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“Il vostro cuore non si turbi, credete in Dio e credete anche in Me”. Gv 14 Vs 1


Argomenti: Fare conto du Dio – La possibilità di pensare Dio – Accogliere da Dio e riportare a Dio – Raccogliere con il Verbo -


20/Settembre/1980


Gesù agli apostoli dice di non turbarsi, proprio dopo aver annunciato la sua partenza e la loro impossibilità ad andare dove Lui va, dopo aver annunciato il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro. Preannuncia tutto questo, ma non nella veste di giudice, perché Gesù viene per salvarci, non per giudicarci.

Gesù non guarda dove siamo, ma ci presenta il luogo dove dobbiamo andare. Egli viene e ci offre la salvezza; non viene per dirci “guarda dove sei”, ma viene per portarci là dove Lui è, dove abbiamo la vita.

Dice “non sia turbato il vostro cuore”, perché prima aveva annunciato

·                                         la sua partenza dicendo “dove Io vado voi non potete venire”;

·                                         il tradimento di uno di essi

·                                         e il rinnegamento di Pietro.

 

Nonostante questi tre “gravi” avvenimenti Gesù li invita alla fiducia, perché è Lui che supplisce a tutto. “Credete in Dio”, cioè “abbiate fiducia, fate conto su di Lui!”.

Pietro faceva conto su di sé e diceva di essere disposto a seguirlo fino alla morte. Ma Gesù che sapeva ciò che c’era nel suo cuore, gli rispose “Tu darai la vita per Me? In verità ti dico, questa notte stessa mi rinnegherai per tre volte!”.

Gesù perciò invita ogni uomo a non far conto su se stesso, anche se in buona fede pensa di amarlo, al punto da dire “darò la mia vita per te”. Egli ci dice “Non fate conto su di voi, ma su Dio e su di Me”.

L’importante, in tutte le nostre situazioni, è far conto su Dio. Se ne esce, da ogni situazione critica, solo facendo conto su Dio. Se invece facciamo propositi o sforzi contando su di noi, ci apriamo al tradimento. Proprio come Pietro: nel suo entusiasmo faceva conto su di sé; è qui che Gesù gli fa capire che si apre al tradimento “questa notte stessa per ben tre volte mi rinnegherai”.

Solo facendo conto su Dio riceviamo luce e grazia per essere fedeli e non tradire. In tal modo, quando arriveremo, potremo veramente dire in coscienza “è stato tutto dono tuo, o Signore!”, cioè attribuiremo tutto a Lui, perché si entra nel Regno di Dio soltanto facendo conto su di Lui.

In qualunque situazione tu ti trovi, cerca Dio; anche se ti trovi nel male più grave, non cercare di uscirne con le tue forze, ma cerca presso Dio, fa conto su Dio, Dio ti libererà. Lui è il Liberatore! Egli non è il liberatore quando siamo liberi, ma quando siamo schiavi; “Ti senti schiavo? Guarda Me, Io ti libererò. Sei malato? Guarda Me, Io ti curerò. Sei morto? Guarda Me, Io ti risusciterò!”.

In qualunque situazione ci troviamo, possiamo pensare Dio: è lì la meraviglia! Lo possiamo pensare sempre, perché Dio è con noi anche senza di noi. Lui è con noi anche quando noi non siamo con lui, quindi ci da sempre la possibilità di pensare a Lui, di guardare Lui. Se guardiamo Lui, Lui ci ricostruisce, in qualunque situazione noi ci troviamo. L’importante è non far conto su altro, né appoggiarci ad altro, ma confidare unicamente in Dio, perché l’aiuto ci viene da lì.

Nei salmi preghiamo: “Tu, Signore, sei il mio aiuto, il mio liberatore, il mio baluardo, la mia forza in tutto”, cioè il mio appoggio deve essere Lui in tutte le cose.

Dio non è con noi per giudicarci, ma per salvarci; quindi l’importante è guardare a Lui. Non ci dice “guarda Me e io ti condanno”, no! Ma ci dice “guarda Me e Io ti salvo!”. È il pensiero del nostro io che ci giudica e ci condanna, perché vorrebbe essere qualcosa; ma Dio è misericordia e amore, quindi non condanna, perché la misericordia e l’amore non condannano. Se invece pensiamo a noi stessi, proviamo avvilimento, perché non siamo fedeli nei nostri propositi, perché sbagliamo, perché non concludiamo niente; questo rivela che non abbiamo capito che siamo su questa terra per imparare a far conto in tutto su Dio, per imparare a convivere con Dio. Convivere con Dio vuol dire far conto su di Lui e riportare tutto a Lui, per cercare in Lui il significato di ciò che ci dice. È questo che ci fa vivere; perché noi non siamo vivi di per sé, ma viviamo per partecipazione. Lui è il Vivente! Noi viviamo nella misura in cui partecipiamo del Vivente, dell’Essere: Dio. Dio è vita ed è principio di vita. Viviamo nella misura in cui accogliamo da Lui e riportiamo a Lui, nella ricerca del suo Pensiero in tutto.

Domanda: Riportare a Dio è un invito che ha una grande potenza, ma in concreto che cosa vuol dire?

Luigi: Vuol dire raccogliere in Dio, e si può solo raccogliere col Verbo di Dio, col Pensiero di Dio, con Cristo. “Chi con Me raccoglie riceve mercede di vita eterna, ma chi non raccoglie con me disperde”. Nella misura in cui raccogliamo con Lui, veniamo raccolti. Cristo è venuto per raccoglierci in Dio, prendendoci da tutte le nostre dispersioni. Dio è Colui dal quale tutto viene e al quale tutto fa ritorno. Dobbiamo imparare ad accogliere tutto da Dio, perché tutto viene da Dio. Ma non basta prendere tutto da Lui, non basta accettare da Lui. Bisogna anche imparare a riportare a Dio. Perché questo? Perché tutte le cose Arrivano da Lui e si fermano nelle nostre mani, dicendoci “siamo di Dio, riportaci a Dio”. Tutte le cose  (fatti, creature, parole, incontri, ecc.) arrivano da Dio, però si fermano nelle nostre mani fintanto che noi  non le riportiamo a Dio (e solo noi lo possiamo fare); e se ciò che arriva a noi resta separato da Dio, non può essere illuminato, resta nella notte: non lo possiamo capire.

Riportare a Dio è possibile, poiché Lui è presente. Dunque se noi unifichiamo le cose, i fatti, le persone, le parole in Dio, tutto si illumina. Il lavoro essenziale che dobbiamo fare nella nostra vita è riportare tutto in Dio, per vederlo in Dio, per raccoglierlo in Dio. È un lavoro che  solo noi personalmente possiamo fare; nessuno può farlo  al posto nostro.

Raccogliere quindi vuol dire cercare il Pensiero di Dio in ogni cosa. Solo così ogni cosa si illumina. Ogni cosa che arriva a noi, da sola, non è luce: ha bisogno di essere portata nel Pensiero di Dio. Noi possiamo vedere le cose nel pensiero del nostro io, possiamo cioè fermare le cose al nostro io (perché ci piacciono, perché ci servono…); in tal mondo fermiamo noi stessi al nostro io. E alla domanda “perché fai così?”, rispondiamo: “perché mi conviene!”; “Perché parli così?”, “perché davanti agli altri mi serve…”, ecc. In questo modo non si ragiona secondo Dio. Purtroppo il nostro vivere “normale” è questo: “faccio questa cosa per la carriera, per la figura, per il giudizio degli altri, perché mi è comodo, ecc”; vediamo le cose in funzione dei nostri interessi e non le riportiamo più a Dio. E ogni scelta la facciamo in funzione dell’io e le cose non le vediamo in Dio. Tutto questo ci porta lontano da Dio, perché si crea una frattura, una divisione in noi, un principio di schizofrenia.

“Ogni cosa divisa in se stessa va in rovina”, dice Gesù. Separando da Dio, rimaniamo separati da Colui che abita in noi. È un lavoro paziente e lungo quello del raccogliere (“raccogliete perché nulla vada perduto”). Ci vuole silenzio per mettersi in dialogo con Dio e non fermarsi alle cose.

Se per esempio ti pestano un piede, la prima reazione è quella di urlare o di fare altrettanto. No, non fermarti all’impressione che ricevi, accogli da Dio “è Dio che mi ha mandato quel tale a pestarmi un piede”. Sì, è Dio che ti ha pestato un piede. Quindi prenditela con Lui e non con la creatura che Egli ha usato; ragiona con Dio, non con la creatura. La creatura è stata il bastone, il mezzo per urtarti. Comincia perciò a dialogare con Dio, e inizi a capire che con Dio non te la puoi prendere, perché Dio ha sempre ragione e se ti ha fatto soffrire non l’ha fatto per cattiveria; dunque se l’ha fatto c’è qualcosa da modificare in te.  Dialogando con Lui lo invochi, “Signore, dimmi che cosa è che deve cambiare in me”. Il dialogo tra l’anima e Dio sorge in conseguenza di un fatto ricevuto da Dio.

La base fondamentale è accogliere tutto da Dio; se non si fa questo lavoro attribuisci la cosa alla creatura, al caso, alla natura e non dialoghi più con Dio.

Devi arrivare a dialogare con Dio come Dio dialoga con te. Parla con Colui che sta parlando con te, perché soltanto guardando Lui, Lui ti può illuminare e farti capire perché ti ha mandato quel tale a pestarti un piede.

Non c’è nulla che arrivi a noi senza significato, perché Dio è intelligenza infinita, quindi non fa le cose senza significato. Dobbiamo sempre cercare presso Dio il significato di ciò che accade. Solo Dio ce lo può dire questo significato. Per questo bisogna mettere molto tempo di silenzio; per questo bisogna fare questo dialogo con Dio come Lui lo fa con noi, riportando a Lui le sue parole (fatti, ecc.) affinché vengano illuminati. Le parole che giungono a noi sono dei corpi nudi che noi possiamo rivestire dei nostri abiti anziché degli abiti di Dio.

Rivesti le parole di Dio secondo gli abiti di Dio, secondo ciò che Dio ha in mente, non secondo ciò che hai in testa tu.

Più c’è intimità con Dio e più c’è conoscenza del significato dei suoi segni. Con una persona che conosci, ad un minimo cenno capisci subito ciò che ti vuol dire; invece con una persona che non conosci ti ci vuole più tempo per capire.

Più siamo amici di Dio più siamo facilitati nel capire i suoi segni. Dio opera tutto per renderci intimi a Lui, partecipi di questa vita con Lui. Ci chiama a questa sua intimità attraverso tutte le cose. “Ti faccio questo, ti mando questo, ti dico questo, perché voglio che tu viva in amicizia con Me”.

È logico che più siamo lontani da Lui, più difficile è la comprensione del significato dei suoi segni. Per cui in un primo tempo qualche volta sbagliamo e possiamo confondere la nostra volontà con la sua, ma poi, poco per volta, nella misura in cui guardiamo a Lui, vediamo la Luce. E la luce di Dio non si confonde mai col pensiero del nostro io; nella luce di Dio capiamo perfettamente se stiamo facendo la volontà nostra o quella di Dio.

Non possiamo barare con Dio, perché sappiamo quando diciamo una menzogna. A una creatura possiamo far credere che stiamo facendo la volontà di Dio, ma a Dio no.

Tiziana: Quindi, quando seguiamo il nostro sentimento, come Pietro, sbagliamo?

Luigi: Sì, ma Dio ci corregge. Pietro faceva conto sulla sua volontà, sul suo amore per Cristo (“Ti seguirò fino alla morte”). Cristo, che conosce ciò che c’è nel cuore dell’uomo, sa che l’amore di Pietro è sentimento, che il suo è entusiasmo, per cui sa anche che fra tre ore sarà rinnegato da lui. “Non lo conosco” dirà Pietro. Come mai? Perché siamo volubili. È sufficiente che cambi l’ambiente o le persone e già diciamo cose diverse, passiamo dall’entusiasmo al rinnegamento. Siamo come l’acqua che assume la forma del recipiente che la contiene. Solo ricevendo lo Spirito Santo cominciamo a diventare fedeli. Senza lo Spirito la nostra vita si riduce ad essere una semplice reazione a degli stimoli esterni.

Noi viviamo nella misura in cui partecipiamo della vita di Dio, in cui conosciamo Dio, perché Dio è il vivente; noi non abbiamo la vita in noi. Cristo, annunciando a Pietro il suo rinnegamento, gli insegna che tutte le volte che fa conto su di sé deve rimangiarsi quanto dice. In diverse occasioni Gesù lo corregge e gli fa capire che non deve far conto su di sé, su ciò che sente, su ciò che sa (addirittura lo chiama satana). Cristo dialoga sempre con ciascuno di noi per dirci “Fa conto su di Me”. Per questo, dopo avergli annunciato il tradimento, dice “Abbiate fiducia”, “Non si turbi il vostro cuore”.

Dobbiamo imparare a far conto su Dio in tutto; è questo far conto su di Lui che ci rende fedeli e capaci di vivere, di camminare nella luce. Imparare a far conto su di Lui richiede pazienza, “è con la pazienza che guadagnerete le anime vostre”, dice Gesù.

Noi non possediamo ancora le nostre anime. È  sufficiente mettersi in silenzio a pregare per accorgerci che non la possediamo, in quanto non riusciamo a stare con Dio, non riusciamo a pensare a Lui perché altri pensieri prendono il sopravvento. Ma toccare con mano che non riusciamo  a pregare è positivo, è già un passo in aventi rispetto a chi si crede di essere padrone della propria anima, dei propri pensieri e poi non lo è.

Solo con Dio avremo il possesso della nostra anima. Prima di conoscere Dio la nostra anima è venduta ad altri o ad altro; e quando vorremmo rivolgerla a Dio non riusciamo. Scoprire questa nostra povertà è già grazia di Dio. Se pensi Dio, se ti impegni a pensare sovente a Lui, se ti impegni a far silenzio, subito Dio ti da la grazia di capire che sei infedele, incapace a pensare, a pregare. E quando l’anima tocca la sua povertà, è ricondotta alla sua dimensione.

Quando invece non ha ancora scoperto la sua povertà è gonfiata, ed ha bisogno di essere ricondotta, dalla misericordia di Dio, alla sua dimensione; ha bisogno di prendere coscienza del tutto di Dio e del niente suo. “Quand’anche aveste fatto tutto ciò che dovevate, dite sempre “siamo servi inutili”, ci insegna Gesù.

Pinuccia: Queste parole (“Non si turbi…”), Gesù le dice non solo perché ha annunciato il tradimento, il rinnegamento e la sua partenza, ma anche per preparare i discepoli a ciò che avrebbero tra poco assistito, cioè alla sua Passione, no?

Luigi: Certo, Egli ha detto “Me ne vado” e di fronte a queste sue parole è naturale che l’animo umano si turbi, perché fa conto ancora sulla sua presenza fisica. Egli sta operando per educarli a ricevere la sua Presenza spirituale, cioè alla scoperta di ciò che Lui è. Li educa al passaggio dalle cose che si vedono alle cose che non si vedono. “Ora lo sposo è con voi e vi parla, ma tra poco lo sposo vi verrà tolto perché dovete passare alle cose che non si vedono”. Dio è superiore a noi, quindi “naturalmente” (con i nostri sensi) non lo possiamo vedere, però siamo chiamati a vederlo. Si richiede il superamento del nostro io e il far conto su di Lui. Se Lui ha detto “Dove vado Io voi non potete venire”, non l’ha detto per escluderci ma per insegnarci la via; è come se dicesse “voi nel pensiero dell’io non potete venire, ma nel Pensiero di Dio sì”. Per andare anche noi là dove Lui è, bisogna passare dal pensiero dell’io al Pensiero di Dio. Cristo ci insegna la via (la morte a se stessi) in quanto è necessario per poter passare dal mondo che si vede al mondo che non si vede, cioè per raccogliere tutte le cose nel Pensiero di Dio. E tutto questo richiede molto silenzio.

Le cose che arrivano a noi, che noi vediamo, hanno bisogno di essere trascese, nel silenzio, in Dio, per vedere il Pensiero di Dio in esse. Questo è un lavoro faticoso per la creatura, perché invece vorrebbe starsene seduta, comoda, in poltrona davanti alla TV. Ma la Verità, che non si vede perché è superiore a noi, la si trova solo conoscendola; ma per conoscerla, cioè per fare il passaggio dal visibile all’invisibile, si richiede tanta fatica: bisogna riportare, consacrare tutto a Dio (s. Agostino dice che la nostra mente è il vero altare su cui tutto viene consacrato a Dio). 

Amalia: Questo turbamento rivela sempre un difetto nell’anima?

Luigi: Sì, c’è sempre un difetto dell’anima nel suo rapporto con Dio quando si è turbati. “Perché vi ho detto che me ne vado, vi siete rattristati…”. Quando un amico se ne va c’è una tristezza, in quanto la sua presenza faceva comodo, dava gioia averlo. Ma questo turbamento, questa tristezza deriva dal pensiero di sé, da un errato rapporto con Dio; deriva dal pensiero dell’io. Cristo se ne va per farci superare questo sentimento ed educarci al passaggio ad un’altra presenza in cui non ci sarà più il pensiero dell’io. Noi siamo fatti per vivere con qualcuno, per vivere per un altro. E quest’altro o è la creatura o è Dio.

La creatura necessariamente se ne va, perché o ci delude o muore: per questo la creatura ci sollecita ad andare a Dio che non ci deluderà e non ci lascerà, perché nella solitudine siamo tristi.

All’inizio, il passare della creatura al Creatore, il cercare cioè in tutto il Pensiero di Dio è fatica. Però Dio opera per farci fare questo passaggio, opera in tutto per insegnarci ad essere sempre con Lui come Lui è con noi; opera perché impariamo a conoscere Lui come Lui conosce noi, ad amare Lui come Lui ci ama, ad essere presenti a Lui come Lui è presente a noi. Dio opera in tutto, e in tutto ci da le sue lezioni per portarci lì. È Lui il Maestro, Lui solo (né le creature, né il mondo, ecc).

Se siamo attenti a Dio, Egli ci educa e ci porta a questo rapporto di amicizia, di intimità, di conoscenza. E finché non arriviamo lì, quando una creatura o la presenza fisica di Cristo stesso ci viene a mancare, proviamo turbamento, perché nella solitudine siamo turbati, poiché non siamo fatti per essere soli. Ma questo passare delle cose, questo andarsene della presenza fisica di Gesù, sono una sollecitazione ad arrivare a quella presenza spirituale, stabile, eterna, dove non ci sentiremo più soli, perché sarà una presenza che non ci lascerà più.

Amalia: Noi proviamo turbamento di fronte ad una fatto che non vediamo in Dio, no?

Luigi: Sì, perché non vedendolo in Dio, non lo conosciamo: dove non si conosce ci si sente soli, quindi si prova turbamento. La conoscenza è data dalla presenza di Dio; ma fintanto che non siamo giunti a questa sua presenza noi ci sentiamo soli ogni volta che una creatura se ne va, ogni volta che non comprendiamo un avvenimento, ecc. La liberazione dal turbamento avviene nella conoscenza, nella scoperta della presenza di Dio in tutto. Finché c’è un rapporto difettoso tra noi e Dio sperimentiamo il turbamento; non capiamo, siamo confusi e le risposte ai problemi che Dio ci pone sono stonate. Ma è questo rapporto difettoso che genera in noi il turbamento e il turbamento è un segnale d’allarme o una sollecitazione a camminare.

Paolo: L’unica cosa da fare quando il cuore è turbato è l’ascolto della Parola di Dio, vero?

Luigi: Certo, perché è la parola di Dio che ci fa superare il turbamento, “Non si turbi il vostro cuore”. Quante volte troviamo questa parola nel Vangelo, ad es. nella tempesta “Non temete, sono Io”. Questa è parola scritta, ma quella parola che disse allora (siccome la Parola di Dio è assoluta, fuori dal tempo) ce la ripete in ogni avvenimento che ci capita: “il vostro cuore non si turbi”: è quindi una parola che lui ci dice in ogni fatto, in ogni avvenimento della giornata “Non temete, sono Io”. Sì, Lui è in tutto. Forse possiamo smentire che tutto è opera sua? Ogni avvenimento è mandato da Lui. Se non ricorriamo alla sua Parola ci spaventiamo, perché pensiamo a noi.

Se penso a Lui non temo nulla. Bisogna sempre ricordarsi della parola “non si turbi il vostro cuore”, perché è una parola che ci dice e ci ripete in ogni cosa, in ogni incontro, in qualunque cosa ci capiti, anche nel male, anche nel peccato. Bisogna ricordarsene, perché è il pensiero del nostro io che ci porta alla disperazione, e lo si supera solo ricorrendo alla parola di Dio, pensando a queste sue parole. In tal modo riceviamo tutto dalle sue mani: è Lui, “Non temete, sono Io”; perché Lui viene e opera per salvarci, non per giudicarci. Infatti annuncia a Pietro il rinnegamento, però anziché giudicarlo gli dice queste parole: “non si turbi il tuo cuore” “abbi fiducia in Dio e in me”. La prima parola che ci dice in ogni avvenimento è questa “Non temere”. Ci ha fatti dal niente, quindi è ben capace a toglierci dai pasticci.

Quindi non toccare, non modificare tu le cose, se no finisci di fare lo sbaglio di chi mette le mani in una macchina rotta che non conosce e, volendo aggiustarla, la rovina ancor di più. La vita umana è ancor più complicata di una macchina, ma noi vogliamo mettervi sempre le nostre mani senza conoscerla.

Marco: “Non si turbi il vostro cuore” è l’aspetto passivo? “Credete in me”, è l’aspetto positivo?

Luigi Il non turbarsi è anche un atteggiamento attivo, perché richiede il far conto su Dio. Nel pensiero dell’io noi siamo turbati: facciamo tanti programmi, propositi, ecc. e non riusciamo;  per cui ne rimaniamo avviliti. “Non turbarti, è necessario che questo accada – ci dice il Signore – fa conto su di Me, io rimedio a tutte le tue deficienze, a tutti i tuoi sbagli, abbi fiducia: in Dio e in Me”, se ne corri il rischio di rimanere schiacciato dalla tua stessa impotenza, o miseria, ecc.

Dio ha la possibilità di rimediare a tutti i nostri errori, perché ci ha fatti dal niente; per cui su ogni nostra nota sbagliata Egli costruisce delle sinfonie nuove. L’importante è non aver paura. Lui è il Maestro. Non turbarti quindi, ma apriti a Lui. Il turbamento è sempre nel pensiero del nostro io.

“Credete in Dio e credete anche in me”: credere, aver fede è imparare a cercare Lui in tutto sapendo che c’è, perché Lui per primo ci dice: “Io sono. Quindi, cercalo ora che sai che c’è.

Fede vuol dire cercare. Il primo dato, l’iniziativa è di Dio che si annuncia, è “Io ci sono”. Basta un semplice filo d’erba per capire che un Altro l’ha fatto e che non l’ho fatto io.

Ma che Lui si annunci non vuol dire che io lo veda; se non lo cerco nell’annuncio non lo posso conoscere. Posso aver sentito il suo grido, la sua voce, ma se non lo cerco non posso trovarlo. Se invece credo, incomincio a interessarmi di quel Tale che mi manda una voce.

Questa è onestà, giustizia. Nella misura in cui c’è questa giustizia, in me, onestamente comincio a cercare, facendo conto su di Lui, perché è Lui che ha iniziato e sarà ancora Lui che porterà a compimento l’opera iniziata.

La fiducia è un elemento di questa fede, ma non è tutta la fede. Gesù fa questa distinzione “credete in Dio e credete anche in Me”, perché Lui è la Parola. Non possiamo accogliere la Parola (cioè credere alla Parola), se non crediamo in Dio, se non siamo attratti dal Padre. Credere in Dio vuol dire lasciarsi attrarre da Dio.


Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; Gv 14 Vs 2


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20/Settembre/1980


Gesù ci dice che nella casa del Padre ci sono molti posti e che Lui va a prepararci un posto, riferendosi a quanto prima aveva detto “Dove Io vado voi non potete venire”. Corregge l’apparente esclusione dicendo “dove Io vado c’è posto per tutti”.

Prima sembrava volesse escluderci, invece in quello che ci dice ora comprendiamo che non l’ha detto per escluderci, ma per insegnarci la via: Lui stesso. Cioè, Lui ci dice “Se fai conto su di te, non puoi venire dove Io vado; ma Io ti preparo il posto, abbi fiducia in Dio e in Me”.

È Lui stesso che ci prepara il posto. Egli, andandosene, prepara il posto dentro di noi. Lo prepara perché noi siamo incapaci di restare con Lui.

Tutto ciò che fa Cristo, lo fa per formare la nostra anima e renderla capace di restare dove Lui è. Dio abita in noi, ma noi non siamo capaci di restare con Lui che è in noi, non sappiamo restare dove Lui è, perché siamo invasi dalle creature.

Cristo allora ci prende per mano e se noi lo seguiamo forma questa capacità di restare col Padre; è questo il senso del prepararci il posto: forma in noi la capacità di restare sempre con Lui, dove Egli è.

Proprio andandosene, facendoci superare la sua presenza fisica, attraverso questo nostro travaglio, attraverso questa morte a noi stessi, prepara la nostra anima a restare con Dio, ad adorare, a contemplare Dio. Cioè prepara in noi il posto del Figlio.

Il posto del Figlio è la casa del Padre. Il suo andare è un morire a se stesso, abbracciando la morte per fare la volontà del Padre. Ci prepara il posto insegnando a noi a morire a noi stessi, a superare il nostro io (perché il nostro io va superato, così come dobbiamo superare le creature per trovare in esse il Pensiero di Dio).

È necessario questo superamento totale dell’io e del mondo relativo all’io, perché Dio lo si conosce solo nel Pensiero di Dio, non nel pensiero dell’io; se noi potessimo conoscere Dio nel pensiero dell’io, saremmo Dio. Nel pensiero di Dio possiamo conoscere l’io, ma nel pensiero dell’io non possiamo conoscere Dio. Dio lo si conosce solo in Dio.

E noi abbiamo questa possibilità, perché Dio ha dato a noi il suo Pensiero: è un tesoro immenso che ci dà la possibilità di stare con Dio. Non trascurare quindi questo tesoro. È questo il tesoro nascosto nel campo per avere il quale, chi lo scopre, va e vende tutto con gioia per comprare quel campo. È un tesoro enorme avere la possibilità di pensare Dio! La luce ci viene da questo tesoro, così come l’amore ci viene da Dio (perché noi da soli non siamo capaci né di amare né di vedere).

Dio ha posto questo tesoro in noi, ma noi passiamo la vita trascurandolo e andiamo elemosinando altrove spiccioli di vita. Mendichiamo briciole d’amore dalle creature e trascuriamo il tesoro, il grande dono che Dio ha posto in noi e che abbiamo a nostra disposizione.

“Vi sono molti posti”: dice molti perché se dicesse che c’è posto per tutti, essendo il “tutti” universale, sembrerebbe un fatto automatico; invece l’ingresso nella casa di Dio richiede sempre la nostra adesione. Egli dice “molti” per evitarci l’illusione che si entri automaticamente.

Questo lo dice per precisare, o meglio, per approfondire ciò che aveva detto prima “dove vado Io c’è posto anche per voi; Io ve lo preparo; ma se non me ne vado, non ve lo preparo e non potete venire dove sono Io”.

Cioè, bisogna seguire Gesù fino alla conclusione, in tutti i suoi insegnamenti, fino al Padre; perché Lui è uno che va, e seguire uno che va vuol dire andare fino là dove Egli va, se no si creano le distanze. Egli viene dove siamo noi, non per condividere la nostra mentalità, ma per portarci nella sua mentalità.

Egli assume un corpo umano, perché non siamo capaci di vedere altro, ma il suo è il linguaggio di Dio. Non viene per giocare a birille con noi, a confortarci nelle lotte per i nostri diritti, nei nostri problemi sociali, ma viene per liberarci da tutto questo, per portarci nel suo Regno. Gesù stabilisce un contatto, ma parla secondo Dio non secondo gli uomini.

Il Regno di Dio è la realtà, è in tutto.

“Sforzatevi di entrare oggi”, seguendo le parole di Cristo. “Oggi”, perché Dio parla oggi; non rinviare a domani, perché puoi morire stanotte. Nella misura in cui seguiamo Cristo, restando nelle sue parole e assimilandole tutte, Egli prepara per il posto. Ma bisogna seguirlo fino alla fine, fino alla sua Croce e fino alla sua Ascensione.

“Nella casa di mio Padre…”: casa è il luogo in cui uno abita. Il Padre ha una casa da cui noi possiamo essere cacciati fuori. Dice Gesù “i figli restano in essa, i servi non vi rimangono sempre”, se non passiamo ad essere da servi a figli, saremo cacciati. Quindi abbiamo un luogo da cui possiamo essere cacciati fuori: la casa del Padre, il regno di Dio. Possiamo trovarci di fronte ad essa come di fronte ad una porta chiusa, a cui bussiamo invano. In realtà noi siamo sempre nel Regno di Dio, nella casa di Dio, ma soggettivamente, per le nostre condizioni psicologiche noi possiamo sentirci esclusi, gettati nelle tenebre esteriori (= immersi nelle cause seconde).

Quindi non scostarti mai dalla Parola di Dio, affinché non avvenga questo; perché è la Parola di Dio che ti fa tener presente la causa prima di tutto, è la Parola di Dio che ti fa passare dalla situazione di servo alla situazione di figlio, di amico. Quanto più noi riceviamo le parole del Cristo tanto più diventiamo amici di Dio. Non siamo noi che diventiamo amici, è Lui che ci fa amici: “Vi ho chiamati amici perché vi ho detto tutto ciò che ho udito dal Padre mio”.

C’è Dio e ci sono tutte le opere di Dio; tutte le opere di Dio formano la casa di Dio: lì si esperimenta la presenza di Dio, perché lì c’è Dio. La casa di Dio è di Dio in quanto c’è Dio: se manca la persona che la abita quella casa non è più casa di quella persona.

Se conosco Dio e quindi conosco le sue opere, allora resto in casa; in caso contrario sono fuori dalla casa del Padre, fuori dal suo Regno, pur essendo dentro: mi trovo davanti ad una porta chiusa, per cui tutto mi è incomprensibile, tutto è assurdo, tutto è un parlare diverso, il parlare di Dio lo trovo astratto. Solo se si è in amicizia col proprietario si può restare nella sua casa  ed esperimentare la sua Presenza, vivere nella sua conoscenza. La casa è l’insieme del proprietario e delle cose sue.

“Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore”: c’è posto per tutti, c’è posto anche per voi. Prima aveva detto “dove Io vado voi non potete venire”: ora precisa “voi da soli non potete venire”: “c’è posto anche per voi, ma devo andarmene per prepararvelo”.

“Se così non fosse ve lo avrei detto”: se ascoltiamo Lui, Lui dice a noi tutto, non nasconde nulla; né ci lascia illudere: “se così non fosse ce l’avrebbe detto”. Egli ci dice tutto, “Vi ho detto tutto (ed è quanto dice) quello che ho conosciuto dal Padre mio: per questo vi chiamo amici”. Ciò che ci fa passare dalla condizione di servi alla condizione di amici è l’ascolto delle parole sue.

Come si passa nell’intimità di una persona? Frequentandola, custodendo ciò che ci dice: allora si diventa amici di essa; prima invece eravamo estranei per essa (i servi). Siamo tutti servi (anche il diavolo è servo, perché Uno solo regna), ma il servo è costretto ad ubbidire; l’amico invece vuole solo ciò che vuole l’altro, conosce il pensiero dell’altro; lo condivide, per cui vuole ciò che vuole l’altro, e giunge a conoscerlo ascoltando tutto ciò che l’altro ha da dire, frequentandolo molto.

Quanto più ci fermiamo ad ascoltare le sue parole, tanto più queste diventano nostre: ci purificano, ci lavano (“Voi siete puri a motivo delle parole che avete udito”), perché esse sono acqua, e ci portano in amicizia con Dio.

Quanto più riceviamo da Cristo (parole, fatti, ecc.) tanto più diventiamo amici di Cristo.

Per questo dovremo riconoscere che è dono suo: “È stata grazia tua, Signore, perché se tu non avessi parlato, non potevo entrare nella tua amicizia e conoscenza”.

“Se così non fosse…”: cioè se invece fossimo esclusi, allora ce l’avrebbe detto, “perché Io vado a preparare un posto per voi”. Cioè “sono venuto proprio per questo motivo: per preparare un posto e me ne vado ora per prepararvelo”. Egli è venuto per farci posto nella Casa del Padre. Egli non è venuto per altri motivi, per altri scopi (sociali, politici, ecc.) “perché Io vado a preparare un posto per voi”. Ci rivela che non è venuto per altri fini, ma per portarci nella casa del Padre, dove Egli è. “Se così non fosse, allora, non sarei venuto, perché sono venuto proprio per prepararvi un posto”. “Se così non fosse” (se fossi venuto per altri motivi, se voi foste esclusi) ve lo avrei detto (= non sarei venuto); invece sono venuto proprio per questo motivo.

“Perché Io vado a preparare un posto per voi”; il posto Lui lo prepara per tutti, perché questo lo dice per tutti. Non tutti però lo seguono: c’è chi lo segue e chi no. Ma Egli lo prepara comunque. Preparare il posto è l’opera sua. Cristo compie tutto per tutti. Ma il tutto compiuto di Dio non è detto che sia tutto compiuto dalla creatura. Cristo viene tra noi, ma non sta: comincia a camminare; andando ci prepara il posto, se lo seguiamo, perché in quanto va, ci mette in movimento verso quel posto.

È Lui che inizia l’opera (se no sarei io che ho cominciato il contatto con Dio). Anche se siamo nel peccato, l’iniziativa per tirarci fuori è sempre di Dio. Dio prende l’iniziativa per stabilire un contatto col nostro male. Dio non ci trascura mai, prende sempre l’iniziativa per noi, non ci dimentica mai, ci pensa sempre, qui, ora, in questo incontro. Prende sempre l’iniziativa, è Lui che stabilisce il contatto con noi: Egli prolunga la sua strada fino al punto dove siamo noi, ci raggiunge ovunque siamo. Dio ha la possibilità di stabilire un contatto con noi anche nella nostra notte. Egli viene dove siamo, ma non resta con i nostri pasticci, se ne va; ed è andando che ci libera da essi (se lo seguiamo) e quindi che ci avvia a questo posto.

Da parte di Cristo, che è l’opera di Dio tra noi, l’opera è portata a compimento (“Tutto è compiuto per tutti”), ma soltanto coloro che lo seguono fino alla fine entreranno nel compimento. Il compimento di Cristo non è il compimento della creatura. Lui portato l’opera a compimento: ora tu, creatura, devi rispondere. Solo se rispondi arriverai al tuo posto (a Pentecoste).

Dio ha fatto tutto e fa tutto per noi. Non potremo dire quando ci troveremo davanti a Dio: “non mi hai amato!”; anzi, davanti a Dio dovremo riconoscere che siamo noi che ci siamo esclusi.

Cristo il posto ce lo prepara anche se siamo indegni. Stabilisce un punto di contatto nella nostra indegnità, incrocia la nostra strada, viene ad abitare con noi. Non ha paura dei nostri mali; siamo noi che abbiamo paura!

Amalia: Non possiamo giudicare nessuno dicendo “quello ha ricevuto poco…”

Luigi: No! Perché Dio per tutti ha fatto tutto. E se ci presenta delle creature che sembra non abbiano ricevuto quanto altri, in realtà hanno ricevuto; esse sono scena per noi, sono lezione per noi, affinché abbiamo a imparare qualcosa: Egli ci dirà: “Ero Io, perché tu ne avevi bisogno”. Di fronte a tutte le creature, non possiamo mai giudicare nessuno. Vedo un ubriaco? Non posso dire “È ubriaco”, ma devo chiedermi: “Perché Dio mi presenta un ubriaco?”. Le creature fuori sono specchio per farci vedere ciò che è la nostra anima.

Nella parabola dell’Epulone e di Lazzaro vediamo la situazione di ogni uomo. Sulla soglia del ricco c’era un mendicante ulceroso che era lo specchio dell’anima del ricco; la sua anima era nella vera miseria, tutta piagata. Dio gli pone il povero d’innanzi per fargli capire. C’è sempre una creatura in casa o davanti casa che rispecchia la nostra situazione. Dio ce la mette davanti non per giudicarla, ma perché abbiamo a capire lo stato della nostra anima. Egli ci dirà “quell’ubriaco se tu! Te l’avevo messo davanti, per farti scoprire la tua ubriacatura, per farti riflettere e salvarti”. Tutto quello che Dio opera fuori lo fa per salvare noi. Quindi, ragiona sempre con Dio. Abbiamo in ogni momento Dio, la nostra anima e la lavagna (creature, natura, fatti). Tutto ciò che è esterno alla nostra anima (la creazione) è “lavagna” su cui Lui scrive delle lezioni personali per ognuno di noi. Dobbiamo sempre tener presente che il Maestro è uno solo: Dio. Lui è il Maestro, conosce bene la nostra anima, per cui sulla lavagna scrive le lezioni adatte per ognuno, per cambiare la nostra anima. Se noi cambiamo cambia la lavagna, cambiano le creature, cambiano cioè le lezioni che Lui ci dà.

Noi invece vogliamo cambiare gli altri. Tutto è specchio della nostra anima, come quel povero era lo specchio dell’anima di quel ricco, affinché noi prendiamo consapevolezza del nostro rapporto sbagliato con Dio e lo cambiamo. Se cambiamo il nostro rapporto sbagliato con Dio, Dio cambia la nostra situazione esterna.

La situazione esterna è Dio che la fa e ce la mette per dirci “guarda che c’è qualcosa nei riguardi con Me che non va”. Il Maestro usa tutti i mezzi per far capire all’allievo ciò che deve capire, per cambiarlo. Quindi dobbiamo sempre tener presente questo triangolo: Dio – la nostra anima – la creazione.

È Dio che opera (“Uno solo è il Maestro”) e man mano che l’anima si apre all’intimità con Dio, Dio non fa difficoltà a cambiare l’ambiente, le creature, ecc. Quindi se vogliamo amare veramente il prossimo dobbiamo cambiare noi, nel nostro rapporto con Dio. Questo è il più grande bene che possiamo offrire agli altri. Finché c’è un ricco egoista, ci sarà sempre un povero sulla sua soglia, perché Dio opera per salvare tutti. Cambiando noi stessi, cambiano gli altri. La situazione che Dio mi presenta è perché io cambi me stesso, il mio rapporto con Lui, non la situazione esterna.

Cina: Queste parole ci danno speranza perché ci rivelano il suo grande amore per noi.

Luigi: Noi siamo amati da Dio, non ce ne rendiamo conto. Quando uno ama un altro, non si diverte a punire o a rinfacciargli “guarda ciò che sei”, ma opera per salvarlo, perché amare è volere il bene dell’altro, non strumentalizzare l’altro a me. In quanto siamo amati da Dio, Dio opera per il bene nostro. Dio non opera mai per schiacciarci, ma per creare in noi la speranza. Noi ci agitiamo e sprofondiamo sempre di più, perché vogliamo fare con i nostri mezzi. L’importante invece è lasciar fare a Lui, perché è lui che ci salva, non noi. Allora, non mettiamoci le mani! Noi non siamo mai soli: perché allora agitarci, affannarci, preoccuparci come se tutto dipendesse da noi?

Papa Giovanni XXIII quando ebbe questa tentazione si domandò: “Chi è che salva la Chiesa?”, e in tutta risposta si disse: “È lo Spirito Santo, non io, quindi dormi tranquillo!”. Certo, perché chi opera tutto è Dio non la creatura; quindi dormi tranquillo, abbi fiducia in Dio, Dio farà Lui. Questo è il piano fondamentale: imparare a lasciar fare a Lui (anche se all’inizio è molto difficile per noi).

Paolo: “Vado a prepararvi un posto”, cioè lui ci precede sempre, per cui se non ho davanti Lui, sbaglio sempre.

Luigi: Quando non lo vedi più davanti a te, fermati! Nella nebbia non si va avanti, se no corriamo il rischio di cadere in un precipizio. In tutte le cose, fermati! Aspetta che Lui si faccia vedere, perché certamente si farà vedere per stabilire il contatto. Dobbiamo sempre tener presente ciò che disse Gesù “Il Figlio non fa nulla se non lo vede fare dal Padre”. Dobbiamo allora imparare a camminare sui suoi passi, sulle sue parole. Quando ci accorgiamo invece che camminiamo sulle parole degli altri, c’è qualcosa che non funziona, quindi: alt! Fermati! Non dobbiamo mai essere soli, cioè non dobbiamo mai aire autonomamente da Dio, ma sempre essere mossi da Dio, in modo che possiamo dire “Sei tu Signore che mi fai fare questo; sei Tu Signore che ti fai pensare da me, facendomi fare questo, facendomi dire questo, facendomi veder questo”.

Parti sempre da Dio; non dire mai “sono io che faccio…”.


“E quando me ne sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con Me, affinché dove sono io siate anche voi”. Gv 14 Vs 3


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20/Settembre/1980


“Ritornerò a voi”: il suo non sarà più un ritorno fisico, sarà una scoperta nuova della sua presenza spirituale in noi. Si realizzerà cioè la sua promessa: “Chi mi ama, il Padre mio lo amerà e verremo a Lui e faremo in Lui la nostra abitazione”. Ecco, è un ritorno definitivo; non ci lascia più. Sarà una conoscenza nuova, che non perderemo più. Questo ritorno è la scoperta della sua presenza nel Padre.

Prima, Gesù, lo troviamo nel mondo come uomo, ma dopo il suo ritorno sarà una conoscenza spirituale, non più fisica. Infatti fintanto che Egli è con noi come uomo non possiamo conoscere chi Egli è. È necessario che Egli se ne vada, in modo che possa tornare ed essere riconosciuto non più fisicamente. La vera conoscenza di Gesù, sarà una conoscenza che non ci lascia più, perché è personale, intima: è la scoperta della presenza del Verbo in noi, conoscenza personale del Verbo che è una conseguenza della conoscenza del Padre, molto più valida e vera della sua presenza fisica.

S. Agostino diceva: “Sono più convinto dell’esistenza e della presenza di Dio che di me”, perché è una presenza che si constata, si conosce; non si trova attraverso i sensi, ma direttamente. Quindi la testimonianza della sua presenza spirituale è più valida della sua presenza fisica, perché la conoscenza della presenza fisica è relativa ai sensi e invece la conoscenza spirituale è relativa all’intelletto.

La conoscenza spirituale non è relativa ai nostri sensi ma immediata, perché è conoscenza dello Spirito, superiore ad ogni altra conoscenza precedente.

“Ritornerò”: è una promessa, per dirci che ci sarà questo incontro con Lui; dove sarà Lui saremo anche noi. Cioè, Lui non se ne va per lasciarci, ma per preparare la nostra anima ad un successivo incontro, duraturo, più valido. Questa promessa coincide con la promessa che aveva già fatto: “Noi verremo e faremo abitazione in lui”. “Noi”: il Padre e il Figlio; sarà la scoperta, la conoscenza personale del Padre e del Figlio in noi; sarà anche la scoperta della nostra adozione a figli. Infatti la nostra figliolanza è conseguenza della conoscenza del Padre e del Figlio e della loro presenza in noi.

Cristo ci porta a conoscere il Padre, se noi abbiamo questo desiderio al centro della nostra vita; il Padre allora genera in noi suo Figlio, quindi abbiamo questa conoscenza nuova.

“Tornerò e vi prenderò con Me”: questo ritorno di Gesù non coincide con la nostra morte fisica. Qui, per gli apostoli, coincide con la Pentecoste, e questo vale anche per noi.

Gli apostoli gli chiedono: “Cos’è che noi ti rivedremo e gli altri no?”. Perché si realizzeranno le parole “verremo a Lui e porremo la nostra dimora in lui”. È una promessa fatta ad ognuno di noi. Ma non avviene automaticamente, con la morte fisica: puoi morire e dannarti. È un problema essenziale di spirito, di anima. La nostra anima appartiene all’eternità.

“Affinché dove sono Io siate anche voi”, nel Padre. Ma è Cristo che ci prepara il posto. “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”. Conoscendo il Padre ci si ritrova figli: qui c’è consapevolezza, non automatismo.

Qui dice al rovescio di quanto aveva detto prima: “dove Io vado voi non potete venire”, e va appunto collegato con quanto aveva detto prima e che aveva causato la reazione di Pietro: “ti seguirò e verrò anch’io con te, a costo di morire”. “No, gli dice Gesù,venire dove io vado non è opera umana. Io vado a prepararvi un posto affinché dove Io sono siate anche voi”. Cioè, Cristo ci porta su quella soglia in cui senza sapere ancora di essere figli, possiamo contemplare il Padre, secondo la preghiera di Gesù: “affinché possiate vedere la mia gloria” (la gloria del Cristo è il Padre).

Cos’è che ci fa seguire il Cristo?

Lo seguiamo in quanto risponde al bisogno di una nostra fame. Se non abbiamo fame non apprezziamo il pane. Condizione per poter seguire Cristo è aver fame di conoscere Dio. Se non abbiamo fame, possiamo trovare tutto il pane di questo mondo, ma lo disprezziamo o non ne facciamo conto. Fintanto che non siamo convinti dell’importanza di conoscere Dio, non possiamo individuare Cristo. Quindi ciò che ce lo fa desiderare non è ancora il capire che è Figlio di Dio (anche se lo dobbiamo accettare per fede, fino alla Pentecoste), ma perché è il Pane che risponde alla nostra fame, cioè al desiderio di conoscere Dio, di vivere veramente con Dio al centro.

“Nessuno può venire a me se non è attratto dal Padre”, dice Gesù: ci vuole questa attrazione del Padre, questa fame. Egli ci conduce al Padre, e lì, dal Padre, scopriremo che è il Figlio di Dio: cioè avremo la conferma di quanto avremo creduto; ma sarà anche novità. Non basta quindi creder che Gesù è il Figlio di Dio: quanti credono in Cristo, Figlio di Dio e vivono per il mondo e non per Dio! O magari mormorano, come quei giudei, perché “il suo parlare è difficile”. Così accade come quando Gesù disse di essere il pane disceso dal Cielo; poco dopo, ha affermò  “Non mormorate tra voi, perché nessuno può venire a me se non è  attratto dal Padre”: voi non potete venire a me, non potete capire, perché non siete attratti dal Padre. Erano migliaia infatti quelli che lo vedevano e ascoltavano, eppure quanti non capivano dovettero abbandonarlo. Se non abbiamo la fame di conoscere Dio, non possiamo seguire Cristo.

Domanda: Dicendo “quando me ne sarò andato” si riferisce alla sua morte o alla sua ascensione?

