanto più diventiamo amici
di Dio. Non siamo noi che diventiamo amici, è Lui che ci fa amici: “Vi ho chiamati amici perché vi ho detto
tutto ciò che ho udito dal Padre mio”.
C’è
Dio e ci sono tutte le opere di Dio; tutte le opere di Dio formano la casa
di Dio: lì si esperimenta la presenza di Dio, perché lì c’è Dio. La casa di
Dio è di Dio in quanto c’è Dio: se manca la persona che la abita quella casa
non è più casa di quella persona.
Se
conosco Dio e quindi conosco le sue opere, allora resto in casa;
in caso contrario sono fuori dalla casa del Padre, fuori dal suo Regno, pur
essendo dentro: mi trovo davanti ad una porta chiusa, per cui tutto mi è
incomprensibile, tutto è assurdo, tutto è un parlare diverso, il parlare di Dio
lo trovo astratto. Solo se si è in amicizia col proprietario si può restare
nella sua casa ed esperimentare la sua
Presenza, vivere nella sua conoscenza. La casa è l’insieme del proprietario e
delle cose sue.
“Nella casa del Padre mio vi sono
molte dimore”: c’è posto per tutti, c’è posto anche per voi. Prima
aveva detto “dove Io vado voi non potete
venire”: ora precisa “voi da soli non
potete venire”: “c’è posto anche per
voi, ma devo andarmene per prepararvelo”.
“Se così non fosse ve lo avrei
detto”: se ascoltiamo Lui, Lui dice a noi tutto, non nasconde
nulla; né ci lascia illudere: “se così
non fosse ce l’avrebbe detto”. Egli ci dice tutto, “Vi ho detto tutto (ed è quanto dice) quello che ho conosciuto dal Padre mio: per questo vi chiamo amici”.
Ciò che ci fa passare dalla condizione di servi alla condizione di amici è
l’ascolto delle parole sue.
Come
si passa nell’intimità di una persona? Frequentandola, custodendo ciò che ci
dice: allora si diventa amici di essa; prima invece eravamo estranei per essa
(i servi). Siamo tutti servi (anche il diavolo è servo, perché Uno solo regna),
ma il servo è costretto ad ubbidire; l’amico
invece vuole solo ciò che vuole l’altro, conosce il pensiero dell’altro; lo
condivide, per cui vuole ciò che vuole l’altro, e giunge a conoscerlo
ascoltando tutto ciò che l’altro ha da dire, frequentandolo molto.
Quanto
più ci fermiamo ad ascoltare le sue parole, tanto più queste diventano nostre:
ci purificano, ci lavano (“Voi siete puri
a motivo delle parole che avete udito”), perché esse sono acqua, e ci
portano in amicizia con Dio.
Quanto più riceviamo da Cristo
(parole, fatti, ecc.) tanto più diventiamo amici di Cristo.
Per
questo dovremo riconoscere che è dono suo: “È
stata grazia tua, Signore, perché se tu non avessi parlato, non potevo entrare
nella tua amicizia e conoscenza”.
“Se così non fosse…”:
cioè se invece fossimo esclusi, allora ce l’avrebbe detto, “perché Io vado a preparare un posto per voi”. Cioè “sono venuto
proprio per questo motivo: per preparare un posto e me ne vado ora per
prepararvelo”. Egli è venuto per farci posto nella Casa del Padre. Egli non è
venuto per altri motivi, per altri scopi (sociali, politici, ecc.) “perché Io vado a preparare un posto per
voi”. Ci rivela che non è venuto per altri fini, ma per portarci nella casa
del Padre, dove Egli è. “Se così non
fosse, allora, non sarei venuto, perché sono venuto proprio per prepararvi un
posto”. “Se così non fosse” (se
fossi venuto per altri motivi, se voi foste esclusi) ve lo avrei detto (= non sarei venuto); invece sono venuto proprio
per questo motivo.
“Perché Io
vado a preparare un posto per voi”; il posto Lui lo prepara
per tutti, perché questo lo dice per tutti. Non tutti però lo seguono: c’è chi
lo segue e chi no. Ma Egli lo prepara comunque. Preparare il posto è l’opera
sua. Cristo compie tutto per tutti. Ma il tutto compiuto di Dio non è detto che
sia tutto compiuto dalla creatura. Cristo viene tra noi, ma non sta: comincia a
camminare; andando ci prepara il posto, se lo seguiamo, perché in quanto va,
ci mette in movimento verso quel posto.
È Lui che inizia l’opera
(se no sarei io che ho cominciato il contatto con Dio). Anche se siamo nel
peccato, l’iniziativa per tirarci fuori è sempre di Dio. Dio prende
l’iniziativa per stabilire un contatto col nostro male. Dio non ci trascura mai, prende sempre l’iniziativa per noi, non ci
dimentica mai, ci pensa sempre, qui, ora, in questo incontro. Prende sempre
l’iniziativa, è Lui che stabilisce il contatto con noi: Egli prolunga la sua
strada fino al punto dove siamo noi, ci raggiunge ovunque siamo. Dio ha la
possibilità di stabilire un contatto con noi anche nella nostra notte. Egli
viene dove siamo, ma non resta con i nostri pasticci, se ne va; ed è
andando che ci libera da essi (se lo seguiamo) e quindi che ci avvia a questo
posto.
Da parte di Cristo, che è l’opera di Dio tra noi, l’opera
è portata a compimento (“Tutto è compiuto
per tutti”), ma soltanto coloro che lo seguono fino alla fine entreranno
nel compimento. Il compimento di Cristo non è il compimento della creatura. Lui
portato l’opera a compimento: ora tu, creatura, devi rispondere. Solo se
rispondi arriverai al tuo posto (a Pentecoste).
Dio ha fatto tutto e fa tutto per noi. Non potremo dire
quando ci troveremo davanti a Dio: “non
mi hai amato!”; anzi, davanti a Dio dovremo riconoscere che siamo noi che
ci siamo esclusi.
Cristo il posto ce lo prepara anche se siamo indegni.
Stabilisce un punto di contatto nella nostra indegnità, incrocia la nostra
strada, viene ad abitare con noi. Non ha paura dei nostri mali; siamo noi
che abbiamo paura!
Amalia: Non possiamo giudicare nessuno dicendo “quello ha
ricevuto poco…”
Luigi: No! Perché Dio
per tutti ha fatto tutto. E se ci presenta delle creature che sembra non
abbiano ricevuto quanto altri, in realtà hanno ricevuto; esse sono scena per
noi, sono lezione per noi, affinché abbiamo a imparare qualcosa: Egli ci dirà: “Ero Io, perché tu ne avevi bisogno”. Di
fronte a tutte le creature, non possiamo mai giudicare nessuno. Vedo un
ubriaco? Non posso dire “È ubriaco”, ma devo chiedermi: “Perché Dio mi presenta un ubriaco?”. Le creature fuori sono
specchio per farci vedere ciò che è la nostra anima.
Nella parabola dell’Epulone e di Lazzaro vediamo la
situazione di ogni uomo. Sulla soglia del ricco c’era un mendicante ulceroso
che era lo specchio dell’anima del ricco; la sua anima era nella vera miseria,
tutta piagata. Dio gli pone il povero d’innanzi per fargli capire. C’è
sempre una creatura in casa o davanti casa che rispecchia la nostra situazione.
Dio ce la mette davanti non per giudicarla, ma perché abbiamo a capire lo stato
della nostra anima. Egli ci dirà “quell’ubriaco se tu! Te l’avevo messo
davanti, per farti scoprire la tua ubriacatura, per farti riflettere e
salvarti”. Tutto quello che Dio opera fuori lo fa per salvare noi. Quindi,
ragiona sempre con Dio. Abbiamo in ogni momento Dio, la nostra anima e la
lavagna (creature, natura, fatti). Tutto ciò che è esterno alla nostra anima
(la creazione) è “lavagna” su cui Lui scrive delle lezioni personali per ognuno
di noi. Dobbiamo sempre tener presente che il Maestro è uno solo: Dio. Lui è il
Maestro, conosce bene la nostra anima, per cui sulla lavagna scrive le lezioni
adatte per ognuno, per cambiare la nostra anima. Se noi cambiamo cambia la
lavagna, cambiano le creature, cambiano cioè le lezioni che Lui ci dà.
Noi invece vogliamo cambiare gli altri. Tutto è specchio
della nostra anima, come quel povero era lo specchio dell’anima di quel ricco,
affinché noi prendiamo consapevolezza del nostro rapporto sbagliato con Dio e
lo cambiamo. Se cambiamo il nostro rapporto sbagliato con Dio, Dio cambia la
nostra situazione esterna.
La situazione esterna è Dio che la fa e ce la mette per
dirci “guarda che c’è qualcosa nei
riguardi con Me che non va”. Il Maestro usa tutti i mezzi per far capire
all’allievo ciò che deve capire, per cambiarlo. Quindi dobbiamo sempre tener
presente questo triangolo: Dio – la nostra anima – la creazione.
È Dio che opera (“Uno
solo è il Maestro”) e man mano che l’anima si apre all’intimità con Dio,
Dio non fa difficoltà a cambiare l’ambiente, le creature, ecc. Quindi se vogliamo amare veramente il prossimo
dobbiamo cambiare noi, nel nostro rapporto con Dio. Questo è il più grande
bene che possiamo offrire agli altri. Finché c’è un ricco egoista, ci sarà
sempre un povero sulla sua soglia, perché Dio opera per salvare tutti.
Cambiando noi stessi, cambiano gli altri. La situazione che Dio mi presenta è
perché io cambi me stesso, il mio rapporto con Lui, non la situazione esterna.
Cina: Queste parole ci danno speranza perché ci rivelano il
suo grande amore per noi.
Luigi: Noi siamo amati da Dio, non ce ne rendiamo conto. Quando
uno ama un altro, non si diverte a punire o a rinfacciargli “guarda ciò che sei”, ma opera per
salvarlo, perché amare è volere il bene dell’altro, non strumentalizzare
l’altro a me. In quanto siamo amati da Dio, Dio opera per il bene nostro. Dio
non opera mai per schiacciarci, ma per creare in noi la speranza. Noi ci
agitiamo e sprofondiamo sempre di più, perché vogliamo fare con i nostri mezzi.
L’importante invece è lasciar fare a Lui, perché è lui che ci salva, non noi.
Allora, non mettiamoci le mani! Noi non siamo mai soli: perché allora agitarci,
affannarci, preoccuparci come se tutto dipendesse da noi?
Papa Giovanni XXIII quando ebbe questa tentazione si
domandò: “Chi è che salva la Chiesa?”, e in tutta risposta si disse: “È lo
Spirito Santo, non io, quindi dormi tranquillo!”. Certo, perché chi opera tutto è Dio non la creatura;
quindi dormi tranquillo, abbi fiducia in Dio, Dio farà Lui. Questo è il
piano fondamentale: imparare a lasciar fare a Lui (anche se all’inizio è molto
difficile per noi).
Paolo: “Vado a prepararvi
un posto”, cioè lui ci precede sempre, per cui se non ho davanti Lui,
sbaglio sempre.
Luigi: Quando non lo vedi più davanti a te, fermati! Nella
nebbia non si va avanti, se no corriamo il rischio di cadere in un precipizio.
In tutte le cose, fermati! Aspetta che Lui si faccia vedere, perché
certamente si farà vedere per stabilire il contatto. Dobbiamo sempre tener
presente ciò che disse Gesù “Il Figlio
non fa nulla se non lo vede fare dal Padre”. Dobbiamo allora imparare a
camminare sui suoi passi, sulle sue parole. Quando ci accorgiamo invece che
camminiamo sulle parole degli altri, c’è qualcosa che non funziona, quindi:
alt! Fermati! Non dobbiamo mai essere soli, cioè non dobbiamo mai aire
autonomamente da Dio, ma sempre essere mossi da Dio, in modo che possiamo dire “Sei tu Signore che mi fai fare questo; sei
Tu Signore che ti fai pensare da me, facendomi fare questo, facendomi dire
questo, facendomi veder questo”.
Parti sempre da Dio; non dire mai “sono io che faccio…”.
“E quando me
ne sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi
prenderò con Me, affinché dove sono io siate anche voi”. Gv 14 Vs 3
Titolo:
Argomenti:
20/Settembre/1980
“Ritornerò a voi”:
il suo non sarà più un ritorno fisico, sarà una scoperta nuova della sua
presenza spirituale in noi. Si realizzerà cioè la sua promessa: “Chi mi ama, il Padre mio lo amerà e verremo
a Lui e faremo in Lui la nostra abitazione”. Ecco, è un ritorno definitivo;
non ci lascia più. Sarà una conoscenza nuova, che non perderemo più. Questo ritorno è la scoperta della sua
presenza nel Padre.
Prima,
Gesù, lo troviamo nel mondo come uomo, ma dopo il suo ritorno sarà una
conoscenza spirituale, non più fisica. Infatti fintanto che Egli è con noi come
uomo non possiamo conoscere chi Egli è. È necessario che Egli se ne vada, in
modo che possa tornare ed essere riconosciuto non più fisicamente. La vera
conoscenza di Gesù, sarà una conoscenza che non ci lascia più, perché è
personale, intima: è la scoperta della presenza del Verbo in noi, conoscenza
personale del Verbo che è una conseguenza della conoscenza del Padre, molto più
valida e vera della sua presenza fisica.
S.
Agostino diceva: “Sono più convinto
dell’esistenza e della presenza di Dio che di me”, perché è una presenza
che si constata, si conosce; non si trova attraverso i sensi, ma direttamente.
Quindi la testimonianza della sua presenza spirituale è più valida della sua
presenza fisica, perché la conoscenza della presenza fisica è relativa ai
sensi e invece la conoscenza spirituale è relativa all’intelletto.
La
conoscenza spirituale non è relativa ai nostri sensi ma immediata, perché è
conoscenza dello Spirito, superiore ad ogni altra conoscenza precedente.
“Ritornerò”:
è una promessa, per dirci che ci sarà questo incontro con Lui; dove sarà Lui
saremo anche noi. Cioè, Lui non se ne va per lasciarci, ma per preparare la
nostra anima ad un successivo incontro, duraturo, più valido. Questa promessa
coincide con la promessa che aveva già fatto: “Noi verremo e faremo abitazione in lui”. “Noi”: il Padre e il Figlio; sarà la scoperta, la conoscenza
personale del Padre e del Figlio in noi; sarà anche la scoperta della nostra
adozione a figli. Infatti la nostra figliolanza
è conseguenza della conoscenza del Padre e del Figlio e della loro presenza in
noi.
Cristo
ci porta a conoscere il Padre, se noi abbiamo questo desiderio al centro della
nostra vita; il Padre allora genera in noi suo Figlio, quindi abbiamo questa
conoscenza nuova.
“Tornerò e vi prenderò con Me”: questo
ritorno di Gesù non coincide con la nostra morte fisica. Qui, per gli
apostoli, coincide con la Pentecoste, e questo vale anche per noi.
Gli
apostoli gli chiedono: “Cos’è che noi ti
rivedremo e gli altri no?”. Perché si realizzeranno le parole “verremo a Lui e porremo la nostra dimora in
lui”. È una promessa fatta ad ognuno di noi. Ma non avviene
automaticamente, con la morte fisica: puoi morire e dannarti. È un problema
essenziale di spirito, di anima. La
nostra anima appartiene all’eternità.
“Affinché dove sono Io siate anche
voi”, nel Padre. Ma è Cristo che ci prepara il posto. “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di
Me”. Conoscendo il Padre ci si ritrova figli: qui c’è consapevolezza, non automatismo.
Qui
dice al rovescio di quanto aveva detto prima: “dove Io vado voi non potete venire”, e va appunto collegato con
quanto aveva detto prima e che aveva causato la reazione di Pietro: “ti seguirò e verrò anch’io con te, a costo
di morire”. “No, gli dice Gesù,venire dove io vado non è opera umana. Io
vado a prepararvi un posto affinché dove Io sono siate anche voi”. Cioè,
Cristo ci porta su quella soglia in cui senza sapere ancora di essere figli,
possiamo contemplare il Padre, secondo la preghiera di Gesù: “affinché possiate vedere la mia gloria” (la
gloria del Cristo è il Padre).
Cos’è
che ci fa seguire il Cristo?
Lo
seguiamo in quanto risponde al bisogno di una nostra fame. Se non abbiamo fame
non apprezziamo il pane. Condizione per
poter seguire Cristo è aver fame di conoscere Dio. Se non abbiamo fame,
possiamo trovare tutto il pane di questo mondo, ma lo disprezziamo o non ne
facciamo conto. Fintanto che non siamo convinti dell’importanza di conoscere
Dio, non possiamo individuare Cristo. Quindi ciò che ce lo fa desiderare non è
ancora il capire che è Figlio di Dio (anche se lo dobbiamo accettare per fede,
fino alla Pentecoste), ma perché è il Pane che risponde alla nostra fame, cioè
al desiderio di conoscere Dio, di vivere veramente con Dio al centro.
“Nessuno può venire a me se non è
attratto dal Padre”, dice Gesù: ci vuole questa attrazione del
Padre, questa fame. Egli ci conduce al Padre, e lì, dal Padre, scopriremo che è
il Figlio di Dio: cioè avremo la conferma di quanto avremo creduto; ma sarà
anche novità. Non basta quindi creder che Gesù è il Figlio di Dio: quanti
credono in Cristo, Figlio di Dio e vivono per il mondo e non per Dio! O magari
mormorano, come quei giudei, perché “il
suo parlare è difficile”. Così accade come quando Gesù disse di essere il
pane disceso dal Cielo; poco dopo, ha affermò
“Non mormorate tra voi, perché
nessuno può venire a me se non è
attratto dal Padre”: voi non potete venire a me, non potete capire,
perché non siete attratti dal Padre. Erano migliaia infatti quelli che lo
vedevano e ascoltavano, eppure quanti non capivano dovettero abbandonarlo. Se
non abbiamo la fame di conoscere Dio, non possiamo seguire Cristo.
Domanda:
Dicendo “quando me ne sarò andato” si
riferisce alla sua morte o alla sua ascensione?
Luigi:
Alla sua morte e alla sua Ascensione. Ma entrambi i segni vanno capiti. La sua
morte in Croce è un invito a morire a noi stessi; quando capiamo che Egli muore
per me.
Ogni
persona che soffre è un invito a morire a me stesso, perché ogni fratello che
soffre, soffre per me. Fintanto che il povero Lazzaro sta sulla soglia della
casa del ricco Epulone, il ricco ha la possibilità di ravvedersi e uscire dal
suo io, superare il suo io; ma se non capisce arriva il giorno in cui il povero
gli sarà tolto e lui stesso morirà e sarà sepolto senza più speranza di
salvezza. Eppure Dio aveva mandato quell’angelo (=annuncio) per salvarlo. Fintanto
che c’è un ricco nel mondo, c’è la passione del povero nel mondo. Cristo continua a morire fino alla fine dei
tempi (“Ero io…”), cioè fino alla
fine del mio mondo, del mio io. Ma fintanto che non capisco che l’altro
soffre per me, non partecipo e sono condannato da quell’altro. Dio ci dirà: “Ho
fatto soffrire quel tale, ho condannato alla morte mio figlio per te, e tu non
hai capito niente”.
Vedremo
tutta l’opera di Dio per salvarci: da parte sua vedremo che ha fatto tutto, che
non c’è stato difetto: si è sempre abbassato al nostro livello per mantenerci
l’occasione di agganciarci a Lui (l’occasione della salvezza), per cui il
torto, se non concluderemo quest’opera di Dio, sarà solo nostro. Non potremo
accusare Dio dicendo: “per l’altro ha fatto tutto, per me no!”. No, certamente
constateremo che ha fatto tutto per ciascuno fino a mettersi nelle nostre mani.
Possiamo non capire, però Lui ha detto tutto e fatto tutto. Noi non vediamo
il suo amore, ma la realtà è quella: Cristo è morto in Croce. Posso non
pensarci, ma non posso dire: “non è vero”.
Dopo
la sua morte risorgerà, ma ci sarà un ulteriore distacco con la sua ascensione
al Cielo. Cristo se ne va; è l’ultimo dei segni che se ne va: noi possiamo
perdere Lui e la parola che ci dice nel morire in Croce, se non la capiamo;
oppure possiamo capire e passare oltre, se con Lui abbiamo compiuto tutto il
cammino da Lui percorso, comprendendo così tutta la sua opera di verbo
incarnato.
Sulla
soglia del suo lasciarci, Egli ci affida al Padre (cf. cap. XVII, la preghiera
sacerdotale): nella conoscenza del Padre lo ritroveremo. Andandosene
fisicamente, se lo abbiamo seguito, Egli ci prepara un posto, cioè ci fa capaci
di ricevere la rivelazione del Padre, cioè la scoperta della Presenza del Padre
e del Figlio in noi: “Tornerò e vi
prenderò con me, affinché dove sono io siate anche voi”. Qui più nulla ci
potrà separare da Lui, vedremo Lui in tutto, quindi saremo sempre dove Lui è.
La
sua assenza fisica ci fa superare il nostro io, se amiamo realmente Gesù. La
sua morte in Croce è la nostra morte, ci da la grazia di morire al nostro io;
per cui ci fa capaci di accettare e sopportare la sua assenza fisica dopo
l’Ascensione, prima della Pentecoste. La sua assenza fisica mi fa superare l’io
e mi fa camminare. L’assenza di uno mi muove se sono legato a quell’uno, perché
vado a cercarlo dove lui è andato. Una persona che muore ci trasferisce in
Cielo, se abbiamo con essa dei legami di amore, perché amando ci si trasferisce nella persona amata. Così Cristo, andando
al Cielo trasferisce con sé non più tutti, ma coloro che lo amano nel Cielo del
Padre (“Se mi amate”). Quelli che non
lo amano invece si rallegrano per la sua morte: “Finalmente l’abbiamo fatto fuori”.
Il
tutto compiuto da parte di Cristo sta nella sua morte: “Sono morto per te”. Tutti lo sperimenteremo e lo constateremo:
“Dio ha fatto tutto per me”; si è dato nelle nostre mani dicendo: “fai di Me ciò che vuoi”.
Cristo
in Croce ci rivela il mistero di Dio in noi: Dio che viene in noi e muore in
noi. Cristo, il Pensiero di Dio in noi. Constateremo che Dio
si è dato tutto nelle nostre mani fino a questo punto. Ha dato tutto il suo
infinito nelle nostre mani: ci siamo vestiti dei suoi abiti. Affermando il
pensiero del nostro io abbiamo ucciso (fatto fuori, soffocato) il Pensiero di
Dio, il Verbo, il Cristo.
“Vado a prepararvi un posto e vi
prenderò con me”; ci prenderà con Sé se il posto sarà
preparato in noi con Lui. Si tratta di una proposta. Ma l’iniziativa è sempre
sua. È Lui che ci ha creati dal niente ed è Lui che porta a compimento la sua
opera in noi: è tutto opera sua. La bellezza dell’essere nel suo Regno sta
proprio nel poter dire: “è stata tutta
opera tua, Signore”. Lì si
conosce l’amore. Lì ci si sente pensati, amati.
“Vi prenderò con me”:
saremo con Lui una cosa sola, su un piano di uguaglianza. Egli opera per questo
e lo chiede al Padre: “Fa, o Padre, che
siano tutti una cosa sola in noi, come Io e te siamo una cosa sola”. Cristo
opera per fare di noi una cosa sola con Lui (il Verbo) nella Trinità Divina
(27.09.1980)
“Quando me ne sarò andato e vi
avrò preparato il posto…”. È necessario che Gesù si
sottragga a noi come presenza fisica, per liberarci dalla sua e dalle altre
presenza fisiche, cioè per liberare la nostra anima legata alla sua presenza
fisica e che a causa di questi legami, sarebbe impedita di vedere la realtà
spirituale. È così che, andandosene, ci prepara il posto, cioè ci libera, ci fa
capaci di captare le realtà spirituali, perché il posto lo prepara dentro di
noi.
“Ritornerò di nuovo”: non
tornerà visibile ai nostri sensi, ma come presenza spirituale, cioè lo
vedremo come Figlio del Padre quale Egli è. È una promessa che si realizza
quando Egli ci ha preparato il posto (non senza di noi).
“Vi prenderò con Me”:
preparandoci il posto, Egli avrà operato quella purificazione che darà a noi la
possibilità di stare sempre con Lui e di vederlo come Figlio del Padre.
“Affinché dove sono Io siate anche
voi” e più nulla ci potrà separare da Lui. Ora siamo molto
instabili e confondiamo l’umano e il
divino; quando Lui tornerà e ci prenderà con Sé, saremo sempre con Lui, senza
più confusione.
Si
riferisce alla Pentecoste, alla venuta
dello Spirito Santo, quando riceveremo dal Padre la rivelazione conclusiva in
cui il Figlio, il Pensiero di Dio apparirà a noi come Realtà. Per ora il
pensiero è un’astrazione per noi; quando Lui tornerà sarà una Realtà, e lo
vedremo come Realtà.
Gesù
il posto lo prepara dentro di noi, rendendo la nostra anima capace di percepire
la realtà, cioè la sua presenza spirituale. Per prepararlo è necessario che Lui
se ne vada come presenza fisica, perché se non se ne va come presenza fisica
l’anima non potrà mai percepire la sua presenza spirituale, in quanto resta
legata alla sua e alle altre presenze fisiche.
Era
necessario che venisse fisicamente, ma ora è altrettanto necessario che Lui se
ne vada fisicamente, affinché se ne venga spiritualmente. Bisogna cioè capire
il disegno di Dio in questo suo venire a noi come presenza fisica e il suo
disegno in questo suo partire da noi come presenza fisica, al fine di poter
capire l’importanza della sua venuta spirituale.
Finché
siamo legati alle presenze fisiche, possiamo ascoltare il Padre, essere
attratti dal Padre, ma non possiamo cogliere la Realtà della sua Presenza
Spirituale, cioè non possiamo avere un’esperienza diretta di conoscenza.
Ma
ad un certo momento l’anima deve avvertire le presenze fisiche come segno
della Presenza spirituale, in modo da non fermarsi più ai segni. Deve
avvenire questo momento, perché niente deve offuscare la Presenza di Dio in
noi. Le nostre parole non offuscano il pensiero, anzi lo rivelano, e come mai
non è così per i segni di Dio? Perché i segni di Dio, le presenze fisiche
dovrebbero offuscare il suo Pensiero, la sua Presenza spirituale?
Deve
avvenire un cambiamento in noi; e per realizzare questo cambiamento ci vuole un
distacco da tutto. È proprio necessario questo distacco, questo isolamento.
In
un primo tempo le realtà fisiche sono per l’anima una realtà: le vede come
realtà, per cui l’invito a trascenderle le pare un’astrazione. Non può capire,
perché per capire bisogna accettare l’orientamento al Padre. Infatti Gesù dice
ai Giudei che mormoravano: “non
mormorate, nessuno può venire a me se non è attratto dal Padre”. Nessuno
può trascendere i segni e coglierne il significato, il Pensiero di Dio (Gesù)
se non è attratto dal Padre. Fintanto che il Padre non vi attrae, dice Gesù,
non potete capire.
Questo
ci fa capire che pur essendo tutto opera di Dio, non tutti possono capirlo,
perché fintanto che Dio non attrae l’anima, la realtà spirituale di Dio per lei
è un muro, per cui di fronte alle sue parole, risponde con dei “ma” e dei
“però”, perché per lei la realtà è un’altra. Invece per chi ha ascoltato Dio, la realtà è Dio, per cui tutto è su un altro
piano. Ed è logico che non possa comunicare quanto lei vede a chi non ha
accolto Dio. Per quanto si sforzi per farglielo capire, l’altro concluderà
sempre con “ma… però… bisogna avere i piedi per terra”.
Per
capire, bisogna essere convinti dell’importanza, per la nostra vita spirituale,
di conoscere Dio, perché tutto di noi viene a dipendere da lì. Le stesse
prove d’amore di Dio verso di noi si capiscono in conseguenza della conoscenza
di Dio. Infatti chi non crede come può vedere l’amore di Dio che gli manda,
ad es., un cancro? Ci vuole tanto substrato di convinzioni, perché è questo che
lo fa accettare, se no è impossibile. Cfr. don Beliardo: ha detto che la grazia
più grande, dopo il sacerdozio, è stata il cancro perché gli ha fatto capire
tante cose che diversamente non avrebbe capito; il cancro ha portato alla
presenza di Dio.
Si
formano abissi invalicabili, abissi d’incomunicabilità tra chi vede l’amore di
Dio in un cancro e l’altro, perché l’altro non può capire.
“Affinché dove sono Io siate anche
voi”, è da notare che non dice “dove Io ero”, ma “dove Io
sono”, perché Lui ha continuato ad
essere nel seno del Padre anche incarnandosi, sempre. I tempi sono per noi.
Aveva anche detto: “Dove Io sono, voi non
potete venire”: Lui è nel seno del Padre (dove = Padre). Il tempo è una
dimensione nostra: per noi questa promessa di Gesù è un futuro.
“Vi prenderò con Me”:
questo “prendere” lo troviamo in
altre pagine dei Vangeli (“uno sarà
preso, l’altro lasciato”). In un primo tempo siamo noi che vogliamo,
cerchiamo, facciamo, dobbiamo impegnarci; in un secondo tempo si è presi, per
cui uno non può più distogliersi anche se lo volesse. È una realtà che prende
talmente che uno non può desistere, tanto è attratto, preso, portato. Questa è
la preghiera incessante, la realizzazione di quel “pregate sempre”. Nella nostra vita generalmente siamo noi che
prendiamo Cristo con noi, in un primo tempo; ma poi è Lui che prende noi con
Sé, e allora, a questo punto, è Lui che viene a cercare noi, è Lui che parla in
noi, è Lui che pensa in noi, è Lui che agisce in noi, per cui noi diventiamo
spettatori di ciò che Lui fa in noi. Cioè, ad un certo momento non c’è più
l’impegno, tanto meno la fatica, ma c’è la pace che non può più venir meno; si
è sempre con Lui e non si può più venir meno a questa Presenza, quindi non c’è
più fatica a stare con Lui, ma gioia, cioè non c’è più da impegnarci, da sforzarci:
è il Paradiso. Non si fa fatica a stare con la persona che si ama. Lì non si
può più venir via: tanta è la bellezza di stare con Uno che ti inonda di pace,
di luce, ecc.
L’impegno
è prima, quando dobbiamo separarci da cose a cui siamo legati, perché quando
siamo vissuti nel pensiero dell’io, ogni avvenimento ha fatto in noi delle
aderenze, quindi si ha tante difficoltà per trasformare la vita secondo Dio. In
un secondo tempo, alla Pentecoste, avviene la scoperta che la Realtà è data
dalla Presenza spirituale, non più fisica; Cristo se n’è andato
fisicamente, ma rimane come presenza spirituale. È il momento in cui si scopre
la realtà spirituale come Realtà. Allora, questa Realtà spirituale che si
constata in noi, diventa talmente vera che ci conquista, ci prende.
Ci
prende affinché dove è Lui siamo anche noi; quel “dove è” è il seno del Padre. Essere nel seno del Padre è vedere Lui
generato dal Padre in noi. Questo ci dona la possibilità di vedere la sua
Verità in tutto, come opera sua, per cui non ci si ferma più ai segni, ma si
passa al loro significato, perché li si unifica tutti nella loro causa prima. Noi
non possiamo vedere i segni come segni, fintanto che non vediamo la presenza
operante il segno: non li vediamo automaticamente. Ad es.: se vedessi una
persona che fa l’albero, mi chiederei che cosa vuol fare, che cosa esso può
significare, perché lo fa; ma se non vedo la persona che lo fa, passo vicino
all’albero e non mi chiedo nulla.
Il
segno nasce dal rapporto tra la Causa operante la cosa e la cosa; se no non me
lo sogno nemmeno che possa essere un segno.
Noi
vediamo solo le cause seconde, ci fermiamo a ciò che ci può servire e non
passiamo oltre, cioè non passiamo alla ricerca del significato perché non
abbiamo presente la causa prima di tutto, per cui creiamo solo rapporti
orizzontali. È per questo motivo che per noi la realtà è solo quella sul piano
orizzontale. È per questo che il parlare con chi non crede in Dio diventa
impossibile, perché per lui la realtà è un’altra. Nonostante le dimostrazioni
che possiamo dare loro, ti rispondono: “sì,
ma… la realtà è un’altra… bisogna tener conto della realtà in cui viviamo…
bisogna avere i piedi per terra”. Così come chi è schiavo della moda
risponde: “sì, ma la moda è così” e
non valgono i ragionamenti per dissuaderlo.
Noi
scambiamo per realtà ciò che non è, fintanto che non vediamo l’altra realtà.
Riteniamo che la causa prima che ha creato tutto sia lontana; crediamo che ha
operato, ma ora noi dobbiamo arrangiarci. Per vedere tutto come segno
bisogna tener presente la causa prima operante il segno, qui, ora: e questo è
possibile prima ancora di vedere questa causa prima. “Chi non ha ascoltato il Padre – non che già ha visto il Padre – non
può venire a Me”.
Quando
si ha ascoltato il Padre si capisce il valore enorme, per la nostra vita, del
conoscere Dio, e quindi l’importanza di capire, o almeno cercare il significato
dei segni, per scoprire il Pensiero di Dio in essi, per conoscere qualcosa di
Lui.
Fintanto
che non si scopre l’importanza di questa conoscenza di Dio per la nostra vita e
la nostra pace, non si entra nella problematica dei segni, perché – si dice –
bisogna avere i piedi per terra. Ma se entriamo in questa problematica, ad un
certo momento scopriamo che la terra è cielo e che solo vedendola come cielo la
vediamo come realmente è.
Se
ascoltiamo il Padre scopriamo l’importanza che ha Dio per la nostra vita, per
le nostre scelte, per la nostra pace; ed è l’aver scoperto questo che ci fa
cercare e scoprire il Cristo. Se no, non si è cristiani, anche se si va a
Messa, perché si può andare a messa per motivi convenzionali, per una regola,
per un motivo morale, ma non si è entrati nello Spirito di Cristo. Il Cristo viene per condurci là dove già
vogliamo andare, ma che non sappiamo come giungervi. Bisogna sapere dove
vogliamo andare; perché di fronte ad un discorso così, il 99% di chi va in Chiesa, cosa capisce?
Questo
discorso (dal versetto 1 al 3) si può fare soltanto a chi vuol andare in un
certo luogo; se no che si ottiene? Chi ha dentro di sé questo desiderio ha già
incontrato la guida, il Cristo, e l’ha seguito, ed è anche capace di capire
quando Egli dice “me ne devo
andare,…adesso me ne vado”. Pensiamo a quanta preparazione ci deve essere
in un anima affinché Gesù possa fare questo discorso e che sia intelligibile ad
essa, anzi, che essa condivida questa necessità che Lui se ne vada. Deve avere
accettato e assimilato tutti i suoi insegnamenti.
Ma
se non abbiamo assimilato tutti i suoi insegnamenti, le sue parole, e siamo
andati avanti così, credendo di credere, noi rimaniamo illusi dalla nostra
fede: ci crediamo credenti, ma per noi queste frasi sono tabù. Credere vuol
dire camminare assimilando tutte le parole di Cristo; essere capaci di
rendersi conto del perché mi dice “questa parola”, comprenderla facendola via,
vita, avendola conosciuta vera. E così di parola in parola, Cristo ci fa andare
sempre più avanti fino a quella soglia dove possiamo vedere dove Lui è, nel
seno del Padre.
Lì
capiremo che solo Lui ci poteva condurre lì, e allora capiremo tutte le parole
che ci aveva detto. Perché Lui le sue parole non le dice così tanto per dirle. Ogni parola di Gesù è centellinata,
graduata per la nostra vita personale, spirituale, orientata non sui doveri
sociali, orizzontali, ecc., ma sull’essenzialità; a quell’essenzialità a
cui ci vuole condurre.
Ogni
parola è finalizzata alla conoscenza del Padre e del Figlio, e se non la
capiamo nel Fine non siamo col Cristo. Molti cristiani se conoscessero il
Cristo scapperebbero, perché non accetterebbero ciò che dice; se non
scappano e continuano a credersi cristiani è perché lo conoscono come lo
vogliono loro, non per lo scopo per cui Egli è venuto.
Per
questo è molto importante fermarci su ogni parola del Cristo: ogni sua parola è
un tratto di strada. Non possiamo permetterci di saltare nessuna di esse, se no
le ultime che ci dice ci sono incomprensibili. Infatti, queste parole dei primi
versetti, le dice ai suoi apostoli, a coloro che lo avevano seguito fin
dall’inizio, non le dice a tutti.
A
tutti aveva indirizzato le prime sue parole con cui invitava gli animi alla
“penitenza” (= conversione a Dio), le beatitudini, le parabole, preparando via
via gli animi ad intendere le ultime sue parole.
Ogni
parola assimilata, capita, ci fa fare un tratto di strada necessario per la
nostra salvezza e ci prepara a comprendere quella successiva.
Ad esempio, meditando su questo versetto, Cristo ci fa convinti della necessità
e importanza del passaggio dalla presenza fisica alla presenza spirituale di
Lui, dalle presenze fisiche alle realtà spirituali; ci fa capire il significato
di tutte le cose che passano, il senso del loro passare, del perché tutto passa
e muore, perché ciò che avviene in
Cristo, avviene in tutte le presenze fisiche.
Perché
tutto passa? Perché tutto dice a noi quel che dice Gesù: “vado a prepararvi un posto”. Tutti quelli che muoiono, muoiono per
prepararci un posto, affinché noi tendiamo a trasferire il nostro pensiero da
ciò che si vede a ciò che non si vede. Tutte le creature, cioè, tendono a farci
fare la nostra pasqua, a farci passare dalla realtà materiale che passa alla
realtà spirituale che non passa.
In
Cristo abbiamo la sintesi di tutta l’opera di Dio e quindi la rivelazione di
tutto, perché “se non me ne vado, in voi
non si forma la capacità di ricevere lo Spirito Santo, lo Spirito di Verità”.
Ecco
l’importanza del Cristo: ciò che ci dice ci fa intelligenti del senso di
tutto ciò che avviene; perché in Cristo avviene la ricapitolazione e quindi
la rivelazione di tutto, perché è la rivelazione del Pensiero di Dio, quindi
rivelazione di tutte le opere di Dio (perché è nel pensiero che abbiamo la
rivelazione del senso di ogni opera). Meditando su queste parole del Cristo,
cominciamo a capire perché le cose passano, perché c’è il tempo.
Però
non basta leggere le Parole, ricordarle a memoria: bisogna arrivare a
comprenderle: è Lui che ci prepara al passaggio, perché comprendendo le sue
parole, noi facciamo il passaggio; comprendendo ci spiritualizza.
Dobbiamo
arrivare alla spiritualizzazione di tutte le cose, perché il nostro spirito
deve essere libero da ogni scoria materiale. Egli parlando a noi, ci
spiritualizza. Adamo era in processo di spiritualizzazione; poi c’è stata la
rottura con il peccato di autonomia. Ora, a causa di questo, per noi è faticoso
questo processo di spiritualizzazione, che però è necessario per la nostra
salvezza, per la nostra Pasqua. Questo processo di spiritualizzazione dovrebbe
portarci ad un superamento di tutto, anche della stessa morte. Quindi è molto
importante capire quello che ci dice il Cristo, perché ciò che ci dice ci fa
capire il senso di tutto ciò che avviene, perché Cristo è la ricapitolazione di
tutta l’opera di Dio. Ricapitolare vuol dire “riportare tutto nel Capo”, al
Principio di tutto, perché tutto trova il suo significato in Cristo; le
cose si illuminano nel Cristo.
Se
medito sulla passione e morte di Gesù in Croce, ho la rivelazione di ciò che è
la vita di ogni uomo, perché ogni uomo è crocifisso. Ma è meditando su Cristo e
non sull’uomo, che lo posso capire, perché nell’uomo c’è la confusione tra l’io
e Dio; invece nel Cristo, siccome abbiamo in Lui il Pensiero puro di Dio,
meditando su di Lui, abbiamo la luce per comprendere ciò che avviene al di
sotto di Lui, proprio perché è il Pensiero puro del Padre.
Nino:
Al termine di questo processo di spiritualizzazione, cioè fatto il passaggio
dal materiale allo spirituale, abbiamo l’identificazione col Figlio?
Luigi:
No, formiamo una cosa sola col Figlio, ma non c’è identificazione perché c’è
la distinzione delle persone: la sua Persona e le nostre persone. La
nascita dal Padre ci fa scoprire che siamo una cosa sola col Figlio, ci fa
scoprire che siamo figli; ci si ritrova con lo Spirito Santo. È con lo Spirito
Santo che si scopre ciò che è il Padre, ciò che è il Figlio e ciò che è lo
Spirito Santo. Ma questa scoperta presuppone la nascita dal Padre, e questa
nascita presuppone l’opera del Figlio, che ci indica dove è la sua gloria (la
sua gloria è il Padre), cioè dove avviene la nostra nascita che ci fa essere una
cosa sola col Figlio. Principio di tutta quest’opera è il Padre, per mezzo del
Figlio; il quale affida l’anima al Padre dopo averla condotto su quella soglia
dove Lui se ne va fisicamente, affinché il Padre doni la sua Presenza, la
generi “figlia” adottiva, intimamente unita al figlio naturale, nella comunione dello Spirito Santo. Lì
scopriremo noi stessi come Pensiero di
Dio.
Ma
per fermarci a meditare su questo, quante cose dobbiamo già aver assimilato
prima! Osserviamo quante cose abbiamo scoperto fermandoci a meditare sul Cristo
e sulle sue parole. Perché? Perché Cristo diventa una fontana di sapienza che
ci fa capire tante vicende umane: il senso di ieri, di oggi, del tempo, del
significato dei fatti di ieri, di oggi, ecc.
Meditando
su di Lui, per riflesso abbiamo l’intelligenza dei fatti che avvengono. Più
si medita sull’Immutabile, e più si diventa capaci di comprendere anche le cose
mutevoli; più preferiamo le cose immutabili, più siamo illuminati sulle
cose mutevoli (ci dice s. Agostino).
Cina:
Queste parole di Gesù sono una promessa, quindi bisogna vivere nell’attesa di
essere presi da Lui, come Lui ci dice: “vi
prenderò con me”.
Luigi:
Bisogna capire bene ciò che diciamo; “promessa” è una cosa da capire, perché
Cristo parla cose a noi, affinché noi le capiamo; perché le cose di cui ci
parla, non sono fatti automatici che devono avvenire, ma sono fatti che
avvengono nell’anima che le capisce, perché quando l’anima capisce le cose
che Gesù dice, queste avvengono in essa. Cioè non dobbiamo cullarci nella
promessa aspettando che questa si realizzi. Cristo parla affinché noi
capiamo, parla cioè per farci fare un certo passaggio. Questo passaggio avviene
in quanto ascoltiamo le sue parole, le crediamo, le mediatiamo e approfondiamo
per arrivare a capire. È Lui che me le spiega, me le illumina, ma io debbo
rendermi disponibile. Se no mi accontento di dire “oh, che bello!”, e aspetto.
E non mi accorgo che questa cosa è già realizzata, e Lui me la dice affinché io
passi nel mondo in cui è già realizzata. Il passaggio consiste nel capire. Comprendendo arrivo a vedere ciò che è già.
Noi
crediamo di capire, e poi, dopo un po’ di tempo, non capiamo più; perché?
Perché noi ci illudiamo di capire, ma il nostro capire è sempre relativo; per
cui Dio, che ci conosce, ci presenta situazioni o parole incomprensibili per
farci capire che non abbiamo capito, per cui ci sollecita, ci mette in
movimento per approfondire di più. Le situazioni o le parole difficili sono
sollecitazioni di Dio per portarci a capire, perché la cosa sarà capita
solo nel Padre, e quando la capiamo dal Padre abbiamo la creatura nuova:
scopriamo noi come creature nuove, come Pensiero di Dio, e allora lì la cosa
non è più smentita, non la perdiamo più.
Pinuccia:
Di per sé allora dovrebbe bastare una sola parola capita per nascere dal Padre…
Luigi: Non
dimentichiamo che noi siamo un niente su cui Dio sta lavorando per renderci
capaci di vita eterna. Dio ci lavora attraverso un universo che ha creato:
tutte parole che giungono a noi. Dio sta lavorando su noi per mezzo di ogni
cosa per formare in noi un’anima capace di eternità, per renderla capace di
stare con Lui sempre in tutto: un atomo che diventa universo. Dio sta facendo
così con ciascuno di noi: ci fa diventare di una potenza tale da essere capaci di
nascere da Dio, di capire tutto in Dio. È un lavoro enorme che sta facendo su
di noi nello spazio di pochi anni.
Pensiamo
quale meraviglioso lavoro di nove mesi per la formazione, da un grumo, di un
corpo umano: non c’è attimo di sosta per formare una creatura. E pensiamo a
quanto lavoro in 70-90 anni Dio fa per formare una creatura eterna, un anima
capace di contemplare la verità di Dio, capace di vita eterna. Se ci
vogliono nove medi per formare un corpo fisico, pensiamo a cosa si richiede per
formare un’anima capace di contemplare le verità di Dio! Richiede tutto il
lavoro di un universo intero. E Dio dialoga ogni giorno con ciascuno di noi per
prepararci, per farci diventare capaci di vita eterna, cioè di conoscere Dio:
un lavoro molto più complesso e meraviglioso.
Il
tempo di Dio è relativo, per cui anche quelli che muoiono bambini sono scena
per noi (sono angeli di Dio, annunci) per formare in noi questa capacità di
vita eterna.
Quanto
lavoro da parte di Dio per dirci: scegli la vita. Ma noi
continuamente facciamo resistenza a questo appello. Noi praticamente rinunciamo
a vivere. Ora, in tutto questo grande lavoro di Dio, prima per formarci un
corpo, poi per formare in noi la capacità di ascolto, e poi tutto questo suo
parlare e dialogare con noi, con ciascuno di noi, ha lo scopo di formarci alla
vita eterna; l’importante è lì, ed è quello il nostro vero impegno.
Quindi
noi dobbiamo impegnarci ad assimilare tutto ciò che Lui ci sta dicendo,
crescere, crescere. E come cresciamo? Ascoltando.
Nella
misura in cui assimiliamo, capiamo, diventiamo capaci di vita eterna. Quanto
lavoro di Dio per noi! Ecco la fatica di Dio: quanto pensiero! Come Padre
non ha potuto soffrire per noi, ma il Figlio sì: e nella sua incarnazione ci ha
rivelato tutta la sua fatica, il lavoro, l’amore di Dio per noi: “non per scherzo ti ho amato”! Quindi ciò che Gesù dice al versetto
3 è una promessa, ma è una promessa che ci impegna a capirla.
Dio,
in tutte le sue opere non opera senza di noi, perché Egli non è un distributore
automatico da cui ci si aspetta il panino buttandovi una monetina; Dio opera
con noi consapevolmente. Quindi fa una proposta e poi impegna noi ad aderirvi.
Se noi non ci impegniamo rifiutiamo la vita. Prima che nascessimo, Dio già
operava per noi senza di noi, ed operava tutto con noi per convertirci, per
farci toccare con mano che stiamo sbagliando; ma il momento in cui arriva la
conversione e inizia il processo in cui dobbiamo capire, e il capire non
avviene senza di noi.
In
un primo tempo, per formare in noi questa attenzione a Lui, Dio opera senza di
noi: abbiamo tutto un processo per far nascere l’interesse per Lui. Ma dal
momento in cui nasce l’interesse per Lui, noi siamo chiamati a capire, allora
qui non succede più nulla senza di noi, perché si richiede la nostra
partecipazione intelligente. E questo ci è possibile in quanto Dio,
parlando, da a noi la capacità di capire; e l’intelligenza è nel suo Spirito.
Se
non teniamo presente Lui, non capiamo, anche se siamo attratti, per cui non
comprendiamo, non succede nulla in noi (né siamo trasformati dal suo parlare,
né avanziamo verso di Lui). Il giorno in cui ci rendiamo conto che queste
parole le dobbiamo capire e le dobbiamo capire in Lui, con Lui, la promessa è
realizzata.
Quindi
abbiamo tutto un processo iniziale in cui Dio opera senza di noi per formare in
noi l’attrazione del Padre: dal momento in cui si forma, Dio ci richiede la
partecipazione personale per proseguire il cammino verso la sua conoscenza. Lui
opera ogni cosa, se la nostra anima è aperta a Lui, e richiede la nostra
partecipazione consapevole. Dal momento in cui c’è in noi l’interesse per Dio,
siamo in grado di dare la nostra partecipazione consapevole.
Dobbiamo
prendere consapevolezza che ciò che Dio ci dice è ancora Dio che ce lo
illumina, quindi dobbiamo cercare in Dio, e non in altro, il significato di ciò
Egli stesso che dice e opera. Se lo si cera in altro non si entra nella luce.
Fintanto che non capiamo che Colui che parla è ancora Colui che illumina (per
cui è richiesta l’attenzione a Lui in tutto) non entriamo nella realizzazione
delle parole che dice, pur essendo attratti. Perché? Perché si richiede la
nostra partecipazione consapevole. Possiamo prendere delle cantonate e
sbagliarci, però Lui ci corregge e ci fa capire che è Lui che ci spiega quanto
dice, quindi: “non cercare più presso altri”. Lui solo è il nostro Maestro. Dio ci invita ad un rapporto sempre più
personale e diretto con Lui, fino ad arrivare ad avere Lui come unico nostro
Maestro. È qui che scopriamo che man mano che comprendiamo le cose che Lui
ci dice, tutte diventano realtà per noi, fino a farci essere noi un sola cosa
con Lui.
Pinuccia:
Ogni parola capita in Dio è una nascita da Dio?
Luigi:
Ogni comprensione è opera di Dio, ma non è ancora una nascita nostra da Dio,
perché a questa giungiamo dopo un lungo cammino; Dio si abbassa a parlare con
noi al livello in cui ci troviamo, perché non capiamo ancora ciò che Lui ci
dice di Sé, ma capiamo ciò che ci dice a livello del nostro io. Ad es. possiamo
capire quando ci dice “Chi ama la
ricchezza non può entrare nel Regno di Dio”; questo linguaggio lo capiamo,
ma anche se lo capiamo non nasciamo ancora dal Padre, perché dal Padre si
nasce quando si capirà quell’unica Parola che ci fa nascere.
Queste
parole, a livello della mia comprensione, mi sollecitano a camminare, a capire
l’importanza del passaggio dalle presenze fisiche alle presenze spirituali: se
le capiamo, incominciamo a preoccuparci di questo passaggio. Questo suo parlare
è uno spezzare il pane, ed è in questo spezzare il pane che scopriamo la sua
Presenza (cf. i discepoli di Emmaus). Dio scende a spezzare il pane al
nostro livello; parla a livello della nostra instabilità: se accogliamo le
sue parole, esse ci fanno più stabile, ci cambiano; se non le accogliamo, cadiamo
sempre più in balia degli eventi (nelle tenebre esteriori) che ci renderanno
sempre più instabili.
Quindi
Dio comincia con lo spezzare il suo pane, il suo Pensiero, all’uomo che inizia
il cammino della fede, per quel poco che l’uomo nella sua dispersione è in
grado di capire.
Se
sono in balia degli eventi, schiavo della ricchezza, allora mi dice una parola
che, se accolta, mi fa passare dall’amore alla ricchezza all’amore per la
povertà. Se assimilo questa parola, se la capisco, mi preoccupo di essa, la
realizzo: ecco allora che divento un poco più stabile rispetto all’uomo che è
in balia della sua ambizione.
Inizialmente
Egli opera a questo livello, perché capisco solo le parole dette al livello in
cui sono, al livello delle mie passioni, perché non posso capire altro. Se
accolgo le sue lezioni, se assimilo il suo pane spezzato al livello in cui mi
trovo, ho già fatto un passaggio: mi ha liberato da certe catene e
condizionamenti. Ma fatto questo passo ci sono ancora milioni, miliardi di
passi da fare; se ascolto Lui, a poco per volta, mi educa.
Cosa
vuol dire “mi educa”? Mi rende sempre più capace di permanere in Lui, nelle
sue parole, ad essere stabile, cioè capace di cogliere le sue lezioni profonde.
E così, di gradino in gradino, le sue parole mi portano a quella intimità con
Lui, fino a rendermi capace di recepire quell’unica parola che mi farà
nascere figlio di Dio. Ogni passaggio (cioè ogni cosa o parola compresa in
Dio) mi fa nascere da Dio, in quanto è Lui che lo opera e mi prepara alla mia nascita
da Dio.
Man
mano che si va avanti nell’ascolto di Gesù, le lezioni diventano sempre più
profonde, più difficili: quando uno le sente all’inizio del cammino, appaiono
assurde, incomprensibili, perché per essere capite presuppongono tutta una
maturazione e convinzione dell’anima. “Ho
tante cose da dirvi, ci dice Gesù, ma
per ora non siete capaci di sopportarle”: Egli ha tutta un’eternità, un
infinito da trasfondere in noi. Proprio perché non siamo capaci di sopportarle,
Egli spezza il suo pane al livello in cui siamo capaci di intendere.
Egli
scende al nostro livello, però noi dobbiamo ricevere le sue lezioni, le sue
parole da Lui e cercare di capirle in Lui: si presuppone logicamente
l’attrazione del Padre, la fede; se no non accolgo nemmeno le su prime lezioni
sulla ricchezza, ecc. Se non accolgo, cioè se non capisco, non realizzo le sue
prime parole; e se non faccio i primi passaggi, non arriverò mai a capire le
sue parole successive, perché è una preparazione progressiva che rende la mia
anima capace di intendere le lezioni più difficili. Per questo non bisogna
saltare nessuna sua parola.
Non
è facile quando uno è costretto ad occuparsi d’altro, però quando uno è
convinto di certe cose, il vivere in un altro mondo gli crea disagio, nostalgia
del mondo di cui è convinto ed è questo che lo tiene unito a Dio e lo aiuta a
custodire le sue parole, in attesa di essere da lui liberati. Fintanto che
non arriviamo alla conoscenza del Padre, le parole le ricordiamo come memoria,
perché profondamente non le abbiamo capite. Ma è l’interesse per capirle
che ci mantiene uniti a Lui, che è gemere, piangere, invocare: “Signore, illuminami, aiutami a capire”.
Egli
parla per farmi capire. Questo interesse, questa invocazione mi aiuta a restare
nelle parole, anche se mi debbo occupare di altre cose; perché se porto questa
nostalgia, sono tenuto unito a Dio che mi libera dalle passioni di altre cose.
Allora le altre cose le faccio perché sono costretto a farle, le dico perché
debbo dirle, ma il mio animo è altrove, è preso da un amore. Dio ha posto in
noi una potenza terribile, per cui non c’è più niente che ci possa portare via
se il nostro cuore è pieno. Se è vuoto, tutto ci porta via. Perché sia
pieno bisogna che l’anima abbia interesse per Dio.
Dio
parla continuamente, per cui giungono a noi moltissime parole, fatti, cose. E
non si tratta di custodire tutto ciò che arriva, perché Dio ci tocca l’anima
con una parola in modo particolare, ed è quella che vale per me in quel
momento: è quella allora che debbo assimilare e custodire (può essere una
parola scritta o un avvenimento).
Pinuccia:
Quando giunge per l’anima il momento in cui Cristo se ne va, da che cosa lo si
percepisce? Per poter percepire questa sua partenza fisica l’anima deve prima
aver percepito la sua presenza fisica, no?
Luigi: È
possibile non percepire né la sua presenza fisica, né la sua partenza fisica,
con tutte le conseguenze che ne derivano. Per percepire la sua presenza
fisica ci vuole l’attrazione al Padre, affinchè si possa trovare in Lui la
risposta al proprio bisogno. La sua presenza fisica è un segno, le sue parole
sono un segno. E il fatto che Egli sia stato presente duemila anni fa sulla
terra o lo sia oggi, non ce nessuna differenza. La sua incarnazione è valida
ancor oggi, perché ciò che vale è potersi fermare con qualcosa su cui poter far
sostare il nostro pensiero; proprio perché la presenza spirituale è un
attimo e poi scappa, non si è capaci di restare in essa. Invece la sua
presenza fisica si impone: non è frutto di fantasia, ma è lei che, in quanto si
annuncia a te, si fa pensare. Come potresti, per esempio, pensare ad
Abramo, a Davide, a Mosè se tu non avessi letto o sentito parlare di essi?
Sentendo parlare di Abramo, ti trovi con uno con cui puoi sostare: lo puoi
pensare in ciò che ha fatto nei suoi rapporti con gli altri, ecc. Puoi pensare a una persona se essa ti è
stata annunciata, e questo è un regalo.
Così
con Cristo: l’annuncio che è venuto su questa terra è un regalo, perché lo
posso pensare, lo posso ambientare, lo posso ascoltare, interrogare, posso
immedesimarmi come se fossi io presente a Lui in ciò che ci dice o fa, cioè
posso restare con Lui. Per fare tutto questo lavoro con
Lui devo essere interessato a ciò che mi dice, solo se sono interessato al
Pensiero di Dio, posso ricevere il Pensiero di Dio.
In
quanto il Pensiero di Dio si presenta a me con una presenza fisica, io lo posso
pensare, posso fermarmi con Lui, posso andare a trovarlo; non c’è differenza
percorrere 50 o 500 metri, fare un tratto di strada per trovare un amico a casa
sua e percorrere cinque, cinquanta secoli per trovare uno che conduce il mio
pensiero nel suo Pensiero.
Il
vantaggio della presenza fisica è che, se ascolto, essa mi costringe il
pensiero a fermarsi nelle parole che mi dice: perché o
non le sopporto e scappo, ma se resto, sono costretto a stare fermo nel
pensiero che mi viene trasmesso. Anche quando leggo un libro è sempre una
persona che mi parla e che ferma il mio pensiero.
Ma
visto che sono tutte le altre presenze fisiche del mondo che portano via il
nostro pensiero, solo una presenza fisica, un segno, può fermare il nostro
pensiero. Ma un segno, una presenza fisica riesce a fermare il
nostro pensiero se risponde ad un interesse che portiamo dentro. Siccome Cristo
ci porta il Pensiero di Dio, solo se siamo interessati al Pensiero di Dio ci
fermo con Lui, e la sua Presenza fisica riesce a fermare il mio pensiero sul
Pensiero di Dio.
La
presenza fisica però ha una funzione transitoria, perché il suo scopo è
portarci ad attingere direttamente al Pensiero di Dio, senza più mediazioni.
Cristo è il Pensiero di Dio tra noi: è tra noi, però sfugge a noi, perché?
Perché per restare col Pensiero di Dio
dobbiamo fare ciò che fa Dio, cioè generare il suo Verbo in tutto e noi
questo non lo sappiamo fare.
Abbiamo
bisogno di uno che lo parli a noi, che supplisca alla nostra incapacità di
pensare e di adorare. Quindi la presenza fisica di Gesù ha la funzione di
fermare ed educare il nostro pensiero per un tratto di strada, ma poi non più
perché pesa (cf. Lazzaro è stato tolto dalla soglia dell’Epulone).
Bisogna
approfittarne quando è tra noi, seguendo ciò che ci viene da Lui. Ciò che mi
vien detto di Lui sul Vangelo è come un raggio che parte da una stella e mi fa
pensare alla stella. Ma questo raggio non mi arriva per sempre, perché ad
un certo punto mi viene sottratto. Come mai? Cosa è successo nell’anima per
cui, ad un certo momento, non può più percepire una presenza fisica, la stessa
che altri possono ancora percepire?
Avviene
un cambio di interesse che mi può portare oltre Lui o altrove.
Questo può succedere anche con una persona umana: può attrarre tutta la nostra
attenzione per un po’, e poi scadere ai nostri occhi; quando? quando in noi è
mutato l’interesse: o perché si trascende la persona o perché ci interessa
altro.
Noi
tutti aspettiamo una telefonata e speriamo sempre che sia la persona che ci sta
a cuore quella che chiama. Così come una persona che è innamorata crede di
vedere la persona amata in tutte quelle che incontra, ma finché non la trova non è soddisfatta.
Noi
tutti siamo lì che aspettiamo la telefonata di Dio, aspettiamo che ci chiami:
siamo lì che lo cerchiamo o crediamo di vederlo in molte persone, poi in poche,
poi solo in Cristo, e poi si trascende perfino Lui. Perché? Perché Cristo ci
porta a scoprire il vero Lui che stiamo cercando. Ci porta ad attingere
direttamente alla sorgente da cui attinge Lui, questo è il suo amore!
Pinuccia: E
dopo aver conosciuto il Padre non ci dice più niente la sua presenza fisica?
Luigi:
Ci dice l’amore grande che Dio ha avuto per noi. Noi crediamo già di scoprire
questo amore prima, ma sono attimi, e non restiamo. Lo si scoprirà nel Padre. E
allora, non solo la presenza fisica di Cristo, ma tutte le altre presenze
fisiche ci diranno molto di questo amore, perché si vedrà che è lo Spirito che
opera in esse.
La
presenza fisica di Cristo parlerà in tutto, perché si vedrà il Verbo che parla
in tutto, perché si vedrà tutto come segno, come presenza fisica del Verbo.
La
sua presenza spirituale si annuncia attraverso tutte le presenze fisiche; però
queste sono segni, per cui non le vediamo più come realtà, così come le vediamo
ora (è questa la grande liberazione!). I rapporti con i segni, allora,
saranno rapporti d’amore, di comprensione, di riconoscenza per il grande amore
che Dio ha avuto per noi, ma non ci sarà più un rapporto di dipendenza o di
bisogno di essi.
Il
non desiderare questo significa non capire la differenza che c’è tra una
fotografia della persona amata e la persona. Voglio restare con la foto o con
la persona? C’è differenza tra il contemplare la fotografia di una persona e
che questa persona apra la porta, ed entri e venga a trarti, no?! Ora, non c’è
differenza tra una fotografia, che è una figura disegnata dalla luce e che è
destinata a passare, e una presenza fisica che è pure una figura disegnata
dalla luce e che è destinata a passare. Per questo è necessario che la presenza
fisica di Gesù passi, perché dobbiamo passare dalla presenza fisica alla
Realtà.
Dobbiamo
affrettarci a passare allo Spirito, perché il terreno su cui camminiamo si
scioglie; non dobbiamo farci degli idoli. Questo ammonimento valga per ognuno
di noi.
È
andandosene che Cristo ci prepara un posto; ci fa capaci cioè di fare questo
passaggio al Padre. “Tornerò e vi
prenderò con me”. Da che cosa dipende l’essere presi? Da ciò che uno porta
dentro di sé; infatti Gesù dice “due
saranno nel letto, due alla macina, uno sarà preso, l’altro lasciato. È
di una profondità e acutezza tremenda questa affermazione, perché mette in
evidenza come l’essere presi non dipenda dalla situazione esterna che è la
stessa per entrambi; per cui anche se due sono nella trappa, nel deserto,
uno può essere preso l’altro lasciato.
Essere
presi vuol dire essere attratti; nella stessa situazione esterna
uno è preso dall’amore di Dio, l’altro no. Sempre si è presi da qualcosa.
Perché tutto ci porta via? Perché si è presi da tutte queste cose. Generalmente
si è presi da ciò che si porta già dentro, da ciò che si fa. Ad es. disegno una
margherita; in quanto l’ho pensata, l’ho fatta, sono condizionato per il giorno
dopo, e sono attratto più per la margherita che per un altro fiore, se la
trovo. Così ogni cosa: se ho sentito parlare di un argomento, sono reso
sensibile a quell’argomento; e se due ore dopo trovo uno che parla di quello,
sono attratto da quello.
Ci
prende ciò che fuori di noi corrisponde a ciò che portiamo dentro di noi,
perché queste due cose si uniscono e noi restiamo presi. Se nella corazza della
tartaruga si mette della polvere di ferro: con una calamita la si fa andare
dove si vuole, anche se lei crede di andare dove vuole lei. A seconda di ciò
che portiamo dentro, restiamo calamitati, presi, perché due cose uguali, nel
campo dello spirito, necessariamente si uniscono. L’attrazione presuppone due
fattori: uno oggettivo, reale, che è dato da Dio e uno soggettivo che è dentro
di noi: l’interesse per il Padre, la convinzione dell’importanza che ha per noi
conoscere il Padre. Se ci sono questi due fattori, noi siamo presi dal Figlio.
Ma se non c’è questa attrazione per il Padre, se non lo mettiamo prima di
tutto, se non abbiamo capito l’importanza di conoscere Dio, non siamo presi dal
Figlio, perché il Figlio è il Volto del
Padre. Anche nel campo del sentimento, due cose uguali si attraggono: la
simpatia è data da questo. Un malato è reso più attento da un altro che ha la
sua stessa malattia.
Nel
campo dello spirito due persone che hanno lo stesso interesse, si sentono
vicine, anche a distanza di anni e di spazio.
Noi
non siamo mai soli, perché siamo sempre presi da qualcosa: o da ciò che ci
schiaccia, ci incatena, ci distrugge o da chi ci da la vita. Quando siamo
vuoti, siamo presi dalle cose più banali (es. i giovani che hanno bisogno di
riempirsi di chiasso).
In
un primo tempo si è presi dal Cristo, se c’è in noi l’attrazione per il Padre,
perché troviamo in Lui lo stesso nostro interesse, troviamo la guida, il
Maestro, e in un certo qual senso si è posseduti da Lui, in quanto non possiamo
farne a meno. In un secondo tempo, alla Pentecoste, si è presi dal Verbo, in
quanto nella conoscenza del Padre si ritrova Lui: per questo ci dice: “tornerò e vi prenderò con me”; ma
questo non è un ritorno magico, come è stata la sua venuta sulla terra, ma è un
incontro consapevole, perché si tratta di una nascita consapevole. L’essere
presi dal Verbo è conoscenza, possesso, conoscenza che si possiede: è la
scoperta della sua Presenza.
Perché
si è posseduti? Perché si porta dentro di sé quello che ha l’altro.
L’essere
posseduti dal Cristo è ancora un possesso che può essere oscillante (come può
essere oscillante l’amore quando si è presi da una persona, se l’amore non è
basato su Dio). Invece a Pentecoste si è presi in modo stabile. Nell’amore
umano quando si è presi c’è sofferenza se non si può realizzare la vicinanza, l’unione.
Così, l’anima innamorata di Dio, che è presa da Dio soffre fintanto che non può
realizzare l’unione stabile con Lui. Ma Gesù ci promette “vi prenderò con Me, affinchè dove Io sono siate anche voi”. Essere
presi quindi vuol dire essere posseduti. Essere posseduti vuol dire non
volere più ciò che vogliamo noi: la nostra volontà diventa volontà dell’altro.
Amando si vuole il bene dell’altro, la volontà dell’altro, la vita dell’altro,
si vuole che l’altro viva, sia.
L’amore
umano è tutto un campo di significazioni di quello che deve essere la vera vita
nostra con Dio: ma per capirle bisogna partire dall’alto. Non è necessario
farne l’esperienza, anzi dal basso si subiscono certe cose senza poterle capire: la luce viene dall’Alto. Chi
subisce certe situazioni nell’amore umano si sente illuminato da chi ha
raccolto questi segni in Dio e li capisce in Dio; allora, per es., può capire
perché soffre quando è preso da una persona, capisce che la sofferenza è
determinata dalla lontananza; quando poi è illuminato sul fatto che egli sta
cercando l’Assoluto, sempre, anche amando quella persona, e che quell’Assoluto
che non conosce ancora è Dio, inizia un processo di liberazione; quando sa che
sta cercando Dio dappertutto, quando scopre il suo bisogno di assoluto (prima
ne aveva bisogno, ma non lo sapeva) incomincia a sapere ciò che vuole (la
Sorgente) e a conoscere il cammino. Allora incomincia a liberarsi dalle
pozzanghere, da altri sentieri. Ma la vera liberazione non ci viene solo dal
sapere il nostro vero bisogno, ma dalla conoscenza della Verità (“La Verità vi farà liberi”): è trovare la
Persona, la Sorgente che ci fa liberi. La Verità va trovata.
Raccolti
in Dio, i segni dell’amore umano ci aiutano nel nostro rapporto con Dio: ad es.
la persona innamorata crede di vedere il volto della persona amata in ogni
persona che incontra. Questo avviene veramente nella vita dei santi: innamorati
di Dio che tendono a cercare il Volto di Cristo in tutti e in tutto.
Appendice:
Il
pensiero dell’io acceca: ci sono scienziati che in nome della scienza si
rifiutano di cercare il senso, lo spirito che anima le meraviglie della natura,
del corpo umano. Eppure non esitano a chiedersi qual è lo spirito, l’idea che
ha animato l’autore del progetto della costruzione della basilica di s. Pietro.
Considerano lecita per la scienza questa domanda di fronte all’opera di un
uomo, ma non la considerano più ammissibile di fronte ad es. alla
programmazione dei cromosomi dell’essere umano.
“Le vostre
parole vi giudicheranno o vi salveranno” dice
Gesù; può succedere che noi crediamo possibile l’intervento straordinario di
Dio in cose piccole e banali e a volte dubitiamo che possa intervenire (per
mancanza di tempo, da parte nostra) a soddisfare la nostra fame di conoscerLo
sempre di più. A
Dio tutto è possibile.
E del luogo
dove io vado, voi conoscete la via. Gv 14 Vs 4
Titolo:
Argomenti:
5/Ottobre/1980
Dove
va il Signore?
Può
andare solo al Padre.
È
il senso del passare di tutte le cose. Arriva un certo momento in cui
incominciamo a prendere consapevolezza del fine della nostra vita, ed è quando
prendiamo coscienza che tutto passa. Di fronte alle cose che passano ci
chiediamo: perchè passano? Perchè tutto passa?
Cristo
è rivelazione del significato del passare di tutte le cose:
tutte le cose sono pedagogia per il fine a cui dobbiamo tendere. Dio ci crea
per un fine e fa tutto per orientarci lì.
In
Cristo si rivela il senso di tutto: Egli ci rivela che tutte le creature sono
frecce che ci rivolgono verso un meta e ci dicono “vai avanti!”.
Gesù
va al Padre, e ci dice: “Voi sapete dove
vado e, a questo punto, voi sapete anche la via”; sì, perchè Egli ci ha
detto “Nesuuno può conoscere il Padre se
non per mezzo mio”. Dicendoci questo ci avverte che tutte le creature, gli
avvenimenti, le cose, tutta la creazione, e Lui stesso, sintesi della
creazione, ci dirigono al Padre. Cristo, essendo come Verbo incarnato la
sintesi della creazione, è anche rivelazione di tutta la creazione: infatti tutta
la creazione è fatta nel Verbo di Dio, sussiste nel Verbo di Dio, in un
solo Verbo. Quindi quando il Verbo incarnato si manifesta, capiamo anche il
senso di tutte le creature. Cristo ci dice il perchè del passare di tutto: “Io vado al Padre”; quindi tutto passa per condurci al
Padre, per rivolgerci al Padre.
Gesù va al Padre come uomo, come
Verbo incarnato è sempre stato nel seno del Padre. Se già
l’uomo è sintesi della creazione, a maggior ragione lo è il Verbo incarnato.
Anzi, mentre nell’uomo c’è la notte, nel Verbo incarnato c’è la Luce.
Se
osservo solo gli uomini e mi domando “Perchè c’è la delusione? Perchè c’è il
dolore? Perchè tutto passa?”, resto con il “perchè”, in quanto l’uomo non mi
può rispondere. In Cristo invece ho la risposta. Cristo ricapitola in sè
tutto ciò che accade e ce ne svela il significato, la direzione e ci dà la
possibilità di intenderlo: “Voi
conoscete il luogo dove io vado e anche la via”. Ci rivela il significato
del passare di tutte le cose.
Tutto
è strada verso la nostra meta, ma è molto importante capire il luogo dove
dobbiamo andare, perché altrimenti ad
ogni bivio ci rimane il dubbio sulla direzione da prendere, oppure restiamo
attratti dalla bellezza delle creature, ecc.
Se non abbiamo presente il fine deviamo; se invece abbiamo
presente il fine, niente ci svia. Quindi è essenziale sapere la meta, sapere
dove tutte le cose ci convogliano; allora tutto, creature, avvenimenti, ci sono
di aiuto.
Noi,
creati per una meta, ogni giorno dobbiamo preoccuparci di andare verso quella
meta. Siamo creati per conoscere Dio e ogni giorno dobbiamo preoccuparci di
avanzare verso questa meta. Se uno vuol tirare su un impresa, coordina tutto
per quel fine; così dobbiamo fare noi: coordinare tutto per il raggiungimento
della meta per la quale Dio ci ha creati.
Da
Dio abbiamo il fine: conoscere Lui; quindi dobbiamo vivere per conoscere Lui.
Ma noi, ogni giorno, per che cosa viviamo?
Ecco
il divario: creati per una cosa, viviamo per un’altra; ed è qui che sorgono
i dubbi, le incertezze, le depressioni, le tristezze; perché in noi c’è una
frattura, in quanto la meta non possiamo dimenticarla.
Se
teniamo presente la meta, allora tutti gli avvenimenti, tutta la creazione,
sono strada per condurci dove dobbiamo andare; fino al momento in cui avviene
il passaggio dal finito all’infinito. Ed è una meraviglia, …che è opera di Dio.
- Qui Gesù completa il suo discorso: Egli aveva
detto “dove Io vado voi non potete
venire”: siamo finiti, quindi non possiamo passare all’infinito perchè per
passare all’infinito ci vuole un salto di qualità. Ma ora dice: “Dove Io vado voi lo sapete e ne conoscete
la via”. Con Lui è possibile questo salto. Infatti con Gesù, Verbo
incarnato, abbiamo il mondo finito unito al mondo infinito: come uomo parla
il nostro linguaggio, ma in questo nostro linguaggio finito introduce il suo
linguaggio infinito. Per questo può dire “Io sono la via per condurvi là dove Io sono”. Avendo sposato il
nostro finito, lo assume nel suo Infinito, e ci unisce a Sè.
Noi
da soli non possiamo andare al Padre; solo con Cristo si può arrivare. Solo Lui
ci può condurre, perchè ogni altra creatura è finita, non parla il linguaggio
del Cristo; e anche dicesse “vado al
Padre”, il giorno dopo sarebbe smentita dai fatti. Gesù solo parla un
linguaggio singolare che non è stato smentito nei millenni e che ci porta al
Padre.
Fintanto
che Gesù parla di parabole, di beatitudini, ecc., dice cose che tutti possono
dire; ma poi dice cose che Lui solo può dire: se altri le dicessero sarebbero
smentiti. Lui non è stato smentito, infatti abbiamo la Resurrezione, la
Ascensione, la Pentecoste che testimoniano la verità delle sue parole.
Per
questo Lui è la Via e in quanto Via, è Lui, solo Lui, che può farci passare dal
finito all’Infinito. Ma va ascoltato, perchè è ascoltandolo che ci fa
passare dal nostro mondo finito al mondo infinito e che ci fa scoprire la sua
Presenza in tutto. Da soli non potremmo passare dal finito all’Infinito,
per questo che Lui è la Via.
-
Ogni creatura è stata creata per conoscere Dio e sarà sempre infelice e triste
fintanto che non approda al suo fine.
Il
vero bene ai fratelli è quello di dare loro la possibilità di approdare a
questa meta, in qualunque situazione essi si trovino.
Anche
in una baita la creatura è felice se arriva a questo fine; anzi, la creatura
comincia a essere felice solo quando capisce il fine per cui è stata creata,
anche se non è ancora arrivata. Il conoscere il fine dona già sicurezza e
felicità. Invece se la creatura è disorientata, anche se è in una casa d’oro, è
triste e infelice.
Cristo
parlando a noi ci fa prendere consapevolezza del luogo dove dobbiamo andare e
anche della via che bisogna percorrere per arrivare alla vetta; è lì la
bellezza della parola del Cristo ascoltata e assimilata! Perchè noi possiamo
sapere il luogo dove possiamo andare, ma non sapere la via. Ma se uno ci fa
vedere la strada che collega il punto in cui ci troviamo alla meta, allora
siamo a posto.
Cristo
è venuto a coprire il vuoto che c’è tra la situazione in cui ci troviamo noi e
Dio, per questo è la via. Quindi, se ascoltiamo Lui, Lui ci conferma la meta
(perchè per giungere a Lui dobbiamo già avere il desiderio di conosocere Dio),
cioè ci fa capire sempre più chiaramente dove dobbiamo andare e ce ne indica
anche la strada: cioè ci fa capire che Lui stesso è la via. Ecco perché ad
un certo punto può dire ai suoi discepoli “Voi
conoscete la meta e anche la via”.
Se
lo ascoltiamo dobbiamo sapere che Lui stesso è la via. Noi arriviamo al
Cristo già sapendo la meta (se no, non arriviamo a Lui), e Lui ce la conferma.
Però, senza di Lui non possiamo conoscere la via. È Lui che ce lo rivela “Nessuno può venire al Padre se non per
mezzo di Me”.
Il Padre è il Fine da tenere
sempre presente, ed è il Principio. Deve formarsi in noi la
consapevolezza che siamo stati creati per Dio e non per altro. L’uomo lo sa ma
lo dimentica, lo accantona, lo mette sotto i tanti impegni di oggi. Dio è Colui
che nessuno può ignorare, ma che facilmente dimentichiamo. Trascurandolo si
giunge a sentirlo lontano, perché ciò che preme su di noi è ciò che ci tocca; tutt’al
più lo preghiamo perchè ci aiuti nei nostri bisogni e interessi, ma in tal
caso Dio non è più il fine, ma il mezzo per raggiungere i nostri fini.
Tutto
è mezzo per arrivare a Dio, ma dobbiamo aver presente il Fine. Guai a quel
lavoro che ti impedisce di pregare! E abbiamo la conferma di Gesù nella
parabola degli invitati alle nozze: non gusteranno la sua cena perchè in nome
dei buoi, della moglie, ecc., non hanno potuto accettare l’invito a cena
Domanda:
Riportando i fatti a Dio, troviamo la vita?
Luigi:
Innanzitutto dobbiamo accettare tutto da Lui, perché Lui è il Creatore: lo è
tutt’ora, non solo lo è stato: è Lui che opera tutto, quindi siamo spettatori
delle opere che fa Lui, di tutte le cose che fa Lui. In tutte le cose che fa
Lui, parla a noi e parlando, se noi lo ascoltiamo, ci fa camminare. La via
quindi è data dal Verbo di Dio che ogni giorno parla con noi, e se noi
riceviamo le sue parole ci fa camminare. Nella misura in cui Lo ascoltiamo e
rimaniamo nelle sue parole, cioè ci impegniamo nelle sue parole, a poco a poco
Egli ci conduce al Padre.
S.
Paolo nella lettera ai romani ci dice “Le
creature intellette in Dio ci conducono a Dio”. Ma vanno intellette in Dio.
Se invece noi le vediamo in relazione al nostro io, ci allontanano da Dio.
Tutto ha una lezione “per me”, per cui ci vuole una grande attenzione per
accettare, capire e rispettare ogni cosa che è fatta “per me”, che è una parola
“per me”.
Nasciamo
in casa d’altri, quindi non dobbiamo prendere a calci niente; in una casa
d’altri non ci mettiamo a spostare i mobili come piace a noi. Noi non ci
rendiamo conto che nasciamo in casa di Dio; quindi per prima cosa “fai attenzione, togliti le scarpe: la terra
che calpesti è sacra!”. Questa è umiltà, che è il principio della sapienza
e intelligenza; umiltà attenta, perché siamo in casa d’altri. È questa
umiltà che ci rende attenti e quindi sapienti e quindi capaci di ricevere
tutto da Dio e quindi di camminare.
Non
possiamo non incontrare il Cristo, perché tutte le creature ci conducono a Lui,
perché il Cristo è la conclusione di tutta la creazione, ed è qualcosa di più. In Cristo c’è:
·
la parte umana, che è conclusione
di tutta l’opera di Dio, e questa finisce; infatti sulla Croce Cristo dice “Tutto è compiuto!”. Quindi è necessario
che Cristo, e anche il suo parlare con linguaggio umano, passi affinché tu
possa ricevere un’altra Parola:
·
quella del Verbo, del Figlio di
Dio, cioè perché tu possa ricevere lo Spirito Santo, affinché si compia la
promessa di Gesù: “Verremo a Lui e faremo
in Lui la nostra dimora!” “Lo Spirito di Verità vi condurrà a vedere la Verità
intera, la verità in tutto”. E questa è la parte Divina.
È
dunque necessario questo passaggio del Cristo “umano” (che è un invito al
nostro passaggio), per fare spazio al
Cristo “Divino”, per poter ricevere parole nuove, le parole del Figlio di Dio.
Se
noi non facciamo il passaggio, Lui va e noi rimaniamo senza di Lui. È
importante passare con Lui, perché dopo il suo passaggio non si può più
passare. Lui scende a giocare a birille con noi, non per giocare a birille
(cioè attraverso tutti i fatti della nostra vita) ma per dirci ha una parola
nuova; quindi, alziamo gli occhi, dimentichiamo le birille e ascoltiamo le
parole nuove che ha da dirci.
Gesù
viene, parla nei nostri argomenti, nelle nostre passioni, ma non condivide le
nostre passioni, anzi si rifiuta di intervenire nei nostri interessi.
Infatti, a quel tale che gli chiedeva di intervenire presso suo fratello perché
dividesse con Lui l’eredità, rispose: “State
attenti da ogni avarizia!”. Lui che aveva detto: “Date via ciò che possedete… Va vendi tutto dallo ai poveri” non
poteva dire che dividere l’eredità era giustizia. La vera giustizia è un’altra!
“Dà a Cesare ciò che è di Cesare… (nel
senso di “a chi ti percuote una guancia
porgigli anche l’altra, a chi ti chiede la tunica dà anche il mantello”,
cioè non stare a discutere: dai a chi ti chiede), ma preoccupati di dare a Dio ciò che è di Dio”. Dobbiamo essere
disponibili per questa unica preoccupazione, per questo non dobbiamo discutere
per altro.
Cristo
viene per liberarci dalle nostre passioni, perché noi possiamo passare la
nostra vita dietro le cose che passano, pestare i piedi, lottare, ecc., con la
conclusione che perdiamo tutto senza aver cercato Dio. Invece –
ci dice – perdi tutto, ma cerca Dio!
Salva la tua anima! L’anima è
desiderio di Dio, desiderio di Verità. Devi far di tutto per salvare questo
desiderio, perché non si spenga in te, perché sarebbe la tua rovina. Salva
quest’anima, aumenta questa conoscenza di Dio e non preoccuparti di altro. Dio
è talmente potente da arricchirti il doppio di quello che perdi.
Di
che cosa avere paura?
È
il Creatore!
Molla
tutto e cerca l’essenziale; se no “a che
serve conquistare il mondo intero se poi perdi l’anima?” “…se viene meno in te
la capacità di cercare Dio?” dice Gesù. Perdi tutto, ma salva l’essenziale.
In Dio ritrovi tutto, ma staccato da Dio, senza Dio perdi tutto.
La
via è data dal Verbo di Dio, da Dio che giorno dopo giorno parla a noi cose che
se ricevute ci fanno camminare; l’anima allora avanza di luce in luce fino al
salto di qualità in cui scopre la Presenza di Dio.
Queste
cose che dice a noi ogni giorno (avvenimenti, incontri, ecc.) sono già
espressioni del Verbo di Dio, sono Cristo che parla a me; infatti sono già fatti
in Cristo (“Omnia per Ipsum facta sunt”). Posso fraintenderli se li ricevo e li
intendo nel pensiero del mio io. Dunque devo tener presente che in quanto
arrivano a me è Dio che me li manda, quindi non posso leggere gli avvenimenti
sotto il punto di vista dei miei interessi, ma dal punto di vista di Dio. I
fatti posso intenderli dal punto di vista di Dio (intenderli bene) o dal punto
di vista del mio io (fraintenderli).
Il
principio dell’intelligenza è ricevere le cose da Dio e vederle dal punto di
vista di Dio; se o devio, fraintendo, scelgo ciò che mi conviene e dimentico
Dio. Così facendo però le cose mi sprofondano sempre più nel male. Il male
non sta nelle cose, ma in me che divido l’opera di Dio da Dio.
Anche
se non arrivi a capire l’opera di Dio, l’importante è che l’accetti, che la
lasci entrare nella tua vita: è seme di vita eterna. E questo, poco per volta,
ti conduce al Cristo, proprio perché è fatto in Cristo. Accogliere le cose da
Dio ti conduce a desiderare le cose di Dio, a desiderare di conoscere Dio, e
quindi al bisogno del Cristo. Solo dopo l’incontro col Cristo ne scoprirai il
significato. Se invece non credi che le cose non sono opera di Dio sprofondi
nell’errore; e anche questo è opera di Dio per farti toccare con mano che stai
sbagliando (perché ad un certo momento, devi capire che Lui pensa a te
personalmente, quotidianamente, a ciascuno di noi – se così non fosse cadremo
nel nulla).
Noi
siamo quotidianamente pensati, voluti, amati da Dio e tutti noi dobbiamo
arrivare a pensarlo, a volerlo, ad amarlo come Lui ci pensa, ci vuole e ci ama.
Bisogna
vedere le curve, quando andiamo in macchina, e aderire ad esse, se no
inevitabilmente cadiamo nel fosso. Non possiamo ignorarle. Così la Verità, è al
disopra di noi, è sempre superiore all’uomo. Noi di fronte ad Essa possiamo
aderire o no. Se aderiamo, camminiamo sulla strada; se non aderiamo deviamo,
non vediamo la curva e sprofondiamo.
Non
basta dire che Dio non esiste per non farlo esistere, perché Egli continua ad
esistere. Gli uomini dicono molte sciocchezze e il mondo continua a girare.
L’uomo può solo aderire alla Verità e allora rimane confermato, perché è
entrato nella luce; se la rifiuta rimane confuso, ma non può far niente contro
la Verità: essa rimane tale quale è, anche se lui la nega. La Verità può creare
la felicità dell’uomo se lui aderisce; se l’uomo la rifiuta, la Verità rimane
tale quale è, però l’uomo distrugge se stesso.
Quindi,
le cose che giungono a noi
·
prima di aver incontrato il
Cristo, hanno da dirci una parola: “noi non ci siamo fatte, cerca colui che ci
ha fatto e che ha fatto anche te”, se ascoltiamo, dunque se crediamo che sono opera di Dio, esse ci
orientano a Dio e ci fanno incontrare il Cristo.
·
Dopo aver incontrato il Cristo, ci
dicono (se le riportiamo in Dio, nel Pensiero di Dio) il loro significato in
Dio, ci rivelano cioè qualcosa del Pensiero del Padre. Interiormente a noi il
Verbo, il Maestro interiore, ci conferma che la parola incarnata fuori di noi è
Verità.
A.:
Con queste parole Gesù ci dice “dovete conoscere la via”.
Luigi:
Sì, perchè “Io sono la via”, “io
parlo a voi, quindi conoscete la via”. E questo lo dice solo alla fine, dopo
aver loro parlato molto e dopo che loro lo hanno ascoltato e accolto le sue
parole. Coloro invece che non accettano le sue parole, non possono conoscere la
via.
S.
Luca precisa: “le parole di Gesù non
entrarono in essi, perchè non avevano accolto il battesimo di giustizia, di
Giovanni Battista”. Metti Dio al centro, e allora la tua anima sarà aperta
ad accogliere le parole di Cristo, del Verbo di Dio. Questa è la condizione.
Se
non hai fatto questa giustizia, le parole di Cristo vengono respinte da te,
oppure, se le accogli per un pò di tempo, non tarda il momento in cui non puoi
più sopportale, e mormori. Può succedere che fintanto che ci fa comodo stiamo
con Gesù (perché ci guarisce, perché ci concede ciò che gli chiediamo, ecc.),
ma poi il nostro cuore è costretto a rivelarsi, in quanto Cristo parlando a
noi, necessariamente fa mettere fuori di noi ciò che abbiamo nel cuore (cfr. Simone a Maria: “saranno svelati i segreti del cuore”).
Gesù
parlando o ci incentra nel Padre o ci lascia a metà strada,
ma in tal caso lo mandiamo a morte, poichè non accogliere, nel campo dello
spirito, vuol dire uccidere (cfr.: “Voi
cercate di uccidermi perchè le mie parole non penetrano in voi”).
Far
fuori uno dalla nostra vita vuol dire ucciderlo. O accogliamo o uccidiamo.
Spiritualmente non accogliere uno vuol dire sopprimerlo, perchè la vera realtà
è data dal pensiero.
- “Voi conoscete...”: “ormai dovete
conoscere”, perchè Lui parlando rivela il luogo dove va e la strada che ci
conduce. A questo punto del cammino Lui, come Verbo incarnato, ci ha detto
tutto: la rivelazione come creatura è stata completa.
La
caratteristica dei segni è questa: sono finiti. Invece il Verbo è infinito:
per questo Egli ha una parola eterna del Padre da comunicare a noi. Dio
solo è infinito.
I
segni sono finiti, se sono finiti passano con il passare del Cristo. Ma se noi
non passiamo all’Infinito, al Verbo (poichè essi arrivano a noi per farci
passare all’Infinito), perdiamo tutto, e allora ci voltiamo indietro: qui
abbiamo l’uomo vecchio che vive solo di ricordi, la vita è spenta, come il torrente che perdendo il contatto con
la sorgente diventa pantano. La vita, la sorgente è davanti a noi: se ci
voltiamo indietro diventiamo vecchi anche avessimo 15 anni.
Se
noi invece passiamo all’Infinito, ricuperiamo anche i segni come parola. Da qui
nasce la nostra responsabilità, poichè Lui ha parlato, Lui ha detto tutto, come
segni. Quindi affrettiamoci a passare allo Spirito, all’Infinito. Gesù dice “Gerusalemme, Gerusalemme, adesso non hai
più tempo, perchè non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata”.
Ecco, il segno finisce, il tempo della visitazione passa. Il tempo della
visitazione di Dio finisce anche per noi: se noi non ci affrettiamo a
passare con Lui, ci rimane solo il ricordo del suo passaggio tra noi. Le
sue parole sono un ponte per farci passare all’Essere, alla sua Presenza, ma
sono un ponte di neve che si scioglie subito. Per questo Gesù ci ammonisce “Affrettatevi a passare perchè per poco la
luce è con voi... affrettatevi a camminare fintanto che avete la luce, affinchè
non vi sorprendano le tenebre”: c’è una marea di tenebre infatti che sale
fino a noi. E se siamo afferrati dalle tenebre diventiamo chiusi alle novità di
Dio, ci voltiamo indietro perchè i segni che arrivano a noi non ci dicono più
niente. E abbiamo quindi le persone che non sopportano più la novità, i fatti
che avvengono; perchè hanno perso il contatto con Dio. Se siamo con Dio invece
siamo sempre aperti alla novità, quindi ogni segno che giunge a me mi aiuta a
passare allo Spirito, diventa strada, cammino per i miei passi.
C.:
Gesù ci insegna la strada con le sue parole.
Luigi:
Prima di tutto ce la insegna con la sua Persona, che è più importante delle sue
parole che sono un segno. La parola per essere intelletta, capita, ha bisogno
della persona che la dice, cioè debbo aver presente la sua intenzione: Egli
parla a me, per far conoscere se stesso. Se separo questa parola da Lui, dalla
sua intenzione, la fraintendo. Quindi dobbiamo sempre stare alla presenza della
Persona, perchè l’essenza del cristianesimo è Persona, un rapporto a tu per tu,
seguire una Persona. E questo è per tutti, non per una categoria di persone.
“Se vuoi essere perfetto, và,
vendi e segui Me”, questo Gesù l’ha detto a tutti, come ha detto
a tutti “siate perfetti come è perfetto
il Padre vostro che è nei cieli”.
Essere
perfetto vuol dire: “ti manca una cosa
sola: và, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e segui Me”. Quel giovane
aveva chiesto “cosa devo fare per avere
la Vita Eterna?”: stava cercando la vita eterna, era orientato al fine:
aveva capito che l’uomo è fatto per conoscere Dio. Ma che cosa mi manca per
arrivare? Gesù gli aveva risposto: “Osserva
i comandamenti”, perchè sono essi che ti convogliano alla vita eterna. Gesù
lo amò e gli disse “se vuoi entrare nella
vita eterna, se vuoi essere perfetto, ti manca un cosa: va, vendi tutto e
seguimi!” .
“Ti manca una cosa”
perchè è questo (ciò che hai) che ti ha impedito di entrare nella vita eterna,
di conoscere Dio. Il giovane credeva di aver osservato i comandamenti, ma Gesù
gli dice: “Ti manca questo: va, vendi ciò
che hai e vieni dietro me”: ecco la via. È ciò che hai che ti impedisce di
seguirmi. Quindi la versione del “se vuoi
essere perfetto” è: ti manca questo per giungere alla vita eterna: hai un
baule grosso con te che non passa per la porta, buttalo via e “segui Me”, perchè Lui è la strada.
Questo giovane conosceva il fine (sono i comandamenti che l’hanno convogliato
al fine), ma non conosceva la strada: Gesù allora gli disse l’impedimento che
portava con sè e gli fece conoscere la strada: “segui Me”.
Non
si può dunque pensare che quanto Gesù ha detto al giovane ricco sia un
consiglio valido solo per alcuni, perchè contraddirebbe quanto aveva detto nel
discorso della montagna: “siate perfetti
come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”; ed era un discorso
rivolto a tutti. È come il porticato che conduce al Tempio; il porticato
rappresenta le condizioni per entrare nel Regno di Dio. “Non cercate i valori del mondo, a amate le cose piccole, siate
perfetti...”. Lo dice a tutti, perchè questo è un discorso per tutti.
Inoltre
la Parola di Dio è universale, per cui ciò che ha detto al giovane ricco, lo
dice a tutti, anche a me. Gesù non ci dice che basta essere buoni, ma
che bisogna essere perfetti. E non dice: dovete essere perfetti come un
uomo, ma come Dio; quindi non basta essere buoni, perchè Egli ci ha creati con lo scopo di conoscerLo, amarlo, essere presenti a
Lui come Lui è presente a noi, ci ha creati con lo scopo di giungere a
essere una cosa sola con Lui. È un discorso che fa a tutti: a Pietro,
all’adultera, a me, ecc.
Quindi
non dire “questo serve per il tale”, ma scava nelle parole fintanto che non
vedi il rapporto personale di Dio con te, fino ad arrivare a questo a tu per tu
con Lui, a ciò che ti dice personalmente; non mettere ostacoli tra te e Dio, fa
diritte le strade (cioè, non dialogare più con le cause seconde, ma mettiti in
rapporto a tu per tu con Lui) e allora intenderai le parole che Egli ti dice.
F.:
Quindi la via è conoscere Lui.
Luigi:
Il fine è Lui, la strada è conoscere Lui attraverso le sue parole. Ogni giorno
Dio ci offre del tempo per conoscere di più Lui. Ogni giornata vale per quello
che conosciamo di Dio. Ci fa assistere ogni giorno a delle parole che ci fa
arrivare personalmente e ci rivela qualcosa di Sè: “Il tuo Signore sta
parlando con te, ora, in questo momento, attraverso questo, e tu dove sei?”
- “Conoscete la via”: la conosciamo in
quanto siamo stati con Lui, con le sue parole. La conosciamo se stiamo con Lui,
alla sua Presenza, sempre: sia camminando che quando siamo soli nella stanza.
Se stai sempre in silenzio, in ascolto di Lui (perchè Dio sta parlando con te),
certamente conosci questa via, cammini su questa via.
Ma
sei cosciente che lo scopo della vita è conoscere Lui?
Cosa
fai per conoscerlo?
Se sei orientato alla meta, tutto
ti serve; se l’hai presente, se sai dove andare tutte le cose ti
aiutano ad arrivare a destinazione, perchè sai leggere tutti i segnali.
Altrimenti ti perdi proprio a causa delle cose, dei segnali, in quanto li
fraintendi.
Se
devi partire per il Camerun, orienti lì i tuoi preparativi, il tuo pensiero.
Quando uno sa dove vuole andare si programma bene il
viaggio, si informa, si prepara. Avendo
presente il fine, si scelgono i mezzi adatti. Non si sceglie un mezzo senza
avere un fine; come non si sale su una macchina se non si sa dove andare. Il
mezzo serve in quanto si sa dove andare.
Gesù gli
rispose: “Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno può
venire al Padre se non per mezzo mio”. Gv 14 Vs 6
Titolo:
Argomenti:
12/Ottobre/1980
La
caratteristica di questa affermazione di Gesù è l’“Io”, cioè la Persona,
che è Via, Verità e Vita.
Quindi
non crediamo che la Via, la verità e la Vita sia una regola, una legge, una
morale, un certo comportamento, un fare questo o quello, un seguire la legge o
no. La via, la Verità e la Vita è una
Persona e fintanto che non arriviamo a un rapporto diretto, personale con
questa Persona, ubbidissimo anche alle regole più sante, a tutta la legge,
questo non ci salverebbe, perché non è la legge che ci libera dal pensiero
dell’io.
La
Via, la Verità e la Vita sta nell’impegnarci con una Persona. Quindi tutte le
volte che cerco la Via, la Verità, la Vita altrove, sono fuori strada; debbo
impegnarmi a conoscere Lui, a scoprire Lui, ascoltare, capire Lui. La Via,
la Verità, la Vita non sta nel fare questo o nel non fare quell’altro, ma sta
nell’entrare in un amore.
Quando
si parla di salvezza, cosa intendiamo? La
salvezza sta nella liberazione dall’ossessione del pensiero del nostro io.
Noi corriamo il rischio di ossessionarci col pensiero del nostro io e quindi di
cadere in balia delle tenebre e di caricarsi di catene. La salvezza sta nel
trovare uno che ci liberi. È solo una persona che può liberarmi dal pensiero di
me stesso, cioè il rapporto di amore con essa, perché l’osservanza di una
regola non mi può liberare: quand’anche ci illudessimo di aver osservato tutta
la legge, diremmo: “io sono riuscito ad osservarla tutta”, e saremmo perciò
sempre nel pensiero dell’io.
Solo
l’incontro con una persona mi può liberare dall’io, perché la persona stabilisce
con me un rapporto d’amore, ed è l’amore che mi salva, perché pensando
all’Altro esco dal pensiero di me stesso; invece pensando a me mi
distruggo. Bisogna trovare un Altro cui pensare, da conoscere e per cui vivere.
È l’Altro che mi libera se lo amo, perché amando l’Altro il pensiero dell’Altro
mi fa uscire dal pensiero dell’io.
Si
entra nel Regno di Dio pensando all’Altro, vivendo per l’Altro, glorificando
l’Altro. Quando diciamo di amare e poi penso a noi stessi, questo non è amore.
Anche nelle cose più sante il pensiero dell’io ci può imprigionare e
paralizzare, perché diciamo: “per lo meno questo io l’ho fatto…, per lo meno io
quello non l’ho fatto, ecc.”, e ci condanniamo; perché la vita non sta nel fare
questo piuttosto che l’altro, ma sta in un amore, nel trovare un Altro da amare
e che ci ama. La vita sta nel conoscere Dio, la Verità.
Qui
ce lo annuncia; ci dice una cosa meravigliosa: Lui stesso è la Via, la Verità,
la Vita. Per arrivare a capire ed a esperimentare questa affermazione, dobbiamo
credere: la fede ce lo fa accogliere. Le parole del Cristo sono parole con il
sigillo di Verità che non possono essere smentite. Ciò che ci dice Cristo è un
annuncio che noi non possiamo smentire. L’annuncio ci è arrivato, quindi
davanti alla verità ci verrà detto “tu sapevi!”.
Se
tu cerchi la via Egli ti risponde: “Io
sono la Via!”, quindi non cercare altre vie.
Per
arrivare a capire devi credere. La fede accoglie tutto per arrivare a capire.
Tu cerchi la Verità? “Io lo sono!”,
ti risponde Gesù. Cerchi la vita? “Io
sono la vita”, quindi non cercarla altrove. Quindi, comincia a riflettere
su ciò che ti dice; non prendere a calci niente, un giorno capirai che quello
era vero. La fede ti annuncia ciò che tu stesso un giorno arriverai a
sperimentare; per arrivare a sperimentare devi credere all’annuncio. Quando
sperimenterai non ci sarà più la fede, ci sarà soltanto l’amore.
Anche
nelle batoste è Lui che parla, per cui devi avere questa certezza “anche se non
capisco, so che c’è la tua mano”. Un giorno capirai, per ora lasciati lavare i
piedi: “Ciò che ora faccio non lo
capisci, ma capirai poi”, disse Gesù a Pietro che si rifiutava di farsi
lavare i piedi. L’importante è accogliere la sua azione su di noi, perché è Dio
che ci sta formando. Dio ci sta facendo, quindi dobbiamo lasciarci fare, perché
non siamo ancora fatti. Per lasciarci fare dobbiamo accogliere tutto: “Signore, so che c’è la tua mano e so che un
giorno mi condurrai a vedere ciò che ora non vedo”. Lui ci fa camminare e
giungere alla meta se accogliamo tutte le sue parole (avvenimenti, ecc., e
parole scritte), col desiderio di capire.
È
importante questo “Io”, questa
Persona. Perché noi generalmente confondiamo e crediamo che la vita sia
ubbidire a certe leggi, fare certe cose, andare in certi luoghi, ecc. Invece la
vita è un rapporto con una Persona. Non dobbiamo spaventarci degli spazi
bianchi che ancora ci sono nella nostra vita: Lui ci conduce a poco a poco, se
gli prestiamo attenzione.
L’Io
del Figlio di Dio è unico e non si confonde con altri io o con altro. Ogni io è
inconfondibile; non si può confondere una persona con un’altra. A maggior
ragione questo avviene con l’Io divino. L’Io di Cristo non solo è
inconfondibile, unico, ma è anche insostituibile (invece una legge, una
regola è sostituibile con un’altra): è un Essere personale, unico. Non ci sono
tanti “io” in cui possiamo trovare la via, la verità, la vita. E non potremo
dire “non lo sapevo”, perché l’annuncio Lui ce lo ha fatto giungere. L’annuncio
è arrivato: possiamo non capirlo, ma dobbiamo accoglierlo.
È
importante, quando non capiamo, mettersi in silenzio. Ogni lezione è sempre
fatta di una parola e di un silenzio, come la preghiera, che è fatta
essenzialmente di silenzio, perché è nel silenzio che prendiamo consapevolezza
(ecco la partecipazione personale) della parola, del fatto, ecc., che ci è
arrivato.
Questo
“Io” è un invito al rapporto
personale con Lui. Il rapporto con Dio è sempre personale, perché Dio parla
personalmente a tu per tu con ciascuno di noi e chiede che lo ascoltiamo
personalmente. Colui che parla con me
vuole essere ascoltato da me.
Ida:
Sono cose queste che non le posso ragionare, ma mi danno speranza.
Luigi:
Questo è già un credere, perché la Parola di Dio che arriva a noi, trova sempre
nella nostra anima una certa sintonia, in quanto ognuno di noi porta dentro di
sé il Verbo, lo Spirito di Dio; per cui, quando ci arriva dal di fuori una
parola che è in armonia con questo Verbo interiore, ci fa essere in sintonia
con essa, perché già l’abbiamo dentro.
Se
così non fosse, come facciamo a dire “questo
è vero, questo è giusto!”. Il Maestro interiore ci fa sentire il sigillo
di Verità nella sua parola che ci giunge dall’esterno.
Ida:
Che cosa fare?
Luigi:
Siccome Lui mi dice “Io sono la Via”,
mi dice “vienimi dietro!”. E cosa vuol dire questo “vienimi dietro!”? Vuol dire
credere, custodire, approfondire le sue parole, perché non abbiamo la sua
presenza fisica da seguire come chi lo faceva in Palestina duemila anni fa.
D’altronde non basterebbe seguirlo
fisicamente: sono le sue parole che vanno seguite, capite. Questo è l’invito a
custodire, ad approfondire l’annuncio che arriva a noi: impegnarci cioè a
seguire quella via che ci propone “Io
sono la via…”, “seguimi, accogli tutte le mie parole”. Da parte nostra
dobbiamo tenere prezioso tutto ciò che ci dice, come la Madonna che custodiva,
meditava nel suo cuore tutto ciò che riguardava suo Figlio. Si tratta di
custodire tutto ciò che riguarda Lui, perché nella sua parola c’è tanta vita
per noi. Quindi bisogna cercare con pazienza di fare questo lavoro: “È con la pazienza che possederai la tua
anima”; così come si fa con il sillabario, quando si comincia a distinguere
le singole lettere e poi a compitarle, per arrivare a poco a poco a leggere
ogni cosa. Va invocato aiuto e luce: “Ti
prego, Signore, di farmi capire: Tu dici questo, ma io non capisco”,
cercando di ricordare, di custodire; se porto una sua parola dentro, tutto
(ogni parola che mi arriva) contribuisce a portarmi a capirla, e magari
improvvisamente, anche di notte, nel silenzio di tutto, me lo fa capire. Devo
chiedere aiuto, però debbo anche aspettare la luce di Dio, senza stancarmi,
senza distrarmi o volgermi altrove. Cioè dobbiamo portare dentro di noi la
cosa, la parola, il fatto, l’argomento che non capiamo, con il desiderio di
capire il Pensiero di Dio in esso. Non dobbiamo prendere a calci niente, ma
stare attenti ad accogliere tutto ciò che fa, per giungere a renderci conto di
ciò che Egli è.
Le
sue parole sono la Via: ci conducono alla Verità, alla Vita, cioè al Padre. Per
questo dice: “Nessuno viene al Padre se
non per mezzo di Me”, perché “solo il
Figlio conosce il Padre e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarglielo”.
Pensare Dio, seguire Cristo, è già
dono di Dio. L’iniziativa è sempre sua: è Lui che mi cerca; è Lui
che per primo pensa a me. Quindi pensare Dio è sempre dono che Dio per primo fa
a me.