Luigi: Alla sua morte e alla sua Ascensione. Ma entrambi i segni vanno capiti. La sua morte in Croce è un invito a morire a noi stessi; quando capiamo che Egli muore per me.

Ogni persona che soffre è un invito a morire a me stesso, perché ogni fratello che soffre, soffre per me. Fintanto che il povero Lazzaro sta sulla soglia della casa del ricco Epulone, il ricco ha la possibilità di ravvedersi e uscire dal suo io, superare il suo io; ma se non capisce arriva il giorno in cui il povero gli sarà tolto e lui stesso morirà e sarà sepolto senza più speranza di salvezza. Eppure Dio aveva mandato quell’angelo (=annuncio) per salvarlo. Fintanto che c’è un ricco nel mondo, c’è la passione del povero nel mondo. Cristo continua a morire fino alla fine dei tempi (“Ero io…”), cioè fino alla fine del mio mondo, del mio io. Ma fintanto che non capisco che l’altro soffre per me, non partecipo e sono condannato da quell’altro. Dio ci dirà: “Ho fatto soffrire quel tale, ho condannato alla morte mio figlio per te, e tu non hai capito niente”.

Vedremo tutta l’opera di Dio per salvarci: da parte sua vedremo che ha fatto tutto, che non c’è stato difetto: si è sempre abbassato al nostro livello per mantenerci l’occasione di agganciarci a Lui (l’occasione della salvezza), per cui il torto, se non concluderemo quest’opera di Dio, sarà solo nostro. Non potremo accusare Dio dicendo: “per l’altro ha fatto tutto, per me no!”. No, certamente constateremo che ha fatto tutto per ciascuno fino a mettersi nelle nostre mani. Possiamo non capire, però Lui ha detto tutto e fatto tutto. Noi non vediamo il suo amore, ma la realtà è quella: Cristo è morto in Croce. Posso non pensarci, ma non posso dire: “non è vero”.

Dopo la sua morte risorgerà, ma ci sarà un ulteriore distacco con la sua ascensione al Cielo. Cristo se ne va; è l’ultimo dei segni che se ne va: noi possiamo perdere Lui e la parola che ci dice nel morire in Croce, se non la capiamo; oppure possiamo capire e passare oltre, se con Lui abbiamo compiuto tutto il cammino da Lui percorso, comprendendo così tutta la sua opera di verbo incarnato.

Sulla soglia del suo lasciarci, Egli ci affida al Padre (cf. cap. XVII, la preghiera sacerdotale): nella conoscenza del Padre lo ritroveremo. Andandosene fisicamente, se lo abbiamo seguito, Egli ci prepara un posto, cioè ci fa capaci di ricevere la rivelazione del Padre, cioè la scoperta della Presenza del Padre e del Figlio in noi: “Tornerò e vi prenderò con me, affinché dove sono io siate anche voi”. Qui più nulla ci potrà separare da Lui, vedremo Lui in tutto, quindi saremo sempre dove Lui è.

La sua assenza fisica ci fa superare il nostro io, se amiamo realmente Gesù. La sua morte in Croce è la nostra morte, ci da la grazia di morire al nostro io; per cui ci fa capaci di accettare e sopportare la sua assenza fisica dopo l’Ascensione, prima della Pentecoste. La sua assenza fisica mi fa superare l’io e mi fa camminare. L’assenza di uno mi muove se sono legato a quell’uno, perché vado a cercarlo dove lui è andato. Una persona che muore ci trasferisce in Cielo, se abbiamo con essa dei legami di amore, perché amando ci si trasferisce nella persona amata. Così Cristo, andando al Cielo trasferisce con sé non più tutti, ma coloro che lo amano nel Cielo del Padre (“Se mi amate”). Quelli che non lo amano invece si rallegrano per la sua morte: “Finalmente l’abbiamo fatto fuori”.

Il tutto compiuto da parte di Cristo sta nella sua morte: “Sono morto per te”. Tutti lo sperimenteremo e lo constateremo: “Dio ha fatto tutto per me”; si è dato nelle nostre mani dicendo: “fai di Me ciò che vuoi”.

Cristo in Croce ci rivela il mistero di Dio in noi: Dio che viene in noi e muore in noi. Cristo, il Pensiero di Dio in noi. Constateremo che Dio si è dato tutto nelle nostre mani fino a questo punto. Ha dato tutto il suo infinito nelle nostre mani: ci siamo vestiti dei suoi abiti. Affermando il pensiero del nostro io abbiamo ucciso (fatto fuori, soffocato) il Pensiero di Dio, il Verbo, il Cristo.

“Vado a prepararvi un posto e vi prenderò con me”; ci prenderà con Sé se il posto sarà preparato in noi con Lui. Si tratta di una proposta. Ma l’iniziativa è sempre sua. È Lui che ci ha creati dal niente ed è Lui che porta a compimento la sua opera in noi: è tutto opera sua. La bellezza dell’essere nel suo Regno sta proprio nel poter dire: “è stata tutta opera tua, Signore. Lì si conosce l’amore. Lì ci si sente pensati, amati.

“Vi prenderò con me”: saremo con Lui una cosa sola, su un piano di uguaglianza. Egli opera per questo e lo chiede al Padre: “Fa, o Padre, che siano tutti una cosa sola in noi, come Io e te siamo una cosa sola”. Cristo opera per fare di noi una cosa sola con Lui (il Verbo) nella Trinità Divina

(27.09.1980)

“Quando me ne sarò andato e vi avrò preparato il posto…”. È necessario che Gesù si sottragga a noi come presenza fisica, per liberarci dalla sua e dalle altre presenza fisiche, cioè per liberare la nostra anima legata alla sua presenza fisica e che a causa di questi legami, sarebbe impedita di vedere la realtà spirituale. È così che, andandosene, ci prepara il posto, cioè ci libera, ci fa capaci di captare le realtà spirituali, perché il posto lo prepara dentro di noi.

“Ritornerò di nuovo”: non tornerà visibile ai nostri sensi, ma come presenza spirituale, cioè lo vedremo come Figlio del Padre quale Egli è. È una promessa che si realizza quando Egli ci ha preparato il posto (non senza di noi).

“Vi prenderò con Me”: preparandoci il posto, Egli avrà operato quella purificazione che darà a noi la possibilità di stare sempre con Lui e di vederlo come Figlio del Padre.

“Affinché dove sono Io siate anche voi” e più nulla ci potrà separare da Lui. Ora siamo molto instabili  e confondiamo l’umano e il divino; quando Lui tornerà e ci prenderà con Sé, saremo sempre con Lui, senza più confusione.

Si riferisce alla Pentecoste, alla venuta dello Spirito Santo, quando riceveremo dal Padre la rivelazione conclusiva in cui il Figlio, il Pensiero di Dio apparirà a noi come Realtà. Per ora il pensiero è un’astrazione per noi; quando Lui tornerà sarà una Realtà, e lo vedremo come Realtà.

Gesù il posto lo prepara dentro di noi, rendendo la nostra anima capace di percepire la realtà, cioè la sua presenza spirituale. Per prepararlo è necessario che Lui se ne vada come presenza fisica, perché se non se ne va come presenza fisica l’anima non potrà mai percepire la sua presenza spirituale, in quanto resta legata alla sua e alle altre presenze fisiche.

Era necessario che venisse fisicamente, ma ora è altrettanto necessario che Lui se ne vada fisicamente, affinché se ne venga spiritualmente. Bisogna cioè capire il disegno di Dio in questo suo venire a noi come presenza fisica e il suo disegno in questo suo partire da noi come presenza fisica, al fine di poter capire l’importanza della sua venuta spirituale.

Finché siamo legati alle presenze fisiche, possiamo ascoltare il Padre, essere attratti dal Padre, ma non possiamo cogliere la Realtà della sua Presenza Spirituale, cioè non possiamo avere un’esperienza diretta di conoscenza.

Ma ad un certo momento l’anima deve avvertire le presenze fisiche come segno della Presenza spirituale, in modo da non fermarsi più ai segni. Deve avvenire questo momento, perché niente deve offuscare la Presenza di Dio in noi. Le nostre parole non offuscano il pensiero, anzi lo rivelano, e come mai non è così per i segni di Dio? Perché i segni di Dio, le presenze fisiche dovrebbero offuscare il suo Pensiero, la sua Presenza spirituale?

Deve avvenire un cambiamento in noi; e per realizzare questo cambiamento ci vuole un distacco da tutto. È proprio necessario questo distacco, questo isolamento.

In un primo tempo le realtà fisiche sono per l’anima una realtà: le vede come realtà, per cui l’invito a trascenderle le pare un’astrazione. Non può capire, perché per capire bisogna accettare l’orientamento al Padre. Infatti Gesù dice ai Giudei che mormoravano: “non mormorate, nessuno può venire a me se non è attratto dal Padre”. Nessuno può trascendere i segni e coglierne il significato, il Pensiero di Dio (Gesù) se non è attratto dal Padre. Fintanto che il Padre non vi attrae, dice Gesù, non potete capire.

Questo ci fa capire che pur essendo tutto opera di Dio, non tutti possono capirlo, perché fintanto che Dio non attrae l’anima, la realtà spirituale di Dio per lei è un muro, per cui di fronte alle sue parole, risponde con dei “ma” e dei “però”, perché per lei la realtà è un’altra. Invece per chi ha ascoltato Dio, la realtà è Dio, per cui tutto è su un altro piano. Ed è logico che non possa comunicare quanto lei vede a chi non ha accolto Dio. Per quanto si sforzi per farglielo capire, l’altro concluderà sempre con “ma… però… bisogna avere i piedi per terra”.

Per capire, bisogna essere convinti dell’importanza, per la nostra vita spirituale, di conoscere Dio, perché tutto di noi viene a dipendere da lì. Le stesse prove d’amore di Dio verso di noi si capiscono in conseguenza della conoscenza di Dio. Infatti chi non crede come può vedere l’amore di Dio che gli manda, ad es., un cancro? Ci vuole tanto substrato di convinzioni, perché è questo che lo fa accettare, se no è impossibile. Cfr. don Beliardo: ha detto che la grazia più grande, dopo il sacerdozio, è stata il cancro perché gli ha fatto capire tante cose che diversamente non avrebbe capito; il cancro ha portato alla presenza di Dio.

Si formano abissi invalicabili, abissi d’incomunicabilità tra chi vede l’amore di Dio in un cancro e l’altro, perché l’altro non può capire.

“Affinché dove sono Io siate anche voi”, è da notare che non dice “dove Io ero”, ma “dove Io sono”, perché Lui ha continuato ad essere nel seno del Padre anche incarnandosi, sempre. I tempi sono per noi. Aveva anche detto: “Dove Io sono, voi non potete venire”: Lui è nel seno del Padre (dove = Padre). Il tempo è una dimensione nostra: per noi questa promessa di Gesù è un futuro.

“Vi prenderò con Me”: questo “prendere” lo troviamo in altre pagine dei Vangeli (“uno sarà preso, l’altro lasciato”). In un primo tempo siamo noi che vogliamo, cerchiamo, facciamo, dobbiamo impegnarci; in un secondo tempo si è presi, per cui uno non può più distogliersi anche se lo volesse. È una realtà che prende talmente che uno non può desistere, tanto è attratto, preso, portato. Questa è la preghiera incessante, la realizzazione di quel “pregate sempre”. Nella nostra vita generalmente siamo noi che prendiamo Cristo con noi, in un primo tempo; ma poi è Lui che prende noi con Sé, e allora, a questo punto, è Lui che viene a cercare noi, è Lui che parla in noi, è Lui che pensa in noi, è Lui che agisce in noi, per cui noi diventiamo spettatori di ciò che Lui fa in noi. Cioè, ad un certo momento non c’è più l’impegno, tanto meno la fatica, ma c’è la pace che non può più venir meno; si è sempre con Lui e non si può più venir meno a questa Presenza, quindi non c’è più fatica a stare con Lui, ma gioia, cioè non c’è più da impegnarci, da sforzarci: è il Paradiso. Non si fa fatica a stare con la persona che si ama. Lì non si può più venir via: tanta è la bellezza di stare con Uno che ti inonda di pace, di luce, ecc.

L’impegno è prima, quando dobbiamo separarci da cose a cui siamo legati, perché quando siamo vissuti nel pensiero dell’io, ogni avvenimento ha fatto in noi delle aderenze, quindi si ha tante difficoltà per trasformare la vita secondo Dio. In un secondo tempo, alla Pentecoste, avviene la scoperta che la Realtà è data dalla Presenza spirituale, non più fisica; Cristo se n’è andato fisicamente, ma rimane come presenza spirituale. È il momento in cui si scopre la realtà spirituale come Realtà. Allora, questa Realtà spirituale che si constata in noi, diventa talmente vera che ci conquista, ci prende.

Ci prende affinché dove è Lui siamo anche noi; quel “dove è” è il seno del Padre. Essere nel seno del Padre è vedere Lui generato dal Padre in noi. Questo ci dona la possibilità di vedere la sua Verità in tutto, come opera sua, per cui non ci si ferma più ai segni, ma si passa al loro significato, perché li si unifica tutti nella loro causa prima. Noi non possiamo vedere i segni come segni, fintanto che non vediamo la presenza operante il segno: non li vediamo automaticamente. Ad es.: se vedessi una persona che fa l’albero, mi chiederei che cosa vuol fare, che cosa esso può significare, perché lo fa; ma se non vedo la persona che lo fa, passo vicino all’albero e non mi chiedo nulla.

Il segno nasce dal rapporto tra la Causa operante la cosa e la cosa; se no non me lo sogno nemmeno che possa essere un segno.

Noi vediamo solo le cause seconde, ci fermiamo a ciò che ci può servire e non passiamo oltre, cioè non passiamo alla ricerca del significato perché non abbiamo presente la causa prima di tutto, per cui creiamo solo rapporti orizzontali. È per questo motivo che per noi la realtà è solo quella sul piano orizzontale. È per questo che il parlare con chi non crede in Dio diventa impossibile, perché per lui la realtà è un’altra. Nonostante le dimostrazioni che possiamo dare loro, ti rispondono: “sì, ma… la realtà è un’altra… bisogna tener conto della realtà in cui viviamo… bisogna avere i piedi per terra”. Così come chi è schiavo della moda risponde: “sì, ma la moda è così” e non valgono i ragionamenti per dissuaderlo.

Noi scambiamo per realtà ciò che non è, fintanto che non vediamo l’altra realtà. Riteniamo che la causa prima che ha creato tutto sia lontana; crediamo che ha operato, ma ora noi dobbiamo arrangiarci. Per vedere tutto come segno bisogna tener presente la causa prima operante il segno, qui, ora: e questo è possibile prima ancora di vedere questa causa prima. “Chi non ha ascoltato il Padre – non che già ha visto il Padre – non può venire a Me.

Quando si ha ascoltato il Padre si capisce il valore enorme, per la nostra vita, del conoscere Dio, e quindi l’importanza di capire, o almeno cercare il significato dei segni, per scoprire il Pensiero di Dio in essi, per conoscere qualcosa di Lui.

Fintanto che non si scopre l’importanza di questa conoscenza di Dio per la nostra vita e la nostra pace, non si entra nella problematica dei segni, perché – si dice – bisogna avere i piedi per terra. Ma se entriamo in questa problematica, ad un certo momento scopriamo che la terra è cielo e che solo vedendola come cielo la vediamo come realmente è.

Se ascoltiamo il Padre scopriamo l’importanza che ha Dio per la nostra vita, per le nostre scelte, per la nostra pace; ed è l’aver scoperto questo che ci fa cercare e scoprire il Cristo. Se no, non si è cristiani, anche se si va a Messa, perché si può andare a messa per motivi convenzionali, per una regola, per un motivo morale, ma non si è entrati nello Spirito di Cristo. Il Cristo viene per condurci là dove già vogliamo andare, ma che non sappiamo come giungervi. Bisogna sapere dove vogliamo andare; perché di fronte ad un discorso così, il 99%  di chi va in Chiesa, cosa capisce?

Questo discorso (dal versetto 1 al 3) si può fare soltanto a chi vuol andare in un certo luogo; se no che si ottiene? Chi ha dentro di sé questo desiderio ha già incontrato la guida, il Cristo, e l’ha seguito, ed è anche capace di capire quando Egli dice “me ne devo andare,…adesso me ne vado”. Pensiamo a quanta preparazione ci deve essere in un anima affinché Gesù possa fare questo discorso e che sia intelligibile ad essa, anzi, che essa condivida questa necessità che Lui se ne vada. Deve avere accettato e assimilato tutti i suoi insegnamenti.

Ma se non abbiamo assimilato tutti i suoi insegnamenti, le sue parole, e siamo andati avanti così, credendo di credere, noi rimaniamo illusi dalla nostra fede: ci crediamo credenti, ma per noi queste frasi sono tabù. Credere vuol dire camminare assimilando tutte le parole di Cristo; essere capaci di rendersi conto del perché mi dice “questa parola”, comprenderla facendola via, vita, avendola conosciuta vera. E così di parola in parola, Cristo ci fa andare sempre più avanti fino a quella soglia dove possiamo vedere dove Lui è, nel seno del Padre.   

Lì capiremo che solo Lui ci poteva condurre lì, e allora capiremo tutte le parole che ci aveva detto. Perché Lui le sue parole non le dice così tanto per dirle. Ogni parola di Gesù è centellinata, graduata per la nostra vita personale, spirituale, orientata non sui doveri sociali, orizzontali, ecc., ma sull’essenzialità; a quell’essenzialità a cui ci vuole condurre.

Ogni parola è finalizzata alla conoscenza del Padre e del Figlio, e se non la capiamo nel Fine non siamo col Cristo. Molti cristiani se conoscessero il Cristo scapperebbero, perché non accetterebbero ciò che dice; se non scappano e continuano a credersi cristiani è perché lo conoscono come lo vogliono loro, non per lo scopo per cui Egli è venuto.

Per questo è molto importante fermarci su ogni parola del Cristo: ogni sua parola è un tratto di strada. Non possiamo permetterci di saltare nessuna di esse, se no le ultime che ci dice ci sono incomprensibili. Infatti, queste parole dei primi versetti, le dice ai suoi apostoli, a coloro che lo avevano seguito fin dall’inizio, non le dice a tutti.

A tutti aveva indirizzato le prime sue parole con cui invitava gli animi alla “penitenza” (= conversione a Dio), le beatitudini, le parabole, preparando via via gli animi ad intendere le ultime sue parole.

Ogni parola assimilata, capita, ci fa fare un tratto di strada necessario per la nostra salvezza e ci prepara a comprendere quella successiva. Ad esempio, meditando su questo versetto, Cristo ci fa convinti della necessità e importanza del passaggio dalla presenza fisica alla presenza spirituale di Lui, dalle presenze fisiche alle realtà spirituali; ci fa capire il significato di tutte le cose che passano, il senso del loro passare, del perché tutto passa e muore, perché ciò che avviene in Cristo, avviene in tutte le presenze fisiche.

Perché tutto passa? Perché tutto dice a noi quel che dice Gesù: “vado a prepararvi un posto. Tutti quelli che muoiono, muoiono per prepararci un posto, affinché noi tendiamo a trasferire il nostro pensiero da ciò che si vede a ciò che non si vede. Tutte le creature, cioè, tendono a farci fare la nostra pasqua, a farci passare dalla realtà materiale che passa alla realtà spirituale che non passa.

In Cristo abbiamo la sintesi di tutta l’opera di Dio e quindi la rivelazione di tutto, perché “se non me ne vado, in voi non si forma la capacità di ricevere lo Spirito Santo, lo Spirito di Verità”.

Ecco l’importanza del Cristo: ciò che ci dice ci fa intelligenti del senso di tutto ciò che avviene; perché in Cristo avviene la ricapitolazione e quindi la rivelazione di tutto, perché è la rivelazione del Pensiero di Dio, quindi rivelazione di tutte le opere di Dio (perché è nel pensiero che abbiamo la rivelazione del senso di ogni opera). Meditando su queste parole del Cristo, cominciamo a capire perché le cose passano, perché c’è il tempo.

Però non basta leggere le Parole, ricordarle a memoria: bisogna arrivare a comprenderle: è Lui che ci prepara al passaggio, perché comprendendo le sue parole, noi facciamo il passaggio; comprendendo ci spiritualizza.

Dobbiamo arrivare alla spiritualizzazione di tutte le cose, perché il nostro spirito deve essere libero da ogni scoria materiale. Egli parlando a noi, ci spiritualizza. Adamo era in processo di spiritualizzazione; poi c’è stata la rottura con il peccato di autonomia. Ora, a causa di questo, per noi è faticoso questo processo di spiritualizzazione, che però è necessario per la nostra salvezza, per la nostra Pasqua. Questo processo di spiritualizzazione dovrebbe portarci ad un superamento di tutto, anche della stessa morte. Quindi è molto importante capire quello che ci dice il Cristo, perché ciò che ci dice ci fa capire il senso di tutto ciò che avviene, perché Cristo è la ricapitolazione di tutta l’opera di Dio. Ricapitolare vuol dire “riportare tutto nel Capo”, al Principio di tutto, perché tutto trova il suo significato in Cristo; le cose si illuminano nel Cristo.

Se medito sulla passione e morte di Gesù in Croce, ho la rivelazione di ciò che è la vita di ogni uomo, perché ogni uomo è crocifisso. Ma è meditando su Cristo e non sull’uomo, che lo posso capire, perché nell’uomo c’è la confusione tra l’io e Dio; invece nel Cristo, siccome abbiamo in Lui il Pensiero puro di Dio, meditando su di Lui, abbiamo la luce per comprendere ciò che avviene al di sotto di Lui, proprio perché è il Pensiero puro del Padre.

Nino: Al termine di questo processo di spiritualizzazione, cioè fatto il passaggio dal materiale allo spirituale, abbiamo l’identificazione col Figlio?

Luigi: No, formiamo una cosa sola col Figlio, ma non c’è identificazione perché c’è la distinzione delle persone: la sua Persona e le nostre persone. La nascita dal Padre ci fa scoprire che siamo una cosa sola col Figlio, ci fa scoprire che siamo figli; ci si ritrova con lo Spirito Santo. È con lo Spirito Santo che si scopre ciò che è il Padre, ciò che è il Figlio e ciò che è lo Spirito Santo. Ma questa scoperta presuppone la nascita dal Padre, e questa nascita presuppone l’opera del Figlio, che ci indica dove è la sua gloria (la sua gloria è il Padre), cioè dove avviene la nostra nascita che ci fa essere una cosa sola col Figlio. Principio di tutta quest’opera è il Padre, per mezzo del Figlio; il quale affida l’anima al Padre dopo averla condotto su quella soglia dove Lui se ne va fisicamente, affinché il Padre doni la sua Presenza, la generi “figlia” adottiva, intimamente unita al figlio naturale, nella comunione dello Spirito Santo. Lì scopriremo noi stessi come Pensiero di Dio.

Ma per fermarci a meditare su questo, quante cose dobbiamo già aver assimilato prima! Osserviamo quante cose abbiamo scoperto fermandoci a meditare sul Cristo e sulle sue parole. Perché? Perché Cristo diventa una fontana di sapienza che ci fa capire tante vicende umane: il senso di ieri, di oggi, del tempo, del significato dei fatti di ieri, di oggi, ecc.

Meditando su di Lui, per riflesso abbiamo l’intelligenza dei fatti che avvengono. Più si medita sull’Immutabile, e più si diventa capaci di comprendere anche le cose mutevoli; più preferiamo le cose immutabili, più siamo illuminati sulle cose mutevoli (ci dice s. Agostino).

Cina: Queste parole di Gesù sono una promessa, quindi bisogna vivere nell’attesa di essere presi da Lui, come Lui ci dice: “vi prenderò con me”.

Luigi: Bisogna capire bene ciò che diciamo; “promessa” è una cosa da capire, perché Cristo parla cose a noi, affinché noi le capiamo; perché le cose di cui ci parla, non sono fatti automatici che devono avvenire, ma sono fatti che avvengono nell’anima che le capisce, perché quando l’anima capisce le cose che Gesù dice, queste avvengono in essa. Cioè non dobbiamo cullarci nella promessa aspettando che questa si realizzi. Cristo parla affinché noi capiamo, parla cioè per farci fare un certo passaggio. Questo passaggio avviene in quanto ascoltiamo le sue parole, le crediamo, le mediatiamo e approfondiamo per arrivare a capire. È Lui che me le spiega, me le illumina, ma io debbo rendermi disponibile. Se no mi accontento di dire “oh, che bello!”, e aspetto. E non mi accorgo che questa cosa è già realizzata, e Lui me la dice affinché io passi nel mondo in cui è già realizzata. Il passaggio consiste nel capire. Comprendendo arrivo a vedere ciò che è già.

Noi crediamo di capire, e poi, dopo un po’ di tempo, non capiamo più; perché? Perché noi ci illudiamo di capire, ma il nostro capire è sempre relativo; per cui Dio, che ci conosce, ci presenta situazioni o parole incomprensibili per farci capire che non abbiamo capito, per cui ci sollecita, ci mette in movimento per approfondire di più. Le situazioni o le parole difficili sono sollecitazioni di Dio per portarci a capire, perché la cosa sarà capita solo nel Padre, e quando la capiamo dal Padre abbiamo la creatura nuova: scopriamo noi come creature nuove, come Pensiero di Dio, e allora lì la cosa non è più smentita, non la perdiamo più.

Pinuccia: Di per sé allora dovrebbe bastare una sola parola capita per nascere dal Padre…

Luigi: Non dimentichiamo che noi siamo un niente su cui Dio sta lavorando per renderci capaci di vita eterna. Dio ci lavora attraverso un universo che ha creato: tutte parole che giungono a noi. Dio sta lavorando su noi per mezzo di ogni cosa per formare in noi un’anima capace di eternità, per renderla capace di stare con Lui sempre in tutto: un atomo che diventa universo. Dio sta facendo così con ciascuno di noi: ci fa diventare di una potenza tale da essere capaci di nascere da Dio, di capire tutto in Dio. È un lavoro enorme che sta facendo su di noi nello spazio di pochi anni.

Pensiamo quale meraviglioso lavoro di nove mesi per la formazione, da un grumo, di un corpo umano: non c’è attimo di sosta per formare una creatura. E pensiamo a quanto lavoro in 70-90 anni Dio fa per formare una creatura eterna, un anima capace di contemplare la verità di Dio, capace di vita eterna. Se ci vogliono nove medi per formare un corpo fisico, pensiamo a cosa si richiede per formare un’anima capace di contemplare le verità di Dio! Richiede tutto il lavoro di un universo intero. E Dio dialoga ogni giorno con ciascuno di noi per prepararci, per farci diventare capaci di vita eterna, cioè di conoscere Dio: un lavoro molto più complesso e meraviglioso.

Il tempo di Dio è relativo, per cui anche quelli che muoiono bambini sono scena per noi (sono angeli di Dio, annunci) per formare in noi questa capacità di vita eterna.

Quanto lavoro da parte di Dio per dirci: scegli la vita. Ma noi continuamente facciamo resistenza a questo appello. Noi praticamente rinunciamo a vivere. Ora, in tutto questo grande lavoro di Dio, prima per formarci un corpo, poi per formare in noi la capacità di ascolto, e poi tutto questo suo parlare e dialogare con noi, con ciascuno di noi, ha lo scopo di formarci alla vita eterna; l’importante è lì, ed è quello il nostro vero impegno.

Quindi noi dobbiamo impegnarci ad assimilare tutto ciò che Lui ci sta dicendo, crescere, crescere. E come cresciamo? Ascoltando.

Nella misura in cui assimiliamo, capiamo, diventiamo capaci di vita eterna. Quanto lavoro di Dio per noi! Ecco la fatica di Dio: quanto pensiero! Come Padre non ha potuto soffrire per noi, ma il Figlio sì: e nella sua incarnazione ci ha rivelato tutta la sua fatica, il lavoro, l’amore di Dio per noi: “non per scherzo ti ho amato! Quindi ciò che Gesù dice al versetto 3 è una promessa, ma è una promessa che ci impegna a capirla.

Dio, in tutte le sue opere non opera senza di noi, perché Egli non è un distributore automatico da cui ci si aspetta il panino buttandovi una monetina; Dio opera con noi consapevolmente. Quindi fa una proposta e poi impegna noi ad aderirvi. Se noi non ci impegniamo rifiutiamo la vita. Prima che nascessimo, Dio già operava per noi senza di noi, ed operava tutto con noi per convertirci, per farci toccare con mano che stiamo sbagliando; ma il momento in cui arriva la conversione e inizia il processo in cui dobbiamo capire, e il capire non avviene senza di noi.

In un primo tempo, per formare in noi questa attenzione a Lui, Dio opera senza di noi: abbiamo tutto un processo per far nascere l’interesse per Lui. Ma dal momento in cui nasce l’interesse per Lui, noi siamo chiamati a capire, allora qui non succede più nulla senza di noi, perché si richiede la nostra partecipazione intelligente. E questo ci è possibile in quanto Dio, parlando, da a noi la capacità di capire; e l’intelligenza è nel suo Spirito.

Se non teniamo presente Lui, non capiamo, anche se siamo attratti, per cui non comprendiamo, non succede nulla in noi (né siamo trasformati dal suo parlare, né avanziamo verso di Lui). Il giorno in cui ci rendiamo conto che queste parole le dobbiamo capire e le dobbiamo capire in Lui, con Lui, la promessa è realizzata.

Quindi abbiamo tutto un processo iniziale in cui Dio opera senza di noi per formare in noi l’attrazione del Padre: dal momento in cui si forma, Dio ci richiede la partecipazione personale per proseguire il cammino verso la sua conoscenza. Lui opera ogni cosa, se la nostra anima è aperta a Lui, e richiede la nostra partecipazione consapevole. Dal momento in cui c’è in noi l’interesse per Dio, siamo in grado di dare la nostra partecipazione consapevole.

Dobbiamo prendere consapevolezza che ciò che Dio ci dice è ancora Dio che ce lo illumina, quindi dobbiamo cercare in Dio, e non in altro, il significato di ciò Egli stesso che dice e opera. Se lo si cera in altro non si entra nella luce. Fintanto che non capiamo che Colui che parla è ancora Colui che illumina (per cui è richiesta l’attenzione a Lui in tutto) non entriamo nella realizzazione delle parole che dice, pur essendo attratti. Perché? Perché si richiede la nostra partecipazione consapevole. Possiamo prendere delle cantonate e sbagliarci, però Lui ci corregge e ci fa capire che è Lui che ci spiega quanto dice, quindi: “non cercare più presso altri”. Lui solo è il nostro Maestro. Dio ci invita ad un rapporto sempre più personale e diretto con Lui, fino ad arrivare ad avere Lui come unico nostro Maestro. È qui che scopriamo che man mano che comprendiamo le cose che Lui ci dice, tutte diventano realtà per noi, fino a farci essere noi un sola cosa con Lui.

Pinuccia: Ogni parola capita in Dio è una nascita da Dio?

Luigi: Ogni comprensione è opera di Dio, ma non è ancora una nascita nostra da Dio, perché a questa giungiamo dopo un lungo cammino; Dio si abbassa a parlare con noi al livello in cui ci troviamo, perché non capiamo ancora ciò che Lui ci dice di Sé, ma capiamo ciò che ci dice a livello del nostro io. Ad es. possiamo capire quando ci dice “Chi ama la ricchezza non può entrare nel Regno di Dio”; questo linguaggio lo capiamo, ma anche se lo capiamo non nasciamo ancora dal Padre, perché dal Padre si nasce quando si capirà quell’unica Parola che ci fa nascere.

Queste parole, a livello della mia comprensione, mi sollecitano a camminare, a capire l’importanza del passaggio dalle presenze fisiche alle presenze spirituali: se le capiamo, incominciamo a preoccuparci di questo passaggio. Questo suo parlare è uno spezzare il pane, ed è in questo spezzare il pane che scopriamo la sua Presenza (cf. i discepoli di Emmaus). Dio scende a spezzare il pane al nostro livello; parla a livello della nostra instabilità: se accogliamo le sue parole, esse ci fanno più stabile, ci cambiano; se non le accogliamo, cadiamo sempre più in balia degli eventi (nelle tenebre esteriori) che ci renderanno sempre più instabili.

Quindi Dio comincia con lo spezzare il suo pane, il suo Pensiero, all’uomo che inizia il cammino della fede, per quel poco che l’uomo nella sua dispersione è in grado di capire.

Se sono in balia degli eventi, schiavo della ricchezza, allora mi dice una parola che, se accolta, mi fa passare dall’amore alla ricchezza all’amore per la povertà. Se assimilo questa parola, se la capisco, mi preoccupo di essa, la realizzo: ecco allora che divento un poco più stabile rispetto all’uomo che è in balia della sua ambizione.

Inizialmente Egli opera a questo livello, perché capisco solo le parole dette al livello in cui sono, al livello delle mie passioni, perché non posso capire altro. Se accolgo le sue lezioni, se assimilo il suo pane spezzato al livello in cui mi trovo, ho già fatto un passaggio: mi ha liberato da certe catene e condizionamenti. Ma fatto questo passo ci sono ancora milioni, miliardi di passi da fare; se ascolto Lui, a poco per volta, mi educa.

Cosa vuol dire “mi educa”? Mi rende sempre più capace di permanere in Lui, nelle sue parole, ad essere stabile, cioè capace di cogliere le sue lezioni profonde. E così, di gradino in gradino, le sue parole mi portano a quella intimità con Lui, fino a rendermi capace di recepire quell’unica parola che mi farà nascere figlio di Dio. Ogni passaggio (cioè ogni cosa o parola compresa in Dio) mi fa nascere da Dio, in quanto è Lui che lo opera e mi prepara alla mia nascita da Dio.

Man mano che si va avanti nell’ascolto di Gesù, le lezioni diventano sempre più profonde, più difficili: quando uno le sente all’inizio del cammino, appaiono assurde, incomprensibili, perché per essere capite presuppongono tutta una maturazione e convinzione dell’anima. “Ho tante cose da dirvi, ci dice Gesù, ma per ora non siete capaci di sopportarle”: Egli ha tutta un’eternità, un infinito da trasfondere in noi. Proprio perché non siamo capaci di sopportarle, Egli spezza il suo pane al livello in cui siamo capaci di intendere.

Egli scende al nostro livello, però noi dobbiamo ricevere le sue lezioni, le sue parole da Lui e cercare di capirle in Lui: si presuppone logicamente l’attrazione del Padre, la fede; se no non accolgo nemmeno le su prime lezioni sulla ricchezza, ecc. Se non accolgo, cioè se non capisco, non realizzo le sue prime parole; e se non faccio i primi passaggi, non arriverò mai a capire le sue parole successive, perché è una preparazione progressiva che rende la mia anima capace di intendere le lezioni più difficili. Per questo non bisogna saltare nessuna sua parola.

Non è facile quando uno è costretto ad occuparsi d’altro, però quando uno è convinto di certe cose, il vivere in un altro mondo gli crea disagio, nostalgia del mondo di cui è convinto ed è questo che lo tiene unito a Dio e lo aiuta a custodire le sue parole, in attesa di essere da lui liberati. Fintanto che non arriviamo alla conoscenza del Padre, le parole le ricordiamo come memoria, perché profondamente non le abbiamo capite. Ma è l’interesse per capirle che ci mantiene uniti a Lui, che è gemere, piangere, invocare: “Signore, illuminami, aiutami a capire”.

Egli parla per farmi capire. Questo interesse, questa invocazione mi aiuta a restare nelle parole, anche se mi debbo occupare di altre cose; perché se porto questa nostalgia, sono tenuto unito a Dio che mi libera dalle passioni di altre cose. Allora le altre cose le faccio perché sono costretto a farle, le dico perché debbo dirle, ma il mio animo è altrove, è preso da un amore. Dio ha posto in noi una potenza terribile, per cui non c’è più niente che ci possa portare via se il nostro cuore è pieno. Se è vuoto, tutto ci porta via. Perché sia pieno bisogna che l’anima abbia interesse per Dio.

Dio parla continuamente, per cui giungono a noi moltissime parole, fatti, cose. E non si tratta di custodire tutto ciò che arriva, perché Dio ci tocca l’anima con una parola in modo particolare, ed è quella che vale per me in quel momento: è quella allora che debbo assimilare e custodire (può essere una parola scritta o un avvenimento).

Pinuccia: Quando giunge per l’anima il momento in cui Cristo se ne va, da che cosa lo si percepisce? Per poter percepire questa sua partenza fisica l’anima deve prima aver percepito la sua presenza fisica, no?

Luigi: È possibile non percepire né la sua presenza fisica, né la sua partenza fisica, con tutte le conseguenze che ne derivano. Per percepire la sua presenza fisica ci vuole l’attrazione al Padre, affinchè si possa trovare in Lui la risposta al proprio bisogno. La sua presenza fisica è un segno, le sue parole sono un segno. E il fatto che Egli sia stato presente duemila anni fa sulla terra o lo sia oggi, non ce nessuna differenza. La sua incarnazione è valida ancor oggi, perché ciò che vale è potersi fermare con qualcosa su cui poter far sostare il nostro pensiero; proprio perché la presenza spirituale è un attimo e poi scappa, non si è capaci di restare in essa. Invece la sua presenza fisica si impone: non è frutto di fantasia, ma è lei che, in quanto si annuncia a te, si fa pensare. Come potresti, per esempio, pensare ad Abramo, a Davide, a Mosè se tu non avessi letto o sentito parlare di essi? Sentendo parlare di Abramo, ti trovi con uno con cui puoi sostare: lo puoi pensare in ciò che ha fatto nei suoi rapporti con gli altri, ecc. Puoi pensare a una persona se essa ti è stata annunciata, e questo è un regalo.

Così con Cristo: l’annuncio che è venuto su questa terra è un regalo, perché lo posso pensare, lo posso ambientare, lo posso ascoltare, interrogare, posso immedesimarmi come se fossi io presente a Lui in ciò che ci dice o fa, cioè posso restare con Lui. Per fare tutto questo lavoro con Lui devo essere interessato a ciò che mi dice, solo se sono interessato al Pensiero di Dio, posso ricevere il Pensiero di Dio.

In quanto il Pensiero di Dio si presenta a me con una presenza fisica, io lo posso pensare, posso fermarmi con Lui, posso andare a trovarlo; non c’è differenza percorrere 50 o 500 metri, fare un tratto di strada per trovare un amico a casa sua e percorrere cinque, cinquanta secoli per trovare uno che conduce il mio pensiero nel suo Pensiero.

Il vantaggio della presenza fisica è che, se ascolto, essa mi costringe il pensiero a fermarsi nelle parole che mi dice: perché o non le sopporto e scappo, ma se resto, sono costretto a stare fermo nel pensiero che mi viene trasmesso. Anche quando leggo un libro è sempre una persona che mi parla e che ferma il mio pensiero.

Ma visto che sono tutte le altre presenze fisiche del mondo che portano via il nostro pensiero, solo una presenza fisica, un segno, può fermare il nostro pensiero. Ma un segno, una presenza fisica riesce a fermare il nostro pensiero se risponde ad un interesse che portiamo dentro. Siccome Cristo ci porta il Pensiero di Dio, solo se siamo interessati al Pensiero di Dio ci fermo con Lui, e la sua Presenza fisica riesce a fermare il mio pensiero sul Pensiero di Dio.

La presenza fisica però ha una funzione transitoria, perché il suo scopo è portarci ad attingere direttamente al Pensiero di Dio, senza più mediazioni. Cristo è il Pensiero di Dio tra noi: è tra noi, però sfugge a noi, perché? Perché per restare col Pensiero di Dio dobbiamo fare ciò che fa Dio, cioè generare il suo Verbo in tutto e noi questo non lo sappiamo fare.

Abbiamo bisogno di uno che lo parli a noi, che supplisca alla nostra incapacità di pensare e di adorare. Quindi la presenza fisica di Gesù ha la funzione di fermare ed educare il nostro pensiero per un tratto di strada, ma poi non più perché pesa (cf. Lazzaro è stato tolto dalla soglia dell’Epulone).

Bisogna approfittarne quando è tra noi, seguendo ciò che ci viene da Lui. Ciò che mi vien detto di Lui sul Vangelo è come un raggio che parte da una stella e mi fa pensare alla stella. Ma questo raggio non mi arriva per sempre, perché ad un certo punto mi viene sottratto. Come mai? Cosa è successo nell’anima per cui, ad un certo momento, non può più percepire una presenza fisica, la stessa che altri possono ancora percepire?

Avviene un cambio di interesse che mi può portare oltre Lui o altrove. Questo può succedere anche con una persona umana: può attrarre tutta la nostra attenzione per un po’, e poi scadere ai nostri occhi; quando? quando in noi è mutato l’interesse: o perché si trascende la persona o perché ci interessa altro.

Noi tutti aspettiamo una telefonata e speriamo sempre che sia la persona che ci sta a cuore quella che chiama. Così come una persona che è innamorata crede di vedere la persona amata in tutte quelle che incontra, ma finché  non la trova non è soddisfatta.

Noi tutti siamo lì che aspettiamo la telefonata di Dio, aspettiamo che ci chiami: siamo lì che lo cerchiamo o crediamo di vederlo in molte persone, poi in poche, poi solo in Cristo, e poi si trascende perfino Lui. Perché? Perché Cristo ci porta a scoprire il vero Lui che stiamo cercando. Ci porta ad attingere direttamente alla sorgente da cui attinge Lui, questo è il suo amore!

Pinuccia: E dopo aver conosciuto il Padre non ci dice più niente la sua presenza fisica?

Luigi: Ci dice l’amore grande che Dio ha avuto per noi. Noi crediamo già di scoprire questo amore prima, ma sono attimi, e non restiamo. Lo si scoprirà nel Padre. E allora, non solo la presenza fisica di Cristo, ma tutte le altre presenze fisiche ci diranno molto di questo amore, perché si vedrà che è lo Spirito che opera in esse.

La presenza fisica di Cristo parlerà in tutto, perché si vedrà il Verbo che parla in tutto, perché si vedrà tutto come segno, come presenza fisica del Verbo.

La sua presenza spirituale si annuncia attraverso tutte le presenze fisiche; però queste sono segni, per cui non le vediamo più come realtà, così come le vediamo ora (è questa la grande liberazione!). I rapporti con i segni, allora, saranno rapporti d’amore, di comprensione, di riconoscenza per il grande amore che Dio ha avuto per noi, ma non ci sarà più un rapporto di dipendenza o di bisogno di essi.

Il non desiderare questo significa non capire la differenza che c’è tra una fotografia della persona amata e la persona. Voglio restare con la foto o con la persona? C’è differenza tra il contemplare la fotografia di una persona e che questa persona apra la porta, ed entri e venga a trarti, no?! Ora, non c’è differenza tra una fotografia, che è una figura disegnata dalla luce e che è destinata a passare, e una presenza fisica che è pure una figura disegnata dalla luce e che è destinata a passare. Per questo è necessario che la presenza fisica di Gesù passi, perché dobbiamo passare dalla presenza fisica alla Realtà.

Dobbiamo affrettarci a passare allo Spirito, perché il terreno su cui camminiamo si scioglie; non dobbiamo farci degli idoli. Questo ammonimento valga per ognuno di noi.

È andandosene che Cristo ci prepara un posto; ci fa capaci cioè di fare questo passaggio al Padre. “Tornerò e vi prenderò con me”. Da che cosa dipende l’essere presi? Da ciò che uno porta dentro di sé; infatti Gesù dice “due saranno nel letto, due alla macina, uno sarà preso, l’altro lasciato. È di una profondità e acutezza tremenda questa affermazione, perché mette in evidenza come l’essere presi non dipenda dalla situazione esterna che è la stessa per entrambi; per cui anche se due sono nella trappa, nel deserto, uno può essere preso l’altro lasciato.

Essere presi vuol dire essere attratti; nella stessa situazione esterna uno è preso dall’amore di Dio, l’altro no. Sempre si è presi da qualcosa. Perché tutto ci porta via? Perché si è presi da tutte queste cose. Generalmente si è presi da ciò che si porta già dentro, da ciò che si fa. Ad es. disegno una margherita; in quanto l’ho pensata, l’ho fatta, sono condizionato per il giorno dopo, e sono attratto più per la margherita che per un altro fiore, se la trovo. Così ogni cosa: se ho sentito parlare di un argomento, sono reso sensibile a quell’argomento; e se due ore dopo trovo uno che parla di quello, sono attratto da quello.

Ci prende ciò che fuori di noi corrisponde a ciò che portiamo dentro di noi, perché queste due cose si uniscono e noi restiamo presi. Se nella corazza della tartaruga si mette della polvere di ferro: con una calamita la si fa andare dove si vuole, anche se lei crede di andare dove vuole lei. A seconda di ciò che portiamo dentro, restiamo calamitati, presi, perché due cose uguali, nel campo dello spirito, necessariamente si uniscono. L’attrazione presuppone due fattori: uno oggettivo, reale, che è dato da Dio e uno soggettivo che è dentro di noi: l’interesse per il Padre, la convinzione dell’importanza che ha per noi conoscere il Padre. Se ci sono questi due fattori, noi siamo presi dal Figlio. Ma se non c’è questa attrazione per il Padre, se non lo mettiamo prima di tutto, se non abbiamo capito l’importanza di conoscere Dio, non siamo presi dal Figlio, perché il  Figlio è il Volto del Padre. Anche nel campo del sentimento, due cose uguali si attraggono: la simpatia è data da questo. Un malato è reso più attento da un altro che ha la sua stessa malattia.

Nel campo dello spirito due persone che hanno lo stesso interesse, si sentono vicine, anche a distanza di anni e di spazio.

Noi non siamo mai soli, perché siamo sempre presi da qualcosa: o da ciò che ci schiaccia, ci incatena, ci distrugge o da chi ci da la vita. Quando siamo vuoti, siamo presi dalle cose più banali (es. i giovani che hanno bisogno di riempirsi di chiasso).

In un primo tempo si è presi dal Cristo, se c’è in noi l’attrazione per il Padre, perché troviamo in Lui lo stesso nostro interesse, troviamo la guida, il Maestro, e in un certo qual senso si è posseduti da Lui, in quanto non possiamo farne a meno. In un secondo tempo, alla Pentecoste, si è presi dal Verbo, in quanto nella conoscenza del Padre si ritrova Lui: per questo ci dice: “tornerò e vi prenderò con me”; ma questo non è un ritorno magico, come è stata la sua venuta sulla terra, ma è un incontro consapevole, perché si tratta di una nascita consapevole. L’essere presi dal Verbo è conoscenza, possesso, conoscenza che si possiede: è la scoperta della sua Presenza.

Perché si è posseduti? Perché si porta dentro di sé quello che ha l’altro.

L’essere posseduti dal Cristo è ancora un possesso che può essere oscillante (come può essere oscillante l’amore quando si è presi da una persona, se l’amore non è basato su Dio). Invece a Pentecoste si è presi in modo stabile. Nell’amore umano quando si è presi c’è sofferenza se non si può realizzare la vicinanza, l’unione. Così, l’anima innamorata di Dio, che è presa da Dio soffre fintanto che non può realizzare l’unione stabile con Lui. Ma Gesù ci promette “vi prenderò con Me, affinchè dove Io sono siate anche voi”. Essere presi quindi vuol dire essere posseduti. Essere posseduti vuol dire non volere più ciò che vogliamo noi: la nostra volontà diventa volontà dell’altro. Amando si vuole il bene dell’altro, la volontà dell’altro, la vita dell’altro, si vuole che l’altro viva, sia.

L’amore umano è tutto un campo di significazioni di quello che deve essere la vera vita nostra con Dio: ma per capirle bisogna partire dall’alto. Non è necessario farne l’esperienza, anzi dal basso si subiscono certe cose senza  poterle capire: la luce viene dall’Alto. Chi subisce certe situazioni nell’amore umano si sente illuminato da chi ha raccolto questi segni in Dio e li capisce in Dio; allora, per es., può capire perché soffre quando è preso da una persona, capisce che la sofferenza è determinata dalla lontananza; quando poi è illuminato sul fatto che egli sta cercando l’Assoluto, sempre, anche amando quella persona, e che quell’Assoluto che non conosce ancora è Dio, inizia un processo di liberazione; quando sa che sta cercando Dio dappertutto, quando scopre il suo bisogno di assoluto (prima ne aveva bisogno, ma non lo sapeva) incomincia a sapere ciò che vuole (la Sorgente) e a conoscere il cammino. Allora incomincia a liberarsi dalle pozzanghere, da altri sentieri. Ma la vera liberazione non ci viene solo dal sapere il nostro vero bisogno, ma dalla conoscenza della Verità (“La Verità vi farà liberi”): è trovare la Persona, la Sorgente che ci fa liberi. La Verità va trovata.

Raccolti in Dio, i segni dell’amore umano ci aiutano nel nostro rapporto con Dio: ad es. la persona innamorata crede di vedere il volto della persona amata in ogni persona che incontra. Questo avviene veramente nella vita dei santi: innamorati di Dio che tendono a cercare il Volto di Cristo in tutti e in tutto.

Appendice:

Il pensiero dell’io acceca: ci sono scienziati che in nome della scienza si rifiutano di cercare il senso, lo spirito che anima le meraviglie della natura, del corpo umano. Eppure non esitano a chiedersi qual è lo spirito, l’idea che ha animato l’autore del progetto della costruzione della basilica di s. Pietro. Considerano lecita per la scienza questa domanda di fronte all’opera di un uomo, ma non la considerano più ammissibile di fronte ad es. alla programmazione dei cromosomi dell’essere umano.

“Le vostre parole vi giudicheranno o vi salveranno” dice Gesù; può succedere che noi crediamo possibile l’intervento straordinario di Dio in cose piccole e banali e a volte dubitiamo che possa intervenire (per mancanza di tempo, da parte nostra) a soddisfare la nostra fame di conoscerLo sempre di più. A Dio tutto è possibile. 


E del luogo dove io vado, voi conoscete la via. Gv 14 Vs 4


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5/Ottobre/1980


Dove va il Signore?

Può andare solo al Padre.

È il senso del passare di tutte le cose. Arriva un certo momento in cui incominciamo a prendere consapevolezza del fine della nostra vita, ed è quando prendiamo coscienza che tutto passa. Di fronte alle cose che passano ci chiediamo: perchè passano? Perchè tutto passa?

Cristo è rivelazione del significato del passare di tutte le cose: tutte le cose sono pedagogia per il fine a cui dobbiamo tendere. Dio ci crea per un fine e fa tutto per orientarci lì.

In Cristo si rivela il senso di tutto: Egli ci rivela che tutte le creature sono frecce che ci rivolgono verso un meta e ci dicono “vai avanti!”.

Gesù va al Padre, e ci dice: “Voi sapete dove vado e, a questo punto, voi sapete anche la via”; sì, perchè Egli ci ha detto “Nesuuno può conoscere il Padre se non per mezzo mio”. Dicendoci questo ci avverte che tutte le creature, gli avvenimenti, le cose, tutta la creazione, e Lui stesso, sintesi della creazione, ci dirigono al Padre. Cristo, essendo come Verbo incarnato la sintesi della creazione, è anche rivelazione di tutta la creazione: infatti tutta la creazione è fatta nel Verbo di Dio, sussiste nel Verbo di Dio, in un solo Verbo. Quindi quando il Verbo incarnato si manifesta, capiamo anche il senso di tutte le creature. Cristo ci dice il perchè del passare di tutto: “Io vado al Padre; quindi tutto passa per condurci al Padre, per rivolgerci al Padre.

Gesù va al Padre come uomo, come Verbo incarnato è sempre stato nel seno del Padre. Se già l’uomo è sintesi della creazione, a maggior ragione lo è il Verbo incarnato. Anzi, mentre nell’uomo c’è la notte, nel Verbo incarnato c’è la Luce.

Se osservo solo gli uomini e mi domando “Perchè c’è la delusione? Perchè c’è il dolore? Perchè tutto passa?”, resto con il “perchè”, in quanto l’uomo non mi può rispondere. In Cristo invece ho la risposta. Cristo ricapitola in sè tutto ciò che accade e ce ne svela il significato, la direzione e ci dà la possibilità di intenderlo: “Voi conoscete il luogo dove io vado e anche la via”. Ci rivela il significato del passare di tutte le cose.

Tutto è strada verso la nostra meta, ma è molto importante capire il luogo dove dobbiamo andare, perché  altrimenti ad ogni bivio ci rimane il dubbio sulla direzione da prendere, oppure restiamo attratti dalla bellezza delle creature, ecc.  Se non abbiamo presente il fine deviamo; se invece abbiamo presente il fine, niente ci svia. Quindi è essenziale sapere la meta, sapere dove tutte le cose ci convogliano; allora tutto, creature, avvenimenti, ci sono di aiuto.

Noi, creati per una meta, ogni giorno dobbiamo preoccuparci di andare verso quella meta. Siamo creati per conoscere Dio e ogni giorno dobbiamo preoccuparci di avanzare verso questa meta. Se uno vuol tirare su un impresa, coordina tutto per quel fine; così dobbiamo fare noi: coordinare tutto per il raggiungimento della meta per la quale Dio ci ha creati.

Da Dio abbiamo il fine: conoscere Lui; quindi dobbiamo vivere per conoscere Lui. Ma noi, ogni giorno, per che cosa viviamo?

Ecco il divario: creati per una cosa, viviamo per un’altra; ed è qui che sorgono i dubbi, le incertezze, le depressioni, le tristezze; perché in noi c’è una frattura, in quanto la meta non possiamo dimenticarla.

Se teniamo presente la meta, allora tutti gli avvenimenti, tutta la creazione, sono strada per condurci dove dobbiamo andare; fino al momento in cui avviene il passaggio dal finito all’infinito. Ed è una meraviglia, …che è opera di Dio.

-  Qui Gesù completa il suo discorso: Egli aveva detto “dove Io vado voi non potete venire”: siamo finiti, quindi non possiamo passare all’infinito perchè per passare all’infinito ci vuole un salto di qualità. Ma ora dice: “Dove Io vado voi lo sapete e ne conoscete la via”. Con Lui è possibile questo salto. Infatti con Gesù, Verbo incarnato, abbiamo il mondo finito unito al mondo infinito: come uomo parla il nostro linguaggio, ma in questo nostro linguaggio finito introduce il suo linguaggio infinito. Per questo può dire “Io sono la via per condurvi là dove Io sono”. Avendo sposato il nostro finito, lo assume nel suo Infinito, e ci unisce a Sè.

Noi da soli non possiamo andare al Padre; solo con Cristo si può arrivare. Solo Lui ci può condurre, perchè ogni altra creatura è finita, non parla il linguaggio del Cristo; e anche dicesse “vado al Padre”, il giorno dopo sarebbe smentita dai fatti. Gesù solo parla un linguaggio singolare che non è stato smentito nei millenni e che ci porta al Padre.

Fintanto che Gesù parla di parabole, di beatitudini, ecc., dice cose che tutti possono dire; ma poi dice cose che Lui solo può dire: se altri le dicessero sarebbero smentiti. Lui non è stato smentito, infatti abbiamo la Resurrezione, la Ascensione, la Pentecoste che testimoniano la verità delle sue parole.

Per questo Lui è la Via e in quanto Via, è Lui, solo Lui, che può farci passare dal finito all’Infinito. Ma va ascoltato, perchè è ascoltandolo che ci fa passare dal nostro mondo finito al mondo infinito e che ci fa scoprire la sua Presenza in tutto. Da soli non potremmo passare dal finito all’Infinito, per questo che Lui è la Via.

- Ogni creatura è stata creata per conoscere Dio e sarà sempre infelice e triste fintanto che non approda al suo fine.

Il vero bene ai fratelli è quello di dare loro la possibilità di approdare a questa meta, in qualunque situazione essi si trovino.

Anche in una baita la creatura è felice se arriva a questo fine; anzi, la creatura comincia a essere felice solo quando capisce il fine per cui è stata creata, anche se non è ancora arrivata. Il conoscere il fine dona già sicurezza e felicità. Invece se la creatura è disorientata, anche se è in una casa d’oro, è triste e infelice.

Cristo parlando a noi ci fa prendere consapevolezza del luogo dove dobbiamo andare e anche della via che bisogna percorrere per arrivare alla vetta; è lì la bellezza della parola del Cristo ascoltata e assimilata! Perchè noi possiamo sapere il luogo dove possiamo andare, ma non sapere la via. Ma se uno ci fa vedere la strada che collega il punto in cui ci troviamo alla meta, allora siamo a posto.

Cristo è venuto a coprire il vuoto che c’è tra la situazione in cui ci troviamo noi e Dio, per questo è la via. Quindi, se ascoltiamo Lui, Lui ci conferma la meta (perchè per giungere a Lui dobbiamo già avere il desiderio di conosocere Dio), cioè ci fa capire sempre più chiaramente dove dobbiamo andare e ce ne indica anche la strada: cioè ci fa capire che Lui stesso è la via. Ecco perché ad un certo punto può dire ai suoi discepoli “Voi conoscete la meta e anche la via”.

Se lo ascoltiamo dobbiamo sapere che Lui stesso è la via. Noi arriviamo al Cristo già sapendo la meta (se no, non arriviamo a Lui), e Lui ce la conferma. Però, senza di Lui non possiamo conoscere la via. È Lui che ce lo rivela “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”.

Il Padre è il Fine da tenere sempre presente, ed è il Principio. Deve formarsi in noi la consapevolezza che siamo stati creati per Dio e non per altro. L’uomo lo sa ma lo dimentica, lo accantona, lo mette sotto i tanti impegni di oggi. Dio è Colui che nessuno può ignorare, ma che facilmente dimentichiamo. Trascurandolo si giunge a sentirlo lontano, perché ciò che preme su di noi è ciò che ci tocca; tutt’al più lo preghiamo perchè ci aiuti nei nostri bisogni e interessi, ma in tal caso Dio non è più il fine, ma il mezzo per raggiungere i nostri fini.

Tutto è mezzo per arrivare a Dio, ma dobbiamo aver presente il Fine. Guai a quel lavoro che ti impedisce di pregare! E abbiamo la conferma di Gesù nella parabola degli invitati alle nozze: non gusteranno la sua cena perchè in nome dei buoi, della moglie, ecc., non hanno potuto accettare l’invito a cena

Domanda: Riportando i fatti a Dio, troviamo la vita?

Luigi: Innanzitutto dobbiamo accettare tutto da Lui, perché Lui è il Creatore: lo è tutt’ora, non solo lo è stato: è Lui che opera tutto, quindi siamo spettatori delle opere che fa Lui, di tutte le cose che fa Lui. In tutte le cose che fa Lui, parla a noi e parlando, se noi lo ascoltiamo, ci fa camminare. La via quindi è data dal Verbo di Dio che ogni giorno parla con noi, e se noi riceviamo le sue parole ci fa camminare. Nella misura in cui Lo ascoltiamo e rimaniamo nelle sue parole, cioè ci impegniamo nelle sue parole, a poco a poco Egli ci conduce al Padre.

S. Paolo nella lettera ai romani ci dice “Le creature intellette in Dio ci conducono a Dio”. Ma vanno intellette in Dio. Se invece noi le vediamo in relazione al nostro io, ci allontanano da Dio. Tutto ha una lezione “per me”, per cui ci vuole una grande attenzione per accettare, capire e rispettare ogni cosa che è fatta “per me”, che è una parola “per me”.

Nasciamo in casa d’altri, quindi non dobbiamo prendere a calci niente; in una casa d’altri non ci mettiamo a spostare i mobili come piace a noi. Noi non ci rendiamo conto che nasciamo in casa di Dio; quindi per prima cosa “fai attenzione, togliti le scarpe: la terra che calpesti è sacra!”. Questa è umiltà, che è il principio della sapienza e intelligenza; umiltà attenta, perché siamo in casa d’altri. È questa umiltà che ci rende attenti e quindi sapienti e quindi capaci di ricevere tutto da Dio e quindi di camminare.

Non possiamo non incontrare il Cristo, perché tutte le creature ci conducono a Lui, perché il Cristo è la conclusione di tutta la creazione, ed è qualcosa di più. In Cristo c’è:

·                   la parte umana, che è conclusione di tutta l’opera di Dio, e questa finisce; infatti sulla Croce Cristo dice “Tutto è compiuto!”. Quindi è necessario che Cristo, e anche il suo parlare con linguaggio umano, passi affinché tu possa ricevere un’altra Parola:

·                   quella del Verbo, del Figlio di Dio, cioè perché tu possa ricevere lo Spirito Santo, affinché si compia la promessa di Gesù: “Verremo a Lui e faremo in Lui la nostra dimora!” “Lo Spirito di Verità vi condurrà a vedere la Verità intera, la verità in tutto”. E questa è la parte Divina.

È dunque necessario questo passaggio del Cristo “umano” (che è un invito al nostro passaggio),  per fare spazio al Cristo “Divino”, per poter ricevere parole nuove, le parole del Figlio di Dio.

Se noi non facciamo il passaggio, Lui va e noi rimaniamo senza di Lui. È importante passare con Lui, perché dopo il suo passaggio non si può più passare. Lui scende a giocare a birille con noi, non per giocare a birille (cioè attraverso tutti i fatti della nostra vita) ma per dirci ha una parola nuova; quindi, alziamo gli occhi, dimentichiamo le birille e ascoltiamo le parole nuove che ha da dirci.

Gesù viene, parla nei nostri argomenti, nelle nostre passioni, ma non condivide le nostre passioni, anzi si rifiuta di intervenire nei nostri interessi. Infatti, a quel tale che gli chiedeva di intervenire presso suo fratello perché dividesse con Lui l’eredità, rispose: “State attenti da ogni avarizia!”. Lui che aveva detto: “Date via ciò che possedete… Va vendi tutto dallo ai poveri” non poteva dire che dividere l’eredità era giustizia. La vera giustizia è un’altra! “Dà a Cesare ciò che è di Cesare… (nel senso di “a chi ti percuote una guancia porgigli anche l’altra, a chi ti chiede la tunica dà anche il mantello”, cioè non stare a discutere: dai a chi ti chiede), ma preoccupati di dare a Dio ciò che è di Dio”. Dobbiamo essere disponibili per questa unica preoccupazione, per questo non dobbiamo discutere per altro.

Cristo viene per liberarci dalle nostre passioni, perché noi possiamo passare la nostra vita dietro le cose che passano, pestare i piedi, lottare, ecc., con la conclusione che perdiamo tutto senza aver cercato Dio. Invece – ci dice – perdi tutto, ma cerca Dio! Salva la tua anima! L’anima è desiderio di Dio, desiderio di Verità. Devi far di tutto per salvare questo desiderio, perché non si spenga in te, perché sarebbe la tua rovina. Salva quest’anima, aumenta questa conoscenza di Dio e non preoccuparti di altro. Dio è talmente potente da arricchirti il doppio di quello che perdi.

Di che cosa avere paura?

È il Creatore!

Molla tutto e cerca l’essenziale; se no “a che serve conquistare il mondo intero se poi perdi l’anima?” “…se viene meno in te la capacità di cercare Dio?” dice Gesù. Perdi tutto, ma salva l’essenziale. In Dio ritrovi tutto, ma staccato da Dio, senza Dio perdi tutto.

La via è data dal Verbo di Dio, da Dio che giorno dopo giorno parla a noi cose che se ricevute ci fanno camminare; l’anima allora avanza di luce in luce fino al salto di qualità in cui scopre la Presenza di Dio.

Queste cose che dice a noi ogni giorno (avvenimenti, incontri, ecc.) sono già espressioni del Verbo di Dio, sono Cristo che parla a me; infatti sono già fatti in Cristo (“Omnia per Ipsum facta sunt”). Posso fraintenderli se li ricevo e li intendo nel pensiero del mio io. Dunque devo tener presente che in quanto arrivano a me è Dio che me li manda, quindi non posso leggere gli avvenimenti sotto il punto di vista dei miei interessi, ma dal punto di vista di Dio. I fatti posso intenderli dal punto di vista di Dio (intenderli bene) o dal punto di vista del mio io (fraintenderli).

Il principio dell’intelligenza è ricevere le cose da Dio e vederle dal punto di vista di Dio; se o devio, fraintendo, scelgo ciò che mi conviene e dimentico Dio. Così facendo però le cose mi sprofondano sempre più nel male. Il male non sta nelle cose, ma in me che divido l’opera di Dio da Dio.

Anche se non arrivi a capire l’opera di Dio, l’importante è che l’accetti, che la lasci entrare nella tua vita: è seme di vita eterna. E questo, poco per volta, ti conduce al Cristo, proprio perché è fatto in Cristo. Accogliere le cose da Dio ti conduce a desiderare le cose di Dio, a desiderare di conoscere Dio, e quindi al bisogno del Cristo. Solo dopo l’incontro col Cristo ne scoprirai il significato. Se invece non credi che le cose non sono opera di Dio sprofondi nell’errore; e anche questo è opera di Dio per farti toccare con mano che stai sbagliando (perché ad un certo momento, devi capire che Lui pensa a te personalmente, quotidianamente, a ciascuno di noi – se così non fosse cadremo nel nulla).

Noi siamo quotidianamente pensati, voluti, amati da Dio e tutti noi dobbiamo arrivare a pensarlo, a volerlo, ad amarlo come Lui ci pensa, ci vuole e ci ama.

Bisogna vedere le curve, quando andiamo in macchina, e aderire ad esse, se no inevitabilmente cadiamo nel fosso. Non possiamo ignorarle. Così la Verità, è al disopra di noi, è sempre superiore all’uomo. Noi di fronte ad Essa possiamo aderire o no. Se aderiamo, camminiamo sulla strada; se non aderiamo deviamo, non vediamo la curva e sprofondiamo.

Non basta dire che Dio non esiste per non farlo esistere, perché Egli continua ad esistere. Gli uomini dicono molte sciocchezze e il mondo continua a girare. L’uomo può solo aderire alla Verità e allora rimane confermato, perché è entrato nella luce; se la rifiuta rimane confuso, ma non può far niente contro la Verità: essa rimane tale quale è, anche se lui la nega. La Verità può creare la felicità dell’uomo se lui aderisce; se l’uomo la rifiuta, la Verità rimane tale quale è, però l’uomo distrugge se stesso.

Quindi, le cose che giungono a noi

·                   prima di aver incontrato il Cristo, hanno da dirci una parola: “noi non ci siamo fatte, cerca colui che ci ha fatto e che ha fatto anche te”, se ascoltiamo, dunque se  crediamo che sono opera di Dio, esse ci orientano a Dio e ci fanno incontrare il Cristo.

·                   Dopo aver incontrato il Cristo, ci dicono (se le riportiamo in Dio, nel Pensiero di Dio) il loro significato in Dio, ci rivelano cioè qualcosa del Pensiero del Padre. Interiormente a noi il Verbo, il Maestro interiore, ci conferma che la parola incarnata fuori di noi è Verità.

A.: Con queste parole Gesù ci dice “dovete conoscere la via”.

Luigi: Sì, perchè “Io sono la via”, “io parlo a voi, quindi conoscete la via”. E questo lo dice solo alla fine, dopo aver loro parlato molto e dopo che loro lo hanno ascoltato e accolto le sue parole. Coloro invece che non accettano le sue parole, non possono conoscere la via.

S. Luca precisa: “le parole di Gesù non entrarono in essi, perchè non avevano accolto il battesimo di giustizia, di Giovanni Battista”. Metti Dio al centro, e allora la tua anima sarà aperta ad accogliere le parole di Cristo, del Verbo di Dio. Questa è la condizione.

Se non hai fatto questa giustizia, le parole di Cristo vengono respinte da te, oppure, se le accogli per un pò di tempo, non tarda il momento in cui non puoi più sopportale, e mormori. Può succedere che fintanto che ci fa comodo stiamo con Gesù (perché ci guarisce, perché ci concede ciò che gli chiediamo, ecc.), ma poi il nostro cuore è costretto a rivelarsi, in quanto Cristo parlando a noi, necessariamente fa mettere fuori di noi ciò che abbiamo nel cuore  (cfr. Simone a Maria: “saranno svelati i segreti del cuore”).

Gesù parlando o ci incentra nel Padre o ci lascia a metà strada, ma in tal caso lo mandiamo a morte, poichè non accogliere, nel campo dello spirito, vuol dire uccidere (cfr.: “Voi cercate di uccidermi perchè le mie parole non penetrano in voi”).

Far fuori uno dalla nostra vita vuol dire ucciderlo. O accogliamo o uccidiamo. Spiritualmente non accogliere uno vuol dire sopprimerlo, perchè la vera realtà è data dal pensiero.

- “Voi conoscete...”: “ormai dovete conoscere”, perchè Lui parlando rivela il luogo dove va e la strada che ci conduce. A questo punto del cammino Lui, come Verbo incarnato, ci ha detto tutto: la rivelazione come creatura è stata completa.

La caratteristica dei segni è questa: sono finiti. Invece il Verbo è infinito: per questo Egli ha una parola eterna del Padre da comunicare a noi. Dio solo è infinito.

I segni sono finiti, se sono finiti passano con il passare del Cristo. Ma se noi non passiamo all’Infinito, al Verbo (poichè essi arrivano a noi per farci passare all’Infinito), perdiamo tutto, e allora ci voltiamo indietro: qui abbiamo l’uomo vecchio che vive solo di ricordi, la vita è spenta,  come il torrente che perdendo il contatto con la sorgente diventa pantano. La vita, la sorgente è davanti a noi: se ci voltiamo indietro diventiamo vecchi anche avessimo 15 anni.

Se noi invece passiamo all’Infinito, ricuperiamo anche i segni come parola. Da qui nasce la nostra responsabilità, poichè Lui ha parlato, Lui ha detto tutto, come segni. Quindi affrettiamoci a passare allo Spirito, all’Infinito. Gesù dice “Gerusalemme, Gerusalemme, adesso non hai più tempo, perchè non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata”. Ecco, il segno finisce, il tempo della visitazione passa. Il tempo della visitazione di Dio finisce anche per noi: se noi non ci affrettiamo a passare con Lui, ci rimane solo il ricordo del suo passaggio tra noi. Le sue parole sono un ponte per farci passare all’Essere, alla sua Presenza, ma sono un ponte di neve che si scioglie subito. Per questo Gesù ci ammonisce “Affrettatevi a passare perchè per poco la luce è con voi... affrettatevi a camminare fintanto che avete la luce, affinchè non vi sorprendano le tenebre”: c’è una marea di tenebre infatti che sale fino a noi. E se siamo afferrati dalle tenebre diventiamo chiusi alle novità di Dio, ci voltiamo indietro perchè i segni che arrivano a noi non ci dicono più niente. E abbiamo quindi le persone che non sopportano più la novità, i fatti che avvengono; perchè hanno perso il contatto con Dio. Se siamo con Dio invece siamo sempre aperti alla novità, quindi ogni segno che giunge a me mi aiuta a passare allo Spirito, diventa strada, cammino per i miei passi.

C.: Gesù ci insegna la strada con le sue parole.

Luigi: Prima di tutto ce la insegna con la sua Persona, che è più importante delle sue parole che sono un segno. La parola per essere intelletta, capita, ha bisogno della persona che la dice, cioè debbo aver presente la sua intenzione: Egli parla a me, per far conoscere se stesso. Se separo questa parola da Lui, dalla sua intenzione, la fraintendo. Quindi dobbiamo sempre stare alla presenza della Persona, perchè l’essenza del cristianesimo è Persona, un rapporto a tu per tu, seguire una Persona. E questo è per tutti, non per una categoria di persone.

“Se vuoi essere perfetto, và, vendi e segui Me”, questo Gesù l’ha detto a tutti, come ha detto a tutti “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”.

Essere perfetto vuol dire: “ti manca una cosa sola: và, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e segui Me”. Quel giovane aveva chiesto “cosa devo fare per avere la Vita Eterna?”: stava cercando la vita eterna, era orientato al fine: aveva capito che l’uomo è fatto per conoscere Dio. Ma che cosa mi manca per arrivare? Gesù gli aveva risposto: “Osserva i comandamenti”, perchè sono essi che ti convogliano alla vita eterna. Gesù lo amò e gli disse “se vuoi entrare nella vita eterna, se vuoi essere perfetto, ti manca un cosa: va, vendi tutto e seguimi!” .

“Ti manca una cosa” perchè è questo (ciò che hai) che ti ha impedito di entrare nella vita eterna, di conoscere Dio. Il giovane credeva di aver osservato i comandamenti, ma Gesù gli dice: “Ti manca questo: va, vendi ciò che hai e vieni dietro me”: ecco la via. È ciò che hai che ti impedisce di seguirmi. Quindi la versione del “se vuoi essere perfetto” è: ti manca questo per giungere alla vita eterna: hai un baule grosso con te che non passa per la porta, buttalo via e “segui Me”, perchè Lui è la strada. Questo giovane conosceva il fine (sono i comandamenti che l’hanno convogliato al fine), ma non conosceva la strada: Gesù allora gli disse l’impedimento che portava con sè e gli fece conoscere la strada: “segui         Me”.

Non si può dunque pensare che quanto Gesù ha detto al giovane ricco sia un consiglio valido solo per alcuni, perchè contraddirebbe quanto aveva detto nel discorso della montagna: “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”; ed era un discorso rivolto a tutti. È come il porticato che conduce al Tempio; il porticato rappresenta le condizioni per entrare nel Regno di Dio. “Non cercate i valori del mondo, a amate le cose piccole, siate perfetti...”. Lo dice a tutti, perchè questo è un discorso per tutti.

Inoltre la Parola di Dio è universale, per cui ciò che ha detto al giovane ricco, lo dice a tutti, anche a me. Gesù non ci dice che basta essere buoni, ma che bisogna essere perfetti. E non dice: dovete essere perfetti come un uomo, ma come Dio; quindi non basta essere buoni, perchè Egli ci ha creati con lo scopo di conoscerLo, amarlo, essere presenti a Lui come Lui è presente a noi, ci ha creati con lo scopo di giungere a essere una cosa sola con Lui. È un discorso che fa a tutti: a Pietro, all’adultera, a me, ecc.

Quindi non dire “questo serve per il tale”, ma scava nelle parole fintanto che non vedi il rapporto personale di Dio con te, fino ad arrivare a questo a tu per tu con Lui, a ciò che ti dice personalmente; non mettere ostacoli tra te e Dio, fa diritte le strade (cioè, non dialogare più con le cause seconde, ma mettiti in rapporto a tu per tu con Lui) e allora intenderai le parole che Egli ti dice.

F.: Quindi la via è conoscere Lui.

Luigi: Il fine è Lui, la strada è conoscere Lui attraverso le sue parole. Ogni giorno Dio ci offre del tempo per conoscere di più Lui. Ogni giornata vale per quello che conosciamo di Dio. Ci fa assistere ogni giorno a delle parole che ci fa arrivare personalmente e ci rivela qualcosa di Sè: “Il tuo Signore sta parlando con te, ora, in questo momento, attraverso questo, e tu dove sei?”

- “Conoscete la via”: la conosciamo in quanto siamo stati con Lui, con le sue parole. La conosciamo se stiamo con Lui, alla sua Presenza, sempre: sia camminando che quando siamo soli nella stanza. Se stai sempre in silenzio, in ascolto di Lui (perchè Dio sta parlando con te), certamente conosci questa via, cammini su questa via.

Ma sei cosciente che lo scopo della vita è conoscere Lui?

Cosa fai per conoscerlo?

Se sei orientato alla meta, tutto ti serve; se l’hai presente, se sai dove andare tutte le cose ti aiutano ad arrivare a destinazione, perchè sai leggere tutti i segnali. Altrimenti ti perdi proprio a causa delle cose, dei segnali, in quanto li fraintendi.

Se devi partire per il Camerun, orienti lì i tuoi preparativi, il tuo pensiero.

Quando uno sa dove vuole andare si programma bene il viaggio, si informa, si prepara.  Avendo presente il fine, si scelgono i mezzi adatti. Non si sceglie un mezzo senza avere un fine; come non si sale su una macchina se non si sa dove andare. Il mezzo serve in quanto si sa dove andare.


Gesù gli rispose: “Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno può venire al Padre se non per mezzo mio”.  Gv 14 Vs 6


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12/Ottobre/1980


La caratteristica di questa affermazione di Gesù è l’Io, cioè la Persona, che è Via, Verità e Vita.

Quindi non crediamo che la Via, la verità e la Vita sia una regola, una legge, una morale, un certo comportamento, un fare questo o quello, un seguire la legge o no. La via, la Verità e la Vita è una Persona e fintanto che non arriviamo a un rapporto diretto, personale con questa Persona, ubbidissimo anche alle regole più sante, a tutta la legge, questo non ci salverebbe, perché non è la legge che ci libera dal pensiero dell’io.

La Via, la Verità e la Vita sta nell’impegnarci con una Persona. Quindi tutte le volte che cerco la Via, la Verità, la Vita altrove, sono fuori strada; debbo impegnarmi a conoscere Lui, a scoprire Lui, ascoltare, capire Lui. La Via, la Verità, la Vita non sta nel fare questo o nel non fare quell’altro, ma sta nell’entrare in un amore.

Quando si parla di salvezza, cosa intendiamo? La salvezza sta nella liberazione dall’ossessione del pensiero del nostro io. Noi corriamo il rischio di ossessionarci col pensiero del nostro io e quindi di cadere in balia delle tenebre e di caricarsi di catene. La salvezza sta nel trovare uno che ci liberi. È solo una persona che può liberarmi dal pensiero di me stesso, cioè il rapporto di amore con essa, perché l’osservanza di una regola non mi può liberare: quand’anche ci illudessimo di aver osservato tutta la legge, diremmo: “io sono riuscito ad osservarla tutta”, e saremmo perciò sempre nel pensiero dell’io.

Solo l’incontro con una persona mi può liberare dall’io, perché la persona stabilisce con me un rapporto d’amore, ed è l’amore che mi salva, perché pensando all’Altro esco dal pensiero di me stesso; invece pensando a me mi distruggo. Bisogna trovare un Altro cui pensare, da conoscere e per cui vivere. È l’Altro che mi libera se lo amo, perché amando l’Altro il pensiero dell’Altro mi fa uscire dal pensiero dell’io.

Si entra nel Regno di Dio pensando all’Altro, vivendo per l’Altro, glorificando l’Altro. Quando diciamo di amare e poi penso a noi stessi, questo non è amore. Anche nelle cose più sante il pensiero dell’io ci può imprigionare e paralizzare, perché diciamo: “per lo meno questo io l’ho fatto…, per lo meno io quello non l’ho fatto, ecc.”, e ci condanniamo; perché la vita non sta nel fare questo piuttosto che l’altro, ma sta in un amore, nel trovare un Altro da amare e che ci ama. La vita sta nel conoscere Dio, la Verità.

Qui ce lo annuncia; ci dice una cosa meravigliosa: Lui stesso è la Via, la Verità, la Vita. Per arrivare a capire ed a esperimentare questa affermazione, dobbiamo credere: la fede ce lo fa accogliere. Le parole del Cristo sono parole con il sigillo di Verità che non possono essere smentite. Ciò che ci dice Cristo è un annuncio che noi non possiamo smentire. L’annuncio ci è arrivato, quindi davanti alla verità ci verrà detto “tu sapevi!”.

Se tu cerchi la via Egli ti risponde: “Io sono la Via!”, quindi non cercare altre vie.

Per arrivare a capire devi credere. La fede accoglie tutto per arrivare a capire. Tu cerchi la Verità? “Io lo sono!”, ti risponde Gesù. Cerchi la vita? “Io sono la vita”, quindi non cercarla altrove. Quindi, comincia a riflettere su ciò che ti dice; non prendere a calci niente, un giorno capirai che quello era vero. La fede ti annuncia ciò che tu stesso un giorno arriverai a sperimentare; per arrivare a sperimentare devi credere all’annuncio. Quando sperimenterai non ci sarà più la fede, ci sarà soltanto l’amore.

Anche nelle batoste è Lui che parla, per cui devi avere questa certezza “anche se non capisco, so che c’è la tua mano”. Un giorno capirai, per ora lasciati lavare i piedi: “Ciò che ora faccio non lo capisci, ma capirai poi”, disse Gesù a Pietro che si rifiutava di farsi lavare i piedi. L’importante è accogliere la sua azione su di noi, perché è Dio che ci sta formando. Dio ci sta facendo, quindi dobbiamo lasciarci fare, perché non siamo ancora fatti. Per lasciarci fare dobbiamo accogliere tutto: “Signore, so che c’è la tua mano e so che un giorno mi condurrai a vedere ciò che ora non vedo”. Lui ci fa camminare e giungere alla meta se accogliamo tutte le sue parole (avvenimenti, ecc., e parole scritte), col desiderio di capire.

È importante questo “Io”, questa Persona. Perché noi generalmente confondiamo e crediamo che la vita sia ubbidire a certe leggi, fare certe cose, andare in certi luoghi, ecc. Invece la vita è un rapporto con una Persona. Non dobbiamo spaventarci degli spazi bianchi che ancora ci sono nella nostra vita: Lui ci conduce a poco a poco, se gli prestiamo attenzione.

L’Io del Figlio di Dio è unico e non si confonde con altri io o con altro. Ogni io è inconfondibile; non si può confondere una persona con un’altra. A maggior ragione questo avviene con l’Io divino. L’Io di Cristo non solo è inconfondibile, unico, ma è anche insostituibile (invece una legge, una regola è sostituibile con un’altra): è un Essere personale, unico. Non ci sono tanti “io” in cui possiamo trovare la via, la verità, la vita. E non potremo dire “non lo sapevo”, perché l’annuncio Lui ce lo ha fatto giungere. L’annuncio è arrivato: possiamo non capirlo, ma dobbiamo accoglierlo.

È importante, quando non capiamo, mettersi in silenzio. Ogni lezione è sempre fatta di una parola e di un silenzio, come la preghiera, che è fatta essenzialmente di silenzio, perché è nel silenzio che prendiamo consapevolezza (ecco la partecipazione personale) della parola, del fatto, ecc., che ci è arrivato.

Questo “Io” è un invito al rapporto personale con Lui. Il rapporto con Dio è sempre personale, perché Dio parla personalmente a tu per tu con ciascuno di noi e chiede che lo ascoltiamo personalmente. Colui che parla con me vuole essere ascoltato da me.

Ida: Sono cose queste che non le posso ragionare, ma mi danno speranza.

Luigi: Questo è già un credere, perché la Parola di Dio che arriva a noi, trova sempre nella nostra anima una certa sintonia, in quanto ognuno di noi porta dentro di sé il Verbo, lo Spirito di Dio; per cui, quando ci arriva dal di fuori una parola che è in armonia con questo Verbo interiore, ci fa essere in sintonia con essa, perché già l’abbiamo dentro.

Se così non fosse, come facciamo a dire “questo è vero, questo è giusto!”. Il Maestro interiore ci fa sentire il sigillo di Verità nella sua parola che ci giunge dall’esterno.

Ida: Che cosa fare?

Luigi: Siccome Lui mi dice “Io sono la Via”, mi dice “vienimi dietro!”. E cosa vuol dire questo “vienimi dietro!”? Vuol dire credere, custodire, approfondire le sue parole, perché non abbiamo la sua presenza fisica da seguire come chi lo faceva in Palestina duemila anni fa. D’altronde  non basterebbe seguirlo fisicamente: sono le sue parole che vanno seguite, capite. Questo è l’invito a custodire, ad approfondire l’annuncio che arriva a noi: impegnarci cioè a seguire quella via che ci propone “Io sono la via…”, “seguimi, accogli tutte le mie parole”. Da parte nostra dobbiamo tenere prezioso tutto ciò che ci dice, come la Madonna che custodiva, meditava nel suo cuore tutto ciò che riguardava suo Figlio. Si tratta di custodire tutto ciò che riguarda Lui, perché nella sua parola c’è tanta vita per noi. Quindi bisogna cercare con pazienza di fare questo lavoro: “È con la pazienza che possederai la tua anima”; così come si fa con il sillabario, quando si comincia a distinguere le singole lettere e poi a compitarle, per arrivare a poco a poco a leggere ogni cosa. Va invocato aiuto e luce: “Ti prego, Signore, di farmi capire: Tu dici questo, ma io non capisco”, cercando di ricordare, di custodire; se porto una sua parola dentro, tutto (ogni parola che mi arriva) contribuisce a portarmi a capirla, e magari improvvisamente, anche di notte, nel silenzio di tutto, me lo fa capire. Devo chiedere aiuto, però debbo anche aspettare la luce di Dio, senza stancarmi, senza distrarmi o volgermi altrove. Cioè dobbiamo portare dentro di noi la cosa, la parola, il fatto, l’argomento che non capiamo, con il desiderio di capire il Pensiero di Dio in esso. Non dobbiamo prendere a calci niente, ma stare attenti ad accogliere tutto ciò che fa, per giungere a renderci conto di ciò che Egli è.

Le sue parole sono la Via: ci conducono alla Verità, alla Vita, cioè al Padre. Per questo dice: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”, perché “solo il Figlio conosce il Padre e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarglielo”.

Pensare Dio, seguire Cristo, è già dono di Dio. L’iniziativa è sempre sua: è Lui che mi cerca; è Lui che per primo pensa a me. Quindi pensare Dio è sempre dono che Dio per primo fa a me.

Quando pensiamo a Dio, siamo pensati da Dio; quando cerchiamo Dio, siamo cercati da Dio. Non possiamo parlagli, né ascoltarlo, se Lui non viene a trovarci. È dono dell’Altro se lo possiamo pensare: perché l’Altro è venuto a trovarci; e allora cerchiamo Lui, gli parliamo, lo ascoltiamo, lo attendiamo, lo desideriamo. Egli non ci lascia mai soli: siamo noi che lasciamo Lui. Ma anche quando lo lasciamo, Egli non ci lascia mai e dialoga sempre con noi anche quando non lo ascoltiamo, sempre per richiamarci a Sé. Egli ci dirà “ho sempre parlato con te, ma tu dove eri?”: la colpa sta lì.

incontro n°214  (18/10/80)

Se Lui è “la” Via, ogni altra via non ci porterebbe alla meta. Gesù in quanto “Via” è la Verità e la Vita del Padre che arriva a noi.

Elisa: Il Figlio è Verità e Vita allo stesso modo del Padre?

Luigi: È lo stesso ed è diverso. Lo stesso perché è la Verità e la Vita del Padre che arriva a noi. Ed è diverso in quanto è generato dal Padre e non viceversa. In quanto è via, necessariamente è Verità e Vita, perché la via è ciò che congiunge il punto in cui ci troviamo e il fine. La via collega, cioè fa arrivare a noi, dove siamo, il Fine. Però è anche diverso, perché nessuno può vedere la via se non è attratto dal fine, cioè se non desidera andare in un luogo specifico, “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre”. L’incontro con il Cristo presuppone l’attrazione del Padre, cioè avere il bisogno di conoscere Dio. Bisogna che in noi si sia formata la consapevolezza dell’importanza per la nostra vita di conoscere Dio, come una cosa da cui viene tutto (la vita, la luce, la pace, ecc), perché ogni nostro problema è una conseguenza del nostro rapporto con Dio: quando Dio è ignorato, anche i problemi sono caotici, complicati, per cui scopriamo l’importanza enorme di conoscere Dio. Quando scopriamo l’importanza di Dio, incominciamo ad essere attratti, in questa attrazione si comincia a scoprire l’importanza che per noi ha il Cristo: Cristo diventa la strada, perché nessuno ha parlato come Lui e ha risposto ai desideri della nostra anima come Lui. Se invece lo seguiamo per altri motivi, ad un certo momento lo lasciamo.

La scoperta dell’importanza del Cristo ci libera dalla schiavitù dagli altri argomenti del mondo, perché non rispondono al nostro bisogno essenziale. Cristo invece sì.

Attratti dal Padre, scopriamo la nostra incapacità a conoscerlo, per cui quando incontriamo il Cristo, diciamo: “era questo il Maestro che aspettavo!”. Egli ci parla delle verità che portiamo nel cuore, di ciò che desideriamo; perché noi da soli non vediamo il seme della vita e delle cose, e abbiamo bisogno di Qualcuno che ci aiuti a scoprire Dio, perché da soli abbiamo sperimentato che non ce la facciamo, in quanto tutti ci parlano di altro, ma non di Lui. Bisogna quindi che si sia formato questo bisogno di Dio. E come si forma?

Il Padre parla ad ogni uomo (“sono tutti ammaestrati da Dio”), ma non tutti lo ascoltano. Chi lo ascolta, resta attratto, perché ascoltando si forma in lui la consapevolezza dell’importanza di conoscerlo; quindi rimane pronto per l’incontro col Cristo. L’incontro con il Cristo presuppone l’attrazione del Padre.

Con queste parole, Gesù risponde all’uomo che interroga, che desidera andare al Padre: “Io sono la Via”. L’uomo vi potrà giungere per mezzo di Lui. Egli è Vita e Verità in quanto, essendo Via, ci collega al Fine, al Padre che è Vita e Verità: ci annuncia, ci parla del Padre.

Quindi il Padre è Via e verità in senso diverso dal Figlio. Infatti il Figlio dice “Il Padre è maggiore di me”. Egli è Figlio, quindi è caratterizzato dal fatto che in tutto glorifica il Padre, tutto attribuisce al Padre, tutto riceve dal Padre. Noi saremo figli solo nella misura in cui i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre scelte sono volute da Dio, non da altro. I figli di Dio sono mossi in tutto dallo Spirito di Dio, in tutto: nel pensare, nel parlare, nel vivere, perché “il Figlio non può fare nulla se non lo vede fare dal Padre”. Tutto in noi deve essere motivato da Dio, dal Pensiero di Dio, se vogliamo essere figli. Il Figlio viene a insegnarci a diventare figli come Lui. A noi che facciamo tutto senza vederlo fare dal Padre, dice: “guarda che il Figlio non fa nulla se non lo vede fare dal Padre”. Fintanto che facciamo tutto senza vederlo fare dal Padre, noi non siamo figli del Padre, ma siamo figli di altri, abbiamo altri maestri, siamo figli di chi esaltiamo nella vita. Fintanto che non esaltiamo Dio e non lo mettiamo al centro di essa, non siamo figli di Dio. Ciascuno diventa figlio di chi mette al centro della proprio vita.

Noi cresciamo a immagine e somiglianza di colui o di ciò in cui ci specchiamo. Siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio, quindi dobbiamo specchiarci in Dio (“siate perfetti come è perfetto il Padre dei Cieli”). Se noi ci specchiamo nel mondo, subiamo le passioni del mondo (carriera, ambizioni, gloria, ecc.) e ne diventiamo figli e quindi siamo fuori dal campo dello Spirito, fuori dalla fede. Se ci specchiamo in Dio invece subiamo l’attrazione di Dio. Chi si specchia nel mondo, perde la fede “come potete credere voi che elemosinate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’Unico Dio?”. Chi vive nel pensiero di sé non può essere figlio di Dio, perché il Figlio di Dio si specchia nel Padre.

L’immagine e somiglianza presuppone un modello in cui specchiarsi, presuppone l’originale su cui confrontarci. Dio, dando la vita all’uomo si è offerto, si è posto come suo prototipo, per cui l’uomo è chiamato a diventare a sua immagine e somiglianza. L’uomo è questa capacità di diventare ciò che guarda; è come l’acqua che prende la forma del recipiente che la contiene. Noi siamo acqua: possiamo metterci in Dio, ma possiamo anche metterci in altro recipiente (a seconda di dove è il nostro pensiero: o in Dio o nell’io).

“Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”: Cristo è la Via. Dice “viene” e non “va”, perché dove è il Padre c’è anche Lui.

Cristo è sempre nel seno del Padre. Egli però dice anche: “Nessuno può venire a me se il Padre non lo attira”. Per camminare nello Spirito bisogna essere attratti da Dio. Per essere attratti da Dio e giungere al Cristo che ci porterà al Padre ci vuole molto silenzio: lì si diventa attratti e quindi conosciuti dal Cristo. Nel silenzio nasce in noi l’attrazione del Padre.

Se Gesù dice che è Vita, ci fa capire che cercando la vita altrove, siamo nella morte e nella menzogna, sperimentiamo la falsità.

È importante, per non cercare la nostra vita altrove, richiamarci sempre, in ogni situazione, allo Spirito di Dio. Dobbiamo stare molto attenti a ciò che ci motiva in ogni cosa che facciamo. Richiamarci continuamente a questo principio: “quello che sto facendo, chi è che mi muove in questo momento?”.

È importante abituarci a fare, ogni tanto, il punto della situazione, per scoprire il motivo per cui sto facendo ciò che sto facendo; “in questo momento, perché lo faccio? Che cos’è che mi guida?”. Se onestamente non possiamo dire che è Dio che ci muove, siamo fuori strada; in tal caso, se non torniamo a fare le cose motivati da Lui, Dio ci farà toccare con mano il nostro errore, mettendoci dei semafori rossi sul nostro cammino, per correggerci, affinché impariamo ad essere motivati solo da Lui.

Dobbiamo chiedercelo spesso questo, perché noi naturalmente abbiamo presente l’io, per cui ci vuole questo superamento questo sforzo per essere motivati da Dio.

Dio è sempre presente a noi, ma non sempre noi siamo presenti a Lui, perché non sempre siamo motivati da Lui. Dio, in quanto ci muove, è motivazione in noi dell’azione. Non c’è prima l’azione e poi il motivo, prima c’è il motivo e poi l’azione. Quindi Dio deve venire prima del pensiero, della parola, dell’azione nostra. Anche per un semplice pensiero, prima c’è Dio.