Quando
pensiamo a Dio, siamo pensati da Dio; quando cerchiamo Dio, siamo cercati da
Dio. Non possiamo parlagli, né ascoltarlo, se Lui non viene a trovarci. È dono
dell’Altro se lo possiamo pensare: perché l’Altro è venuto a trovarci; e allora
cerchiamo Lui, gli parliamo, lo ascoltiamo, lo attendiamo, lo desideriamo. Egli
non ci lascia mai soli: siamo noi che lasciamo Lui. Ma anche quando lo lasciamo,
Egli non ci lascia mai e dialoga sempre con noi anche quando non lo ascoltiamo,
sempre per richiamarci a Sé. Egli ci dirà “ho
sempre parlato con te, ma tu dove eri?”: la colpa sta lì.
incontro n°214 (18/10/80)
Se
Lui è “la” Via, ogni altra via non ci porterebbe alla meta. Gesù in quanto
“Via” è la Verità e la Vita del Padre che arriva a noi.
Elisa:
Il Figlio è Verità e Vita allo stesso modo del Padre?
Luigi: È
lo stesso ed è diverso. Lo stesso perché è la Verità e la Vita del Padre che
arriva a noi. Ed è diverso in quanto è generato dal Padre e non viceversa. In
quanto è via, necessariamente è Verità e Vita, perché la via è ciò che
congiunge il punto in cui ci troviamo e il fine. La via collega, cioè fa
arrivare a noi, dove siamo, il Fine. Però è anche diverso, perché nessuno può
vedere la via se non è attratto dal fine, cioè se non desidera andare in un
luogo specifico, “Nessuno può venire a Me
se non è attratto dal Padre”. L’incontro con il Cristo presuppone
l’attrazione del Padre, cioè avere il bisogno di conoscere Dio. Bisogna che
in noi si sia formata la consapevolezza dell’importanza per la nostra vita di
conoscere Dio, come una cosa da cui viene tutto (la vita, la luce, la pace,
ecc), perché ogni nostro problema è una conseguenza del nostro rapporto con
Dio: quando Dio è ignorato, anche i problemi sono caotici, complicati, per cui
scopriamo l’importanza enorme di conoscere Dio. Quando scopriamo l’importanza
di Dio, incominciamo ad essere attratti, in questa attrazione si comincia a
scoprire l’importanza che per noi ha il Cristo: Cristo diventa la strada,
perché nessuno ha parlato come Lui e ha risposto ai desideri della nostra anima
come Lui. Se invece lo seguiamo per altri motivi, ad un certo momento lo
lasciamo.
La
scoperta dell’importanza del Cristo ci libera dalla schiavitù dagli altri
argomenti del mondo, perché non rispondono al nostro bisogno essenziale. Cristo
invece sì.
Attratti
dal Padre, scopriamo la nostra incapacità a conoscerlo, per cui quando
incontriamo il Cristo, diciamo: “era
questo il Maestro che aspettavo!”. Egli ci parla delle verità che portiamo
nel cuore, di ciò che desideriamo; perché noi da soli non vediamo il seme della
vita e delle cose, e abbiamo bisogno di Qualcuno che ci aiuti a scoprire Dio,
perché da soli abbiamo sperimentato che non ce la facciamo, in quanto tutti ci
parlano di altro, ma non di Lui. Bisogna quindi che si sia formato questo
bisogno di Dio. E come si forma?
Il
Padre parla ad ogni uomo (“sono tutti
ammaestrati da Dio”), ma non tutti lo ascoltano. Chi lo ascolta, resta
attratto, perché ascoltando si forma in lui la consapevolezza dell’importanza
di conoscerlo; quindi rimane pronto per l’incontro col Cristo. L’incontro con
il Cristo presuppone l’attrazione del Padre.
Con
queste parole, Gesù risponde all’uomo che interroga, che desidera andare al
Padre: “Io sono la Via”. L’uomo vi
potrà giungere per mezzo di Lui. Egli è Vita e Verità in quanto, essendo Via,
ci collega al Fine, al Padre che è Vita e Verità: ci annuncia, ci parla del
Padre.
Quindi
il Padre è Via e verità in senso diverso dal Figlio. Infatti il Figlio dice “Il Padre è maggiore di me”. Egli è
Figlio, quindi è caratterizzato dal fatto che in tutto glorifica il Padre,
tutto attribuisce al Padre, tutto riceve dal Padre. Noi saremo figli solo
nella misura in cui i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre scelte sono
volute da Dio, non da altro. I figli di Dio sono mossi in tutto dallo
Spirito di Dio, in tutto: nel pensare, nel parlare, nel vivere, perché “il Figlio non può fare nulla se non lo vede
fare dal Padre”. Tutto in noi deve essere motivato da Dio, dal Pensiero di
Dio, se vogliamo essere figli. Il Figlio viene a insegnarci a diventare figli
come Lui. A noi che facciamo tutto senza vederlo fare dal Padre, dice: “guarda che il Figlio non fa nulla se non lo
vede fare dal Padre”. Fintanto che facciamo tutto senza vederlo fare dal
Padre, noi non siamo figli del Padre, ma siamo figli di altri, abbiamo altri
maestri, siamo figli di chi esaltiamo nella vita. Fintanto che non esaltiamo
Dio e non lo mettiamo al centro di essa, non siamo figli di Dio. Ciascuno
diventa figlio di chi mette al centro della proprio vita.
Noi
cresciamo a immagine e somiglianza di colui o di ciò in cui ci specchiamo.
Siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio, quindi dobbiamo specchiarci in
Dio (“siate perfetti come è perfetto il
Padre dei Cieli”). Se noi ci specchiamo nel mondo, subiamo le passioni del
mondo (carriera, ambizioni, gloria, ecc.) e ne diventiamo figli e quindi siamo
fuori dal campo dello Spirito, fuori dalla fede. Se ci specchiamo in Dio invece
subiamo l’attrazione di Dio. Chi si specchia nel mondo, perde la fede “come potete credere voi che elemosinate la
gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’Unico Dio?”.
Chi vive nel pensiero di sé non può essere figlio di Dio, perché il Figlio di
Dio si specchia nel Padre.
L’immagine
e somiglianza presuppone un modello in cui specchiarsi, presuppone l’originale
su cui confrontarci. Dio, dando la vita all’uomo si è offerto, si è posto come
suo prototipo, per cui l’uomo è chiamato a diventare a sua immagine e
somiglianza. L’uomo è questa capacità di diventare ciò che guarda; è come
l’acqua che prende la forma del recipiente che la contiene. Noi siamo acqua:
possiamo metterci in Dio, ma possiamo anche metterci in altro recipiente (a
seconda di dove è il nostro pensiero: o in Dio o nell’io).
“Nessuno viene al Padre se non per
mezzo di Me”: Cristo è la Via. Dice “viene” e non “va”,
perché dove è il Padre c’è anche Lui.
Cristo
è sempre nel seno del Padre. Egli però dice anche: “Nessuno può venire a me se il Padre non lo attira”. Per camminare
nello Spirito bisogna essere attratti da Dio. Per essere attratti da Dio e
giungere al Cristo che ci porterà al Padre ci vuole molto silenzio: lì si
diventa attratti e quindi conosciuti dal Cristo. Nel silenzio nasce in noi
l’attrazione del Padre.
Se
Gesù dice che è Vita, ci fa capire che cercando la vita altrove, siamo nella
morte e nella menzogna, sperimentiamo la falsità.
È
importante, per non cercare la nostra vita altrove, richiamarci sempre, in ogni
situazione, allo Spirito di Dio. Dobbiamo stare molto attenti a ciò che ci
motiva in ogni cosa che facciamo. Richiamarci continuamente a questo principio:
“quello che sto facendo, chi è che mi muove in questo momento?”.
È
importante abituarci a fare, ogni tanto, il punto della situazione, per
scoprire il motivo per cui sto facendo ciò che sto facendo;
“in questo momento, perché lo faccio? Che cos’è che mi guida?”. Se onestamente
non possiamo dire che è Dio che ci muove, siamo fuori strada; in tal caso, se
non torniamo a fare le cose motivati da Lui, Dio ci farà toccare con mano il
nostro errore, mettendoci dei semafori rossi sul nostro cammino, per
correggerci, affinché impariamo ad essere motivati solo da Lui.
Dobbiamo
chiedercelo spesso questo, perché noi naturalmente abbiamo presente l’io, per
cui ci vuole questo superamento questo sforzo per essere motivati da Dio.
Dio è sempre presente a noi, ma
non sempre noi siamo presenti a Lui, perché non sempre siamo motivati da Lui.
Dio, in quanto ci muove, è motivazione in noi dell’azione. Non c’è prima
l’azione e poi il motivo, prima c’è il motivo e poi l’azione. Quindi Dio deve
venire prima del pensiero, della parola, dell’azione nostra. Anche per un
semplice pensiero, prima c’è Dio.
È
Dio che mi fa pensare, parlare, agire. Dio è motivante. Così deve essere.
Invece noi: diciamo e facciamo e pensiamo e poi cerchiamo Dio. Dobbiamo
sempre essere nella posizione di quiete: “Il
figlio non fa nulla se non lo vede fare dal Padre”. Fintanto che il
Padre non ci dice di fare una cosa, di pensare o parlare una cosa, dobbiamo
essere nella posizione di fare niente. Se lo dice Gesù non dobbiamo aver paura
di questo. In tal modo ci si lascia fare da Lui.
Solo
così noi troviamo la nostra vera vita, poiché Lui solo è la Vita. Si va al Padre solo attraverso il Figlio,
imparando dal Figlio a diventare figli. Ma la condizione è essere attratti
dal Padre, lasciandoci cioè convincere, nel silenzio, dell’estrema importanza
che ha per la nostra vita la conoscenza di Dio. Il silenzio è difficile, perché
si diventa figli dei propri pensieri, parole e opere; si diventa figli di ciò
di cui ci si affanna; per cui il nostro silenzio è pieno di mondo, e prima di
sgombrare la nostra anima da tutti questi rumori ci vuole molta pazienza. “Con la pazienza possederete le anime vostre”, cioè
sgombrerete la vostra anima dai rumori in modo da poter prendere contatto con
Dio e lasciarsi prendere da questo
contatto.
Il silenzio è comunione, è il
sacramento con cui si stabilisce il contatto con Dio. Metti
allora del silenzio nella tua vita, stabilisci questo contatto, lasciati
guidare da Dio. Il silenzio è il segreto per lasciarsi guidare da Dio. Dobbiamo
imparare a metterci in contatto con la Sorgente, a lasciarci guidare da Dio,
chiedendoci in ogni cosa che facciamo e diciamo “è Dio che mi fa fare, dire questo, pensare questo o è altro?”.
Se
ho il dubbio, mi fermo. L’importante è ristabilire questo contatto con lo
Spirito di Dio, il Quale è sempre
presente e opera per richiamarci a Sé, dicendoci “attento, che mi stai dimenticando!”. Egli parla sempre con noi, ma
gli affanni, le preoccupazioni, gli avvenimenti, le creature ci portano via,
perché non li vediamo come parole sue, uniti a Lui, ma come realtà a se stanti.
Quindi, fai il punto, ritrovati! Bisogna dedicare, in una giornata, tutto il
tempo necessario, anche solo un quarto d’ora, per ristabilire questo contatto.
Più hai fretta, più devi raddoppiare il tempo della fermata. Non lasciamoci
portare via dagli avvenimenti, dalle cose che vogliamo terminare, fare, cioè da
tutto ciò in cui c’è il nostro io. Dio richiede la nostra anima, il nostro
pensiero, perché Egli vuole che siamo sempre con Lui come Lui è sempre con noi.
Dobbiamo
imparare a convivere con Dio. Tutto ciò che accade è pedagogia alla vita eterna
che è convivere con Dio; per cui, ciò che conta è saper convivere con Dio, con
la vita di Dio, con la Presenza di Dio in tutto. Questo è molto importante,
perché viviamo per imparare questo. Quindi in tutte le cose non è importante
fare questo o quello, terminare questo o quello, andare qui o là, ma è
importante lasciarci guidare in tutto dallo Spirito di Dio.
Ma
siamo convinti che la vita ci è data per questo?
Gesù
ci richiama “Io sono la vita, non
cercarla altrove. Io solo vi posso portare al Padre, Io solo sono la via!”.
È il Figlio che ci insegna a diventare figli e a giungere alla Verità (“Io sono la Verità, …se resterete nelle mie
parole conoscerete la Verità”). Ci vuole pazienza e costanza per imparare a
nascere da Dio, per imparare a superare il nostro pensiero per trascendere al
Pensiero di Dio. Bisogna aver pazienza di fermarci quando Dio ci avverte che
gli avvenimenti ci portano via dal suo Pensiero; fermarci anche se sentiamo la
tentazione di correre. Non è importante fare tante cose: è veramente
importante imparare a lasciarci guidare in tutto da Dio.
“Io
sono…”: è
importante questo “Io”, perché allora
la Vita, la Verità, la Via non è una regola, ma un Essere personale.
Dobbiamo scoprire Lui come persona.
Cristo
è Persona Divina, è il Figlio di Dio; quando pensiamo a Dio è col Figlio di
Dio, il Verbo che Lo pensiamo; e siamo con Lui, anche se non lo sappiamo,
perché non possiamo pensare a Dio senza il Pensiero di Dio. E il Pensiero di
Dio è il Figlio di Dio!
Siccome
Dio è con noi, dà a noi la possibilità di essere con il suo Pensiero. Però,
siccome non siamo capaci di restare con Lui, il Pensiero di Dio si è incarnato,
ha preso una fisionomia umana, in quanto per noi è facile fermarci con gli
uomini. Per cui, ho la possibilità di pensare a Cristo tutto il tempo che
voglio; posso pensare a cosa ha fatto, a cosa ha detto, ecc.. Con Lui possiamo
restare il tempo che vogliamo, perché si offre a noi, a immagine e somiglianza
nostra; quindi con facilità resto con Lui, perché noi stiamo volentieri con gli
uomini. O meglio, stiamo con i corpi, il più delle volte, perché in essi
ritroviamo noi stessi, mentre ci è difficile restare con la “persona”. La
persona ci sfugge. Questa stessa difficoltà possiamo averla anche con il
Cristo, fermandoci alle apparenze esterne. Però, più resto con Lui, più lo
ascolto, più colgo la sua Persona. Il Verbo si è fatto carne restando Persona
Divina; quindi in Cristo, abbiamo il Pensiero di Dio tra noi e abbiamo la
possibilità di restare con Dio tutto il tempo che vogliamo. “Il
Regno di Dio vi è dato”, cioè “vi è reso accessibile” per mezzo di Cristo.
Posso
restare con Cristo tanto quanto voglio, però essendo Cristo come Persona Figlio
di Dio, mi parla come Dio, non come uomo. È lì la bellezza! Perché come uomo
posso restare con Lui fintanto che voglio, però mi parla come Dio. Ecco
perché parla come nessuno ha mai parlato: le sue sono Parole della Persona
Divina, del Pensiero di Dio. Quindi restando con Lui e con il Vangelo,
imparo a restare con il Pensiero di Dio! Proprio con quel Pensiero con cui da
solo non so restare! Con Gesù ho la possibilità di imparare a restare nel
Pensiero di Dio. Per questo diventa “via”: perché mi da questa possibilità;
col suo parlare mi educa a pensare restando nel Padre, nel Pensiero del Padre.
Più sto con Lui, più mi educa a vedere tutto in Dio, nel Padre, a ragionare col
Padre. Cristo è il vero e unico Maestro. Ora, il primo compito del maestro è
quello di insegnare a pensare; infatti le nozioni arrivano a noi solo quando
sono accompagnate dal pensiero.
Marco:
Perché c’è bisogno di Cristo per pensare a Dio?
Luigi:
Noi pensiamo a Dio solo col Verbo di Dio, col Pensiero di Dio. Il Verbo
incarnato è Cristo. Noi possiamo fermarci nel Pensiero di Dio un momento,
scoprendo l’importanza del Padre, scoprendo che Dio è il Padre, ma non siamo
capaci a restare sempre con questo Pensiero, scappiamo. Non siamo capaci a
vivere le nostre realtà di ogni giorno restando uniti al Pensiero di Dio. Per
questo il Pensiero di Dio si incarna: con Lui incarnato posso restare tutto il
tempo che voglio, e stando con Lui mi insegna a vedere le cose come le vede
Lui. In quanto uno studia la vita del Cristo è con il Cristo, e questo è
possibile in quanto Lui occupa una pagina della storia, dunque si offre ad
essere meditato, studiato. Però, non posso attribuire a Lui la mia
mentalità, perché Dio e le sue parole sono diverse dalle mie, per cui Egli
rovescia la mia mentalità. Infatti ci dice: “Beati
i poveri, beati coloro che piangono, ecc.”. Se uno incomincia a pensare: “è
Dio che mi dice queste cose, perché Cristo è il Pensiero di Dio che parla tra
noi”, allora accetta, e accettando incomincia a pensare con Dio, come Dio, fino
a dire: “ha ragione Lui e il mondo ha torto”, dopodiché incomincia a non
seguire più il mondo, perché capiamo che “il tutti fanno così” è una ragione
sbagliata. Per questo seguiamo Lui, perché ci dice cose vere, perché in quanto
parla, mi parla come Dio. E più sto con Lui, più imparo a ragionare secondo
Dio, a vedere le cose dal punto di vista di Dio, dal punto di vista
dell’Eternità, imparo cioè a vivere in senso eterno, nell’eternità di Dio;
allora i valori del mondo ad un certo punto scadono (così come avviene
nell’agonia) mentre più viviamo con Lui e più tutte le parole, i valori del
Cristo acquistano importanza e validità, perché con Lui c’è sempre il rapporto
“noi-Dio”, “noi-Dio”, “noi-Dio”; invece nel mondo, non tenendo conto di
Dio, c’è sempre questo rapporto: “noi-gli altri”. Ma siccome Dio è il dato principale
di ogni nostro problema, se non teniamo conto di Lui, escludendo questo dato
principale, le nostre soluzioni sono sempre sbagliate. Quindi di fronte ad
ogni nostro problema noi dobbiamo ragionare con Dio, e chi ci aiuta è Cristo,
che è il Pensiero di Dio incarnato.
Paola G.:
Allora non dobbiamo aver paura di sbagliare a pensare Dio?
Luigi:
Non dobbiamo temere di pensare Dio, perché anche se lo pensiamo in modo
sbagliato Lui ci corregge. Non bisogna
aver paura, perché Lui è sempre con noi: ovunque siamo e andiamo col
pensiero Lui c’è, non ci lascia mai soli, neppure quando pecchiamo. Quindi mai
aver paura, perché Lui ci corregge. L’importanza è stare aperti alle correzioni
e allora Lui ci aiuta a pensare correttamente a Lui. Tante volte noi pensiamo di
pregare, ma non pensiamo a Lui. Ma se non pensiamo a Dio chi preghiamo?
Constatare
questa nostra incapacità è già un aiuto; il dubbio, l’incertezza è già grazia,
è un invito di Dio che ci dice: “devi pensare a Me”. Noi possiamo pensare a Dio
perché Dio ci ha dato il suo Pensiero. Dio creandoci ci ha dato il suo Spirito.
La possibilità di pensare Dio è un tesoro immenso; con questo dono posso
fermarmi a pensare Dio tutto il tempo che voglio: ho la luce a disposizione.
Questo
lo possiamo fare perché Dio si è dato nelle nostre mani: attraverso il Pensiero
di Dio in noi, noi possiamo passare dal finito all’infinito di Dio e quindi
alla vita eterna.
Il
Pensiero di Dio in noi è il punto verginale in noi in cui nessuno può entrare,
né il pensiero del nostro io e nemmeno il demonio. Chi ha trovato questo tesoro
va e vende ciò che ha per comprare il campo in cui è il tesoro, per poterlo
possedere; chi ha trovato questo tesoro ha scoperto una cosa immensa: il
Pensiero di Dio, il punto attraverso cui posso passare all’Eterno. Noi non
dobbiamo mai avere paura con Dio, perché Egli sa di che cosa siamo fatti, per
cui continuamente ci porta ad una verifica, ci controlla ci corregge, ci
suggerisce. È una meta altissima quella a cui siamo chiamati, ma Lui ci
conduce. Da parte nostra cosa dobbiamo fare?
“Entra nella tua stanza e chiudi
l’uscio e lì nel segreto pensa il Padre tuo”. “Sei cieco? Non vedi? Ti ho dato la fede, ti
ho dato il mio Pensiero, ti ho dato la luce: fermati, fa silenzio e pensa!”.
Non
puoi smentire che Dio c’è; puoi dubitare, ma non puoi negarlo; perché? Perché
la Verità è più grande di te. Quindi, per fede, proprio perché la Verità è più
grande di te e non puoi negarla, raccogliti, sapendo che Dio è presente. Raccogliendoti
in Lui non temi nulla: puoi dire tutte le corbellerie, ma sai ti correggerà con
amore.
Riconoscere
Gesù come Via, Verità e Vita è possibile se ascoltiamo il Verbo interiore. “Chi mi avrà confessato, riconosciuto
davanti agli uomini”, cioè “chi non
mi avrà confuso tra gli altri, chi avrà colto la mia Parola, il mio Pensiero
tra le parole e i pensieri degli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al
Padre mio nell’ultimo giorno”, l’ultimo giorno è il nostro contatto diretto
col Padre. Chi ce lo fa riconoscere, distinguere tra tutti gli altri uomini è
l’attrazione del Padre, è l’ascolto del Verbo interiore. Così lo riconobbero
gli apostoli: “Abbiamo trovato Colui di
cui parlavano Mosè e i Profeti!”.
Questa
individuazione del Cristo sta nel poter dire: è Lui la mia Via, la Vita, la
Verità. Più stiamo con Lui, più siamo confermati che è Lui la Via, la Verità,
la Vita.
La
conferma è progressiva, perché ogni passo che facciamo con Lui, Dio ce lo
conferma. Però, c’è l’ultima conferma: che è il rapporto diretto tra noi e
il Padre. Ecco, qui avviene il riconoscimento, da parte del Cristo, di noi
(“anch’io lo riconoscerò di fronte al
Padre mio”): questo riconoscerci del Figlio è la consegna al Padre, è
presentarci, affidarci al Padre, affinché il Padre possa riconoscerci come
figli.
Apparentemente
le parole degli uomini ci danno più vita , sembrano più reali, ma più ci
fermiamo con Cristo, con le sue parole e più ci accorgiamo che le parole del
Cristo sono vere in assoluto, che la Verità è Cristo stesso che ci parla
del Padre.
Cristo
è la Via proprio in quanto mi parla della Verità (il Padre), perché parlandomi
della Verità mi porta a scoprire la Verità, se lo seguo e ascolto. “Chi è dalla Verità ascolta la mia voce”:
“Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre”. Chi è dalla Verità,
cioè chi è attratto dal Padre, ascolta
la mia voce, la riconosce. Chi non è dalla Verità non riconosce la sua voce e
tanto meno riconosce Lui. “Le pecore di
Dio ascoltano la mia voce” e l’ascoltano in tutto.
“Nessuno viene al Padre se non per
mezzo mio”: il Padre è Principio ed è Meta.
Il
Padre è Principio, perché bisogna essere attratti dal Padre per riconoscere la
Via, il Cristo. È necessario cioè sapere dove si vuole andare per poter
scoprire la strada.
Quindi
come prima cosa è essenziale che si formi in noi la consapevolezza di ciò
che vogliamo: tu che cosa vuoi? Voglio Dio, perché Dio mi ha fatto capire
che la mia vita è lì.
Il
desiderio del Padre si forma attraverso l’ascolto del Padre: ascoltando il
Padre rimaniamo attratti dal Padre. Ma per ascoltare il Padre è necessario
compiere in noi questa giustizia: dare a Dio ciò che è di Dio, perché Dio c’è,
e se c’è non va ignorato! Non ignorare Dio è ascoltare Dio. Chi non si ferma ad
ascoltarlo lo ignora. Chi Lo ascolta è perché ha fatto in sé la giustizia, ha
messo cioè Dio al centro e tutto attribuisce a Lui. E allora, in questo ascolto
si forma la consapevolezza della meta. Solo così si arriva al Cristo con
convinzione: “Io voglio Dio perché so che lì è la mia vita”. Conoscere il
nostro fine, essere consapevole della nostra Meta fin dal principio è
importantissimo, affinché non abbiamo a rivolgere il nostro bisogno di assoluto
in altro da Dio. Infatti, fintanto che non c’è questa consapevolezza,
essendoci in noi la passione per l’Assoluto, la proiettiamo verso tutto ciò che
vediamo: denaro, creature, ecc.; per cui la creatura, il denaro, ecc., sono
amati da noi come assolute. Per questo è molto importante per noi che si formi
la consapevolezza di ciò che Dio è per noi, se no il nostro è un amore
impersonale, perché ancora non ha trovato la sua Persona, quindi è amore
assoluto. C’è in noi questo desiderio di assoluto che è desiderio di Verità
(quando percepiamo in noi questo bisogno di Assoluto, di Verità, allora non
dubitiamo più che in noi c’è l’anima). La Verità è assoluta, quindi il
desiderio di Dio è assoluto. L’uomo è creato con questo desiderio. Quindi: sta attento a non disprezzare la tua anima,
non disprezzare questa fame di Dio che porti in te, se no scambi con un piatto
di lenticchie la tua primogenitura. Attento a non vendere il tuo diritto di
primogenitura per un piatto di lenticchie.
“Nessuno viene al Padre se non per
mezzo di me”: se desideri effettivamente giungere al Padre, se si è
formato in te la consapevolezza di ciò che veramente vuoi (Dio) allora questo
ti fa individuare l’unica Via che ti porterà là dove vuoi andare.
Dicendo che nessuno va al Padre se non per mezzo suo,
esclude ogni altra Via. Ma va tenuto anche presente che nessuno trova l’unica
Via se non è attratto dal Padre, cioè se non desidera conoscere il Padre.
Se conoscete
me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo
avete veduto. Gv 14 Vs 7
Titolo:
Argomenti:
18/Ottobre/1980
Questo
versetto va collegato al versetto precedente “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”. Può essere
interpretato in due sensi, entrambi validi: il primo in senso relativo,
transitorio, prima di Pentecoste; l’altro in senso assoluto, eterno, perché
visto dalla Meta.
Interpretando
il versetto in senso relativo possiamo collegarci al versetto precedente: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di
Me”; cioè, è la Parola ascoltata, capita che ci porta al Padre, perché
chi ascolta il Cristo, ascolta il Padre. Quindi se non resto col Cristo,
non posso conoscere il Padre. Dunque il versetto, inteso in questo senso,
andrebbe tradotto: “se aveste conosciuto
Me (ma qui non si tratta ancora della conoscenza di chi è Lui, conoscenza
che si avrà solo a Pentecoste), cioè se
mi aveste ascoltato, capito, allora conoscereste anche il Padre, perché io vi
ho sempre parlato del Padre”. “Io
sono la Via e nessuno va al Padre se non per mezzo di Me”: quindi “se
conosceste la strada, conoscereste anche la meta”; ma è una conoscenza
relativa, perché la strada la conosceremo solo nella meta, cioè solo nel Padre
conosceremo Colui che ci ha condotto lì. Quindi non si tratta ancora di vera
conoscenza della strada, ma di una conoscenza relativa: accetto le sue parole
solo in quanto rispondono ad un mio bisogno.
Se
invece queste parole le debbo interpretare nell’altro senso, le interpreto nel
Fine, quindi facendo dipendere la conoscenza del Figlio dalla conoscenza del
Padre. In tal caso Gesù deve aver detto “Se
conosceste Me avreste conosciuto il Padre (cioè, sarebbe segno che avreste
già conosciuto il Padre), perché non
potete conoscere me, senza aver prima conosciuto il Padre”. Infatti dobbiamo
tener presente che qui Gesù parla il linguaggio della Pentecoste, per
prepararci alla Pentecoste, quindi le sue parole sono intese veramente se sono
intese in senso assoluto, nel fine: “se
mi conosceste, sarebbe segno che già avete conosciuto il Padre”, perché la conoscenza di chi è Colui
che mi ha condotto alla meta, l’abbiamo soltanto nella meta, nel Padre, poiché
Lui ha detto “Nessuno conosce il Figlio
se non il Padre”.
Le
parole di questo versetto vanno ritradotte secondo lo Spirito, tenendo conto di
altre affermazioni chiare di Gesù; bisogna cioè affermare lo Spirito sulla
lettera di una traduzione che Dio ci fa giungere, apparentemente
contraddittoria, per sollecitarci ad approfondire). Quindi va letta così: “Se conosceste me avreste conosciuto anche
mio Padre”, poiché nessuno conosce il Figlio se non il Padre”.
Anche
una traduzione sbagliata è Dio che ce la fa giungere per metterci in movimento,
per approfondirla secondo lo Spirito, superando così le contraddizioni che si
trovano nella lettera, in superficie. Ogni
cosa può essere intesa nel suo Fine. Quindi le opere del Padre (la
creazione, tutto l’Antico testamento, ecc.) sono illuminate solo dal Cristo,
poiché il fine di tutte le opere del Padre è il Cristo; “Voi siete di Cristo” (è il Cristo che spiega le parole dell’A.T.;
ad esempio nel Genesi è detto “Ti
guadagnerai il pane col sudore della tua fronte”, e Gesù chiarisce dicendo “non affaticatevi per il pane che passa”).
Ma
tutte le parole e le opere del Cristo, a loro volta le possiamo intendere solo
nel loro fine: la conoscenza del Padre. Lì, a Pentecoste, si illuminano.
Infatti Gesù promise: “Lo Spirito Santo
vi ricorderà e vi farà capire tutto quello che vi ho detto”.
La
Verità Dio ce la presenta già quale Essa è, ma la creatura la intende a livelli
diversi, progressivamente. Per questo la prima interpretazione (relativa) di
questo versetto non contraddice la seconda (assoluta) che è vista nel Fine.
“Fin d’ora lo conoscete e l’avete
veduto”: dal momento che Cristo parla a noi del Padre, ci
presenta il Padre, ce lo fa vedere. Per questo ci può dire: “Lo conoscete”, perché ce ne ha parlato.
Nella
via c’è già il Fine; perché la via, proprio in quanto via, ci presenta la
Verità e la Vita. Cristo è Cristo in
quanto ci presenta il Padre e in
quanto ce lo presenta, ce lo fa conoscere. Cristo come uomo è Verità
creata, e come Figlio di Dio è Verità generata.
Nella
misura in cui stiamo con Lui, siamo fatti capaci di vedere il Padre. Restare con Cristo è restare con il suo
Pensiero.
Paolo:
Posso restare col suo Pensiero leggendo le sue Parole; e posso restare con Lui
anche con l’atteggiamento pratico?
Luigi:
Restare con Lui vuol dire restare nelle sue parole, nel suo Pensiero, e questo
è possibile anche nell’atteggiamento pratico, quando opero motivato dalle sue
parole. E quando agisco motivato dalle sue parole seguito a restare con Lui.
Se sono motivato da altro, opero la frattura, perché ho un altro padre. È la
motivazione che mi fa restare con una persona, in quanto continuo a fare tutto
quanto piace a quella persona. La motivazione è il legame. “Il Padre non mi lascia mai solo perché
faccio sempre ciò che piace a Lui”. Ecco, il legame per restare legati a
Cristo si ottiene facendo ciò che piace a Lui, camminando nelle sue parole. Per
cui è bene, di tanto in tanto, fare il punto chiedendosi “che cos’è che mi
motiva?” Se è la parola del Cristo io sono col Cristo.
Paolo:
Però Cristo ha sofferto l’abbandono del Padre proprio mentre stata morendo,
facendo la sua volontà.
Luigi:
Egli ha sofferto questo abbandono per noi, perché noi nel peccato siamo soli.
Ciò che ci unisce è restare in armonia con Lui; diversamente ci sentiamo soli.
Dio non ci lascia mai, ma noi esperimentiamo una solitudine che angoscia. Ed è
conseguenza del peccato. Il peccato infatti è non tener conto di Dio: tutte
le volte che agiamo senza tener conto di Dio ci prepariamo alla solitudine,
perché ci crediamo noi operanti.
Cristo
ha provato la solitudine in funzione redentiva, per insegnarci come la si
supera: “Padre, nelle tue mano affido il
mio Spirito”. Ci insegna che dobbiamo offrire a Dio anche la sensazione
della solitudine; in questo modo si è sottomessi anche nelle tentazioni, e
ci insegna come se ne esce: appoggiandoci sulla parola di Dio. Sentire
la tentazione non è colpa “Sentirai la
tentazione, ma devi tenerla al di sotto del tuo pensiero”. Lo Spirito deve
essere al di sopra. Attraverso le prove Dio ci sollecita a mantenere il
pensiero unito a Lui; e così è anche attraverso la prova della solitudine, che
è anch’essa una tentazione in conseguenza del peccato. Al di sopra del tuo
sentimento di solitudine, fai trionfare la fede che ti dice: “non sei solo”.
Più resti unito al Cristo, alle sue parole, al suo Pensiero, più Lui ti fa
capace di vedere il Padre, perché Lui ti parla solo del Padre.
Ida:
Come possiamo superare i conflitti che ci sono nella nostra vita?
Luigi:
Anche i conflitti sono opera di Dio per chiamarci all’essenziale. I conflitti
ci sono perché c’è ancora un mondo che non vediamo secondo Dio. Ma l’importante
è fare crescere (approfondire) ciò di cui sono convinto nel Pensiero di Dio:
più camminiamo lì e più cresciamo e più Dio ci libera dalle conflittualità. I
conflitti li avremo fintanto che non arriviamo alla Verità. Essi sono opera di
Dio per farci prendere coscienza di ciò che non facciamo nel Pensiero di Dio;
sono stimoli per farci camminare nell’essenziale. Ho un’ora a disposizione? Se
mi applico ad approfondire ciò di cui sono convinto, Dio poco alla volta mi
libera da un conflitto, poi da un altro, ecc.; l’importante è approfondire ciò
che ci convince: “resta nella luce, cammina nella luce”. I conflitti sono
stimoli per farti camminare nella luce.
Ad un certo punto, se abbiamo fatto crescere ciò in cui siamo convinti, Dio ci
libererà dai conflitti; ma non siamo noi a liberarci dai conflitti: entreremmo
in altri conflitti. Bisogna attendere che sia Lui a liberarci. È solo Lui che
ci può liberare, perché per motivi vari noi siamo bloccati e non siamo capaci.
Il
problema quindi non è evitare i conflitti, ma far crescere ciò di cui siamo
convinti. E questo lavoro va fatto quando siamo liberi: Dio ci osserva
nell’ora che abbiamo a disposizione; se la sprechiamo, Dio ci fa crescere
il conflitto anziché togliercelo.
Anche
se siamo pasticcioni, l’importante è approfondire. Se siamo convinti di una
cosa è opera di Dio. Dio non ci convince per imposizione, ma attraendoci; e
non attrae imponendosi, ma convincendoci. Quando l’anima è attratta da Dio
è convinta: ha in se stessa, per opera di Dio, le ragioni delle sue scelte.
Quindi sta lì, in quella luce che ti ha dato, cammina lì; Dio ti libererà dai
tuoi conflitti; non devi preoccuparti di farlo tu.
I
figli di Dio si formano in terra d’Egitto, dove si mordono i freni, perché più
uno è fedele nella lontananza, più l’amore cresce. Se si resta fedeli,
nonostante l’ambiente che ci contraddice, Lui ci libererà; se ci si diverte,
allora si perde tutto.
“L’avete veduto”:
Cristo, essendo il Figlio di Dio, parlando a noi, ci presenta quello che Lui ha
nel cuore (il Padre) e ce lo fa vedere. “Io non l’ho visto, però Lui me l’ha
fatto vedere”. Il fatto che Egli fa vedere il Padre, non è detto che
necessariamente io lo veda.
Come
Maestro l’ha fatto vedere, però non è detto che la creatura veda; come non è
detto che l’alunno veda ciò che il maestro gli ha fatto vedere.
Quando
uno parla, parlando manifesta il suo pensiero, ma non è detto che chi lo
ascolta, lo veda. Così Cristo, parlando a noi, manifesta a noi il suo Pensiero,
il Padre, ma non è detto che noi sentendolo parlare lo vediamo, perché siamo
distratti.
È
la stessa cosa di: “Il padre ammaestra
tutti”, ma non tutti sono ammaestrati dal Padre. E anche “Chiunque ha ascoltato il Padre (non già che
abbia visto il Padre) viene a Me”. Tutti ascoltano il Padre, perché il
Padre parla a tutti, ma non tutti ascoltano il Padre: vuol dire che c’è ascolto
e ascolto.
Così
Cristo fa vedere il Padre a coloro con cui parla, ma non tutti vedono il Padre.
Da parte di Dio l’ha fatto vedere, non sempre la creatura vede. Così, Dio è
sempre presente all’uomo, ma non sempre l’uomo è presente a Dio.
Tutta
la tribolazione nostra è cercare di essere presenti a Dio come Dio è presente a
noi, perché nella Verità Dio è presente
a noi e c’è divario. La fatica dell’uomo è colmare questo divario. La
nostra felicità è conoscerLo come Lui ci conosce, amarlo come Lui ci ama,
restare presenti a Lui come lui è presente a noi, pensare a Lui come Lui pensa
a noi.
Da
parte di Dio c’è il dono, ma da parte della creatura non c’è la ricezione del
dono come Dio lo fa. Ecco la nostra tribolazione: sappiamo che parla a noi e
noi non sappiamo. “Ti ho parlato, ti ho
fatto vedere e non capisci”, “Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho
voluto raccoglierti… ma tu non hai capito l’ora in cui sei stata visitata”:
lì è la colpa. Il tuo Creatore parla a te, viene a te e tu dove sei?
Nino:
Ho un’altra traduzione di questo versetto che mi è difficile intendere: “Se conoscete Me, conoscerete anche il
Padre”, ma non si può conoscere il Figlio senza aver conosciuto il Padre. E
allora?
Luigi:
Teniamo presente che Gesù ha detto: “Nessuno
può venire al Padre se non per mezzo di Me”, perché “Nessuno può conoscere il Padre se non il Figlio”. Queste sono
parole chiare che non danno luogo a dubbi: quindi è alla luce di queste che va
inteso questo versetto. Ma Gesù dice anche: “Nessuno
conosce il Figlio se non il Padre”. Preso alla lettera, questa conoscenza
del Figlio va intesa come conoscenza relativa (ascolto delle sue parole ma non
ancora conoscenza di chi Lui è). Per cogliere il Pensiero con cui Cristo ha
detto queste parole, dobbiamo ritradurle così “Se conosceste Me, avreste già
conosciuto il Padre mio”.
È
solo il Padre che ci fa conoscere il Figlio, perché il Figlio è dipendente dal
Padre, la Causa; quindi lo possiamo conoscere solo nella Causa. La cosa
dipendente non ci può far conoscere la causa, invece la causa ci fa conoscere
la cosa dipendente. Quindi non si può conoscere il Figlio fintanto che si ha
conosciuto la Causa, il Padre.
Il
Figlio ci conduce alla Causa, al Padre, senza che noi sappiamo chi Egli è:
infatti siamo con Dio (Cristo è Dio) e non ce ne rendiamo conto. In Dio
conosceremo che Lui è sempre stato con noi, senza che noi ce ne accorgessimo: e
lì sarà il nostro pianto; conosceremo Colui che ci ha sempre amato,
pensato, e noi non ce n’eravamo accorti.
È
nella causa che scopriamo gli effetti: gli effetti ci conducono a conoscere la
Causa, senza che sappiamo cosa essi siano. Lo stesso Pensiero di Dio, noi
diciamo che è il Figlio di Dio: è una affermazione; ma quand’è che tocchiamo
con mano che lo è veramente? Solo nel Padre, a Pentecoste lo sperimenteremo;
attualmente lo diciamo, lo affermiamo, lo crediamo, ma non lo vediamo. Anche se
vediamo in Cristo il Pensiero di Dio e ne siamo convinti (per cui conosciamo
ciò che qualifica di più qualunque persona umana: il pensiero) e quindi
conosciamo e tocchiamo qualcosa di Dio, questo vedere è ancora diverso dal
vedere che si avrà a Pentecoste, quando si farà l’esperienza personale di Dio,
conoscendo chi è il Padre e chi è il Figlio. Quindi per intendere in modo
assoluto, non transitorio, le parole di Gesù in questo versetto vanno intese
alla luce della Pentecoste: il Figlio non si conosce se non si è conosciuto il
Padre.
“Fin d’ora lo conoscete e lo avete
veduto”: “adesso lo avete veduto, proprio per quel che vi ho
detto”, cioè: “Io sono la via…, nessuno
viene al Padre se non per mezzo di Me”. Dicendoci questo ci ha parlato del
Padre, ci ha fatto vedere il Padre. Gesù può dire questo perché ha sempre solo
parlato del Padre, quindi da parte sua ce l’ha presentato, ce l’ha fatto
vedere, anche se non è detto che noi creature lo vediamo. Gesù qui parla già il
linguaggio della Pentecoste: “Ve l’ho fatto vedere, ma voi non lo vedete”;
questo, Gesù lo può solo dire riferendosi al Padre e non a Sé, perché la
conoscenza di Cristo non sono le sue parole che ce la presentano, ma ci viene
direttamente dal Padre conosciuto. Quindi non può dire: “Fin d’ora
conoscete il Padre e lo avete visto, per cui conoscete me e mi avete visto”, ma
può solo dire “Io il Padre ve l’ho fatto vedere, ma fintanto che non lo
vedrete, non vedrete me”.
incontro n°215 (25/10/80)
Va
collegato al versetto precedente: “Nessuno
viene al Padre se non per mezzo mio”: quindi chi conosce il Figlio conosce
anche il Padre.
Eligio: “Fin d’ora lo conoscete e l’avete veduto”:
questa conoscenza implica consapevolezza, quindi esperienza personale?
Luigi:
No, non è ancora la conoscenza che si avrà a Pentecoste, ma una conoscenza
proposta. Il Figlio, parlandoci del Padre, ce lo presenta; è una conoscenza
proposta. Comunque già l’attrazione del Padre è un barlume di conoscenza.
Quando uno cerca (ha il desiderio) è perché ha già trovato; come dice s.
Agostino “Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”. Eppure chi cerca
è perché non ha trovato e cerca per trovare. Ma in realtà ha già trovato,
perché non possiamo desiderare se non abbiamo prima visto l’oggetto
desiderabile. C’è una conoscenza da parte di Dio che ci viene proposta
prima ancora che noi ne prendiamo consapevolezza, cioè che ne prendiamo
coscienza personalmente.
Noi
siamo chiamati a questa conoscenza personale. Per questo c’è l’offerta, la
proposta di conoscenza. Ma la proposta attende la risposta; non è ancora
l’acquisizione, la consapevolezza, l’esperienza personale, però è l’annuncio
(il campione della merce). Cristo ha parlato del Padre, ha presentato il Padre,
ed è una proposta di conoscenza del Padre, quindi non ci dà ancora la conoscenza
di Pentecoste (esperienza personale).
Siamo
stati creati per arrivare a conoscere Dio, perché conoscere Dio è vita eterna.
Dio tutto opera per convogliarci a questo Fine, viene a
noi (Cristo), per parlarci di questo Fine. Non è detto che presentandocelo, noi
già arriviamo alla consapevolezza. Perché da parte nostra ci sia
consapevolezza, acquisizione, ci vuole la corrispondenza, il pagamento del
prezzo per possedere ciò che ci è offerto.
Se
Dio non si annunciasse noi non potremmo nemmeno immaginarcela questa
conoscenza; è il Figlio che parlandoci del Padre ci propone di conoscere il
Padre e se ci impegniamo con Lui, ce lo rivela. Infatti, non basta che Gesù
parli del Padre, bisogna che la creatura si renda disponibile ad accogliere il
Padre, ad accogliere cioè le sue parole a quel livello che richiede lo Spirito
di Dio, cioè con quella purezza piena che corrisponde alla consapevolezza del
nostro niente. È necessaria questa consapevolezza del nostro niente, perché
solo così possiamo scoprire il Tutto di Dio.
Come
si acquista questa consapevolezza? La consapevolezza del nostro niente viene
dal nostro rapporto con Dio. E come possiamo misurarci con Dio se Dio non
viene a noi? L’iniziativa è di Dio. Dio viene a noi prima che noi andiamo a
Lui. Egli viene a noi quando noi ci crediamo tutto, si presenta a noi quando
noi nemmeno pensiamo a Lui.
Dio
si fa sentire da noi, si presenta a noi, nella nostra incapacità di conoscerLo.
Presentandosi a noi ci dà la possibilità di un rapporto con Lui e quindi di
scoprire il nostro niente e il suo Tutto. È dal rapporto con Lui che prendiamo
consapevolezza del Tutto di Dio e del niente nostro. Ed è questa presa di
coscienza del Tutto suo e del niente nostro che noi ci apriamo alla possibilità
di conoscere Lui. Quindi l’iniziativa di Dio con la quale si presenta a noi è
una proposta di conoscenza (diversamente non ce la potremmo sognare); e ci
offre la possibilità di arrivarci, perché questa conoscenza iniziale è
sufficiente per portarci alla scoperta del nostro niente e del tutto suo,
condizione per giungere a conoscere ed esperimentare la Presenza di Dio.
Quindi
questo versetto è come la proposta di un quadro che non siamo capaci di capire
in tutta la sua profondità. Per cui diciamo “faccelo conoscere” (v. 8: “facci conoscere il Padre e ci basta”).
Finché il quadro non ce lo spiegano, non lo capiamo.
Il
linguaggio che Lui parla però è un linguaggio che capiremo solo a Pentecoste. “Lo Spirito di Verità vi farà capire tutto
quanto vi ho detto”. Essendo Dio, parla il linguaggio di Pentecoste: “in quel giorno lo Spirito ve lo farà
comprendere”. Vuol dire che la Verità da parte di Dio ci è detta, però
non la capiamo; con lo Spirito Santo, a Pentecoste la capiremo e capiremo che
già era stata detta. E capiremo che Lui è sempre stato con noi e ha sempre
parlato con noi: per questo “piangeranno
davanti a Lui tutte le genti”. Scopriremo Uno che viveva e conversava
sempre con noi e noi non ce ne rendevamo conto. Da parte sua c’era la
presentazione della Verità, ma non la intendevamo. Lo Spirito ce la farà
intendere e allora scopriremo Colui che ha sempre parlato con noi ed è sempre
stato con noi; scopriremo una cosa nuova e una cosa vecchia e scopriremo
anche il nostro peccato, perché non avevamo capito e non avevamo custodito.
Ora,
il quadro non lo capisci? Custodisci! Qui Gesù sta preparando gli apostoli alla
Pentecoste, presentando cose che capiranno soltanto a Pentecoste. La Parola di Dio ci parla già di ciò che
solo a Pentecoste capiremo. Ma dobbiamo custodire queste parole col desiderio
di arrivare a capire. La chiave per custodire è la speranza che arriveremo a
conoscere Dio. La fede va mantenuta unita alla speranza, se no non possiamo
custodire ciò che non capiamo. Ci vuole il desiderio di capire, perché “il
mio Signore ha parlato”. Parlando ci forma l’orecchio, e poi parla all’orecchio
che ha formato. Per cui arriviamo a Dio coi doni di Dio: è Lui che ci da ancora
la capacità di custodire, perché attraverso le sue promesse ci da la speranza
di arrivare a vedere, ci dà una mente che è capace di desiderare di capire, ed
è Lui che fa capire a chi lo ascolta.
Noi
abbiamo molto a cuore le parole della persona che amiamo, quindi le Parole di
Dio sono preziose: è Dio che ci sta parlando! Dobbiamo aver molto a cuore di
cercare di capire ciò che ci dice.
Ogni
fatto, ogni cosa, ogni parola è una lettera indirizza a me personalmente col
mio nome e indirizzo. Egli ti dirà: “quella tal cosa
l’avevo fatta per te, quell’altra per te, quell’altra per te… per te… per te”,
e tu eri distratto. Come? Il tuo Signore parlava con te e tu chi ascoltavi?
ü
Per prima cosa bisogna avere
questa consapevolezza: che Dio esiste, è il Creatore ed è Colui che opera in
tutto. Fermati fino a convincerti che
nulla accade senza la sua Volontà.
ü
Seconda cosa: se sei convinto di
questo, ora fermati fino a convincerti
che Dio in tutto ciò che fa parla.
ü
Ma c’è un terzo punto ulteriore: fermati fino a convincerti che parla
personalmente a te.
Quindi
Gesù sta dicendo una cosa che è vera, ma che noi constateremo solo a
Pentecoste: “Fin da ora lo conoscete e lo
avete veduto”. È vero questo, noi fin da ora conosciamo il Padre:
1.
Perché Gesù ci parla del Padre e
noi abbiamo ascoltato le sue parole (infatti questo linguaggio lo usa solo con
coloro che lo hanno seguito fin qui, non con tutti).
2.
Ed è vero perché il Padre è con
noi; ma noi non lo vediamo ancora. Lo vedremo a Pentecoste, cioè capiremo che
quello che ci dice oggi è vero.
“Se conosceste Me, conoscereste
anche il Padre”: anche qui è una conoscenza proposta. Anche
qui parla un linguaggio che si capirà solo a Pentecoste. È proprio per
preparare i suoi discepoli all’incontro col Padre che parla il linguaggio di
Pentecoste: per metterli in movimento.
È
solo parlandocene che suscita in noi il desiderio di andare a vedere Colui di cui
ci parla, perché parla di Uno che non conosciamo. Lui non si
muove mai dal Padre, in tutte le parole che dice; anche se incarnato continua
ad essere Dio. Gesù non viene a parlarci della società, del lavoro, della
giustizia sociale, ecc., ma di Dio. Quindi, questo linguaggio di Dio è
trascendente a noi (noi crediamo di capire, ma in realtà non capiamo), e
proprio perché trascendente ci mette in movimento e ci fa custodire le sue
parole. A Pentecoste vedremo tutto quello che avremo ascoltato, creduto, col
desiderio e la speranza di arrivare a vederlo, a capirlo; esclameremo: “l’aveva
detto!”. Ad esempio: quando ci dice “Nessuno
viene al Padre se non per mezzo mio”: ci presenta il Padre. Noi non lo
vediamo, però ci mette in movimento, col desiderio di capire e a Pentecoste
vedremo che è così. Quando dice “Chi vede
Me, vede il Padre”, afferma una cosa che non comprendiamo ma che, se ci
saremo messi in movimento per vederla, constateremo vera a Pentecoste: lì
capiremo che effettivamente vedendo Lui vediamo il Padre. E così, fin d’ora ci
assicura che abbiamo visto il Padre, avendocelo proposto: “Fin d’ora lo conoscete e l’avete visto”; a Pentecoste
scopriremo che sempre abbiamo avuto presente Colui che solo allora conosceremo,
perché sempre è stato con noi. Lo conosceremo personalmente e capiremo che
è sempre stato con noi. Perché a Pentecoste è avvenuto il superamento dell’io; il
superamento dell’io infatti è la condizione per vedere Colui che è con noi.
Scopriremo quindi una verità che è sempre stata con noi, però noi non sapevamo.
Da parte di Dio ci era stata presentata, per questo Gesù può dire “Lo conoscete”, però “non lo conoscete”.
Ma Lui ha ragione, non è una menzogna ciò che dice: “Lo conoscete e lo avete visto fin d’ora”. È vero, perché il
Padre è con noi, ed è vero perché ci parla del Padre. Ma noi non lo
vediamo. C’è il difetto da parte nostra; fintanto che siamo pieni del nostro
io, non lo possiamo capire: ci vuole il superamento dell’io. Cioè, Dio è
presente a noi, ma noi non siamo presente a Lui. Nel campo dei segni i rapporti
sono reversibili: se una cosa è vicina all’altra, anche l’altra è vicina alla
prima; ma nello spirito no: Dio è presente alla creatura e la creatura è
assente. Dio conosce e ama la creatura, si dona alla creatura, ma non è detto
che la creatura conosca e ami Dio, si doni a Dio. Quel giorno capiremo che Dio
era presente, ma noi eravamo assenti.
Da
parte di Dio, quando Lui ci dice “Io sono
vicino a te”, mi fa una proposta da capire, perché è una verità. Noi
diciamo “non ti vedo”, però il non vederlo è un difetto. Ma in quel giorno
capiremo che era vero che era sempre stato vicino a noi. Dicendoci “Io sono vicino a te”, ci propone una
verità da conoscere, perché se non ce la affermasse, non potremmo intuire che è
vicino a noi. In quanto ci giunge questa verità, suscita in noi il
desiderio di vederlo, poiché ci dice “Ci
sono”. È questo desiderio di vederlo che, coltivato, ci farà capire. Questo
desiderio, questa fame, però non si formerebbe se l’altro non ci proponesse una
cosa che ancora non abbiamo assimilato.
Per
noi questo versetto è una proposta di conoscenza; ma da parte di Dio è già
vero, è già reale quanto Lui mi propone; cioè da parte di Dio è conoscenza data
e non percepita dalla creatura. È una proposta che ci invita ad approfondire
per poterla vedere già oggi realizzata.