È Dio che mi fa pensare, parlare, agire. Dio è motivante. Così deve essere. Invece noi: diciamo e facciamo e pensiamo e poi cerchiamo Dio. Dobbiamo sempre essere nella posizione di quiete: “Il figlio non fa nulla se non lo vede fare dal Padre”. Fintanto che il Padre non ci dice di fare una cosa, di pensare o parlare una cosa, dobbiamo essere nella posizione di fare niente. Se lo dice Gesù non dobbiamo aver paura di questo. In tal modo ci si lascia fare da Lui.

Solo così noi troviamo la nostra vera vita, poiché Lui solo è la Vita. Si va al Padre solo attraverso il Figlio, imparando dal Figlio a diventare figli. Ma la condizione è essere attratti dal Padre, lasciandoci cioè convincere, nel silenzio, dell’estrema importanza che ha per la nostra vita la conoscenza di Dio. Il silenzio è difficile, perché si diventa figli dei propri pensieri, parole e opere; si diventa figli di ciò di cui ci si affanna; per cui il nostro silenzio è pieno di mondo, e prima di sgombrare la nostra anima da tutti questi rumori  ci vuole molta pazienza. Con la pazienza possederete le anime vostre”, cioè sgombrerete la vostra anima dai rumori in modo da poter prendere contatto con Dio e lasciarsi  prendere da questo contatto.

Il silenzio è comunione, è il sacramento con cui si stabilisce il contatto con Dio. Metti allora del silenzio nella tua vita, stabilisci questo contatto, lasciati guidare da Dio. Il silenzio è il segreto per lasciarsi guidare da Dio. Dobbiamo imparare a metterci in contatto con la Sorgente, a lasciarci guidare da Dio, chiedendoci in ogni cosa che facciamo e diciamo “è Dio che mi fa fare, dire questo, pensare questo o è altro?”.

Se ho il dubbio, mi fermo. L’importante è ristabilire questo contatto con lo Spirito di Dio, il Quale è  sempre presente e opera per richiamarci a Sé, dicendoci “attento, che mi stai dimenticando!”. Egli parla sempre con noi, ma gli affanni, le preoccupazioni, gli avvenimenti, le creature ci portano via, perché non li vediamo come parole sue, uniti a Lui, ma come realtà a se stanti. Quindi, fai il punto, ritrovati! Bisogna dedicare, in una giornata, tutto il tempo necessario, anche solo un quarto d’ora, per ristabilire questo contatto. Più hai fretta, più devi raddoppiare il tempo della fermata. Non lasciamoci portare via dagli avvenimenti, dalle cose che vogliamo terminare, fare, cioè da tutto ciò in cui c’è il nostro io. Dio richiede la nostra anima, il nostro pensiero, perché Egli vuole che siamo sempre con Lui come Lui è sempre con noi.

Dobbiamo imparare a convivere con Dio. Tutto ciò che accade è pedagogia alla vita eterna che è convivere con Dio; per cui, ciò che conta è saper convivere con Dio, con la vita di Dio, con la Presenza di Dio in tutto. Questo è molto importante, perché viviamo per imparare questo. Quindi in tutte le cose non è importante fare questo o quello, terminare questo o quello, andare qui o là, ma è importante lasciarci guidare in tutto dallo Spirito di Dio.

Ma siamo convinti che la vita ci è data per questo?

Gesù ci richiama “Io sono la vita, non cercarla altrove. Io solo vi posso portare al Padre, Io solo sono la via!”. È il Figlio che ci insegna a diventare figli e a giungere alla Verità (“Io sono la Verità, …se resterete nelle mie parole conoscerete la Verità”). Ci vuole pazienza e costanza per imparare a nascere da Dio, per imparare a superare il nostro pensiero per trascendere al Pensiero di Dio. Bisogna aver pazienza di fermarci quando Dio ci avverte che gli avvenimenti ci portano via dal suo Pensiero; fermarci anche se sentiamo la tentazione di correre. Non è importante fare tante cose: è veramente importante imparare a lasciarci guidare in tutto da Dio.

“Io sono…”: è importante questo “Io”, perché allora la Vita, la Verità, la Via non è una regola, ma un Essere personale. Dobbiamo scoprire Lui come persona.

Cristo è Persona Divina, è il Figlio di Dio; quando pensiamo a Dio è col Figlio di Dio, il Verbo che Lo pensiamo; e siamo con Lui, anche se non lo sappiamo, perché non possiamo pensare a Dio senza il Pensiero di Dio. E il Pensiero di Dio è il Figlio di Dio!

Siccome Dio è con noi, dà a noi la possibilità di essere con il suo Pensiero. Però, siccome non siamo capaci di restare con Lui, il Pensiero di Dio si è incarnato, ha preso una fisionomia umana, in quanto per noi è facile fermarci con gli uomini. Per cui, ho la possibilità di pensare a Cristo tutto il tempo che voglio; posso pensare a cosa ha fatto, a cosa ha detto, ecc.. Con Lui possiamo restare il tempo che vogliamo, perché si offre a noi, a immagine e somiglianza nostra; quindi con facilità resto con Lui, perché noi stiamo volentieri con gli uomini. O meglio, stiamo con i corpi, il più delle volte, perché in essi ritroviamo noi stessi, mentre ci è difficile restare con la “persona”. La persona ci sfugge. Questa stessa difficoltà possiamo averla anche con il Cristo, fermandoci alle apparenze esterne. Però, più resto con Lui, più lo ascolto, più colgo la sua Persona. Il Verbo si è fatto carne restando Persona Divina; quindi in Cristo, abbiamo il Pensiero di Dio tra noi e abbiamo la possibilità di restare con Dio tutto il tempo che vogliamo. “Il Regno di Dio vi è dato”, cioè “vi è reso accessibile” per mezzo di Cristo.

Posso restare con Cristo tanto quanto voglio, però essendo Cristo come Persona Figlio di Dio, mi parla come Dio, non come uomo. È lì la bellezza! Perché come uomo posso restare con Lui fintanto che voglio, però mi parla come Dio. Ecco perché parla come nessuno ha mai parlato: le sue sono Parole della Persona Divina, del Pensiero di Dio. Quindi restando con Lui e con il Vangelo, imparo a restare con il Pensiero di Dio! Proprio con quel Pensiero con cui da solo non so restare! Con Gesù ho la possibilità di imparare a restare nel Pensiero di Dio. Per questo diventa “via”: perché mi da questa possibilità; col suo parlare mi educa a pensare restando nel Padre, nel Pensiero del Padre. Più sto con Lui, più mi educa a vedere tutto in Dio, nel Padre, a ragionare col Padre. Cristo è il vero e unico Maestro. Ora, il primo compito del maestro è quello di insegnare a pensare; infatti le nozioni arrivano a noi solo quando sono accompagnate dal pensiero.

Marco: Perché c’è bisogno di Cristo per pensare a Dio?

Luigi: Noi pensiamo a Dio solo col Verbo di Dio, col Pensiero di Dio. Il Verbo incarnato è Cristo. Noi possiamo fermarci nel Pensiero di Dio un momento, scoprendo l’importanza del Padre, scoprendo che Dio è il Padre, ma non siamo capaci a restare sempre con questo Pensiero, scappiamo. Non siamo capaci a vivere le nostre realtà di ogni giorno restando uniti al Pensiero di Dio. Per questo il Pensiero di Dio si incarna: con Lui incarnato posso restare tutto il tempo che voglio, e stando con Lui mi insegna a vedere le cose come le vede Lui. In quanto uno studia la vita del Cristo è con il Cristo, e questo è possibile in quanto Lui occupa una pagina della storia, dunque si offre ad essere meditato, studiato. Però, non posso attribuire a Lui la mia mentalità, perché Dio e le sue parole sono diverse dalle mie, per cui Egli rovescia la mia mentalità. Infatti ci dice: “Beati i poveri, beati coloro che piangono, ecc.”. Se uno incomincia a pensare: “è Dio che mi dice queste cose, perché Cristo è il Pensiero di Dio che parla tra noi”, allora accetta, e accettando incomincia a pensare con Dio, come Dio, fino a dire: “ha ragione Lui e il mondo ha torto”, dopodiché incomincia a non seguire più il mondo, perché capiamo che “il tutti fanno così” è una ragione sbagliata. Per questo seguiamo Lui, perché ci dice cose vere, perché in quanto parla, mi parla come Dio. E più sto con Lui, più imparo a ragionare secondo Dio, a vedere le cose dal punto di vista di Dio, dal punto di vista dell’Eternità, imparo cioè a vivere in senso eterno, nell’eternità di Dio; allora i valori del mondo ad un certo punto scadono (così come avviene nell’agonia) mentre più viviamo con Lui e più tutte le parole, i valori del Cristo acquistano importanza e validità, perché con Lui c’è sempre il rapporto “noi-Dio”, “noi-Dio”, “noi-Dio”; invece nel mondo, non tenendo conto di Dio, c’è sempre questo rapporto: “noi-gli altri”. Ma siccome Dio è il dato principale di ogni nostro problema, se non teniamo conto di Lui, escludendo questo dato principale, le nostre soluzioni sono sempre sbagliate. Quindi di fronte ad ogni nostro problema noi dobbiamo ragionare con Dio, e chi ci aiuta è Cristo, che è il Pensiero di Dio incarnato.

Paola G.: Allora non dobbiamo aver paura di sbagliare a pensare Dio?

Luigi: Non dobbiamo temere di pensare Dio, perché anche se lo pensiamo in modo sbagliato Lui ci corregge. Non bisogna aver paura, perché Lui è sempre con noi: ovunque siamo e andiamo col pensiero Lui c’è, non ci lascia mai soli, neppure quando pecchiamo. Quindi mai aver paura, perché Lui ci corregge. L’importanza è stare aperti alle correzioni e allora Lui ci aiuta a pensare correttamente a Lui. Tante volte noi pensiamo di pregare, ma non pensiamo a Lui. Ma se non pensiamo a Dio chi preghiamo?

Constatare questa nostra incapacità è già un aiuto; il dubbio, l’incertezza è già grazia, è un invito di Dio che ci dice: “devi pensare a Me”. Noi possiamo pensare a Dio perché Dio ci ha dato il suo Pensiero. Dio creandoci ci ha dato il suo Spirito. La possibilità di pensare Dio è un tesoro immenso; con questo dono posso fermarmi a pensare Dio tutto il tempo che voglio: ho la luce a disposizione.

Questo lo possiamo fare perché Dio si è dato nelle nostre mani: attraverso il Pensiero di Dio in noi, noi possiamo passare dal finito all’infinito di Dio e quindi alla vita eterna.

Il Pensiero di Dio in noi è il punto verginale in noi in cui nessuno può entrare, né il pensiero del nostro io e nemmeno il demonio. Chi ha trovato questo tesoro va e vende ciò che ha per comprare il campo in cui è il tesoro, per poterlo possedere; chi ha trovato questo tesoro ha scoperto una cosa immensa: il Pensiero di Dio, il punto attraverso cui posso passare all’Eterno. Noi non dobbiamo mai avere paura con Dio, perché Egli sa di che cosa siamo fatti, per cui continuamente ci porta ad una verifica, ci controlla ci corregge, ci suggerisce. È una meta altissima quella a cui siamo chiamati, ma Lui ci conduce. Da parte nostra cosa dobbiamo fare?

“Entra nella tua stanza e chiudi l’uscio e lì nel segreto pensa il Padre tuo”. “Sei cieco? Non vedi? Ti ho dato la fede, ti ho dato il mio Pensiero, ti ho dato la luce: fermati, fa silenzio e pensa!”.

Non puoi smentire che Dio c’è; puoi dubitare, ma non puoi negarlo; perché? Perché la Verità è più grande di te. Quindi, per fede, proprio perché la Verità è più grande di te e non puoi negarla, raccogliti, sapendo che Dio è presente. Raccogliendoti in Lui non temi nulla: puoi dire tutte le corbellerie, ma sai ti correggerà con amore.

Riconoscere Gesù come Via, Verità e Vita è possibile se ascoltiamo il Verbo interiore. “Chi mi avrà confessato, riconosciuto davanti agli uomini”, cioè “chi non mi avrà confuso tra gli altri, chi avrà colto la mia Parola, il mio Pensiero tra le parole e i pensieri degli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio nell’ultimo giorno”, l’ultimo giorno è il nostro contatto diretto col Padre. Chi ce lo fa riconoscere, distinguere tra tutti gli altri uomini è l’attrazione del Padre, è l’ascolto del Verbo interiore. Così lo riconobbero gli apostoli: “Abbiamo trovato Colui di cui parlavano Mosè e i Profeti!”.

Questa individuazione del Cristo sta nel poter dire: è Lui la mia Via, la Vita, la Verità. Più stiamo con Lui, più siamo confermati che è Lui la Via, la Verità, la Vita.

La conferma è progressiva, perché ogni passo che facciamo con Lui, Dio ce lo conferma. Però, c’è l’ultima conferma: che è il rapporto diretto tra noi e il Padre. Ecco, qui avviene il riconoscimento, da parte del Cristo, di noi (“anch’io lo riconoscerò di fronte al Padre mio”): questo riconoscerci del Figlio è la consegna al Padre, è presentarci, affidarci al Padre, affinché il Padre possa riconoscerci come figli.

Apparentemente le parole degli uomini ci danno più vita , sembrano più reali, ma più ci fermiamo con Cristo, con le sue parole e più ci accorgiamo che le parole del Cristo sono vere in assoluto, che la Verità è Cristo stesso che ci parla del Padre.

Cristo è la Via proprio in quanto mi parla della Verità (il Padre), perché parlandomi della Verità mi porta a scoprire la Verità, se lo seguo e ascolto. “Chi è dalla Verità ascolta la mia voce”: “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre”. Chi è dalla Verità, cioè chi è attratto dal Padre,  ascolta la mia voce, la riconosce. Chi non è dalla Verità non riconosce la sua voce e tanto meno riconosce Lui. “Le pecore di Dio ascoltano la mia voce” e l’ascoltano in tutto.

“Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio”: il Padre è Principio ed è Meta.

Il Padre è Principio, perché bisogna essere attratti dal Padre per riconoscere la Via, il Cristo. È necessario cioè sapere dove si vuole andare per poter scoprire la strada.

Quindi come prima cosa è essenziale che si formi in noi la consapevolezza di ciò che vogliamo: tu che cosa vuoi? Voglio Dio, perché Dio mi ha fatto capire che la mia vita è lì.

Il desiderio del Padre si forma attraverso l’ascolto del Padre: ascoltando il Padre rimaniamo attratti dal Padre. Ma per ascoltare il Padre è necessario compiere in noi questa giustizia: dare a Dio ciò che è di Dio, perché Dio c’è, e se c’è non va ignorato! Non ignorare Dio è ascoltare Dio. Chi non si ferma ad ascoltarlo lo ignora. Chi Lo ascolta è perché ha fatto in sé la giustizia, ha messo cioè Dio al centro e tutto attribuisce a Lui. E allora, in questo ascolto si forma la consapevolezza della meta. Solo così si arriva al Cristo con convinzione: “Io voglio Dio perché so che lì è la mia vita”. Conoscere il nostro fine, essere consapevole della nostra Meta fin dal principio è importantissimo, affinché non abbiamo a rivolgere il nostro bisogno di assoluto in altro da Dio. Infatti, fintanto che non c’è questa consapevolezza, essendoci in noi la passione per l’Assoluto, la proiettiamo verso tutto ciò che vediamo: denaro, creature, ecc.; per cui la creatura, il denaro, ecc., sono amati da noi come assolute. Per questo è molto importante per noi che si formi la consapevolezza di ciò che Dio è per noi, se no il nostro è un amore impersonale, perché ancora non ha trovato la sua Persona, quindi è amore assoluto. C’è in noi questo desiderio di assoluto che è desiderio di Verità (quando percepiamo in noi questo bisogno di Assoluto, di Verità, allora non dubitiamo più che in noi c’è l’anima). La Verità è assoluta, quindi il desiderio di Dio è assoluto. L’uomo è creato con questo desiderio. Quindi: sta attento a non disprezzare la tua anima, non disprezzare questa fame di Dio che porti in te, se no scambi con un piatto di lenticchie la tua primogenitura. Attento a non vendere il tuo diritto di primogenitura per un piatto di lenticchie.

“Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”: se desideri effettivamente giungere al Padre, se si è formato in te la consapevolezza di ciò che veramente vuoi (Dio) allora questo ti fa individuare l’unica Via che ti porterà là dove vuoi andare.

Dicendo che nessuno va al Padre se non per mezzo suo, esclude ogni altra Via. Ma va tenuto anche presente che nessuno trova l’unica Via se non è attratto dal Padre, cioè se non desidera conoscere il Padre.  


Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto. Gv 14 Vs 7


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18/Ottobre/1980


Questo versetto va collegato al versetto precedente “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”. Può essere interpretato in due sensi, entrambi validi: il primo in senso relativo, transitorio, prima di Pentecoste; l’altro in senso assoluto, eterno, perché visto dalla Meta.

Interpretando il versetto in senso relativo possiamo collegarci al versetto precedente: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”; cioè, è la Parola ascoltata, capita che ci porta al Padre, perché chi ascolta il Cristo, ascolta il Padre. Quindi se non resto col Cristo, non posso conoscere il Padre. Dunque il versetto, inteso in questo senso, andrebbe tradotto: “se aveste conosciuto Me (ma qui non si tratta ancora della conoscenza di chi è Lui, conoscenza che si avrà solo a Pentecoste), cioè se mi aveste ascoltato, capito, allora conoscereste anche il Padre, perché io vi ho sempre parlato del Padre”. “Io sono la Via e nessuno va al Padre se non per mezzo di Me”: quindi “se conosceste la strada, conoscereste anche la meta”; ma è una conoscenza relativa, perché la strada la conosceremo solo nella meta, cioè solo nel Padre conosceremo Colui che ci ha condotto lì. Quindi non si tratta ancora di vera conoscenza della strada, ma di una conoscenza relativa: accetto le sue parole solo in quanto rispondono ad un mio bisogno.

Se invece queste parole le debbo interpretare nell’altro senso, le interpreto nel Fine, quindi facendo dipendere la conoscenza del Figlio dalla conoscenza del Padre. In tal caso Gesù deve aver detto “Se conosceste Me avreste conosciuto il Padre (cioè, sarebbe segno che avreste già conosciuto il Padre), perché non potete conoscere me, senza aver prima conosciuto il Padre”. Infatti dobbiamo tener presente che qui Gesù parla il linguaggio della Pentecoste, per prepararci alla Pentecoste, quindi le sue parole sono intese veramente se sono intese in senso assoluto, nel fine: “se mi conosceste, sarebbe segno che già avete conosciuto il Padre, perché la conoscenza di chi è Colui che mi ha condotto alla meta, l’abbiamo soltanto nella meta, nel Padre, poiché Lui ha detto “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”.

Le parole di questo versetto vanno ritradotte secondo lo Spirito, tenendo conto di altre affermazioni chiare di Gesù; bisogna cioè affermare lo Spirito sulla lettera di una traduzione che Dio ci fa giungere, apparentemente contraddittoria, per sollecitarci ad approfondire). Quindi va letta così: “Se conosceste me avreste conosciuto anche mio Padre”, poiché nessuno conosce il Figlio se non il Padre”.

Anche una traduzione sbagliata è Dio che ce la fa giungere per metterci in movimento, per approfondirla secondo lo Spirito, superando così le contraddizioni che si trovano nella lettera, in superficie. Ogni cosa può essere intesa nel suo Fine. Quindi le opere del Padre (la creazione, tutto l’Antico testamento, ecc.) sono illuminate solo dal Cristo, poiché il fine di tutte le opere del Padre è il Cristo; “Voi siete di Cristo” (è il Cristo che spiega le parole dell’A.T.; ad esempio nel Genesi è detto “Ti guadagnerai il pane col sudore della tua fronte”, e Gesù chiarisce dicendo “non affaticatevi per il pane che passa).

Ma tutte le parole e le opere del Cristo, a loro volta le possiamo intendere solo nel loro fine: la conoscenza del Padre. Lì, a Pentecoste, si illuminano. Infatti Gesù promise: “Lo Spirito Santo vi ricorderà e vi farà capire tutto quello che vi ho detto”.

La Verità Dio ce la presenta già quale Essa è, ma la creatura la intende a livelli diversi, progressivamente. Per questo la prima interpretazione (relativa) di questo versetto non contraddice la seconda (assoluta) che è vista nel Fine.

“Fin d’ora lo conoscete e l’avete veduto”: dal momento che Cristo parla a noi del Padre, ci presenta il Padre, ce lo fa vedere. Per questo ci può dire: “Lo conoscete”, perché ce ne ha parlato.

Nella via c’è già il Fine; perché la via, proprio in quanto via, ci presenta la Verità e la Vita. Cristo è Cristo in quanto ci presenta il Padre e in quanto ce lo presenta, ce lo fa conoscere. Cristo come uomo è Verità creata, e come Figlio di Dio è Verità generata.

Nella misura in cui stiamo con Lui, siamo fatti capaci di vedere il Padre. Restare con Cristo è restare con il suo Pensiero.

Paolo: Posso restare col suo Pensiero leggendo le sue Parole; e posso restare con Lui anche con l’atteggiamento pratico?

Luigi: Restare con Lui vuol dire restare nelle sue parole, nel suo Pensiero, e questo è possibile anche nell’atteggiamento pratico, quando opero motivato dalle sue parole. E quando agisco motivato dalle sue parole seguito a restare con Lui. Se sono motivato da altro, opero la frattura, perché ho un altro padre. È la motivazione che mi fa restare con una persona, in quanto continuo a fare tutto quanto piace a quella persona. La motivazione è il legame. “Il Padre non mi lascia mai solo perché faccio sempre ciò che piace a Lui”. Ecco, il legame per restare legati a Cristo si ottiene facendo ciò che piace a Lui, camminando nelle sue parole. Per cui è bene, di tanto in tanto, fare il punto chiedendosi “che cos’è che mi motiva?” Se è la parola del Cristo io sono col Cristo.

Paolo: Però Cristo ha sofferto l’abbandono del Padre proprio mentre stata morendo, facendo la sua volontà.

Luigi: Egli ha sofferto questo abbandono per noi, perché noi nel peccato siamo soli. Ciò che ci unisce è restare in armonia con Lui; diversamente ci sentiamo soli. Dio non ci lascia mai, ma noi esperimentiamo una solitudine che angoscia. Ed è conseguenza del peccato. Il peccato infatti è non tener conto di Dio: tutte le volte che agiamo senza tener conto di Dio ci prepariamo alla solitudine, perché ci crediamo noi operanti.

Cristo ha provato la solitudine in funzione redentiva, per insegnarci come la si supera: “Padre, nelle tue mano affido il mio Spirito”. Ci insegna che dobbiamo offrire a Dio anche la sensazione della solitudine; in questo modo si è sottomessi anche nelle tentazioni, e ci insegna come se ne esce: appoggiandoci sulla parola di Dio. Sentire la tentazione non è colpa “Sentirai la tentazione, ma devi tenerla al di sotto del tuo pensiero”. Lo Spirito deve essere al di sopra. Attraverso le prove Dio ci sollecita a mantenere il pensiero unito a Lui; e così è anche attraverso la prova della solitudine, che è anch’essa una tentazione in conseguenza del peccato. Al di sopra del tuo sentimento di solitudine, fai trionfare la fede che ti dice: “non sei solo”. Più resti unito al Cristo, alle sue parole, al suo Pensiero, più Lui ti fa capace di vedere il Padre, perché Lui ti parla solo del Padre.

Ida: Come possiamo superare i conflitti che ci sono nella nostra vita?

Luigi: Anche i conflitti sono opera di Dio per chiamarci all’essenziale. I conflitti ci sono perché c’è ancora un mondo che non vediamo secondo Dio. Ma l’importante è fare crescere (approfondire) ciò di cui sono convinto nel Pensiero di Dio: più camminiamo lì e più cresciamo e più Dio ci libera dalle conflittualità. I conflitti li avremo fintanto che non arriviamo alla Verità. Essi sono opera di Dio per farci prendere coscienza di ciò che non facciamo nel Pensiero di Dio; sono stimoli per farci camminare nell’essenziale. Ho un’ora a disposizione? Se mi applico ad approfondire ciò di cui sono convinto, Dio poco alla volta mi libera da un conflitto, poi da un altro, ecc.; l’importante è approfondire ciò che ci convince: “resta nella luce, cammina nella luce”. I conflitti sono stimoli per farti camminare  nella luce. Ad un certo punto, se abbiamo fatto crescere ciò in cui siamo convinti, Dio ci libererà dai conflitti; ma non siamo noi a liberarci dai conflitti: entreremmo in altri conflitti. Bisogna attendere che sia Lui a liberarci. È solo Lui che ci può liberare, perché per motivi vari noi siamo bloccati e non siamo capaci.

Il problema quindi non è evitare i conflitti, ma far crescere ciò di cui siamo convinti. E questo lavoro va fatto quando siamo liberi: Dio ci osserva nell’ora che abbiamo a disposizione; se la sprechiamo, Dio ci fa crescere il conflitto anziché togliercelo.

Anche se siamo pasticcioni, l’importante è approfondire. Se siamo convinti di una cosa è opera di Dio. Dio non ci convince per imposizione, ma attraendoci; e non attrae imponendosi, ma convincendoci. Quando l’anima è attratta da Dio è convinta: ha in se stessa, per opera di Dio, le ragioni delle sue scelte. Quindi sta lì, in quella luce che ti ha dato, cammina lì; Dio ti libererà dai tuoi conflitti; non devi preoccuparti di farlo tu.

I figli di Dio si formano in terra d’Egitto, dove si mordono i freni, perché più uno è fedele nella lontananza, più l’amore cresce. Se si resta fedeli, nonostante l’ambiente che ci contraddice, Lui ci libererà; se ci si diverte, allora si perde tutto.

“L’avete veduto”: Cristo, essendo il Figlio di Dio, parlando a noi, ci presenta quello che Lui ha nel cuore (il Padre) e ce lo fa vedere. “Io non l’ho visto, però Lui me l’ha fatto vedere”. Il fatto che Egli fa vedere il Padre, non è detto che necessariamente io lo veda.

Come Maestro l’ha fatto vedere, però non è detto che la creatura veda; come non è detto che l’alunno veda ciò che il maestro gli ha fatto vedere.

Quando uno parla, parlando manifesta il suo pensiero, ma non è detto che chi lo ascolta, lo veda. Così Cristo, parlando a noi, manifesta a noi il suo Pensiero, il Padre, ma non è detto che noi sentendolo parlare lo vediamo, perché siamo distratti.

È la stessa cosa di: “Il padre ammaestra tutti”, ma non tutti sono ammaestrati dal Padre. E anche “Chiunque ha ascoltato il Padre (non già che abbia visto il Padre) viene a Me”. Tutti ascoltano il Padre, perché il Padre parla a tutti, ma non tutti ascoltano il Padre: vuol dire che c’è ascolto e ascolto.

Così Cristo fa vedere il Padre a coloro con cui parla, ma non tutti vedono il Padre. Da parte di Dio l’ha fatto vedere, non sempre la creatura vede. Così, Dio è sempre presente all’uomo, ma non sempre l’uomo è presente a Dio.

Tutta la tribolazione nostra è cercare di essere presenti a Dio come Dio è presente a noi, perché nella Verità Dio è presente a noi e c’è divario. La fatica dell’uomo è colmare questo divario. La nostra felicità è conoscerLo come Lui ci conosce, amarlo come Lui ci ama, restare presenti a Lui come lui è presente a noi, pensare a Lui come Lui pensa a noi.

Da parte di Dio c’è il dono, ma da parte della creatura non c’è la ricezione del dono come Dio lo fa. Ecco la nostra tribolazione: sappiamo che parla a noi e noi non sappiamo. “Ti ho parlato, ti ho fatto vedere e non capisci”, “Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto raccoglierti… ma tu non hai capito l’ora in cui sei stata visitata”: lì è la colpa. Il tuo Creatore parla a te, viene a te e tu dove sei?

Nino: Ho un’altra traduzione di questo versetto che mi è difficile intendere: “Se conoscete Me, conoscerete anche il Padre”, ma non si può conoscere il Figlio senza aver conosciuto il Padre. E allora?

Luigi: Teniamo presente che Gesù ha detto: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”, perché “Nessuno può conoscere il Padre se non il Figlio”. Queste sono parole chiare che non danno luogo a dubbi: quindi è alla luce di queste che va inteso questo versetto. Ma Gesù dice anche: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”. Preso alla lettera, questa conoscenza del Figlio va intesa come conoscenza relativa (ascolto delle sue parole ma non ancora conoscenza di chi Lui è). Per cogliere il Pensiero con cui Cristo ha detto queste parole, dobbiamo ritradurle così “Se conosceste Me, avreste già conosciuto il Padre mio”.

È solo il Padre che ci fa conoscere il Figlio, perché il Figlio è dipendente dal Padre, la Causa; quindi lo possiamo conoscere solo nella Causa. La cosa dipendente non ci può far conoscere la causa, invece la causa ci fa conoscere la cosa dipendente. Quindi non si può conoscere il Figlio fintanto che si ha conosciuto la Causa, il Padre.

Il Figlio ci conduce alla Causa, al Padre, senza che noi sappiamo chi Egli è: infatti siamo con Dio (Cristo è Dio) e non ce ne rendiamo conto. In Dio conosceremo che Lui è sempre stato con noi, senza che noi ce ne accorgessimo: e lì sarà il nostro pianto; conosceremo Colui che ci ha sempre amato, pensato, e noi non ce n’eravamo accorti.

È nella causa che scopriamo gli effetti: gli effetti ci conducono a conoscere la Causa, senza che sappiamo cosa essi siano. Lo stesso Pensiero di Dio, noi diciamo che è il Figlio di Dio: è una affermazione; ma quand’è che tocchiamo con mano che lo è veramente? Solo nel Padre, a Pentecoste lo sperimenteremo; attualmente lo diciamo, lo affermiamo, lo crediamo, ma non lo vediamo. Anche se vediamo in Cristo il Pensiero di Dio e ne siamo convinti (per cui conosciamo ciò che qualifica di più qualunque persona umana: il pensiero) e quindi conosciamo e tocchiamo qualcosa di Dio, questo vedere è ancora diverso dal vedere che si avrà a Pentecoste, quando si farà l’esperienza personale di Dio, conoscendo chi è il Padre e chi è il Figlio. Quindi per intendere in modo assoluto, non transitorio, le parole di Gesù in questo versetto vanno intese alla luce della Pentecoste: il Figlio non si conosce se non si è conosciuto il Padre.

“Fin d’ora lo conoscete e lo avete veduto”: “adesso lo avete veduto, proprio per quel che vi ho detto”, cioè: “Io sono la via…, nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”. Dicendoci questo ci ha parlato del Padre, ci ha fatto vedere il Padre. Gesù può dire questo perché ha sempre solo parlato del Padre, quindi da parte sua ce l’ha presentato, ce l’ha fatto vedere, anche se non è detto che noi creature lo vediamo. Gesù qui parla già il linguaggio della Pentecoste: “Ve l’ho fatto vedere, ma voi non lo vedete”; questo, Gesù lo può solo dire riferendosi al Padre e non a Sé, perché la conoscenza di Cristo non sono le sue parole che ce la presentano, ma ci viene direttamente dal Padre conosciuto. Quindi non può dire: “Fin d’ora conoscete il Padre e lo avete visto, per cui conoscete me e mi avete visto”, ma può solo dire “Io il Padre ve l’ho fatto vedere, ma fintanto che non lo vedrete, non vedrete me”.          

incontro n°215  (25/10/80)

Va collegato al versetto precedente: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio”: quindi chi conosce il Figlio conosce anche il Padre.

Eligio: “Fin d’ora lo conoscete e l’avete veduto”: questa conoscenza implica consapevolezza, quindi esperienza personale?

Luigi: No, non è ancora la conoscenza che si avrà a Pentecoste, ma una conoscenza proposta. Il Figlio, parlandoci del Padre, ce lo presenta; è una conoscenza proposta. Comunque già l’attrazione del Padre è un barlume di conoscenza. Quando uno cerca (ha il desiderio) è perché ha già trovato; come dice s. Agostino “Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”. Eppure chi cerca è perché non ha trovato e cerca per trovare. Ma in realtà ha già trovato, perché non possiamo desiderare se non abbiamo prima visto l’oggetto desiderabile. C’è una conoscenza da parte di Dio che ci viene proposta prima ancora che noi ne prendiamo consapevolezza, cioè che ne prendiamo coscienza personalmente.

Noi siamo chiamati a questa conoscenza personale. Per questo c’è l’offerta, la proposta di conoscenza. Ma la proposta attende la risposta; non è ancora l’acquisizione, la consapevolezza, l’esperienza personale, però è l’annuncio (il campione della merce). Cristo ha parlato del Padre, ha presentato il Padre, ed è una proposta di conoscenza del Padre, quindi non ci dà ancora la conoscenza di Pentecoste (esperienza personale).

Siamo stati creati per arrivare a conoscere Dio, perché conoscere Dio è vita eterna. Dio tutto opera per convogliarci a questo Fine, viene a noi (Cristo), per parlarci di questo Fine. Non è detto che presentandocelo, noi già arriviamo alla consapevolezza. Perché da parte nostra ci sia consapevolezza, acquisizione, ci vuole la corrispondenza, il pagamento del prezzo per possedere ciò che ci è offerto.

Se Dio non si annunciasse noi non potremmo nemmeno immaginarcela questa conoscenza; è il Figlio che parlandoci del Padre ci propone di conoscere il Padre e se ci impegniamo con Lui, ce lo rivela. Infatti, non basta che Gesù parli del Padre, bisogna che la creatura si renda disponibile ad accogliere il Padre, ad accogliere cioè le sue parole a quel livello che richiede lo Spirito di Dio, cioè con quella purezza piena che corrisponde alla consapevolezza del nostro niente. È necessaria questa consapevolezza del nostro niente, perché solo così possiamo scoprire il Tutto di Dio.

Come si acquista questa consapevolezza? La consapevolezza del nostro niente viene dal nostro rapporto con Dio. E come possiamo misurarci con Dio se Dio non viene a noi? L’iniziativa è di Dio. Dio viene a noi prima che noi andiamo a Lui. Egli viene a noi quando noi ci crediamo tutto, si presenta a noi quando noi nemmeno pensiamo a Lui.

Dio si fa sentire da noi, si presenta a noi, nella nostra incapacità di conoscerLo. Presentandosi a noi ci dà la possibilità di un rapporto con Lui e quindi di scoprire il nostro niente e il suo Tutto. È dal rapporto con Lui che prendiamo consapevolezza del Tutto di Dio e del niente nostro. Ed è questa presa di coscienza del Tutto suo e del niente nostro che noi ci apriamo alla possibilità di conoscere Lui. Quindi l’iniziativa di Dio con la quale si presenta a noi è una proposta di conoscenza (diversamente non ce la potremmo sognare); e ci offre la possibilità di arrivarci, perché questa conoscenza iniziale è sufficiente per portarci alla scoperta del nostro niente e del tutto suo, condizione per giungere a conoscere ed esperimentare la Presenza di Dio.

Quindi questo versetto è come la proposta di un quadro che non siamo capaci di capire in tutta la sua profondità. Per cui diciamo “faccelo conoscere” (v. 8: “facci conoscere il Padre e ci basta”). Finché il quadro non ce lo spiegano, non lo capiamo.

Il linguaggio che Lui parla però è un linguaggio che capiremo solo a Pentecoste. “Lo Spirito di Verità vi farà capire tutto quanto vi ho detto”. Essendo Dio, parla il linguaggio di Pentecoste: “in quel giorno lo Spirito ve lo farà comprendere”. Vuol dire che la Verità da parte di Dio ci è detta, però non la capiamo; con lo Spirito Santo, a Pentecoste la capiremo e capiremo che già era stata detta. E capiremo che Lui è sempre stato con noi e ha sempre parlato con noi: per questo “piangeranno davanti a Lui tutte le genti”. Scopriremo Uno che viveva e conversava sempre con noi e noi non ce ne rendevamo conto. Da parte sua c’era la presentazione della Verità, ma non la intendevamo. Lo Spirito ce la farà intendere e allora scopriremo Colui che ha sempre parlato con noi ed è sempre stato con noi; scopriremo una cosa nuova e una cosa vecchia e scopriremo anche il nostro peccato, perché non avevamo capito e non avevamo custodito.

Ora, il quadro non lo capisci? Custodisci! Qui Gesù sta preparando gli apostoli alla Pentecoste, presentando cose che capiranno soltanto a Pentecoste. La Parola di Dio ci parla già di ciò che solo a Pentecoste capiremo. Ma dobbiamo custodire queste parole col desiderio di arrivare a capire. La chiave per custodire è la speranza che arriveremo a conoscere Dio. La fede va mantenuta unita alla speranza, se no non possiamo custodire ciò che non capiamo. Ci vuole il desiderio di capire, perché “il mio Signore ha parlato”. Parlando ci forma l’orecchio, e poi parla all’orecchio che ha formato. Per cui arriviamo a Dio coi doni di Dio: è Lui che ci da ancora la capacità di custodire, perché attraverso le sue promesse ci da la speranza di arrivare a vedere, ci dà una mente che è capace di desiderare di capire, ed è Lui che fa capire a chi lo ascolta.

Noi abbiamo molto a cuore le parole della persona che amiamo, quindi le Parole di Dio sono preziose: è Dio che ci sta parlando! Dobbiamo aver molto a cuore di cercare di capire ciò che ci dice.

Ogni fatto, ogni cosa, ogni parola è una lettera indirizza a me personalmente col mio nome e indirizzo. Egli ti dirà: “quella tal cosa l’avevo fatta per te, quell’altra per te, quell’altra per te… per te… per te”, e tu eri distratto. Come? Il tuo Signore parlava con te e tu chi ascoltavi?

ü                Per prima cosa bisogna avere questa consapevolezza: che Dio esiste, è il Creatore ed è Colui che opera in tutto. Fermati fino a convincerti che nulla accade senza la sua Volontà.

ü                Seconda cosa: se sei convinto di questo, ora fermati fino a convincerti che Dio in tutto ciò che fa parla.

ü                Ma c’è un terzo punto ulteriore: fermati fino a convincerti che parla personalmente a te.

Quindi Gesù sta dicendo una cosa che è vera, ma che noi constateremo solo a Pentecoste: “Fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. È vero questo, noi fin da ora conosciamo il Padre:

1.                  Perché Gesù ci parla del Padre e noi abbiamo ascoltato le sue parole (infatti questo linguaggio lo usa solo con coloro che lo hanno seguito fin qui, non con tutti).

2.                 Ed è vero perché il Padre è con noi; ma noi non lo vediamo ancora. Lo vedremo a Pentecoste, cioè capiremo che quello che ci dice oggi è vero.

“Se conosceste Me, conoscereste anche il Padre”: anche qui è una conoscenza proposta. Anche qui parla un linguaggio che si capirà solo a Pentecoste. È proprio per preparare i suoi discepoli all’incontro col Padre che parla il linguaggio di Pentecoste: per metterli in movimento.

È solo parlandocene che suscita in noi il desiderio di andare a vedere Colui di cui ci parla, perché parla di Uno che non conosciamo. Lui non si muove mai dal Padre, in tutte le parole che dice; anche se incarnato continua ad essere Dio. Gesù non viene a parlarci della società, del lavoro, della giustizia sociale, ecc., ma di Dio. Quindi, questo linguaggio di Dio è trascendente a noi (noi crediamo di capire, ma in realtà non capiamo), e proprio perché trascendente ci mette in movimento e ci fa custodire le sue parole. A Pentecoste vedremo tutto quello che avremo ascoltato, creduto, col desiderio e la speranza di arrivare a vederlo, a capirlo; esclameremo: “l’aveva detto!”. Ad esempio: quando ci dice “Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio”: ci presenta il Padre. Noi non lo vediamo, però ci mette in movimento, col desiderio di capire e a Pentecoste vedremo che è così. Quando dice “Chi vede Me, vede il Padre”, afferma una cosa che non comprendiamo ma che, se ci saremo messi in movimento per vederla, constateremo vera a Pentecoste: lì capiremo che effettivamente vedendo Lui vediamo il Padre. E così, fin d’ora ci assicura che abbiamo visto il Padre, avendocelo proposto: “Fin d’ora lo conoscete e l’avete visto”; a Pentecoste scopriremo che sempre abbiamo avuto presente Colui che solo allora conosceremo, perché sempre è stato con noi. Lo conosceremo personalmente e capiremo che è sempre stato con noi. Perché a Pentecoste è avvenuto il superamento dell’io; il superamento dell’io infatti è la condizione per vedere Colui che è con noi. Scopriremo quindi una verità che è sempre stata con noi, però noi non sapevamo. Da parte di Dio ci era stata presentata, per questo Gesù può dire “Lo conoscete”, però “non lo conoscete”. Ma Lui ha ragione, non è una menzogna ciò che dice: “Lo conoscete e lo avete visto fin d’ora”. È vero, perché il Padre è con noi, ed è vero perché ci parla del Padre. Ma noi non lo vediamo. C’è il difetto da parte nostra; fintanto che siamo pieni del nostro io, non lo possiamo capire: ci vuole il superamento dell’io. Cioè, Dio è presente a noi, ma noi non siamo presente a Lui. Nel campo dei segni i rapporti sono reversibili: se una cosa è vicina all’altra, anche l’altra è vicina alla prima; ma nello spirito no: Dio è presente alla creatura e la creatura è assente. Dio conosce e ama la creatura, si dona alla creatura, ma non è detto che la creatura conosca e ami Dio, si doni a Dio. Quel giorno capiremo che Dio era presente, ma noi eravamo assenti.

Da parte di Dio, quando Lui ci dice “Io sono vicino a te”, mi fa una proposta da capire, perché è una verità. Noi diciamo “non ti vedo”, però il non vederlo è un difetto. Ma in quel giorno capiremo che era vero che era sempre stato vicino a noi. Dicendoci “Io sono vicino a te”, ci propone una verità da conoscere, perché se non ce la affermasse, non potremmo intuire che è vicino a noi. In quanto ci giunge questa verità, suscita in noi il desiderio di vederlo, poiché ci dice “Ci sono”. È questo desiderio di vederlo che, coltivato, ci farà capire. Questo desiderio, questa fame, però non si formerebbe se l’altro non ci proponesse una cosa che ancora non abbiamo assimilato.

Per noi questo versetto è una proposta di conoscenza; ma da parte di Dio è già vero, è già reale quanto Lui mi propone; cioè da parte di Dio è conoscenza data e non percepita dalla creatura. È una proposta che ci invita ad approfondire per poterla vedere già oggi realizzata.

“Non sono io che devo trasformarmi in te, sei tu che devi trasformarti in me: cresci e mi mangerai”. È Dio che trasforma la creatura in Sé. “Mangia, cresci e mi capirai”. Qui Gesù parla come Dio e quindi ciò che afferma è Verità; ma non è detto che la Verità affermata sia da noi capita, conosciuta: ci vuole la Pentecoste. Senza la nostra partecipazione personale di superamento dell’io è impossibile.

Ma non basta il desiderio della Verità, perché se bastasse desiderarla per conoscerla, crederemmo di essere noi a conoscerla. Invece è dono di Dio. Da parte nostra ci vuole il desiderio, ma ci verrà da Dio.

Mangiando le sue parole cresciamo; le sue parole sono un cibo crescente: cibo degli uomini adulti: “Io sono il cibo degli uomini adulti, cresci e mi mangerai”. S. Paolo dice “da bambini ci nutrivamo di latte, ora…”. Il cibo è graduato alla nostra capacità di assimilazione, però tende a farci crescere; per questo il suo linguaggio ci trascende sempre. Ora, Gesù parla un linguaggio che solo a Pentecoste capiremo, e capiremo pure che non potevamo capire le sue parole, perché non era ancora arrivato lo Spirito Santo; però le sue parole arrivavano a noi. Questo vuol dire che Cristo tra noi parla un linguaggio che capiremo solo a Pentecoste, ma capendolo troveremo la conferma di esso. Lui steso promette che a Pentecoste ci farà capire tutte le cose “Lo Spirito Santo che vi manderò, vi farà ricordare tutto quanto vi ho detto e ve lo farà capire”. Se ci dice questo vuol dire che ora non le capiamo; certo, perché le cose di Dio si capiscono in Dio, con Dio.

Egli ci parla in parabole per sollecitarci ad entrare nel Tempio: solo lì, con Dio, si capisce ciò che dice. È proprio approfondendo le parole che ci giungono che si arriva a Pentecoste: sono le parole approfondite che ci fanno avanzare verso di essa.

Dio arrivando a noi, ci sollecita ad entrare in rapporto diretto con Lui, perché Lui solo ci può far capire ciò che ci dice. Quindi le parole che arrivano a noi ci sollecitano a questo rapporto diretto con Lui. Ci vuole molta attenzione a chi parla, perché Colui che parla è anche Colui che spiega. La condizione, ad un certo momento, per arrivare alla Pentecoste è abbandonare i segni per fissarci nello Spirito di Dio: il Verbo incarnato si allontana per questo motivo, con l’Ascensione, alla quale seguono i dieci giorni di silenzio. Ma non si può arrivare a quel silenzio, se già oggi non mettiamo del silenzio nella nostra giornata. Dobbiamo iniziare la nostra giornata impegnati con Dio, cioè partire con l’anima occupata da un argomento di Dio (“Il pane quotidiano” da sbocconcellare tutto il giorno), occupata dalle cose eterne, così le cose esterne non la occupano più. Se no la nostra giornata passa invano. Non passa invano invece quando siamo impegnati, occupati interiormente. Oggi ho un campo di lavoro? Se non lo vedo vuol dire che sono partito nel modo sbagliato, cioè disoccupato interiormente, con la stanza interiore vuota, per cui la situazione attuale è peggiore della prima. Dobbiamo preoccuparci quindi che la nostra stanza interiore sia occupata, attraverso un argomento, in questo rapporto a tu per tu con Dio.

Nino: Quindi queste parole di Gesù vanno lette così “se conoscete Me è segno che già avete conosciuto il Padre”.

Luigi: Sì, se teniamo presente altre parole di Gesù (“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”, ecc.); ma anche così non capiamo ancora ciò che ci dice. Lo sappiamo solo per sentito dire, perché è una proposta di conoscenza: non lo capiremo fino a Pentecoste. Ed è grazia di Dio, perché ci mette in movimento, perché ci lascia nel dubbio.

La conoscenza per sentito dire trova sempre dei dubbi e contraddizioni: sono grazia, sollecitazioni ad approfondire per giungere alla conoscenza personale. Quindi vanno distinte la conoscenza per sentito dire e la conoscenza personale. Il sentito dire è necessario, se no non ci metteremmo in movimento, perché suscita in noi il bisogno di conoscere personalmente. Ma di fronte al sentito dire, all’annuncio, possiamo credere o non credere. Ma credere vuol dire dedicarci a-, vivere per-, desiderare di giungere a capire, a vedere ciò che si crede.