“Non
sono io che devo trasformarmi in te, sei tu che devi trasformarti in me: cresci
e mi mangerai”. È Dio che trasforma la creatura in Sé. “Mangia, cresci e mi
capirai”. Qui Gesù parla come Dio e quindi ciò che afferma è Verità; ma non è
detto che la Verità affermata sia da noi capita, conosciuta: ci vuole la
Pentecoste. Senza la nostra partecipazione personale di superamento dell’io è
impossibile.
Ma
non basta il desiderio della Verità, perché se bastasse desiderarla per
conoscerla, crederemmo di essere noi a conoscerla. Invece è dono di Dio. Da
parte nostra ci vuole il desiderio, ma ci verrà da Dio.
Mangiando
le sue parole cresciamo; le sue parole sono un cibo crescente: cibo degli
uomini adulti: “Io sono il cibo degli
uomini adulti, cresci e mi mangerai”. S. Paolo dice “da bambini ci nutrivamo di latte, ora…”. Il cibo è graduato alla
nostra capacità di assimilazione, però tende a farci crescere; per questo il
suo linguaggio ci trascende sempre. Ora, Gesù parla un linguaggio che solo a
Pentecoste capiremo, e capiremo pure che non potevamo capire le sue parole,
perché non era ancora arrivato lo Spirito Santo; però le sue parole arrivavano
a noi. Questo vuol dire che Cristo tra noi parla un linguaggio che capiremo
solo a Pentecoste, ma capendolo troveremo la conferma di esso. Lui steso
promette che a Pentecoste ci farà capire tutte le cose “Lo Spirito Santo che vi manderò, vi farà ricordare tutto quanto vi ho
detto e ve lo farà capire”. Se ci dice questo vuol dire che ora non le
capiamo; certo, perché le cose di Dio si
capiscono in Dio, con Dio.
Egli
ci parla in parabole per sollecitarci ad entrare nel Tempio: solo lì, con Dio,
si capisce ciò che dice. È proprio approfondendo le parole che ci giungono che
si arriva a Pentecoste: sono le parole approfondite che ci fanno avanzare verso
di essa.
Dio
arrivando a noi, ci sollecita ad entrare in rapporto diretto con Lui, perché
Lui solo ci può far capire ciò che ci dice. Quindi le parole che arrivano a noi
ci sollecitano a questo rapporto diretto con Lui. Ci vuole molta attenzione a
chi parla, perché Colui che parla è anche Colui che spiega. La condizione, ad un certo momento, per
arrivare alla Pentecoste è abbandonare i segni per fissarci nello Spirito di
Dio: il Verbo incarnato si allontana per questo motivo, con l’Ascensione,
alla quale seguono i dieci giorni di silenzio. Ma non si può arrivare a quel
silenzio, se già oggi non mettiamo del silenzio nella nostra giornata.
Dobbiamo iniziare la nostra giornata impegnati con Dio, cioè partire con
l’anima occupata da un argomento di Dio (“Il
pane quotidiano” da sbocconcellare tutto il giorno), occupata dalle cose
eterne, così le cose esterne non la occupano più. Se no la nostra giornata
passa invano. Non passa invano invece quando siamo impegnati, occupati
interiormente. Oggi ho un campo di lavoro? Se non lo vedo vuol dire che sono
partito nel modo sbagliato, cioè disoccupato interiormente, con la stanza
interiore vuota, per cui la situazione attuale è peggiore della prima. Dobbiamo
preoccuparci quindi che la nostra stanza interiore sia occupata, attraverso un
argomento, in questo rapporto a tu per tu con Dio.
Nino:
Quindi queste parole di Gesù vanno lette così “se conoscete Me è segno che già avete conosciuto il Padre”.
Luigi:
Sì, se teniamo presente altre parole di Gesù (“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”, ecc.); ma anche così
non capiamo ancora ciò che ci dice. Lo sappiamo solo per sentito dire, perché è
una proposta di conoscenza: non lo capiremo fino a Pentecoste. Ed è grazia di
Dio, perché ci mette in movimento, perché ci lascia nel dubbio.
La
conoscenza per sentito dire trova sempre dei dubbi e contraddizioni:
sono grazia, sollecitazioni ad approfondire per giungere alla conoscenza
personale. Quindi vanno distinte la conoscenza per sentito dire e la conoscenza
personale. Il sentito dire è necessario, se no non ci metteremmo in
movimento, perché suscita in noi il bisogno di conoscere personalmente. Ma
di fronte al sentito dire, all’annuncio, possiamo credere o non credere. Ma credere
vuol dire dedicarci a-, vivere per-, desiderare di giungere a capire, a
vedere ciò che si crede.
Quando
uno capisce personalmente, esperimenta la Verità in cui ha creduto. Non la
esperimenta fintanto che vive nel sentito dire, ma solo impegnandosi
personalmente.
La Verità si dimostra da sola, ma
noi la esperimentiamo nella misura in cui ci dedichiamo ad Essa.
Ma non possiamo assoggettarla alle nostre prove; se si assoggettasse, ci
confonderebbe.
È
la creatura che si deve sottomettere a Dio. Non possiamo sottomettere Dio, la
Verità a noi. Dio si sottomette a noi solo per svegliarci nella ricerca di Lui.
Non può l’infinito essere sottomesso al finito. Tommaso che pretende di vedere
prima di credere, che vuol sottomettere la Verità a sé, si mette
nell’impossibilità di capire. La Verità si dimostra da sola: non può essere
dimostrata da me, ma può dimostrarsi a me.
Bisogna
dedicarsi alla Verità, se si crede. Le buone azioni non ci portano alla
conoscenza, ma ci mettono in movimento, ci aprono all’amore, ci fanno superare
l’io (che è un ostacolo per conoscere Dio), e quindi ci introducono già alle
grandi lezioni del Cristo; le quali, se ascoltate, ci porteranno alla
conoscenza.
Fintanto
che viviamo per noi, mettiamo dei muri tra noi e Dio e ci rendiamo impossibile
la conoscenza di Dio. Invece tutto ciò che facciamo superando il pensiero del
nostro io, ci apre alla luce: non ci porta alla Pentecoste, ma ci porta
all’amore. L’anima che comincia a donarsi, ad un certo punto si dona al
parlare del Cristo. È attraverso la dedizione al suo parlare che Cristo
conduce l’anima alla Pentecoste. Quindi, comincia a far qualcosa per un altro,
questo ti apre l’anima e ti fa gustare la bellezza del donarsi; l’altruismo
ti introduce alle grandi lezioni di Cristo, che richiedono tanta dedizione
a Lui. Credere infatti è vivere per-, dedicarsi a-.
Noi
viviamo sempre per qualche cosa, e ciascuno si rivela come fede in ciò a cui
dedica il suo tempo, la sua mente, il suo cuore, il suo pensiero, la sua vita,
il suo interesse. Quindi le tue promesse, i tuoi voti, non valgono niente se tu
non vivi per Lui, anzi diventano l’espressione del tuo io. È facile dare il
denaro e non il pensiero. Ma i doni sono fasulli senza il pensiero.
Bisogna arrivare a dedicare il pensiero: questo è l’essenziale. Noi siamo
disposti a sacrificare tutto, ma non il pensiero.
Dio guarda dov’è il tuo pensiero,
cioè il tuo cuore: lì, nel pensiero, si
rivela il tuo amore.
Noi
lo vogliamo ingannare con le parole “Ti amo, ti amo”, ma il nostro pensiero
dov’è? Il pensiero è ciò che conta! Ciò che ci forma a Dio è il pensiero,
perché Dio è Spirito e Verità. Quindi non auto-inganniamoci.
T.:
Quando uno crede, si fida e poi esperimenta. Ad es. Mosè: Dio gli dice “sarò con te sempre”, lui si fida e poi
esperimenta che è così; il Cottolengo si fida: butta via l’ultima moneta e poi
sperimenta la Provvidenza.
Luigi:
Certo, aderendo al sentito dire si esperimenta ciò che si è sentito dire.
Adesione vuol dire aderire alla Parola di Dio, alle parole comprensibili e
facili e alle parole difficili, come quelle di stasera; anche quelle che
impegnano tutto di noi e che sembra impossibile poter arrivare a capirle.
Dobbiamo impegnarci con tutte le parole (questo è aderire), soprattutto con le
difficili, perché sono quelle che più ci fanno camminare. Non è facile. Mosè
non ha aderito totalmente e non entrò nella terra promessa; ciò vuol dire
che la Parola che Dio gli aveva detto era molto difficile e lui non l’ha
portata a compimento.
Non
dobbiamo solo scegliere le parole che vogliamo noi, ma dobbiamo seguire Cristo
dall’inizio alla fine.
“Fin d’ora le conoscete…”:
adesso, “perché con le parole che vi ho
detto adesso (“Io sono la Via…
Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me”), vi ho presentato il Padre”.
Perché
dicendo quelle parole ci presenta il Padre? Perché ci presenta la Meta. Se uno
dice: “questa è la strada per Torino”, mi
presenta Torino. Dicendo “Nessuno viene
al Padre se non per mezzo mio”, ci presenta il Padre, la Meta; per noi la
meta è presentata nominalmente, per Lui realmente. A noi sembrano parole vuote,
alla Pentecoste capiremo che realmente “fino
d’ora” ci ha presentato il Padre.
A
noi ora il nominale ci confonde: è opera nostra, perché è nel pensiero del
nostro io che riceviamo solo il nome e non la sostanza; però la parola di Dio è sostanza. A
Pentecoste capiremo che Gesù dicendoci quelle parole, ci aveva presentato
effettivamente e sostanzialmente il Padre. Aderire totalmente è credere a
questo, alla sostanza.
Concludendo:
“Dio è vicino a me, io non sono vicino
a Lui”: è tutto qui il senso di questo versetto, nella sua seconda
parte; se capisco questo, capisco il versetto.
Quale
lezione personale possiamo trarre da questo?
È
una rivelazione che Gesù fa, quindi:
1.
È un invito ad intendere, un
invito all’attenzione, perché solo se c’è attenzione, si intende e, intendendo,
diventerà realtà per noi. (Invece, altre Parole, però negative, ad es.
il tradimento di Giuda, il diluvio e l’arca, ecc., come lezione personale, sono
sempre un invito a capire, ma per evitare che quello che è avvenuto, avvenga in
noi).
2.
Poi è un invito a restare nelle
sue Parole, perché Lui è la Via che ci porta alla conoscenza del Padre; è una
conoscenza relativa del Cristo, necessaria per giungere alla conoscenza del Padre;
poiché è il Figlio che ci rivela il Padre: “Se
aveste conosciuto Me, conoscereste anche il Padre”. Questa interpretazione
relativa si riferisce ad una conoscenza provvisoria del Cristo e non è in
contraddizione con l’interpretazione di questo versetto alla luce della
Pentecoste e di altre Parole di Cristo stesso (“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”), e che si riferisce ad
una conoscenza assoluta, eterna del Figlio (per cui, secondo questa
interpretazione il versetto va corretto, tradotto in “se conosceste me, avreste conosciuto il Padre”.
3.
Ed è anche un invito a desiderare
la meta.
Entrambe
le interpretazioni sono giuste e indicano tappe diverse nella conoscenza di
Cristo.
Gesù gli
rispose: “Da tanto tempo sono con voi e tu Filippo non mi hai
ancora conosciuto? Chi vede Me, vede il Padre mio. Come dunque puoi dirmi:
mostraci il Padre?”. Gv 14 Vs 9
Titolo:
Argomenti:
25/Ottobre/1980
Sembra
un rimprovero, tanto più che Gesù aveva detto prima “fin’ora Lo conoscete e l’avete visto”.
Eppure
Gesù dice anche: “Nessuno può andare al
Padre se non per mezzo di me”. Quindi, sotto un certo aspetto, la domanda
di Filippo “Signore, mostraci il Padre e
ci basta”, è pertinente, perché è
solo Gesù che ci può mostrare il Padre, perché possiamo conoscere il Padre
soltanto per mezzo del Figlio.
La
risposta di Gesù va intesa in questo modo: “È
tanto tempo che sono con te e ancora non conosci l’oggetto di cui ti ho sempre
parlato?”. Noi abbiamo occhi materiali, per cui diciamo “facci conoscere tuo Padre, cioè l’Altro da
te”, come se il Padre fosse un Altro dal Figlio, mentre invece il Padre non
è altro dal Figlio, perché Gesù ha detto “Io
e il Padre siamo una cosa sola”. Dobbiamo tener presente che qui Gesù
semina parole che saranno illuminate appieno solo a Pentecoste, parole che
sono profezia. Sono parole necessarie. È necessario che Lui le semini e che noi
le accogliamo, anche se non le capiamo, per arrivare al giorno in cui “sarà
così”.
Cristo
ci conduce a vedere il Padre proprio seminando argomenti che oggi non capiamo,
ma che se accogliamo, ci rendono attenti fino a portarci alla Pentecoste,
perché ci rendono capaci di capirli in quel giorno. Con queste parole Gesù
mette in noi un problema che è al disopra di noi: lo dobbiamo custodire e
meditare anche se ancora non lo capiamo: è così che arriveremo a capirlo,
perché custodendolo e meditandolo, Cristo ci conduce a ricevere quello Spirito
che ci farà capire.
Gesù
ci sta comunicando cose superiori che noi siamo tenuti ad accogliere, sperando
di capirle poi. È la condizione per restare nella fede, perché la fede è
tenuta a raccogliere e custodire tutto: quello che comprende e quello che non
comprende, sapendo che viene da Dio, perché solo accogliendolo arriverà a
comprenderlo.
C’è
un dislivello: un Essere superiore che comunica cose superiori a noi. La
condizione per arrivare a capirle è accoglierle, accettarle prima di capirle,
perché arriveremo a capirle solo accettandole. L’essenza della fede è
accogliere quello che non si capisce, con la speranza di giungere a capirlo,
perché la fede è sostanza di cose sperate.
Filippo
cerca la presenza fisica del Padre dell’uomo Gesù. Così anche noi, sentendo
parlare del Padre, cerchiamo la “figura” del Padre: non capiamo; non possiamo
capire come spiritualmente possa esistere il Padre, solo accettando questo
linguaggio spirituale arriveremo a capirlo. Quindi dobbiamo accettare,
custodire, meditare, invocare aiuto per capire, perché ci vuole l’interesse per
arrivare a capire, e ci vuole amore: è un tesoro che va custodito. Bisogna
accettare gli annunci che arrivano a noi e impegnarci in essi; anche in queste
parole superiori che ci sono annunciate, perché sono esse che formano
nell’anima quel supplemento che ci darà la possibilità di capire.
“Signore, aiutaci a vedere il
Padre in questo e in quello…”: è questo l’atteggiamento
che dobbiamo avere. Più ci applichiamo in queste sue Parole e
più conosciamo il Cristo (conoscenza relativa che ci porterà alla conoscenza
del Padre). Gesù dicendo: “Non mi hai
ancora conosciuto”, si riferisce a questa conoscenza relativa di Lui,
perché la vera conoscenza del Figlio l’avremo solo nel Padre, perché “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”.
È la tanta conoscenza di Lui (delle sue parole, ecc.) che ci fa capaci
di conoscere il Padre, perché “Nessuno
va al Padre se non per mezzo di Me”.
“Chi vede me, vede il Padre mio”:
Gesù afferma una cosa che l’anima a Pentecoste constaterà come vera sempre, non
solo a Pentecoste. È una Verità eterna: constaterà che è sempre stata così.
Cristo ha parlato la Verità. E l’anima dirà “anch’io
personalmente ora esperimento che ciò che ha detto è vero”.
Ora,
accetto di credere perché si parla di Dio. Ma questo presuppone che a me stia
molto a cuore Dio e che in me si sia formata la convinzione dell’importanza che
ha la conoscenza di Dio (convinzione che si forma solo nella preghiera e nel
silenzio), perché abbiamo capito che da essa dipende tutto di noi e fuori di
noi: perché la conoscenza di Dio in noi cambia il nostro cuore, le nostre
conoscenze, il nostro modo di pensare e quindi cambia tutto il mondo (il mondo
non cambia infatti sino a quando non cambia il cuore dell’uomo).
Quando
si è formata in noi questa convinzione cominciamo ad essere interessati a tutto
ciò che riguarda Dio, per cui anche se arrivano argomenti superiori a noi, li
custodiamo, li scriviamo, li meditiamo, invochiamo luce, ecc., ma non li
trascuriamo. E allora, a poco per volta, l’anima viene formata da quelle stesse
parole alla comprensione di esse. Ma fintanto che non si è formata in noi
questa consapevolezza dell’importanza e urgenza di conoscere Dio, non siamo
pronti ad accogliere il Cristo e le sue parole. Infatti Gesù ha detto “Nessuno può venire a me se non è attratto
dal Padre”, perché se non ha questa attrazione del Padre, l’anima ha altri
interessi e deve rifiutare gli argomenti del Cristo. Solo se è attratta dal
Padre l’anima cercherà il Padre in ogni parola del Cristo, se no le rifiuta. Lo
dice Gesù: “Le mie parole non penetrano
in voi perché avete altri interessi”. Solo
se abbiamo come padre Dio accogliamo le parole del Cristo (nostro padre è
ciò che ci motiva).
Se
noi non lasciamo entrare le parole del Cristo non potremo mai essere condotti a
vedere quella Luce che esse ci promettono e ci annunciano. “Nessuno ha mai veduto Dio, eccetto il Figlio”. La creatura può
ascoltare Dio, ma non vederlo. Tutti ascoltano; anche l’orgoglioso, l’uomo
nella notte, l’uomo addormentato sente la parola di Dio. La Parola di Dio
arriva a tutti, la visione no. La Parola arriva senza di noi, ma la visione non
arriva senza di noi e senza il Figlio.
La
Parola di Dio quando arriva mette noi in attenzione: o ci interessa o non ci
interessa. Se ci interessa cominciamo ad ascoltare, per cui
diventiamo partecipi. Tra la parola che arriva e l’ascolto c’è un giudizio: ci
interessa o no? Ascoltando, riceviamo l’ammaestramento del Padre; ma per
riceverlo bisogna che ci ritiriamo nel segreto (“chiudi l’uscio e lì, nel segreto invoca il Padre tuo”).
In
questo intimo ammaestramento l’anima viene convinta del valore del Padre, del
valore di conoscere Dio, e allora si apre alla ricerca, ed è questa ricerca,
questo interesse che rende l’anima capace di scoprire il Cristo.
Chi
non ha sete non scopre la sorgente. È sempre il cuore, l’interesse che portiamo
dentro che ci dà la possibilità di scoprire il Cristo: il pane e l’acqua che ci
sfama e disseta. Ma noi possiamo sfamarci e dissetarci senza con ciò conoscere
cos’è il pane e cos’è l’acqua. Perché? E come? Basta avere fame e sete
(l’attrazione del Padre). Mentre tutti gli uomini ci parlano di cose che
passano, Cristo e solo Cristo ci parla di ciò che ci sta veramente a cuore
(ma bisogna che ci stia veramente a cuore). Infatti molti l’hanno visto e
pochissimi l’hanno trovato! Questo ci fa capire che non basta essere nello
stesso luogo, nel suo stesso tempo, nella stessa epoca, per trovarlo.
Cos’è
che fa scoprire il Cristo? Non sono i limiti di tempo e spazio: se coloro che
erano vicinissimo non l’hanno scoperto vuol dire che l’elemento determinante è
l’attrazione del Padre. Infatti ai Giudei che mormoravano perché non capivano
disse: “Non mormorate, perché non potete
capire se non siete attratti dal Padre”.
Non c’è nessun motivo, nessun rapporto umano relativo allo spazio e al
tempo che ci faccia scoprire il Cristo. È una grande verità questa, perché
di fronte al Cristo siamo tutti nella stessa situazione; perché quello che ti
fa scoprire il Cristo è l’interesse per Dio, per cui quando lo trovi non lo
molli più, perché “era questo che
desideravo incontrare! Era questo che cercavo!”. Ma se non ho interesse per
Dio, anche se lo incontrassi tutti i giorni, non lo incontrerei, cioè non lo
riconoscerei. E anche se credo di incontrarlo non posso restare con Lui, perché
ha tali esigenze che ad un certo momento lo lascio.
Individuiamo
Gesù quindi solo se abbiamo interesse per Dio, però lo individuiamo non come
Figlio di Dio, ma come pane per la nostra fame (c’è la fame quando c’è
l’interesse). In quel giorno (a Pentecoste) sapremo chi Egli è. Prima di quel
giorno la conoscenza di lui è solo relativa.
“Da tanto tempo sono con voi…”:
dalla nascita ce lo sentiamo ripetere tante volte; sempre ci dice “sono con te”, e un giorno scopriremo
che effettivamente è sempre stato con noi. Qui, Egli ci dice: “sono con te”,e ce lo dice sempre. Non
può essere smentita questa Verità, neppure quando siamo nel peccato, perché dal
momento che Dio esiste è presente dappertutto. Ma noi non siamo con Lui.
“…e ancora non mi conoscete”:
la conoscenza non è effetto di un momento storico, ma di un momento di amore,
d’interesse. Dio è con tutti, ma non tutti arrivano a conoscerlo. Qui vediamo
che Dio non fa differenza di persone: si offre a tutti, al bianco, al nero,
alla vecchietta, al bambino, al laureato ecc.; se in questi c’è interesse per
Dio. Non è un problema di essere qui o la, perché Dio parla a tutti: “Da tanto
tempo sono con voi…”.
Non
è una conoscenza soggetta ai limiti di spazio e di tempo, ma all’attrazione del
Padre, la quale fa scoccare in noi la scintilla della convinzione che per noi è
essenziale la conoscenza di Dio.
La
conoscenza è una realtà personale di amore; non è un problema di ambiente, di
cultura, di epoca, di luogo.
Ci
suonano a rimprovero queste parole di Gesù: “da
tanto tempo, da sempre sono con te e tu ancora non te ne sei accorto? Non mi
cerchi, non mi conosci?”; in realtà non ci accorgiamo del Cristo, e non
lo troviamo, né lo conosciamo, anche se Lui è con noi, perché non c’è in noi
amore per Dio. Queste parole sono un invito ad impegnarci nella conoscenza,
che, nonostante sia opera del Padre, richiede anche la nostra partecipazione
personale di superamento del nostro io e delle creature.
“Chi vede me vede il Padre; come
dunque puoi dirmi: mostraci il Padre?”: Gesù
sta rispondendo a ciò che nella domanda di Filippo c’è ma non si vede.
Bisogna tener presente l’affermazione precedente di Gesù: “l’avete visto”,dopo la quale Filippo incalza “mostraci il Padre”.In Filippo abbiamo una dimensione materiale
diversa dalla dimensione spirituale di Gesù; Gesù lo riprende per sollecitarlo
ad una realtà spirituale.
Gesù
insegna la via perché dialoga con noi: Egli come Verità sta sulla cime;
rimanendo nella cima scende al piano e fa la strada agli uomini: dialoga con
gli argomenti degli uomini, dialoga con le loro difficoltà nella conoscenza
di Dio.
Quante
volte Cristo scende a dialogare con le ambizioni degli uomini, con i nostri
dubbi, incertezze, ecc.; ma non per conformarci in esse, ma per aiutarci a
superarle.
Anche
qui Gesù dialoga prendendo lo spunto dalle parole di Filippo, “mostraci il padre”, perché sempre viene
a raccoglierci nei nostri argomenti. Filippo ha chiesto “facci vedere il Padre”, in senso materiale, fisico. Allora Gesù
dialoga sul positivo di questa richiesta (desiderio di vedere il Padre) e
risponde con parole tali che costringono Filippo a superare la sua mentalità
materiale, perché lo confondono: “Chi
vede me vede il Padre mio!”.Vuole
portarlo su una realtà spirituale: “chi
vede me”, non nel fisico, perché non è attraverso il suo fisico che Gesù
mostra il Padre.
Attraverso
il suo dialogare Gesù ha seminato nei discepoli il desiderio di conoscere il Padre e ora li sta portando
su un’altra dimensione dove può dire “Chi
vede me vede il Padre”.
Questo
pane che Egli ci dà, delle volte diventa pane molto duro in quanto non capiamo.
Per questo Gesù dice “sforzatevi… anche
voi siete senza intelligenza? ecc…”. Però non c’è altro pane che ci dia
vita. Richiede molta fatica per mangiarlo, molto sforzo, perché si tratta di
passare dal finito all’Infinito; ma se ci sforziamo arriveremo alla Pentecoste.
La
Pentecoste è dono del Padre, ma questa entrata nella dimensione spirituale
richiede anche l’impegno della creatura.
È
Lui che ci apre gli occhi: bisogna solo aver pazienza di lasciarci aprire gli
occhi a ciò che Lui fa e gli orecchi a ciò che Lui dice.
Gesù
ci invita ad affrettarci ad entrare nel mondo spirituale, perché questo è il
momento di convertirci, non domani.
Sei
tu che devi entrare: non puoi pretendere di fare entrare l’infinito di Dio
nelle tue categorie materiali, come non puoi fare entrare il mare in una
bacinella. Sei tu che devi passare dalla terra al Cielo.
Quante
volte infatti cerchiamo di interpretare fatti spirituali in base a schemi
materiali, psicologici, ecc.: è assurdo, non possiamo intendere l’infinito in
funzione del finito.
Quindi
c’è la necessità da parte nostra di fare questo salto, appoggiandoci sulla
Parola di Dio. Dicendoci parole così difficili (“chi vede me vede il Padre”), Gesù ci sollecita al nostro passaggio
al Cielo.
Sarebbe
uno sforzo inutile intendere le cose dello spirito con schemi materiali. Le
cose di Dio vanno viste nel cielo di Dio, non in funzione della terra.
Dunque
portati in cielo e vedrai che non è che tutto si muove attorno alla terra,
anzi!
Portiamoci
nel Cielo di Dio per vedere la terra. Afferriamoci al cielo di Dio e da lì
incominciamo a guardare l’uomo, le creature, noi stessi, perché il finito
può essere inteso solo nell’infinito, come la terra può essere capita solo nel
cielo. È questione di rapporti. Cristo con le sue parole tende a portarci a
vedere le cose dal punto di vista di Dio e quindi a superare l’io che tende a
vedere tutto dal punto di vista della terra. Allora dobbiamo appoggiarci sulla
sua Parola che è sempre con noi.
“Da tanto tempo sono con voi, e tu
non mi hai ancora conosciuto!”: questo versetto è un invito alla
conoscenza di Colui che è sempre con noi.
Domanda:
Conoscere Dio!? A noi sembra impossibile.
Luigi:
Eppure è parola di Dio! E ci rimprovera che ancora non lo conosciamo. Se Dio ci
ammonisce a cercarlo, se ci invita a conoscerlo ci dà anche la possibilità di
arrivarci: non ci inganna, non ci delude. Dio non recita l’amore con noi; Lui
che non è costretto a crearci, ci ha creato per amore! Egli ci ama e vuole
liberarci dalla schiavitù della materia, del nostro io, per amore. Lui ci
vuole solo perché ci vuole, per nessun altro motivo, e quindi ciò che dice
non è per ingannarci. Quindi se ci invita a conoscerlo è perché ci rende
possibile la conoscenza. E ci dice che conoscere Lui è vita vera che non delude
più. Tutto il nostro appoggio sta nella Parola di Dio. È Dio che ci dice “Cercatemi… voglio la conoscenza e non
sacrifici… cercate di conoscermi e mi troverete…”. Egli parla per
farsi trovare. Questa è Parola di Dio, non di uomo.
Basta
che ci appoggiamo a Lui e che accogliamo le condizioni che Lui stesso ci mette
per giungere alla meta, alla conoscenza.
Queste
parole “da tanto tempo sono con te e non
mi conosci ancora?”, sono parole che dice sempre ad ognuno di noi; ogni
giorno ci dice“sono con te e cosa aspetti
a conoscermi?”.
Bisogna
andar fuori, uscire dai nostri problemi, poiché tutto, ogni nostra situazione è
dono di Dio, è mezzo e strumento di Dio per arrivare a Dio, ma mai fine. Non
deve quindi diventare impedimento nel cammino verso Dio.
La
famiglia, i buoi, i campi, il lavoro, ecc., sono tutti doni di Dio, però non
dobbiamo farli diventare fine della nostra vita. Sono
doni e mezzi per-. Anche le tribolazioni sono un dono, non sono mai un castigo.
Però se non abbiamo presente il fine, non li vediamo come mezzi, per cui
facciamo l’errore di chi sale su di una macchina e poi si chiede: adesso dove
vado?
Dobbiamo
sottolineare l’importanza del silenzio per elevarci al disopra dei problemi del
mondo e raccoglierci nel Pensiero di Dio, perché solo a questa condizione
potremo raccoglierci nel Pensiero di Dio e quindi superarli.
Dobbiamo
fare ogni tanto il punto sulla strada: questo che stai facendo è essenziale per
la tua vita? Vivi per ciò per cui Dio ti ha creato?
Lasciamoci
illuminare dal Padre per rivedere in continuazione il nostro atteggiamento nei
confronti del fine; perché noi siamo portati a deviare su tante strade.
“Ancora non mi conosci?”: Filippo
e gli altri non potevano capire le parole precedenti di Gesù, perché Gesù parla
già il linguaggio della Pentecoste. Tuttavia queste parole
per noi sono un rimprovero, perché c’è da chiedersi: cosa abbiamo fatto per
conoscerLo? È un rimprovero perché magari stiamo perdendo tempo. Ma questo
suo rimprovero è un atto di amore perché ci richiama all’essenziale: “Dio è con te, vivi alla sua presenza! Non
essere stolto e distratto!”. È un rimprovero, ma è una sollecitazione
d’amore. Non rimprovera per umiliarci, perché Lui sa cosa siamo; ma le sue
parole d’amore ci vengono dette per raccoglierci, per portarci in alto!
L’amore vince ogni rimprovero: “Il Padre pota, corregge chi ama”, dice
Gesù. Non fermarti quindi all’io, dicendo “mi
ha rimproverato!”, ma vedi invece l’amore di Dio che ti sta dietro e ti ama
e ti sollecita a trovare la vita, perché stai morendo dietro le cose che
passano. I rimproveri di Cristo quindi sono sempre rimproveri d’amore per
correggerci, spronarci, farci entrare nella porta stretta.
“Da tanto tempo sono con te”:
Lui è sempre con me e parla con me in tutto, perché tutto ciò che accade è parola
sua; in tutto Egli si annuncia, si rivela, si presenta a me per comunicarmi la
sua Vita: quanta attenzione allora si richiede da parte mia! E quanta capacità
di ascolto e silenzio interiore per poter captare questa sua Presenza e queste
sue parole!
Non
dobbiamo mai fidarci delle nostre opere, anche se approvate, perché dobbiamo
mettere sempre prima l’ascolto di Dio.
Non
c’è nessuna azione anche santa, che ci giustifichi dal non pregare.
Non siamo mai giustificati a lasciare la preghiera, il silenzio, l’ascolto. Il
raccoglimento, il rapporto personale con Dio sono essenziali e non sono mai
azione; sono essenziali in ogni giornata.
Persone
molto impegnate si credono giustificate per ciò che fanno, per cui si credono
esenti dal silenzio, dalla preghiera, dal raccoglimento; invece è essenziale il
rapporto personale con Dio e questo rapporto personale con Dio non è mai azione.
Non è sufficiente la preghiera vocale. Bisogna entrare nell’ascolto di Dio:
imparare ad ascoltare Lui. E questo non è più un fare, ma un lasciar fare, un
lasciar parlare Dio. Noi cresciamo nella misura in cui ascoltiamo Dio, nella
misura in cui ci mettiamo in silenzio e riceviamo da Dio, e non in quanto
parliamo e facciamo noi.
Il
fare è Dio stesso che ce lo presenta, perché sa le nostre difficoltà di
creature a stare sempre con Lui e noi lo facciamo per ubbidire a Lui.
Infatti
se stai pregando e qualcuno bussa alla porta, tu sei obbligata ad aprire. Va
dunque ad aprire e fa quello che devi fare per ubbidire a Dio, ma sappi che il
tuo lavoro essenziale è cercare Lui. Non divertirti, non distrarti in quello
che stai facendo. Se Dio ti manda qualcuno è per aiutarti; Egli vede che nella
sua preghiera stai divagando, e allora ti fa fare qualcosa, perché magari, pur
stando nel deserto, sei in città. Allora manda uno che ti disturba, ma è aiuto
per sbloccarti, perché stai perdendo tempo.
Dobbiamo
lasciarci fare da Dio, non dimenticando mai qual è il lavoro essenziale:
tutto il resto è per prepararci a questo lavoro essenziale. Bisogna lasciarci
fare sapendo che l’interno prevale sempre sull’esterno.
Abbiamo
bisogno di questo silenzio e ascolto del Padre per poter incontrare Cristo, il
quale a sua volta ci condurrà alla conoscenza del Padre. L’incontro col
Cristo è preceduto infatti dall’ascolto del Padre. Noi siamo in grado di
vedere il Signore fuori soltanto nella misura in cui lo portiamo dentro.
L’interiore prevale sull’esteriore. Noi invece facciamo tante cose non per
convinzione interiore, ma per recitazione, per motivi esterni: per questo si
sente l’avvilimento, perché dobbiamo fare cose di cui non si è convinti.
“Chi
vede me, vede il Padre mio”:
ci educa a vedere la Realtà. Le sue parole sono profezie: ci
profetizzano ciò che noi vedremo. Per questo le sue parole sono strada; per
questo credendo alle sue parole camminiamo. Camminiamo proprio in quanto
Gesù ci parla di cose che ancora non vediamo, ma che vedremo: per questo ci
mettono in cammino. Ma noi dopo averle udite possiamo anche non partire; allora
non vedremo mai ciò che ci dicono.
Ma
se vogliamo constatare la Verità che ci annunciano, dobbiamo partire, credere.
Solo così giungeremo a fare l’esperienza personale e dire “era il Signore che operava tutto ed era sempre con me!”.
Le
parole di Cristo ci annunciano il futuro “Chi
vede me vede il Padre”: vedremo uno che è sempre stato con noi e che non
abbiamo riconosciuto. E diremo: “la colpa è mia: lo vedevo ma non mi
rendevo conto che era Lui”.
Queste
parole “chi vede me vede il Padre”,si
ricollegano a quelle del versetto 7: “Se
conosceste me, avreste conosciuto anche mio Padre”, noi riusciamo a vedere
veramente chi è Cristo quando vediamo il Padre. Quindi “chi mi vede veramente è perché già vede il Padre”.
Gesù gli
rispose: “Da tanto tempo sono con voi e tu Filippo non mi hai
ancora conosciuto? Chi vede Me, vede il Padre mio. Come dunque puoi dirmi:
mostraci il Padre?”. Gv 14 Vs 10 Prima
parte.
Titolo:
Argomenti:
25/Ottobre/1980
Gesù
ha presentato una Verità superiore all’uomo, per questo non dice: “comprendi questo?”, ma chiede: “credi?”, perché solo per fede, non
avendo conoscenza personale, si può accogliere quello che Cristo propone: “Io sono nel Padre e il padre è in me!”.
“Le parole che io dico, non le
dico da me; ma il Padre che dimora in me, compie queste opere”:
1.
Lezione: la caratteristica del
Figlio è quella di attribuire tutto al Padre. Nessuna cosa deve essere
considerata in modo autonomo: tutto è opera di Dio, perché Dio è il Creatore di
tutto; quindi tutto è un parlare di Dio a noi. Queste parole di Gesù aiutano a
capire quello che avviene nella creazione: “È il Padre che in me parla” (le
opere sono parole). Siccome Cristo è la sintesi di tutta la creazione, vuol
dire che Dio attraverso tutte le cose parla a noi. Cristo è la sintesi di tutte
le parole di Dio nella creazione, per cui ciò che dice a noi, non lo dice per
Sé solo, ma per tutte le creature. Quindi è sempre il Padre che a noi parla
attraverso tutte le cose. Noi non abbiamo a che fare con le creature, noi
abbiamo a che fare con il Padre, poiché attraverso tutto è Dio che sta parlando
con noi. Dobbiamo
vedere Lui, non la creatura.
2.
Lezione: “Il Figlio non fa nulla senza vederlo fare dal Padre”,
quindi se noi facciamo qualcosa senza vederlo fare dal Padre, agiamo in modo
autonomo, perché abbiamo in noi un altro motivo. Allora, Dio si assume la
responsabilità di ciò che facciamo e che Lui ci fa fare nei confronti degli
altri, ma non possiamo attribuire a Dio un nostro atto interiore autonomo da
Dio. A Lui vanno attribuite le conseguenze. È Dio che ci fa fare certe cose
spiacevoli, per farci vedere cosa arriviamo a fare lontani da Lui; quindi una
cosa, in quanto avviene, l’ha voluta Lui (e gli altri la devono accogliere da
Dio come lezione per sé). Il giorno in cui possiamo attribuire anche questi
nostri errori a Dio, allora abbiamo capito la lezione: “Dio me l’ha fatto fare
per farmi vedere a che punto mi porta l’autonomia e quindi per farmi ritornare
a Lui”. Se fossimo figli, anche noi dovremmo dire come Cristo: “Le parole che dico, non le dico da me, ma
il Padre in me compie le sue opere”. Noi non siamo figli fintanto che
non abbiamo in noi le ragioni del nostro pensare, parlare, fare; la ragione dev’essere il Padre che dimora
in noi. Se non siamo motivati da Dio, siamo figli di altro, cioè di ciò che
ci motiva: allora tutta l’opera di Dio è per ricuperarci da questi altri
motivi. Ciò che ci fa figli di Dio è il motivo. Il Figlio è consapevole, perché
ha in sé la ragione di ciò che dice e fa e pensa: è il Padre che lo motiva: “È il Padre che dimora in me che compie
queste opere”. Il Figlio ha la
consapevolezza che il Padre è la sua ragione di essere.
“Non credi che io sono nel
Padre?”: il Figlio si vede nel Padre. Il figlio è caratterizzato
dal fatto che è nel seno del Padre sempre: nel parlare, nell’agire e nel pensare;
in tutto riconosce di avere Dio come Padre e non altri. La figliolanza è
determinata dalla ragione.
Quindi
sei figlio nel motivo che ti muove. Dio opera per condurci a questa
paternità consapevole.
“Il Padre che dimora in me compie
queste opere”: insegna anche a noi a vedere il Padre in tutto ciò che
il Figlio fa, dice, ecc.: ricevi tutto ciò che vedi in Lui dal Padre. Questo
ricevere deve avvenire in tutto, anche nelle creature.
Vedi
sempre Dio in tutto, non vedere le creature che parlano, agiscono, ecc.
Anche
qui abbiamo due lezioni:
1.
Da parte nostra: il figlio non
deve fare niente se non lo vede fare dal Padre; è sempre motivato dal Padre, è
sempre Figlio del Padre in tutto (= “io
sono nel Padre”); anche noi non dobbiamo fare niente se non siamo
motivati dal Padre.
2.
Da parte di Dio: nel Figlio c’è il
Padre (= “Il Padre è in Me”); in
tutte le cose che arrivano a noi c’è il Padre: è Dio che opera in noi. Quindi dobbiamo imparare a
vedere Dio in tutto.
Più
approfondiamo la conoscenza di Dio, più Lui ci dà forza, più in noi tutto si
trasforma; altrimenti siamo in balia di tutto.
Il
cambiamento è Lui che lo fa in noi, nella misura in cui lo conosciamo e ci
rivolgiamo a Lui, perché la nostra mente e il nostro cuore sono cambiati da
questo rapporto con Lui, da questa conoscenza di Lui. Senza questa
conoscenza, siamo davvero in balia di tutti gli eventi e creature. La luce è
trasformante e dà vita. D'altronde è la luce che dà i colori alle cose; e anche
questo è un segno. La luce ci trasforma nella misura in cui stiamo esposti alla
luce.
Tiziana:
Da tutto questo discorso di Gesù si intravede una forma di libertà più intensa
che Dio ci offre.
Luigi:
Sì, la libertà che ci viene dalla conoscenza del Padre, dall’aver Dio come
Padre. Qui, vediamo un approfondimento di quanto Gesù dice altrove: “Il Padre che dimore in me compie queste
opere”. Non è più volontà esterna a me, ma godo di una piena libertà,
perché sono convinto di quello che voglio: qui abbiamo il Padre che ci
convince di quello che dobbiamo fare. Il
Padre opera in me in quanto mi convince su quello che voglio. L’autorità
interna del Padre opera per convinzione; allora lì c’è libertà.
L’autorità
esterna opera per imposizione. Noi ci sentiamo repressi quando dobbiamo
ubbidire ad una autorità esterna. Invece l’autorità interna ci fa vedere i
motivi per cui dobbiamo volere certe cose: ciò che vuole il Padre.
Nell’inferno
invece, dove l’anima è repressa, si è costretti a fare la volontà di Dio,
nolente, anche se non è non convinta. Il Principio è uno solo, tanto in
cielo come in terra e come nell’inferno. Non ci sono due principi. Tutti
ubbidiamo a Dio, ma non tutti ubbidiamo a Dio convinti della sua Verità; però
dobbiamo ubbidire.
Chi
è figlio di Dio però è libero, perché porta in sé la convinzione di quello
che vuole; cioè non ubbidisce ad una volontà esterna, ma è convinto
interiormente dal Padre. Gesù infatti dice “Il
Padre mostra a suo figlio tutto quello che vuole”; prima di volerle, gliele
dimostra, in modo che il figlio operi con le ragioni in sé di ciò che vuole: è
convinto. Gesù ci dimostra che la
volontà del Padre è l’unico bene. Invece noi a volte siamo convinti di una
cosa e siamo costretti a farne un’altra,
“se no chissà cosa succede”: è segno che ancora non siamo figli. Questa
costrizione a fare certe cose è volontà di Dio per farci sospirare la libertà.
Il
figlio di Dio si caratterizza in questo: è motivato in se stesso da Dio.
“Il Padre in me compie le sue
opere”: è un invito del Padre a morire alle nostre opere (=la
nostra autonomia), perché sia il Padre ad operare in noi. Quindi bisogna
cercare sempre nel silenzio qual è la vera Volontà del Padre, e non
lasciarci portare dalle opere (se no l’opera diventa nostra).
La
volontà del Padre non si confonde mai con la nostra e ci obbliga sempre ad un
superamento, non fosse altro che per i conflitti che suscita con la
nostra volontà. “La mia volontà non è la
tua, i miei pensieri non sono i tuoi”, ci dice Dio. Quindi cerca nel
silenzio la sua volontà, il suo Pensiero.
Cristo
con queste parole ci dà un criterio per vedere se siamo figli; ci insegna come
si diventa figli di Dio. Quindi se ci dice “Le
parole che io dico, non le dico da me”, ce le dice non per parlare di sé,
ma è un opera pedagogica per aiutarci ad operare come Lui.
Si
richiede sempre questo continuo alzare il nostro sguardo a Dio, con la
pazienza, portando la nostra anima in Dio, e quindi a offrirla, a lasciarci
guidare da Dio in tutto; se no, siamo in balia di tutto e di tutte le parole
degli altri; non solo, ma non abbiamo in possesso nemmeno quelle che diciamo
noi, quindi “non possediamo la nostra anima”.
È
difficile, perché siamo condizionati da tante cose, dal nostro vivere
automatico, non più consapevole, dominato dalle abitudini.
Gesù
ci dice: “Sforzatevi di entrare”: non
dobbiamo perdere la speranza, perché la perdita della speranza ci farebbe
morire. In ogni cosa, in ogni fatto c’è una speranza per noi. La fede
che non è sostenuta dalla speranza si perde. Dobbiamo sperare su di Lui, far
conto solo su di Lui, facendo ogni giorno anche solo un passo con Lui.
08.11.1980
Chiediamoci: perché Gesù dice a noi queste parole? Che
cosa possono servire per la nostra vita personale?
Gesù dice: “Il
Padre è in me… il Padre che dimora in me compie queste opere”. Quand’è che
Dio dimora in noi? Noi generalmente cosa abbiamo dimorante in noi? O quand’è
che noi dimoriamo in Dio? Noi siamo abitati da ciò che amiamo.
Gesù
parlando a noi, parla per insegnare a noi come si diventa e come si vive da
figli di Dio; Egli tutto fa e opera per questo. La
missione del Cristo è questa: Egli è venuto “per
dare a coloro che credono in lui, la possibilità di diventare figli di Dio”.
Quindi in tutte le sue opere, in tutte le scene del Vangelo, in tutte le sue
parole, noi dobbiamo vedere questa missione del Cristo. Cristo parla, Cristo
opera, Cristo insegna, Cristo vive per insegnare a noi come si diventa figli di
Dio, per dare a noi la possibilità di diventarlo. La sua è una comunicazione,
un’informazione. Noi ricevendo questa informazione abbiamo la possibilità.
È l’informazione che rende l’uomo capace, che dà all’uomo
la grazia, la possibilità di-. Però bisogna credere all’informazione, bisogna
accogliere; se non si accoglie, se non si crede, non si ha la possibilità, e si
rimane figli del mondo, figli delle creature e si resta in balia degli eventi .
Qui Gesù delinea la caratteristica del figlio, che nulla
può fare senza vederlo dare dal Padre, e dipende esclusivamente dal Padre (“le parole che io vi dico, non le dico da
me”); Egli non opera mai autonomamente, e quindi forma una cosa sola con il
Padre (“Io sono nel Padre e il Padre è in
me”). Egli è tutto pensiero del Padre. Delineandoci le caratteristiche del
Figlio ci insegna a diventare figli: informandoci, ce ne dà la possibilità. Il
figlio ha sempre come punto di riferimento il Padre in tutto (pensieri, parole,
azioni); se siamo invece motivati da altro, cadiamo in una paternità diversa e
ci impediamo di diventare figli di Dio. Anche noi siamo chiamati a dire “Il Padre che dimora in me compie queste
opere”, chiamati cioè ad avere il Padre dimorante in noi. Dio dimora in
noi quando è l’amore principale, esclusivo, motivante.
“Le parole
che io vi dico non le dico da me: ma il Padre che è in me compie le sue opere”:
Siccome Gesù è la sintesi di tutta la creazione, e di tutte le opere di Dio,
dicendo queste parole ci da un lezione: ci rivela che in tutte le opere di Dio
c’è il Padre che opera.
Cristo è il compimento dei tempi, cioè il compimento di
tutta la creazione, di tutta l’opera di Dio. Nel compimento, nel fine, c’è
la rivelazione del senso di tutta l’opera di Dio. In Cristo si rivela
perciò il significato di tutte le opere di Dio. In Cristo che dice “È il Padre che opera”, abbiamo la
rivelazione che in tutte le cose c’è Dio che opera. Quindi non sono le
creature che operano con noi, ma è Dio che opera con noi. Noi siamo già in
contatto con Dio, noi siamo già nel Cielo di Dio. Anche se attualmente siamo
nel tempo, apparteniamo già all’Eternità. Noi siamo in colloquio con Dio più
di quanto pensiamo. Noi crediamo di colloquiare con le creature: in realtà
noi colloquiamo con Dio, perché Dio colloquia con noi. Quindi non dobbiamo mai
fermarci alle creature, ma dobbiamo sempre vedere nelle creature Dio che parla
con noi e noi che rispondiamo a Dio. Noi in tutto rispondiamo a Dio, perché il
parlare di Dio è sempre un proporre a noi qualche cosa di essenziale, qualche
cosa di eterno, di assoluto. Dio ci parla proponendoci l’unica cosa
necessaria, quindi liberandoci da tutte le passioni per cose che passano.
Quindi il parlare di Dio è sempre una proposta per noi, una proposta ed una
promessa; però richiede da parte nostra una risposta, un’adesione. È Dio che
parla, non siamo noi. Noi non facciamo che rispondere, in un modo o nell’altro:
o affermando Lui, il suo Spirito, la sua Volontà, o affermando noi stessi.
Amalia: È sbagliato, nelle situazioni in cui ci troviamo,
chiedere: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”, perché il Signore in tutto vuole
significarci qualche cosa di Sé; quindi dovremmo chiedergli: “Cosa mi dici di
te? Cioè, qual è la tua volontà, il tuo pensiero?”
Luigi: Noi dobbiamo sempre cercare la sua volontà, il suo
pensiero, perché la sua volontà, il suo pensiero è uno solo per tutti noi, per
ogni creatura. Noi dobbiamo cercare di conoscere la sua volontà. Generalmente,
nelle nostre situazioni ambientali, storiche, di vita in cui ci troviamo,
cerchiamo cosa Dio vuole; la cerchiamo in questa nostra situazione, mentre
invece Dio, magari, vuole tirarci fuori da questa situazione. Quindi non chiediamo “Che cosa Dio vuole in questa mia
situazione?”, interroghiamo chiedendo al Signore “Fammi conoscere quello che tu vuoi?”. Cioè, noi dobbiamo
preoccuparci di conoscere la sua volontà. La sua volontà è il “mistero nascosto fin dall’inizio dei secoli”, in tutte le sue opere. Chi ce lo rivela è il Cristo. Quando
Cristo dice “Non preoccupatevi del
mangiare e del vestire, ma cercate prima di tutto il Regno di Dio”, ci
rivela la volontà di Dio. Quando dice “Marta,
Marta, tu ti preoccupi di troppe cose: una cosa sola è necessaria; Maria ha
scelto la parte migliore che non le sarà tolta”, ci rivela la volontà di
Dio.
Se
noi siamo attenti, cioè se siamo preoccupati di conoscere la volontà di Dio in
Sé, noi la troviamo, perché Lui ce la significa, ce la insegna, ce la parla.
Ma
se noi non cerchiamo la sua Volontà, allora leggiamo magari anche tutto il
Vangelo, ma non la scopriamo, perché noi siamo preoccupati della nostra
situazione, della nostra volontà, e allora andiamo a cercare nel Vangelo
conferme per fare la nostra volontà. No, noi dobbiamo offrirci in piena
disponibilità.
Il
Figlio non fa niente se non lo vede fare dal Padre. Ecco, ci vuole questa
disponibilità. E allora, man mano che Dio rivela la sua Volontà, l’anima si
adegua. E allora sì, Dio dimora in noi. Altrimenti Dio non dimora in noi.
Dio
dimora in noi in quanto è per noi motivante la nostra vita. Se noi invece siamo
motivati da altro, dalla figura, da quello che dicono gli altri, dal guadagno,
dal denaro, dal lavoro, dalla famiglia, ecc., non siamo motivati da Dio. Allora
Dio non dimora in noi. In tal caso Dio opera su di noi nonostante noi, per
farci capire che noi non viviamo per Lui e non ci preoccupiamo di Lui.
L’unica
preoccupazione della creatura dev’essere questa: “Signore, qual è la tua volontà?”.
Ecco,
scoprire che cosa Lui vuole. “Perché mi
hai creato? Qual è il fine della vita? Che cosa ci sto a fare io qui? Cosa
vuoi?”. È già un rapporto. Su queste domande nasce il rapporto con Dio.
Cioè,
Dio esiste, io esisto: che rapporto ci deve essere tra questi due esistenti?
Ora, il rapporto è determinato dalla conoscenza della volontà di Dio: “perché Dio ci ha creati?”. E dobbiamo
imparare a vivere in questo fine, in questo destino: l’uomo è stato creato per
conoscere Dio. Bene! Che cosa fai adesso tu per conoscere Dio? Ogni giorno che
cosa fai tu per conoscere Dio? È questo il tuo fine! Tu sei stato creato per
questo. Che cosa fai?
Noi
viviamo per tutt’altro!
La
conoscenza richiede consapevolezza, quindi richiede un interesse personale. Non si arriva per
atti automatici o magici alla conoscenza di Dio.
Domanda: Il mistero nascosto
nei secoli è la volontà di Dio?
Luigi: Sì, è la conoscenza
di Dio. Dio vuole che noi lo conosciamo. Per noi è mistero, perché a noi sfugge
È
un mistero, perché noi viviamo nell’immediatezza delle creature, per cui siamo
sempre sollecitati da motivi esterni o dall’io. Se alla domanda “Perché fai
questo?”, rispondiamo “Perché mi
piace?”: per noi la volontà di Dio è mistero. “Perché fai questo?” se
rispondo “Perché altrimenti che figura ci faccio?”: non sono motivato da Dio, è
il pensiero del mio io che mi motiva.
Nel
pensiero del nostro io noi ci troviamo di fronte al mistero: non capiamo
niente, e ubbidiamo a degli stimoli esterni, a degli istinti; oppure ubbidiamo
al pensiero del nostro io che, naturalmente, ci rende condizionati a tutto
l’ambiente, a tutto il mondo che ci sta attorno. Per cui: “debbo fare questo, altrimenti il mio onore… la figura…, cosa dicono
gli altri, il mio gruppo, la mia società, la mia famiglia…, …qui ci rimetto,
ecc”, ecco, tutti questi pensieri sono proiezioni del nostro io e sono
motivazioni del nostro io. La maggior parte della nostra vita è determinata
da queste preoccupazioni, e in particolare dai bisogni del nostro corpo.
Noi praticamente viviamo per mantenere il nostro corpo. Ma Dio non ci ha creati
per mantenere il nostro corpo! Il nostro corpo è al servizio dell’anima!
Ma
la tua anima, per che cosa vive? Vive per
il corpo! Allora vedi che ti stai guardando allo specchio?! E ti stai
consumando guardando te stesso. No, “tutte
le creature sono fatte per l’uomo”. E questo l’uomo l’ha capito; ma non
l’ha capito nel Pensiero di Dio, e allora dice: “Sottomettiamo tutte le creature, sottomettiamo il mondo!”. E ad un
certo momento l’uomo si accorge che si sta scavando una fossa. Stiamo
distruggendo il mondo. Perché? Perché diciamo “tutte le creature sono mie!”.
No! La rivelazione è questa: tutte le
creature sono per te, uomo, ma tu sei per Dio! Non devi dimenticartelo: tu
sei per Dio! Dio ha fatto tutte le cose per te; tu tienile al disotto del
tuo destino, cioè, non vivere per quelle. Tutte le creature sono fatte per
te, affinché tu sia per Dio. Il tuo destino è: tu devi essere per Dio. Quindi
Dio ha fatto tutta la creazione per te, affinché tu possa liberamente occuparti
di Dio: cercare Dio, pensare Dio, raccoglierti in Dio, far silenzio.
Quindi
tutte le creature arrivano a noi e ci servono affinché con la nostra anima
cerchiamo Dio. Ecco, tutte le creature servono la nostra anima! Ma se noi,
anziché occuparci di Dio ci dimentichiamo di Dio, trascuriamo Dio e ci
rivolgiamo a possedere le creature, tutta la creazione, che è fatta per noi, si
ribella, si rivolta contro di noi. Perché tutta la creazione è di Dio, non
nostra, non dell’uomo. Per cui, tutte le creature che sono fatte bene, sono
fatte per aiutare noi a cercare Dio, se noi non cerchiamo Dio si rivolgono
contro di noi. E allora qui abbiamo la fatica, perché ci troviamo in un mondo,
in una natura che ci è nemica, che ci rifiuta. Ma perché ci rifiuta? Perché
abbiamo rifiutato Dio, perché trascuriamo Dio.
Metti
le cose a posto! Ecco, tutte le cose Dio ha fatto per te, affinché tu possa
essere per Dio. Occupati di Dio! Ti accorgerai che tutta la creazione ritorna a
servirti, ritorna ad aiutarti, perché sei nell’ordine, sei nel Fine.
Quindi:
tutta la creazione è di Dio, viene da Dio e ritorna a Dio; la creazione serve
l’uomo affinché l’uomo possa conoscere il suo Signore. Quindi tutte le opere di
Dio, tutta la creazione, tutti i fatti nella nostra vita avvengono affinché noi
possiamo scoprire che Dio esiste, affinché possiamo capire qual è il fine per
cui Lui ci ha creati, possiamo liberamente occuparci di Dio. Se noi ci
occupiamo di Dio, ci accorgiamo che tutte le cose vanno al loro posto, e non ci
sono più nemiche, contrarie.
Invece,
se noi non ubbidiamo all’opera di Dio, in tutto l’universo, tutte le
creature incominciano a rifiutarsi a noi e allora cominciamo a conoscere la
fatica, la tribolazione, perché ci troviamo in campo nemico. E allora tutto il
nostro sforzo viene utilizzato per cercare di lottare contro il nemico che
preme attorno a noi. Per cui si può dire che tutto il nostro vivere è un cercare
di emarginare le malattie, di allontanare la morte, di allontanarci da tutto
quello che ci può far del danno. Non sta lì la vita. La vita non sta nel
cercare di metterci attorno tante mutue in modo che ci dicano: stai sicuro che
in un modo o nell’altro noi provvederemo. La vita sta nel capire “come mai”
attorno a me si scatenano le forze nemiche. Perché Signore, mi hai messo in un
campo nemico? Perché mi sono dimenticato di te!
E
allora, Dio ci dice “ritorna a me e vedrai!”. Vedrai che ritorna ad operare per
te ogni cosa. È per questo che noi non vediamo Dio “dimorante” in tutte le
cose; perché noi non siamo ordinati a Lui e allora ci costruiamo muri di
tenebra, non vediamo più. Se Lui non dimora in noi, noi non Lo vediamo dimorare nelle creature.
Non dimora in noi in quanto non è in noi come Fine.
Se
io ho come fine il denaro, la creatura, il pensiero del mio io, è logico che
non posso vedere Dio, perché vedo il mio motivo, vedo la mia intenzione, vedo
il mio fine: ho questo scopo. Fintanto che io ho questo scopo, sono accecato da
esso, non vedo altro. E anche se prego Dio, e anche se vado in chiesa tutti i
giorni, vado in chiesa e prego Dio perché mi aiuti a soddisfare questo mio
scopo, a raggiungere questo mio fine. E allora lì non vado a cercare qual è la
volontà di Dio; la volontà di Dio ce l’ho ben presente (credo di averla): la
volontà di Dio è quello che voglio io. Magari cerco Dio perché so che è
potente, che può tutto, e mi rivolgo a Lui per farlo servire alla mia volontà.
Insomma, la posizione è capovolta; non sono nell’ordine. E allora Dio
naturalmente deve lavorare per cambiare
i miei motivi, per salvare almeno l’anima.
L’anima
è soprattutto intenzionalità. “Per cosa vivi?”: qui sta la tua anima.
“Il Padre che dimora in me,
compie queste opere”: Lui parla affinché anche noi possiamo ripetere le
stesse sue parole. La meta è questa: noi dobbiamo poter dire: “Il Padre che dimora in me compie le sue
opere”. Cioè, non sei tu uomo che le compi; è Dio, perché in realtà è Dio
che opera tutto, è Dio che parla in tutto. Soltanto che noi siamo dei vetri
sporchi. Quando il vetro è sporco si vede lo sporco, quando invece è ben pulito
è trasparente e allora il vetro non si vede più e si vede quello che c’è al di
là.
Ora,
il Cristo è questo vetro pulito: si vede soltanto il sole, si vede Dio che
opera in Lui. Naturalmente, al confronto, scopriamo che noi siamo dei vetri
sporchi. E allora Lui parla affinché il nostro vetro diventi pulito e si veda
Dio.
Domanda: Dobbiamo annullarci e
non imporre la nostra personalità per arrivare a dire “è il Padre che in me fa le sue opere”?
Luigi: Certo, ci vuole da
parte nostra il superamento dell’io. Noi, nel mondo, affermando il nostro io,
vogliamo imporre la nostra personalità. Con Dio è al contrario; chi forma la
nostra personalità è Dio. Noi crediamo di formare la nostra personalità
difendendoci, guadagnando denaro, conquistando certi posti, facendo carriere, e
invece così facendo distruggiamo la nostra personalità. Più noi facciamo dei
compromessi col mondo e più distruggiamo la nostra personalità. Chi
veramente forma la nostra personalità è Dio.
Dio
è la vera personalità. Più ci avviciniamo a Dio, più si forma la nostra
personalità, perché Lui è il vero formatore della personalità. Noi non siamo
fatti. Noi siamo delle creature in formazione: Dio ci sta facendo. Noi ci
distruggiamo quando dimentichiamo Lui. Noi crediamo di essere già fatti, o
diciamo: “adesso ci penso io, mi faccio da solo!”. No, noi da soli ci
distruggiamo; distruggiamo quel poco che Dio ha già fatto in noi. Lasciamoci
fare da Dio! Lascia che Dio continui l’opera che ha incominciato, perché Colui
che ha incominciato l’opera è lo stesso che la porta a compimento. E Lui solo
la può portare a compimento. Quindi: lasciati fare da Dio in tutto. Vedrai
quanta personalità Lui formerà in te; perché non c’è personalità più grande di
quella di Dio: Dio è il vero Padre di ogni persona, di ogni personalità. Questa
è la realtà in cui ci troviamo. E dobbiamo rispettare
Riconosci,
rispetta la realtà, e quindi vivi in questa realtà.
Noi
crediamo, fuori di questa realtà, che siamo noi che dobbiamo difendere la
nostra personalità. No, fuori di qui distruggiamo la nostra personalità:
diventiamo dei burattini in balia di tutte le passioni che si scatenano intorno
a noi. E quante volte dopo aver creduto di aver conquistato un posto nel
mondo, scopriamo di essere diventati dei burattini, in balia di chi sa chi.
Invece Dio, parlando a noi, ci forma. Parlando ci fa delle proposte e facendoci
delle proposte, ci rende responsabili, perché di fronte ad ogni proposta noi
dobbiamo rispondere. L’uomo si forma rispondendo. Ora però noi non possiamo
rispondere se non abbiamo qualcuno che ci proponga qualche cosa. Chi fa a noi
le proposte è Dio. Dio ogni giorno ci propone qualche cosa di superiore a
quello che noi facciamo, cioè ci impegna sempre in qualche cosa di Infinito, di
Assoluto, di Eterno.
Gesù gli
rispose: “Da tanto tempo sono con voi e tu Filippo non
mi hai ancora conosciuto? Chi vede Me, vede il Padre mio. Come dunque puoi
dirmi: mostraci il Padre?”. Gv 14 Vs 10
Seconda parte.
Titolo:
Argomenti:
8/Novembre/1980
Luigi: Dio non confonde mai
il suo Pensiero con il nostro pensiero, la sua volontà con la nostra. Per cui
il suo parlare ci propone sempre qualche cosa che ci trascende, che è superiore
a noi.
Ora,
di fronte alle sue proposte, noi in un modo o nell’altro, la risposta la
dobbiamo dare; perché quando uno ci chiede una cosa, sia che noi tacciamo,
sia che non tacciamo, diamo una risposta e non possiamo farne a meno. Ed è
proprio nella risposta, che noi incominciamo a qualificarci, cioè che
diventiamo persone. Noi diventiamo
persone in Dio nella misura in cui rispondiamo a Dio. Per questo il nostro
vivere è sempre un rispondere: quando noi pensiamo, non siamo noi che pensiamo,
ma rispondiamo ad un pensiero di Dio, ad una proposta di Dio; quando noi
parliamo, non siamo noi che parliamo, perché il nostro parlare è un rispondere;
quando noi amiamo, non siamo noi che amiamo, perché il nostro amare è un
rispondere ad un altro amore. L’iniziativa ce l’ha sempre Dio, in tutto, e
noi dobbiamo vivere in questa Realtà senza uscire da essa, perché è Dio il
Creatore di tutte le cose.
Marco: Ma allora perché Dio
ha creato l’io? Solo perché l’annullassimo?
Luigi: L’io (cioè l’essere consapevoli di esistere) è la condizione necessaria per conoscere
(per questo Dio l’ha creato), ma deve superarsi per poter conoscere.
Perché?
Un
animale, che non ha l’io, non può conoscere la Verità. La Verità può essere
conosciuta solo da un essere consapevole di esistere. Bisogna essere
consapevoli per poter conoscere. Ma l’essere consapevole porta con sé un grande
rischio: può dire “io sono” autonomamente, staccato da Dio. Dio solo dice: “Io
sono”; però anche noi possiamo dire “io sono”. Ecco, soltanto in quanto noi
possiamo dire “io sono”, cioè essere coscienti, e affermare questo io, abbiamo
la possibilità di conoscere la Verità; ma per conoscere la verità dobbiamo
dire: “Tu sei!”, non “io sono”.
Questo
superamento dell’io (per dire “Tu sei!”), è un superamento che nessuno può fare
al posto nostro, e non c’è nessuno che possa costringerci a farlo. Nemmeno Dio
ci costringe. È la condizione per poter conoscere Dio.
Noi
siamo coscienti (in quanto Dio ci ha fatti con questo io) di non essere Dio.
Ecco la meraviglia! Dio ha creato questo io, ma nello stesso tempo in questo
io ha posto la coscienza di non essere Dio. Per cui sappiamo che se
mettiamo il nostro io al centro della nostra vita, facciamo una cosa ingiusta,
perché sappiamo che noi non siamo Dio. Basta il filo d’erba per confonderci:
“non sono io che l’ho fatto, a molto maggior ragione non sono io che mi sono
fatto, nessuno si è fatto”. Siamo fatti da un Altro: abbiamo questa
consapevolezza.
E
allora, se tu scopri che non sei tu Dio, supera te stesso e metti al centro
della tua vita Dio. Ma questo è un atto libero, consapevole, che non c’è
nessuno che ti costringe a farlo.
La
Verità si annuncia, in quanto si annuncia è una proposta, non si impone, perché
se si imponesse ci toglierebbe la coscienza e quindi la libertà.
Questa
libertà è soltanto una conseguenza della consapevolezza dell’“io sono” (cioè di
questa possibilità di dire “io sono”), che è la condizione per poter conoscere
Dio. Per cui, se accetto Dio, accetto Dio in quanto so chi è Dio. Ecco la
formazione nell’io della consapevolezza di Dio.
Pinuccia: Il nostro io quindi è
consapevolezza dell’“io sono”?
Luigi: La consapevolezza
dell’“io sono” è la consapevolezza dell’“io sono di Dio”, per cui l’io non
può dire “io sono”, perché se lo dice, dice una menzogna. Quindi questa
consapevolezza è “solo” questa possibilità di dire “io sono”, però in questa
possibilità ho la consapevolezza che non sono io Dio. Abbiamo già in noi
l’indicazione della Verità: “Tu sei!”. Cioè la Verità nel nostro io si
annuncia, ma non si fa vedere perché per poterla vedere noi dobbiamo superare
il pensiero del nostro io e dire “Tu sei!”. Noi non dobbiamo partire col dire:
“io sono, quindi Dio è”. No, ma: “Tu sei, in conseguenza io sono”; e allora,
come conseguenza divento pensiero di-, divento opera dell’Altro. Cioè, non
dobbiamo partire dal nostro io. Siamo un pensato di-. Il Signore dice: “Io sono
il Principio”, noi lo sappiamo, perché ci accorgiamo che non siamo Dio (e
qualunque cosa ci confuta in questo errore). In questo semplice fatto abbiamo
già l’annuncio di Dio che dice “Io sono il Principio, non sei tu il principio”;
cioè “tu non ti sei fatto. Nessuna cosa si fa da sola: il Principio è un
altro”.
Allora,
se il Principio è un Altro, metti l’Altro come Principio. Cosa vuol dire
mettere l’Altro come Principio? Vuol dire partire da lui. Quindi non partire da
te stesso per conoscere te stesso, parti da Dio per conoscere te stesso. Non
partire dalla creatura per conoscere Dio, parti da Dio per conoscere la
creatura; non partire dalla terra per
conoscere il Cielo; parti dal Cielo per conoscere la terra. Non partire dal
finito per conoscere l’Infinito, parti dall’Infinito per conoscere il finito;
non partire dalla parte per arrivare al Tutto, ma parti dal Tutto per arrivare
alla parte, altrimenti non la potrai assolutamente capire.
Pinuccia: E noi abbiamo sempre
la possibilità di partire da Dio, dal momento che abbiamo in noi il Pensiero di
Dio?!
Luigi: Fino ad un certo
punto, perché il pensiero del nostro io può diventare talmente pesante da
impedirci di conoscere Dio. Noi non possiamo annullare Dio, però possiamo
arrivare al punto da non poter capire, da non poter più conoscere Dio, pur non
potendo negarlo; perché noi diventiamo figli delle nostre opere, per cui tutto
quello che facciamo di sbagliato, ci chiude in una prigione dalla quale non si
può uscire.
Pinuccia: Però c’è Cristo che
viene a liberarci da questa prigione, no?
Luigi.
Appunto, ma Cristo termina, passa. Come tutte le creature, Cristo passa. Nella
prigione in cui noi ci chiudiamo, la porta non si apre dal di dentro, la porta
si apre da fuori; per cui noi non possiamo assolutamente aprirla. Dobbiamo
essere molto attenti, perché noi diventiamo figli delle nostre opere, appunto
perché siamo creati per diventare figli di Dio: se facciamo le opere di Dio,
diventiamo figli di Dio; se facciamo le opere dell’io, diventiamo figli
dell’io, con tutte le conseguenze.
Ecco,
lì si rivela la meraviglia dell’opera di salvezza portata dal Cristo; perché Cristo è Colui che entra nella nostra
prigione dell’io, per dare a noi la possibilità di uscirne. Se la creatura
piange, invoca la liberazione (= pecore smarrite) e coglie questa possibilità
di salvezza; perché pur essendo prigioniera del mondo, non ama il mondo. Ma per
chi ama il mondo non basta Cristo.
Silvana: Qui Cristo identifica
le parole come opere, dicendo: “le parole
che io dico… è il Padre che compie queste opere”.
Luigi: Certo, le parole sono
opere. È Dio che opera, è il Padre che opera. D’altronde tutte le opere di Dio
sono parole. Certamente Dio è il Creatore di tutte le cose; e Dio creando cosa
fa?
In
tutta la creazione Dio non fa altro che parlare di Sé, che significare Se
stesso.
Tutte le creature sono segni di Dio, quindi tutte le creature sono parole di
Dio. Ma le parole sono rivolte a qualcuno. A chi sono rivolte le parole di Dio?
Tutta la creazione a chi è rivolta?
La
creazione è rivolta a colui che può capire la parola di Dio, cioè all’uomo. Ecco, tutta la
creazione è fatta per l’uomo, perché tutta la creazione è parola, ed ogni
giorno tutti gli avvenimenti sono parole di Dio.
Queste
parole sono rivolte a te che stai osservando, guardando. Dio sta parlando con
te. E perché parla? E cosa dice? Ecco, Dio parla per attrarre la tua attenzione
su di Sé, perché colui che parla, parla per manifestare il suo Pensiero. Quindi
al centro di tutta la creazione di Dio c’è la manifestazione del suo
Pensiero, del suo Verbo. E questa è la conclusione dei tempi.
Tutto
l’universo è parola di Dio, affinché l’uomo alzi gli occhi a Colui che parla.
Ecco, tutto l’universo arriva a noi per far alzare gli occhi della nostra
anima, della nostra mente, a colui che opera, che parla con noi, affinché lo
possiamo conoscere. Perché noi non possiamo conoscere Dio nel pensiero del
nostro io; noi non possiamo conoscere Dio con la nostra volontà, col nostro
pensiero; noi ci confondiamo…
Noi
conosciamo Dio ascoltando le parole di Dio; infatti Dio parla per manifestare a
noi il suo Pensiero. Se Lui non parla, noi assolutamente siamo tagliati fuori;
siamo finiti.
Dio
è Infinito. L’Infinito per noi è inconoscibile. Ma se l’Infinito arriva a me
attraverso i suoi annunci, le sue parole, e se le accogli, se credi ad esse,
attraverso le sue parole (ma queste sue parole richiedono il superamento di
sé), partecipi all’Infinito, e allora puoi conoscere Dio.
Ecco
la possibilità. “Ha dato loro la
possibilità di…”. È la Parola di Dio che arriva a noi, che da a noi la
possibilità di entrare nell’Infinito di Dio; e ci fa fare un salto di qualità,
perché ci fa passare dal finito all’infinito. Per questo diremo: “Tutto, o
Signore, è grazia tua”.
Tutto
è grazia di Dio, perché se Lui non parla, noi moriamo nel nostro niente. Tutto
è Parola di Dio, per manifestarci se stesso, per farci conoscere se stesso.
Siamo stati creati per conoscere Dio: tutto è Parola di Dio, affinché noi
possiamo conoscere Dio. Dobbiamo essere aperti a questa verità.
Tutte
le cose sono fatte per te, uomo, ma non perché tu le possa usare per te, ma
affinché tu possa conoscere il tuo Signore. Quindi è come dire: Dio parla per
te.
Invece
noi solitamente intendiamo così: “tutto è fatto per me? Bene! Prendo le galline
e le strozzo, guardo le creature e le sottometto, le strumentalizzo; adopero
questo per quell’altro, ecc.; faccio tutto per me”. E no! Dio ha fatto tutte le
cose per noi affinché tu possa conoscere
il tuo Signore, e quindi tu possa partecipare alla sua vita. Cioè tutto è stato
fatto per noi, affinché noi possiamo essere resi partecipi della vita eterna.
Siamo stati creati per la vita eterna. Vita eterna è conoscere Dio.
Paolo: “Il Padre che è in me compie le sue opere”, Dio può veramente
compiere in me le sue opere quando faccio morire le mie opere, cioè quando
rinnego me stesso, no?
Luigi: Sì, però non basta
che io voglia rinnegare me stesso, perché da solo non posso rinnegare me
stesso, perché se guardo soltanto me stesso, con tutta la buona volontà non
posso dimenticarmi.
Per
quanto noi facciamo dei salti mortali, non possiamo dimenticarci. Noi possiamo
dimenticarci nella misura in cui abbiamo un altro da amare: amando rinneghiamo noi stessi, perché
amando viviamo nell’altro. Non è quindi dicendo: “adesso dimentico me
stesso, adesso dimentico me stesso…”, che ci superiamo, no; perché giriamo
attorno ad una pallina, e questa pallina è il nostro io. Più diciamo: “voglio
rinnegare me stesso”, più pensiamo a noi e quindi non ci rinneghiamo.
Tu
rinneghi te stesso in quanto entri nell’amore, cioè se scopri un altro da
amare, e nella misura in cui ami l’altro, superi te stesso.
Quindi
noi ci superiamo nella misura in cui amiamo un altro. Al centro di questo altro
naturalmente c’è l’Altro con la A maiuscola.
Paolo: E se voglio amare di
più quest’Altro lo debbo conoscere di più.
Luigi: Soltanto conoscendolo
lo posso amare, perché io non posso amare una persona se quella persona non si
presenta. Non posso, perché un “altro” vuol dire un altro essere, e quest’altro
essere lo debbo conoscere, lo debbo aver presente, perché altrimenti non lo
posso amare. L’amore non è altro che conoscenza: nella misura in cui
conosco, amo. Ma indubbiamente anche la conoscenza è una conseguenza del
dono dell’altro, perché se l’altro non viene a me, io non lo posso conoscere.
Se l’altro non mi chiama per telefono, io posso aspettare fin che voglio la
telefonata, ma il telefono non squilla. È necessario che ci sia l’altro; per
cui trovare l’altro è grazia.
La
conoscenza è grazia. Dio per primo parla a noi e parlando si presenta. E “il
presentarsi a noi” è uno che viene in casa nostra, e chi viene in casa nostra
ci fa una grazia; perché è una grazia? Perché venendo dà a noi la possibilità
di uscire dal pensiero del nostro io.
Quante
volte abbiamo fatto questa esperienza: magari in giorni di tristezza, di noia,
di angoscia, andiamo a trovare un malato, un povero e poi torniamo a casa con
l’animo che libero, con l’animo che canta. Cosa c’è stato? L’altro ci ha fatto
superare noi stessi, ci ha liberato dal pensiero del nostro.
Il
tuo io è noia, il tuo io è tristezza. Tu da solo non sei vivo, da solo non stai
su: hai sempre bisogno dell’Altro.
Quanto
più troviamo l’Altro, tanto più ci liberiamo. E trovare l’Altro è sempre una
grazia. Ma bisogna trovare un Altro da amare, non da sfruttare; perché se
troviamo un altro da sfruttare, allora ci troviamo nel pensiero del nostro io,
confermiamo il nostro io, e allora confermiamo la nostra tristezza.
Ora,
quest’Altro deve essere con la A maiuscola. Se abbiamo la possibilità di
conoscere Dio, vuol dire che Dio è venuto ed ha parlato con noi, e avendo
parlato ha dato a noi la possibilità di uscire dal pensiero del nostro io.
Quindi il superamento del nostro io è sempre una grazia da parte dell’Altro che
si è presentato a me.
È
vero che, presentandosi a me, io gli posso chiudere la porta in faccia, però
l’azione è mia, il rifiuto è mio, cioè ho rifiutato la grazia, cioè la grazia
di Dio che venendo a me mi liberava dal pensiero del mio io, mi liberava cioè
dalla mia morte.
Dio
è vita, noi da soli siamo morti. La vita è comunione; noi da soli non stiamo
su. Però per essere in comunione bisogna che abbiamo un altro, perché non
possiamo essere in comunione con noi stessi. Quindi Dio viene a noi e offre a
noi la sua comunione. Dalla comunione nasce la vita; però da parte
nostra bisogna che ci sia l’adesione, l’apertura. E affinché ci sia questa apertura,
bisogna che ci sia il superamento, cioè che si cominci a pensare l’Altro e non
più pensare a se. Amare vuol dire volere l’altro, volere il bene dell’altro,
vivere per l’altro.
Amalia: Quindi la conoscenza
è tutta grazia di Dio, però richiede da parte della creatura attenzione e
adesione?
Luigi: Certo, Dio bussa alla
nostra porta: “Io sono alla porta e busso
e chiamo: se tu mi apri io entrerò e farò cena con te”. Bussa, perché Lui
chiama, si annuncia. Infatti Dio è Colui che nessuna creatura può ignorare. Non
ignorare non vuol dire conoscere. Nessuna creatura può ignorarlo, perché Dio si
annuncia.
Quando
una creatura mi ferma per la strada e mi chiede un’informazione, io non la
posso ignorare: posso dare una rispostaccia, però non la posso ignorare. Si è
presentata, non la ignoro più. Non posso dire “non l’ho vista”, se no direi una
menzogna (e mi accorgerei di dire una menzogna, perché quell’altro si è
fermato).
Quindi
Dio, in quanto si è annunciato, ha bussato alla porta; questo basta per non
poterlo più ignorare. Adesso vediamo la risposta.
Ora,
rispondere vuol dire proprio superare l’io; per cui esco dal pensiero del mio
io, esco dalle mie passioni, dalla mia volontà, dai miei desideri, da tutto
quello che può essere la mia ambizione e vado ad aprire a Lui. Ecco, mi rendo
disponibile per Lui. Questo è il superamento dell’io. Allora incomincio a
vivere di quello di cui Lui mi parla. E se io vivo di quello di cui Lui mi
parla entro nella conoscenza, perché Lui mi sta donando se stesso, mi sta
facendo conoscere se stesso: perché Lui sta parlando (sono i vasi comunicanti)
e non fa altro che riversare Se in noi.
Pinuccia: Gesù, dicendoci: “Non credi che Io sono nel Padre e il Padre
è in Me”, ci invita a credere una cosa che ci ha già detto esplicitamente o
a una cosa che da noi stessi avremmo già dovuto capire?
Luigi: È il Padre che ce
l’ha detto. “Chi ha ascoltato il Padre…”,
queste cose le sa. Tu credi o non credi che Dio opera in tutte le creature?
Sono le creature che operano o è Dio che opera nelle creature? E come si fa a
sapere che è Dio che opera nelle creature?
Dio
è l’Essere, Colui che fa essere, Colui che fa tutto, Colui che muove tutto ed è
principio di tutto. Se portiamo in Cristo questa verità, crediamo che è il
Padre che opera in Lui.
Pinuccia: Ma in Cristo il Padre
opera in una maniera speciale e unica.
Luigi: La maniera speciale
la vedremo poi. Il fatto è questo: le parole del Cristo sono promesse di
Pentecoste. Solo a pentecoste comprenderemo e diremo: “Aveva ragione! È proprio
così!”. Adesso annuncia. La Parola di Dio è un annuncio; noi non la
capiamo, non possiamo capirla, ma è un annuncio, una proposta: se noi
rispondiamo, arriveremo a capire, e diremo “Avevi proprio ragione!”.
Pinuccia: Quindi per capire e
credere che il Padre dimora in tutti, opera in tutti, non ho bisogno della
Pentecoste, ma per vederlo debbo giungere a Pentecoste?
Luigi: Certo, per capire che
il Padre dimora in tutto non ho bisogno della Pentecoste, perché il Padre che
parla in tutti (cioè Dio che parla in tutto e in tutti)non fa altro che
rivelare che Egli esiste, che Egli è; nessuna cosa si è fatta da sé, tutto è
creatura. Tutte le cose portano con sé questo sigillo, che è il sigillo della
Verità, il sigillo di Dio: sono parole di Dio. Le parole di Dio hanno un sigillo,
per cui noi non le possiamo smentire, perché sono superiori a noi. Noi non
possiamo dire: “questa creatura si è
fatta da sé”. Tutte le cose sono fatte da-; c’è il Creatore, c’è un Essere che opera, c’è un essere che fa.
Quindi la Verità si afferma su di noi. Noi però non la vediamo. Che Dio si
annunci, questo lo sappiamo, ma Lo conosceremo solo a Pentecoste.
Ad
es.: una persona che incontro per la strada, si annuncia a me. Io non posso
dire che non l’ho incontrata, però non so chi sia. Per conoscerla, dovrò
frequentarla, dovrò meditare sopra le cose che fa, sopra le cose che dice, ecc.
e a poco per volta può darsi che qualche cosa riesca a capire del carattere,
della mentalità, ecc., di essa; ma richiede un lungo studio, richiede amore,
cioè richiede dedizione.
La
conoscenza arriva per dedizione, che è raccolta di tutti i segni che l’altro fa.
In
quanto quella persona si è presentata, io non la posso più ignorare.
Quindi
abbiamo Dio che opera in tutte le cose e si annuncia; in quanto si annuncia a tutti,
nessuno di noi lo può ignorare. Noi non possiamo dire: "Dio non esiste!”.
Lo possiamo dire solo a parole, però non possiamo convincerci. Ma non lo
conosciamo.
Dio
è colui che nessuno può ignorare, però ben pochi sono coloro che lo conoscono.
Tutti sanno che esiste, pochi arrivano a conoscerlo. Eppure siamo chiamati
tutti a conoscerlo, perché nel conoscere Lui c’è la vita eterna, c’è la
salvezza.
Abbiamo
questo fondamento, questo sigillo di verità che da noi non è smentibile: tutto
è fatto da-. Ora, tutte le opere di Dio si concludono nel Verbo di Dio, in
Cristo, il quale mi parla ancora il linguaggio della creazione di Dio, perché tutta
la creazione essendo segno di Dio, è segno della Trinità di Dio. Per cui,
in Cristo noi abbiamo la sintesi di tutto quello che Dio dice in tutta la
creazione. In tutta la creazione Dio
dice “Io sono”. Il Figlio ci dice
“Il Padre è; è il Padre che opera”: ecco, ci ripete quello che dicono le
creature.
Ogni
creatura dice a me “io non mi sono fatta da sola: un Altro mi ha fatto”. Il
Figlio, che è sintesi di tutto il parlare di Dio, venendo a me, dice a me: “Non
sono io che parlo; è il Padre in me che parla; non sono io che opero, è il
Padre che dimora in me che opera”. Ecco il Figlio! Perché la caratteristica
del Figlio è questa: in tutto consapevolmente rende gloria al Padre. Perché
noi siamo creature e, come creature, effettivamente, realmente diciamo: “non ci
siamo fatte da sole”; ma quante volte a parole noi diciamo: “io mi sono fatta da sola!”.
Quindi siamo in una realtà in cui si dice: “Tu creatura
non ti sei fatta da sola”, e abbiamo parole umane che dicono: “Io mi sono fatta
da sola, io sono tutto”.
Quante volte diciamo: “io sono tutto”, o diciamo ad un
altro: “io sono tutto per te”. Fischia! Poi il
giorno dopo siamo chi siamo. Oppure diciamo “la mia volontà non conosce
ostacoli”, e il giorno dopo siamo di fronte ad una parete. Noi affermiamo
queste cose a parole, ed è per questo che non siamo figli di Dio. Quando
parliamo così, noi non parliamo secondo Dio.
Certamente il Padre parla in noi anche quando facciamo
questi errori, perché quando diciamo: “io sono tutto”, il giorno dopo Lui ci
prostra a terra con il mal di pancia; ci fa vedere la nostra relatività (altro
che essere tutto!). Ed è sempre il Padre che opera; cioè, Dio smentisce le
nostre parole, perché la Verità è superiore a noi.
Invece il Figlio in tutto parla le parole del Padre e
quindi è confermato, non è smentito. Noi siamo smentiti da Dio, perché quando
diciamo “io posso tutto quello che voglio” e il giorno dopo possiamo più
niente, siamo smentiti. Come se una creatura dicesse “io non muoio mai”, da qui
a cinque minuti muore: Dio la smentisce e smentendola glorifica Se stesso,
perché Dio trae gloria da tutto: trae gloria da coloro che lo glorificano e trae
gloria da coloro che lo bestemmiano. D’altronde è logico: Dio regna in
tutto!
Ora però il Figlio si caratterizza in questo: in tutto il
suo parlare, parla secondo il Padre (“Le
parole che Io vi dico non le dico da me: ma il Padre che dimora in me, compie
queste opere”).
Noi invece nel nostro parlare non parliamo secondo il
Padre, e allora tutta la nostra difficoltà è imparare anche noi a parlare
secondo Dio, cioè a entrare nella Verità.
Non dire delle sciocchezze, non dire stupidaggini, perché
queste stupidaggini ricadono tutte su di te. Se tu tiri una pietra verso il
cielo, la pietra ti cade in testa. Non fare dunque delle stupidaggini:
Colui che regna è Dio! Riconoscilo e parla secondo Dio in tutto.
Quando io dico “il denaro è tutto”, domani Egli mi fa
toccare con mano che il denaro è niente, che risolvo proprio niente con il
denaro (né le sofferenze morali, né l’angoscia, né le malattie). Se Dici: “La
creatura per me è tutto”: il Signore ti fa toccare con mano che la creatura per
te diventa dannosa. È tutta grazia di Dio questo smentire.
Allora, da parte nostra è molto importante arrivare molto
presto a parlare in tutto secondo Dio, perché così parliamo secondo verità,
come il Figlio. E non siamo smentiti, ma confermati. In questo versetto Gesù,
il Figlio, ci annuncia ciò che vedremo a Pentecoste (che il Padre dimora in
tutti) e ci insegna come parla chi è figlio di Dio; poiché parla secondo Dio, è
il Padre che parla in Lui.
Amalia: Questo parlare e
operare secondo Dio è effetto della conoscenza di Dio?
Luigi: Sì, è una conseguenza dell’ascolto, bisogna dare molto
tempo all’ascolto, quindi raccogliersi molto in silenzio, nella vera preghiera.
È lì che noi troviamo molta difficoltà, perché non abbiamo mai tempo per Dio.
Noi abbiamo tempo per fare molte cose (ho da fare questo, quell’altro e
quell’altro: i campi, i buoi, la moglie, ecc.), ma non abbiamo mai tempo per
Dio. E naturalmente, non avendo tempo, non ascoltiamo mai; anche se magari
preghiamo tanto, dicendo parole, non ascoltiamo mai. Non ascoltando, non
possiamo arrivare a conoscere e quindi non possiamo parlare secondo Dio. La
nostra incapacità a parlare secondo Dio, secondo la Verità, viene dal fatto
proprio che noi ascoltiamo poco.
Quindi metti molto silenzio nella tua giornata, dai del tempo
a Dio. Questo è molto importante, perché è lì che si forma la creatura, è lì
che si forma l’anima capace di parlare secondo Dio. Perché se noi non
ascoltiamo, non possiamo parlare; noi parliamo nella misura in cui ascoltiamo.
La nostra parola è in funzione dell’orecchio. Se l’orecchio è sordo, anche la
nostra bocca diventa muta. Quindi per poter giungere a dire come Gesù, “Ciò che dico è il Padre che lo dice in me”,
dobbiamo mettere molto ascolto.
Marco: Il timore della correzione, il concetto di un Dio
guerriero, m’impedisce di sentire queste cose che diciamo col cuore: le sento
solo con l’intelligenza; se mi prendessero davvero, io dovrei lasciare gli sci,
ecc., ma io non voglio!
Luigi: Per sentire queste cose col cuore ci vuole una
rispondenza personale. Quando c’è la rispondenza personale allora si
incomincia a sentirle col cuore. Ma l’importante è cominciare a sentirle con
l’intelligenza, cioè a prendere consapevolezza della Verità di esse con
l’intelligenza. Questa difficoltà a lasciare, questo non voler lasciare è la
lotta attraverso cui avviene la formazione di ognuno di noi. Ognuno ha
qualcosa che non vuol lasciare: ha tutto un suo mondo che non vuol
abbandonarci. Ed è la difficoltà a superare noi stessi; oggi saranno gli sci,
la matematica, domani sarà la villa, la macchina grossa, ecc. Ognuno ha un suo
campo da difendere: è lì il difficile. Per poter lasciare bisogna che in noi
si formi la consapevolezza, ma ci vuole silenzio e ascolto.
Il giorno in cui davanti a Dio capisco la meraviglia, la
bellezza, la gioia di poter conoscere Lui, di poter scoprire la sua Presenza,
mi accorgo che vale infinitamente di più di un campo da sci. Il giorno in cui
io scopro la differenza tra le due cose, cosa mi importa di lasciare gli sci?
Ora non hai difficoltà a lasciare il gioco delle birille,
della trottola, perché? Perché man mano che uno matura, non ha nessuna
difficoltà a lasciare certe cose; però, attualmente se uno non può
assolutamente lasciare determinate cose, è perché trova in quelle tutta la sua vita.
Dai tempo al tempo!
Dio non è l’essere che vigila per darci delle bastonate.
No, prima di tutto Dio è Padre. Ci fa maturare anche attraverso tutte queste
nostre passioni. Certo, se io vado a dire a un bambino “non giocare a birille,
vai a pregare”, quello mi salta addosso, ed è logico, ha ragione, perché per
lui il gioco è importante come il vivere. È Dio che ci sta formando attraverso
tanti giochi, però nello stesso tempo incomincia a convincere la nostra
intelligenza. La nostra intelligenza, convinta del bene più prezioso, ci fa
avere un piede già dall’altra parte; “io sono ancora qui, però con
l’intelligenza sono già dall’altra”.
Bisogna anche avere pazienza: dobbiamo lasciarci fare da
Dio, perché noi non siamo fatti. Dio ci sta facendo. Ora, Lui essendo Verità
opera convincendoci, quindi opera convincendo la nostra parte superiore; ma
c’è tutta la parte inferiore che deve poi entrare e che non entra, perché la
parte inferiore è legata a tante nostre opere in cui il nostro io si è
affermato. Però Lui comincia a conquistare la nostra intelligenza e dopo, a
poco per volta, ci fa scoprire ciò che veramente ci deve attrarre.
Si capisce, adesso tu non vuoi lasciare, perché stai
giocando alle birille. Ma nessuno ti dice: “lascia le birille”. Comunque, la
porta è stretta e il superamento è necessario.
Uno può lasciare certe cose soltanto in quanto Dio gli fa
vedere qualcos’altro di più importante, se no non lo può.
Lasciare per lasciare è stupido. Così come oggi si parla
molto di povertà, e c’è chi dice: “adesso mi vesto di stracci e ho risolto il
problema!”. Ha risolto proprio niente! Non si risolve così il problema. Le cose
sono giustificate in quanto uno lascia per altro. Per esempio, di uno che deve
studiare diciamo “guarda quanti sacrifici fa, non va al cinema, non va in
nessun posto, ecc.”. Ma per lui è gioia! Lascia il cinema e altre cose perché
per lui sarebbe una perdita di tempo. Se ha scelto, in quanto ha scelto, ha
ritenuto più valido una cosa rispetto ad un’altra. Allora, direi che non c’è
un lasciare, ma c’è un mettere prima qualcosa di più importante.
Ora, fintanto che uno non scopre qualcosa di più
importante non può lasciare: si toglierebbe la terra di sotto ai piedi. Il
gioco per il bambino è importante come il vivere, perché attraverso quello si
forma. Noi siamo dei bambini davanti a Dio.
L’importante è questo: metti sempre del tempo per Dio.
Hai disponibilità per cinque minuti? Metti cinque minuti per Dio. Al mattino
hai la possibilità di pregare per ricaricarti? Va a pregare e ricaricati. A
poco per volta l’intelligenza matura e ti fa scoprire sempre più cose
importanti; e ad un certo momento sei tu che scegli, non sarà l’Altro che ti
impone. Dio non impone; se c’è un Essere che è assente, silenzioso, dal
mondo, è proprio Dio! Tutti gli uomini comandano, urlano, si impongono con
autorità! Dio no, perché Dio opera convincendo. E man mano che noi vediamo,
siamo noi stessi che vogliamo una cosa e non più l’altra, perché “per me è una
perdita di tempo: voglio quell’altra perché per me è più importante”.
Quando una persona ama un’altra non è per lei un
sacrificio amarla; eppure quanto cose lascia per amare l’altra
persona. E perché sceglie di amarla? Perché si è convinta che amarla è un bene,
e allora non c’è sacrificio. Ora, Dio opera prima di tutto per convincere noi
dei valori e quindi dei beni, ma siamo noi che facciamo le scelte. Dio lascia a
noi le scelte, appunto perché c’è questa consapevolezza, c’è questo io.
Quindi non dobbiamo pensare “io non faccio questo perché
ho paura che l’Altro adesso mi bastoni”; non è in questo senso che dobbiamo
considerare Dio.
Marco: Quando termino di pregare infatti temo sempre che la mia
preghiera sia ipocrita e chiedo che non ricada su chi ho pregato.
Luigi: Dio vede la nostra intenzione più che le nostre
parole, e aiuta noi e aiuta gli altri. Dio
è un Padre, sia ben chiaro, e ci ama. Non è un’autorità che s’impone. Dio è
un Padre, è un Essere che ama e noi dobbiamo essere convinti di questo amore:
non fosse altro perché ha creato tutto l’universo, di miliardi di anni luce, un
universo di dimensioni enormi; per chi? Per ognuno di noi. Siamo convinti di
questo o no? E dobbiamo dubitare del suo amore?
E poi, ad un certo momento, ci presenta lo spettacolo di
Cristo che muore in croce…; almeno, se crediamo che sia figlio di Dio. Insomma,
le testimonianze di amore ce le dà ogni giorno; anche solo il fatto che
noi possiamo morire di notte e invece apriamo i nostri occhi al mattino: ma è
un atto di amore! È Dio che ci ama! Altrimenti non ci sveglieremmo. Tutta la
creazione è opera di amore; perché allora dobbiamo aver paura?
Uno dei più grandi peccati è proprio quello di avere
paura del Signore e di non aver fiducia in Lui, perché
ci ha dato tantissime dimostrazioni del suo amore per noi. Nessuno lo ha
obbligato a crearci. Nessuno gli ha detto “adesso tu devi creare Marco!”. No,
Lui liberamente, quindi per amore, ha voluto Marco. E Marco è una creatura di
amore.
Piero: Mettendo prima di tutto Dio, trovo assurde molte cose
nella mia vita, incominciando dal mio lavoro, ecc. Eppure non posso lasciarlo
perché ho la famiglia; nonostante ci sia il desiderio di decisioni radicali,
che mi sarebbero di grande aiuto per avvicinarmi di più a Dio. Il problema però
non mi sembra sia quello di lasciare, perché siamo in cammino; e se siamo
fedeli in quel poco che possiamo fare, sarà Lui che ci farà vedere la strada
giusta per uscirne, senza far soffrire nessuno. E in quel momento darà la forza
di fare la scelta.
Luigi: Certo, uno può trovarsi in un lavoro assurdo e non può
uscirne, ne è schiavo, perché ormai è imbrigliato in convinzioni, ecc. Il
problema attualmente non è lasciare, ma far crescere il positivo: incomincia a
mettere dell’ascolto di Dio. Su ventiquattro ore, hai un quarto d’ora? Metti
questo quarto d’ora per l’ascolto. Cerca di essere fedele nel poco. Se tu
sei fedele nel poco, Dio a poco per volta ti aiuterà e amplierà la tua libertà.
È Lui che ci libererà, perché attualmente è Lui che ci
tiene in prigione, in conseguenza di tante cose; comunque attualmente siamo in
prigione: non puoi uscire, perché la porta della prigione si apre dal di fuori
e noi siamo dentro. Non hai nessuna possibilità di uscirne. Però, se in
questa prigione hai la possibilità di prendere contatto con Cristo, non
trascurarla. E quando arriverà il momento in cui Dio ti chiederà di fare
una scelta radicale, te ne darà la possibilità e te ne farà vedere
l’importanza. Dio opera convincendo.
La cosa più importante è imparare ad essere fedeli nel
poco in cui noi possiamo fare delle scelte. Là dove non possiamo fare delle
scelte è inutile che ti ponga il problema: non puoi scegliere. Là dove puoi
scegliere stai attento a quello che scegli: puoi scegliere di dire una parola,
una sciocchezza e di non dirla? Ecco, ubbidisci a Dio. Puoi dire una barzelletta
stupida, puoi non dirla? Ubbidisci a dio: Dio ti osserva in quella fedeltà nel
poco. Puoi pensare una cosa anziché un’altra: lì sei libero. Magari sei sul
lavoro, però puoi pensare ad una cosa o ad un’altra: ecco, se tu pensi secondo
Dio, Dio ti osserva in quella fedeltà, in quelle piccole cose. Impara ad agire
secondo Dio. È la fedeltà nel poco che decide tutto. Il Signore stesso
dice: “Chi non è fedele nel poco
certamente non può essere fedele nel molto”. Quindi impara ad essere fedele
nel poco. Noi il più delle volte diciamo “voglio fare delle grandi scelte” e
poi nelle piccole cose prendiamo delle cantonate a non finire. Stai attento
nelle piccole cose, perché Dio ti osserva nelle piccole cose: nelle parole
che dici, nei pensieri che coltivi, nei desideri che hai, nei sogni che porti.
Dio ti osserva in quelle piccole cose in cui tu puoi scegliere.
Sarà poi Dio a fare tutto il resto. Le gradi scelte è
Dio che ce le fa fare, non siamo noi.
Credetemi: io
sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo
per le opere stesse. Gv 14 Vs 11
Titolo:
Argomenti:
8/Novembre/1980
Elisa:
Gesù parla per noi e ci dice che chi diventa figlio è nel Padre. Ma prima di
diventare figli noi siamo nel Padre, quando vediamo l’ambiente in cui siamo, le
difficoltà del lavoro, della famiglia, ecc., come opera del Padre e come opera
migliore per salvarci?
Luigi:
Sì, tutto è opera del Padre, però l’ambiente in cui ci troviamo non è il Padre.
Noi corriamo il rischio di immergerci nell’ambiente, dicendo: “Dio mi ha posto
qui, io vivo per questo”: ecco, l’errore sta nel dire: “io vivo per questo
perché questa è la volontà del Padre”. Noi dobbiamo sempre tener presente che:
·
Abbiamo
Dio creatore;
·
Abbiamo il nostro io, creatura;
·
E abbiamo l’ambiente, opera di
Dio, che Dio ci mette attorno per insegnare qualcosa a noi.
Tutto
l’ambiente (=creazione, e l’ambiente di lavoro appartiene alla creazione),
tutta la creazione che abbiamo attorno a noi è parola di Dio per sollecitarci a
guardare Lui.
È
Dio che parla a me non perché io mi fermi ai segni , non perché io mi fermi
all’ambiente, ma perché io alzi gli occhi verso Colui che parla.
Noi
corriamo il rischio, ed è il rischio di ogni creatura, di dimenticare Dio per i
doni di Dio. Ad esempio, possiamo dire: Dio mi ha dato gli sci;
adesso io mi abbarbico agli sci e dimentico Dio, perché gli sci mi piacciono. A
questo punto preferiamo il dono al Donatore e non capiamo più l’opera di Dio.
Dio ci ha fatto un dono per farci alzare gli occhi verso di Sé, affinché
scoprendo che Lui esiste e che ci manda questi doni incominciamo a desiderare
non più doni, ma di conoscere Lui che tutti i giorni ci manda dei doni in casa.
Ecco, dovremmo domandarci: “ma chi è questo Tale che tutti i giorni mi manda
dei doni?”; perché è uno che ci pensa, infatti se ci manda i doni ci pensa.
Certo,
possiamo limitarmi ai doni e dire: “sia chi voglia, io approfitto dei doni” e
offendiamo il Donatore, perché non vediamo l’intenzione.
È
importante la riconoscenza. L’atto di riconoscenza è proprio sempre cercare
di arrivare all’intenzione di Colui che mi manda i doni. Perché mi manda
tutti questi doni? Perché tutti i giorni fai splendere il sole, mi circondi di
natura, mi fai brillare le stelle? Perché tutti i giorni mi fai incontrare
delle creature? È tutta una meraviglia, è tutta una creazione attorno che Tu
metti in movimento per me; perché tutto questo?
Ecco,
sono tutti doni di Dio che ci vengono fatti
non perché ci immergiamo, ci appassioniamo dei doni, ma affinché noi
alziamo gli occhi a Lui e cominciamo a conoscere Lui.
Tutto
è opera di Dio, anche le situazioni di disagio; ma non dobbiamo restare
all’opera di Dio, dobbiamo sempre passare al significato dell’opera di Dio,
dell’Intenzione; perché se ci fermiamo all’opera siamo traditi dai doni e
allora c’è il nostro io: ci abbarbichiamo ai doni e trascuriamo il Donatore e
non siamo più nel Padre. Noi per essere nel Padre dobbiamo non guardare ai
doni, perché i doni ci possono far comodo. Noi dobbiamo guardare Dio.
Il
Figlio è caratterizzato da questo: è tutto sguardo verso il Padre. Noi siamo nel Padre, anche se non Lo
conosciamo, in quanto diventiamo sguardo verso il Padre.
Elisa:
Quindi ci sono due modi di essere nel Padre: uno è proprio del Figlio e l’altro
di chi è in cammino?
Luigi:
Certamente.
Ida: “Credetemi, io sono nel Padre e il Padre è
in me”, è un invito alla fede: credere che Lui mi ama molto più di quanto
io ami me stessa, ed ha solo progetti di amore su di me; ma mi accorgo che non
è ciò che voglio io che mi avvicina alla realizzazione di questo progetto, ma
quanto vuole Lui; perché mi sento più felice quando non riesco a fare ciò che
voglio io e mi abbandono a Lui. E allora lì sono in Lui.
Luigi:
Certo, noi siamo fatti da Dio in continuazione. È Lui che ci fa, non siamo noi
con la nostra volontà che ci facciamo. Dobbiamo lasciarci portare da Dio,
lasciarci fare da Dio, perché giustamente Dio
ci ama molto più di quello che noi amiamo noi stessi. Dio pensa a noi molto
di più di quello che noi possiamo pensare a noi. Infatti il Signore dice: pensa
a me ed io penso a te”.
Ora,
è preferibile che sia Dio a pensare a me, piuttosto che sia io a pensare a me,
perché Lui pensa molto meglio di me. Quante volte sentiamo dire: “Ma se io non
penso a me, chi è che pensa a me? Debbo dimenticare me stesso? Ma se dimentico
me stesso muoio di fame!”, e così trascuriamo Dio. Se tu non pensi a te, c’è
Dio che pensa a te e vedrai quali meraviglie il Signore fa, perché Dio pensa
molto meglio di noi.
Ida:
Sto scoprendo che anche le opere di bene le faccio per me, pensando a me,
perché se non ho successo ci sto male; per cui tutto diventa pesante, non
liberante.
Luigi:
Certo, è liberante solo ciò che è fatto nel pensiero di un Altro. Questa
tua scoperta è Dio che sta lavorando con te, e un giorno ti insegnerà anche a non
fare più le cose per te, ma a fare le cose per Lui, cioè ad essere motivata da
Lui. Ma bisogna lasciarsi fare da Lui: è Lui che ci sta educando, è Lui che ci
sta formando. Bisogna lasciarsi formare e quindi anche accettare le
autocritiche, riconoscere: “Tu stavi cercando te stessa, tu lo stavi facendo
per te stessa”. È Dio che parla con te. È Dio che parla.
Quindi
dobbiamo riconoscere: “è vero, sì, è vero”. L’importante è non barare con
Dio e con noi stessi; riconoscendo: “sì, c’era il pensiero del mio io”, il
Signore prontamente ci dirà: “Va bene, basta così: adesso poco per volta vedrai
che imparerai la lezione; comincerai a vivere con me e per me”. E allora noi
saremo nel Padre, motivati dal Padre, non più motivati dal pensiero del nostro
io. Certamente, naturalmente noi viviamo nel pensiero dell’io e siamo mossi dal
pensiero dell’io. Quello che appare in vetrina è sempre il pensiero di noi
stessi: “che figura ci faccio?”. Anche davanti al pensiero della morte
riusciamo a dire: “nella sepoltura che figura ci farò?”. È sempre il pensiero
dell’io che viene fuori da tutte le parti.
Gesù
dice: “Credetemi”: ecco l’importanza
di credere per arrivare a vedere il mistero di Lui che vive nel Padre e il
Padre che vive in Lui, per vivere noi nel Padre. È proprio vedendo che viviamo.
Lui parla e parlando ci invita a credere. L’allievo diventa capace di capire la
lezione soltanto nella misura in cui crede all’insegnante, però deve accettare,
cioè deve credere. Se non crede non può arrivare a capire. Bisogna credere per
arrivare a vedere e vedendo siamo inseriti. Quello che ci inserisce è la
visione. La Parola è un annuncio, una proposta: se noi aderiamo, arriviamo
a vedere e vedendo siamo inseriti.
“Se non altro, credetelo per le
opere stesse”, credetelo per questo motivo: tutte le cose
(le opere) non si sono fatte da sole. Tutte le cose portano in se stesse il
sigillo della Verità. Quindi se non volete credere in Dio (= “se non per altro”), alla Parola stessa
di Dio, al Pensiero di Dio, osservate almeno quello che Dio vi mette attorno:
vedete che niente si fa da sé.