Quando uno capisce personalmente, esperimenta la Verità in cui ha creduto. Non la esperimenta fintanto che vive nel sentito dire, ma solo impegnandosi personalmente.

La Verità si dimostra da sola, ma noi la esperimentiamo nella misura in cui ci dedichiamo ad Essa. Ma non possiamo assoggettarla alle nostre prove; se si assoggettasse, ci confonderebbe.

È la creatura che si deve sottomettere a Dio. Non possiamo sottomettere Dio, la Verità a noi. Dio si sottomette a noi solo per svegliarci nella ricerca di Lui. Non può l’infinito essere sottomesso al finito. Tommaso che pretende di vedere prima di credere, che vuol sottomettere la Verità a sé, si mette nell’impossibilità di capire. La Verità si dimostra da sola: non può essere dimostrata da me, ma può dimostrarsi a me.

Bisogna dedicarsi alla Verità, se si crede. Le buone azioni non ci portano alla conoscenza, ma ci mettono in movimento, ci aprono all’amore, ci fanno superare l’io (che è un ostacolo per conoscere Dio), e quindi ci introducono già alle grandi lezioni del Cristo; le quali, se ascoltate, ci porteranno alla conoscenza.

Fintanto che viviamo per noi, mettiamo dei muri tra noi e Dio e ci rendiamo impossibile la conoscenza di Dio. Invece tutto ciò che facciamo superando il pensiero del nostro io, ci apre alla luce: non ci porta alla Pentecoste, ma ci porta all’amore. L’anima che comincia a donarsi, ad un certo punto si dona al parlare del Cristo. È attraverso la dedizione al suo parlare che Cristo conduce l’anima alla Pentecoste. Quindi, comincia a far qualcosa per un altro, questo ti apre l’anima e ti fa gustare la bellezza del donarsi; l’altruismo ti introduce alle grandi lezioni di Cristo, che richiedono tanta dedizione a Lui. Credere infatti è vivere per-, dedicarsi a-.

Noi viviamo sempre per qualche cosa, e ciascuno si rivela come fede in ciò a cui dedica il suo tempo, la sua mente, il suo cuore, il suo pensiero, la sua vita, il suo interesse. Quindi le tue promesse, i tuoi voti, non valgono niente se tu non vivi per Lui, anzi diventano l’espressione del tuo io. È facile dare il denaro e non il pensiero. Ma i doni sono fasulli senza il pensiero. Bisogna arrivare a dedicare il pensiero: questo è l’essenziale. Noi siamo disposti a sacrificare tutto, ma non il pensiero.

Dio guarda dov’è il tuo pensiero, cioè il tuo cuore: lì, nel pensiero, si rivela il tuo amore.

Noi lo vogliamo ingannare con le parole “Ti amo, ti amo”, ma il nostro pensiero dov’è? Il pensiero è ciò che conta! Ciò che ci forma a Dio è il pensiero, perché Dio è Spirito e Verità. Quindi non auto-inganniamoci.

T.: Quando uno crede, si fida e poi esperimenta. Ad es. Mosè: Dio gli dice “sarò con te sempre”, lui si fida e poi esperimenta che è così; il Cottolengo si fida: butta via l’ultima moneta e poi sperimenta la Provvidenza.

Luigi: Certo, aderendo al sentito dire si esperimenta ciò che si è sentito dire. Adesione vuol dire aderire alla Parola di Dio, alle parole comprensibili e facili e alle parole difficili, come quelle di stasera; anche quelle che impegnano tutto di noi e che sembra impossibile poter arrivare a capirle. Dobbiamo impegnarci con tutte le parole (questo è aderire), soprattutto con le difficili, perché sono quelle che più ci fanno camminare. Non è facile. Mosè non ha aderito totalmente e non entrò nella terra promessa; ciò vuol dire che la Parola che Dio gli aveva detto era molto difficile e lui non l’ha portata a compimento.

Non dobbiamo solo scegliere le parole che vogliamo noi, ma dobbiamo seguire Cristo dall’inizio alla fine.

“Fin d’ora le conoscete…”: adesso, “perché con le parole che vi ho detto adesso (“Io sono la Via… Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me”), vi ho presentato il Padre”.

Perché dicendo quelle parole ci presenta il Padre? Perché ci presenta la Meta. Se uno dice: “questa è la strada per Torino”, mi presenta Torino. Dicendo “Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio”, ci presenta il Padre, la Meta; per noi la meta è presentata nominalmente, per Lui realmente. A noi sembrano parole vuote, alla Pentecoste capiremo che realmente “fino d’ora” ci ha presentato il Padre.

A noi ora il nominale ci confonde: è opera nostra, perché è nel pensiero del nostro io che riceviamo solo il nome e non la sostanza; però la parola di Dio è sostanza. A Pentecoste capiremo che Gesù dicendoci quelle parole, ci aveva presentato effettivamente e sostanzialmente il Padre. Aderire totalmente è credere a questo, alla sostanza.

Concludendo: “Dio è vicino a me, io non sono vicino a Lui”: è tutto qui il senso di questo versetto, nella sua seconda parte; se capisco questo, capisco il versetto.

Quale lezione personale possiamo trarre da questo?

È una rivelazione che Gesù fa, quindi:

1.                  È un invito ad intendere, un invito all’attenzione, perché solo se c’è attenzione, si intende e, intendendo, diventerà realtà per noi. (Invece, altre Parole, però negative, ad es. il tradimento di Giuda, il diluvio e l’arca, ecc., come lezione personale, sono sempre un invito a capire, ma per evitare che quello che è avvenuto, avvenga in noi).

2.                 Poi è un invito a restare nelle sue Parole, perché Lui è la Via che ci porta alla conoscenza del Padre; è una conoscenza relativa del Cristo, necessaria per giungere alla conoscenza del Padre; poiché è il Figlio che ci rivela il Padre: “Se aveste conosciuto Me, conoscereste anche il Padre”. Questa interpretazione relativa si riferisce ad una conoscenza provvisoria del Cristo e non è in contraddizione con l’interpretazione di questo versetto alla luce della Pentecoste e di altre Parole di Cristo stesso (“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”), e che si riferisce ad una conoscenza assoluta, eterna del Figlio (per cui, secondo questa interpretazione il versetto va corretto, tradotto in “se conosceste me, avreste conosciuto il Padre”.

3.                 Ed è anche un invito a desiderare la meta.

Entrambe le interpretazioni sono giuste e indicano tappe diverse nella conoscenza di Cristo.


Gesù gli rispose: “Da tanto tempo sono con voi e tu Filippo non mi hai ancora conosciuto? Chi vede Me, vede il Padre mio. Come dunque puoi dirmi: mostraci il Padre?”. Gv 14 Vs 9


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25/Ottobre/1980


Sembra un rimprovero, tanto più che Gesù aveva detto prima “fin’ora Lo conoscete e l’avete visto”.

Eppure Gesù dice anche: “Nessuno può andare al Padre se non per mezzo di me”. Quindi, sotto un certo aspetto, la domanda di Filippo “Signore, mostraci il Padre e ci basta”, è pertinente, perché è solo Gesù che ci può mostrare il Padre, perché possiamo conoscere il Padre soltanto per mezzo del Figlio.

La risposta di Gesù va intesa in questo modo: “È tanto tempo che sono con te e ancora non conosci l’oggetto di cui ti ho sempre parlato?”. Noi abbiamo occhi materiali, per cui diciamo “facci conoscere tuo Padre, cioè l’Altro da te”, come se il Padre fosse un Altro dal Figlio, mentre invece il Padre non è altro dal Figlio, perché Gesù ha detto “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Dobbiamo tener presente che qui Gesù semina parole che saranno illuminate appieno solo a Pentecoste, parole che sono profezia. Sono parole necessarie. È necessario che Lui le semini e che noi le accogliamo, anche se non le capiamo, per arrivare al giorno in cui “sarà così”.

Cristo ci conduce a vedere il Padre proprio seminando argomenti che oggi non capiamo, ma che se accogliamo, ci rendono attenti fino a portarci alla Pentecoste, perché ci rendono capaci di capirli in quel giorno. Con queste parole Gesù mette in noi un problema che è al disopra di noi: lo dobbiamo custodire e meditare anche se ancora non lo capiamo: è così che arriveremo a capirlo, perché custodendolo e meditandolo, Cristo ci conduce a ricevere quello Spirito che ci farà capire.

Gesù ci sta comunicando cose superiori che noi siamo tenuti ad accogliere, sperando di capirle poi. È la condizione per restare nella fede, perché la fede è tenuta a raccogliere e custodire tutto: quello che comprende e quello che non comprende, sapendo che viene da Dio, perché solo accogliendolo arriverà a comprenderlo.

C’è un dislivello: un Essere superiore che comunica cose superiori a noi. La condizione per arrivare a capirle è accoglierle, accettarle prima di capirle, perché arriveremo a capirle solo accettandole. L’essenza della fede è accogliere quello che non si capisce, con la speranza di giungere a capirlo, perché la fede è sostanza di cose sperate.

Filippo cerca la presenza fisica del Padre dell’uomo Gesù. Così anche noi, sentendo parlare del Padre, cerchiamo la “figura” del Padre: non capiamo; non possiamo capire come spiritualmente possa esistere il Padre, solo accettando questo linguaggio spirituale arriveremo a capirlo. Quindi dobbiamo accettare, custodire, meditare, invocare aiuto per capire, perché ci vuole l’interesse per arrivare a capire, e ci vuole amore: è un tesoro che va custodito. Bisogna accettare gli annunci che arrivano a noi e impegnarci in essi; anche in queste parole superiori che ci sono annunciate, perché sono esse che formano nell’anima quel supplemento che ci darà la possibilità di capire.

“Signore, aiutaci a vedere il Padre in questo e in quello…”: è questo l’atteggiamento che dobbiamo avere. Più ci applichiamo in queste sue Parole e più conosciamo il Cristo (conoscenza relativa che ci porterà alla conoscenza del Padre). Gesù dicendo: “Non mi hai ancora conosciuto”, si riferisce a questa conoscenza relativa di Lui, perché la vera conoscenza del Figlio l’avremo solo nel Padre, perché “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”. È la tanta conoscenza di Lui (delle sue parole, ecc.) che ci fa capaci di conoscere il Padre, perché “Nessuno va al Padre se non per mezzo di Me”.

“Chi vede me, vede il Padre mio”: Gesù afferma una cosa che l’anima a Pentecoste constaterà come vera sempre, non solo a Pentecoste. È una Verità eterna: constaterà che è sempre stata così. Cristo ha parlato la Verità. E l’anima dirà “anch’io personalmente ora esperimento che ciò che ha detto è vero”.

Ora, accetto di credere perché si parla di Dio. Ma questo presuppone che a me stia molto a cuore Dio e che in me si sia formata la convinzione dell’importanza che ha la conoscenza di Dio (convinzione che si forma solo nella preghiera e nel silenzio), perché abbiamo capito che da essa dipende tutto di noi e fuori di noi: perché la conoscenza di Dio in noi cambia il nostro cuore, le nostre conoscenze, il nostro modo di pensare e quindi cambia tutto il mondo (il mondo non cambia infatti sino a quando non cambia il cuore dell’uomo).

Quando si è formata in noi questa convinzione cominciamo ad essere interessati a tutto ciò che riguarda Dio, per cui anche se arrivano argomenti superiori a noi, li custodiamo, li scriviamo, li meditiamo, invochiamo luce, ecc., ma non li trascuriamo. E allora, a poco per volta, l’anima viene formata da quelle stesse parole alla comprensione di esse. Ma fintanto che non si è formata in noi questa consapevolezza dell’importanza e urgenza di conoscere Dio, non siamo pronti ad accogliere il Cristo e le sue parole. Infatti Gesù ha detto “Nessuno può venire a me se non è attratto dal Padre”, perché se non ha questa attrazione del Padre, l’anima ha altri interessi e deve rifiutare gli argomenti del Cristo. Solo se è attratta dal Padre l’anima cercherà il Padre in ogni parola del Cristo, se no le rifiuta. Lo dice Gesù: “Le mie parole non penetrano in voi perché avete altri interessi”. Solo se abbiamo come padre Dio accogliamo le parole del Cristo (nostro padre è ciò che ci motiva).

Se noi non lasciamo entrare le parole del Cristo non potremo mai essere condotti a vedere quella Luce che esse ci promettono e ci annunciano. “Nessuno ha mai veduto Dio, eccetto il Figlio”. La creatura può ascoltare Dio, ma non vederlo. Tutti ascoltano; anche l’orgoglioso, l’uomo nella notte, l’uomo addormentato sente la parola di Dio. La Parola di Dio arriva a tutti, la visione no. La Parola arriva senza di noi, ma la visione non arriva senza di noi e senza il Figlio.

La Parola di Dio quando arriva mette noi in attenzione: o ci interessa o non ci interessa. Se ci interessa cominciamo ad ascoltare, per cui diventiamo partecipi. Tra la parola che arriva e l’ascolto c’è un giudizio: ci interessa o no? Ascoltando, riceviamo l’ammaestramento del Padre; ma per riceverlo bisogna che ci ritiriamo nel segreto (“chiudi l’uscio e lì, nel segreto invoca il Padre tuo”).

In questo intimo ammaestramento l’anima viene convinta del valore del Padre, del valore di conoscere Dio, e allora si apre alla ricerca, ed è questa ricerca, questo interesse che rende l’anima capace di scoprire il Cristo.

Chi non ha sete non scopre la sorgente. È sempre il cuore, l’interesse che portiamo dentro che ci dà la possibilità di scoprire il Cristo: il pane e l’acqua che ci sfama e disseta. Ma noi possiamo sfamarci e dissetarci senza con ciò conoscere cos’è il pane e cos’è l’acqua. Perché? E come? Basta avere fame e sete (l’attrazione del Padre). Mentre tutti gli uomini ci parlano di cose che passano, Cristo e solo Cristo ci parla di ciò che ci sta veramente a cuore (ma bisogna che ci stia veramente a cuore). Infatti molti l’hanno visto e pochissimi l’hanno trovato! Questo ci fa capire che non basta essere nello stesso luogo, nel suo stesso tempo, nella stessa epoca, per trovarlo.

Cos’è che fa scoprire il Cristo? Non sono i limiti di tempo e spazio: se coloro che erano vicinissimo non l’hanno scoperto vuol dire che l’elemento determinante è l’attrazione del Padre. Infatti ai Giudei che mormoravano perché non capivano disse: “Non mormorate, perché non potete capire se non siete attratti dal Padre”. Non c’è nessun motivo, nessun rapporto umano relativo allo spazio e al tempo che ci faccia scoprire il Cristo. È una grande verità questa, perché di fronte al Cristo siamo tutti nella stessa situazione; perché quello che ti fa scoprire il Cristo è l’interesse per Dio, per cui quando lo trovi non lo molli più, perché “era questo che desideravo incontrare! Era questo che cercavo!”. Ma se non ho interesse per Dio, anche se lo incontrassi tutti i giorni, non lo incontrerei, cioè non lo riconoscerei. E anche se credo di incontrarlo non posso restare con Lui, perché ha tali esigenze che ad un certo momento lo lascio.

Individuiamo Gesù quindi solo se abbiamo interesse per Dio, però lo individuiamo non come Figlio di Dio, ma come pane per la nostra fame (c’è la fame quando c’è l’interesse). In quel giorno (a Pentecoste) sapremo chi Egli è. Prima di quel giorno la conoscenza di lui è solo relativa.

“Da tanto tempo sono con voi…”: dalla nascita ce lo sentiamo ripetere tante volte; sempre ci dice “sono con te”, e un giorno scopriremo che effettivamente è sempre stato con noi. Qui, Egli ci dice: “sono con te”,e ce lo dice sempre. Non può essere smentita questa Verità, neppure quando siamo nel peccato, perché dal momento che Dio esiste è presente dappertutto. Ma noi non siamo con Lui.

“…e ancora non mi conoscete”: la conoscenza non è effetto di un momento storico, ma di un momento di amore, d’interesse. Dio è con tutti, ma non tutti arrivano a conoscerlo. Qui vediamo che Dio non fa differenza di persone: si offre a tutti, al bianco, al nero, alla vecchietta, al bambino, al laureato ecc.; se in questi c’è interesse per Dio. Non è un problema di essere qui o la, perché Dio parla a tutti: “Da tanto tempo sono con voi…”.

Non è una conoscenza soggetta ai limiti di spazio e di tempo, ma all’attrazione del Padre, la quale fa scoccare in noi la scintilla della convinzione che per noi è essenziale la conoscenza di Dio.

La conoscenza è una realtà personale di amore; non è un problema di ambiente, di cultura, di epoca, di luogo. 

Ci suonano a rimprovero queste parole di Gesù: “da tanto tempo, da sempre sono con te e tu ancora non te ne sei accorto? Non mi cerchi, non mi conosci?”; in realtà non ci accorgiamo del Cristo, e non lo troviamo, né lo conosciamo, anche se Lui è con noi, perché non c’è in noi amore per Dio. Queste parole sono un invito ad impegnarci nella conoscenza, che, nonostante sia opera del Padre, richiede anche la nostra partecipazione personale di superamento del nostro io e delle creature.

“Chi vede me vede il Padre; come dunque puoi dirmi: mostraci il Padre?”: Gesù sta rispondendo a ciò che nella domanda di Filippo c’è ma non si vede. Bisogna tener presente l’affermazione precedente di Gesù: “l’avete visto”,dopo la quale Filippo incalza “mostraci il Padre”.In Filippo abbiamo una dimensione materiale diversa dalla dimensione spirituale di Gesù; Gesù lo riprende per sollecitarlo ad una realtà spirituale.

Gesù insegna la via perché dialoga con noi: Egli come Verità sta sulla cime; rimanendo nella cima scende al piano e fa la strada agli uomini: dialoga con gli argomenti degli uomini, dialoga con le loro difficoltà nella conoscenza di Dio.

Quante volte Cristo scende a dialogare con le ambizioni degli uomini, con i nostri dubbi, incertezze, ecc.; ma non per conformarci in esse, ma per aiutarci a superarle.

Anche qui Gesù dialoga prendendo lo spunto dalle parole di Filippo, “mostraci il padre”, perché sempre viene a raccoglierci nei nostri argomenti. Filippo ha chiesto “facci vedere il Padre”, in senso materiale, fisico. Allora Gesù dialoga sul positivo di questa richiesta (desiderio di vedere il Padre) e risponde con parole tali che costringono Filippo a superare la sua mentalità materiale, perché lo confondono: “Chi vede me vede il Padre mio!”.Vuole portarlo su una realtà spirituale: “chi vede me”, non nel fisico, perché non è attraverso il suo fisico che Gesù mostra il Padre.

Attraverso il suo dialogare Gesù ha seminato nei discepoli il desiderio  di conoscere il Padre e ora li sta portando su un’altra dimensione dove può dire “Chi vede me vede il Padre”.

Questo pane che Egli ci dà, delle volte diventa pane molto duro in quanto non capiamo. Per questo Gesù dice “sforzatevi… anche voi siete senza intelligenza? ecc…”. Però non c’è altro pane che ci dia vita. Richiede molta fatica per mangiarlo, molto sforzo, perché si tratta di passare dal finito all’Infinito; ma se ci sforziamo arriveremo alla Pentecoste.

La Pentecoste è dono del Padre, ma questa entrata nella dimensione spirituale richiede anche l’impegno della creatura.

È Lui che ci apre gli occhi: bisogna solo aver pazienza di lasciarci aprire gli occhi a ciò che Lui fa e gli orecchi a ciò che Lui dice.

Gesù ci invita ad affrettarci ad entrare nel mondo spirituale, perché questo è il momento di convertirci, non domani.

Sei tu che devi entrare: non puoi pretendere di fare entrare l’infinito di Dio nelle tue categorie materiali, come non puoi fare entrare il mare in una bacinella. Sei tu che devi passare dalla terra al Cielo.

Quante volte infatti cerchiamo di interpretare fatti spirituali in base a schemi materiali, psicologici, ecc.: è assurdo, non possiamo intendere l’infinito in funzione del finito.

Quindi c’è la necessità da parte nostra di fare questo salto, appoggiandoci sulla Parola di Dio. Dicendoci parole così difficili (“chi vede me vede il Padre”), Gesù ci sollecita al nostro passaggio al Cielo.

Sarebbe uno sforzo inutile intendere le cose dello spirito con schemi materiali. Le cose di Dio vanno viste nel cielo di Dio, non in funzione della terra.

Dunque portati in cielo e vedrai che non è che tutto si muove attorno alla terra, anzi!

Portiamoci nel Cielo di Dio per vedere la terra. Afferriamoci al cielo di Dio e da lì incominciamo a guardare l’uomo, le creature, noi stessi, perché il finito può essere inteso solo nell’infinito, come la terra può essere capita solo nel cielo. È questione di rapporti. Cristo con le sue parole tende a portarci a vedere le cose dal punto di vista di Dio e quindi a superare l’io che tende a vedere tutto dal punto di vista della terra. Allora dobbiamo appoggiarci sulla sua Parola che è sempre con noi.

“Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai ancora conosciuto!”: questo versetto è un invito alla conoscenza di Colui che è sempre con noi.

Domanda: Conoscere Dio!? A noi sembra impossibile.

Luigi: Eppure è parola di Dio! E ci rimprovera che ancora non lo conosciamo. Se Dio ci ammonisce a cercarlo, se ci invita a conoscerlo ci dà anche la possibilità di arrivarci: non ci inganna, non ci delude. Dio non recita l’amore con noi; Lui che non è costretto a crearci, ci ha creato per amore! Egli ci ama e vuole liberarci dalla schiavitù della materia, del nostro io, per amore. Lui ci vuole solo perché ci vuole, per nessun altro motivo, e quindi ciò che dice non è per ingannarci. Quindi se ci invita a conoscerlo è perché ci rende possibile la conoscenza. E ci dice che conoscere Lui è vita vera che non delude più. Tutto il nostro appoggio sta nella Parola di Dio. È Dio che ci dice Cercatemi… voglio la conoscenza e non sacrifici… cercate di conoscermi e mi troverete…”. Egli parla per farsi trovare. Questa è Parola di Dio, non di uomo.

Basta che ci appoggiamo a Lui e che accogliamo le condizioni che Lui stesso ci mette per giungere alla meta, alla conoscenza.

Queste parole “da tanto tempo sono con te e non mi conosci ancora?”, sono parole che dice sempre ad ognuno di noi; ogni giorno ci dice“sono con te e cosa aspetti a conoscermi?”.

Bisogna andar fuori, uscire dai nostri problemi, poiché tutto, ogni nostra situazione è dono di Dio, è mezzo e strumento di Dio per arrivare a Dio, ma mai fine. Non deve quindi diventare impedimento nel cammino verso Dio.

La famiglia, i buoi, i campi, il lavoro, ecc., sono tutti doni di Dio, però non dobbiamo farli diventare fine della nostra vita. Sono doni e mezzi per-. Anche le tribolazioni sono un dono, non sono mai un castigo. Però se non abbiamo presente il fine, non li vediamo come mezzi, per cui facciamo l’errore di chi sale su di una macchina e poi si chiede: adesso dove vado?

Dobbiamo sottolineare l’importanza del silenzio per elevarci al disopra dei problemi del mondo e raccoglierci nel Pensiero di Dio, perché solo a questa condizione potremo raccoglierci nel Pensiero di Dio e quindi superarli.

Dobbiamo fare ogni tanto il punto sulla strada: questo che stai facendo è essenziale per la tua vita? Vivi per ciò per cui Dio ti ha creato?

Lasciamoci illuminare dal Padre per rivedere in continuazione il nostro atteggiamento nei confronti del fine; perché noi siamo portati a deviare su tante strade.

“Ancora non mi conosci?”: Filippo e gli altri non potevano capire le parole precedenti di Gesù, perché Gesù parla già il linguaggio della Pentecoste. Tuttavia queste parole per noi sono un rimprovero, perché c’è da chiedersi: cosa abbiamo fatto per conoscerLo? È un rimprovero perché magari stiamo perdendo tempo. Ma questo suo rimprovero è un atto di amore perché ci richiama all’essenziale: “Dio è con te, vivi alla sua presenza! Non essere stolto e distratto!”. È un rimprovero, ma è una sollecitazione d’amore. Non rimprovera per umiliarci, perché Lui sa cosa siamo; ma le sue parole d’amore ci vengono dette per raccoglierci, per portarci in alto!

L’amore vince ogni rimprovero: “Il Padre pota, corregge chi ama, dice Gesù. Non fermarti quindi all’io, dicendo “mi ha rimproverato!”, ma vedi invece l’amore di Dio che ti sta dietro e ti ama e ti sollecita a trovare la vita, perché stai morendo dietro le cose che passano. I rimproveri di Cristo quindi sono sempre rimproveri d’amore per correggerci, spronarci, farci entrare nella porta stretta.

“Da tanto tempo sono con te”: Lui è sempre con me e parla con me in tutto, perché tutto ciò che accade è parola sua; in tutto Egli si annuncia, si rivela, si presenta a me per comunicarmi la sua Vita: quanta attenzione allora si richiede da parte mia! E quanta capacità di ascolto e silenzio interiore per poter captare questa sua Presenza e queste sue parole!

Non dobbiamo mai fidarci delle nostre opere, anche se approvate, perché dobbiamo mettere sempre prima l’ascolto di Dio.

Non c’è nessuna azione anche santa, che ci giustifichi dal non pregare. Non siamo mai giustificati a lasciare la preghiera, il silenzio, l’ascolto. Il raccoglimento, il rapporto personale con Dio sono essenziali e non sono mai azione; sono essenziali in ogni giornata.

Persone molto impegnate si credono giustificate per ciò che fanno, per cui si credono esenti dal silenzio, dalla preghiera, dal raccoglimento; invece è essenziale il rapporto personale con Dio e questo rapporto personale con Dio non è mai azione. Non è sufficiente la preghiera vocale. Bisogna entrare nell’ascolto di Dio: imparare ad ascoltare Lui. E questo non è più un fare, ma un lasciar fare, un lasciar parlare Dio. Noi cresciamo nella misura in cui ascoltiamo Dio, nella misura in cui ci mettiamo in silenzio e riceviamo da Dio, e non in quanto parliamo e facciamo noi.

Il fare è Dio stesso che ce lo presenta, perché sa le nostre difficoltà di creature a stare sempre con Lui e noi lo facciamo per ubbidire a Lui.

Infatti se stai pregando e qualcuno bussa alla porta, tu sei obbligata ad aprire. Va dunque ad aprire e fa quello che devi fare per ubbidire a Dio, ma sappi che il tuo lavoro essenziale è cercare Lui. Non divertirti, non distrarti in quello che stai facendo. Se Dio ti manda qualcuno è per aiutarti; Egli vede che nella sua preghiera stai divagando, e allora ti fa fare qualcosa, perché magari, pur stando nel deserto, sei in città. Allora manda uno che ti disturba, ma è aiuto per sbloccarti, perché stai perdendo tempo.

Dobbiamo lasciarci fare da Dio, non dimenticando mai qual è il lavoro essenziale: tutto il resto è per prepararci a questo lavoro essenziale. Bisogna lasciarci fare sapendo che l’interno prevale sempre sull’esterno.

Abbiamo bisogno di questo silenzio e ascolto del Padre per poter incontrare Cristo, il quale a sua volta ci condurrà alla conoscenza del Padre. L’incontro col Cristo è preceduto infatti dall’ascolto del Padre. Noi siamo in grado di vedere il Signore fuori soltanto nella misura in cui lo portiamo dentro. L’interiore prevale sull’esteriore. Noi invece facciamo tante cose non per convinzione interiore, ma per recitazione, per motivi esterni: per questo si sente l’avvilimento, perché dobbiamo fare cose di cui non si è convinti.

“Chi vede me, vede il Padre mio”: ci educa a vedere la Realtà. Le sue parole sono profezie: ci profetizzano ciò che noi vedremo. Per questo le sue parole sono strada; per questo credendo alle sue parole camminiamo. Camminiamo proprio in quanto Gesù ci parla di cose che ancora non vediamo, ma che vedremo: per questo ci mettono in cammino. Ma noi dopo averle udite possiamo anche non partire; allora non vedremo mai ciò che ci dicono.

Ma se vogliamo constatare la Verità che ci annunciano, dobbiamo partire, credere. Solo così giungeremo a fare l’esperienza personale e dire “era il Signore che operava tutto ed era sempre con me!”.

Le parole di Cristo ci annunciano il futuro “Chi vede me vede il Padre”: vedremo uno che è sempre stato con noi e che non abbiamo riconosciuto. E diremo: “la colpa è mia: lo vedevo ma non mi rendevo conto che era Lui”.

Queste parole “chi vede me vede il Padre”,si ricollegano a quelle del versetto 7: “Se conosceste me, avreste conosciuto anche mio Padre”, noi riusciamo a vedere veramente chi è Cristo quando vediamo il Padre. Quindi “chi mi vede veramente è perché già vede il Padre”.


Gesù gli rispose: “Da tanto tempo sono con voi e tu Filippo non mi hai ancora conosciuto? Chi vede Me, vede il Padre mio. Come dunque puoi dirmi: mostraci il Padre?”. Gv 14 Vs 10 Prima parte.


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25/Ottobre/1980


Gesù ha presentato una Verità superiore all’uomo, per questo non dice: “comprendi questo?”, ma chiede: “credi?”, perché solo per fede, non avendo conoscenza personale, si può accogliere quello che Cristo propone: “Io sono nel Padre e il padre è in me!”.

“Le parole che io dico, non le dico da me; ma il Padre che dimora in me, compie queste opere”:

1.                  Lezione: la caratteristica del Figlio è quella di attribuire tutto al Padre. Nessuna cosa deve essere considerata in modo autonomo: tutto è opera di Dio, perché Dio è il Creatore di tutto; quindi tutto è un parlare di Dio a noi. Queste parole di Gesù aiutano a capire quello che avviene nella creazione: “È il Padre che in me parla” (le opere sono parole). Siccome Cristo è la sintesi di tutta la creazione, vuol dire che Dio attraverso tutte le cose parla a noi. Cristo è la sintesi di tutte le parole di Dio nella creazione, per cui ciò che dice a noi, non lo dice per Sé solo, ma per tutte le creature. Quindi è sempre il Padre che a noi parla attraverso tutte le cose. Noi non abbiamo a che fare con le creature, noi abbiamo a che fare con il Padre, poiché attraverso tutto è Dio che sta parlando con noi. Dobbiamo vedere Lui, non la creatura.

2.                 Lezione: Il Figlio non fa nulla senza vederlo fare dal Padre, quindi se noi facciamo qualcosa senza vederlo fare dal Padre, agiamo in modo autonomo, perché abbiamo in noi un altro motivo. Allora, Dio si assume la responsabilità di ciò che facciamo e che Lui ci fa fare nei confronti degli altri, ma non possiamo attribuire a Dio un nostro atto interiore autonomo da Dio. A Lui vanno attribuite le conseguenze. È Dio che ci fa fare certe cose spiacevoli, per farci vedere cosa arriviamo a fare lontani da Lui; quindi una cosa, in quanto avviene, l’ha voluta Lui (e gli altri la devono accogliere da Dio come lezione per sé). Il giorno in cui possiamo attribuire anche questi nostri errori a Dio, allora abbiamo capito la lezione: “Dio me l’ha fatto fare per farmi vedere a che punto mi porta l’autonomia e quindi per farmi ritornare a Lui”. Se fossimo figli, anche noi dovremmo dire come Cristo: “Le parole che dico, non le dico da me, ma il Padre in me compie le sue opere”. Noi non siamo figli fintanto che non abbiamo in noi le ragioni del nostro pensare, parlare, fare; la ragione dev’essere il Padre che dimora in noi. Se non siamo motivati da Dio, siamo figli di altro, cioè di ciò che ci motiva: allora tutta l’opera di Dio è per ricuperarci da questi altri motivi. Ciò che ci fa figli di Dio è il motivo. Il Figlio è consapevole, perché ha in sé la ragione di ciò che dice e fa e pensa: è il Padre che lo motiva: “È il Padre che dimora in me che compie queste opere”. Il Figlio ha la consapevolezza che il Padre è la sua ragione di essere.

“Non credi che io sono nel Padre?”: il Figlio si vede nel Padre. Il figlio è caratterizzato dal fatto che è nel seno del Padre sempre: nel parlare, nell’agire e nel pensare; in tutto riconosce di avere Dio come Padre e non altri. La figliolanza è determinata dalla ragione.

Quindi sei figlio nel motivo che ti muove. Dio opera per condurci a questa paternità consapevole. La Verità la si trova solo conoscendola, per cui, conoscendo la Verità, si ha in se stessi la ragione del proprio vivere, pensare, ecc. È qui la forza che dà lo Spirito, perché Dio è immutabile, quindi si ha la sicurezza, la pace profonda. “Sono io che costruisco una casa a te, non tu a me”, ci dice Dio.

“Il Padre che dimora in me compie queste opere”: insegna anche a noi a vedere il Padre in tutto ciò che il Figlio fa, dice, ecc.: ricevi tutto ciò che vedi in Lui dal Padre. Questo ricevere deve avvenire in tutto, anche nelle creature.

Vedi sempre Dio in tutto, non vedere le creature che parlano, agiscono, ecc.

Anche qui abbiamo due lezioni:

1.                  Da parte nostra: il figlio non deve fare niente se non lo vede fare dal Padre; è sempre motivato dal Padre, è sempre Figlio del Padre in tutto (= “io sono nel Padre”); anche noi non dobbiamo fare niente se non siamo motivati dal Padre.

2.                 Da parte di Dio: nel Figlio c’è il Padre (= “Il Padre è in Me”); in tutte le cose che arrivano a noi c’è il Padre: è Dio che opera in noi. Quindi dobbiamo imparare a vedere Dio in tutto.

Più approfondiamo la conoscenza di Dio, più Lui ci dà forza, più in noi tutto si trasforma; altrimenti siamo in balia di tutto.

Il cambiamento è Lui che lo fa in noi, nella misura in cui lo conosciamo e ci rivolgiamo a Lui, perché la nostra mente e il nostro cuore sono cambiati da questo rapporto con Lui, da questa conoscenza di Lui. Senza questa conoscenza, siamo davvero in balia di tutti gli eventi e creature. La luce è trasformante e dà vita. D'altronde è la luce che dà i colori alle cose; e anche questo è un segno. La luce ci trasforma nella misura in cui stiamo esposti alla luce.

Tiziana: Da tutto questo discorso di Gesù si intravede una forma di libertà più intensa che Dio ci offre.

Luigi: Sì, la libertà che ci viene dalla conoscenza del Padre, dall’aver Dio come Padre. Qui, vediamo un approfondimento di quanto Gesù dice altrove: “Il Padre che dimore in me compie queste opere”. Non è più volontà esterna a me, ma godo di una piena libertà, perché sono convinto di quello che voglio: qui abbiamo il Padre che ci convince di quello che dobbiamo fare. Il Padre opera in me in quanto mi convince su quello che voglio. L’autorità interna del Padre opera per convinzione; allora lì c’è libertà.

L’autorità esterna opera per imposizione. Noi ci sentiamo repressi quando dobbiamo ubbidire ad una autorità esterna. Invece l’autorità interna ci fa vedere i motivi per cui dobbiamo volere certe cose: ciò che vuole il Padre.

Nell’inferno invece, dove l’anima è repressa, si è costretti a fare la volontà di Dio, nolente, anche se non è non convinta. Il Principio è uno solo, tanto in cielo come in terra e come nell’inferno. Non ci sono due principi. Tutti ubbidiamo a Dio, ma non tutti ubbidiamo a Dio convinti della sua Verità; però dobbiamo ubbidire.

Chi è figlio di Dio però è libero, perché porta in sé la convinzione di quello che vuole; cioè non ubbidisce ad una volontà esterna, ma è convinto interiormente dal Padre. Gesù infatti dice “Il Padre mostra a suo figlio tutto quello che vuole”; prima di volerle, gliele dimostra, in modo che il figlio operi con le ragioni in sé di ciò che vuole: è convinto. Gesù ci dimostra che la volontà del Padre è l’unico bene. Invece noi a volte siamo convinti di una cosa e siamo costretti  a farne un’altra, “se no chissà cosa succede”: è segno che ancora non siamo figli. Questa costrizione a fare certe cose è volontà di Dio per farci sospirare la libertà.

Il figlio di Dio si caratterizza in questo: è motivato in se stesso da Dio.

“Il Padre in me compie le sue opere”: è un invito del Padre a morire alle nostre opere (=la nostra autonomia), perché sia il Padre ad operare in noi. Quindi bisogna cercare sempre nel silenzio qual è la vera Volontà del Padre, e non lasciarci portare dalle opere (se no l’opera diventa nostra).

La volontà del Padre non si confonde mai con la nostra e ci obbliga sempre ad un superamento, non fosse altro che per i conflitti che suscita con la nostra volontà. “La mia volontà non è la tua, i miei pensieri non sono i tuoi”, ci dice Dio. Quindi cerca nel silenzio la sua volontà, il suo Pensiero.

Cristo con queste parole ci dà un criterio per vedere se siamo figli; ci insegna come si diventa figli di Dio. Quindi se ci dice “Le parole che io dico, non le dico da me”, ce le dice non per parlare di sé, ma è un opera pedagogica per aiutarci ad operare come Lui.

Si richiede sempre questo continuo alzare il nostro sguardo a Dio, con la pazienza, portando la nostra anima in Dio, e quindi a offrirla, a lasciarci guidare da Dio in tutto; se no, siamo in balia di tutto e di tutte le parole degli altri; non solo, ma non abbiamo in possesso nemmeno quelle che diciamo noi, quindi “non possediamo la nostra anima”.

È difficile, perché siamo condizionati da tante cose, dal nostro vivere automatico, non più consapevole, dominato dalle abitudini.

Gesù ci dice: “Sforzatevi di entrare”: non dobbiamo perdere la speranza, perché la perdita della speranza ci farebbe morire. In ogni cosa, in ogni fatto c’è una speranza per noi. La fede che non è sostenuta dalla speranza si perde. Dobbiamo sperare su di Lui, far conto solo su di Lui, facendo ogni giorno anche solo un passo con Lui.

08.11.1980

Chiediamoci: perché Gesù dice a noi queste parole? Che cosa possono servire per la nostra vita personale?

Gesù dice: “Il Padre è in me… il Padre che dimora in me compie queste opere”. Quand’è che Dio dimora in noi? Noi generalmente cosa abbiamo dimorante in noi? O quand’è che noi dimoriamo in Dio? Noi siamo abitati da ciò che amiamo.

Gesù parlando a noi, parla per insegnare a noi come si diventa e come si vive da figli di Dio; Egli tutto fa e opera per questo. La missione del Cristo è questa: Egli è venuto “per dare a coloro che credono in lui, la possibilità di diventare figli di Dio”. Quindi in tutte le sue opere, in tutte le scene del Vangelo, in tutte le sue parole, noi dobbiamo vedere questa missione del Cristo. Cristo parla, Cristo opera, Cristo insegna, Cristo vive per insegnare a noi come si diventa figli di Dio, per dare a noi la possibilità di diventarlo. La sua è una comunicazione, un’informazione. Noi ricevendo questa informazione abbiamo la possibilità.

È l’informazione che rende l’uomo capace, che dà all’uomo la grazia, la possibilità di-. Però bisogna credere all’informazione, bisogna accogliere; se non si accoglie, se non si crede, non si ha la possibilità, e si rimane figli del mondo, figli delle creature e si resta in balia degli eventi .

Qui Gesù delinea la caratteristica del figlio, che nulla può fare senza vederlo dare dal Padre, e dipende esclusivamente dal Padre (“le parole che io vi dico, non le dico da me”); Egli non opera mai autonomamente, e quindi forma una cosa sola con il Padre (“Io sono nel Padre e il Padre è in me”). Egli è tutto pensiero del Padre. Delineandoci le caratteristiche del Figlio ci insegna a diventare figli: informandoci, ce ne dà la possibilità. Il figlio ha sempre come punto di riferimento il Padre in tutto (pensieri, parole, azioni); se siamo invece motivati da altro, cadiamo in una paternità diversa e ci impediamo di diventare figli di Dio. Anche noi siamo chiamati a dire “Il Padre che dimora in me compie queste opere”, chiamati cioè ad avere il Padre dimorante in noi. Dio dimora in noi quando è l’amore principale, esclusivo, motivante.

“Le parole che io vi dico non le dico da me: ma il Padre che è in me compie le sue opere”: Siccome Gesù è la sintesi di tutta la creazione, e di tutte le opere di Dio, dicendo queste parole ci da un lezione: ci rivela che in tutte le opere di Dio c’è il Padre che opera.

Cristo è il compimento dei tempi, cioè il compimento di tutta la creazione, di tutta l’opera di Dio. Nel compimento, nel fine, c’è la rivelazione del senso di tutta l’opera di Dio. In Cristo si rivela perciò il significato di tutte le opere di Dio. In Cristo che dice “È il Padre che opera”, abbiamo la rivelazione che in tutte le cose c’è Dio che opera. Quindi non sono le creature che operano con noi, ma è Dio che opera con noi. Noi siamo già in contatto con Dio, noi siamo già nel Cielo di Dio. Anche se attualmente siamo nel tempo, apparteniamo già all’Eternità. Noi siamo in colloquio con Dio più di quanto pensiamo. Noi crediamo di colloquiare con le creature: in realtà noi colloquiamo con Dio, perché Dio colloquia con noi. Quindi non dobbiamo mai fermarci alle creature, ma dobbiamo sempre vedere nelle creature Dio che parla con noi e noi che rispondiamo a Dio. Noi in tutto rispondiamo a Dio, perché il parlare di Dio è sempre un proporre a noi qualche cosa di essenziale, qualche cosa di eterno, di assoluto. Dio ci parla proponendoci l’unica cosa necessaria, quindi liberandoci da tutte le passioni per cose che passano. Quindi il parlare di Dio è sempre una proposta per noi, una proposta ed una promessa; però richiede da parte nostra una risposta, un’adesione. È Dio che parla, non siamo noi. Noi non facciamo che rispondere, in un modo o nell’altro: o affermando Lui, il suo Spirito, la sua Volontà, o affermando noi stessi.

Amalia: È sbagliato, nelle situazioni in cui ci troviamo, chiedere: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”, perché il Signore in tutto vuole significarci qualche cosa di Sé; quindi dovremmo chiedergli: “Cosa mi dici di te? Cioè, qual è la tua volontà, il tuo pensiero?”

Luigi: Noi dobbiamo sempre cercare la sua volontà, il suo pensiero, perché la sua volontà, il suo pensiero è uno solo per tutti noi, per ogni creatura. Noi dobbiamo cercare di conoscere la sua volontà. Generalmente, nelle nostre situazioni ambientali, storiche, di vita in cui ci troviamo, cerchiamo cosa Dio vuole; la cerchiamo in questa nostra situazione, mentre invece Dio, magari, vuole tirarci fuori da questa situazione. Quindi non chiediamo “Che cosa Dio vuole in questa mia situazione?”, interroghiamo chiedendo al Signore “Fammi conoscere quello che tu vuoi?”. Cioè, noi dobbiamo preoccuparci di conoscere la sua volontà. La sua volontà è il “mistero nascosto fin dall’inizio dei secoli”, in tutte le sue opere. Chi ce lo rivela è il Cristo. Quando Cristo dice “Non preoccupatevi del mangiare e del vestire, ma cercate prima di tutto il Regno di Dio”, ci rivela la volontà di Dio. Quando dice “Marta, Marta, tu ti preoccupi di troppe cose: una cosa sola è necessaria; Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta”, ci rivela la volontà di Dio.

Se noi siamo attenti, cioè se siamo preoccupati di conoscere la volontà di Dio in Sé, noi la troviamo, perché Lui ce la significa, ce la insegna, ce la parla.

Ma se noi non cerchiamo la sua Volontà, allora leggiamo magari anche tutto il Vangelo, ma non la scopriamo, perché noi siamo preoccupati della nostra situazione, della nostra volontà, e allora andiamo a cercare nel Vangelo conferme per fare la nostra volontà. No, noi dobbiamo offrirci in piena disponibilità.

Il Figlio non fa niente se non lo vede fare dal Padre. Ecco, ci vuole questa disponibilità. E allora, man mano che Dio rivela la sua Volontà, l’anima si adegua. E allora sì, Dio dimora in noi. Altrimenti Dio non dimora in noi.

Dio dimora in noi in quanto è per noi motivante la nostra vita. Se noi invece siamo motivati da altro, dalla figura, da quello che dicono gli altri, dal guadagno, dal denaro, dal lavoro, dalla famiglia, ecc., non siamo motivati da Dio. Allora Dio non dimora in noi. In tal caso Dio opera su di noi nonostante noi, per farci capire che noi non viviamo per Lui e non ci preoccupiamo di Lui.

L’unica preoccupazione della creatura dev’essere questa: “Signore, qual è la tua volontà?.

Ecco, scoprire che cosa Lui vuole. “Perché mi hai creato? Qual è il fine della vita? Che cosa ci sto a fare io qui? Cosa vuoi?”. È già un rapporto. Su queste domande nasce il rapporto con Dio.

Cioè, Dio esiste, io esisto: che rapporto ci deve essere tra questi due esistenti? Ora, il rapporto è determinato dalla conoscenza della volontà di Dio: “perché Dio ci ha creati?”. E dobbiamo imparare a vivere in questo fine, in questo destino: l’uomo è stato creato per conoscere Dio. Bene! Che cosa fai adesso tu per conoscere Dio? Ogni giorno che cosa fai tu per conoscere Dio? È questo il tuo fine! Tu sei stato creato per questo. Che cosa fai?

Noi viviamo per tutt’altro!

La conoscenza richiede consapevolezza, quindi richiede un interesse personale. Non si arriva per atti automatici o magici alla conoscenza di Dio.

Domanda: Il mistero nascosto nei secoli è la volontà di Dio?

Luigi: Sì, è la conoscenza di Dio. Dio vuole che noi lo conosciamo. Per noi è mistero, perché a noi sfugge la Volontà di Dio. Il Cristo ce l’ha rivelata: è questa Presenza di Dio in tutto che vuole e opera in tutto per formare in noi dei figli di Dio. Ma figlio è colui che in tutto si lascia guidare dal Padre. In tutto, quindi nel pensare, nel parlare, nell’amare, nello scegliere, nel vivere, in tutto, in modo da poter dire in tutto: “questo lo faccio, perché ubbidisco a Dio”, questo lo faccio, perché Dio vuole questo, ecc.”. In tal modo abbiamo sempre in noi la giustificazione in Dio di quello che pensiamo, di quello che vogliamo, di quello che diciamo, ecc.; allora lì si diventa figli, perché i figli di Dio sono figli consapevoli. Non si è figli di Dio inconsciamente: figlio di Dio è un figlio consapevole, conosce suo Padre. Ma la conoscenza ce l’ha in quanto c’è questa presenza dell’intenzione del Padre, della Volontà di Dio.

È un mistero, perché noi viviamo nell’immediatezza delle creature, per cui siamo sempre sollecitati da motivi esterni o dall’io. Se alla domanda “Perché fai questo?”, rispondiamo  “Perché mi piace?”: per noi la volontà di Dio è mistero. “Perché fai questo?” se rispondo “Perché altrimenti che figura ci faccio?”: non sono motivato da Dio, è il pensiero del mio io che mi motiva.

Nel pensiero del nostro io noi ci troviamo di fronte al mistero: non capiamo niente, e ubbidiamo a degli stimoli esterni, a degli istinti; oppure ubbidiamo al pensiero del nostro io che, naturalmente, ci rende condizionati a tutto l’ambiente, a tutto il mondo che ci sta attorno. Per cui: “debbo fare questo, altrimenti il mio onore… la figura…, cosa dicono gli altri, il mio gruppo, la mia società, la mia famiglia…, …qui ci rimetto, ecc”, ecco, tutti questi pensieri sono proiezioni del nostro io e sono motivazioni del nostro io. La maggior parte della nostra vita è determinata da queste preoccupazioni, e in particolare dai bisogni del nostro corpo. Noi praticamente viviamo per mantenere il nostro corpo. Ma Dio non ci ha creati per mantenere il nostro corpo! Il nostro corpo è al servizio dell’anima!

Ma la tua anima, per che cosa vive? Vive per  il corpo! Allora vedi che ti stai guardando allo specchio?! E ti stai consumando guardando te stesso. No, “tutte le creature sono fatte per l’uomo”. E questo l’uomo l’ha capito; ma non l’ha capito nel Pensiero di Dio, e allora dice: “Sottomettiamo tutte le creature, sottomettiamo il mondo!”. E ad un certo momento l’uomo si accorge che si sta scavando una fossa. Stiamo distruggendo il mondo. Perché? Perché diciamo “tutte le creature sono mie!”. No! La rivelazione è questa: tutte le creature sono per te, uomo, ma tu sei per Dio! Non devi dimenticartelo: tu sei per Dio! Dio ha fatto tutte le cose per te; tu tienile al disotto del tuo destino, cioè, non vivere per quelle. Tutte le creature sono fatte per te, affinché tu sia per Dio. Il tuo destino è: tu devi essere per Dio. Quindi Dio ha fatto tutta la creazione per te, affinché tu possa liberamente occuparti di Dio: cercare Dio, pensare Dio, raccoglierti in Dio, far silenzio.

Quindi tutte le creature arrivano a noi e ci servono affinché con la nostra anima cerchiamo Dio. Ecco, tutte le creature servono la nostra anima! Ma se noi, anziché occuparci di Dio ci dimentichiamo di Dio, trascuriamo Dio e ci rivolgiamo a possedere le creature, tutta la creazione, che è fatta per noi, si ribella, si rivolta contro di noi. Perché tutta la creazione è di Dio, non nostra, non dell’uomo. Per cui, tutte le creature che sono fatte bene, sono fatte per aiutare noi a cercare Dio, se noi non cerchiamo Dio si rivolgono contro di noi. E allora qui abbiamo la fatica, perché ci troviamo in un mondo, in una natura che ci è nemica, che ci rifiuta. Ma perché ci rifiuta? Perché abbiamo rifiutato Dio, perché trascuriamo Dio.

Metti le cose a posto! Ecco, tutte le cose Dio ha fatto per te, affinché tu possa essere per Dio. Occupati di Dio! Ti accorgerai che tutta la creazione ritorna a servirti, ritorna ad aiutarti, perché sei nell’ordine, sei nel Fine.

Quindi: tutta la creazione è di Dio, viene da Dio e ritorna a Dio; la creazione serve l’uomo affinché l’uomo possa conoscere il suo Signore. Quindi tutte le opere di Dio, tutta la creazione, tutti i fatti nella nostra vita avvengono affinché noi possiamo scoprire che Dio esiste, affinché possiamo capire qual è il fine per cui Lui ci ha creati, possiamo liberamente occuparci di Dio. Se noi ci occupiamo di Dio, ci accorgiamo che tutte le cose vanno al loro posto, e non ci sono più nemiche, contrarie.

Invece, se noi non ubbidiamo all’opera di Dio, in tutto l’universo, tutte le creature incominciano a rifiutarsi a noi e allora cominciamo a conoscere la fatica, la tribolazione, perché ci troviamo in campo nemico. E allora tutto il nostro sforzo viene utilizzato per cercare di lottare contro il nemico che preme attorno a noi. Per cui si può dire che tutto il nostro vivere è un cercare di emarginare le malattie, di allontanare la morte, di allontanarci da tutto quello che ci può far del danno. Non sta lì la vita. La vita non sta nel cercare di metterci attorno tante mutue in modo che ci dicano: stai sicuro che in un modo o nell’altro noi provvederemo. La vita sta nel capire “come mai” attorno a me si scatenano le forze nemiche. Perché Signore, mi hai messo in un campo nemico? Perché mi sono dimenticato di te!

E allora, Dio ci dice “ritorna a me e vedrai!”. Vedrai che ritorna ad operare per te ogni cosa. È per questo che noi non vediamo Dio “dimorante” in tutte le cose; perché noi non siamo ordinati a Lui e allora ci costruiamo muri di tenebra, non vediamo più. Se Lui non dimora in noi, noi  non Lo vediamo dimorare nelle creature. Non dimora in noi in quanto non è in noi come Fine.

Se io ho come fine il denaro, la creatura, il pensiero del mio io, è logico che non posso vedere Dio, perché vedo il mio motivo, vedo la mia intenzione, vedo il mio fine: ho questo scopo. Fintanto che io ho questo scopo, sono accecato da esso, non vedo altro. E anche se prego Dio, e anche se vado in chiesa tutti i giorni, vado in chiesa e prego Dio perché mi aiuti a soddisfare questo mio scopo, a raggiungere questo mio fine. E allora lì non vado a cercare qual è la volontà di Dio; la volontà di Dio ce l’ho ben presente (credo di averla): la volontà di Dio è quello che voglio io. Magari cerco Dio perché so che è potente, che può tutto, e mi rivolgo a Lui per farlo servire alla mia volontà. Insomma, la posizione è capovolta; non sono nell’ordine. E allora Dio naturalmente deve lavorare per  cambiare i miei motivi, per salvare almeno l’anima.

L’anima è soprattutto intenzionalità. “Per cosa vivi?”: qui sta la tua anima.

“Il Padre che dimora in me, compie queste opere”: Lui parla affinché anche noi possiamo ripetere le stesse sue parole. La meta è questa: noi dobbiamo poter dire: “Il Padre che dimora in me compie le sue opere”. Cioè, non sei tu uomo che le compi; è Dio, perché in realtà è Dio che opera tutto, è Dio che parla in tutto. Soltanto che noi siamo dei vetri sporchi. Quando il vetro è sporco si vede lo sporco, quando invece è ben pulito è trasparente e allora il vetro non si vede più e si vede quello che c’è al di là.

Ora, il Cristo è questo vetro pulito: si vede soltanto il sole, si vede Dio che opera in Lui. Naturalmente, al confronto, scopriamo che noi siamo dei vetri sporchi. E allora Lui parla affinché il nostro vetro diventi pulito e si veda Dio.

Domanda: Dobbiamo annullarci e non imporre la nostra personalità per arrivare a dire “è il Padre che in me fa le sue opere”?

Luigi: Certo, ci vuole da parte nostra il superamento dell’io. Noi, nel mondo, affermando il nostro io, vogliamo imporre la nostra personalità. Con Dio è al contrario; chi forma la nostra personalità è Dio. Noi crediamo di formare la nostra personalità difendendoci, guadagnando denaro, conquistando certi posti, facendo carriere, e invece così facendo distruggiamo la nostra personalità. Più noi facciamo dei compromessi col mondo e più distruggiamo la nostra personalità. Chi veramente forma la nostra personalità è Dio.

Dio è la vera personalità. Più ci avviciniamo a Dio, più si forma la nostra personalità, perché Lui è il vero formatore della personalità. Noi non siamo fatti. Noi siamo delle creature in formazione: Dio ci sta facendo. Noi ci distruggiamo quando dimentichiamo Lui. Noi crediamo di essere già fatti, o diciamo: “adesso ci penso io, mi faccio da solo!”. No, noi da soli ci distruggiamo; distruggiamo quel poco che Dio ha già fatto in noi. Lasciamoci fare da Dio! Lascia che Dio continui l’opera che ha incominciato, perché Colui che ha incominciato l’opera è lo stesso che la porta a compimento. E Lui solo la può portare a compimento. Quindi: lasciati fare da Dio in tutto. Vedrai quanta personalità Lui formerà in te; perché non c’è personalità più grande di quella di Dio: Dio è il vero Padre di ogni persona, di ogni personalità. Questa è la realtà in cui ci troviamo. E dobbiamo rispettare la Verità, dobbiamo rispettare la Realtà. Se, andando in macchina non voglio rispettare la curva, padronissimi di farlo, ma andiamo a finire nel prato. Quindi noi dobbiamo adeguarci alla Realtà. Noi certamente non siamo Dio: Dio è un Altro!

Riconosci, rispetta la realtà, e quindi vivi in questa realtà.

Noi crediamo, fuori di questa realtà, che siamo noi che dobbiamo difendere la nostra personalità. No, fuori di qui distruggiamo la nostra personalità: diventiamo dei burattini in balia di tutte le passioni che si scatenano intorno a noi. E quante volte dopo aver creduto di aver conquistato un posto nel mondo, scopriamo di essere diventati dei burattini, in balia di chi sa chi. Invece Dio, parlando a noi, ci forma. Parlando ci fa delle proposte e facendoci delle proposte, ci rende responsabili, perché di fronte ad ogni proposta noi dobbiamo rispondere. L’uomo si forma rispondendo. Ora però noi non possiamo rispondere se non abbiamo qualcuno che ci proponga qualche cosa. Chi fa a noi le proposte è Dio. Dio ogni giorno ci propone qualche cosa di superiore a quello che noi facciamo, cioè ci impegna sempre in qualche cosa di Infinito, di Assoluto, di Eterno. 


Gesù gli rispose: “Da tanto tempo sono con voi e tu Filippo non mi hai ancora conosciuto? Chi vede Me, vede il Padre mio. Come dunque puoi dirmi: mostraci il Padre?”. Gv 14 Vs 10 Seconda parte.


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8/Novembre/1980


Luigi: Dio non confonde mai il suo Pensiero con il nostro pensiero, la sua volontà con la nostra. Per cui il suo parlare ci propone sempre qualche cosa che ci trascende, che è superiore a noi.

Ora, di fronte alle sue proposte, noi in un modo o nell’altro, la risposta la dobbiamo dare; perché quando uno ci chiede una cosa, sia che noi tacciamo, sia che non tacciamo, diamo una risposta e non possiamo farne a meno. Ed è proprio nella risposta, che noi incominciamo a qualificarci, cioè che diventiamo persone. Noi diventiamo persone in Dio nella misura in cui rispondiamo a Dio. Per questo il nostro vivere è sempre un rispondere: quando noi pensiamo, non siamo noi che pensiamo, ma rispondiamo ad un pensiero di Dio, ad una proposta di Dio; quando noi parliamo, non siamo noi che parliamo, perché il nostro parlare è un rispondere; quando noi amiamo, non siamo noi che amiamo, perché il nostro amare è un rispondere ad un altro amore. L’iniziativa ce l’ha sempre Dio, in tutto, e noi dobbiamo vivere in questa Realtà senza uscire da essa, perché è Dio il Creatore di tutte le cose.

Marco: Ma allora perché Dio ha creato l’io? Solo perché l’annullassimo?

Luigi: L’io (cioè l’essere consapevoli di esistere) è la condizione necessaria per conoscere (per questo Dio l’ha creato), ma deve superarsi per poter conoscere. Perché?

Un animale, che non ha l’io, non può conoscere la Verità. La Verità può essere conosciuta solo da un essere consapevole di esistere. Bisogna essere consapevoli per poter conoscere. Ma l’essere consapevole porta con sé un grande rischio: può dire “io sono” autonomamente, staccato da Dio. Dio solo dice: “Io sono”; però anche noi possiamo dire “io sono”. Ecco, soltanto in quanto noi possiamo dire “io sono”, cioè essere coscienti, e affermare questo io, abbiamo la possibilità di conoscere la Verità; ma per conoscere la verità dobbiamo dire: “Tu sei!”, non “io sono”.

Questo superamento dell’io (per dire “Tu sei!”), è un superamento che nessuno può fare al posto nostro, e non c’è nessuno che possa costringerci a farlo. Nemmeno Dio ci costringe. È la condizione per poter conoscere Dio.

Noi siamo coscienti (in quanto Dio ci ha fatti con questo io) di non essere Dio. Ecco la meraviglia! Dio ha creato questo io, ma nello stesso tempo in questo io ha posto la coscienza di non essere Dio. Per cui sappiamo che se mettiamo il nostro io al centro della nostra vita, facciamo una cosa ingiusta, perché sappiamo che noi non siamo Dio. Basta il filo d’erba per confonderci: “non sono io che l’ho fatto, a molto maggior ragione non sono io che mi sono fatto, nessuno si è fatto”. Siamo fatti da un Altro: abbiamo questa consapevolezza.

E allora, se tu scopri che non sei tu Dio, supera te stesso e metti al centro della tua vita Dio. Ma questo è un atto libero, consapevole, che non c’è nessuno che ti costringe a farlo.

La Verità si annuncia, in quanto si annuncia è una proposta, non si impone, perché se si imponesse ci toglierebbe la coscienza e quindi la libertà.

Questa libertà è soltanto una conseguenza della consapevolezza dell’“io sono” (cioè di questa possibilità di dire “io sono”), che è la condizione per poter conoscere Dio. Per cui, se accetto Dio, accetto Dio in quanto so chi è Dio. Ecco la formazione nell’io della consapevolezza di Dio.

Pinuccia: Il nostro io quindi è consapevolezza dell’“io sono”?

Luigi: La consapevolezza dell’“io sono” è la consapevolezza dell’“io sono di Dio”, per cui l’io non può dire “io sono”, perché se lo dice, dice una menzogna. Quindi questa consapevolezza è “solo” questa possibilità di dire “io sono”, però in questa possibilità ho la consapevolezza che non sono io Dio. Abbiamo già in noi l’indicazione della Verità: “Tu sei!”. Cioè la Verità nel nostro io si annuncia, ma non si fa vedere perché per poterla vedere noi dobbiamo superare il pensiero del nostro io e dire “Tu sei!”. Noi non dobbiamo partire col dire: “io sono, quindi Dio è”. No, ma: “Tu sei, in conseguenza io sono”; e allora, come conseguenza divento pensiero di-, divento opera dell’Altro. Cioè, non dobbiamo partire dal nostro io. Siamo un pensato di-. Il Signore dice: “Io sono il Principio”, noi lo sappiamo, perché ci accorgiamo che non siamo Dio (e qualunque cosa ci confuta in questo errore). In questo semplice fatto abbiamo già l’annuncio di Dio che dice “Io sono il Principio, non sei tu il principio”; cioè “tu non ti sei fatto. Nessuna cosa si fa da sola: il Principio è un altro”.

Allora, se il Principio è un Altro, metti l’Altro come Principio. Cosa vuol dire mettere l’Altro come Principio? Vuol dire partire da lui. Quindi non partire da te stesso per conoscere te stesso, parti da Dio per conoscere te stesso. Non partire dalla creatura per conoscere Dio, parti da Dio per conoscere la creatura; non partire dalla terra per conoscere il Cielo; parti dal Cielo per conoscere la terra. Non partire dal finito per conoscere l’Infinito, parti dall’Infinito per conoscere il finito; non partire dalla parte per arrivare al Tutto, ma parti dal Tutto per arrivare alla parte, altrimenti non la potrai assolutamente capire.

Pinuccia: E noi abbiamo sempre la possibilità di partire da Dio, dal momento che abbiamo in noi il Pensiero di Dio?!

Luigi: Fino ad un certo punto, perché il pensiero del nostro io può diventare talmente pesante da impedirci di conoscere Dio. Noi non possiamo annullare Dio, però possiamo arrivare al punto da non poter capire, da non poter più conoscere Dio, pur non potendo negarlo; perché noi diventiamo figli delle nostre opere, per cui tutto quello che facciamo di sbagliato, ci chiude in una prigione dalla quale non si può uscire.

Pinuccia: Però c’è Cristo che viene a liberarci da questa prigione, no?

Luigi. Appunto, ma Cristo termina, passa. Come tutte le creature, Cristo passa. Nella prigione in cui noi ci chiudiamo, la porta non si apre dal di dentro, la porta si apre da fuori; per cui noi non possiamo assolutamente aprirla. Dobbiamo essere molto attenti, perché noi diventiamo figli delle nostre opere, appunto perché siamo creati per diventare figli di Dio: se facciamo le opere di Dio, diventiamo figli di Dio; se facciamo le opere dell’io, diventiamo figli dell’io, con tutte le conseguenze.

Ecco, lì si rivela la meraviglia dell’opera di salvezza portata dal Cristo; perché Cristo è Colui che entra nella nostra prigione dell’io, per dare a noi la possibilità di uscirne. Se la creatura piange, invoca la liberazione (= pecore smarrite) e coglie questa possibilità di salvezza; perché pur essendo prigioniera del mondo, non ama il mondo. Ma per chi ama il mondo non basta Cristo.

Silvana: Qui Cristo identifica le parole come opere, dicendo: “le parole che io dico… è il Padre che compie queste opere”.

Luigi: Certo, le parole sono opere. È Dio che opera, è il Padre che opera. D’altronde tutte le opere di Dio sono parole. Certamente Dio è il Creatore di tutte le cose; e Dio creando cosa fa?

In tutta la creazione Dio non fa altro che parlare di Sé, che significare Se stesso. Tutte le creature sono segni di Dio, quindi tutte le creature sono parole di Dio. Ma le parole sono rivolte a qualcuno. A chi sono rivolte le parole di Dio? Tutta la creazione a chi è rivolta?

La creazione è rivolta a colui che può capire la parola di Dio, cioè all’uomo. Ecco, tutta la creazione è fatta per l’uomo, perché tutta la creazione è parola, ed ogni giorno tutti gli avvenimenti sono parole di Dio.

Queste parole sono rivolte a te che stai osservando, guardando. Dio sta parlando con te. E perché parla? E cosa dice? Ecco, Dio parla per attrarre la tua attenzione su di Sé, perché colui che parla, parla per manifestare il suo Pensiero. Quindi al centro di tutta la creazione di Dio c’è la manifestazione del suo Pensiero, del suo Verbo. E questa è la conclusione dei tempi.

Tutto l’universo è parola di Dio, affinché l’uomo alzi gli occhi a Colui che parla. Ecco, tutto l’universo arriva a noi per far alzare gli occhi della nostra anima, della nostra mente, a colui che opera, che parla con noi, affinché lo possiamo conoscere. Perché noi non possiamo conoscere Dio nel pensiero del nostro io; noi non possiamo conoscere Dio con la nostra volontà, col nostro pensiero; noi ci confondiamo…

Noi conosciamo Dio ascoltando le parole di Dio; infatti Dio parla per manifestare a noi il suo Pensiero. Se Lui non parla, noi assolutamente siamo tagliati fuori; siamo finiti.

Dio è Infinito. L’Infinito per noi è inconoscibile. Ma se l’Infinito arriva a me attraverso i suoi annunci, le sue parole, e se le accogli, se credi ad esse, attraverso le sue parole (ma queste sue parole richiedono il superamento di sé), partecipi all’Infinito, e allora puoi conoscere Dio.

Ecco la possibilità. “Ha dato loro la possibilità di…”. È la Parola di Dio che arriva a noi, che da a noi la possibilità di entrare nell’Infinito di Dio; e ci fa fare un salto di qualità, perché ci fa passare dal finito all’infinito. Per questo diremo: “Tutto, o Signore, è grazia tua”.

Tutto è grazia di Dio, perché se Lui non parla, noi moriamo nel nostro niente. Tutto è Parola di Dio, per manifestarci se stesso, per farci conoscere se stesso. Siamo stati creati per conoscere Dio: tutto è Parola di Dio, affinché noi possiamo conoscere Dio. Dobbiamo essere aperti a questa verità.

Tutte le cose sono fatte per te, uomo, ma non perché tu le possa usare per te, ma affinché tu possa conoscere il tuo Signore. Quindi è come dire: Dio parla per te.

Invece noi solitamente intendiamo così: “tutto è fatto per me? Bene! Prendo le galline e le strozzo, guardo le creature e le sottometto, le strumentalizzo; adopero questo per quell’altro, ecc.; faccio tutto per me”. E no! Dio ha fatto tutte le cose per noi  affinché tu possa conoscere il tuo Signore, e quindi tu possa partecipare alla sua vita. Cioè tutto è stato fatto per noi, affinché noi possiamo essere resi partecipi della vita eterna. Siamo stati creati per la vita eterna. Vita eterna è conoscere Dio.

Paolo: “Il Padre che è in me compie le sue opere”, Dio può veramente compiere in me le sue opere quando faccio morire le mie opere, cioè quando rinnego me stesso, no?

Luigi: Sì, però non basta che io voglia rinnegare me stesso, perché da solo non posso rinnegare me stesso, perché se guardo soltanto me stesso, con tutta la buona volontà non posso dimenticarmi.

Per quanto noi facciamo dei salti mortali, non possiamo dimenticarci. Noi possiamo dimenticarci nella misura in cui abbiamo un altro da amare: amando rinneghiamo noi stessi, perché amando viviamo nell’altro. Non è quindi dicendo: “adesso dimentico me stesso, adesso dimentico me stesso…”, che ci superiamo, no; perché giriamo attorno ad una pallina, e questa pallina è il nostro io. Più diciamo: “voglio rinnegare me stesso”, più pensiamo a noi e quindi non ci rinneghiamo.

Tu rinneghi te stesso in quanto entri nell’amore, cioè se scopri un altro da amare, e nella misura in cui ami l’altro, superi te stesso.

Quindi noi ci superiamo nella misura in cui amiamo un altro. Al centro di questo altro naturalmente c’è l’Altro con la A maiuscola.

Paolo: E se voglio amare di più quest’Altro lo debbo conoscere di più.

Luigi: Soltanto conoscendolo lo posso amare, perché io non posso amare una persona se quella persona non si presenta. Non posso, perché un “altro” vuol dire un altro essere, e quest’altro essere lo debbo conoscere, lo debbo aver presente, perché altrimenti non lo posso amare. L’amore non è altro che conoscenza: nella misura in cui conosco, amo. Ma indubbiamente anche la conoscenza è una conseguenza del dono dell’altro, perché se l’altro non viene a me, io non lo posso conoscere. Se l’altro non mi chiama per telefono, io posso aspettare fin che voglio la telefonata, ma il telefono non squilla. È necessario che ci sia l’altro; per cui trovare l’altro è grazia.

La conoscenza è grazia. Dio per primo parla a noi e parlando si presenta. E “il presentarsi a noi” è uno che viene in casa nostra, e chi viene in casa nostra ci fa una grazia; perché è una grazia? Perché venendo dà a noi la possibilità di uscire dal pensiero del nostro io.

Quante volte abbiamo fatto questa esperienza: magari in giorni di tristezza, di noia, di angoscia, andiamo a trovare un malato, un povero e poi torniamo a casa con l’animo che libero, con l’animo che canta. Cosa c’è stato? L’altro ci ha fatto superare noi stessi, ci ha liberato dal pensiero del nostro.

Il tuo io è noia, il tuo io è tristezza. Tu da solo non sei vivo, da solo non stai su: hai sempre bisogno dell’Altro.

Quanto più troviamo l’Altro, tanto più ci liberiamo. E trovare l’Altro è sempre una grazia. Ma bisogna trovare un Altro da amare, non da sfruttare; perché se troviamo un altro da sfruttare, allora ci troviamo nel pensiero del nostro io, confermiamo il nostro io, e allora confermiamo la nostra tristezza.

Ora, quest’Altro deve essere con la A maiuscola. Se abbiamo la possibilità di conoscere Dio, vuol dire che Dio è venuto ed ha parlato con noi, e avendo parlato ha dato a noi la possibilità di uscire dal pensiero del nostro io. Quindi il superamento del nostro io è sempre una grazia da parte dell’Altro che si è presentato a me.

È vero che, presentandosi a me, io gli posso chiudere la porta in faccia, però l’azione è mia, il rifiuto è mio, cioè ho rifiutato la grazia, cioè la grazia di Dio che venendo a me mi liberava dal pensiero del mio io, mi liberava cioè dalla mia morte.

Dio è vita, noi da soli siamo morti. La vita è comunione; noi da soli non stiamo su. Però per essere in comunione bisogna che abbiamo un altro, perché non possiamo essere in comunione con noi stessi. Quindi Dio viene a noi e offre a noi la sua comunione. Dalla comunione nasce la vita; però da parte nostra bisogna che ci sia l’adesione, l’apertura. E affinché ci sia questa apertura, bisogna che ci sia il superamento, cioè che si cominci a pensare l’Altro e non più pensare a se. Amare vuol dire volere l’altro, volere il bene dell’altro, vivere per l’altro.

Amalia: Quindi la conoscenza è tutta grazia di Dio, però richiede da parte della creatura attenzione e adesione?

Luigi: Certo, Dio bussa alla nostra porta: “Io sono alla porta e busso e chiamo: se tu mi apri io entrerò e farò cena con te”. Bussa, perché Lui chiama, si annuncia. Infatti Dio è Colui che nessuna creatura può ignorare. Non ignorare non vuol dire conoscere. Nessuna creatura può ignorarlo, perché Dio si annuncia.

Quando una creatura mi ferma per la strada e mi chiede un’informazione, io non la posso ignorare: posso dare una rispostaccia, però non la posso ignorare. Si è presentata, non la ignoro più. Non posso dire “non l’ho vista”, se no direi una menzogna (e mi accorgerei di dire una menzogna, perché quell’altro si è fermato).

Quindi Dio, in quanto si è annunciato, ha bussato alla porta; questo basta per non poterlo più ignorare. Adesso vediamo la risposta.

Ora, rispondere vuol dire proprio superare l’io; per cui esco dal pensiero del mio io, esco dalle mie passioni, dalla mia volontà, dai miei desideri, da tutto quello che può essere la mia ambizione e vado ad aprire a Lui. Ecco, mi rendo disponibile per Lui. Questo è il superamento dell’io. Allora incomincio a vivere di quello di cui Lui mi parla. E se io vivo di quello di cui Lui mi parla entro nella conoscenza, perché Lui mi sta donando se stesso, mi sta facendo conoscere se stesso: perché Lui sta parlando (sono i vasi comunicanti) e non fa altro che riversare Se in noi.

Pinuccia: Gesù, dicendoci: “Non credi che Io sono nel Padre e il Padre è in Me”, ci invita a credere una cosa che ci ha già detto esplicitamente o a una cosa che da noi stessi avremmo già dovuto capire?

Luigi: È il Padre che ce l’ha detto. “Chi ha ascoltato il Padre…”, queste cose le sa. Tu credi o non credi che Dio opera in tutte le creature? Sono le creature che operano o è Dio che opera nelle creature? E come si fa a sapere che è Dio che opera nelle creature?

Dio è l’Essere, Colui che fa essere, Colui che fa tutto, Colui che muove tutto ed è principio di tutto. Se portiamo in Cristo questa verità, crediamo che è il Padre che opera in Lui.

Pinuccia: Ma in Cristo il Padre opera in una maniera speciale e unica.

Luigi: La maniera speciale la vedremo poi. Il fatto è questo: le parole del Cristo sono promesse di Pentecoste. Solo a pentecoste comprenderemo e diremo: “Aveva ragione! È proprio così!”. Adesso annuncia. La Parola di Dio è un annuncio; noi non la capiamo, non possiamo capirla, ma è un annuncio, una proposta: se noi rispondiamo, arriveremo a capire, e diremo “Avevi proprio ragione!”.

Pinuccia: Quindi per capire e credere che il Padre dimora in tutti, opera in tutti, non ho bisogno della Pentecoste, ma per vederlo debbo giungere a Pentecoste?

Luigi: Certo, per capire che il Padre dimora in tutto non ho bisogno della Pentecoste, perché il Padre che parla in tutti (cioè Dio che parla in tutto e in tutti)non fa altro che rivelare che Egli esiste, che Egli è; nessuna cosa si è fatta da sé, tutto è creatura. Tutte le cose portano con sé questo sigillo, che è il sigillo della Verità, il sigillo di Dio: sono parole di Dio. Le parole di Dio hanno un sigillo, per cui noi non le possiamo smentire, perché sono superiori a noi. Noi non possiamo dire: “questa creatura si è fatta da sé”. Tutte le cose sono fatte da-; c’è il Creatore, c’è un Essere che opera, c’è un essere che fa. Quindi la Verità si afferma su di noi. Noi però non la vediamo. Che Dio si annunci, questo lo sappiamo, ma Lo conosceremo solo a Pentecoste.

Ad es.: una persona che incontro per la strada, si annuncia a me. Io non posso dire che non l’ho incontrata, però non so chi sia. Per conoscerla, dovrò frequentarla, dovrò meditare sopra le cose che fa, sopra le cose che dice, ecc. e a poco per volta può darsi che qualche cosa riesca a capire del carattere, della mentalità, ecc., di essa; ma richiede un lungo studio, richiede amore, cioè richiede dedizione.

La conoscenza arriva per dedizione, che è raccolta di tutti i segni che l’altro fa.

In quanto quella persona si è presentata, io non la posso più ignorare.

Quindi abbiamo Dio che opera in tutte le cose e si annuncia; in quanto si annuncia a tutti, nessuno di noi lo può ignorare. Noi non possiamo dire: "Dio non esiste!”. Lo possiamo dire solo a parole, però non possiamo convincerci. Ma non lo conosciamo.

Dio è colui che nessuno può ignorare, però ben pochi sono coloro che lo conoscono. Tutti sanno che esiste, pochi arrivano a conoscerlo. Eppure siamo chiamati tutti a conoscerlo, perché nel conoscere Lui c’è la vita eterna, c’è la salvezza.

Abbiamo questo fondamento, questo sigillo di verità che da noi non è smentibile: tutto è fatto da-. Ora, tutte le opere di Dio si concludono nel Verbo di Dio, in Cristo, il quale mi parla ancora il linguaggio della creazione di Dio, perché tutta la creazione essendo segno di Dio, è segno della Trinità di Dio. Per cui, in Cristo noi abbiamo la sintesi di tutto quello che Dio dice in tutta la creazione. In tutta la creazione Dio dice “Io sono”. Il Figlio ci dice “Il Padre è; è il Padre che opera”: ecco, ci ripete quello che dicono le creature.

Ogni creatura dice a me “io non mi sono fatta da sola: un Altro mi ha fatto”. Il Figlio, che è sintesi di tutto il parlare di Dio, venendo a me, dice a me: “Non sono io che parlo; è il Padre in me che parla; non sono io che opero, è il Padre che dimora in me che opera”. Ecco il Figlio! Perché la caratteristica del Figlio è questa: in tutto consapevolmente rende gloria al Padre. Perché noi siamo creature e, come creature, effettivamente, realmente diciamo: “non ci siamo fatte da sole”; ma quante volte a parole noi diciamo: “io mi sono fatta da sola!”.

Quindi siamo in una realtà in cui si dice: “Tu creatura non ti sei fatta da sola”, e abbiamo parole umane che dicono: “Io mi sono fatta da sola, io sono tutto”.

Quante volte diciamo: “io sono tutto”, o diciamo ad un altro: “io sono tutto per te”. Fischia! Poi il  giorno dopo siamo chi siamo. Oppure diciamo “la mia volontà non conosce ostacoli”, e il giorno dopo siamo di fronte ad una parete. Noi affermiamo queste cose a parole, ed è per questo che non siamo figli di Dio. Quando parliamo così, noi non parliamo secondo Dio.

Certamente il Padre parla in noi anche quando facciamo questi errori, perché quando diciamo: “io sono tutto”, il giorno dopo Lui ci prostra a terra con il mal di pancia; ci fa vedere la nostra relatività (altro che essere tutto!). Ed è sempre il Padre che opera; cioè, Dio smentisce le nostre parole, perché la Verità è superiore a noi.

Invece il Figlio in tutto parla le parole del Padre e quindi è confermato, non è smentito. Noi siamo smentiti da Dio, perché quando diciamo “io posso tutto quello che voglio” e il giorno dopo possiamo più niente, siamo smentiti. Come se una creatura dicesse “io non muoio mai”, da qui a cinque minuti muore: Dio la smentisce e smentendola glorifica Se stesso, perché Dio trae gloria da tutto: trae gloria da coloro che lo glorificano e trae gloria da coloro che lo bestemmiano. D’altronde è logico: Dio regna in tutto!

Ora però il Figlio si caratterizza in questo: in tutto il suo parlare, parla secondo il Padre (“Le parole che Io vi dico non le dico da me: ma il Padre che dimora in me, compie queste opere”).

Noi invece nel nostro parlare non parliamo secondo il Padre, e allora tutta la nostra difficoltà è imparare anche noi a parlare secondo Dio, cioè a entrare nella Verità.

Non dire delle sciocchezze, non dire stupidaggini, perché queste stupidaggini ricadono tutte su di te. Se tu tiri una pietra verso il cielo, la pietra ti cade in testa. Non fare dunque delle stupidaggini: Colui che regna è Dio! Riconoscilo e parla secondo Dio in tutto.

Quando io dico “il denaro è tutto”, domani Egli mi fa toccare con mano che il denaro è niente, che risolvo proprio niente con il denaro (né le sofferenze morali, né l’angoscia, né le malattie). Se Dici: “La creatura per me è tutto”: il Signore ti fa toccare con mano che la creatura per te diventa dannosa. È tutta grazia di Dio questo smentire.

Allora, da parte nostra è molto importante arrivare molto presto a parlare in tutto secondo Dio, perché così parliamo secondo verità, come il Figlio. E non siamo smentiti, ma confermati. In questo versetto Gesù, il Figlio, ci annuncia ciò che vedremo a Pentecoste (che il Padre dimora in tutti) e ci insegna come parla chi è figlio di Dio; poiché parla secondo Dio, è il Padre che parla in Lui.

Amalia: Questo parlare  e operare secondo Dio è effetto della conoscenza di Dio?

Luigi: Sì, è una conseguenza dell’ascolto, bisogna dare molto tempo all’ascolto, quindi raccogliersi molto in silenzio, nella vera preghiera. È lì che noi troviamo molta difficoltà, perché non abbiamo mai tempo per Dio. Noi abbiamo tempo per fare molte cose (ho da fare questo, quell’altro e quell’altro: i campi, i buoi, la moglie, ecc.), ma non abbiamo mai tempo per Dio. E naturalmente, non avendo tempo, non ascoltiamo mai; anche se magari preghiamo tanto, dicendo parole, non ascoltiamo mai. Non ascoltando, non possiamo arrivare a conoscere e quindi non possiamo parlare secondo Dio. La nostra incapacità a parlare secondo Dio, secondo la Verità, viene dal fatto proprio che noi ascoltiamo poco.

Quindi metti molto silenzio nella tua giornata, dai del tempo a Dio. Questo è molto importante, perché è lì che si forma la creatura, è lì che si forma l’anima capace di parlare secondo Dio. Perché se noi non ascoltiamo, non possiamo parlare; noi parliamo nella misura in cui ascoltiamo. La nostra parola è in funzione dell’orecchio. Se l’orecchio è sordo, anche la nostra bocca diventa muta. Quindi per poter giungere a dire come Gesù, “Ciò che dico è il Padre che lo dice in me”, dobbiamo mettere molto ascolto.

Marco: Il timore della correzione, il concetto di un Dio guerriero, m’impedisce di sentire queste cose che diciamo col cuore: le sento solo con l’intelligenza; se mi prendessero davvero, io dovrei lasciare gli sci, ecc., ma io non voglio!

Luigi: Per sentire queste cose col cuore ci vuole una rispondenza personale. Quando c’è la rispondenza personale allora si incomincia a sentirle col cuore. Ma l’importante è cominciare a sentirle con l’intelligenza, cioè a prendere consapevolezza della Verità di esse con l’intelligenza. Questa difficoltà a lasciare, questo non voler lasciare è la lotta attraverso cui avviene la formazione di ognuno di noi. Ognuno ha qualcosa che non vuol lasciare: ha tutto un suo mondo che non vuol abbandonarci. Ed è la difficoltà a superare noi stessi; oggi saranno gli sci, la matematica, domani sarà la villa, la macchina grossa, ecc. Ognuno ha un suo campo da difendere: è lì il difficile. Per poter lasciare bisogna che in noi si formi la consapevolezza, ma ci vuole silenzio e ascolto.

Il giorno in cui davanti a Dio capisco la meraviglia, la bellezza, la gioia di poter conoscere Lui, di poter scoprire la sua Presenza, mi accorgo che vale infinitamente di più di un campo da sci. Il giorno in cui io scopro la differenza tra le due cose, cosa mi importa di lasciare gli sci? 

Ora non hai difficoltà a lasciare il gioco delle birille, della trottola, perché? Perché man mano che uno matura, non ha nessuna difficoltà a lasciare certe cose; però, attualmente se uno non può assolutamente lasciare determinate cose, è perché trova in quelle tutta la sua vita. Dai tempo al tempo!

Dio non è l’essere che vigila per darci delle bastonate. No, prima di tutto Dio è Padre. Ci fa maturare anche attraverso tutte queste nostre passioni. Certo, se io vado a dire a un bambino “non giocare a birille, vai a pregare”, quello mi salta addosso, ed è logico, ha ragione, perché per lui il gioco è importante come il vivere. È Dio che ci sta formando attraverso tanti giochi, però nello stesso tempo incomincia a convincere la nostra intelligenza. La nostra intelligenza, convinta del bene più prezioso, ci fa avere un piede già dall’altra parte; “io sono ancora qui, però con l’intelligenza sono già dall’altra”.

Bisogna anche avere pazienza: dobbiamo lasciarci fare da Dio, perché noi non siamo fatti. Dio ci sta facendo. Ora, Lui essendo Verità opera convincendoci, quindi opera convincendo la nostra parte superiore; ma c’è tutta la parte inferiore che deve poi entrare e che non entra, perché la parte inferiore è legata a tante nostre opere in cui il nostro io si è affermato. Però Lui comincia a conquistare la nostra intelligenza e dopo, a poco per volta, ci fa scoprire ciò che veramente ci deve attrarre.

Si capisce, adesso tu non vuoi lasciare, perché stai giocando alle birille. Ma nessuno ti dice: “lascia le birille”. Comunque, la porta è stretta e il superamento è necessario.

Uno può lasciare certe cose soltanto in quanto Dio gli fa vedere qualcos’altro di più importante, se no non lo può.

Lasciare per lasciare è stupido. Così come oggi si parla molto di povertà, e c’è chi dice: “adesso mi vesto di stracci e ho risolto il problema!”. Ha risolto proprio niente! Non si risolve così il problema. Le cose sono giustificate in quanto uno lascia per altro. Per esempio, di uno che deve studiare diciamo “guarda quanti sacrifici fa, non va al cinema, non va in nessun posto, ecc.”. Ma per lui è gioia! Lascia il cinema e altre cose perché per lui sarebbe una perdita di tempo. Se ha scelto, in quanto ha scelto, ha ritenuto più valido una cosa rispetto ad un’altra. Allora, direi che non c’è un lasciare, ma c’è un mettere prima qualcosa di più importante.

Ora, fintanto che uno non scopre qualcosa di più importante non può lasciare: si toglierebbe la terra di sotto ai piedi. Il gioco per il bambino è importante come il vivere, perché attraverso quello si forma. Noi siamo dei bambini davanti a Dio.

L’importante è questo: metti sempre del tempo per Dio. Hai disponibilità per cinque minuti? Metti cinque minuti per Dio. Al mattino hai la possibilità di pregare per ricaricarti? Va a pregare e ricaricati. A poco per volta l’intelligenza matura e ti fa scoprire sempre più cose importanti; e ad un certo momento sei tu che scegli, non sarà l’Altro che ti impone. Dio non impone; se c’è un Essere che è assente, silenzioso, dal mondo, è proprio Dio! Tutti gli uomini comandano, urlano, si impongono con autorità! Dio no, perché Dio opera convincendo. E man mano che noi vediamo, siamo noi stessi che vogliamo una cosa e non più l’altra, perché “per me è una perdita di tempo: voglio quell’altra perché per me è più importante”.

Quando una persona ama un’altra non è per lei un sacrificio amarla; eppure quanto cose lascia per amare l’altra persona. E perché sceglie di amarla? Perché si è convinta che amarla è un bene, e allora non c’è sacrificio. Ora, Dio opera prima di tutto per convincere noi dei valori e quindi dei beni, ma siamo noi che facciamo le scelte. Dio lascia a noi le scelte, appunto perché c’è questa consapevolezza, c’è questo io.

Quindi non dobbiamo pensare “io non faccio questo perché ho paura che l’Altro adesso mi bastoni”; non è in questo senso che dobbiamo considerare Dio.

Marco: Quando termino di pregare infatti temo sempre che la mia preghiera sia ipocrita e chiedo che non ricada su chi ho pregato.

Luigi: Dio vede la nostra intenzione più che le nostre parole, e aiuta noi e aiuta gli altri. Dio è un Padre, sia ben chiaro, e ci ama. Non è un’autorità che s’impone. Dio è un Padre, è un Essere che ama e noi dobbiamo essere convinti di questo amore: non fosse altro perché ha creato tutto l’universo, di miliardi di anni luce, un universo di dimensioni enormi; per chi? Per ognuno di noi. Siamo convinti di questo o no? E dobbiamo dubitare del suo amore?

E poi, ad un certo momento, ci presenta lo spettacolo di Cristo che muore in croce…; almeno, se crediamo che sia figlio di Dio. Insomma, le testimonianze di amore ce le dà ogni giorno; anche solo il fatto che noi possiamo morire di notte e invece apriamo i nostri occhi al mattino: ma è un atto di amore! È Dio che ci ama! Altrimenti non ci sveglieremmo. Tutta la creazione è opera di amore; perché allora dobbiamo aver paura?

Uno dei più grandi peccati è proprio quello di avere paura del Signore e di non aver fiducia in Lui, perché ci ha dato tantissime dimostrazioni del suo amore per noi. Nessuno lo ha obbligato a crearci. Nessuno gli ha detto “adesso tu devi creare Marco!”. No, Lui liberamente, quindi per amore, ha voluto Marco. E Marco è una creatura di amore.

Piero: Mettendo prima di tutto Dio, trovo assurde molte cose nella mia vita, incominciando dal mio lavoro, ecc. Eppure non posso lasciarlo perché ho la famiglia; nonostante ci sia il desiderio di decisioni radicali, che mi sarebbero di grande aiuto per avvicinarmi di più a Dio. Il problema però non mi sembra sia quello di lasciare, perché siamo in cammino; e se siamo fedeli in quel poco che possiamo fare, sarà Lui che ci farà vedere la strada giusta per uscirne, senza far soffrire nessuno. E in quel momento darà la forza di fare la scelta.

Luigi: Certo, uno può trovarsi in un lavoro assurdo e non può uscirne, ne è schiavo, perché ormai è imbrigliato in convinzioni, ecc. Il problema attualmente non è lasciare, ma far crescere il positivo: incomincia a mettere dell’ascolto di Dio. Su ventiquattro ore, hai un quarto d’ora? Metti questo quarto d’ora per l’ascolto. Cerca di essere fedele nel poco. Se tu sei fedele nel poco, Dio a poco per volta ti aiuterà e amplierà la tua libertà.

È Lui che ci libererà, perché attualmente è Lui che ci tiene in prigione, in conseguenza di tante cose; comunque attualmente siamo in prigione: non puoi uscire, perché la porta della prigione si apre dal di fuori e noi siamo dentro. Non hai nessuna possibilità di uscirne. Però, se in questa prigione hai la possibilità di prendere contatto con Cristo, non trascurarla. E quando arriverà il momento in cui Dio ti chiederà di fare una scelta radicale, te ne darà la possibilità e te ne farà vedere l’importanza. Dio opera convincendo.

La cosa più importante è imparare ad essere fedeli nel poco in cui noi possiamo fare delle scelte. Là dove non possiamo fare delle scelte è inutile che ti ponga il problema: non puoi scegliere. Là dove puoi scegliere stai attento a quello che scegli: puoi scegliere di dire una parola, una sciocchezza e di non dirla? Ecco, ubbidisci a Dio. Puoi dire una barzelletta stupida, puoi non dirla? Ubbidisci a dio: Dio ti osserva in quella fedeltà nel poco. Puoi pensare una cosa anziché un’altra: lì sei libero. Magari sei sul lavoro, però puoi pensare ad una cosa o ad un’altra: ecco, se tu pensi secondo Dio, Dio ti osserva in quella fedeltà, in quelle piccole cose. Impara ad agire secondo Dio. È la fedeltà nel poco che decide tutto. Il Signore stesso dice: “Chi non è fedele nel poco certamente non può essere fedele nel molto”. Quindi impara ad essere fedele nel poco. Noi il più delle volte diciamo “voglio fare delle grandi scelte” e poi nelle piccole cose prendiamo delle cantonate a non finire. Stai attento nelle piccole cose, perché Dio ti osserva nelle piccole cose: nelle parole che dici, nei pensieri che coltivi, nei desideri che hai, nei sogni che porti. Dio ti osserva in quelle piccole cose in cui tu puoi scegliere.

Sarà poi Dio a fare tutto il resto. Le gradi scelte è Dio che ce le fa fare, non siamo noi.


Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. Gv 14 Vs 11


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8/Novembre/1980


Elisa: Gesù parla per noi e ci dice che chi diventa figlio è nel Padre. Ma prima di diventare figli noi siamo nel Padre, quando vediamo l’ambiente in cui siamo, le difficoltà del lavoro, della famiglia, ecc., come opera del Padre e come opera migliore per salvarci?

Luigi: Sì, tutto è opera del Padre, però l’ambiente in cui ci troviamo non è il Padre. Noi corriamo il rischio di immergerci nell’ambiente, dicendo: “Dio mi ha posto qui, io vivo per questo”: ecco, l’errore sta nel dire: “io vivo per questo perché questa è la volontà del Padre”. Noi dobbiamo sempre tener presente che:

·                   Abbiamo Dio creatore;

·                   Abbiamo il nostro io, creatura;

·                   E abbiamo l’ambiente, opera di Dio, che Dio ci mette attorno per insegnare qualcosa a noi.