“Credetemi almeno per questo”:
lì si rivela la pazienza che Dio ha con noi. Lì si vede appunto il linguaggio
di amore, perché Lui potrebbe benissimo comandare: “io sono Dio!” e ci
butterebbe nell’inferno. Ma a quel punto c’è l’essere autoritario; anche satana
ubbidisce a Dio, non può farne a meno (perché Dio regna: una sola è la Causa
che regna in tutto e per tutto), nolente, ma deve ubbidire. Satana subisce
l’Essere autoritario, perché la verità ad un certo momento s’impone; in un
primo tempo però dialoga, a meno che noi siamo superbi, restii e che
rifiutiamo. Se noi aderiamo, Lui ci accompagna e ci accorgiamo che è Padre, e
che siamo accompagnati da un Padre.
“Credetemi”:
è un invito alla fede e a lasciarci guidare in tutto da questo pensiero di
fede. Il Creatore, Dio, Colui che ci ha fatti dal niente, ad un certo momento
si abbassa e dice: “Credetemi”, quasi
che chieda a noi l’elemosina di un atto di fede. Eppure lo fa ancora per noi.
Elisa: “Se non altro credetelo per le opere stesse”.
Hai spiegato che le opere stesse sono la creazione, che dobbiamo credere che è
opera di Dio; ma qui Gesù invita a credere che Lui è nel Padre.
Luigi:
Sì, perché tutto è opera del Padre, invita a credere che “è il Padre che opera in me”. Come dire “In quanto il Padre opera
in me, è il Padre che opera in tutto”.
Silvana:
Allora si capisce anche questo “Io sono
nel Padre”; cioè, anche noi siamo nel Padre?
Luigi:
Certo,
Silvana:
Che il Padre sia in tutte le cose (“Il
Padre è in me”) d’accordo, ma che noi siamo nel Padre (“io sono nel Padre”) è diverso…
Luigi:
Sì, credendo a quello che si annuncia a noi, anche noi siamo nel Padre, perché
diventiamo motivati da-; perché noi siamo fuori proprio perché possiamo avere
altri motivi. Gli stessi doni di Dio possono essere fuorvianti, cioè ci possono
fa uscire dalla casa di Dio. Noi il più delle volte usciamo dalla casa di Dio
in nome dei doni di Dio: preferiamo la creatura al Creatore. Ma la creatura è
dono di Dio! Quelli che non assaggiano la cena, chi sono? Sono quelli che
dicono: “Signore, io ho i buoi, io ho i
campi, io ho la moglie…”. Ma i buoi, i campi, la moglie sono tutte creature
sante, creature di Dio. Eppure, in nome delle creature di Dio, noi usciamo: “non assaggeranno la mia cena”. Dicono: “abbimi per giustificato”. No, non sei
stato giustificato. Non è che dicono “io sono una prostituta, quindi non posso
venire…”, oppure “io vado a rubare, non posso venire”. No, ma dicono “io ho i campi, i buoi, la moglie”;
quindi in nome dei doni di Dio, rifiutiamo l’invito di Dio. E questo
avviene quando i doni diventano motivanti, ed è per questo che noi ci
sottraiamo a Dio. Dio deve diventare in
noi il motivo del nostro esistere, perché è il motivo del nostro esistere.
Se Dio è il tuo Signore, abbilo per Signore; se Dio è Creatore, abbilo per
Creatore. Se Dio ti è Padre, abbilo come Padre; e se Dio è principio di tutto,
mettilo come principio di tutto nella tua vita, allora vedrai che sarai nel
Padre. L’essere in Lui presuppone da parte nostra l’adesione a ciò che Egli
è. Allora si è inseriti.
Pinuccia: “Le stesse opere” non vanno intese come
“opere del Cristo”? come se dicesse “non credete alla mia parola? Guardate alle
opere che faccio”?
Luigi:
Sì, ma tutte le opere sono opere di Dio; anche la Parola è un’opera, ed è opera
di Dio. Cristo opera e parla come Figlio di Dio, quindi tutte le sue opere sono
opere di Dio, anche le sue stesse parole, tutto quanto fa è opera di Dio.
Credetemi: io
sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo
per le opere stesse. Gv 14 Vs 12
Titolo:
Argomenti:
15/Novembre/1980
Quali sono
le opere che Gesù compie nella nostra vita? (“
le opere che Io faccio”)?
Sono
rivelazione, illuminazione. Però c’è una rivelazione del
Verbo incarnato e c’è una rivelazione del Verbo che ritorna al Padre.
Quali sono
le opere più grandi? La rivelazione del Verbo che ritorna al Padre.
--Con
queste parole Gesù ci fa qui una promessa, ed anche una rivelazione:
perché attualmente, nel Vangelo, il Verbo incarnato operante tra noi, compie
opere che ci richiamano all’essenziale, ci raccolgono dalle nostre
dispersioni, ci annuncia la Verità, ci ricupera dai nostri errori. Ma ci
promette opere più grandi quando se ne andrà al Padre.
Cioè, qui annuncia
e promette doni maggiori di quelli che riceviamo con il Verbo Incarnato.
Infatti più avanti dirà: “È necessario
che io me ne vada, perché se non me ne vado, non potrà venire a voi lo
Spirito di Verità”. Come mai? Fintanto che Lui è presente fisicamente nel
mondo, questo impedisce a noi di ricevere lo Spirito di Verità. Perché? Perché
noi ci fermiamo alla sua presenza fisica. Le presenze corporee sono un
richiamo a Dio, ma ad un certo momento vanno trascese. Per questo c’è la morte,
perché la Verità la si attinge soltanto in forma diretta, intima. Quindi
bisogna superare ogni forma creata, perché è lì, in questo rapporto diretto,
intimo con il Padre che l’anima resta illuminata, riceve cioè quella luce
intima che è lo Spirito di Verità in noi, esperimentando personalmente la
verità di quanto Cristo ci ha detto.
Questi
doni maggiori sono quelli che vengono in noi quando Lui se ne va come presenza
fisica, cioè col superamento di tutte le presenze fisiche. Il Verbo Incarnato è
Uno che ci parla di una Sorgente in cui c’è acqua limpida, fresca,; parlandocene
ce la fa desiderare e ad un certo momento ci fa giungere ad essa,
dicendoci: “Ora attingi tu stesso
alla sorgente”: ecco, lì abbiamo il dono maggiore, perché personalmente
sperimentiamo quello che abbiamo sentito dire dal Cristo. Prima abbiamo
accolto, ascoltato, creduto, sappiamo le cose per sentito dire e ci convinciamo
che sono vere. Però è sempre un accogliere le cose per sentito dire.
Invece i
doni maggiori sono l’esperienza personale, secondo
la promessa di Cristo: “Lo Spirito vi
farà vedere la Verità e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto e ve lo farà
capire”. Quindi non più il sentito dire, ma lì abbiamo una convinzione
personale, ed è lì che siamo chiamati a diventare una cosa sola col Figlio
di Dio.
--“Chi crede, egli pure farà le
opere che io faccio”: non è la creatura che le
compie, ma è Gesù che le compie in lei.
Credendo
in Gesù, la creatura partecipa della stessa vita di Cristo e quindi
delle sue opere. Perché credere è essere con Uno che vede e quindi credere
è partecipare a ciò che quell’Uno vede. Se ascolto una persona che mi
parla, ricevo il suo pensiero; questo suo pensiero è per me un dono di
partecipazione; non è che lo possegga, ma l’altro me lo comunica nella
misura in cui resto con lui.
È una comunione
di beni che si forma. Così avviene con Cristo: le sue parole, la sua sapienza,
la sua bontà, ecc.: è tutto un dono che ci partecipa. La sua è Parola di Dio;
non la capiamo ancora, però è convincente, ci apre squarci di luce e di vita e,
se restiamo nell’ascolto, un giorno comprenderemo la profondità di ciò che ci
ha detto, la profondità dei fatti e delle scene della sua vita. Ad es., davanti
alla sua Croce sul Calvario, noi attualmente vediamo la sua sofferenza, e
pensandolo in Croce quando soffriamo crea in noi una certa comunione. Ma di qui
a capire il significato profondo della sua morte c’è un abisso. Così ora non
comprendiamo come la sua morte è un centro attorno a cui gira tutto l’universo
e la storia di ogni creatura. Abbiamo cioè una Verità che si annuncia, ma
che noi non comprendiamo a fondo. Se la crediamo, la sappiamo per sentito dire, ma non la possediamo
ancora. Quando la possederemo avremo le opere, i doni maggiori; e
questo avverrà quando Lui se ne andrà al Padre (= “poiché io vado al Padre”), andandosene al Padre ci da la
possibilità di sperimentare personalmente la Verità di Dio.
--Le opere
che Cristo fa, sono rivelazione illuminazione sulla volontà di Dio e sul
Regno di Dio. Ci dice chiaramente ciò che Dio vuole da noi: “Sei creato per conoscere Dio e il suo Regno”.
Non possiamo smentire questa sua Parola, perché arriva a noi con il sigillo,
con la garanzia della Verità; è luce nelle nostre tenebre. Questa è l’opera che Dio fa tra noi: non è un opera
materiale, ma è uno squarcio di luce, per cui la creatura dice: “ho capito”; capisce il senso della
vita.
Così pure
quando mi parla del Regno di Dio, compie un opera tale che ad un certo momento
vede il Regno di Dio.
Così “Chi crede in me egli pure farà le
opere che io faccio”: se restiamo con Lui, ricevendo dal Cristo, siamo
assimilati a Lui. Parlando a noi, se ascoltiamo e crediamo, Lui ci assimila
a Sé, quindi facciamo le stesse cose che fa Lui: mi fa buono come Lui è
buono, mi fa umile come Lui è umile, ecc. Se restiamo con Lui ci fa simili a
sé, per cui facciamo come fa Lui.
Il Cristo
parlando ci trasforma: la sua Parola ci trasforma come
Egli è. Infatti Egli ha detto: “Voi
siete puri a motivo delle parole che vi ho detto”. Le sue parole sono acqua
che ci lavano nella misura in cui le lasciamo entrare; per cui se ci
avviciniamo a Lui ci fanno come Lui, ci trasformano e a poco per volta ci fanno
figli, ci danno la sua mentalità di figlio; per cui ad un certo momento
Cristo ci presenta al Padre, ci affida al Padre e se ne va fisicamente da
noi.
“In verità, in verità… farà le
opere che io faccio”. In queste parole “in verità, in verità”, c’è una
assicurazione. Cristo ci assicura che più stiamo con Lui, più lo ascoltiamo e
più diventiamo simili a Lui e facciamo come Lui, quello che Lui fa.
“e ne farà ancora di più grandi”:
fintanto che Lui è con noi come Verbo Incarnato, se noi lo ascoltiamo,
riceviamo da Lui certe illuminazioni e convinzioni per ciò che Lui dice a noi.
Ma la Verità la possiede Lui e noi partecipiamo ad essa senza possederla
ancora, per cui il punto di riferimento per noi è sempre la sua Presenza fisica.
Andandosene
al Padre, ci conduce al Padre, e qui siamo chiamati a sperimentare nel Padre
ciò che il Figlio esperimenta.
Cioè,
prima conosciamo le cose per sentito dire, poi abbiamo una conoscenza
personale. I doni maggiori, le opere maggiori, sono quella luce piena che ci
verrà donata a Pentecoste, se noi crediamo. Prima sentiamo parlare della
Sorgente da Lui, e già ne godiamo con le
sue parole, e magari ripetiamo ciò che dice a noi; quando se ne va al Padre,
porta noi a vedere questa Sorgente di acqua e ci invita ad attingere ad Essa
tanto quanto vogliamo: “attingi quanto
vuoi ed esperimenta tu stesso”: qui abbiamo il dono maggiore, cioè
il dono di poter noi stare come figli di Dio davanti alla Sorgente e di
attingere noi direttamente ad essa quelle cose che Lui stesso ci diceva. Prima
era Lui il nostro Maestro, ma a quel punto abbiamo in noi stessi il Maestro,
in quanto possediamo in noi stessi la scienza e sapienza sua: il Padre. Non
è che possediamo una scienza maggiore della sua, ma maggiore di quella che
Lui ci diceva come Verbo Incarnato.
(“ne farà di più grandi”).
Abbiamo qui la convinzione personale, il superamento della fede.
“Farà le stesse opere che io
faccio”: le opere di Cristo sono opere di illuminazione,
quindi l’opera della creatura che crede in Cristo è anche un’opera di
illuminazione: illumina perché è illuminata, ma è sempre il Cristo che
illumina. Però chi è illuminato illumina. E come? Prima di Pentecoste la
creatura ripete per sentito dire ciò che il Cristo dice, ma è sempre il Cristo
che parla; la Parola di Dio non trae e non perde valore dallo strumento che la
dice: è sempre Parola di Dio, per cui noi non possiamo rifiutare la Parola di
Dio perché la dice un bambino o un ubriaco.
Dopo
Pentecoste “ne farà di più grandi
ancora”: non parlerà più per sentito dire ma per esperienza personale.
Qui è il vero fare della creatura: “capire”.
Prima della Pentecoste il vero fare della creatura è cercare di capire, fare la Verità. Questa è
l’opera della creatura. Però non possiamo dire che l’opera del Cristo sia
quella di capire, come quella della creatura, ma è opera di illuminazione. La
creatura quest’opera di illuminazione la fa soltanto per riflesso. Quindi le opere
che la creatura fa e farà se crede in Cristo, sono quelle di capire e quindi
anche di illuminazione (è sempre Cristo che illumina): “Voi siete la luce del mondo”, dice Gesù ai suoi discepoli.
Il
discepolo, colui che crede in Gesù, ricevendo luce dal Cristo, rimane
trasformato in Lui (la luce trasforma) e diventa come Lui: umile, buono, capace
di amare, ecc. Ma non è che la creatura si proponga di imitare Cristo in queste
virtù, perché queste virtù sono effetti della luce (l’umiltà, ad esempio
è verità: è umile chi comprende la Verità, è capace di amare chi comprende).
È logico
che la creatura in quanto creatura, non riflette tutta la luce di Dio
fintanto che non arriva a fare una cosa sola con Dio; ma anche quando
arriverà lì, non potrà mai dimenticare che è stata creatura, un puntino che Dio
ha fatto crescere all’infinito. Nel campo dei segni la luce è costituita da
molti raggi e le cose ne riflettono solo qualcuno; ad esempio il rosso è luce
che è stata privata di tutte le altre lunghezze d’onda.
La creatura
è creatura in quanto è difetto del Creatore; ma più si avvicina
al Creatore, più riflette tutti i suoi raggi, fintanto che viene trasformata
tutta in luce: quando cioè sarà una cosa sola con Dio (ma ci sarà sempre la
distinzione, non fosse altro perché è stata creatura).
“Chi crede in me”:
noi dobbiamo credere per arrivare a conoscere. Prima si accoglie, cioè
si crede, anche se non si capisce, con la speranza di giungere a capire (così un allievo nella scuola). Ascoltare è
credere: ricevo quello che l’altro sa ed io ancora non so. La fede non ti è
data per finire di trovarti davanti ad un muro, ma perché ti impegni in
quello che ti annuncia, la approfondisca, per arrivare a capirlo. La Verità
ci supera per cui richiede dedizione. Per questo dapprima si annuncia e non si
impone: si annuncia per preparare la nostra anima a capirla. Dio ci parla nella
notte per portarci nella luce. Il dono maggiore è l’alba. Ora sei nella notte,
non capisci, però se arriva uno che ti guida perché conosce il cammino, ti fidi
e lo segui. Ti fidi perché ti da la garanzia che ciò che dice è vero, perché
parlandoti ti fa vedere gli squarci di luce. Devi credere confidare,
impegnarti: “Chi crede in Me…”.
Bisogna
credere anche quando le sue parole sono difficili. Cristo ci fa arrivare ora
queste parole del versetto 12: è una Parola difficile, però è Parola di Dio e
non va scartata. È difficile perché Lui è Infinito, ma se lo amiamo al disopra
di tutto, non va scartata; perché se dice queste parole, le dice perché sono
necessarie per me, e allora mi impegno quel tanto che mi darà la grazia di
capire.
È parlando
che Lui eleva me. Si abbassa a giocare alle birille con me per
portarmi nel suo Cielo, se lo ascolto; quindi mi parla, anche in modo
difficile, non per abbassare me, ma per elevare me a Lui, al suo livello. Sono
cose difficili, ma a noi è richiesto solo di rimanere uniti a Lui: capiremo.
-- “perché io vado al Padre”: Gesù
andando al Padre, ci affida al Padre,quindi dobbiamo guardare al Padre,
interrogare il Padre. Nella misura in cui rimaniamo uniti al Padre, arriveremo
ai doni maggiori, perché è dal Padre che riceviamo i doni maggiori. Però
Cristo prima di andarsene, ci ha preparato al punto tale che ci fa capaci di
ricevere questi doni maggiori dal Padre direttamente. Quando avviene questo
per noi ? Quando, preparati dal Cristo entriamo in quel processo in cui
entrarono gli Apostoli dopo l’Ascensione di Gesù, di quei dieci giorni di
attesa: tempo di silenzio e di raccoglimento, unicamente nel pensiero e nel
silenzio del Padre, per conoscere ciò che procede dal Padre. Questo avviene
solo a Pentecoste, alla nostra Pentecoste. Prima di Pentecoste, ci sono solo
dei tentativi, si hanno brevi squarci di luci; ma i doni maggiori, cioè
l’esperienza personale è stabile, lì riceviamo solo a Pentecoste. Queste cose
Gesù ce le dice come promessa di Pentecoste, ed esse entrano in noi nella
misura in cui ce le dice preparandoci così a riceverle. Quindi la
Pentecoste non avviene automaticamente, ma
è preparata progressivamente. In Dio non avviene nulla di
automatico, perché in Dio tutto è consapevolezza e avviene perciò tutto
per consapevolezza. È il Verbo di Dio che parlando ci fa capaci di ricevere
questi doni, perché la Verità supera noi. “Nessuno
può salire in alto se non Colui che discende dall’Alto”.
-- Con
l’Ascensione il Verbo Incarnato se ne va, ma in quei dieci giorni che precedono
la Pentecoste noi rimaniamo col Verbo che guarda al Padre e ci dice:“Guarda al Padre”. Quindi in quei
dieci giorni (tempo simbolico) siamo in rapporto diretto con il Padre, ma lo
sapremo solo dopo ( quando il Padre si è rivelato a noi, facendoci nascere come
figli) che è il Verbo che ci ha condotti lì e che siamo stati uniti al Verbo in
quei dieci giorni di attesa. Prima non lo sappiamo perché non conosciamo chi è
Gesù, non conosciamo chi è il Verbo, ma noi in realtà, siamo in intima
unione col Verbo perché guardiamo al Padre. È solo guardando al Padre che
sono col Verbo, perché il Verbo mi dice: “Guarda
al Padre”. Posso restare con uno, solo se lo ubbidisco e faccio mia la
sua volontà; quindi solo se ubbidisco al Verbo, solo se faccio la sua
Volontà che mi dice: “Guarda al Padre”,
resto col Verbo, col Figlio. Guardando al Padre sono col Verbo: ma questo
lo scoprirò quando avrò conosciuto il Padre, perché nel Padre vedrò dal
Padre nascere il Verbo. Scopriremo che lo sguardo al Padre da parte
nostra sarà opera del Verbo stesso che è sempre stato con noi.
Margherita: Che
cos’è la Pentecoste?
Luigi: È la venuta del Padre e del Figlio in noi;
è la presenza del Padre e del Figlio che è lo Spirito Santo. Non è che
vengano, che si spostino, perché sono presenti ovunque e la loro Presenza è la
Verità. Ma è la presa di coscienza da parte nostra della presenza del
Padre e del Figlio in noi. Nel campo dei segni abbiamo la discesa dello Spirito
Santo sugli Apostoli. Gesù l’aveva annunciata: “Il Padre ed Io verremo in Lui e faremo la Nostra dimora in Lui”
identificando con questa Loro venuta lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è lo
Spirito della Presenza del Padre e del Figlio in noi. Egli già è presente,
ma noi non lo constatiamo: una cosa
è credere che è presente e una cosa è prenderne consapevolezza, farne
l’esperienza personale. Farne l’esperienza personale è Pentecoste. Gesù la
chiama “venuta”, usando il linguaggio
nostro, ma è una scoperta di ciò che già c’è. Non sono loro che si
spostano venendo a noi, ma siamo noi che ci spostiamo dall’inconsapevolezza
alla consapevolezza per cui constatiamo che già era così: scopriremo una
novità che è cosa vecchia, perché scopriremo che questa novità è sempre stata. È Dio che ci
ha elevati a scoprire ciò che è Lui, e quindi a scoprire la sua Presenza, perché
la scoperta della sua Presenza è conseguenza della conoscenza di ciò che Lui è.
Attualmente non abbiamo coscienza di questa presenza perché ancora non sappiamo
chi è il Padre e chi è il Figlio. Colui che ci conduce a conoscere Dio è anche
Colui che ci conduce a scoprire la Presenza Dio.
-- Perché Gesù ci dice queste cose
in questo versetto? Ha uno scopo ben preciso perché certamente non ce le dice
per aumentare la nostra cultura. Il suo scopo è quello di prepararci
a quei doni maggiori; e noi ci prepariamo a riceverli, meditando su questi
doni maggiori. Certo, sono parole misteriose, perché non le capisco ancora,
ma se le accolgo, cioè se credo, arriverò a capirle e arriverò a constatare
questa Presenza del Padre e del Figlio, proprio in grazie alle parole del
Figlio. E quando arriveremo qui, capiremo che è tutto Lui che ha operato,
non è merito nostro, ma è tutta grazia sua che ci ha condotto lì. La grazia
sarà tutta del Figlio.
Domanda: Credere
cos’è? c’è differenza tra il credere di allora e il credere di oggi?
Luigi: Credere è impegnarsi in, vivere per. È
impegnarsi in quello che Cristo ci dice. Non c’è differenza tra allora e oggi,
ma tra stato d’animo e stato d’animo, perché c’è chi dice di credere in
Cristo, ma in realtà vive per altro. Ognuno vive per ciò in cui crede. In
questa giornata per che cosa sono vissuto? Dimmi per che cosa oggi tu sei
vissuto e ti dirò ciò che è la tua fede. In ciò per cui tu vivi si rivela la
tua fede. Anche nella stessa vera fede ci sono livelli diversi, perché
nella fede c’è un cammino progressivo. Ci può essere una fede solo nominale: ma
questa non è fede. Invece la vera fede può crescere tanto e diventare tanto
impegnativa da trasformare tutto della nostra vita. È questa la fede di cui
parla Cristo dicendo: “Chi crede in Me”.
La fede vera è una passione per: ciò per cui patisci e soffri se non
riesci a vivere per esso. La fede è ciò per cui vivi. Se vivi per ciò di cui
ti parla il Cristo, allora credi a Lui. E Lui parlando ti assimila a Sé,
ti fa come Lui, ti fa fare opere come Lui le fa: cioè si diventa umili come
Lui, buoni come Lui, si supera se stessi, si ama, ecc., cioè si arriva ad avere
in noi la dimensione divina del Cristo. Non solo, ma Egli promette doni
maggiori a chi Lo ascolta e crede in Lui; e quindi, dicendoci questo, ci impegna
sempre di più ad un superamento continuo: “Vieni più su, non accontentarti”. Non dobbiamo pretendere niente,
ma essere in continua situazione di risposta (cfr.: “Quando sei invitato, vatti a mettere all’ultimo posto… perché chi ti
ha invitato ti dica: Sali più su”). Egli ci invita a doni maggiori fino
alla vita eterna. Sembra facile, ma non lo è, perché fede è passione per, è
vita. È difficile perché sostanzialmente noi crediamo in altro, quante ore
al giorno noi viviamo per altro! E
questo dovrebbe creare disagio in noi. Invece il vivere sempre per Dio non
crea disagio in noi, ma gioia, perché è l’anima che vuole questo perché è
la Verità.
Credetemi: io
sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
Gv 14 Vs 13
Titolo:
Argomenti:
15/Novembre/1980
Dobbiamo tenere presente che il linguaggio che usa Gesù
in questi capitoli è un linguaggio che prepara l’anima alla Pentecoste: rivela
realtà che l’anima potrà cogliere in pienezza e constatare solo a Pentecoste.
-- Per precisare questo “Nome di Gesù” dobbiamo dire chi è il Cristo e quand’è che siamo
con Cristo. Cristo è il Pensiero Incarnato del Padre e siamo con Lui
quando? Il Pensiero Incarnato parla a noi del Padre, poiché il Pensiero che
si annuncia ad una creatura annuncia ciò che porta in Sé: il Padre. Siamo
col Cristo, il Pensiero del Padre Incarnato nella misura in cui desideriamo di
conoscere il Padre. Il Figlio incarnandosi cosa fa? Viene per parlarci del
Padre, perché solo la “parola” può
arrivare a noi, perché Dio non lo vediamo.
Anch’io se
voglio comunicare qualcosa a chi non vedo, ho solo la parola come mezzo,
perché la parola è il segno per l’altra persona con cui voglio comunicare: chi
parla, parla per suscitare nell’altra persona il desiderio di vedere quello che
lei vede.
Così il Figlio parla a noi per suscitare in noi il
desiderio di vedere quello che Lui vede per infonderci il desiderio del
Padre, di conoscere il Padre, affinché siamo fatti partecipi della sua vita,
della sua gloria.
Noi siamo con Cristo quindi se guardiamo al Padre, se
desideriamo quello che Lui vuole che desideriamo, cioè se desideriamo di
conoscere il Padre, perché il Figlio vuole farci desiderare di conoscere il
Padre, perché senza questo desiderio l’anima non può arrivare a conoscere il
Padre. Quindi chiedere nel suo Nome vuol dire chiedere quello che Lui vuole
comunicarci: il desiderio di conoscere il Padre. Questo desiderio è la
condizione indispensabile perché la conoscenza presuppone, oltre una Realtà
oggettiva (la Verità), anche una dimensione personale. Senza questa dimensione
personale l’anima non può conoscere.
Il Figlio opera tra noi per formare la fame di Dio
(e la forma nella misura in cui noi lo ascoltiamo), perché senza la fame non si
può gustare il Pane (= conoscere). Chiedere nel Nome di Gesù è quindi
desiderare di conoscere il Padre. Se noi abbiamo questo desiderio perché
abbiamo ascoltato Lui, il Figlio soddisferà la nostra fame. Ce lo
promette, dicendoci: “lo farò”,
cioè soddisferò questo desiderio. Ci da qui una garanzia, una promessa: se
noi desideriamo di conoscere Dio, ci assicura che conosceremo Dio.
Qualunque cosa chiederemo in ordine a conoscere Dio, Lui ce la concederà
(questo vuol dire chiedere in suo Nome), perché il nome del Figlio è il suo
amore: il Padre. “Lo farò”:
soddisferò al vostro desiderio.
“Se resterete nelle mie parole,
conoscerete la Verità”. Quindi restare nelle sue parole è uguale a
chiedere nel suo Nome. Infatti Lui parlando, se noi lo ascoltiamo, ci
trasforma in fame, perché le sue parole suscitano in noi il desiderio di vedere
ciò che Lui vede. Le sue parole sono come un rumore che ci arriva, ma vanno
credute: ma per credere debbo essere disponibile: mi annuncia cose che non
capisco ancora (ma se me le annuncia, già me le promette); se le ascolto, si
forma in me il desiderio di vedere ciò di cui mi parlano e il desiderio mi
fa capace di vederlo, perché il desiderio cresce, cresce, ecc. , come una
pentola in ebollizione che raggiunge una temperatura tale che da un certo
momento trasforma tutto in vapore, così questo desiderio cresce al punto
tale che ad un certo momento viviamo solo più per arrivare là, ci
trasforma in quell’unico desiderio che ci fa capaci di fare salti mortali
per vedere ciò che desideriamo vedere
prima di tutto. Il Figlio parlando a noi vuole farci vivere unicamente per il
Padre affinché ci sia concesso di giungere alla conoscenza del Padre.
Silvana:Questo chiedere nel suo Nome ed ottenere, vale anche per
la preghiera per gli altri?
Luigi: Nessuna preghiera va persa. Ma per chiedere nel suo
Nome, non basta dire “nel nome di
Gesù”, se ho altri pensieri o desideri diversi da quelli di Gesù.
Chiedo in suo Nome quando partecipo del suo desiderio e pensiero. Per stare con
Lui cioè per chiedere nel suo Nome debbo desiderare ciò che Lui desidera,
poiché Dio ci osserva nei pensieri, nella sostanza.
Infatti il nome del Figlio è il nome di Colui che vive
per il Padre: il suo Amore è il Padre, il suo Pensiero è il Padre, la sua
Passione è il Padre, il suo sguardo è il Padre, la sua Volontà è il Padre la
sua Intenzione è il Padre. Quindi sono con Lui e prego nel suo nome anche
per gli altri, se guardo a ciò che Lui guarda. Se invece prego per il
benessere mio o di altri, la preghiera è fallita : non prego nel suo Nome,
perché il nome di ognuno è il suo amore, ciò che desidera. L’amore del
Figlio è il Padre, La molteplicità di amori ci rende deboli, incapaci quindi
il nome del Figlio è il Padre, è amore per il Padre. Una creatura non ha più
nome quando ha troppi nomi, cioè troppi amori (anche il diavolo ha tanti nomi
perché ha tanti amori)., ci dà tanti volti per cui noi cambiamo a seconda degli
ambienti in cui ci troviamo, quindi siamo senza nome. Questo avviene
quanto più ci allontaniamo da Dio: lontani da Dio abbiamo tanti nomi perché
abbiamo tanti amori. Invece più ci avviciniamo a Dio e più Lui ci unifica
in un unico amore, poiché Dio è il vero
formatore delle persone; solo Lui costruisce l’unità di nome e di vita.
Ida: Egli ci dice: “Lo farò”, però non sempre mi esaudisce
quando gli chiedo che mi aiuti a superare la mia debolezza, ad es. la golosità.
Vuol dire che il tempo per esaudire la mia preghiera lo fissa Lui?
Luigi: Sì, il
tempo è di Dio, poiché Dio sta formando la nostra anima, per cui ci vuole
pazienza e costanza nel chiedere e nell’attendere: “ È con la pazienza che possederete le anime vostre”. Però è da
notare che ogni nostra preghiera sostanzialmente è subito esaudita, anche se a
noi non sembra ancora. Infatti facendoci scoprire la nostra povertà (ad es.
perché non riusciamo a vincere la golosità) è segno che ha soddisfatto la
nostra preghiera: scoprire questo è grazia di Dio! Se chiedo di vincere la mia
golosità e non ci riesco è segno della mia debolezza, tocco con mano la
mia povertà. La creatura che scopre la sua povertà è in grazia di Dio: Dio sta
inondandola di grazie (invece è lontana da Dio quando si vanta, magari di aver
vinto la golosità): Dio la sta avvicinando, quindi sta rispondendo alla
preghiera. Quanto più crediamo di essere qualcuno, tanto più le nostre
preghiere non sono ascoltate. Ma quando incominciamo a scoprire il nostro
niente, cominciamo a scoprire il bisogno di Dio. Non sei tu che scopri
tutto ciò, ma è Dio che si è avvicinato e ti fa sentire la povertà. Non è
quindi questione di vincere o no la golosità, di mangiare la bignola o non
mangiarla: se non ci aiuta a superare questo, Egli ci dà però un dono
maggiore, proprio non dandoci ciò che abbiamo chiesto, perché ci fa scoprire la
nostra povertà: ci prepara cioè ad una grande liberazione che è
preparazione alla dipendenza da Lui in tutto. Quindi dobbiamo dirgli: “Mi hai fatto una grande grazia: mi
hai fatto toccare con mano la mia miseria e quindi mi hai fatto capire che
debbo far conto su di te e non su di me”. Egli ci libera quando
lo preghiamo, dal vero male. Il vero male è il non tener conto di Dio,
non far conto su Dio, cioè è un male tutto interiore. Se io non tengo conto
di Dio, se non faccio conto su Dio, allora Lui mi fa sperimentare tante
schiavitù, mi sottomette a tante debolezze, per farmi prendere consapevolezza
di quello che vuol dire non far conto su di Lui:“Non hai tenuto presente Me, vedi
allora che cosa combini senza di me?” Questo è grazia. Mi hai
richiamato a Te, Signore!
Facendoci toccare con mano le nostre schiavitù vi rivela
che abbiamo bisogno di pensare continuamente a Lui. Egli
dialoga continuamente con noi, per farci capire l’importanza che Lui ha per
ognuno di noi, per “me personalmente”.
Quindi la preghiera non è stata esaudita secondo me, ma è stata esaudita
secondo Dio. Andando oltre le apparenze, scopri che Dio, ogni volta che lo
preghi, ti dà qualcosa di sostanziale.
Margherita: Questa parola di Gesù “lo farò” è un incentivo che fa aumentare la fede.
Luigi: È una cosa meravigliosa, una grande promessa che stimola
la nostra fede. È promessa che quando si avvera, ci convince sempre più che
Lui è Dio. Cioè, quando si avvera, riconosciamo la Divinità del Cristo,
perché Dio “ha fatto”. Le cose
cioè avvengono come Lui ha detto. Quanto più constatiamo che quello che il
Figlio ha detto è vero, tanto più constatiamo la sua Divinità: allora il Padre
viene glorificato nel Figlio. La fede allora diventa gigante. Cfr.: Il
Cottolengo che butta dalla finestra l’ultimo scudo su cui faceva ancora
conto la suora, per testimoniare la sua fede totale in Dio. Chi ha
sperimentato Dio, chi constata la sua Presenza e Provvidenza non
dubita più. Bisogna sempre superarsi e superare le sicurezze umane,
con la fede in Dio. Più perdi e più guadagni. Il vero guadagno sta nel perdere.
Invece noi perdiamo volendo trattenere. Butta via, vedrai ciò che il Signore
fa, perché crescerai nella fede alla Presenza di Dio, facendo conto su Dio. Se
invece facciamo conto su altro, ci chiudiamo in cose meschine, in paure, ecc.
Bisogna superarsi e superare queste cose.
--“Affinché il
Padre sia glorificato nel Figlio”: è scoperta della Divinità del
Figlio, è sperimentare che nella Realtà le cose avvengono veramente come
Lui ha detto, che la Realtà è quella. Arriverà il giorno in cui capiremo
che Colui che ci parlava così è il Figlio.
--“ Il Padre sarà
glorificato nel Figlio”: rivelato, manifestato, fatto conoscere.
Cioè il Figlio farà quanto abbiamo chiesto nel suo Nome, affinché il Padre sia
glorificato, manifestato, conosciuto, (chiedere nel suo nome è desiderare di
conoscere appunto il Padre).
Pensieri conclusivi:
Silvana: Il Signore ci dà la certezza di esaudirci se vogliamo
conoscere Dio (Lui ci dà la certezza dicendoci:“Lo farò”).
Piero: Siamo piccoli di fronte al Signore.
Ida: Rendiamoci conto
di essere deboli, chiedere la forza di confidare sempre più in Lui (questa
fiducia in Lui è molto importante).
Margherita: Chiedere il dono della fede, perché tutto
ruota attorno a questo.
Antonio: Il vero guadagno è perdere: ma è un atteggiamento
positivo perché è un far conto solo su Dio.
C.: “Chi crede in Me
compirà le opere che Io faccio e opere più grandi ancora”: la fede in
Cristo porta a questa trasformazione di vita (a doni sempre maggiori, perché
Dio è Infinito, quindi non si esaurisce mai; per cui questa parola “ne farà di più grandi” la troveremo
eternamente, quindi ci porta a doni e vita all’infinito).
Nino: Quello che è fatto fuori dal Pensiero di Dio, tutto è
zero, così pure ciò che non facciamo nel suo nome ( è sangue di Cristo
sprecato).
Marco: Avvicinarmi a Dio come Padre.
B.: Fiducia che Dio mi porterà alla Pentecoste nonostante le
mie debolezze (è grazia la debolezza).
Pinuccia: Questa promessa di doni maggiori è un invito a superarmi
sempre, a non accontentarsi mai; è un invito a stare con Lui per giungere a
questi doni promessi (questo superamento va fatto per
Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro,
credetelo per le opere stesse. Gv 14 Vs
14
Titolo:
Argomenti:
22/Novembre/1980
Nino:
Qui promette che farà qualunque cosa noi chiederemo secondo l’intenzione del
Padre.
Luigi:
Secondo l’intenzione del Figlio, perché dice: “in mio nome”, “mio”,
personale, quindi evidentemente è l’intenzione del Figlio; l’intenzione del Figlio è l’intenzione del Padre, perché Gesù è il
Pensiero del Padre, è la Volontà del Padre. Invece se noi chiediamo
qualcosa nel pensiero nostro o con l’intenzione di strumentalizzare Dio per
qualche favore, questa richiesta non sarà esaudita. Gesù ci fa una promessa: ci
promette che se noi restiamo in linea con il Pensiero del Padre non avremo
ostacoli nel nostro progresso, otterremo tutto: “tutto ciò che domanderete…”, perché prima, al v.13 disse: “Tutto ciò che domanderete al Padre
in nome mio”, ora dice: “Tutto
quanto domanderete a me in nome mio”. Prima: “Tutto quello che domanderete al Padre”;
adesso: “Tutto quello che domanderete
a me”. L’elemento comune tra tutti e due è “in nome mio”.
Nino:
Quindi non solo il pensiero, ma è proprio la Persona Figlio che ci viene
proposta.
Luigi:
Sì. Dice: “In nome mio”, cioè nella
sua intenzione. Bisogna precisare quale è l’intenzione del Figlio,
perché tutta l’opera del Cristo è di educare noi a diventare figli di Dio,
ci insegna come si vive da figli di Dio e nello stesso tempo ci prepara alla
Pentecoste; perché Lui nelle sue Parole sta già ponendo semi di Pentecoste
in noi, e in questa Pentecoste c’è la scoperta del Padre e del Figlio. Quindi ci
sta educando al rapporto intimo, personale che passa tra Padre e Figlio,
perché: “Noi verremo a Lui e
faremo abitazione in Lui”, e questo Gesù lo dice verso ogni discepolo,
verso chi l’ascolta.
Comunque
chiedere in nome suo, evidentemente vuol dire chiedere nella sua
intenzione. E quale è l’intenzione del Figlio?
Nino:
Fare la Volontà del Padre che vuole farci suoi figli.
Luigi: Il
Figlio è Colui che in tutto glorifica il Padre, e l’intenzione del Figlio è
quella di glorificare in tutto il Padre. Quindi: “tutto quello che voi domanderete, per glorificare il Padre, cioè
per conoscere la luce della verità, lo otterrete”. “Tutto quello che voi cercherete, chiederete, per conoscere la Verità
(ecco la promessa: “conoscerete la Verità”), io vi prometto che lo otterrete,
vi prometto che lo farò”. Se uno ad esempio chiede di guadagnare dei
milioni ( “Signore tu mi hai detto di
chiederti qualunque cosa: fammi guadagnare dei milioni”) il Signore non
glieli fa guadagnare.
A.:
Praticamente è chiedere quello che Lui vuole darci, no?
Luigi:
Sì, è essere in sintonia con il Figlio. Il
Figlio è Colui che in tutto riconosce il Padre. Noi siamo chiamati in
tutto a riconoscere il Padre. Cosa vuol dire? Siamo chiamati a non ritenerci
mai autonomi, a non ritenere mai le creature autonome, ma in tutto quanto
bisogna cercare sempre l’intenzione del Padre, perché l’iniziativa è del
Padre; Colui che opera, il Protagonista di tutti gli avvenimenti, di tutta
la storia, della vita di ogni uomo, è sempre il Padre. Quindi glorifica il
Padre! Riconosci il Padre! Riconosci la sua Presenza, la sua Verità, la sua
Operazione, la sua Volontà in tutto, se vuoi abitare nella Verità. Per
riconoscere questo l’uomo deve in continuazione superare se stesso, superare le
creature, superare l’apparenza degli avvenimenti. È l’esempio della chiave
inglese. Ecco, va superata la chiave inglese: bisogna vedere Colui che
arriva a noi “con” la chiave inglese e non fermarci alla chiave inglese, allo
strumento. Tutte le creature sono degli strumenti. Colui che viene a noi
“attraverso” questi strumenti è il Figlio, il Pensiero del Padre,
l’intenzione del Padre. Il Figlio di Dio è Colui che in tutto glorifica,
riconosce il Padre, riconosce che tutto riceve dal Padre e che tutto fa ritorno
al Padre. Quanto più noi facciamo questo, tanto più ci avviciniamo
all’essere figli. Il Figlio di Dio è Colui che in tutto riconosce e
glorifica il Padre. Questa è l’intenzione del Figlio, e questa è quindi
l’intenzione che ognuno di noi deve preoccuparsi di avere. Quindi non
fermiamoci mai alle creature, agli avvenimenti o al caso o alla natura o alle
leggi staccate da Dio, ma in tutto cerchiamo sempre il rapporto con Dio. E questa è la
caratteristica del Figlio: quella di cercare sempre il rapporto tra
l’opera e il Creatore, tra la Parola e Colui che la pronuncia. Egli non
divide mai niente. Invece noi siamo portati a dividere, a separare sempre
tutto. Il diavolo è colui che divide tutto, cioè divide la creazione dal
Creatore.
Marco:
Questo cercare il rapporto tra la
creatura e il Creatore si rivela poi nel cercare una nostra unione con
il Padre, no?
Luigi: L’unione
è una conseguenza. Chi raccoglie, resta resta raccolto.
Marco: Cosa
vuol dire raccogliere in Dio?
Luigi: Prima
di tutto, bisogna accogliere tutto da Dio sapendo che tutto viene da Dio;
dobbiamo accogliere tutto da Dio. Quindi non attribuirlo ad esempio alle
creature o al caso, ecc. Tutto, in quanto accade, mi piaccia o non mi piaccia, in
quanto viene, mi accade, succede, è opera di Dio, è Dio che me lo manda.
Ora, Dio me l’ha mandato, io lo accetto, anche se non capisco niente, perché
Lui sta operando su di noi, sta lavorando, sta facendoci: non siamo
fatti, ma sta facendoci. Adesso, avendo accolto, cerchiamo di raccoglierlo
in Dio, cioè di vederlo nella sua intenzione: “Perché Signore? Che cosa mi vuoi dire? Quale lezione mi hai voluto
dare o mi vuoi dare attraverso questa parola, attraverso questo
incontro, attraverso questo fatto? Che cosa mi vuoi significare?” Dio
in tutto ciò che manda a noi, parla a noi. Il suo operare è un parlare, perché
Dio significa Se stesso. Allora noi dobbiamo accogliere tutto sapendo che
c’è Dio e dobbiamo cercare il significato in Dio, cioè il Pensiero di Dio.
Ma cercare il suo Pensiero vuol dire cercare suo Figlio, cercare il
Verbo (Pensiero del Padre è il Verbo). E questo è domandare. “Qualunque cosa domanderete”: domandare,
cioè cercare il Pensiero del Padre è domandare al Padre l’intenzione con cui
Lui opera o ci presenta le cose. Operando questo, cercando questo (e questa
è vera preghiera, perché è elevazione della mente a Dio e noi non potremmo
elevarci se Dio non facesse arrivare qualcosa a noi attraverso cui ci sollecita
ad alzare gli occhi a Lui), raccogliendo, quindi riportando a Dio (“Dà a Dio quello che è di Dio”, questa è
la vera giustizia), noi ci riportiamo a Dio. Raccogliendo restiamo
raccolti. Noi abbiamo molta difficoltà a raccoglierci, perché raccogliamo
poco. Ma se noi incominciamo a raccogliere molto in Dio, quanto più
raccogliamo, tanto più sarà molto facile a noi essere raccolti. Ad un
certo momento c’è l’unione. L’unione è data dal tanto raccoglimento, cioè
da quanto tu hai raccolto. Ognuno ha la possibilità di essere unito a Dio
nella misura in cui ha raccolto in Dio.
Ida:
Come faccio a capire che il significato che io do a una cosa è proprio quello
di Dio?
Luigi: Non
sei tu che lo dai, è Dio che lo dà; perché qui dice: “qualunque cosa domanderete in mio nome”: domandare in suo nome
vuol proprio dire cercare il significato, il Pensiero di Dio in tutto e Lui
dice: “Io lo farò”, cioè “Io ve lo farò conoscere”.
Ida:
Ma qualche volta diamo il significato che vogliamo noi, e allora come facciamo
a saperlo?
Luigi:
Certo, può succedere che diamo il significato che vogliamo noi. Ma noi dobbiamo
sapere ciò che vogliamo. Il significato di Dio dobbiamo cercarlo nel
raccoglimento in Dio, perché Dio ci promette che Lui ci rivela quanto cerchiamo.
Ida:
Però non avremo mai la sicurezza che quello è proprio il significato di Dio.
Luigi: Quanto
più conosceremo Dio, tanto più avremo la sicurezza di quello che vuole Dio;
perché la sicurezza è una meta. La certezza è una meta. La conoscenza
della Verità è una meta. Certo, è logico, quando noi raccogliamo poco siamo
molto insicuri; chi è lontano è sempre incerto; chi è in cammino è sempre
nel dubbio: questa strada mi porterà nel giusto o no? Mi porterà a quel
paese o no? Continua a camminare: quando arriverai, constaterai: ah, sì,
era proprio quella la strada! Ecco, è la meta! È nella meta che c’è la
sicurezza, la certezza. Noi non possiamo cercare la certezza prima. Cammina!
Quando sarai arrivato, constaterai ed allora avrai la sicurezza. La
sicurezza è data dalla visione. Quando
uno vede che tutte le cose coincidono, collimano, confermano, ecc. può dire: “ah, è proprio così!”. Allora uno ha
la testimonianza di tutto: questa è la
meta. E questa è una conseguenza dell’ubbidienza. Infatti noi siamo
insicuri, incerti, appunto perché ubbidiamo poco. Allora siamo molto
dispersi. Nella dispersione, nella lontananza da Dio c’è insicurezza, c’è
dubbio, c’è incertezza: ma questo è effetto di lontananza. Il dubbio è il
segno della nostra lontananza, ma nello stesso tempo è anche sollecitazione da
parte di Dio ad avvicinarci. Con il dubbio Dio ci dice: “Guarda, tu sei confuso, sei nella notte,
sei nelle tenebre”; nelle tenebre uno non sa dove va, c’è il dubbio, c’è
l’incertezza. Questo è segno che si è molto lontani. Affrettiamoci
allora! “Affrettati a cercare Me,
a raccoglierti in Me, nel silenzio e raccoglimento”.
Nino:
Obbedienza vuol poi dire fede, no?
Luigi: Sì,
la vera fede appunto è obbedienza, è ricerca. Perché la fede è passione
per l’unità. Quando uno ha la passione per l’unità di Dio tutto quanto
riferisce a Dio, tutto quanto riporta a Dio e non è soddisfatto fintanto che
non vede le cose in Dio. E questo vuol dire cercare, questo vuol dire
domandare, chiedere. La fede ci fa chiedere. La fede che non chiede, la
fede che non conclude in amore, non è fede: è un nome vano, non è passione. La
fede è passione per l’unità di Dio. Quindi è voler vedere in tutto il
Pensiero di Dio, è glorificare Dio in tutto. Siamo fatti per glorificare
Dio. Glorificare Dio vuol dire cercare la sua Verità in tutto, non
accontentarsi di quello che dicono gli uomini, di quello che appare ai nostri
sensi, delle nostre intuizioni; vuol dire cercare presso Dio. E
questo è domandare, è il vero domandare.
A.: Quindi chiedere nel nome di Gesù è
chiedere secondo la sua Volontà.
Luigi:
Sì. Bisogna precisare che cosa è Gesù. Gesù essendo Figlio di Dio è Colui che
in tutto si preoccupa di glorificare il Padre, in tutto riconosce l’opera del
Padre, in tutto accetta l’opera del Padre e tutto riporta al Padre. Questo è la
caratteristica del Figlio. E il Figlio parla a noi (e questo è vero
amore) per insegnare a noi come si vive da figli di Dio, affinché anche
noi sappiamo come si vive da figli di Dio.
Pr.: La certezza però io posso averla anche
prima di arrivare alla meta, perché qui dice: “Io lo farò”, se chiediamo nel modo giusto, anche se siamo lontani.
Luigi:
Sì, se abbiamo fede. Si presuppone sempre la fede in quello che Lui ci
dice. Certo in queste sue parole c’è una promessa, è una promessa di Dio: “Io lo farò”. Però fintanto che
ascoltiamo e non abbiamo ancora esperimentato che “Lui fa”, possiamo
essere insicuri. Certo, se chiediamo, ad un certo momento ci accorgiamo che Lui
fa, che effettivamente risponde, constatiamo: “ah, è proprio vero!” ed allora incominciamo ad avere una
sicurezza. Perché se ad una persona che mi dice: “domanda, e ti darò ciò che chiedi” chiedo ad es. un milione e quel
milione mi arriva, dico: “ah, è proprio
vero quello che mi ha detto!”: mi ha detto di chiedere e lo ottengo, allora
ho la sicurezza. Indubbiamente, verso Dio devo chiedere “in nome mio”, cioè nella sua
intenzione, quello che Lui vuole comunicarmi. Ora, la sua intenzione è
l’intenzione del Figlio. Quindi: “qualunque
cosa voi cercherete in Dio (riportate in Dio) per ottenere la luce, per
conoscere la Verità, vi assicuro che vi sarà dato”. Non dice che ce lo
dà subito, perché molte volte ce lo fa aspettare, però ce lo fa aspettare
perché la nostra anima non è preparata ad accoglierlo; ma c’è la promessa: “lo farò”. Ora, questa promessa deve
dare a noi la pazienza: pazienza nel vero senso di passione per, la
pazienza di aspettare il dono, sapendo che Lui ce lo vuole dare. Lui ce
l’ha promesso. Quindi chiede: “Sii
paziente! Al momento opportuno ti sarà dato”, cioè la luce viene. L’importante
è cercare la luce, e la Luce viene. Ora, cercare la luce vuol proprio
dire cercare il Pensiero del Padre in quello che Lui mi manda. Per cui: il
Signore ti ha mandato questo? Ecco, tu accoglilo da Dio, cerca presso Dio qual
è il suo Pensiero, qual è la sua intenzione, che cosa ti vuole o ha
voluto comunicarti attraverso questo fatto e Lui ti promette che te lo
rivelerà. Allora, se uno esperimenta questo, quanto più esperimenta, tanto
più naturalmente incomincia ad entrare nel campo della Verità, cioè nel
campo delle certezze, nel campo del Regno di Dio; incomincia a vedere il Regno
di Dio. E quanto più uno vede il Regno di Dio, tanto più è libero, perché noi
siamo schiavi di- in quanto non vediamo il Regno di Dio; e allora abbiamo
paura: “sì, sì, Dio esiste, ma può darsi
che…; se io non ho i soldi come faccio? se io non ho il lavoro come faccio? se
io non ho dei conoscenti come faccio? ecc.”. In questo caso credo in Dio,
ma ho delle insicurezze. Quanto più uno esperimenta che Dio è Colui che regna
in tutto tanto più è libero da tutto, perché non fa più conto su se stesso, su
quello o quell’altro. Perché tutto viene da Dio. Ma questo indubbiamente è una
conseguenza dell’avere esperimentato. Ora, per esperimentare bisogna
chiedere, bisogna domandare, bisogna cercare, bisogna cercare
la luce, il significato, il Pensiero di Dio in tutto.
Pinuccia:
Chiedere nel “suo nome” vuol dire
chiedere secondo l’intenzione del Figlio, e l’intenzione del Figlio è
glorificare il Padre.
Luigi:
Quindi dobbiamo desiderare anche noi di glorificare il Padre. Chiedere in suo
nome vuol dire chiedere “tutto quello che
riguarda la glorificazione del Padre, cioè la conoscenza della Verità del
Padre”.
Pinuccia:
Quindi anche in questo versetto, Egli potrebbe concludere come ha concluso il
versetto precedente ( “Tutto ciò che
domanderete al Padre in nome mio io lo farò”): affinché il Padre sia
glorificato nel Figliuolo”.
Luigi:
Certo.
Pinuccia:
Allora, che si chieda al Padre o al Figlio, il Figlio lo farà affinché il Padre
sia glorificato.
Luigi:
Sì, certo. Ma stiamo sempre attenti che Lui ci sta educando alla Pentecoste,
cioè ci sta educando alla scoperta
della Persona del Padre e della Persona del Figlio. Infatti dice: “Qualunque cosa voi domanderete al
Padre…” e adesso dice: “Qualunque
cosa voi domanderete a Me…”. Vedi? Padre e Me… E tutte e due le volte dice:
“Io lo farò” e l’elemento comune è
sempre questo “in nome mio”, perché
noi possiamo chiedere al Padre non in nome suo e allora non verrà fatto.