Tutto l’ambiente (=creazione, e l’ambiente di lavoro appartiene alla creazione), tutta la creazione che abbiamo attorno a noi è parola di Dio per sollecitarci a guardare Lui.

È Dio che parla a me non perché io mi fermi ai segni , non perché io mi fermi all’ambiente, ma perché io alzi gli occhi verso Colui che parla.

Noi corriamo il rischio, ed è il rischio di ogni creatura, di dimenticare Dio per i doni di Dio. Ad esempio, possiamo dire: Dio mi ha dato gli sci; adesso io mi abbarbico agli sci e dimentico Dio, perché gli sci mi piacciono. A questo punto preferiamo il dono al Donatore e non capiamo più l’opera di Dio. Dio ci ha fatto un dono per farci alzare gli occhi verso di Sé, affinché scoprendo che Lui esiste e che ci manda questi doni incominciamo a desiderare non più doni, ma di conoscere Lui che tutti i giorni ci manda dei doni in casa. Ecco, dovremmo domandarci: “ma chi è questo Tale che tutti i giorni mi manda dei doni?”; perché è uno che ci pensa, infatti se ci manda i doni ci pensa.

Certo, possiamo limitarmi ai doni e dire: “sia chi voglia, io approfitto dei doni” e offendiamo il Donatore, perché non vediamo l’intenzione.

È importante la riconoscenza. L’atto di riconoscenza è proprio sempre cercare di arrivare all’intenzione di Colui che mi manda i doni. Perché mi manda tutti questi doni? Perché tutti i giorni fai splendere il sole, mi circondi di natura, mi fai brillare le stelle? Perché tutti i giorni mi fai incontrare delle creature? È tutta una meraviglia, è tutta una creazione attorno che Tu metti in movimento per me; perché tutto questo?

Ecco, sono tutti doni di Dio che ci vengono fatti  non perché ci immergiamo, ci appassioniamo dei doni, ma affinché noi alziamo gli occhi a Lui e cominciamo a conoscere Lui.

Tutto è opera di Dio, anche le situazioni di disagio; ma non dobbiamo restare all’opera di Dio, dobbiamo sempre passare al significato dell’opera di Dio, dell’Intenzione; perché se ci fermiamo all’opera siamo traditi dai doni e allora c’è il nostro io: ci abbarbichiamo ai doni e trascuriamo il Donatore e non siamo più nel Padre. Noi per essere nel Padre dobbiamo non guardare ai doni, perché i doni ci possono far comodo. Noi dobbiamo guardare Dio.

Il Figlio è caratterizzato da questo: è tutto sguardo verso il Padre. Noi siamo nel Padre, anche se non Lo conosciamo, in quanto diventiamo sguardo verso il Padre.

Elisa: Quindi ci sono due modi di essere nel Padre: uno è proprio del Figlio e l’altro di chi è in cammino?

Luigi: Certamente.

Ida: “Credetemi, io sono nel Padre e il Padre è in me”, è un invito alla fede: credere che Lui mi ama molto più di quanto io ami me stessa, ed ha solo progetti di amore su di me; ma mi accorgo che non è ciò che voglio io che mi avvicina alla realizzazione di questo progetto, ma quanto vuole Lui; perché mi sento più felice quando non riesco a fare ciò che voglio io e mi abbandono a Lui. E allora lì sono in Lui.

Luigi: Certo, noi siamo fatti da Dio in continuazione. È Lui che ci fa, non siamo noi con la nostra volontà che ci facciamo. Dobbiamo lasciarci portare da Dio, lasciarci fare da Dio, perché giustamente Dio ci ama molto più di quello che noi amiamo noi stessi. Dio pensa a noi molto di più di quello che noi possiamo pensare a noi. Infatti il Signore dice: pensa a me ed io penso a te”.

Ora, è preferibile che sia Dio a pensare a me, piuttosto che sia io a pensare a me, perché Lui pensa molto meglio di me. Quante volte sentiamo dire: “Ma se io non penso a me, chi è che pensa a me? Debbo dimenticare me stesso? Ma se dimentico me stesso muoio di fame!”, e così trascuriamo Dio. Se tu non pensi a te, c’è Dio che pensa a te e vedrai quali meraviglie il Signore fa, perché Dio pensa molto meglio di noi.

Ida: Sto scoprendo che anche le opere di bene le faccio per me, pensando a me, perché se non ho successo ci sto male; per cui tutto diventa pesante, non liberante.

Luigi: Certo, è liberante solo ciò che è fatto nel pensiero di un Altro. Questa tua scoperta è Dio che sta lavorando con te, e un giorno ti insegnerà anche a non fare più le cose per te, ma a fare le cose per Lui, cioè ad essere motivata da Lui. Ma bisogna lasciarsi fare da Lui: è Lui che ci sta educando, è Lui che ci sta formando. Bisogna lasciarsi formare e quindi anche accettare le autocritiche, riconoscere: “Tu stavi cercando te stessa, tu lo stavi facendo per te stessa”. È Dio che parla con te. È Dio che parla.

Quindi dobbiamo riconoscere: “è vero, sì, è vero”. L’importante è non barare con Dio e con noi stessi; riconoscendo: “sì, c’era il pensiero del mio io”, il Signore prontamente ci dirà: “Va bene, basta così: adesso poco per volta vedrai che imparerai la lezione; comincerai a vivere con me e per me”. E allora noi saremo nel Padre, motivati dal Padre, non più motivati dal pensiero del nostro io. Certamente, naturalmente noi viviamo nel pensiero dell’io e siamo mossi dal pensiero dell’io. Quello che appare in vetrina è sempre il pensiero di noi stessi: “che figura ci faccio?”. Anche davanti al pensiero della morte riusciamo a dire: “nella sepoltura che figura ci farò?”. È sempre il pensiero dell’io che viene fuori da tutte le parti.

Gesù dice: “Credetemi”: ecco l’importanza di credere per arrivare a vedere il mistero di Lui che vive nel Padre e il Padre che vive in Lui, per vivere noi nel Padre. È proprio vedendo che viviamo. Lui parla e parlando ci invita a credere. L’allievo diventa capace di capire la lezione soltanto nella misura in cui crede all’insegnante, però deve accettare, cioè deve credere. Se non crede non può arrivare a capire. Bisogna credere per arrivare a vedere e vedendo siamo inseriti. Quello che ci inserisce è la visione. La Parola è un annuncio, una proposta: se noi aderiamo, arriviamo a vedere e vedendo siamo inseriti.

“Se non altro, credetelo per le opere stesse”, credetelo per questo motivo: tutte le cose (le opere) non si sono fatte da sole. Tutte le cose portano in se stesse il sigillo della Verità. Quindi se non volete credere in Dio (= “se non per altro”), alla Parola stessa di Dio, al Pensiero di Dio, osservate almeno quello che Dio vi mette attorno: vedete che niente si fa da sé.

“Credetemi almeno per questo”: lì si rivela la pazienza che Dio ha con noi. Lì si vede appunto il linguaggio di amore, perché Lui potrebbe benissimo comandare: “io sono Dio!” e ci butterebbe nell’inferno. Ma a quel punto c’è l’essere autoritario; anche satana ubbidisce a Dio, non può farne a meno (perché Dio regna: una sola è la Causa che regna in tutto e per tutto), nolente, ma deve ubbidire. Satana subisce l’Essere autoritario, perché la verità ad un certo momento s’impone; in un primo tempo però dialoga, a meno che noi siamo superbi, restii e che rifiutiamo. Se noi aderiamo, Lui ci accompagna e ci accorgiamo che è Padre, e che siamo  accompagnati da un Padre.

“Credetemi”: è un invito alla fede e a lasciarci guidare in tutto da questo pensiero di fede. Il Creatore, Dio, Colui che ci ha fatti dal niente, ad un certo momento si abbassa e dice: “Credetemi”, quasi che chieda a noi l’elemosina di un atto di fede. Eppure lo fa ancora per noi.

Elisa: “Se non altro credetelo per le opere stesse”. Hai spiegato che le opere stesse sono la creazione, che dobbiamo credere che è opera di Dio; ma qui Gesù invita a credere che Lui è nel Padre.

Luigi: Sì, perché tutto è opera del Padre, invita a credere che “è il Padre che opera in me”. Come dire “In quanto il Padre opera in me, è il Padre che opera in tutto”.

Silvana: Allora si capisce anche questo “Io sono nel Padre”; cioè, anche noi siamo nel Padre?

Luigi: Certo,

Silvana: Che il Padre sia in tutte le cose (“Il Padre è in me”) d’accordo, ma che noi siamo nel Padre (“io sono nel Padre”) è diverso…

Luigi: Sì, credendo a quello che si annuncia a noi, anche noi siamo nel Padre, perché diventiamo motivati da-; perché noi siamo fuori proprio perché possiamo avere altri motivi. Gli stessi doni di Dio possono essere fuorvianti, cioè ci possono fa uscire dalla casa di Dio. Noi il più delle volte usciamo dalla casa di Dio in nome dei doni di Dio: preferiamo la creatura al Creatore. Ma la creatura è dono di Dio! Quelli che non assaggiano la cena, chi sono? Sono quelli che dicono: “Signore, io ho i buoi, io ho i campi, io ho la moglie…”. Ma i buoi, i campi, la moglie sono tutte creature sante, creature di Dio. Eppure, in nome delle creature di Dio, noi usciamo: “non assaggeranno la mia cena”. Dicono: “abbimi per giustificato”. No, non sei stato giustificato. Non è che dicono “io sono una prostituta, quindi non posso venire…”, oppure “io vado a rubare, non posso venire”. No, ma dicono “io ho i campi, i buoi, la moglie”; quindi in nome dei doni di Dio, rifiutiamo l’invito di Dio. E questo avviene quando i doni diventano motivanti, ed è per questo che noi ci sottraiamo a Dio. Dio deve diventare in noi il motivo del nostro esistere, perché è il motivo del nostro esistere. Se Dio è il tuo Signore, abbilo per Signore; se Dio è Creatore, abbilo per Creatore. Se Dio ti è Padre, abbilo come Padre; e se Dio è principio di tutto, mettilo come principio di tutto nella tua vita, allora vedrai che sarai nel Padre. L’essere in Lui presuppone da parte nostra l’adesione a ciò che Egli è. Allora si è inseriti.

Pinuccia: “Le stesse opere” non vanno intese come “opere del Cristo”? come se dicesse “non credete alla mia parola? Guardate alle opere che faccio”?

Luigi: Sì, ma tutte le opere sono opere di Dio; anche la Parola è un’opera, ed è opera di Dio. Cristo opera e parla come Figlio di Dio, quindi tutte le sue opere sono opere di Dio, anche le sue stesse parole, tutto quanto fa è opera di Dio.      


Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. Gv 14 Vs 12


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15/Novembre/1980


Quali sono le opere che Gesù compie nella nostra vita? (“ le opere che Io faccio”)?

Sono rivelazione, illuminazione. Però c’è una rivelazione del Verbo incarnato e c’è una rivelazione del Verbo che ritorna al Padre.

Quali sono le opere più grandi? La rivelazione del Verbo che ritorna al Padre.

--Con queste parole Gesù ci fa qui una promessa, ed anche una rivelazione: perché attualmente, nel Vangelo, il Verbo incarnato operante tra noi, compie opere che ci richiamano all’essenziale, ci raccolgono dalle nostre dispersioni, ci annuncia la Verità, ci ricupera dai nostri errori. Ma ci promette opere più grandi quando se ne andrà al Padre.

Cioè, qui annuncia e promette doni maggiori di quelli che riceviamo con il Verbo Incarnato. Infatti più avanti dirà: È necessario che io me ne vada, perché se non me ne vado, non potrà venire a voi lo Spirito di Verità”. Come mai? Fintanto che Lui è presente fisicamente nel mondo, questo impedisce a noi di ricevere lo Spirito di Verità. Perché? Perché noi ci fermiamo alla sua presenza fisica. Le presenze corporee sono un richiamo a Dio, ma ad un certo momento vanno trascese. Per questo c’è la morte, perché la Verità la si attinge soltanto in forma diretta, intima. Quindi bisogna superare ogni forma creata, perché è lì, in questo rapporto diretto, intimo con il Padre che l’anima resta illuminata, riceve cioè quella luce intima che è lo Spirito di Verità in noi, esperimentando personalmente la verità di quanto Cristo ci ha detto.

Questi doni maggiori sono quelli che vengono in noi quando Lui se ne va come presenza fisica, cioè col superamento di tutte le presenze fisiche. Il Verbo Incarnato è Uno che ci parla di una Sorgente in cui c’è acqua limpida, fresca,; parlandocene ce la fa desiderare e ad un certo momento ci fa giungere ad essa, dicendoci: “Ora attingi tu stesso alla sorgente”: ecco, lì abbiamo il dono maggiore, perché personalmente sperimentiamo quello che abbiamo sentito dire dal Cristo. Prima abbiamo accolto, ascoltato, creduto, sappiamo le cose per sentito dire e ci convinciamo che sono vere. Però è sempre un accogliere le cose per sentito dire.

Invece i doni maggiori sono l’esperienza personale, secondo la promessa di Cristo: “Lo Spirito vi farà vedere la Verità e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto e ve lo farà capire”. Quindi non più il sentito dire, ma lì abbiamo una convinzione personale, ed è lì che siamo chiamati a diventare una cosa sola col Figlio di Dio.

--“Chi crede, egli pure farà le opere che io faccio”: non è la creatura che le compie, ma è Gesù che le compie in lei.

Credendo in Gesù, la creatura partecipa della stessa vita di Cristo e quindi delle sue opere. Perché credere è essere con Uno che vede e quindi credere è partecipare a ciò che quell’Uno vede. Se ascolto una persona che mi parla, ricevo il suo pensiero; questo suo pensiero è per me un dono di partecipazione; non è che lo possegga, ma l’altro me lo comunica nella misura in cui resto con lui.

È una comunione di beni che si forma. Così avviene con Cristo: le sue parole, la sua sapienza, la sua bontà, ecc.: è tutto un dono che ci partecipa. La sua è Parola di Dio; non la capiamo ancora, però è convincente, ci apre squarci di luce e di vita e, se restiamo nell’ascolto, un giorno comprenderemo la profondità di ciò che ci ha detto, la profondità dei fatti e delle scene della sua vita. Ad es., davanti alla sua Croce sul Calvario, noi attualmente vediamo la sua sofferenza, e pensandolo in Croce quando soffriamo crea in noi una certa comunione. Ma di qui a capire il significato profondo della sua morte c’è un abisso. Così ora non comprendiamo come la sua morte è un centro attorno a cui gira tutto l’universo e la storia di ogni creatura. Abbiamo cioè una Verità che si annuncia, ma che noi non comprendiamo a fondo. Se la crediamo, la sappiamo  per sentito dire, ma non la possediamo ancora. Quando la possederemo avremo le opere, i doni maggiori; e questo avverrà quando Lui se ne andrà al Padre (= “poiché io vado al Padre”), andandosene al Padre ci da la possibilità di sperimentare personalmente la Verità di Dio.

--Le opere che Cristo fa, sono rivelazione illuminazione sulla volontà di Dio e sul Regno di Dio. Ci dice chiaramente ciò che Dio vuole da noi: “Sei creato per conoscere Dio e il suo Regno”. Non possiamo smentire questa sua Parola, perché arriva a noi con il sigillo, con la garanzia della Verità; è luce nelle nostre tenebre. Questa  è l’opera che Dio fa tra noi: non è un opera materiale, ma è uno squarcio di luce, per cui la creatura dice: “ho capito”; capisce il senso della vita.

Così pure quando mi parla del Regno di Dio, compie un opera tale che ad un certo momento vede il Regno di Dio.

Così Chi crede in me egli pure farà le opere che io faccio”: se restiamo con Lui, ricevendo dal Cristo, siamo assimilati a Lui. Parlando a noi, se ascoltiamo e crediamo, Lui ci assimila a Sé, quindi facciamo le stesse cose che fa Lui: mi fa buono come Lui è buono, mi fa umile come Lui è umile, ecc. Se restiamo con Lui ci fa simili a sé, per cui facciamo come fa Lui.

Il Cristo parlando ci trasforma: la sua Parola ci trasforma come Egli è. Infatti Egli ha detto: “Voi siete puri a motivo delle parole che vi ho detto”. Le sue parole sono acqua che ci lavano nella misura in cui le lasciamo entrare; per cui se ci avviciniamo a Lui ci fanno come Lui, ci trasformano e a poco per volta ci fanno figli, ci danno la sua mentalità di figlio; per cui ad un certo momento Cristo ci presenta al Padre, ci affida al Padre e se ne va fisicamente da noi.

“In verità, in verità… farà le opere che io faccio”. In queste parole “in verità, in verità”, c’è una assicurazione. Cristo ci assicura che più stiamo con Lui, più lo ascoltiamo e più diventiamo simili a Lui e facciamo come Lui, quello che Lui fa.

e ne farà ancora di più grandi: fintanto che Lui è con noi come Verbo Incarnato, se noi lo ascoltiamo, riceviamo da Lui certe illuminazioni e convinzioni per ciò che Lui dice a noi. Ma la Verità la possiede Lui e noi partecipiamo ad essa senza possederla ancora, per cui il punto di riferimento per noi è sempre la sua Presenza fisica.

Andandosene al Padre, ci conduce al Padre, e qui siamo chiamati a sperimentare nel Padre ciò che il Figlio esperimenta.

Cioè, prima conosciamo le cose per sentito dire, poi abbiamo una conoscenza personale. I doni maggiori, le opere maggiori, sono quella luce piena che ci verrà donata a Pentecoste, se noi crediamo. Prima sentiamo parlare della Sorgente  da Lui, e già ne godiamo con le sue parole, e magari ripetiamo ciò che dice a noi; quando se ne va al Padre, porta noi a vedere questa Sorgente di acqua e ci invita ad attingere ad Essa tanto quanto vogliamo: “attingi quanto vuoi ed esperimenta tu stesso”: qui abbiamo il dono maggiore, cioè il dono di poter noi stare come figli di Dio davanti alla Sorgente e di attingere noi direttamente ad essa quelle cose che Lui stesso ci diceva. Prima era Lui il nostro Maestro, ma a quel punto abbiamo in noi stessi il Maestro, in quanto possediamo in noi stessi la scienza e sapienza sua: il Padre. Non è che possediamo una scienza maggiore della sua, ma maggiore di quella che Lui ci diceva come Verbo Incarnato.  (“ne farà di più grandi”). Abbiamo qui la convinzione personale, il superamento della fede.

“Farà le stesse opere che io faccio”: le opere di Cristo sono opere di illuminazione, quindi l’opera della creatura che crede in Cristo è anche un’opera di illuminazione: illumina perché è illuminata, ma è sempre il Cristo che illumina. Però chi è illuminato illumina. E come? Prima di Pentecoste la creatura ripete per sentito dire ciò che il Cristo dice, ma è sempre il Cristo che parla; la Parola di Dio non trae e non perde valore dallo strumento che la dice: è sempre Parola di Dio, per cui noi non possiamo rifiutare la Parola di Dio perché la dice un bambino o un ubriaco.

Dopo Pentecoste “ne farà di più grandi ancora”: non parlerà più per sentito dire ma per esperienza personale. Qui è il vero fare della creatura: “capire”. Prima della Pentecoste il vero fare della creatura è  cercare di capire, fare la Verità. Questa è l’opera della creatura. Però non possiamo dire che l’opera del Cristo sia quella di capire, come quella della creatura, ma è opera di illuminazione. La creatura quest’opera di illuminazione la fa soltanto per riflesso. Quindi le opere che la creatura fa e farà se crede in Cristo, sono quelle di capire e quindi anche di illuminazione (è sempre Cristo che illumina): “Voi siete la luce del mondo”, dice Gesù ai suoi discepoli.

Il discepolo, colui che crede in Gesù, ricevendo luce dal Cristo, rimane trasformato in Lui (la luce trasforma) e diventa come Lui: umile, buono, capace di amare, ecc. Ma non è che la creatura si proponga di imitare Cristo in queste virtù, perché queste virtù sono effetti della luce (l’umiltà, ad esempio è verità: è umile chi comprende la Verità, è capace di amare chi comprende).

È logico che la creatura in quanto creatura, non riflette tutta la luce di Dio fintanto che non arriva a fare una cosa sola con Dio; ma anche quando arriverà lì, non potrà mai dimenticare che è stata creatura, un puntino che Dio ha fatto crescere all’infinito. Nel campo dei segni la luce è costituita da molti raggi e le cose ne riflettono solo qualcuno; ad esempio il rosso è luce che è stata privata di tutte le altre lunghezze d’onda.

La creatura è creatura in quanto è difetto del Creatore; ma più si avvicina al Creatore, più riflette tutti i suoi raggi, fintanto che viene trasformata tutta in luce: quando cioè sarà una cosa sola con Dio (ma ci sarà sempre la distinzione, non fosse altro perché è stata creatura).

“Chi crede in me”: noi dobbiamo credere per arrivare a conoscere. Prima si accoglie, cioè si crede, anche se non si capisce, con la speranza di giungere a capire  (così un allievo nella scuola). Ascoltare è credere: ricevo quello che l’altro sa ed io ancora non so. La fede non ti è data per finire di trovarti davanti ad un muro, ma perché ti impegni in quello che ti annuncia, la approfondisca, per arrivare a capirlo. La Verità ci supera per cui richiede dedizione. Per questo dapprima si annuncia e non si impone: si annuncia per preparare la nostra anima a capirla. Dio ci parla nella notte per portarci nella luce. Il dono maggiore è l’alba. Ora sei nella notte, non capisci, però se arriva uno che ti guida perché conosce il cammino, ti fidi e lo segui. Ti fidi perché ti da la garanzia che ciò che dice è vero, perché parlandoti ti fa vedere gli squarci di luce. Devi credere confidare, impegnarti: “Chi crede in Me…”.

Bisogna credere anche quando le sue parole sono difficili. Cristo ci fa arrivare ora queste parole del versetto 12: è una Parola difficile, però è Parola di Dio e non va scartata. È difficile perché Lui è Infinito, ma se lo amiamo al disopra di tutto, non va scartata; perché se dice queste parole, le dice perché sono necessarie per me, e allora mi impegno quel tanto che mi darà la grazia di capire.

È parlando che Lui eleva me. Si abbassa a giocare alle birille con me per portarmi nel suo Cielo, se lo ascolto; quindi mi parla, anche in modo difficile, non per abbassare me, ma per elevare me a Lui, al suo livello. Sono cose difficili, ma a noi è richiesto solo di rimanere uniti a Lui: capiremo.

-- perché io vado al Padre: Gesù andando al Padre, ci affida al Padre,quindi dobbiamo guardare al Padre, interrogare il Padre. Nella misura in cui rimaniamo uniti al Padre, arriveremo ai doni maggiori, perché è dal Padre che riceviamo i doni maggiori. Però Cristo prima di andarsene, ci ha preparato al punto tale che ci fa capaci di ricevere questi doni maggiori dal Padre direttamente. Quando avviene questo per noi ? Quando, preparati dal Cristo entriamo in quel processo in cui entrarono gli Apostoli dopo l’Ascensione di Gesù, di quei dieci giorni di attesa: tempo di silenzio e di raccoglimento, unicamente nel pensiero e nel silenzio del Padre, per conoscere ciò che procede dal Padre. Questo avviene solo a Pentecoste, alla nostra Pentecoste. Prima di Pentecoste, ci sono solo dei tentativi, si hanno brevi squarci di luci; ma i doni maggiori, cioè l’esperienza personale è stabile, lì riceviamo solo a Pentecoste. Queste cose Gesù ce le dice come promessa di Pentecoste, ed esse entrano in noi nella misura in cui ce le dice preparandoci così a riceverle. Quindi la Pentecoste non avviene automaticamente, ma    è preparata progressivamente. In Dio non avviene nulla di automatico, perché in Dio tutto è consapevolezza e avviene perciò tutto per consapevolezza. È il Verbo di Dio che parlando ci fa capaci di ricevere questi doni, perché la Verità supera noi. “Nessuno può salire in alto se non Colui che discende dall’Alto”.

-- Con l’Ascensione il Verbo Incarnato se ne va, ma in quei dieci giorni che precedono la Pentecoste noi rimaniamo col Verbo che guarda al Padre e ci dice:“Guarda al Padre”. Quindi in quei dieci giorni (tempo simbolico) siamo in rapporto diretto con il Padre, ma lo sapremo solo dopo ( quando il Padre si è rivelato a noi, facendoci nascere come figli) che è il Verbo che ci ha condotti lì e che siamo stati uniti al Verbo in quei dieci giorni di attesa. Prima non lo sappiamo perché non conosciamo chi è Gesù, non conosciamo chi è il Verbo, ma noi in realtà, siamo in intima unione col Verbo perché guardiamo al Padre. È solo guardando al Padre che sono col Verbo, perché il Verbo mi dice: “Guarda al Padre”. Posso restare con uno, solo se lo ubbidisco e faccio mia la sua volontà; quindi solo se ubbidisco al Verbo, solo se faccio la sua Volontà che mi dice: “Guarda al Padre”, resto col Verbo, col Figlio. Guardando al Padre sono col Verbo: ma questo lo scoprirò quando avrò conosciuto il Padre, perché nel Padre vedrò dal Padre nascere il Verbo. Scopriremo che lo sguardo al Padre da parte nostra sarà opera del Verbo stesso che è sempre stato con noi.   

Margherita: Che cos’è la Pentecoste?

Luigi:     È la venuta del Padre e del Figlio in noi; è la presenza del Padre e del Figlio che è lo Spirito Santo. Non è che vengano, che si spostino, perché sono presenti ovunque e la loro Presenza è la Verità. Ma è la presa di coscienza da parte nostra della presenza del Padre e del Figlio in noi. Nel campo dei segni abbiamo la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Gesù l’aveva annunciata: “Il Padre ed Io verremo in Lui e faremo la Nostra dimora in Lui” identificando con questa Loro venuta lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è lo Spirito della Presenza del Padre e del Figlio in noi. Egli già è presente, ma noi  non lo constatiamo: una cosa è credere che è presente e una cosa è prenderne consapevolezza, farne l’esperienza personale. Farne l’esperienza personale è Pentecoste. Gesù la chiama “venuta”, usando il linguaggio nostro, ma è una scoperta di ciò che già c’è. Non sono loro che si spostano venendo a noi, ma siamo noi che ci spostiamo dall’inconsapevolezza alla consapevolezza per cui constatiamo che già era così: scopriremo una novità che è cosa vecchia, perché scopriremo che  questa novità è sempre stata. È Dio che ci ha elevati a scoprire ciò che è Lui, e quindi a scoprire la sua Presenza, perché la scoperta della sua Presenza è conseguenza della conoscenza di ciò che Lui è. Attualmente non abbiamo coscienza di questa presenza perché ancora non sappiamo chi è il Padre e chi è il Figlio. Colui che ci conduce a conoscere Dio è anche Colui che ci conduce a scoprire la Presenza Dio.

         -- Perché Gesù ci dice queste cose in questo versetto? Ha uno scopo ben preciso perché certamente non ce le dice per aumentare la nostra cultura. Il suo scopo è quello di prepararci a quei doni maggiori; e noi ci prepariamo a riceverli, meditando su questi doni maggiori. Certo, sono parole misteriose, perché non le capisco ancora, ma se le accolgo, cioè se credo, arriverò a capirle e arriverò a constatare questa Presenza del Padre e del Figlio, proprio in grazie alle parole del Figlio. E quando arriveremo qui, capiremo che è tutto Lui che ha operato, non è merito nostro, ma è tutta grazia sua che ci ha condotto lì. La grazia sarà tutta del Figlio.

Domanda: Credere cos’è? c’è differenza tra il credere di allora e il credere di oggi?

Luigi:         Credere è impegnarsi in, vivere per. È impegnarsi in quello che Cristo ci dice. Non c’è differenza tra allora e oggi, ma tra stato d’animo e stato d’animo, perché c’è chi dice di credere in Cristo, ma in realtà vive per altro. Ognuno vive per ciò in cui crede. In questa giornata per che cosa sono vissuto? Dimmi per che cosa oggi tu sei vissuto e ti dirò ciò che è la tua fede. In ciò per cui tu vivi si rivela la tua fede. Anche nella stessa vera fede ci sono livelli diversi, perché nella fede c’è un cammino progressivo. Ci può essere una fede solo nominale: ma questa non è fede. Invece la vera fede può crescere tanto e diventare tanto impegnativa da trasformare tutto della nostra vita. È questa la fede di cui parla Cristo dicendo: “Chi crede in Me”. La fede vera è una passione per: ciò per cui patisci e soffri se non riesci a vivere per esso. La fede è ciò per cui vivi. Se vivi per ciò di cui ti parla il Cristo, allora credi a Lui. E Lui parlando ti assimila a Sé, ti fa come Lui, ti fa fare opere come Lui le fa: cioè si diventa umili come Lui, buoni come Lui, si supera se stessi, si ama, ecc., cioè si arriva ad avere in noi la dimensione divina del Cristo. Non solo, ma Egli promette doni maggiori a chi Lo ascolta e crede in Lui; e quindi, dicendoci questo, ci impegna sempre di più ad un superamento continuo: “Vieni più su, non accontentarti”. Non dobbiamo pretendere niente, ma essere in continua situazione di risposta (cfr.: “Quando sei invitato, vatti a mettere all’ultimo posto… perché chi ti ha invitato ti dica: Sali più su”). Egli ci invita a doni maggiori fino alla vita eterna. Sembra facile, ma non lo è, perché fede è passione per, è vita. È difficile perché sostanzialmente noi crediamo in altro, quante ore al giorno  noi viviamo per altro! E questo dovrebbe creare disagio in noi. Invece il vivere sempre per Dio non crea disagio in noi, ma gioia, perché è l’anima che vuole questo perché è la Verità.


Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. Gv 14 Vs 13


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15/Novembre/1980


Dobbiamo tenere presente che il linguaggio che usa Gesù in questi capitoli è un linguaggio che prepara l’anima alla Pentecoste: rivela realtà che l’anima potrà cogliere in pienezza e constatare solo a Pentecoste.

-- Per precisare questo “Nome di Gesù” dobbiamo dire chi è il Cristo e quand’è che siamo con Cristo. Cristo è il Pensiero Incarnato del Padre e siamo con Lui quando? Il Pensiero Incarnato parla a noi del Padre, poiché il Pensiero che si annuncia ad una creatura annuncia ciò che porta in Sé: il Padre. Siamo col Cristo, il Pensiero del Padre Incarnato nella misura in cui desideriamo di conoscere il Padre. Il Figlio incarnandosi cosa fa? Viene per parlarci del Padre, perché solo la “parola” può arrivare a noi, perché Dio non lo vediamo.

         Anch’io se voglio comunicare qualcosa a chi non vedo, ho solo la parola come mezzo, perché la parola è il segno per l’altra persona con cui voglio comunicare: chi parla, parla per suscitare nell’altra persona il desiderio di vedere quello che lei vede.

Così il Figlio parla a noi per suscitare in noi il desiderio di vedere quello che Lui vede per infonderci il desiderio del Padre, di conoscere il Padre, affinché siamo fatti partecipi della sua vita, della sua gloria.

Noi siamo con Cristo quindi se guardiamo al Padre, se desideriamo quello che Lui vuole che desideriamo, cioè se desideriamo di conoscere il Padre, perché il Figlio vuole farci desiderare di conoscere il Padre, perché senza questo desiderio l’anima non può arrivare a conoscere il Padre. Quindi chiedere nel suo Nome vuol dire chiedere quello che Lui vuole comunicarci: il desiderio di conoscere il Padre. Questo desiderio è la condizione indispensabile perché la conoscenza presuppone, oltre una Realtà oggettiva (la Verità), anche una dimensione personale. Senza questa dimensione personale l’anima non può conoscere.

Il Figlio opera tra noi per formare la fame di Dio (e la forma nella misura in cui noi lo ascoltiamo), perché senza la fame non si può gustare il Pane (= conoscere). Chiedere nel Nome di Gesù è quindi desiderare di conoscere il Padre. Se noi abbiamo questo desiderio perché abbiamo ascoltato Lui, il Figlio soddisferà la nostra fame. Ce lo promette, dicendoci: “lo farò”, cioè soddisferò questo desiderio. Ci da qui una garanzia, una promessa: se noi desideriamo di conoscere Dio, ci assicura che conosceremo Dio. Qualunque cosa chiederemo in ordine a conoscere Dio, Lui ce la concederà (questo vuol dire chiedere in suo Nome), perché il nome del Figlio è il suo amore: il Padre. “Lo farò”: soddisferò al vostro desiderio.

         “Se resterete nelle mie parole, conoscerete la Verità”. Quindi restare nelle sue parole è uguale a chiedere nel suo Nome. Infatti Lui parlando, se noi lo ascoltiamo, ci trasforma in fame, perché le sue parole suscitano in noi il desiderio di vedere ciò che Lui vede. Le sue parole sono come un rumore che ci arriva, ma vanno credute: ma per credere debbo essere disponibile: mi annuncia cose che non capisco ancora (ma se me le annuncia, già me le promette); se le ascolto, si forma in me il desiderio di vedere ciò di cui mi parlano e il desiderio mi fa capace di vederlo, perché il desiderio cresce, cresce, ecc. , come una pentola in ebollizione che raggiunge una temperatura tale che da un certo momento trasforma tutto in vapore, così questo desiderio cresce al punto tale che ad un certo momento viviamo solo più per arrivare là, ci trasforma in quell’unico desiderio che ci fa capaci di fare salti mortali per  vedere ciò che desideriamo vedere prima di tutto. Il Figlio parlando a noi vuole farci vivere unicamente per il Padre affinché ci sia concesso di giungere alla conoscenza del Padre.

Silvana:Questo chiedere nel suo Nome ed ottenere, vale anche per la preghiera per gli altri?

Luigi: Nessuna preghiera va persa. Ma per chiedere nel suo Nome, non basta dire “nel nome di Gesù”, se ho altri pensieri o desideri diversi da quelli di Gesù. Chiedo in suo Nome quando partecipo del suo desiderio e pensiero. Per stare con Lui cioè per chiedere nel suo Nome debbo desiderare ciò che Lui desidera, poiché Dio ci osserva nei pensieri, nella sostanza.

Infatti il nome del Figlio è il nome di Colui che vive per il Padre: il suo Amore è il Padre, il suo Pensiero è il Padre, la sua Passione è il Padre, il suo sguardo è il Padre, la sua Volontà è il Padre la sua Intenzione è il Padre. Quindi sono con Lui e prego nel suo nome anche per gli altri, se guardo a ciò che Lui guarda. Se invece prego per il benessere mio o di altri, la preghiera è fallita : non prego nel suo Nome, perché il nome di ognuno è il suo amore, ciò che desidera. L’amore del Figlio è il Padre, La molteplicità di amori ci rende deboli, incapaci quindi il nome del Figlio è il Padre, è amore per il Padre. Una creatura non ha più nome quando ha troppi nomi, cioè troppi amori (anche il diavolo ha tanti nomi perché ha tanti amori)., ci dà tanti volti per cui noi cambiamo a seconda degli ambienti in cui ci troviamo, quindi siamo senza nome. Questo avviene quanto più ci allontaniamo da Dio: lontani da Dio abbiamo tanti nomi perché abbiamo tanti amori. Invece più ci avviciniamo a Dio e più Lui ci unifica in un  unico amore, poiché Dio è il vero formatore delle persone; solo Lui costruisce l’unità di nome e di vita.

Ida:   Egli ci dice: “Lo farò”, però non sempre mi esaudisce quando gli chiedo che mi aiuti a superare la mia debolezza, ad es. la golosità. Vuol dire che il tempo per esaudire la mia preghiera lo fissa Lui?

Luigi:         Sì, il tempo è di Dio, poiché Dio sta formando la nostra anima, per cui ci vuole pazienza e costanza nel chiedere e nell’attendere: “ È con la pazienza che possederete le anime vostre”. Però è da notare che ogni nostra preghiera sostanzialmente è subito esaudita, anche se a noi non sembra ancora. Infatti facendoci scoprire la nostra povertà (ad es. perché non riusciamo a vincere la golosità) è segno che ha soddisfatto la nostra preghiera: scoprire questo è grazia di Dio! Se chiedo di vincere la mia golosità e non ci riesco è segno della mia debolezza, tocco con mano la mia povertà. La creatura che scopre la sua povertà è in grazia di Dio: Dio sta inondandola di grazie (invece è lontana da Dio quando si vanta, magari di aver vinto la golosità): Dio la sta avvicinando, quindi sta rispondendo alla preghiera. Quanto più crediamo di essere qualcuno, tanto più le nostre preghiere non sono ascoltate. Ma quando incominciamo a scoprire il nostro niente, cominciamo a scoprire il bisogno di Dio. Non sei tu che scopri tutto ciò, ma è Dio che si è avvicinato e ti fa sentire la povertà. Non è quindi questione di vincere o no la golosità, di mangiare la bignola o non mangiarla: se non ci aiuta a superare questo, Egli ci dà però un dono maggiore, proprio non dandoci ciò che abbiamo chiesto, perché ci fa scoprire la nostra povertà: ci prepara cioè ad una grande liberazione che è preparazione alla dipendenza da Lui in tutto. Quindi dobbiamo dirgli: Mi hai fatto una grande grazia: mi hai fatto toccare con mano la mia miseria e quindi mi hai fatto capire che debbo far conto su di te e non su di me. Egli ci libera quando lo preghiamo, dal vero male. Il vero male è il non tener conto di Dio, non far conto su Dio, cioè è un male tutto interiore. Se io non tengo conto di Dio, se non faccio conto su Dio, allora Lui mi fa sperimentare tante schiavitù, mi sottomette a tante debolezze, per farmi prendere consapevolezza di quello che vuol dire non far conto su di Lui:“Non hai tenuto presente Me, vedi allora che cosa combini senza di me? Questo è grazia. Mi hai richiamato a Te, Signore!

Facendoci toccare con mano le nostre schiavitù vi rivela che abbiamo bisogno di pensare continuamente a Lui. Egli dialoga continuamente con noi, per farci capire l’importanza che Lui ha per ognuno di noi, per “me personalmente. Quindi la preghiera non è stata esaudita secondo me, ma è stata esaudita secondo Dio. Andando oltre le apparenze, scopri che Dio, ogni volta che lo preghi, ti dà qualcosa di sostanziale.

Margherita: Questa parola di Gesù “lo farò” è un incentivo che fa aumentare la fede.

Luigi: È una cosa meravigliosa, una grande promessa che stimola la nostra fede. È promessa che quando si avvera, ci convince sempre più che Lui è Dio. Cioè, quando si avvera, riconosciamo la Divinità del Cristo, perché Dio “ha fatto”. Le cose cioè avvengono come Lui ha detto. Quanto più constatiamo che quello che il Figlio ha detto è vero, tanto più constatiamo la sua Divinità: allora il Padre viene glorificato nel Figlio. La fede allora diventa gigante. Cfr.: Il Cottolengo che butta dalla finestra l’ultimo scudo su cui faceva ancora conto la suora, per testimoniare la sua fede totale in Dio. Chi ha sperimentato Dio, chi constata la sua Presenza e Provvidenza non dubita più. Bisogna sempre superarsi e superare le sicurezze umane, con la fede in Dio. Più perdi e più guadagni. Il vero guadagno sta nel perdere. Invece noi perdiamo volendo trattenere. Butta via, vedrai ciò che il Signore fa, perché crescerai nella fede alla Presenza di Dio, facendo conto su Dio. Se invece facciamo conto su altro, ci chiudiamo in cose meschine, in paure, ecc. Bisogna superarsi e superare queste cose.

--“Affinché il Padre sia glorificato nel Figlio”: è scoperta della Divinità del Figlio, è sperimentare che nella Realtà le cose avvengono veramente come Lui ha detto, che la Realtà è quella. Arriverà il giorno in cui capiremo che Colui che ci parlava così è il Figlio.

--“ Il Padre sarà glorificato nel Figlio”: rivelato, manifestato, fatto conoscere. Cioè il Figlio farà quanto abbiamo chiesto nel suo Nome, affinché il Padre sia glorificato, manifestato, conosciuto, (chiedere nel suo nome è desiderare di conoscere appunto il Padre).

Pensieri conclusivi:

Silvana: Il Signore ci dà la certezza di esaudirci se vogliamo conoscere Dio (Lui ci dà la certezza dicendoci:“Lo farò”).

Piero: Siamo piccoli di fronte al Signore.

Ida:   Rendiamoci conto di essere deboli, chiedere la forza di confidare sempre più in Lui (questa fiducia in Lui è molto importante).

Margherita: Chiedere il dono della fede, perché tutto ruota attorno a questo.

Antonio: Il vero guadagno è perdere: ma è un atteggiamento positivo perché è un far conto solo su Dio.

C.: “Chi crede in Me compirà le opere che Io faccio e opere più grandi ancora”: la fede in Cristo porta a questa trasformazione di vita (a doni sempre maggiori, perché Dio è Infinito, quindi non si esaurisce mai; per cui questa parola “ne farà di più grandi” la troveremo eternamente, quindi ci porta a doni e vita all’infinito).

Nino: Quello che è fatto fuori dal Pensiero di Dio, tutto è zero, così pure ciò che non facciamo nel suo nome ( è sangue di Cristo sprecato).

Marco: Avvicinarmi a Dio come Padre.

B.: Fiducia che Dio mi porterà alla Pentecoste nonostante le mie debolezze (è grazia la debolezza).

Pinuccia: Questa promessa di doni maggiori è un invito a superarmi sempre, a non accontentarsi mai; è un invito a stare con Lui per giungere a questi doni promessi (questo superamento va fatto per

           


Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. Gv 14 Vs 14


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22/Novembre/1980


Nino: Qui promette che farà qualunque cosa noi chiederemo secondo l’intenzione del Padre.

Luigi: Secondo l’intenzione del Figlio, perché dice: “in mio nome”, “mio”, personale, quindi evidentemente è l’intenzione del Figlio; l’intenzione del Figlio è l’intenzione del Padre, perché Gesù è il Pensiero del Padre, è la Volontà del Padre. Invece se noi chiediamo qualcosa nel pensiero nostro o con l’intenzione di strumentalizzare Dio per qualche favore, questa richiesta non sarà esaudita. Gesù ci fa una promessa: ci promette che se noi restiamo in linea con il Pensiero del Padre non avremo ostacoli nel nostro progresso, otterremo tutto: “tutto ciò che domanderete…”, perché prima, al v.13 disse: “Tutto ciò che domanderete al Padre in nome mio”, ora dice: “Tutto quanto domanderete a me in nome mio”. Prima: “Tutto quello che domanderete al Padre”; adesso: “Tutto quello che domanderete a me”. L’elemento comune tra tutti e due è “in nome mio”.

Nino: Quindi non solo il pensiero, ma è proprio la Persona Figlio che ci viene proposta.

Luigi: Sì. Dice: “In nome mio”, cioè nella sua intenzione. Bisogna precisare quale è l’intenzione del Figlio, perché tutta l’opera del Cristo è di educare noi a diventare figli di Dio, ci insegna come si vive da figli di Dio e nello stesso tempo ci prepara alla Pentecoste; perché Lui nelle sue Parole sta già ponendo semi di Pentecoste in noi, e in questa Pentecoste c’è la scoperta del Padre e del Figlio. Quindi ci sta educando al rapporto intimo, personale che passa tra Padre e Figlio, perché: “Noi verremo a Lui e faremo abitazione in Lui”, e questo Gesù lo dice verso ogni discepolo, verso chi l’ascolta.

Comunque chiedere in nome suo, evidentemente vuol dire chiedere nella sua intenzione. E quale è l’intenzione del Figlio?

Nino: Fare la Volontà del Padre che vuole farci suoi figli.

Luigi: Il Figlio è Colui che in tutto glorifica il Padre, e l’intenzione del Figlio è quella di glorificare in tutto il Padre. Quindi: tutto quello che voi domanderete, per glorificare il Padre, cioè per conoscere la luce della verità, lo otterrete. “Tutto quello che voi cercherete, chiederete, per conoscere la Verità (ecco la promessa: “conoscerete la Verità”), io vi prometto che lo otterrete, vi prometto che lo farò”. Se uno ad esempio chiede di guadagnare dei milioni ( “Signore tu mi hai detto di chiederti qualunque cosa: fammi guadagnare dei milioni”) il Signore non glieli fa guadagnare.

A.: Praticamente è chiedere quello che Lui vuole darci, no?

Luigi: Sì, è essere in sintonia con il Figlio. Il  Figlio è Colui che in tutto riconosce il Padre. Noi siamo chiamati in tutto a riconoscere il Padre. Cosa vuol dire? Siamo chiamati a non ritenerci mai autonomi, a non ritenere mai le creature autonome, ma in tutto quanto bisogna cercare sempre l’intenzione del Padre, perché l’iniziativa è del Padre; Colui che opera, il Protagonista di tutti gli avvenimenti, di tutta la storia, della vita di ogni uomo, è sempre il Padre. Quindi glorifica il Padre! Riconosci il Padre! Riconosci la sua Presenza, la sua Verità, la sua Operazione, la sua Volontà in tutto, se vuoi abitare nella Verità. Per riconoscere questo l’uomo deve in continuazione superare se stesso, superare le creature, superare l’apparenza degli avvenimenti. È l’esempio della chiave inglese. Ecco, va superata la chiave inglese: bisogna vedere Colui che arriva a noi “con” la chiave inglese e non fermarci alla chiave inglese, allo strumento. Tutte le creature sono degli strumenti. Colui che viene a noi “attraverso” questi strumenti è il Figlio, il Pensiero del Padre, l’intenzione del Padre. Il Figlio di Dio è Colui che in tutto glorifica, riconosce il Padre, riconosce che tutto riceve dal Padre e che tutto fa ritorno al Padre. Quanto più noi facciamo questo, tanto più ci avviciniamo all’essere figli. Il Figlio di Dio è Colui che in tutto riconosce e glorifica il Padre. Questa è l’intenzione del Figlio, e questa è quindi l’intenzione che ognuno di noi deve preoccuparsi di avere. Quindi non fermiamoci mai alle creature, agli avvenimenti o al caso o alla natura o alle leggi staccate da Dio, ma in tutto cerchiamo sempre il  rapporto con Dio. E questa è la caratteristica del Figlio: quella di cercare sempre il rapporto tra l’opera e il Creatore, tra la Parola e Colui che la pronuncia. Egli non divide mai niente. Invece noi siamo portati a dividere, a separare sempre tutto. Il diavolo è colui che divide tutto, cioè divide la creazione dal Creatore.