Chiedere nel nome di Gesù non è dire il nome di Gesù; cioè: mi rivolgo al Padre
e gli dico: “Nel nome del tuo Figlio Gesù
fammi guadagnare mille lire”, perché certamente Lui non me le dà; in tal
caso io debbo concludere che ha detto
una cosa non vera? No, non è la cosa che non è vera, sono io che non ho
capito il suo Nome. Cioè io mi sono fermato al nome Gesù, all’espressione
superficiale, all’espressione esteriore, nominale, non ho cercato invece la sua
intenzione. In tutte le cose dobbiamo sempre cercare lo Spirito di quello
che Lui dice. Ora, qual è lo Spirito del termine “ in nome mio”? Noi domandiamo in nome suo in quanto abbiamo
la stessa sua intenzione, cioè vogliamo
glorificare il Padre. Allora “qualunque
cosa voi domanderete, chiederete, cercherete per conoscere la gloria del Padre,
io vi assicuro…” Questa è la Parola di Dio: “Io vi assicuro che questo vi darò. Sei nella notte? Cerchi la luce? Ti assicuro che la luce sorgerà per
te”. Ecco la promessa del Signore! “Io
ti assicuro che la Luce sorgerà”: abbi solo pazienza! Chiedi,
insisti, cioè entra in questo rapporto di preghiera, in questo
rapporto personale. Egli dice: “Quando
vuoi pregare, entra nel segreto della tua stanza (qualunque cosa chiederete al
Padre: chiedere al Padre vuol dire entrare in preghiera), e lì nel segreto rivolgiti al Padre, perché
il Padre ti ascolta!” Ascolta vuol dire che risponde. Questo “chiudi
l’uscio” e “rivolgiti al Padre”
vuol dire presentare al Padre il bisogno essenziale della nostra anima,
che è bisogno di Luce. Ora, il Padre ascolta questo bisogno. Cosa vuol dire
ascolta? Risponde a questo bisogno, quindi illumina l’anima. Cioè
ad un certo momento ci fa capire che in
questo nostro bisogno, in questa nostra ricerca c’è già Lui: “Tu non mi cercheresti, se non mi avessi già
trovato. Tu non sentiresti il bisogno di Me, se già non mi avessi già
presente”. Infatti noi non possiamo desiderare una cosa se in certo qual
modo noi non l’abbiamo presente. Noi non possiamo volere una cosa che
ignoriamo: dobbiamo averla presente.
Pinuccia:
Quindi questo “affinché il Padre sia
glorificato nel Figlio” esprime proprio l’intenzione del Figlio.
Luigi: Il
Padre è glorificato solo nel Figlio. Cioè, qui siamo in quei termini su cui
ci siamo già soffermati diverse volte: quando noi preghiamo Dio, noi pensiamo
Dio, non siamo noi che pensiamo Dio; perché noi quando pensiamo Dio, o pensiamo il Padre, Lo pensiamo con il Pensiero
del Padre, con il Pensiero di Dio, quindi siamo col Figlio. È il
Figlio in noi che guarda il Padre, è il Figlio in noi che prega il Padre. Noi
non potremmo desiderare la Verità, se non avessimo già in noi questo pensiero
della Verità. Quindi quando noi pensiamo Dio, noi pensiamo a Dio col
Pensiero di Dio, cioè col Figlio. E allora ecco che qui abbiamo la
glorificazione del Padre e del Figlio. Glorificazione è rivelazione,
manifestazione di ciò che uno è in Dio, nella Verità.
Pinuccia:
Quindi “nel figliuolo” (“affinché il
Padre sia glorificato nel figliuolo”) vorrebbe dire “per mezzo del Figlio” cioè il Padre si manifesta a noi per
mezzo del Figlio?
Luigi:
Sì, ma è la glorificazione del Figlio! Il Padre è glorificato nel
Figlio, perché noi scopriamo anche il Figlio, non soltanto il Padre. Quindi
questo “nel” significa “per mezzo”, perché scopriamo anche il Figlio. Qui Gesù sta seminando semi di
Pentecoste, cioè sta parlando dei rapporti tra Padre e Figlio, tra le Persone
Divine, sta educando l’anima di chi ascolta alla scoperta del Padre e del
Figlio: perché noi, ascoltando le parole del Cristo, siamo inseriti
nella vita eterna. E la vera vita eterna è conoscere Dio come vero Dio, quindi siamo
inseriti nella vita Trinitaria.
Ida:
Noi dobbiamo avere pazienza, ma il Padre deve aver pazienza più di noi, perché
deve attendere il momento opportuno per darci i suoi doni; ad es. il dono della
preghiera.
Luigi:
Sì. Non ti sei mai trovata con dei bambini che scappano da tutte le parti?
Ebbene, quelli sono soltanto uno specchio dei nostri pensieri, della nostra
anima, che scappano da Dio da tutte le parti.
Ida:
Mi succede di chiedere determinate cose nel suo nome, ma poi magari il giorno
dopo è come se non le avessi chieste.
Luigi: Non
è con le parole che noi chiediamo a Dio. È proprio con pensiero paziente, cioè
col pensiero che si ferma a guardare Dio per ricevere ciò che chiediamo. È
lì il lavoro di pazienza. “Con
pazienza giungerete a possedere le anime vostre” dice Gesù. “Con la pazienza”. Certo, è logico, noi
non potremmo avere pazienza se qualcuno non ce la desse. Il primo donatore, la
fonte della pazienza è proprio Dio. È Lui che dona a noi la pazienza. Tutto
quello che noi abbiamo è sempre una risposta. Se noi siamo capaci di amare, il
nostro amare è già una risposta all’Amore di Dio, cioè è Dio che per primo ama
noi. Se noi abbiamo qualche cosa di luce, questa è già una risposta. Se noi
sentiamo il bisogno di-, il nostro bisogno di- è già una risposta a Dio che ci
ha interrogati su qualche cosa. Tutto il nostro comportamento è sempre un
rispondere a-. Noi dobbiamo convincerci di questo. Ecco, non c’è
autonomia in noi: noi siamo creature e, in quanto creature, siamo sempre
dipendenti. Quindi tutto quello che hai non è tuo, l’hai sempre ricevuto e quello
che tu dici tuo, è soltanto una risposta a ciò che Dio ti ha dato. Noi da
soli siamo vuoto, siamo niente, siamo polvere e quindi non possiamo vantarci di
niente. Abbiamo vita? È perché abbiamo ricevuto vita. Abbiamo una carica di
amore? È perché abbiamo ricevuto amore. Abbiamo una carica di intelligenza? È
perché abbiamo ricevuto intelligenza. Siamo capaci di volere? È perché abbiamo
ricevuto volontà. Ecco, è tutto un rispondere. Però noi possiamo
essere in difetto rispetto ai doni ricevuti. Per cui noi riceviamo cento e
magari rispondiamo per dieci, per nove, cinque, ecc., oppure non rispondiamo.
Ma, in tutto ciò che noi sentiamo, abbiamo bisogno o crediamo, ecc. c’è
sempre un rispondere a Dio.
Ida:
Quando chiediamo una cosa e il Signore non ce la dà, il giorno dopo è
difficile dire: “Sia fatta la tua
Volontà”.
Luigi:
Sì, non è facile, certamente, però Lui ce lo fa dire, perché noi dobbiamo
scoprire qual è la sua vera Volontà. Noi il più delle volte chiediamo delle
cose che sono dannose. Dio, che conosce molto più di noi ciò di cui veramente
abbiamo bisogno non ce lo dà, per non farci dannare. Oppure magari chiediamo
anche la luce, chiediamo anche la Verità, però non abbiamo l’anima capace di
portarla. Gesù stesso dice: “Ho tante
cose da dirvi e da darvi, ma non siete capaci di portarle”. Ora, la
Verità richiede una veglia infinita, (perché la Verità è un Infinito) per
essere portata. Dio stesso dice: “non
date le vostre perle ai cani, non le possono comprendere, quindi le calpestano
e le distruggono”. Ecco, Dio da dei cani deve formare delle anime
capaci di accogliere i suoi doni. Dio sta lavorando per rendere noi capaci
di portare i suoi doni. Egli ha doni immensi da dare alle sue creature, ma il
più delle volte restano nelle sue mani, perché le creature non li cercano. Le
creature chiedono delle cose miserabili anziché chiedere dei doni veri, i doni
di vita eterna e questi restano sciupati.
“Se mi amate,
osservate i miei comandamenti”. Gv 14 Vs 15
Titolo:
Argomenti:
22/Novembre/1980
Nino: L’amore si dimostra cercando sempre l’intenzione
dell’Altro, non affermando la nostra volontà, la nostra intenzione.
Luigi: Certo. Egli dice: “osserverete”,
cioè osserverete la mia intenzione nelle mie parole, osserverete il mio
Pensiero, le mie parole. Infatti altrove dice anche: “se mi amate osserverete le mie parole”. Osservare vuol dire
cercare di capire: “cercherete di
custodire, di meditare, di approfondire, di capire, quelle cose che vi ho
detto”. E una delle prime parole che Lui ci dice è questa: “Non preoccupatevi del mangiare e del
vestire: cercate prima di tutto il Regno di Dio”. Quindi: “se mi amate, osservate quello che Io vi
ho detto, cioè cercate prima di tutto il Regno di Dio”.Nella misura in
cui ci impegniamo a cercare prima di tutto il Regno di Dio, si rivela
l’amore. Il più delle volte riteniamo che l’amore sia sentimento; magari
diciamo: “Signore, io ti amo con tutto il
cuore”, ma poi cerchiamo altro. In tal caso ci sentiremo dire: “se mi amate, cercate quello che io vi
dico di cercare; ma se voi non cercate quello che io vi dico di cercare,
anche se a parole, con la bocca, voi dite che mi amate, il vostro amore non
è sincero, non è autentico, è ben altro!”
Silvana: Qui però Gesù ci dice di osservare i suoi comandamenti
(plurale) non uno solo, anche se nel primo ci sono tutti gli altri dieci.
Luigi: Nella parola “comandamenti”, anche se quei dieci sono
inclusi, si intende il suo parlare, le sue parole: “osservate le mie parole” o per lo meno: “osserverete l’intenzione delle mie parole, lo spirito delle mie
parole”, cioè la sua Volontà che è nelle sue parole. Infatti
dice: “miei”: cioè “quello che io
voglio”. “Osserverete quello che
io voglio”, cioè “lo capirete”.
Noi tante volte leggiamo il Vangelo e non afferriamo la
Volontà del Cristo, il messaggio che c’è nel Vangelo. Il più delle volte si legge il Vangelo e si colgono norme morali,
leggi di comportamento, modi di essere; e si sente dire “Lui mi consiglia
questo e allora adesso mi comporterò così, farò questo o quello…”: non si
coglie l’anima. Ecco, il suo comandamento è cogliere l’anima; e cogliere
l’anima di Gesù è glorificare il Padre.
Quante volte uno legge il Vangelo e non capisce che al centro di tutta la vita del Cristo c’è
questo glorificare il Padre.
Lui viene a noi per farci conoscere il Padre. Invece noi il
più delle volte lo riteniamo come un Maestro di morale, di norme etiche, di
comportamento nei riguardi degli altri (amore verso gli altri,ecc.) e non
capiamo invece che l’anima di tutta la vita del Cristo, di tutto il suo messaggio,
la sua Volontà centrale, è proprio questa: Lui è venuto per dare a noi la
possibilità di conoscere la gloria del Padre: “affinché il mondo sappia che Io amo il Padre”. “Affinché il mondo sappia”. Lui va alla morte, alla morte di Croce
affinché il mondo sappia che Lui ama il Padre. Lì si rivela il vero
amore del Figlio di Dio, lì è il dono della sua vita. Egli è venuto a
donarci la sua vita; noi però questo suo dono lo intendiamo nel senso che
l’ha sacrificata. No, la sua vita è il Padre! Quindi Lui è venuto a
donarci la sua Vita!
Vita di uno è ciò che quell’uno ama, ciò per cui vive.
Egli è venuto a dare a noi ciò per cui Egli vive. Lui vive per il Padre ed è
venuto a dare a noi la sua vita, è venuto cioè a dare a noi il Padre. Noi
invece ci fermiamo alla sua vita fisica: Lui ha sacrificato la sua vita fisica,
quindi ha dato la sua vita fisica. Ha dato ben altro! Perché quand’anche avesse
dato la sua vita fisica e non avesse dato il Padre, il suo sacrificio sarebbe
vano. Quanti sacrificano la vita e muoiono,
offrono la loro vita fisica; ma il loro sacrificio è vano, non serve. Ora,
il sacrificio della sua vita fisica è stato soltanto un segno della vera vita
che Lui è venuto ad offrire. Lui è venuto ad offrire a noi la vita del
Padre, che è la sua vita, la vita del Figlio. È venuto ad offrire a noi il
Padre!
Marco: A me succede che rispondendo alla volontà di Dio con
l’intelligenza e non col cuore e non avendo fiducia nella forza che Lui mi
potrebbe dare, il mio io subisce una lacerazione; sia ad es. di fronte
ad una vetrina di sport come ad altre cose a cui rinunzio.
Luigi: C’è il conflitto. È logico, perché noi abbiamo
un fine e questo fine ci porta naturalmente ad essere interessati a tutti i
mezzi che servono per ottenere quel fine. Il problema nasce in quanto
noi vogliamo resistere ai mezzi senza distaccarci dal fine: è logico che ad
un certo momento questo si crea la lacerazione. Dobbiamo correggere il fine. Ad
esempio: fintanto che tu ami lo sport prima di tutto, quello sport ti condurrà
sempre alla vetrina dello sport. E se dici: “io
la vetrina non la voglio vedere”, allora si crea la lacerazione, perché tu
ami lo sport. Soltanto correggendo
l’amore, si corregge il cuore. Bisogna correggere il fine, questo è
essenziale, perché se io vivo per quella cosa, naturalmente quella cosa
mi porta a fare tutto una serie di scelte. E se mi propongo di non fare queste
scelte, anche perché magari entro in conflitto con la morale, ecc., creo lo
strazio dentro, perché io amo quella cosa. Ora, Dio invita a modificare il
fine: “No, quello che tu devi modificare non è la vetrina; devi modificare il
cuore, cioè devi modificare il fine, ciò che tu ami prima di tutto”. Se noi
avvertiamo lo strazio tra il fine e la vetrina è perché abbiamo un fine diverso
da quello che Dio vuole. Allora ad un certo momento ci troviamo in conflitto,
per cui siamo sollecitati a volere una cosa che ci accorgiamo che è una
debolezza e che è male. Da questa conflittualità deve nascere, se cerchiamo veramente
il Signore, l’interrogazione: “Perché mi
metti in questo conflitto? Perché
mi fai sentire questo strazio? Perché questo?”. Ecco, se cerchiamo presso
Dio, Dio risponde: “perché il tuo cuore è
orientato ad altro da Me non sei ancora orientato a Me; allora ti porto di
fronte ad una conflittualità”.
Pinuccia: Quindi è un aiuto questo conflitto.
Luigi: Tutto è aiuto da parte di Dio. Sono segnali, sono
semafori che il Signore mette sulla nostra strada per correggere la
meta. Lo scopo è sempre la correzione della meta, cioè la correzione
dell’amore.
Amalia: È sempre il fine che determina la nostra vita, il
comportamento ecc.
Luigi: È sempre il fine. Soltanto che il più delle volte noi
siamo determinati da fini che non mettiamo in discussione… Quindi è logico
che se io credo che sia un bene un certo fine, ad es. amo il denaro, perché
vedo che è utile, che serve, ecc., questo denaro indubbiamente mi porta a certe
scelte; ma queste scelte ad un certo momento diventano immorali, e allora lì
entra il conflitto. Ma il problema non sta nel modificare le scelte. Io
debbo modificare la prima scelta: l’amore essenziale. E fintanto che non
entro nella scoperta del vero fine che debbo volere, per cui debbo vivere, sarò
sempre in questi conflitti. Ed è Dio che mi conduce in questi conflitti.
Ed è opera di misericordia da parte di Dio, perché mi sta dietro per
aiutarmi a modificare il mio amore essenziale. È logico che se io vado a
Cuneo e ad un certo momento mi trovo sulla strada di Mondovì, e me ne accorgo
perché non trovo i paesi che dovrei trovare sul cammino, provo lo strazio. Ma
quei paesi diversi sono segnali per dirmi: “hai
sbagliato strada; guarda che tu devi andare in un altro luogo”. È un
indice, un semaforo. Sono semafori che il Signore ci mette per correggere la
finalità della nostra vita, la finalità che mettiamo prima di tutto.
Marco: Ognuno di noi però ha una strada, cioè deve portare
tutte le cose che possiede al Signore, e queste cose sono cose diverse.
Luigi: Certo. Però la meta è una sola, quindi l’amore è uno
solo. Dio è Uno solo. Teniamo sempre ben presente questo: Dio è uno solo, la meta è una sola. Però ognuno, in quanto
creatura, ha un suo spazio, un suo tempo, è creato in un ambiente
diversificato dall’altro, per cui ha anche temperamento, tendenze, natura
diverse dall’altro. Ma la meta è unica, per tutti. Allora ognuno ha un suo
baule da portarsi, da superare, però deve sempre guardare là, lo scopo è
sempre questo: Dio è la nostra Vita, il nostro fine.
Marco: Cioè dobbiamo riuscire ad accendere un fuoco con quello
che abbiamo.
Luigi: Certamente. Quindi anche tutto questo travaglio
personale per superare certe finalità.
A me, ad es., lo sport non dice assolutamente niente, per me non è un
travaglio, ma magari ho un travaglio in altri campi: ognuno ha un suo
travaglio. Ora, attraverso questo travaglio Dio forma la nostra anima e crea
la nostra persona, perché la formazione della nostra persona sta proprio in
questa fatica. Ora, come si verificherebbe la fatica se non ci fosse qualche cosa di pesante attorno a noi da
portare? Ecco, ognuno ha dei pesi diversi, però la meta è unica; e lì si forma
l’amore, si forma la fatica, si forma la persona, si forma la vita.
Pinuccia: Il peso è determinato da ciò che dobbiamo raccogliere in
Dio e che ci richiede un superamento, no?
Luigi: Il peso è determinato soprattutto da ciò che abbiamo
e che ci distrae da Dio; cioè da tutta la nostra natura che è fatta di
tante passionalità, per cui “questa cosa mi attira, quell’altra è un sogno,
quell’altra mi piace…”, da tutto quel mondo che ci è stato dato da Dio, ed è
dono di Dio, ma che Dio ci chiede di superare, perché proprio superandolo,
forma in noi la persona che ama. L’amore di una persona si rivela nella
misura in cui quella è capace di pagarlo. Ora, Dio ad ognuno di noi dà un
capitale. I capitali sono diversi, ma con il capitale di ognuno si può
comperare qualcosa di Dio. Noi comperiamo qualche cosa di Dio nella misura
in cui spendiamo per Dio quello che abbiamo. La difficoltà da parte nostra
è spendere. Noi abbiamo molta difficoltà a dare via quello che abbiamo, perché
vorremmo trovare Dio senza spendere niente (siamo scozzesi!); vogliamo entrare
in negozio, comperare tutto il negozio, ma non spendere niente. Noi facciamo
così, e allora tutta la difficoltà, tutta la tribolazione sta lì. Quindi vorrei
precisare questo: ognuno di noi è diverso dall’altro, ognuno di noi ha un
capitale diverso dall’altro, ma questo capitale è ciò che Dio mette nelle
nostre mani affinché possiamo comperare la sua Verità. Nella misura in cui
noi ci impegniamo a spendere abbiamo la capacità di ricevere. Naturalmente la
fatica è diversa, anche se c’è un comune denominatore per tutti. Dio attraverso
questi doni diversi sollecita gli uni e gli altri, per cui abbiamo uno scambio
reciproco: chi è buono per natura sollecita l’altro che magari è iroso a
diventare più docile, più umile; però chi è buono per natura avrà difficoltà
nel suo campo sotto un altro aspetto, e anche lui ha un prezzo da pagare.
Ognuno di noi ha un certo prezzo da pagare. L’amore si rivela nella misura in
cui sa pagare di persona (non bisogna far pagare gli altri); ecco, qui si
rivela l’amore e ognuno di noi riceve veramente doni da Dio, i doni che
restano, nella misura in cui paga di persona.
Ida: Arrivare alla meta è una grazia di Dio.
Luigi: Tutto è grazia. Anche il semplice fatto di pagare è già
grazia, il fatto di offrire qualcosa in nome dell’amore è già grazia.
Ida: Quindi noi dovremmo chiedere a Dio di farci arrivare
alla meta e anche la grazia, la forza di superare quella conflittualità che
sentiamo quando ad es. vediamo una vetrina di sport o di fronte a qualsiasi
altra cosa.
Luigi: Certo, dobbiamo chiedere, ma il problema non sta tanto
nel superare la vetrina, perché se io sento il conflitto con la vetrina, è
perché in me ho desideri diversi dall’essenzialità e Dio mi sta correggendo
l’essenziale; perché il problema è quello di formare l’armonia. Ad un
certo momento si forma l’armonia nel cuore, ecco, si ama Dio con “tutto” il cuore e con “tutta” la propria vita; ma in quanto
c’è questa finalità messa al posto giusto. Allora si valutano bene le cose,
i mezzi, e non c’è più niente che distragga, anzi tutto è un canto, tutto è
un aiuto. S. Francesco cantava: “Laudato sii, Mio Signore, per tutte le tue
creature”. Se si è orientati al giusto fine non c’è più il conflitto con la
creatura, perché anche la vetrina di sport è una creazione, è una creatura di
Dio. Ma fintanto che io non metto Dio al suo posto, avrò sempre qualche
creatura verso cui sento una conflittualità.
Ida: Ma anche il mettere Dio al primo posto non dipende da
noi, è dono di Dio.
Luigi: Tutto è dono di Dio, perché se io non guardo Dio, non
posso mettere Dio al primo posto, però Dio chiede a me, chiede ad
ognuno di noi di metterlo al suo posto, di dargli il posto che gli spetta nella
nostra vita, e quello è atto di giustizia: è giustizia essenziale: “Dai a Dio quello che è di Dio”, cioè
metti Dio al suo posto. Perché se io non metto Dio al suo posto, metto la
creatura nel posto sbagliato, cioè metto ad es. il mio io, il pensiero di
me stesso, la mia ambizione, la mia figura davanti agli altri; il mio
prestigio, il mio nome, lo metto in un posto sbagliato. Ma il fatto che io
metta me stesso in un posto sbagliato denuncia che non ho messo Dio al suo
posto, perché quando ho messo Dio al suo posto, tutte le cose vanno a
posto, quindi anche il pensiero del mio io, anche il pensiero delle creature va
al suo posto. Se invece non metto Dio al suo posto, tutte le cose vanno in un
posto sbagliato. È come se ad es. avessi un principio in me sbagliato
attraverso cui ordino certe cose: le ordino in modo sbagliato, perché il
principio è sbagliato.
Marco: Effettivamente sto ordinando le cose in modo sbagliato.
Luigi: Ecco perché si creano tutte queste conflittualità.
Marco: Ad es. il fatto di voler donare tutti i giorni qualche
cosa per gli altri, qualche sforzo per una persona, per un’altra, per un’altra,
ecc., facendo cose che non sento: è uno sforzo che mi uccide, quindi è segno
che non metto le cose al loro posto.
Luigi: Certo, diventa uno sforzo esasperante.
Ida: Però è anche un atto di volontà, quindi di amore.
Luigi: Sì; però questo sforzo rivela che non siamo nel fine
essenziale. La vita non sta nel rinunciare ad una cosa, nel non fare certe
cose o nel sacrificarle. La vita è amore, ma amare vuol dire tendere ad una meta. La vita è passione per-.
È gioia. Perché in fondo la vita è tutta fondata sulla gioia, e tende
a-. Quando io invece voglio una cosa, però dopo ne metto un’altra contraria
creo la conflittualità. Ad es. io voglio un fine egoistico, però so che
debbo fare quella cosa, che debbo amare quella persona, che debbo amare
quell’altra, che non debbo farmi vedere a fare quello, che debbo sacrificare
quello, ecc. allora mi creo tutta una fatica enorme, tutto uno sforzo di
volontà che non coincide con quello che io amo profondamente. In sostanza è una
volontà che non è amore. La vita vera è tendere a creare semplicità, quindi
unità tra il pensiero, il cuore, la volontà e anche il nostro parlare. Ci
deve essere unità in tutto, tra ciò che penso, ciò che porto nel mio pensiero e
quello che desidero, quello a cui guardo; tra quello che amo e quello che
faccio. Ci deve essere unità. Allora abbiamo la gioia, abbiamo l’armonia. È
una cosa molto difficile, ma si deve tendere a questa unità. Dio tende a
costruire in noi un essere unitario, non un essere fratturato. Se in noi
abbiamo un essere fratturato, un essere cioè che tende ad una cosa però deve
anche farne altre, facciamo una fatica enorme che non può durare, e ad un certo
momento si rompe. Non può durare perché è una frattura. Bisogna tendere
all’unificazione. Ora, Dio solo è un principio di unificazione. Lontano
da Dio noi creiamo soltanto delle fratture. Dio va messo come fine.
Quando lo mettiamo come fine, poco per volta ci accorgiamo che Egli crea una
grande e meravigliosa unità tra ciò che desideriamo pensare, ciò che
desideriamo fare, tra lo stesso nostro vivere e lo stesso nostro parlare. Tutto
diventa unitario. Non c’è la fatica: “ ah
questo non lo debbo guardare, quell’altro non lo debbo fare, questo lo debbo sacrificare,
ecc.”.
Ida: Questa mancanza di armonia è generata dal fatto che
siamo troppo lontani dal Signore.
Luigi: Sì, ma soprattutto perché non abbiamo messo il fine ben
chiaro prima di tutto.
Ida: Ma che cosa vuol dire mettere il fine prima di tutto? Sarà
perché non ho chiaro questo che la preghiera a volte devo impormela.
Luigi: La fai per imposizione, per regola, non per amore.
Bisogna sempre aver ben presente: “Tu
per che cosa sei stato creato?” “Per
conoscere Dio!”. E allora che cosa faccio per conoscere Dio? Sono
convinto di questo fine? Prima ancora: sono convinto che Dio esiste? Se sono
convinto, prima di tutto debbo cercare Dio; perché se non sono convinto è
inutile che io giochi barando.
Ida: Ci sono però momenti di dubbio in cui mi è difficile
credere.
Luigi: Noi però siamo chiamati a credere sempre, a mettere la
fede a fondamento di tutto. Quando ci sono momenti di dubbio, di insicurezze,
d’incertezze, anche questa è grazia di Dio che ci sollecita ad approfondire;
che ci ammonisce: “non ritenerti mai
arrivato, mai troppo convinto.”. Noi il più delle volte siamo convinti per
sentito dire. Ma Dio non sa cosa farsene di persone che credono per sentito
dire. Dio vuole un rapporto
personale, perché vuol convincere noi di ciò che Egli è, e quindi a
noi chiede questo interesse personale. Certo, anche il sentito dire ci può
aiutare, ma ad un certo momento non da vita, non si trasforma in vita. Dio è
vita, ma è Vita per ognuno di noi, in modo personale, e quindi chiede da parte
nostra un interesse personale. Ora, tutti i dubbi che Lui ci mette (ed è Lui
che ce li mette) ce li mette per dirci: “Guarda
che tu non sei convinto, guarda che tu non mi conosci, guarda che è necessario
che tu ti dia da fare: cerca me, preoccupati di me, conosci me, interessati
di me, perché stai girando a vuoto, stai sprecando, stai buttando
nell’immondizia tutte le tue giornate. Preoccupati di tesoreggiare. Non
sprecare tutto il denaro che io ti ho dato, che è la vita, il tempo,
l’intelligenza, i pensieri, ecc.; non buttarli nell’immondizia, non sprecarli
in cose che non ti servono per la vita; adopera questo per conoscere me, perché
Io sono la tua Vita”. Ecco, noi dobbiamo convincerci di questo. In caso
contrario Dio necessariamente ci pone dei dubbi, delle incertezze, per richiamarci
all’essenziale, perché Dio è profondità. La Verità si trova solo conoscendola.
La Verità è profonda. Dio è trascendente: Lui non si rifiuta, però è
difficile. Ora, la difficoltà si vince soltanto attraverso l’amore.
Quell’amore che di fronte alle difficoltà molla, non è amore. L’amore vero
invece, quando si trova di fronte alle difficoltà, si impegna con tutte le sue
forze, non molla.
Dio è difficile perché è una meta di amore.
Ma colui che lungo la strada, di fronte alle difficoltà molla, vuol dire che in
lui l’amore non c’è; è un segno che non ha amore per Dio, anche se tutti i
giorni dice: “Signore, io ti amo con
tutto il cuore”. Il Signore non misura il nostro amore dalle nostre
parole; lo misura dall’impegno con cui affrontiamo le difficoltà per avvicinarci
a Lui, per conoscere Lui”.
Ida: L’impegno potrebbe anche essere una conflittualità.
Luigi: La conflittualità è un segno del fine sbagliato,
che non abbiamo ancora messo Dio là dove deve essere messo.
Paolo: Certo, l’importante è non metterci a cambiare il fumo
con la caramella, o la caramella con la gomma da masticare, se no ci spostiamo
solo da un fine secondario ad un altro fine secondario. L’importante è far
crescere il Fine vero, e non preoccuparci di far diminuire gli altri fini
secondari: sport, ecc.
Luigi: Appunto per questo abbiamo detto che il problema non è
la vetrina. Il problema non è “adesso io debbo rinunciare allo sport”;
non preoccuparti, continua a fare lo sport finché vuoi, ma preoccupati di
far crescere in te il Fine vero; quanto più crescerà, tanto più ti
libererà.
Pinuccia: C’è anche da tener presente questo: superarsi non vuole
dire lasciare, ma capire il significato di quello che si sta facendo; quindi
c’è anche un significato nello sport, no?
Luigi: Il problema non è lì, anche se lui dicesse: “ho capito, pianto tutto e vado in una
trappa”, lui va in una trappa e si danna! Il problema non sta nel
lasciare. Uno può andare in un deserto e ad un certo momento può diventare
un demonio. Il problema sta nell’occuparsi di Dio. Ad un certo momento
uno scopre delle cose che valgono talmente tanto che gli viene naturale
lasciare le altre.
Sergio: La nostra fatica deve essere quella di conoscere Dio.
Luigi: Sì, in qualunque campo ti trovi, in qualunque
luogo sei, fosse anche in prigione o in una reggia d’oro, incomincia a
cercare Dio, perché sei stato creato per questo. Hai cinque minuti di
tempo? Dedica quei cinque minuti ad approfondire la Verità. Non si
tratta di fare dei salti mortali. Dio vuole soltanto essere conosciuto: è la
Verità! Non chiede una cosa impossibile. Chiede soltanto di approfondire, di
capire, di rendersi conto, di conoscerlo. Questo ci chiede, e poi lasciamo
fare!
Piero: Non è non facendo più determinate cose che si vive di
più, anzi si corre il rischio di perdere il fine.
Luigi: Il problema non è quello. La vita è amore. La vita non
è: “lascio questo o quell’altro, metto questo o quell’altro”. Il problema non
sta nel fare una cosa o nel non farla. La vita è amore, cioè è conoscenza di
Dio. Tu andando in macchina puoi pensare a quell’Uno, puoi riflettere un
pochino sulle parole di quell’Uno? Si! Bene, continua ad andare in macchina e
pensa a quell’Uno! E man mano che continui, quell’Uno ti sorprenderà anche in
macchina. E ad un certo momento vedrai che Lui ha la capacità di cambiarti la
vita in qualunque luogo tu ti trovi. L’importante è che tu apra la tua anima
all’interesse per Lui. Questo è importante. Incomincia a metterlo al di
sopra di tutto come pensiero e poi vedrai che a poco per volta Lui ti farà
scoprire delle cose talmente meravigliose che ad un certo momento capirai che
le cose che tu lasci non sono poi così interessanti. Per cui se anche un altro
ti dicesse: “continua a farle”, tu
non le vuoi più assolutamente fare, perché per te sono diventate un fastidio: è
avvenuta una maturazione interiore. Da bambini si gioca alle birille, ad un
certo momento si smette di giocare, senza che nessuno dall’esterno dice: “adesso non giochi più alle birille”.
Questo accade perché sono sorti altri interessi, interessi più grandi delle
birille. Nessuno ha fatto lo sforzo per decidere: “non devo più giocare alle birille”. Ma si lasciano le birille
perché sono sorti altri interessi. L’importante è che ci sia l’anima.
L’anima è questo interessarti per Dio. Ecco, cerca di approfondire, cerca
di ampliare questa conoscenza di Dio, e poi vedrai cosa succede.
“Se mi
amate osservate i miei comandamenti”: “se mi
amate”, vuol dire “se mi cercate”, perché il vero amore è interesse per la
Persona.
“Osservate
i miei comandamenti”: è una conseguenza
dell’amore (non è l’amore): cioè, noi osserviamo veramente le sue parole, cioè
intendiamo l’anima del suo parlare, soltanto se abbiamo amore, se abbiamo
interesse per Lui. Se invece non abbiamo interesse per Dio, sfasiamo tutto.
Magari restiamo con le sue parole, possiamo ricordarle da mattino a sera, e
capiamo anche tante lezioni, ma è tutto in superficie, perché il nostro amore è
altro. E allora non osserviamo niente! Siamo come l’uomo che sta ad osservare
il sabato, la regola, non ruba, ecc. paga le imposte e dice: “Signore io ti ringrazio”, e intanto
però è completamente contrario a Dio, non ha interesse per Dio. Allora è molto
meglio una prostituta, che è tutta miseria, ma supplica, invoca, piange ed è
cosciente della sua povertà, del suo niente. Lì abbiamo dell’autenticità,
abbiamo una creatura che si apre: “Signore,
aiutami, perché io sono nella miseria”. Ecco, sente tutta la sua povertà,
ed è molto meglio di quell’altro che
dice: “Signore, ti ringrazio, perché io
sono giusto”; infatti questo è molto più lontano da Dio che la
prostituta. Ecco, bisogna mettere ben a fuoco questo fatto: quello che conta
è l’amore, che è interesse per la persona, che è guardare a Lui. E poi a Dio
non importa assolutamente niente la nostra povertà, i nostri peccati,
perché Lui in un attimo può annullarli; Lui è più grande di tutti i nostri
mali! In un attimo può rimediare a tutto. L’importante è che ci sia in
noi l’apertura, l’interesse per Lui! Che non ci sia invece l’uomo che dice: “Signore, io sono giusto, io questo lo
faccio, quell’altro lo faccio, mi dedico qui, mi dedico là…”, che pensa
solo a se stesso.
Fintanto che pensiamo a noi non siamo nell’amore, perché
amare essenzialmente vuol dire pensare all’Altro,
vivere per l’Altro.
Pensieri conclusivi:
Silvana: Quello che conta veramente è crescere nell’amore di Dio,
che è una conseguenza della conoscenza.
Luigi: Amore e conoscenza in Dio sono una cosa sola; cioè
quanto più aumenta l’uno, tanto più aumenta l’altro, e quanto più noi
conosciamo Dio, tanto più necessariamente Lo amiamo, non possiamo farne a meno.
Se noi lo amiamo poco è perché Lo conosciamo poco. L’amore desidera
conoscere, e più conosce, più ama e più ama e più desidera conoscere.
Paolo: Mi sono accorto che ho sempre chiesto in modo sbagliato:
ora vorrò chiedere il dono di una sempre maggiore conoscenza di Lui.
Luigi: Certo, perché la conoscenza è la vita eterna, allora
entra tutto.
Piero: Chiedere una fede giusta.
Amalia: La vita è amore, non è una disciplina, non è una regola;
però l’amore trasforma veramente, e solo la trasformazione che opera l’amore è
vera trasformazione.
Luigi: Certo. E l’amore è fondato sulla conoscenza. Sia
ben chiaro: noi non possiamo amare uno che non conosciamo. Quindi Dio vuole
essere conosciuto. In ogni pagina della Bibbia vediamo che Dio vuol essere
cercato, vuol essere conosciuto; è stufo delle nostre feste, dei nostri
sacrifici, non sa che farsene: “voglio
essere conosciuto” dice.
Nino: Non sono io che mi posso cambiare, ma è Dio che mi
cambia nella misura in cui guardo a Lui.
Ida: Chiedo al Signore che mi aiuti a camminare nella
conoscenza del Padre.
Luigi: La vita vale per questo, ogni giorno vale per questo,
dobbiamo convincerci ; nella misura in cui ci convinciamo, ci accorgiamo quanto
anche la vita si tonifica, acquista senso, significato.
Marco: Essere cristiano è la cosa più difficile
Luigi: È già una grazia averlo scoperto.
Marco: quindi chiedere la Sapienza per esserlo, come l’aveva
Salomone.
Luigi: Eppure si è perso anche lui, con tutta la sua sapienza…
Pinuccia: Domandare nel nome di Gesù vuol dire cercare il suo
Pensiero in ogni cosa, cioè la conoscenza.
Luigi: Sapendo che tutto viene da Lui, dobbiamo preoccuparci
di cercare il suo Pensiero di Lui in tutto, in ogni cosa. Questa è la vita.
“Ed Io
pregherò il Padre e vi darà un altro Consolatore che resti
per sempre con voi”.Gv 14 Vs 16
Titolo:
Argomenti:
29/Novembre/1980
Nino: Questo versetto fa seguito al precedente: “Se mi amate, osservate i miei
comandamenti”. I comandamenti sono le proposte di Cristo.
Luigi: Perché Lui non ci impone niente dall’esterno.
Nino: E qui ci fa la promessa di un Consolatore che è lo
Spirito Santo, cioè la conoscenza del Padre e del Figlio. Non dice : “Io vi darò”, ma “il Padre vi darà”, perché Lui ci affida al Padre, invitandoci ad attendere questo dono su quella
soglia dove ormai sono superati tutti i segni.
Luigi: L’elemento caratteristico sta qui: Gesù promette,
e non sappiamo ancora chi sia, la venuta di Uno che resterà sempre con noi.
Ecco, la caratteristica è: “resterà
sempre con noi”, mentre invece Cristo non resta sempre. Infatti, Gesù
stesso dice: “Non sempre avrete Me”;
“ancora per poco Io sono con voi”… “per poco la Luce è con voi”.
Nino: Però penso che quando Gesù parla così faccia una
distinzione: cioè non l’avremo sempre Incarnato tra noi, però come Verbo non ci
lascia mai, perché anche quando ci affida al Padre rimane come Maestro
interiore in noi, no?
Luigi: Gesù di sé afferma che non è possibile che loro lo
abbiano sempre, perché “Io me ne debbo
andare, altrimenti lo Spirito non può venire in voi” e promette la venuta
di un dono che sarà Consolatore, quindi fonte di gioia, che resterà per sempre.
Evidentemente assicura ai discepoli, a coloro che ascoltano, la
permanenza in Dio: questo permanere in Dio è inizio di vita eterna. Inizio
di vita eterna che può già verificarsi qui, perché Gesù lo promette ora,
adesso.
Nino: Non è già vita eterna l’impegno con Cristo?
Luigi: È vita! La vita eterna l’abbiamo con la scoperta dello Spirito Santo. Certo, la
ricerca di Dio è già vita, però non si permane, perché come stiamo
riflettendo sugli argomenti della domenica, si arriva sulla soglia della Terra
Promessa e poi si può tornare indietro. Il popolo ebreo dopo 40 giorni arrivò
sulla soglia della terra promessa, poi ebbe paura e ritornò indietro. Allora fu
costretto per 40 anni a vagare nel deserto fino all’estinzione. Eppure erano
alla ricerca. Ora, questa ricerca, questo camminare verso la Terra Promessa
dava loro vita, tant’è vero che avevano anche il nutrimento (ora, non ci si può
cibare se non si è in vita). Loro erano in vita in quanto tendevano ad una
vita. Quando uno tende ad una meta, cioè sa quello che vuole, tende verso
un fine, è vivo, è già vivo, partecipa; non è detto però che raggiunga il Fine,
perché il Fine ha le sue esigenze, e può darsi che arrivato sulla
soglia, di fronte alle esigenze del Fine, l’entrata nella Terra Promessa, uno
abbia paura, e ritorni indietro. E allora è costretto nella routine a vagare
fino all’estinzione, fino alla morte. Quindi il tendere ad un Fine è già
partecipare della Vita, però la vita eterna di per sé è conoscenza del Padre,
cioè conoscenza di Dio come vero Dio. Gesù la definisce chiaramente: “la vita eterna sta nel conoscere Te, come
vero Dio”. Certo, quando uno desidera, cerca la conoscenza, in quanto la
cerca, è già attratto, quindi partecipa sotto un certo aspetto, però non
è che permanga e che abbia questa vita eterna. Però è già vita, è già essere in
vita.
Nino: Però non si tratta ancora della conoscenza personale.
Luigi: Sì, ma il fatto di cercare, in quanto uno cerca già
conosce qualcosa. Se uno non avesse un inizio di conoscenza non potrebbe
desiderare.
Nino: E noi accettando e facendo nostre le parole di Cristo
che ci parlano del Padre, camminiamo verso il Padre. Ma se non le accettiamo
interrompiamo questo cammino.
Luigi: Certo. E il Signore qui ci fa camminare proprio
mettendoci doni maggiori. Ci fa camminare verso la Pentecoste, verso la
conoscenza di Dio, promettendocela. Perché se Lui non parlasse, noi non
potremmo nemmeno desiderare certe cose. È Lui che parlando a noi ce le presenta
e presentandocele, ce le fa desiderare. Noi non potremmo nemmeno
immaginarci di desiderare di conoscere Dio, se Dio per primo non ci invitasse a
conoscerLo. Ora, se noi desideriamo conoscere è perché per primo Dio ci ha
chiamati: ci ha chiamati a conoscerLo. Questa chiamata, è presentazione del
suo Dono; è una presentazione, e non è che noi già l’abbiamo, però ce la fa
vedere come possibile. È in base a questa presentazione di dono che noi
incominciamo a guardare verso quello e quindi ad informarci circa il prezzo, la
fatica, il cammino, ecc. per giungere a quella meta. Ma tutto è sempre dono di
Dio, anche in fase di promessa; quindi è Lui che ci mette in movimento.
Pinuccia: Quindi dicendoci: “Vi
darò un altro Consolatore” ci fa desiderare questo Consolatore?
Luigi: Certo. È una promessa. Tutte le parole di Dio, del
Cristo, sono proposte, non avviene niente di automatico; sono proposte che
richiedono da parte della creatura una adesione consapevole,
responsabile, di elezione: bisogna eleggere ciò che Lui promette, perché di
fronte ad una promessa uno può dire: “a
me non interessa” e gira dall’altra parte. Ecco, la promessa c’è stata, la
parola è arrivata, però la creatura ha rifiutato; aveva altri interessi. Dio
presenta il suo dono. E gli dice: “Io
ti offro questo, ti propongo questo, ti assicura questo; adesso
informati circa il mezzo, la via, il prezzo, per poter arrivare ad
ottenerlo”.
Amalia: Questa promessa di Gesù è una certezza che deve
sorreggerci nelle difficoltà del cammino. Se noi restiamo con Lui, comunque,
nonostante le difficoltà, abbiamo la sicurezza di arrivare.
Luigi: Se restiamo in cammino. Bisogna essere in
cammino.
Amalia: Sì, e questa promessa di Dio dovrebbe liberarci dagli
scoraggiamenti che possono venire. Quindi non bisogna mai dire di fronte alle
difficoltà: “non ce la faccio”.
Luigi: Eppure l’esempio del popolo ebreo fu, nonostante la
promessa di Dio (nonostante, perché c’era la promessa di Dio: “entrerete nella Terra promessa”) un
fallimento, perché nonostante la promessa di Dio c’è stata la paura.
Ecco non si è vinto l’ostacolo. Ora, la Parola di Dio, la Promessa di Dio, chiede
sempre a noi il superamento, soprattutto del pensiero del nostro io, e il
pensiero del nostro io non è facile da vincere.
Amalia: Però se si tiene presente questa meta che è promessa di
Dio, questo dovrebbe aiutarci.
Luigi: Certo, soltanto tenendo presente Dio. Bisogna
tener presente Dio. Non basta tener presente la promessa, bisogna proprio
tener presente Dio.
Amalia: Però, nella promessa c’è la presenza di Dio, perché è
Lui che parla.
Luigi: Sì, sì, però noi tendiamo sempre a scorporare
la parola, e quindi anche la promessa dalla Persona. È la presenza della
persona, cioè l’amore verso l’Altro che dà la forza. Non basta la
promessa, perché la promessa può essere un sogno. È la presenza della
Persona dell’Altro che dà la forza, è l’incontro con l’Altro. Ma se uno
pensa a se stesso, anche con tutte le promesse che può avere su di sé, di fronte
all’ostacolo, cede, non è sufficiente, perché c’è il pensiero dell’io. Ora
soltanto il pensiero di un altro Io dà a noi la grazia, la possibilità di
vincere il pensiero del nostro io; altrimenti il pensiero del nostro io
prevale, non può farne a meno. Noi siamo dominati dal pensiero dell’io, perché noi
siamo fatti per l’unità: o abbiamo un’altra unità, cioè un altro Io
da amare a cui tutto riferire, o necessariamente noi siamo dominati dal
pensiero dell’io, anche nel bene. Anche nel bene, il pensiero del nostro io ci
domina e quindi ad un certo momento il pensiero dell’io ci fa praticamente
comportare secondo il timore o secondo la paura. E allora noi ci regoliamo
secondo il mondo e le ragioni del Mondo. Ecco, abbiamo bisogno di punti di
appoggio, in relazione all’io. Ma i punti di appoggio in relazione all’io non
sono il punto di appoggio di Dio, perché Dio è Persona, e richiede da parte
nostra questa presenza personale: noi diciamo: “atto di amore”. È l’atto di amore con cui uno pensa all’Altro:
è pensare all’Altro, anziché a noi stessi. Allora il pensiero dell’Altro fa
superare tutto, anche la morte. Ecco, uno si immerge anche nella morte,
pensando all’Altro.
Pinuccia: Lei ha detto: “siamo
fatti per l’unità”: è nel senso di vocazione all’amore? O nel senso che
l’io, il nostro o un altro, è o può essere un centro unificante?
Luigi: Certo, l’io è un centro unificante.
Pinuccia: Quindi siamo fatti per l’unità vuol dire siamo fatti per
un Io?
Luigi: Noi siamo fatti per un Io! Cioè noi siamo fatti per
essere uniti a qualcuno. Questo qualcuno o è Dio o è l’io, cioè il nostro
io, non possiamo farne a meno. Noi siamo un centro di unificazione: o
unifichiamo in Dio o unifichiamo nel pensiero del nostro io. Non bastano le
leggi, regole, comandamenti, voti, impegni, ecc. Non servono assolutamente
niente, se non c’è la presenza dell’Altro!
Nino: Per cui se noi avessimo solo il desiderio di raggiungere
la promessa in sé…
Luigi: Si fallirebbe certamente.
Nino: Avrebbe ragione X che diceva: “siete egoisti”.
Luigi: A parte il termine egoista, si fallisce, perché
l’oggetto promesso ha un prezzo tale di fronte al quale noi non possiamo
sostenerci, non possiamo pagarlo. Il termine “egoista” va riveduto, perché
anche Dio opera tutto per sé. Ecco l’errore che faceva X, dicendo che è sempre
egoista chi pensa a sé. No, Dio opera tutto per Sé e non è mica egoista. Noi
invece pensando a noi siamo egoisti, perché non siamo la Verità.
Nino: Ma X non diceva che era Dio egoista; lo diceva a noi
perché cercavamo la felicità cercando Dio.
Luigi: È la stessa cosa. Ecco, non dobbiamo dire così: “chi pensa a sé è egoista”, perché Dio
pensa a Sé e non è egoista. L’egoismo è ingiustizia, ma in che cosa
sta quest’ingiustizia? Sta nel mettere il pensiero del nostro io al posto di
Dio. Ma, come ho detto prima, noi siamo fatti per l’unità e quindi per
unificare tutto in un posto unico. Questo perché? Perché Dio è Colui che
unifica, che raccoglie tutto in Sé: tutto viene da Dio e tutto ritorna a
Dio. Noi pensando a noi stessi, siamo ingiusti, perché unifichiamo nel pensiero
del nostro io: strumentalizziamo tutto e gli altri a noi, ai nostri punti di
vista, cioè vogliamo cambiare gli altri. E cambiare gli altri vuol dire
praticamente informare gli altri della nostra idea o della nostra volontà. Eh, no!
Il nostro io non è Dio, la nostra volontà non è Dio, la nostra idea non è Dio.
Indubbiamente Dio trasforma tutti, raccoglie tutti in sé, ma Lui è la
Verità. Quindi raccogliendo tutto in Sé, Lui dà vita. Noi
raccogliendo tutto nel pensiero del nostro io (anche in nome di pensieri
buoni) in quanto tendiamo ad uniformare gli altri a questa nostra mentalità,
al nostro pensiero, soffochiamo gli altri, limitiamo gli altri.
Nino: Sono allora “buoni” in apparenza.
Luigi: Certo. Molte volte diciamo: “la mia regola è buona, questa azione è buona”, quindi tendo a
farla fare a tutti. Allora il pensiero dell’io, accentratore di per sé non
è egoismo, perché allora dovremmo dire che Dio è il più grande egoista. È
egoismo in quanto il pensiero dell’io è pensiero di creature e quindi soffoca la vita dell’altro. Invece
Dio essendo Verità, accentrando a Sé, raccogliendo in Sé, unificando a Sé dà
vita a tutto. Infatti la vita è comunione. La comunione con Colui che vive,
con Colui che è vivo, arricchisce di vita. Il tralcio stando unito alla
vite partecipa della vita della vite, si arricchisce di vita; staccato
muore. Ora la vite non è egoista nel tener unito a sé il tralcio.
Invece noi da soli non siamo vivi. Ogni creatura vive come tralcio, ma nessuna
creatura è vite. Dio solo è vite. Ogni creatura è tralcio. E quando noi
pretendiamo di essere vite, ecco allora siamo egoisti, perché non siamo
vita e soffochiamo l’altro, priviamo l’altro della vita. Mentre noi diciamo: “Io voglio servirti, io voglio il tuo bene”, noi praticamente
assorbiamo da Lui la linfa, dall’altro, per vivere noi, perché cerchiamo
la nostra gloria: allora siamo egoisti, strumentalizziamo
l’altro e non cerchiamo quindi il
vero bene.
Nino: Strumentalizzando gli altri è sempre una ricerca di
vita, anche se una ricerca sbagliata.
Luigi: Sì, perché noi da soli non stiamo su. Nessuno di
noi sta su da solo. Ha bisogno sempre di qualcuno di qualcosa d’altro. Allora
abbiamo bisogno di appoggiarci sulle creature, di appoggiarci sulle
cose, di sostenerci, perché da soli non stiamo su. Quindi la nostra ricerca, il
nostro arricchimento, perché c’è l’arricchimento col denaro e c’è
l’arricchimento col metterci attorno delle creature, tutto questo è denuncia,
dichiarazione che noi siamo creature, non siamo Dio. Dio solo sta su da solo,
perché ha in Se stesso la vita.
Nino: Chi si circonda di creature è veramente convinto di
arricchirsi…
Luigi: e non si accorge che invece sta assorbendo vita dagli
altri perché ha bisogno degli altri. Gesù dice: “voi andate elemosinando…” dice proprio: “voi siete dei mendicanti”. Noi siamo mendicanti! “Tu credi di essere ricco e invece stai
mendicando; sei mendicante, perché mettendoti attorno tanta roba denunci la tua
mendicità, la tua povertà; hai bisogno di altri perché da solo non stai su, non
sei vivo, ed io ti chiedo, ti ammonisco di arricchirti di me, di cercare
presso di me la vera vita”.
Pinuccia: E poi non è che siamo egoisti a cercare Dio, perché non
lo cerchiamo per essere felici (questo sarà una conseguenza), ma perché è
giusto.
Luigi: Sì, prima di tutto, perché Lui è. Si cerca Dio perché
esiste. In quanto esiste non lo possiamo ignorare, non lo debbo ignorare.
Se io lo ignoro, io ignoro Uno che è presente qui nella mia stanza. Non
posso ignorare Uno che abita con me: se lo ignoro compio un’ingiustizia, a
parte l’infelicità che deriva dall’urto, perché non c’è armonia (ma questa è
una conseguenza). La prima ingiustizia è questa: io non tengo conto di Uno che
è con me. Dio è con me. Se io incontro uno per la strada che mi chiede una informazione
ed io gli volto la faccia dall’altra, commetto un’ingiustizia: non tengo conto
di lui e l’altro si offende. Perché? Perché non tengo conto di lui. Ecco, lui
mi presenta, mi chiede qualcosa e la creatura deve rispondere: sei stato
interrogato, ti è stato chiesto qualcosa; ti ha parlato! Ora, Dio è Uno
che parla con noi ogni giorno, in continuazione, è presente con noi. Come
facciamo a non tenerne conto? Si capisce che poi sbagliamo tutto! Ma se nel
problema io non tengo conto dell’elemento principale, del fattore principale
del problema, sbaglio certamente la soluzione, ma la colpa è mia. Tutta la
nostra vita è un problema; il fatto fondamentale di questo problema è Dio.
E noi vogliamo risolvere tutti i nostri problemi senza tener conto di Dio! È la
più grande balordaggine che noi possiamo fare nella nostra vita: tutti i
problemi, dai problemi della vita personale ai problemi della vita economica,
ai problemi della vita sociale, ai problemi della vita politica, tutti i
problemi, essendo problemi umani, sono problemi di Dio, e quindi non si
possono risolvere senza tener conto di Dio. Se io non tengo conto del
fattore principale del problema sbaglio tutto il problema. La nostra vita è
questo problema; il nostro mondo è questo problema. Al centro dell’uomo c’è
Dio: ignorarlo vuol dire prendere delle cantonate a non finire. E
naturalmente nelle cantonate uno si accorge che le soluzioni non sono giuste; e
allora c’è l’infelicità, c’è l’angoscia, c’è il dubbio, c’è il non senso: ma
queste son tutte conseguenze, il primo dato fondamentale che dobbiamo
tener presente è questo: mi occupo di Dio perché Dio esiste. Prova a
dimostrare che Dio non esiste! Dio si annuncia a te: tu non Lo conosci, perché
non Lo puoi conoscere: se Lo conoscessi sarebbe vita eterna. Lo conoscerai
se ti applicherai a Lui. Tu non lo conosci, però non lo puoi smentire. Ora
non è che possiamo dire: “Se io non lo
conosco sono libero di rifiutare”. No! Colui che si presenta per la strada
e mi chiede o mi interroga su qualcosa, io non lo posso ignorare e se lo
ignoro responsabilmente, intenzionalmente, quindi colpevolmente, cioè io
dico: “io ti voglio ignorare”. Io non so chi tu sia, però già rispondo: “io ti voglio ignorare”,
perché non ti ascolto. Ora, Dio per primo parla a noi. Dio per primo. Ora
in quanto parla, anche se noi non Lo conosciamo, in quanto parla si
presenta; noi non Lo possiamo smentire e se Lo rifiutiamo dichiariamo di
volerLo rifiutare. Quindi c’è la volontà positiva da parte nostra: “io non mi voglio interessare di Te: Tu parli
a me, io non Ti voglio ascoltare”. Sostanzialmente noi facciamo questo. Noi
in continuazione siamo in ascolto di Dio, ma nonostante noi, perché ognuno
di noi è in ascolto di Dio anche se si professa ateo, anche se dice: “Io non credo in Dio”. Tu non credi in
Dio, Dio però crede in te, Dio però parla a te, anche se tu non credi.
Pinuccia: Ma il rifiuto è responsabile anche se…
Luigi: Il rifiuto è responsabile, perché io rifiuto Uno che mi
sta parlando.
Pinuccia: Ma se uno non sa che Dio gli sta parlando, come può
essere responsabile?
Luigi: Noi tutti siamo responsabili perché non possiamo
smentire la Verità di Dio. L’ateo non può dire: “Dio non c’è”, con convinzione. Nessuno di noi si può convincere
che Dio non esiste. Basta questo: non è che io debba conoscere Dio per
poterlo rifiutare responsabilmente. Quando tu conosci Dio, tu non Lo puoi più
rifiutare. Il giorno in cui tu conosci Dio, tu necessariamente ne sei
innamorato, non ne puoi fare a meno. Noi rifiutiamo Dio prima di
conoscerLo. Perché il giorno in cui Lo conosciamo,noi entriamo in vita eterna;
non possiamo più peccare. Chi conosce Dio, non può più peccare, è in
Paradiso, perché conoscendo Dio, Dio è di una amabilità infinita: Dio è
Colui che ci dà tutto. Come si può non amare Colui che è la nostra vita? Se
Lo amiamo poco o se non Lo amiamo, è soltanto perché Lo ignoriamo, cioè non
Lo conosciamo. Ma il fatto di non conoscerLo, non vuol dire non sapere che Egli
esiste, perché Lui per primo si annuncia a me. Io non posso ignorare Dio. Mi
basta il filo d’erba per denunciarmi che Dio esiste, perché non l’ho fatto
io; e non c’è nessuna creatura che l’abbia fatta io. Mi basta questo.
Interlocutore: La capacità che ho di pensare, di amare o di
offendermi, ecc.. Perché un cane non ha tutto questo? Chi mi ha fatto così? Chi
mi ha dato tutto questo?
Luigi: Tutto ciò che esiste ha l’impronta di Chi l’ha
fatto, ha il sigillo, ecco c’è la firma. Dio mette la firma su tutto. Tutto ha
la firma e tutti dicono a noi: “noi non
ci siamo fatti da soli”. Nessuno di noi può dire: “io mi son fatto da solo”. Sì, a parole possiamo dire: “mi son fatto da solo”, ma diciamo delle
stupidaggini alle quali non crediamo neppure noi. Quante volte sentiamo
qualcuno che dice: “Mi sono fatto tutto
da solo”, ci fa sorridere. E quando uno dice: “Io, io,io…”, l’altro si mette a ridere, è logico. Perché si mette
a ridere? È talmente evidente la relatività di quanto viene detto, che…
Quindi tutti quanti portano la firma di Dio: tutte le creature hanno la firma
di Dio come loro Principio. Non è necessario contemplare l’universo con tutte
le sue stelle e galassie; basta il granello di sabbia, basta il filo d’erba,
basta l’occhio di un bambino: tutte le creature portano la firma di Dio. Quindi
Dio è Colui che non possiamo ignorare, anche se non possiamo capire chi sia,
perché se noi capissimo chi Dio è non potremmo fare a meno di pensarLo 24 ore
su 24 ore, e di amarLo all’infinito, non ci scosteremo di un istante da Lui.
Noi ci separiamo da Lui, Lo trascuriamo, Lo dimentichiamo, solo perché non Lo
conosciamo, perché non sappiamo Chi è. Quindi se noi vogliamo aumentare
nell’amore, se vogliamo aumentare nell’unione, dobbiamo cercare di conoscere
Dio, perché più aumentiamo questa conoscenza e più in noi cresce l’amore, cresce
l’unione. Queste sono conseguenze, come la pace, la gioia, la vita: sono tutte
conseguenze. Ma conseguenze di che cosa? Della vita eterna. Vita eterna è
conoscere Dio. Quindi cerca prima di tutto il Regno di Dio, cerca prima
di tutto di conoscere Dio, perché sei stato creato per questo. Uomo, non
sei stato creato per mangiare, per vestire, per guardare il tuo corpo, per
cercare la società, ecc. sei stato creato per conoscere Dio. Questo è il tuo
fine, questa è la meta, questo è il senso di tutta la vita e il senso di
tutto ciò che esiste. L’universo ha questo scopo: dire ad ogni uomo: “uomo sei qui per cercare Dio, per conoscere
il tuo Signore”. Ecco più ti impegni a conoscerLo e più tu entri
nell’amore e più tu entri nell’unione e quindi entri nella vita. Ma Dio è
Colui che nessuno può ignorare, anche se pochissimi sono coloro che Lo
conoscono. Basta il fatto di sapere che nessuno Lo può ignorare per costituire
tutti in responsabilità e quindi in colpa. Perché noi di fronte a Colui che non
possiamo ignorare, non siamo senza colpa nella risposta, perché non possiamo
non rispondere. Dal momento che Dio parla e parla in tutto e mi
dice: “Io ci sono”, dal momento che
mi dice questo, mi propone Se stesso: è una proposta che Lui mi fa. E di
fronte a chi mi fa una proposta, io in un modo o nell’altro non posso restare
innocente, sono responsabilizzato, sia che dica sì, sia che dica no; non posso
non rispondere. Anche di fronte alle cose più banali, ad es. quando mi si
chiede qual è la strada per andare a Cuneo e me lo chiede una creatura, un uomo qualunque, uno che io ignoro, un
mendicante, un poveraccio, un bambino non posso non rispondere. Io dico è la
creatura, ma in realtà è Dio che mi interroga, ed io non posso fare a meno
di rispondere. In un modo o nell’altro dico sì o dico no. Ma dicendo sì o
dicendo no, io mi responsabilizzo di fronte all’altro, cioè rivelo il mio
cuore. Ecco come Dio ci personalizza. Ecco come Dio ci fa entrare nella
vita: in un modo o nell’altro noi entriamo, perché dobbiamo manifestare il
nostro pensiero. Lui ci interroga e noi non possiamo fare a meno di rispondere;
rispondendo però ci qualifichiamo intenzionalmente e diventiamo
qualcuno. Quindi chi ci fa qualcuno è Lui; Lui con le sue
interrogazioni, Lui con le sue proposte; giorno per giorno Lui ci fa. Ecco
perché dico che noi non siamo fatti, noi siamo creature in formazione e
giorno per giorno ci facciamo dicendo sì o dicendo no. Il nostro parlare è
soltanto quello: sì, no, sì, no, tutto il resto viene dal demonio.
Interlocutore: Non possiamo restare a metà, o diciamo sì o
no.
Luigi: Certo, non possiamo restare a metà. Molte volte sentiamo
qualcuno che dice: “io dico ni”. No,
tu non puoi dire: “ni”, dici sempre: “sì” o dici sempre: .“no”. Di fronte a Dio le risposte sono
soltanto quelle, non puoi fare in modo diverso.
Interlocutore: Anche Gesù dice questo: “O sei con me o sei contro di me”. Però l’Apocalisse dice: “Non sei né freddo né caldo, ma tiepido;
almeno se fossi o freddo o caldo”; sembra cioè che presenti la possibilità
di essere né di qua né di là.
Luigi: Ma quella è tiepidezza e la tiepidezza non è dire “ni”.
Interlocutore: In effetti la tiepidezza è già un no.
Luigi: Si capisce. Siamo noi che ci crediamo giusti, onesti,
ecc. e Dio ci sta staffilando, perché la nostra tiepidezza è crederci
giusti, è crederci a posto, e non preoccuparci intensamente di Dio.
Cioè, quando uno non cerca Dio come Dio va cercato, cioè con tutta la
mente, con tutto il cuore, con tutte le sue forze, con tutto se stesso,
indubbiamente è debole è tiepido. E dice: “Signore
io ti ringrazio perché io sono giusto, io sono contento, non sono come gli
altri sono già a posto, cosa vuoi di più”? È lì che abbiamo la tiepidezza!
Cioè è l’uomo che sostanzialmente dice no. Dio dialoga con l’uomo per cercare
di tirarlo fuori dal suo errore, ma è un uomo che dice “no”. Non è un uomo che
si oppone a Dio (ecco, “se fossi freddo!”), che lotta contro, no; ma una
delle rovine più grosse dell’uomo non è mica tanto il lottare contro,
perché chi lotta contro è appassionato ed è partecipe dell’amore, ma è questa situazione
di indifferenza, di uno che si crede giusto. È quello il vero rifiuto! È la
superficialità. La Verità teme una cosa sola: la superficialità. La
Verità non teme mica né la passione per, né la passione contro, perché la
Verità in un modo o nell’altro trionfa. La Verità teme soltanto
quest’indifferenza, questa superficialità.
Interlocutore: Magari noi rispondiamo “ni” alle creature, ma davanti a Dio è un no.
Luigi: Ma il problema non è mai di fronte alle creature. Noi
rispondiamo sempre a Dio, mai alle creature. Le creature sono la chiave
inglese. Le creature sono mezzi attraverso le quali Dio interroga. Noi
crediamo di essere in colloquio con le creature, ma in realtà noi siamo in
colloquio con Dio! Perché è Dio che parla con me, con ognuno di noi.
Interlocutore: Che liberazione sarebbe se lo ricordassimo!
Luigi: In tutte le cose è Dio che parla con me, non sono le
creature. Le creature sono dei mezzi: lei non si è messa mai a dialogare con il
termosifone? O con la chiave inglese o con le sedie?
Interlocutore: I bambini lo fanno.
Luigi: E va bene, ma noi tante volte siamo questi bambini. Noi
non dialoghiamo con la sedia, ma dialoghiamo con i corpi e che differenza c’è
tra il corpo e la sedia?
Interlocutore: Ma noi magari dialoghiamo con le parole degli
altri, non con i corpi.
Luigi: Sì, ma al centro delle parole degli altri noi abbiamo la
presenza fisica dell’altro, il corpo dell’altro, l’io dell’altro. Abbiamo la
proiezione del nostro io.
Perché non è mica l’io dell’altro! L’io dell’altro noi
non lo conosciamo, perché per conoscere l’io dell’altro dobbiamo conoscere Dio.
Noi rivestiamo l’altro del nostro io e dialoghiamo praticamente con noi
stessi. Perché diciamo “l’altro è
così” e lo vesto con i miei abiti e dialogo con me stesso perché amo me
stesso. Invece attraverso tutti è sempre Dio che parla con ognuno di noi. Noi
siamo sempre a nostra insaputa in dialogo con Dio. Ecco per cui un giorno, il giorno del
Signore noi resteremo molto confusi perché scopriremo che Colui che parlava con
noi in tutto era sempre Dio. E noi credevamo che fosse quel villano là, o
che fosse questo ingiusto qui, o che fosse quel ladro là e invece era Dio in
tutto ! È lì la confusione, che non abbiamo capito, non abbiamo conosciuto
Colui che stava sempre parlando con noi! Colui che parla con te adesso tu lo
vedi, adesso ti è presente: già, però io resto confuso. È troppo tardi,
perché per poterlo accogliere bisogna averlo scoperto prima, bisogna arrivare
prima.
Interlocutore: Quindi qui Gesù ci promette questa conoscenza
dicendoci: “Pregherò il Padre e vi darà
un altro Consolatore che resti per sempre con voi”. Il Consolatore è già
conseguenza della conoscenza?
Luigi: Sì, qui Gesù sta preparando la Pentecoste. La
Pentecoste è questa scoperta dello Spirito di Dio in noi, questa
Presenza di Dio in noi. La Presenza di Dio è una conseguenza della
conoscenza del Padre. Viene dal Padre. Quindi soltanto trovando il Padre,
incontrando il Padre, dal Padre noi siamo condotti a scoprire la Presenza
dello Spirito di Dio in noi. Non si arriva alla Presenza e poi al Padre. Prima
al Padre e poi alla Presenza. Per questo dice: “Il Padre vi darà”, perché viene dal Padre.
Interlocutore: Ritornando al discorso di prima: se in ogni
creatura dobbiamo vedere Dio, come dobbiamo comportarci con le persone che
indirettamente ci inducono a fare delle ingiustizie? Viene istintivo
trascurarle, ma sarebbe questo un rifiuto a Dio?
Luigi: No, un momento! Non è che la persona che arriva a noi
debba sempre essere ossequiata, debba sempre ottenere da noi adesione.
Nella persona che arriva a noi è Dio che presenta a noi una proposta,
ma questa proposta noi dobbiamo valutarla con Lui; perché Lui ci presenta delle
cose affinché noi abbiamo ad affermare il suo Spirito e magari a dire un
bel “no” a chi ci chiede qualche
cosa. Non è detto che, perché Dio mi ha mandato a chiedere questo io rispondo “si”. No, quello che Dio ti manda a
chiedere, tu lo devi vedere in Lui, cioè lo devi presentare a Lui e vedere da
Lui la risposta che devi dare. Cioè in tutto dobbiamo lasciarci guidare dallo
Spirito di Dio, non dai nostri sentimenti; allora c’è una creatura che mi si
presenta e mi chiede di fare un’opera cattiva, allora io dico: “È Dio che me la presenta”. Certamente
è Dio che me la presenta. Come debbo rispondere? Debbo aderire? No, tu
questa creatura che ti si presenta, vedila: “Dio
che ti presenta questa creatura”. Adesso pensala presso Dio: cosa debbo
dire a questa creatura che mi invita a fare del male? Ecco, lo ragiono con Dio.
E Dio dice: “Dì questo, correggi…,
cioè lasciati guidare dal mio Spirito”. Se mi lascio guidare dal sentimento
o dal mio piacere o dal desiderio di piacere all’altro, cioè se mi lascio
guidare dal sentimento ecc. allora naturalmente sbaglio, non tengo conto
di Dio. In tutte
le cose debbo tener conto di Dio. Tener conto di Dio
vuol dire affermare il suo Spirito.
Affermando il suo Spirito, faccio il vero amore del
prossimo, amo veramente il mio fratello e
nello stesso tempo trovo la vita per me. Perché Dio presentandomi
il fratello che mi invita a qualche cosa, qualunque proposta mi arrivi, mi
sollecita a restare unito a Lui, cioè a cercare Lui, a dialogare con Lui,
ad affermare il suo Spirito, quindi a partecipare, a vivere il più secondo Lui
e nello stesso tempo mi dà un dono da dare al fratello, un vero dono, magari
dicendogli un nel no. Ma quel no grosso che dico al fratello è il vero dono
che posso fare al fratello, il vero aiuto, perché non si aiutano mica i
fratelli dicendo sempre sì a tutto quello che loro propongono o che Dio ci manda
a proporre attraverso loro.Dio, attraverso tutti i fatti, le occasioni, le
cose, ci sollecita sempre, perché se Lui non parlasse, noi non potremmo entrare
in comunione con Lui. È Lui che parlando ti dà occasione per entrare
in comunione con Lui. Il Signore dice: “Beati
quando vi perseguiteranno!” Perché dice: “Beati quando sarete perseguitati, quando diranno male di voi?”,
perché “beati?” perché questo vi
sollecita ad una maggiore unione con me. Quindi Lui attraverso tutti i
fatti, tutte le creature, tutti gli incontri che ci fa fare ecc. ci
sollecita a cercare Lui, non a parlare, a rispondere secondo quello che
intuiamo noi, crediamo noi ecc. no, ma a comportarci secondo il suo Spirito.
Quindi Lui ci presenta attraverso le creature delle pagine bianche. E le
pagine bianche sono un invito: “Scrivi
qualche cosa sopra, mettici il tuo pensiero”. E quale pensiero, Signore
debbo metterci? “Mettici il mio Pensiero”.
Ecco allora Dio attraverso ogni creatura mi presenta una pagina bianca. La
pagina bianca è una tentazione perché io possa scrivere qualunque pensiero. Lui
però mi dice: “Io ti presento una pagina
bianca, però ti dico: scrivi il mio Pensiero, scrivi il mio Verbo!” Ma
come faccio, io non lo conosco! “Allora cerca me prima di tutto!” Ecco, io ti
mando questo per sollecitarti a cercare me. Quindi tutti gli incontri che
Dio mi fa fare sono sollecitazioni a cercare presso di Lui la risposta da
dare e quindi non ad avventurarci secondo quello che può sapere essere il
nostro giudizio, il nostro pensiero, una categoria morale, una regola, ecc.
No, cerca sempre il pensiero di Dio, dialoga con Dio in tutto e lo Spirito di
Dio ti dirà come ti devi comportare.
Interlocutore: Nel caso che una creatura non ci propone di
fare un’ingiustizia, ma ci fa un’ingiustizia?
Luigi: Anche l’ingiustizia che una creatura fa a me, è
sempre un parlare di Dio, è sempre una proposta che Dio fa a me e
quindi un invito ad un comportamento. Però questo comportamento lo debbo
sempre ottenere da Dio, cioè in tutte le cose dobbiamo regolarci secondo lo
Spirito di Dio e quindi sempre cercare presso Dio come comportarci, per
dare la risposta, perché in un modo o nell’altro, anche se uno a parole non
dice niente, dà una risposta con il suo comportamento. E quando io di fronte a
chi mi ha offeso, volto la faccia dall’altra, do una risposta: è un
comportamento e il comportamento è una parola.
Interlocutore: Ma non è un comportamento giusto.
Luigi: Può anche darsi che sia giusto: bisogna che lo senta da
Dio; bisogna che sia guidato dallo Spirito di Dio, non nel pensiero dell’io,
che non sia un espressione dell’io. Può darsi benissimo che Dio mi dica: “Ignoralo!”
Interlocutore: Cristo è stato condannato ingiustamente, ma
ha perdonato.
Luigi: Certo, non mi dice mica di non perdonare. Si dice
l’indifferenza. Il fatto per es. di voltare la faccia dall’altra. Cristo
quante volte ha voltato la faccia dall’altra. Deve essere un atto
d’amore! È un atto d’amore perché Dio fa capire che attraverso quel silenzio
Dio aiuta l’altro, è un atto d’amore verso l’altro. Però bisogna sempre che
sia lo Spirito di Dio a suggerire questo e non seguire quello che può essere
istinto nostro, sentimento nostro.
Interlocutore: Certo, lì non ci deve essere l’io in mezzo.
Luigi: Il Signore ha staffilato qualche volta; qualche volta ha
detto : “Razza di vipere!”
Ora, non è che noi possiamo dire “razza
di vipere”, perché non possiamo giudicare, però ci ha insegnato che di
fronte alle creature dobbiamo sempre comportarci secondo lo Spirito di Dio.
Non basta dire così: “vogliamoci bene,
abbracciamoci, comunque sia, comunque tu pensi, ecc. andiamo sempre assieme”.
Eh, beato sogno! Quello non è amare! Non è vero amore al prossimo.
Interlocutore: Però Gesù dice anche: “A chi ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra”, e
allora come la mettiamo?
Luigi: Certo!
Interlocutore: Un padre può arrivare a dare un ceffone al
figlio per amore, se visto in Dio.
Luigi: Sì, ma come ho detto: Gesù ha preso a staffilate quelli
nel Tempio e mica l’ha fatto per odio, l’ha fatto per amore.
Interlocutore: È il motivo che abbiamo dentro che conta…
Interlocutore: Appunto, non è questione di modo di fare, ma
dipende dall’interno.
Luigi: Sempre, bisogna sempre essere guidati dallo Spirito di
Dio.
Interlocutore: I figli di Dio si lasciano sempre guidare
dallo Spirito di Dio.
Luigi: Lo Spirito di Dio va sempre interrogato, perché non è
che sia in noi naturalmente, Lo Spirito di Dio è soprannaturale, quindi
richiede sempre da noi un superamento di quello che sono i nostri
sentimenti, le nostre conoscenze, le nostre reazioni immediate e istintive; no,
non seguire queste, cerca sempre di interrogare il tuo Signore, di
dialogare con Dio, prima di dare la tua risposta. Ad un certo momento il
tuo comportamento sarà tutto spirituale, ma deve essere sempre una conseguenza
della Presenza di Dio. Ecco non lasciarti mai guidare dal tuo istinto, dal
pensiero del tuo io (“quel tale mi ha
offeso…”) ecco, non ragionare in quei termini lì, perché è sempre Dio
che sta parlando con te, attraverso tutto, anche attraverso chi ti offende.
È Dio che ti ha mandato ad offenderti, perché tu avevi bisogno di questa
lezione. Adesso tu cerca presso Dio come ti devi comportare verso quell’altro, ma
è sempre presso Dio che noi dobbiamo ragionare per lasciarci guidare da Dio,
non dall’io.
Luigi: … ma è sempre presso Dio che noi dobbiamo ragionare per lasciarci
guidare da Dio; non dall’io.
Interlocutore: Per poter attuare questo bisognerebbe pregare sempre.
Luigi: Sì, bisogna pregare in continuazione. È la vera preghiera, non la
preghiera fatta a parole, ma preghiera di ascolto di Dio. La vera
preghiera è ascolto col desiderio di capire. Cioè bisogna sempre avere
questo sguardo rivolto a Dio, questo pensiero a Dio, non dire parole. La
preghiera non è dire parole; l’essenza della preghiera è ascolto; se manca
l’ascolto, anche se dico parole da mattino alla sera, non è preghiera. La vera
preghiera è ascolto di Dio, cioè guardare Dio: sempre in tutto, perché
Dio sta parlando con noi in tutto e quindi noi non possiamo ignorare Colui che
parla con noi. Se non Lo ignoriamo siamo in preghiera!
Interlocutore: Ci sono a volte situazioni che sono più difficili.
Luigi: Sì, che son difficili, si capisce; ma è Dio che ci mette in difficoltà.
Interlocutore: E pur interrogando Dio, non si sa come fare: pur vedendo il da farsi, si è
però obbligati dall’ingranaggio del lavoro a fare diverso (ad es. a richiedere
un pagamento sollecito).
Luigi: Noi siamo già inseriti in un sistema che è egoistico, lontanissimo da Dio.
Dovremmo mettere tanto raccoglimento nella giornata, tanto silenzio, perché
per poter colloquiare con Dio, bisogna aver conosciuto qualcosa di Dio. Più
uno lo conosce, più naturalmente gli diventa facile nelle scelte, ma noi siamo
immersi in un mondo che è talmente lontano! Osserviamo la nostra società, tutto
il nostro vivere comune, la massa, ecc. Chi si preoccupa di cercare Dio
prima di tutto, di mettere Dio prima di tutto? Noi prima di tutto mettiamo
il problema del mangiare, della figura, del guadagnare o del lavoro, ecc., tutti
idoli! Noi siamo fuori del Regno di Dio, noi siamo fuori della meta, del
nostro destino, e si capisce che in questo ingranaggio, ad un certo momento le
cose diventano impossibili. Bisogna incominciare ad essere fedeli nel poco,
in quel poco che possiamo dire: “Signore
tu vedi io sono ingranato qui e sbaglio in continuazione: però in questi cinque
minuti di tempo che mi dai io cerco di conoscerti un pochino di più, se Tu mi
aiuti”. Ma se io metto in quei cinque minuti il silenzio, il raccoglimento
in Dio e li metto onestamente per cercare di conoscere qualcosa più di Lui, dopo
Lui mi darà la possibilità di restare dieci, quindici minuti, mezz’ora. E a
poco per volta mi educa nelle scelte, per cui “questa cosa qui non la posso più fare, quell’altra neppure”
e ad un certo momento mi trovo libero, ma è Lui che mi ha liberato. È
Lui che mi ha liberato perché ho incominciato ad essere fedele nel poco.
Se noi incominciamo ad essere fedeli nel poco, Lui a poco per volta ci libera
da tutto; ci dice: “Guarda quella cosa è
solo fatta per la figura, per il denaro, lascia correre, metti altro
d’importante prima di questa”; e mentre faccio questa sostituzione mi
libera, proprio ascoltando. Quindi più noi riusciamo ad ascoltare le sue
proposte e più Lui ci conduce verso la liberazione. Lui è il vero liberatore.
Ma bisogna incominciare da quel poco che possiamo. Ora generalmente, noi non
siamo vincolati 24 ore su 24 ore: saremmo nell’inferno, perché saremmo tutto
condizionati dall’esterno. Ora l’esterno ci vincola, ci condiziona un
certo tempo, un certo numero di ore nella giornata; altre ore le abbiamo
disponibili, ore in cui noi possiamo scegliere; mica nessuno ad es. ci prende
per la gola e ci dice: “adesso tu devi
guardare la televisione”, non sempre qualcuno mi costringe a questo; ho del
margine di tempo, ho qualcosa in cui posso disporre secondo quello che
voglio io. È lì che rivelo il mio cuore. È lì che si rivela se veramente
ho interesse per Dio o no: là dove io posso fare delle scelte. Ecco, questa
parola posso dirla o no: nessuno ti prende per il collo per costringerti a
dirla. Sì, se la dico, ci faccio bella figura; ma allora c’è il pensiero del
tuo io. Ora, senti, fa silenzio e pensa un pochino al Signore. Ecco è un
pensiero, sarà un instante, due secondi; intanto però sei stato fedele nel
poco. Ora è in questa fedeltà nel poco che Dio a poco per volta ci libera
da ogni altra cosa. È un cammino, un cammino faticoso, è logico che sia
faticoso, perché siamo talmente lontani, talmente immersi in una vita che è
completamente lontana da quella che è lo Spirito, che naturalmente diventa
faticoso, però “con la
pazienza - dice il Signore - giungerete a possedere le vostre anime”. Possedere le nostre anime vuol dire non averle più
in balia degli altri. E naturalmente le nostre anime sono in balia degli
altri. Basta metterci in silenzio per accorgerci dove sono le nostre anime.
Noi non siamo in possesso dei nostri pensieri, della nostra mente, delle nostre
anime.
Interlocutore: È difficile però vivere così in questa società in cui dobbiamo vivere,
perché dobbiamo vivere in essa.
Luigi: Un momento, prima di tutto perché: “dobbiamo”? Esiste Dio o non esiste Dio? Sì, e
se esiste Dio il primo dovere non è mica restare in società, perché
altrimenti avrebbero sbagliato tutto quelli che sono andati a farsi eremiti ad
es. o a vivere in un deserto. Non è detto! Perché: “dobbiamo”? il dovere è uno solo. Mettiamo bene quello al
suo posto. E poi sistemiamo tutto il resto.
Interlocutore: Diciamo allora che non abbiamo il coraggio a deciderci…
Luigi: Va bene, non abbiamo coraggio: allora è un’altra faccenda, così ragioniamo
bene. Io ho paura; benissimo. Ho paura perché se esco,: non sono più al centro
di un mio mondo, non ho più la figura…
Interlocutore: Diciamo che siamo tiepidi allora, perché al massimo mi pongo il problema
del mio egoismo, ma non vado più in là.
Luigi: Sì, ma è proprio questo problema del pensiero dell’io, dell’amore a noi
stessi, che ci mette in situazione di paura. Anche la violenza è una paura. Il
pensiero del nostro io ci fa diventare paurosi, per forza, perché ci rende
succubi della società, dell’ambiente, della mentalità degli altri, della
figura. Questo è il pensiero del nostro io. Il pensiero del nostro io ci
conduce alla morte. Dio è vita; il pensiero del nostro io da solo diventa
morte. Se io vivo pensando a me stesso, senz’altro io finisco nella morte, nel
vuoto, nell’angoscia, non posso farne a meno, perché io non sono la Verità.
Nessuno di noi è la Verità. Quindi senz’altro bisogna spostare il pensiero del
nostro io dal centro: è un atto di giustizia. Se sono convinto di non essere io
Dio Sei convinto tu che non sei Dio?
Interlocutore: Convintissimo!
Luigi: E allora evidentemente, il primo atto di giustizia è questo: sposta il
pensiero del tuo io dal centro dei tuoi pensieri, mettilo in periferia: metti
Dio al centro e comincia a ragionare con Dio intellettualmente, non
preoccuparti se sbagli mille volte al giorno, se ti ubriachi in
continuazione. Incomincia a metterLo intellettualmente al primo posto,
cioè incomincia a rapportare tutto a Dio, incomincia a riferire tutto a Lui.
Interlocutore: Ma non posso ubriacarmi se lo metto al primo posto.
Luigi: E va bene, ci sono tante debolezze, ecc.; però incomincia a ragionare
con Dio, perché noi attualmente ragioniamo col nostro io, ci diamo ragione,
perché: “io questo lo debbo fare, perché
altrimenti…” e sempre ci diamo ragione. Non dobbiamo darci ragione.
Incomincia a non darti ragione, cioè incomincia a non darti ragione se sei
orgoglioso, se sei egoista o se sei ambizioso; non darti ragione: dì che sei un
vile, dì che sei un pauroso, ecc. Ma dì questo! L’importante è non darci
ragione, non ritenerci giustificati pensando a noi stessi. Sì, puoi pensare
a te stesso, però dì: “sono un vile, non
sono capace in modo diverso”. Benissimo, questo va bene. L’importante è non
ritenersi degli eroi quando viviamo pensando a noi stessi. Questa è la prima
cosa da fare: incominciare a ragionare con Dio.
Interlocutore: La chiave di tutto è proprio incominciare col poco, fermandoci quei
minuti: “Signore, sono qua…”
Luigi: Certo, è la fedeltà nel poco. È cominciare soprattutto con la mente a
dar ragione a Dio e non più a noi; i gravi errori succedono perché noi
diamo ragione a noi stessi, ci giustifichiamo: “Signore, io ho i buoi, io ho la moglie, io ho i campi, io ho questo
lavoro, quindi non posso venire”. Non darti ragione, cerca presso Dio se
Dio ti dà ragione o no. Ecco, non darti ragione da te stesso. “Ma tutti fanno così…”: “sbagliato!”,
non basta. “Ma il dovere…”: no, non è
niente dovere. È sbagliato. Cerca presso Dio, cerca sempre se Dio ti dà
ragione o meno, cerca la ragione di Dio.
Interlocutore: È il principio che è sbagliato, perché diciamo: “tutti lo fanno”.
Luigi: È lì l’errore! Ci crediamo giustificati perché tutti fanno così. Tutti,
un cavolo! Noi siamo responsabili davanti a Dio, perché è Dio che parla con te,
mica tutti. Tutti sono quella carta bianca su cui Dio ti invita ad
affermare lo Spirito. Non basta dire: “Signore,
ma tutti gli altri…”, perché ci dirà: “Ero io che parlavo con te, e tu sapevi che io c’ero e
perché non mi hai considerato? Perché hai ritenuto più importante le creature
al Creatore”? E lì
c’è in gioco il mio io; è il nostro io che sfasa tutte le cose, sfasa il
problema. Non sono giustificato se io metto la creatura al posto del Creatore, anche
se queste creature sono “tutti”. Ma se noi mettiamo cento fiaschi vuoti, e
sono creature, non è che noi otteniamo un fiasco pieno: sono sempre vuoti tutti
quanti. Noi ci mettiamo magari in gruppo, cento, mille… e diciamo: “oh, siamo tanti”! No! Siete delle
nullità, perché Dio è l’Essere! Dio è la Verità! Tutte le creature
assieme anche se sono tante sono niente, perché è niente un uomo solo, ed è
niente un miliardo di uomini: sono tutti niente, sono tutti zero: l’unità
è data da Dio. È l’uno che davanti agli zeri dà valore a tutto. Ma se
togliamo l’uno, restano tutti gli zeri e se anche io mettessi un miliardo di
zeri, sono sempre zero, e non c’è nessun valore. Ora, l’importante è
convincerci di questo: la Verità è Dio, Dio al di sopra di tutto, Dio è Colui
che vale più di tutto: noi dobbiamo imparare a ragionare con Dio. Ecco,
imparare quindi a giudicare le cose secondo lo Spirito di Dio e non secondo quello che fanno tutti, non
secondo la figura, non secondo la società, non secondo il dovere qui, non
secondo il dovere là, perché noi ci mettiamo tutti degli schermi: sono soltanto
degli schermi in cui ci illudiamo, ma ad un certo momento, la Verità balza
fuori: “Tu stavi soltanto pensando a te
stesso”. Naturalmente, siccome non potevi dire: “io sto pensando a me stesso”, ci metti l’ideale, l’ideologia, la
bandiera, il dovere, ecc., ma sotto sotto c’è il pensiero di te stesso.
Metti anche la famiglia: c’è il pensiero del tuo io. No, impara a ragionare con
Dio, allora ti accorgerai che ragionando con Dio, riesci anche a dare alle
creature, alla tua famiglia, e anche alla società, i veri doni, i doni
migliori. I problemi non si risolvono con i soldi, la salute, ecc. I problemi
si risolvono su un campo molto diverso. Quando anche uno lavorasse ad es. tutta
una vita per lasciare una fortuna economica alla famiglia, quella famiglia lì
diventa poi un disastro morale o un disastro intellettuale e di carattere.
Lascia il vero bene, lascia Dio, quello è ciò che veramente conta.
Interlocutore: Anche nel superare le nostre debolezze possiamo peccare di superbia,
perché vorremmo toglierle subito di botto e invece anche qui bisogna cominciare
col poco.
Luigi: Bisogna incominciare sempre dalla causa, dall’inizio, cioè bisogna
incominciare a ragionare con Dio. Per questo dico così: ubriacati magari tutto
il giorno, ma incomincia a colloquiare
con Dio, a ragionare con Dio; altrimenti diventiamo dei giganti di virtù: “ah, io quello non l’ho fatto, io sono
diverso dall’altro…”, credi di essere chissà che cosa, e poi sei tutto
marcio dentro. No, incomincia a convertire il tuo pensiero. Dietro il tuo
pensiero verrà poi il tuo cuore: dietro il tuo cuore verrà la tua bocca
verranno le azioni, la vita, ecc. Non incominciare a pulire il tuo bicchiere
dal di fuori, quando è sporco dentro, perché allora noi finiamo di
trasformare la nostra vita in una recitazione: ecco, io recito l’uomo virtuoso,
la donna virtuosa. Ma è tutta una recitazione e dentro c’è il marcio. Ora l’uomo
si costruisce dal pensare, dalla mente. Per questo dico: incomincia a
ragionare con Dio, incomincia a mettere il Pensiero di Dio, incomincia a
vedere un poco come riesci a confrontare le cose con Dio, a raccoglierle in
Dio, e tutto il resto lascialo, lascia che le cose vadano come attualmente
debbono andare; non preoccuparti del resto, tutto il resto verrà dopo.
Ecco, incomincia a purificare il bicchiere dal di dentro, e cioè i tuoi
pensieri con Dio. Incomincia a verificarli lì, e poi tutto il resto a poco
per volta verrà: è una conseguenza.
Interlocutore: Perché Gesù usa il futuro qui dicendo: “Pregherò il Padre”?
Luigi: Pregare vuol dire guardare a. Qui i discepoli erano con Cristo,
Cristo dice: “Io
guarderò il Padre, pregherò il Padre”? Perché? Per dire a loro che guardino il Padre. Siccome loro sono
con Cristo, se Cristo guarda il Padre, anche loro guardano il Padre, no? Il
futuro è sollecitazione alla creatura. Nel cap.17 troveremo Gesù che consegna, affida
al Padre tutti quelli che sono con Lui.
Interlocutore: Quindi: “pregherò
il Padre” è come dire: “Vi affiderò al Padre”.
Luigi: Ecco. Questo pregare vuol dire guardare. Quando lei vede una persona che
guarda qualcosa, guarda anche lei quel qualcosa. Ha mai trovato lei una persona
che sta guardando qualcosa? Vien da chiederci: “Cosa guarda? Adesso guardo anch’io”. Ecco, e guardando ricevo,
perché noi riceviamo guardando.
Interlocutore: Gesù ci presenta qualcosa in cui non siamo ancora, ma siamo chiamati a
diventare, ci sta proponendo la Pentecoste.
Interlocutore: “Pregherò
il Padre, cioè vi affido al Padre e il Padre vi darà il Consolatore”.
Luigi: È un invito a guardare al Padre, perché lo Spirito della Presenza di
Dio si riceve solo dal Padre; per mezzo del Figlio, ma si riceve dal Padre.
Se noi non guardiamo il Padre, non possiamo ricevere lo Spirito, anche se
siamo con Cristo.
Interlocutore: Qui mi trovo nella stessa difficoltà di quando volevo distinguere il Padre
dal Figlio, perché qui ci presenta lo Spirito Santo, che non conosciamo, e che
dobbiamo distinguere dal Padre e dal Figlio.
Luigi: Va bene, non lo si conosce; non si conoscono le Persone, però in quanto
Gesù ce ne parla, ce le propone. E proponendocele, ascoltando, di che cosa
sentiamo il bisogno? Sentiamo il bisogno di distinguerle, di conoscerle,
perché non le conosco: mi parla di una cosa che non conosco. Questo è già una
cosa buona. Prima non pensavo nemmeno di dovermi interessare di certe
cose. Ad un certo momento Dio mi ha parlato… Io vivevo per mangiare, per
vestire, ecc. e poi ad un certo momento il Signore mi fa arrivare la sua
Parola: “Non
preoccuparti del mangiare e del vestire”. Ma io sto vivendo per mangiare e per vestire. “No - mi dice - cerca prima di tutto il Regno di Dio”. Ecco, una proposta. È sulla sua Parola
che incomincio a interessarmi…
Non pensavo nemmeno di dovermi interessare di Dio e
invece la sua Parola mi ha detto: “No,
interessati di Dio”! Vedi? È la sua Parola che ci sollecita: “Vieni avanti, vieni avanti! Vieni avanti!
Vieni avanti! E a poco per volta, più l’ascoltiamo e più ci stiamo
accorgendo che ci interessiamo di argomenti che ci propone Lui, e ad un
certo momento ci occupa tutto; occupa la mente, perché Dio è Spirito e
verità, ma la occupa a tempo pieno: ecco la preghiera continua! Restiamo
occupati a tempo pieno dal suo parlare! Il suo parlare è una presentazione
di argomenti in cui ci dobbiamo impegnare: è pane! È pane! Che Lui ci offre
ogni giorno e che noi dobbiamo durante la giornata sbocconcellare per
nutrirci. Lui ci offre del pane. Vedi che ci sta offrendo del pane? E
questo pane come ce lo offre? Parlandoci di cose che ancora non capiamo,
che però ci impegnano: è Parola sua! E in quanto è Parola sua, ci impegna. Ma
proprio impegnandoci, io incomincio a mangiare, e incominciando a
mangiare, incomincio a nutrirmi di cose spirituali, delle sue cose, perché: “l’uomo vive di ogni Parola che
esce dalla bocca di Dio”. È così, vedi, che ci fa crescere. Però si cresce in quanto si desidera
conoscere Dio, cioè si è messo Dio al centro.
Interlocutore: Si può identificare la sapienza con lo Spirito Santo?
Luigi: Certo, lo Spirito Santo è la sapienza di per sé, la sapienza
personificata, che è data proprio dalla presenza di Dio, però questa
sapienza viene, diciamo, diluita, spezzettata, a seconda delle nostre capacità,
appunto perché: “per ora
voi non siete capaci di portarla”. Però se noi incominciamo a nutrirci di quelle parole di Dio, di
Cristo, che arrivano a noi, terra a terra, e incominciamo a fare attenzione a
quelle, noi incominciamo a entrare nella sapienza. Perché la parola che mi
fa mettere Dio prima del mangiare e del vestire è sapienza, è sapienza
divina. Quindi quella parola che mi fa ritenere che una cosa sola è
necessaria, che la parte migliore è quella di Maria, quella è sapienza ed è
sapienza divina. Quindi quanto più io sto ad ascoltare la parola del Cristo
e la medito e cerco di rendermi conto se è giusto o se non è giusto, se è vero
o se non è vero, tutto questo mi fa entrare nella sapienza; una sapienza che
cresce, cresce, cresce giorno per giorno, fino a quel giorno in cui diventa
Persona, diventa Spirito Santo, diventa Presenza di Dio. Questa è vita
eterna, perché è vera sapienza. Già in tutta la creazione c’è questa
sapienza: il filo d’erba! Il filo d’erba che dice: “io non mi sono fatto da solo”, questo è già sapienza! L’uomo che
dice: “io mi sono fatto da solo” è un
insipiente! È inferiore al filo d’erba; perché il filo d’erba mi dice: “io non mi son fatto da solo” l’uomo
invece dice: “io mi son fatto da solo”
e questo è uno sciocco, non è più sapienza. Quindi l’uomo che si vanta, l’uomo
che crede di essere qualcuno, non è sapiente. Ma per poco che ascolti la parola
di Dio, incomincia ad entrare nella sapienza, e a poco per volta questa cresce,
cresce fino all’infinito; quindi c’è una partecipazione continua; però questa
partecipazione richiede sempre l’iniziativa da parte di Dio e l’accoglienza da
parte nostra, l’ascolto.
Interlocutore: Però questa sapienza la possiamo chiedere, no?
Luigi: Questa sapienza non solo la possiamo, ma abbiamo il dovere di chiederla.
Non solo possiamo, ma abbiamo il dovere! Dio stesso ci inonda di sapienza e ci
dice: “guardate
il bue: il bue conosce la stalla, l’asino conosce la greppia del suo padrone e voi
non mi conoscete!”. Ci rimprovera! Rimprovera la nostra stoltezza: la nostra stoltezza sta
nel non conoscere il nostro Signore, non conoscere Dio: questa è stoltezza!
Interlocutore: E naturalmente conoscendo il Signore avremo anche la sapienza nelle
situazioni quotidiane.
Luigi: È logico! Quanto più cresce in noi la luce, quanto più questa luce si
espande su tutto, tanto più noi vediamo le cose illuminate. Guardiamo il
Cristo: il Cristo è la sapienza, è lo Spirito di Dio tra noi: come
affronta tutte le situazioni? Vediamo il semplice fatto del denaro: quando gli
chiedono: “Dobbiamo
pagare il tributo a Cesare?” risponde: “Fatemi
vedere il denaro: di chi è questa effige? “Di Cesare”. “Date a Cesare quel che
è di Cesare, ma date a Dio quel che è di Dio”: questa è sapienza! Una sapienza divina. L’adultera: “Dobbiamo lapidarla? Mosè ordina di lapidarla”;“Chi è senza peccato scagli per primo la prima pietra”. Se ne vanno tutti: “Donna - dice - qualcuno ti ha condannata? Nessuno
Signore! Nemmeno io, va in pace e non peccare più”: questa è sapienza! Mettiamo un altro invece in questa
situazione: come se la sarebbe tolta? Mettiamo uno di noi: come ce la saremmo
tolta? Noi ci accorgiamo della differenza che c’è tra la sapienza di Dio e la
povertà e la stoltezza nostra.
Interlocutore: Pensi sia sbagliato pensare nelle situazioni difficili cosa Cristo avrebbe
fatto, perché posso fargli fare ciò che voglio…
Luigi: Bisogna cercare, attraverso la Parola di Dio, lo Spirito di Dio. Ci
vuole del raccoglimento, e della preghiera. Preghiera e silenzio.
Interlocutore: Mi sembrerebbe più comprensibile se Gesù avesse detto al rovescio di
quanto ha detto e cioè: “Io pregherò il
Padre che vi mandi il Consolatore perché possiate amarmi e osservare i
comandamenti miei”, e invece dice: “se mi amate e osservate…”
Luigi: Eh, no! È proprio al rovescio di ciò che dici tu, certamente!
Interlocutore: Ma non si può amare e osservare i comandamenti senza lo Spirito Santo!
Luigi: È proprio al rovescio: il problema non è osservare i comandamenti!
Interlocutore: No, ma amare, come si fa?
Luigi: Il problema non è osservare i comandamenti! Il fine non è il dovere! Il
fine è l’unione con Dio! Il fine è
contemplare Dio, il fine non sono i comandamenti. I comandamenti sono mezzi,
sono strade, quindi non sono lo scopo. Quindi non è che noi dobbiamo ricevere
lo Spirito Santo “per” (fine) ubbidire ai comandamenti. I comandamenti sono la
strada. Forse che tu deve andare a Cuneo per vedere la strada che porta a
Cuneo? No, ma cammini sulla strada per arrivare alla città di Cuneo, ma poi
arrivata alla città di Cuneo stai nella città: il problema è arrivare nella Città
di Dio; quindi tutti i comandamenti, tutti gli insegnamenti, l’universo stesso,
sono una strada, sono un cammino per arrivare a Dio. Conoscere Dio è la vita
eterna.
Interlocutore: Ma Lui ci dice: “Senza
di Me non siete capaci nemmeno di un buon pensiero”, quindi come facciamo ad amare, se Lui non ci dà il suo
Spirito?
Luigi: Ma certo! Tutto viene a noi da Lui, tutto. Lui ci dà tutto già fin
dall’inizio, perché Lui ci dà la fede in Lui, perché senza la fede in Lui, non
possiamo assolutamente fare niente. Noi da soli non possiamo fare niente,
ed è niente tutto quello che facciamo. Quindi bisogna partire da Dio per
arrivare a Dio. Ma la meta è Dio. Bisogna partire da Dio per accettare tutto da
Dio e per dare ragione a Dio di tutte le cose che Lui ci dice, perché se noi
non crediamo in Dio, non possiamo dar ragione. Se io non credo in Dio e apro il
Vangelo, dico: “Ma queste sono tutte
sciocchezze! Quello che conta è farsi
del denaro, farsi una carriera, cercare la gloria del mondo…”.
Interlocutore: Eppure Gesù dicendoci: “Se
osservate i comandamenti… Io pregherò perché il Padre vi mandi lo Spirito”. Quindi chiede a noi di fare una parte:
“Osservare i comandamenti”. Ma la possiamo fare da noi?
Luigi: No, tutto è per mezzo di Dio.
Interlocutore: Eppure ci invita a fare una cosa…
Luigi: Ci invita a fare una cosa e ci dà tutto. Ci invita a fare la
polenta, ma ci dà la farina, ci dà il fuoco, ci dà la pentola, ci dà il
mestolo, ci dà la forza per girarla. E ci dà anche la fame e la volontà di
mangiare la polenta.
Interlocutore: E prima ancora ci dà la volontà di farla. E qui è lo stesso: è già tutto
dono dello Spirito, ma non siamo ancora alla Pentecoste.
Luigi: Comunque sia ben chiaro: tutto viene a noi da Dio. Dio è il viandante
che mi trova per la strada e mi chiede un’informazione e in conseguenza di
questa informazione io posso dire “si”
o “no”, e quindi naturalmente io dò
una risposta. L’abbiamo detto prima: Lui interroga su altre cose e poi su altre
cose. Ad un certo momento, incomincio a conoscere sempre di più della
sua vita, del suo mondo ecc. ma è tutto dono di quell’Uno che si è fatto
presente a me. Quindi è Dio per primo. L’iniziatore è sempre Lui:
l’iniziativa è sempre di Dio, però chiede in continuazione a noi una
adesione, perché più noi aderiamo a ciò che Lui ci manda e più noi
cresciamo e più cresciamo e più diventiamo capaci di accogliere domande,
proposte sempre più alte, sempre più grandi, fino ai doni superiori,
fino allo Spirito Santo. Allora l’iniziativa è tutta di Dio. Dio non opera
con atti magici, Lui non ci considera delle macchine; d’altronde una
macchina Lui non può condurla a conoscere la Verità. La Verità si conosce
consapevolmente; la Verità si trova solo conoscendola e la conoscenza richiede
la partecipazione consapevole di un essere
cosciente; quindi Dio ci offre un pezzettino di pane: noi possiamo
mangiarlo o non mangiarlo. Se lo mangiamo cominciamo a crescere un po’ di più,
ma crescendo diventiamo capaci di mangiare un pane più sostanzioso, e più
mangiamo e più cresciamo, e diventiamo capaci di arrivare fino ai grandi
doni. Per questo, di fronte ad ogni parola, ad ogni dono di Dio, Dio ci
invita ad un atto di adesione. Certo, è logico, se fin dall’inizio, quando
Lui ci dice: “Non
preoccuparti del mangiare e del vestire, cerca prima di tutto il Regno di Dio”, io non aderisco, resto a quel piano
lì, morto a quel punto lì, perché sono segnato dal rifiuto della Parola di Dio:
chi mi giudica è la Parola, la Parola che era arrivata: Dio ti aveva
proposto di occuparti di Lui; non ti sei occupato, ecco: questa è la
situazione in cui ti trovi; perennemente tu sarai in questa situazione, in quel
problema, di fronte a questa Parola che non hai accolto, che non hai
accettata. Ma se tu l’accetti, incominci a crescere, e più cresci, più diventi
capace di doni maggiori.
Interlocutore: Quindi abbiamo fin dall’inizio lo Spirito, con la differenza che prima di
Pentecoste non Lo possediamo ancora, a Pentecoste sì: sarà il dono della sua
Presenza.
Luigi: Sì, il dono delle Presenza di Dio.
Interlocutore: Lo chiama Consolatore perché è dono di Presenza?
Luigi: Perché dà gioia. La luce quando arriva a noi è gioia. Quando noi
non capiamo qualche cosa siamo nella notte, nelle tenebre, siamo tristi; come
arriviamo a vedere, a capire qualche cosa proviamo della gioia. Ecco, la luce è
gioia. Quindi non dobbiamo cercare la gioia prima: cerca la luce, nella luce,
troverai la gioia.
Pensieri conclusivi:
Interlocutore: Spostare il centro, mettendovi Dio.
Interlocutore: Essere fedeli nelle piccole cose.
Interlocutore: L’umiltà di incominciare dal poco, per essere fedeli.
Interlocutore: Chiedere la sapienza.
Interlocutore: Cercare di conoscere Dio per amarlo e perché si riveli.
Interlocutore: Aspettare tutto da Dio.
Luigi: Bisogna aspettare , siamo in Avvento.
Interlocutore: La chiave è interrogarci: quale è il Pensiero di Dio? Per essere sempre
motivati dall’amore di Dio.
Luigi: Cioè bisogna sempre interrogare Dio per essere mossi da Dio.
Interlocutore: La fedeltà nelle piccole cose e poi l’importanza di incominciare sempre
dal pensiero, perché l’uomo si costruisce nel pensiero; quindi convertire il
pensiero a Dio e poi tutto il resto è conseguenza.
Luigi: Cioè; faccia pure molte sciocchezze, però riconosca che sono
sciocchezze.
Interlocutore: Qui Gesù ci fa un grande annunzio, perché è la prima volta che ci parla
dello Spirito Santo e lo chiama Consolatore, non perché ci consoli della sua
presenza fisica, ma perché è Luce, constatazione di Presenza e quindi assenza
di solitudine.
Luigi: Lo Spirito Santo è soprattutto Spirito di Verità, la Verità è amore, la
Verità è conoscenza, la Verità è gioia.
Interlocutore: Questo annunzio è per suscitare in me il desiderio di ricevere questo
Spirito.
Luigi: Gesù lo fa per questo. Lui vuole suscitare in noi il desiderio;
parlando a noi di qualcosa, forma in noi il desiderio; per cui anche il
desiderio in noi, non è nostro, è grazia di Dio; perché se non ce ne parlasse,
non lo potremmo desiderare.