Marco: Questo cercare il rapporto tra la  creatura e il Creatore si rivela poi nel cercare una nostra unione con il Padre, no?

Luigi: L’unione è una conseguenza. Chi raccoglie, resta resta raccolto.

Marco: Cosa vuol dire raccogliere in Dio?

Luigi: Prima di tutto, bisogna accogliere tutto da Dio sapendo che tutto viene da Dio; dobbiamo accogliere tutto da Dio. Quindi non attribuirlo ad esempio alle creature o al caso, ecc. Tutto, in quanto accade, mi piaccia o non mi piaccia, in quanto viene, mi accade, succede, è opera di Dio, è Dio che me lo manda. Ora, Dio me l’ha mandato, io lo accetto, anche se non capisco niente, perché Lui sta operando su di noi, sta lavorando, sta facendoci: non siamo fatti, ma sta facendoci. Adesso, avendo accolto, cerchiamo di raccoglierlo in Dio, cioè di vederlo nella sua intenzione: “Perché Signore? Che cosa mi vuoi dire? Quale lezione mi hai voluto dare o mi vuoi dare attraverso questa parola, attraverso questo incontro, attraverso questo fatto? Che cosa mi vuoi significare?Dio in tutto ciò che manda a noi, parla a noi. Il suo operare è un parlare, perché Dio significa Se stesso. Allora noi dobbiamo accogliere tutto sapendo che c’è Dio e dobbiamo cercare il significato in Dio, cioè il Pensiero di Dio. Ma cercare il suo Pensiero vuol dire cercare suo Figlio, cercare il Verbo (Pensiero del Padre è il Verbo). E questo è domandare. “Qualunque cosa domanderete”: domandare, cioè cercare il Pensiero del Padre è domandare al Padre l’intenzione con cui Lui opera o ci presenta le cose. Operando questo, cercando questo (e questa è vera preghiera, perché è elevazione della mente a Dio e noi non potremmo elevarci se Dio non facesse arrivare qualcosa a noi attraverso cui ci sollecita ad alzare gli occhi a Lui), raccogliendo, quindi riportando a Dio (“Dà a Dio quello che è di Dio”, questa è la vera giustizia), noi ci riportiamo a Dio. Raccogliendo restiamo raccolti. Noi abbiamo molta difficoltà a raccoglierci, perché raccogliamo poco. Ma se noi incominciamo a raccogliere molto in Dio, quanto più raccogliamo, tanto più sarà molto facile a noi essere raccolti. Ad un certo momento c’è l’unione. L’unione è data dal tanto raccoglimento, cioè da quanto tu hai raccolto. Ognuno ha la possibilità di essere unito a Dio nella misura in cui ha raccolto in Dio.

Ida: Come faccio a capire che il significato che io do a una cosa è proprio quello di Dio?

Luigi: Non sei tu che lo dai, è Dio che lo dà; perché qui dice: “qualunque cosa domanderete in mio nome”: domandare in suo nome vuol proprio dire cercare il significato, il Pensiero di Dio in tutto e Lui dice: Io lo farò, cioè “Io ve lo farò conoscere”.

Ida: Ma qualche volta diamo il significato che vogliamo noi, e allora come facciamo a saperlo?

Luigi: Certo, può succedere che diamo il significato che vogliamo noi. Ma noi dobbiamo sapere ciò che vogliamo. Il significato di Dio dobbiamo cercarlo nel raccoglimento in Dio, perché Dio ci promette che Lui ci rivela  quanto cerchiamo.

Ida: Però non avremo mai la sicurezza che quello è proprio il significato di Dio.

Luigi: Quanto più conosceremo Dio, tanto più avremo la sicurezza di quello che vuole Dio; perché la sicurezza è una meta. La certezza è una meta. La conoscenza della Verità è una meta. Certo, è logico, quando noi raccogliamo poco siamo molto insicuri; chi è lontano è sempre incerto; chi è in cammino è sempre nel dubbio: questa strada mi porterà nel giusto o no? Mi porterà a quel paese o no? Continua a camminare: quando arriverai, constaterai: ah, sì, era proprio quella la strada! Ecco, è la meta! È nella meta che c’è la sicurezza, la certezza. Noi non possiamo cercare la certezza prima. Cammina! Quando sarai arrivato, constaterai ed allora avrai la sicurezza. La sicurezza è data dalla visione.     Quando uno vede che tutte le cose coincidono, collimano, confermano, ecc. può dire: “ah, è proprio così!”. Allora uno ha la  testimonianza di tutto: questa è la meta. E questa è una conseguenza dell’ubbidienza. Infatti noi siamo insicuri, incerti, appunto perché ubbidiamo poco. Allora siamo molto dispersi. Nella dispersione, nella lontananza da Dio c’è insicurezza, c’è dubbio, c’è incertezza: ma questo è effetto di lontananza. Il dubbio è il segno della nostra lontananza, ma nello stesso tempo è anche sollecitazione da parte di Dio ad avvicinarci. Con il dubbio Dio ci dice: “Guarda, tu sei confuso, sei nella notte, sei nelle tenebre”; nelle tenebre uno non sa dove va, c’è il dubbio, c’è l’incertezza. Questo è segno che si è molto lontani. Affrettiamoci allora! Affrettati a cercare Me, a raccoglierti in Me, nel silenzio e raccoglimento”.

Nino: Obbedienza vuol poi dire fede, no?

Luigi: Sì, la vera fede appunto è obbedienza, è ricerca. Perché la fede è passione per l’unità. Quando uno ha la passione per l’unità di Dio tutto quanto riferisce a Dio, tutto quanto riporta a Dio e non è soddisfatto fintanto che non vede le cose in Dio. E questo vuol dire cercare, questo vuol dire domandare, chiedere. La fede ci fa chiedere. La fede che non chiede, la fede che non conclude in amore, non è fede: è un nome vano, non è passione. La fede è passione per l’unità di Dio. Quindi è voler vedere in tutto il Pensiero di Dio, è glorificare Dio in tutto. Siamo fatti per glorificare Dio. Glorificare Dio vuol dire cercare la sua Verità in tutto, non accontentarsi di quello che dicono gli uomini, di quello che appare ai nostri sensi, delle nostre intuizioni; vuol dire cercare presso Dio. E questo è domandare, è il vero domandare.

A.:    Quindi chiedere nel nome di Gesù è chiedere secondo la sua Volontà.

Luigi: Sì. Bisogna precisare che cosa è Gesù. Gesù essendo Figlio di Dio è Colui che in tutto si preoccupa di glorificare il Padre, in tutto riconosce l’opera del Padre, in tutto accetta l’opera del Padre e tutto riporta al Padre. Questo è la caratteristica del Figlio. E il Figlio parla a noi (e questo è vero amore) per insegnare a noi come si vive da figli di Dio, affinché anche noi sappiamo come si vive da figli di Dio.

Pr.:   La certezza però io posso averla anche prima di arrivare alla meta, perché qui dice: “Io lo farò”, se chiediamo nel modo giusto, anche se siamo lontani.

Luigi: Sì, se abbiamo fede. Si presuppone sempre la fede in quello che Lui ci dice. Certo in queste sue parole c’è una promessa, è una promessa di Dio: “Io lo farò”. Però fintanto che ascoltiamo e non abbiamo ancora esperimentato che “Lui fa”, possiamo essere insicuri. Certo, se chiediamo, ad un certo momento ci accorgiamo che Lui fa, che effettivamente risponde, constatiamo: “ah, è proprio vero!” ed allora incominciamo ad avere una sicurezza. Perché se ad una persona che mi dice: “domanda, e ti darò ciò che chiedi” chiedo ad es. un milione e quel milione mi arriva, dico: “ah, è proprio vero quello che mi ha detto!”: mi ha detto di chiedere e lo ottengo, allora ho la sicurezza. Indubbiamente, verso Dio devo chiedere “in nome mio”, cioè nella sua intenzione, quello che Lui vuole comunicarmi. Ora, la sua intenzione è l’intenzione del Figlio. Quindi: “qualunque cosa voi cercherete in Dio (riportate in Dio) per ottenere la luce, per conoscere la Verità, vi assicuro che vi sarà dato”. Non dice che ce lo dà subito, perché molte volte ce lo fa aspettare, però ce lo fa aspettare perché la nostra anima non è preparata ad accoglierlo; ma c’è la promessa: “lo farò”. Ora, questa promessa deve dare a noi la pazienza: pazienza nel vero senso di passione per, la pazienza di aspettare il dono, sapendo che Lui ce lo vuole dare. Lui ce l’ha promesso. Quindi chiede: “Sii paziente! Al momento opportuno ti sarà dato”, cioè la luce viene. L’importante è cercare la luce, e la Luce viene. Ora, cercare la luce vuol proprio dire cercare il Pensiero del Padre in quello che Lui mi manda. Per cui: il Signore ti ha mandato questo? Ecco, tu accoglilo da Dio, cerca presso Dio qual è il suo Pensiero, qual è la sua intenzione, che cosa ti vuole o ha voluto comunicarti attraverso questo fatto e Lui ti promette che te lo rivelerà. Allora, se uno esperimenta questo, quanto più esperimenta, tanto più naturalmente incomincia ad entrare nel campo della Verità, cioè nel campo delle certezze, nel campo del Regno di Dio; incomincia a vedere il Regno di Dio. E quanto più uno vede il Regno di Dio, tanto più è libero, perché noi siamo schiavi di- in quanto non vediamo il Regno di Dio; e allora abbiamo paura: “sì, sì, Dio esiste, ma può darsi che…; se io non ho i soldi come faccio? se io non ho il lavoro come faccio? se io non ho dei conoscenti come faccio? ecc.”. In questo caso credo in Dio, ma ho delle insicurezze. Quanto più uno esperimenta che Dio è Colui che regna in tutto tanto più è libero da tutto, perché non fa più conto su se stesso, su quello o quell’altro. Perché tutto viene da Dio. Ma questo indubbiamente è una conseguenza dell’avere esperimentato. Ora, per esperimentare bisogna chiedere, bisogna domandare, bisogna cercare, bisogna cercare la luce, il significato, il Pensiero di Dio in tutto. 

Pinuccia: Chiedere nel “suo nome” vuol dire chiedere secondo l’intenzione del Figlio, e l’intenzione del Figlio è glorificare il Padre.

Luigi: Quindi dobbiamo desiderare anche noi di glorificare il Padre. Chiedere in suo nome vuol dire chiedere “tutto quello che riguarda la glorificazione del Padre, cioè la conoscenza della Verità del Padre”.

Pinuccia: Quindi anche in questo versetto, Egli potrebbe concludere come ha concluso il versetto precedente ( “Tutto ciò che domanderete al Padre in nome mio io lo farò”): affinché il Padre sia glorificato nel Figliuolo”.

Luigi: Certo.

Pinuccia: Allora, che si chieda al Padre o al Figlio, il Figlio lo farà affinché il Padre sia glorificato.

Luigi: Sì, certo. Ma stiamo sempre attenti che Lui ci sta educando alla Pentecoste, cioè ci sta educando  alla scoperta della Persona del Padre e della Persona del Figlio. Infatti dice: “Qualunque cosa voi domanderete al Padre…” e adesso dice: “Qualunque cosa voi domanderete a Me…”. Vedi? Padre e Me… E tutte e due le volte dice: “Io lo farò” e l’elemento comune è sempre questo “in nome mio”, perché noi possiamo chiedere al Padre non in nome suo e allora non verrà fatto. Chiedere nel nome di Gesù non è dire il nome di Gesù; cioè: mi rivolgo al Padre e gli dico: “Nel nome del tuo Figlio Gesù fammi guadagnare mille lire”, perché certamente Lui non me le dà; in tal caso io debbo concludere che ha detto  una cosa non vera? No, non è la cosa che non è vera, sono io che non ho capito il suo Nome. Cioè io mi sono fermato al nome Gesù, all’espressione superficiale, all’espressione esteriore, nominale, non ho cercato invece la sua intenzione. In tutte le cose dobbiamo sempre cercare lo Spirito di quello che Lui dice. Ora, qual è lo Spirito del termine “ in nome mio”? Noi domandiamo in nome suo in quanto abbiamo la  stessa sua intenzione, cioè vogliamo glorificare il Padre. Allora qualunque cosa voi domanderete, chiederete, cercherete per conoscere la gloria del Padre, io vi assicuro…” Questa è la Parola di Dio: “Io vi assicuro che questo vi darò. Sei nella notte? Cerchi la luce? Ti assicuro che la luce sorgerà per te”. Ecco la promessa del Signore! “Io ti assicuro che la Luce sorgerà”: abbi solo pazienza! Chiedi, insisti, cioè entra in questo rapporto di preghiera, in questo rapporto personale. Egli dice: “Quando vuoi pregare, entra nel segreto della tua stanza (qualunque cosa chiederete al Padre: chiedere al Padre vuol dire entrare in preghiera), e lì nel segreto rivolgiti al Padre, perché il Padre ti ascolta!” Ascolta vuol dire che risponde. Questo  “chiudi l’uscio” e rivolgiti al Padre” vuol dire presentare al Padre il bisogno essenziale della nostra anima, che è bisogno di Luce. Ora, il Padre ascolta questo bisogno. Cosa vuol dire ascolta? Risponde a questo bisogno, quindi illumina l’anima. Cioè ad un certo momento ci fa capire che in questo nostro bisogno, in questa nostra ricerca c’è già Lui: “Tu non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato. Tu non sentiresti il bisogno di Me, se già non mi avessi già presente”. Infatti noi non possiamo desiderare una cosa se in certo qual modo noi non l’abbiamo presente. Noi non possiamo volere una cosa che ignoriamo: dobbiamo averla presente.

Pinuccia: Quindi questo “affinché il Padre sia glorificato nel Figlio” esprime proprio l’intenzione del Figlio.

Luigi: Il Padre è glorificato solo nel Figlio. Cioè, qui siamo in quei termini su cui ci siamo già soffermati diverse volte: quando noi preghiamo Dio, noi pensiamo Dio, non siamo noi che pensiamo Dio; perché noi quando pensiamo Dio, o pensiamo il Padre, Lo pensiamo con il Pensiero del Padre, con il Pensiero di Dio, quindi siamo col Figlio. È il Figlio in noi che guarda il Padre, è il Figlio in noi che prega il Padre. Noi non potremmo desiderare la Verità, se non avessimo già in noi questo pensiero della Verità. Quindi quando noi pensiamo Dio, noi pensiamo a Dio col Pensiero di Dio, cioè col Figlio. E allora ecco che qui abbiamo la glorificazione del Padre e del Figlio. Glorificazione è rivelazione, manifestazione di ciò che uno è in Dio, nella Verità.

Pinuccia: Quindi “nel figliuolo” (“affinché il Padre sia glorificato nel figliuolo”) vorrebbe dire “per mezzo del Figlio” cioè il Padre si manifesta a noi per mezzo del Figlio?

Luigi: Sì, ma è la glorificazione del Figlio! Il Padre è glorificato nel Figlio, perché noi scopriamo anche il Figlio, non soltanto il Padre. Quindi questo nel” significa “per mezzo”, perché scopriamo anche il Figlio. Qui Gesù sta seminando semi di Pentecoste, cioè sta parlando dei rapporti tra Padre e Figlio, tra le Persone Divine, sta educando l’anima di chi ascolta alla scoperta del Padre e del Figlio: perché noi, ascoltando le parole del Cristo, siamo inseriti nella vita eterna. E la vera vita eterna è conoscere Dio come vero Dio, quindi siamo inseriti nella vita Trinitaria.

Ida: Noi dobbiamo avere pazienza, ma il Padre deve aver pazienza più di noi, perché deve attendere il momento opportuno per darci i suoi doni; ad es. il dono della preghiera.

Luigi: Sì. Non ti sei mai trovata con dei bambini che scappano da tutte le parti? Ebbene, quelli sono soltanto uno specchio dei nostri pensieri, della nostra anima, che scappano da Dio da tutte le parti.

Ida: Mi succede di chiedere determinate cose nel suo nome, ma poi magari il giorno dopo è come se non le avessi chieste.

Luigi: Non è con le parole che noi chiediamo a Dio. È proprio con pensiero paziente, cioè col pensiero che si ferma a guardare Dio per ricevere ciò che chiediamo. È lì il lavoro di pazienza. “Con pazienza giungerete a possedere le anime vostre” dice Gesù. “Con la pazienza”. Certo, è logico, noi non potremmo avere pazienza se qualcuno non ce la desse. Il primo donatore, la fonte della pazienza è proprio Dio. È Lui che dona a noi la pazienza. Tutto quello che noi abbiamo è sempre una risposta. Se noi siamo capaci di amare, il nostro amare è già una risposta all’Amore di Dio, cioè è Dio che per primo ama noi. Se noi abbiamo qualche cosa di luce, questa è già una risposta. Se noi sentiamo il bisogno di-, il nostro bisogno di- è già una risposta a Dio che ci ha interrogati su qualche cosa. Tutto il nostro comportamento è sempre un rispondere a-. Noi dobbiamo convincerci di questo. Ecco, non c’è autonomia in noi: noi siamo creature e, in quanto creature, siamo sempre dipendenti. Quindi tutto quello che hai non è tuo, l’hai sempre ricevuto e quello che tu dici tuo, è soltanto una risposta a ciò che Dio ti ha dato. Noi da soli siamo vuoto, siamo niente, siamo polvere e quindi non possiamo vantarci di niente. Abbiamo vita? È perché abbiamo ricevuto vita. Abbiamo una carica di amore? È perché abbiamo ricevuto amore. Abbiamo una carica di intelligenza? È perché abbiamo ricevuto intelligenza. Siamo capaci di volere? È perché abbiamo ricevuto volontà. Ecco, è tutto un rispondere. Però noi possiamo essere in difetto rispetto ai doni ricevuti. Per cui noi riceviamo cento e magari rispondiamo per dieci, per nove, cinque, ecc., oppure non rispondiamo. Ma, in tutto ciò che noi sentiamo, abbiamo bisogno o crediamo, ecc. c’è sempre un rispondere a Dio.

Ida: Quando chiediamo una cosa e il Signore non ce la dà, il giorno dopo è difficile dire: “Sia fatta la tua Volontà”.

Luigi: Sì, non è facile, certamente, però Lui ce lo fa dire, perché noi dobbiamo scoprire qual è la sua vera Volontà. Noi il più delle volte chiediamo delle cose che sono dannose. Dio, che conosce molto più di noi ciò di cui veramente abbiamo bisogno non ce lo dà, per non farci dannare. Oppure magari chiediamo anche la luce, chiediamo anche la Verità, però non abbiamo l’anima capace di portarla. Gesù stesso dice: “Ho tante cose da dirvi e da darvi, ma non siete capaci di portarle”. Ora, la Verità richiede una veglia infinita, (perché la Verità è un Infinito) per essere portata. Dio stesso dice:non date le vostre perle ai cani, non le possono comprendere, quindi le calpestano e le distruggono. Ecco, Dio da dei cani deve formare delle anime capaci di accogliere i suoi doni. Dio sta lavorando per rendere noi capaci di portare i suoi doni. Egli ha doni immensi da dare alle sue creature, ma il più delle volte restano nelle sue mani, perché le creature non li cercano. Le creature chiedono delle cose miserabili anziché chiedere dei doni veri, i doni di vita eterna e questi restano sciupati.             


“Se mi amate, osservate i miei comandamenti”. Gv 14 Vs 15


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22/Novembre/1980


Nino: L’amore si dimostra cercando sempre l’intenzione dell’Altro, non affermando la nostra volontà, la nostra intenzione.

Luigi: Certo. Egli dice: “osserverete”, cioè osserverete la mia intenzione nelle mie parole, osserverete il mio Pensiero, le mie parole. Infatti altrove dice anche: “se mi amate osserverete le mie parole. Osservare vuol dire cercare di capire: “cercherete di custodire, di meditare, di approfondire, di capire, quelle cose che vi ho detto”. E una delle prime parole che Lui ci dice è questa: Non preoccupatevi del mangiare e del vestire: cercate prima di tutto il Regno di Dio. Quindi: “se mi amate, osservate quello che Io vi ho detto, cioè cercate prima di tutto il Regno di Dio.Nella misura in cui ci impegniamo a cercare prima di tutto il Regno di Dio, si rivela l’amore. Il più delle volte riteniamo che l’amore sia sentimento; magari diciamo: “Signore, io ti amo con tutto il cuore”, ma poi cerchiamo altro. In tal caso ci sentiremo dire: “se mi amate, cercate quello che io vi dico di cercare; ma se voi non cercate quello che io vi dico di cercare, anche se a parole, con la bocca, voi dite che mi amate, il vostro amore non è sincero, non è autentico, è ben altro!”

Silvana: Qui però Gesù ci dice di osservare i suoi comandamenti (plurale) non uno solo, anche se nel primo ci sono tutti gli altri dieci.

Luigi: Nella parola “comandamenti”, anche se quei dieci sono inclusi, si intende il suo parlare, le sue parole: “osservate le mie parole” o per lo meno: “osserverete l’intenzione delle mie parole, lo spirito delle mie parole”, cioè la sua Volontà che è nelle sue parole. Infatti dice: “miei”: cioè “quello che io voglio”. “Osserverete quello che io voglio”, cioè “lo capirete”.

Noi tante volte leggiamo il Vangelo e non afferriamo la Volontà del Cristo, il messaggio che c’è nel Vangelo. Il più delle volte si legge il Vangelo e si colgono norme morali, leggi di comportamento, modi di essere; e si sente dire “Lui mi consiglia questo e allora adesso mi comporterò così, farò questo o quello…”: non si coglie l’anima. Ecco, il suo comandamento è cogliere l’anima; e cogliere l’anima di Gesù è glorificare il Padre.

Quante volte uno legge il Vangelo e non capisce che al centro di tutta la vita del Cristo c’è questo glorificare il Padre.

Lui viene a noi per farci conoscere il Padre. Invece noi il più delle volte lo riteniamo come un Maestro di morale, di norme etiche, di comportamento nei riguardi degli altri (amore verso gli altri,ecc.) e non capiamo invece che l’anima di tutta la vita del Cristo, di tutto il suo messaggio, la sua Volontà centrale, è proprio questa: Lui è venuto per dare a noi la possibilità di conoscere la gloria del Padre: “affinché il mondo sappia che Io amo il Padre”. “Affinché il mondo sappia”. Lui va alla morte, alla morte di Croce affinché il mondo sappia che Lui ama il Padre. Lì si rivela il vero amore del Figlio di Dio, lì è il dono della sua vita. Egli è venuto a donarci la sua vita; noi però questo suo dono lo intendiamo nel senso che l’ha sacrificata. No, la sua vita è il Padre! Quindi Lui è venuto a donarci la sua Vita!

Vita di uno è ciò che quell’uno ama, ciò per cui vive. Egli è venuto a dare a noi ciò per cui Egli vive. Lui vive per il Padre ed è venuto a dare a noi la sua vita, è venuto cioè a dare a noi il Padre. Noi invece ci fermiamo alla sua vita fisica: Lui ha sacrificato la sua vita fisica, quindi ha dato la sua vita fisica. Ha dato ben altro! Perché quand’anche avesse dato la sua vita fisica e non avesse dato il Padre, il suo sacrificio sarebbe vano. Quanti sacrificano la  vita e muoiono, offrono la loro vita fisica; ma il loro sacrificio è vano, non serve. Ora, il sacrificio della sua vita fisica è stato soltanto un segno della vera vita che Lui è venuto ad offrire. Lui è venuto ad offrire a noi la vita del Padre, che è la sua vita, la vita del Figlio. È venuto ad offrire a noi il Padre!

Marco: A me succede che rispondendo alla volontà di Dio con l’intelligenza e non col cuore e non avendo fiducia nella forza che Lui mi potrebbe dare, il mio io subisce una lacerazione; sia ad es. di fronte ad una vetrina di sport come ad altre cose a cui rinunzio.

Luigi: C’è il conflitto. È logico, perché noi abbiamo un fine e questo fine ci porta naturalmente ad essere interessati a tutti i mezzi che servono per ottenere quel fine. Il problema nasce in quanto noi vogliamo resistere ai mezzi senza distaccarci dal fine: è logico che ad un certo momento questo si crea la lacerazione. Dobbiamo correggere il fine. Ad esempio: fintanto che tu ami lo sport prima di tutto, quello sport ti condurrà sempre alla vetrina dello sport. E se dici: “io la vetrina non la voglio vedere”, allora si crea la lacerazione, perché tu ami lo sport. Soltanto correggendo l’amore, si corregge il cuore. Bisogna correggere il fine, questo è essenziale, perché se io vivo per quella cosa, naturalmente quella cosa mi porta a fare tutto una serie di scelte. E se mi propongo di non fare queste scelte, anche perché magari entro in conflitto con la morale, ecc., creo lo strazio dentro, perché io amo quella cosa. Ora, Dio invita a modificare il fine: “No, quello che tu devi modificare non è la vetrina; devi modificare il cuore, cioè devi modificare il fine, ciò che tu ami prima di tutto”. Se noi avvertiamo lo strazio tra il fine e la vetrina è perché abbiamo un fine diverso da quello che Dio vuole. Allora ad un certo momento ci troviamo in conflitto, per cui siamo sollecitati a volere una cosa che ci accorgiamo che è una debolezza e che è male. Da questa conflittualità deve nascere, se cerchiamo veramente il Signore, l’interrogazione: “Perché mi metti in questo conflitto? Perché mi fai sentire questo strazio? Perché questo?”. Ecco, se cerchiamo presso Dio, Dio risponde: “perché il tuo cuore è orientato ad altro da Me non sei ancora orientato a Me; allora ti porto di fronte ad una conflittualità”.

Pinuccia: Quindi è un aiuto questo conflitto.

Luigi: Tutto è aiuto da parte di Dio. Sono segnali, sono semafori che il Signore mette sulla nostra strada per correggere la meta. Lo scopo è sempre la correzione della meta, cioè la correzione dell’amore.

Amalia: È sempre il fine che determina la nostra vita, il comportamento ecc.

Luigi: È sempre il fine. Soltanto che il più delle volte noi siamo determinati da fini che non mettiamo in discussione… Quindi è logico che se io credo che sia un bene un certo fine, ad es. amo il denaro, perché vedo che è utile, che serve, ecc., questo denaro indubbiamente mi porta a certe scelte; ma queste scelte ad un certo momento diventano immorali, e allora lì entra il conflitto. Ma il problema non sta nel modificare le scelte. Io debbo modificare la prima scelta: l’amore essenziale. E fintanto che non entro nella scoperta del vero fine che debbo volere, per cui debbo vivere, sarò sempre in questi conflitti. Ed è Dio che mi conduce in questi conflitti. Ed è opera di misericordia da parte di Dio, perché mi sta dietro per aiutarmi a modificare il mio amore essenziale. È logico che se io vado a Cuneo e ad un certo momento mi trovo sulla strada di Mondovì, e me ne accorgo perché non trovo i paesi che dovrei trovare sul cammino, provo lo strazio. Ma quei paesi diversi sono segnali per dirmi: “hai sbagliato strada; guarda che tu devi andare in un altro luogo”. È un indice, un semaforo. Sono semafori che il Signore ci mette per correggere la finalità della nostra vita, la finalità che mettiamo prima di tutto.

Marco: Ognuno di noi però ha una strada, cioè deve portare tutte le cose che possiede al Signore, e queste cose sono cose diverse.

Luigi: Certo. Però la meta è una sola, quindi l’amore è uno solo. Dio è Uno solo. Teniamo sempre ben presente questo: Dio è uno solo, la meta è una sola. Però ognuno, in quanto creatura, ha un suo spazio, un suo tempo, è creato in un ambiente diversificato dall’altro, per cui ha anche temperamento, tendenze, natura diverse dall’altro. Ma la meta è unica, per tutti. Allora ognuno ha un suo baule da portarsi, da superare, però deve sempre guardare là, lo scopo è sempre questo: Dio è la nostra Vita, il nostro fine.

Marco: Cioè dobbiamo riuscire ad accendere un fuoco con quello che abbiamo.

Luigi: Certamente. Quindi anche tutto questo travaglio personale per superare certe finalità.    A me, ad es., lo sport non dice assolutamente niente, per me non è un travaglio, ma magari ho un travaglio in altri campi: ognuno ha un suo travaglio. Ora, attraverso questo travaglio Dio forma la nostra anima e crea la nostra persona, perché la formazione della nostra persona sta proprio in questa fatica. Ora, come si verificherebbe la fatica se non ci fosse  qualche cosa di pesante attorno a noi da portare? Ecco, ognuno ha dei pesi diversi, però la meta è unica; e lì si forma l’amore, si forma la fatica, si forma la persona, si forma la vita.

Pinuccia: Il peso è determinato da ciò che dobbiamo raccogliere in Dio e che ci richiede un superamento, no?

Luigi: Il peso è determinato soprattutto da ciò che abbiamo e che ci distrae da Dio; cioè da tutta la nostra natura che è fatta di tante passionalità, per cui “questa cosa mi attira, quell’altra è un sogno, quell’altra mi piace…”, da tutto quel mondo che ci è stato dato da Dio, ed è dono di Dio, ma che Dio ci chiede di superare, perché proprio superandolo, forma in noi la persona che ama. L’amore di una persona si rivela nella misura in cui quella è capace di pagarlo. Ora, Dio ad ognuno di noi dà un capitale. I capitali sono diversi, ma con il capitale di ognuno si può comperare qualcosa di Dio. Noi comperiamo qualche cosa di Dio nella misura in cui spendiamo per Dio quello che abbiamo. La difficoltà da parte nostra è spendere. Noi abbiamo molta difficoltà a dare via quello che abbiamo, perché vorremmo trovare Dio senza spendere niente (siamo scozzesi!); vogliamo entrare in negozio, comperare tutto il negozio, ma non spendere niente. Noi facciamo così, e allora tutta la difficoltà, tutta la tribolazione sta lì. Quindi vorrei precisare questo: ognuno di noi è diverso dall’altro, ognuno di noi ha un capitale diverso dall’altro, ma questo capitale è ciò che Dio mette nelle nostre mani affinché possiamo comperare la sua Verità. Nella misura in cui noi ci impegniamo a spendere abbiamo la capacità di ricevere. Naturalmente la fatica è diversa, anche se c’è un comune denominatore per tutti. Dio attraverso questi doni diversi sollecita gli uni e gli altri, per cui abbiamo uno scambio reciproco: chi è buono per natura sollecita l’altro che magari è iroso a diventare più docile, più umile; però chi è buono per natura avrà difficoltà nel suo campo sotto un altro aspetto, e anche lui ha un prezzo da pagare. Ognuno di noi ha un certo prezzo da pagare. L’amore si rivela nella misura in cui sa pagare di persona (non bisogna far pagare gli altri); ecco, qui si rivela l’amore e ognuno di noi riceve veramente doni da Dio, i doni che restano, nella misura in cui paga di persona.

Ida: Arrivare alla meta è una grazia di Dio.

Luigi: Tutto è grazia. Anche il semplice fatto di pagare è già grazia, il fatto di offrire qualcosa in nome dell’amore è già grazia.

Ida: Quindi noi dovremmo chiedere a Dio di farci arrivare alla meta e anche la grazia, la forza di superare quella conflittualità che sentiamo quando ad es. vediamo una vetrina di sport o di fronte a qualsiasi altra cosa.

Luigi: Certo, dobbiamo chiedere, ma il problema non sta tanto nel superare la vetrina, perché se io sento il conflitto con la vetrina, è perché in me ho desideri diversi dall’essenzialità e Dio mi sta correggendo l’essenziale; perché il problema è quello di formare l’armonia. Ad un certo momento si forma l’armonia nel cuore, ecco, si ama Dio con “tutto” il cuore e con “tutta” la propria vita; ma in quanto c’è questa finalità messa al posto giusto. Allora si valutano bene le cose, i mezzi, e non c’è più niente che distragga, anzi tutto è un canto, tutto è un aiuto. S. Francesco cantava: “Laudato sii, Mio Signore, per tutte le tue creature”. Se si è orientati al giusto fine non c’è più il conflitto con la creatura, perché anche la vetrina di sport è una creazione, è una creatura di Dio. Ma fintanto che io non metto Dio al suo posto, avrò sempre qualche creatura verso cui sento una conflittualità.

Ida: Ma anche il mettere Dio al primo posto non dipende da noi, è dono di Dio.

Luigi: Tutto è dono di Dio, perché se io non guardo Dio, non posso mettere Dio al primo posto, però Dio chiede a me, chiede ad ognuno di noi di metterlo al suo posto, di dargli il posto che gli spetta nella nostra vita, e quello è atto di giustizia: è giustizia essenziale: “Dai a Dio quello che è di Dio”, cioè metti Dio al suo posto. Perché se io non metto Dio al suo posto, metto la creatura nel posto sbagliato, cioè metto ad es. il mio io, il pensiero di me stesso, la mia ambizione, la mia figura davanti agli altri; il mio prestigio, il mio nome, lo metto in un posto sbagliato. Ma il fatto che io metta me stesso in un posto sbagliato denuncia che non ho messo Dio al suo posto, perché quando ho messo Dio al suo posto, tutte le cose vanno a posto, quindi anche il pensiero del mio io, anche il pensiero delle creature va al suo posto. Se invece non metto Dio al suo posto, tutte le cose vanno in un posto sbagliato. È come se ad es. avessi un principio in me sbagliato attraverso cui ordino certe cose: le ordino in modo sbagliato, perché il principio è sbagliato.

Marco: Effettivamente sto ordinando le cose in modo sbagliato.

Luigi: Ecco perché si creano tutte queste conflittualità.

Marco: Ad es. il fatto di voler donare tutti i giorni qualche cosa per gli altri, qualche sforzo per una persona, per un’altra, per un’altra, ecc., facendo cose che non sento: è uno sforzo che mi uccide, quindi è segno che non metto le cose al loro posto.

Luigi: Certo, diventa uno sforzo esasperante.

Ida: Però è anche un atto di volontà, quindi di amore.

Luigi: Sì; però questo sforzo rivela che non siamo nel fine essenziale. La vita non sta nel rinunciare ad una cosa, nel non fare certe cose o nel sacrificarle. La vita è amore, ma amare vuol dire tendere ad una meta. La vita è passione per-. È gioia. Perché in fondo la vita è tutta fondata sulla gioia, e tende a-. Quando io invece voglio una cosa, però dopo ne metto un’altra contraria creo la conflittualità. Ad es. io voglio un fine egoistico, però so che debbo fare quella cosa, che debbo amare quella persona, che debbo amare quell’altra, che non debbo farmi vedere a fare quello, che debbo sacrificare quello, ecc. allora mi creo tutta una fatica enorme, tutto uno sforzo di volontà che non coincide con quello che io amo profondamente. In sostanza è una volontà che non è amore. La vita vera è tendere a creare semplicità, quindi unità tra il pensiero, il cuore, la volontà e anche il nostro parlare. Ci deve essere unità in tutto, tra ciò che penso, ciò che porto nel mio pensiero e quello che desidero, quello a cui guardo; tra quello che amo e quello che faccio. Ci deve essere unità. Allora abbiamo la gioia, abbiamo l’armonia. È una cosa molto difficile, ma si deve tendere a questa unità. Dio tende a costruire in noi un essere unitario, non un essere fratturato. Se in noi abbiamo un essere fratturato, un essere cioè che tende ad una cosa però deve anche farne altre, facciamo una fatica enorme che non può durare, e ad un certo momento si rompe. Non può durare perché è una frattura. Bisogna tendere all’unificazione. Ora, Dio solo è un principio di unificazione. Lontano da Dio noi creiamo soltanto delle fratture. Dio va messo come fine. Quando lo mettiamo come fine, poco per volta ci accorgiamo che Egli crea una grande e meravigliosa unità tra ciò che desideriamo pensare, ciò che desideriamo fare, tra lo stesso nostro vivere e lo stesso nostro parlare. Tutto diventa unitario. Non c’è la fatica: “ ah questo non lo debbo guardare, quell’altro non lo debbo fare, questo lo debbo sacrificare, ecc.”.

Ida: Questa mancanza di armonia è generata dal fatto che siamo troppo lontani dal Signore.

Luigi: Sì, ma soprattutto perché non abbiamo messo il fine ben chiaro prima di tutto.

Ida: Ma che cosa vuol dire mettere il fine prima di tutto? Sarà perché non ho chiaro questo che la preghiera a volte devo impormela.

Luigi: La fai per imposizione, per regola, non per amore. Bisogna sempre aver ben presente: “Tu per che cosa sei stato creato?” “Per conoscere Dio!”. E allora che cosa faccio per conoscere Dio? Sono convinto di questo fine? Prima ancora: sono convinto che Dio esiste? Se sono convinto, prima di tutto debbo cercare Dio; perché se non sono convinto è inutile che io giochi barando.

Ida: Ci sono però momenti di dubbio in cui mi è difficile credere.

Luigi: Noi però siamo chiamati a credere sempre, a mettere la fede a fondamento di tutto. Quando ci sono momenti di dubbio, di insicurezze, d’incertezze, anche questa è grazia di Dio che ci sollecita ad approfondire; che ci ammonisce: “non ritenerti mai arrivato, mai troppo convinto.”. Noi il più delle volte siamo convinti per sentito dire. Ma Dio non sa cosa farsene di persone che credono per sentito dire. Dio vuole un rapporto personale, perché vuol convincere noi di ciò che Egli è, e quindi a noi chiede questo interesse personale. Certo, anche il sentito dire ci può aiutare, ma ad un certo momento non da vita, non si trasforma in vita. Dio è vita, ma è Vita per ognuno di noi, in modo personale, e quindi chiede da parte nostra un interesse personale. Ora, tutti i dubbi che Lui ci mette (ed è Lui che ce li mette) ce li mette per dirci: “Guarda che tu non sei convinto, guarda che tu non mi conosci, guarda che è necessario che tu ti dia da fare: cerca me, preoccupati di me, conosci me, interessati di me, perché stai girando a vuoto, stai sprecando, stai buttando nell’immondizia tutte le tue giornate. Preoccupati di tesoreggiare. Non sprecare tutto il denaro che io ti ho dato, che è la vita, il tempo, l’intelligenza, i pensieri, ecc.; non buttarli nell’immondizia, non sprecarli in cose che non ti servono per la vita; adopera questo per conoscere me, perché Io sono la tua Vita”. Ecco, noi dobbiamo convincerci di questo. In caso contrario Dio necessariamente ci pone dei dubbi, delle incertezze, per richiamarci all’essenziale, perché Dio è profondità. La Verità si trova solo conoscendola. La Verità è profonda. Dio è trascendente: Lui non si rifiuta, però è difficile. Ora, la difficoltà si vince soltanto attraverso l’amore. Quell’amore che di fronte alle difficoltà molla, non è amore. L’amore vero invece, quando si trova di fronte alle difficoltà, si impegna con tutte le sue forze, non molla.

Dio è difficile perché è una meta di amore. Ma colui che lungo la strada, di fronte alle difficoltà molla, vuol dire che in lui l’amore non c’è; è un segno che non ha amore per Dio, anche se tutti i giorni dice: “Signore, io ti amo con tutto il cuore”. Il Signore non misura il nostro amore dalle nostre parole; lo misura dall’impegno con cui affrontiamo le difficoltà per avvicinarci a Lui, per conoscere Lui”.

Ida: L’impegno potrebbe anche essere una conflittualità.

Luigi: La conflittualità è un segno del fine sbagliato, che non abbiamo ancora messo Dio là dove deve essere messo.

Paolo: Certo, l’importante è non metterci a cambiare il fumo con la caramella, o la caramella con la gomma da masticare, se no ci spostiamo solo da un fine secondario ad un altro fine secondario. L’importante è far crescere il Fine vero, e non preoccuparci di far diminuire gli altri fini secondari: sport, ecc.

Luigi: Appunto per questo abbiamo detto che il problema non è la vetrina. Il problema non è  “adesso io debbo rinunciare allo sport”; non preoccuparti, continua a fare lo sport finché vuoi, ma preoccupati di far crescere in te il Fine vero; quanto più crescerà, tanto più ti libererà.

Pinuccia: C’è anche da tener presente questo: superarsi non vuole dire lasciare, ma capire il significato di quello che si sta facendo; quindi c’è anche un significato nello sport, no?

Luigi: Il problema non è lì, anche se lui dicesse: “ho capito, pianto tutto e vado in una trappa”, lui va in una trappa e si danna! Il problema non sta nel lasciare. Uno può andare in un deserto e ad un certo momento può diventare un demonio. Il problema sta nell’occuparsi di Dio. Ad un certo momento uno scopre delle cose che valgono talmente tanto che gli viene naturale lasciare le altre.

Sergio: La nostra fatica deve essere quella di conoscere Dio.

Luigi: Sì, in qualunque campo ti trovi, in qualunque luogo sei, fosse anche in prigione o in una reggia d’oro, incomincia a cercare Dio, perché sei stato creato per questo. Hai cinque minuti di tempo? Dedica quei cinque minuti ad approfondire la Verità. Non si tratta di fare dei salti mortali. Dio vuole soltanto essere conosciuto: è la Verità! Non chiede una cosa impossibile. Chiede soltanto di approfondire, di capire, di rendersi conto, di conoscerlo. Questo ci chiede, e poi lasciamo fare!

Piero: Non è non facendo più determinate cose che si vive di più, anzi si corre il rischio di perdere il fine.

Luigi: Il problema non è quello. La vita è amore. La vita non è: “lascio questo o quell’altro, metto questo o quell’altro”. Il problema non sta nel fare una cosa o nel non farla. La vita è amore, cioè è conoscenza di Dio. Tu andando in macchina puoi pensare a quell’Uno, puoi riflettere un pochino sulle parole di quell’Uno? Si! Bene, continua ad andare in macchina e pensa a quell’Uno! E man mano che continui, quell’Uno ti sorprenderà anche in macchina. E ad un certo momento vedrai che Lui ha la capacità di cambiarti la vita in qualunque luogo tu ti trovi. L’importante è che tu apra la tua anima all’interesse per Lui. Questo è importante. Incomincia a metterlo al di sopra di tutto come pensiero e poi vedrai che a poco per volta Lui ti farà scoprire delle cose talmente meravigliose che ad un certo momento capirai che le cose che tu lasci non sono poi così interessanti. Per cui se anche un altro ti dicesse: “continua a farle”, tu non le vuoi più assolutamente fare, perché per te sono diventate un fastidio: è avvenuta una maturazione interiore. Da bambini si gioca alle birille, ad un certo momento si smette di giocare, senza che nessuno dall’esterno dice: “adesso non giochi più alle birille”. Questo accade perché sono sorti altri interessi, interessi più grandi delle birille. Nessuno ha fatto lo sforzo per decidere: “non devo più giocare alle birille”. Ma si lasciano le birille perché sono sorti altri interessi. L’importante è che ci sia l’anima. L’anima è questo interessarti per Dio. Ecco, cerca di approfondire, cerca di ampliare questa conoscenza di Dio, e poi vedrai cosa succede.

“Se mi amate osservate i miei comandamenti”: “se mi amate”, vuol dire “se mi cercate”, perché il vero amore è interesse per la Persona.

“Osservate i miei comandamenti”: è una conseguenza dell’amore (non è l’amore): cioè, noi osserviamo veramente le sue parole, cioè intendiamo l’anima del suo parlare, soltanto se abbiamo amore, se abbiamo interesse per Lui. Se invece non abbiamo interesse per Dio, sfasiamo tutto. Magari restiamo con le sue parole, possiamo ricordarle da mattino a sera, e capiamo anche tante lezioni, ma è tutto in superficie, perché il nostro amore è altro. E allora non osserviamo niente! Siamo come l’uomo che sta ad osservare il sabato, la regola, non ruba, ecc. paga le imposte e dice: “Signore io ti ringrazio”, e intanto però è completamente contrario a Dio, non ha interesse per Dio. Allora è molto meglio una prostituta, che è tutta miseria, ma supplica, invoca, piange ed è cosciente della sua povertà, del suo niente. Lì abbiamo dell’autenticità, abbiamo una creatura che si apre: “Signore, aiutami, perché io sono nella miseria”. Ecco, sente tutta la sua povertà, ed è  molto meglio di quell’altro che dice: “Signore, ti ringrazio, perché io sono giusto”; infatti questo è molto più lontano da Dio che la prostituta. Ecco, bisogna mettere ben a fuoco questo fatto: quello che conta è l’amore, che è interesse per la persona, che è guardare a Lui. E poi a Dio non importa assolutamente niente la nostra povertà, i nostri peccati, perché Lui in un attimo può annullarli; Lui è più grande di tutti i nostri mali! In un attimo può rimediare a tutto. L’importante è che ci sia in noi l’apertura, l’interesse per Lui! Che non ci sia invece l’uomo che dice: “Signore, io sono giusto, io questo lo faccio, quell’altro lo faccio, mi dedico qui, mi dedico là…”, che pensa solo a se stesso.

Fintanto che pensiamo a noi non siamo nell’amore, perché amare essenzialmente vuol dire pensare all’Altro, vivere per l’Altro.

Pensieri conclusivi:

Silvana: Quello che conta veramente è crescere nell’amore di Dio, che è una conseguenza della conoscenza.

Luigi: Amore e conoscenza in Dio sono una cosa sola; cioè quanto più aumenta l’uno, tanto più aumenta l’altro, e quanto più noi conosciamo Dio, tanto più necessariamente Lo amiamo, non possiamo farne a meno. Se noi lo amiamo poco è perché Lo conosciamo poco. L’amore desidera conoscere, e più conosce, più ama e più ama e più desidera conoscere.

Paolo: Mi sono accorto che ho sempre chiesto in modo sbagliato: ora vorrò chiedere il dono di una sempre maggiore conoscenza di Lui.

Luigi: Certo, perché la conoscenza è la vita eterna, allora entra tutto.

Piero: Chiedere una fede giusta.

Amalia: La vita è amore, non è una disciplina, non è una regola; però l’amore trasforma veramente, e solo la trasformazione che opera l’amore è vera trasformazione.

Luigi: Certo. E l’amore è fondato sulla conoscenza. Sia ben chiaro: noi non possiamo amare uno che non conosciamo. Quindi Dio vuole essere conosciuto. In ogni pagina della Bibbia vediamo che Dio vuol essere cercato, vuol essere conosciuto; è stufo delle nostre feste, dei nostri sacrifici, non sa che farsene: “voglio essere conosciuto” dice.

Nino: Non sono io che mi posso cambiare, ma è Dio che mi cambia nella misura in cui guardo a Lui.

Ida: Chiedo al Signore che mi aiuti a camminare nella conoscenza del Padre.

Luigi: La vita vale per questo, ogni giorno vale per questo, dobbiamo convincerci ; nella misura in cui ci convinciamo, ci accorgiamo quanto anche la vita si tonifica, acquista senso, significato.

Marco: Essere cristiano è la cosa più difficile

Luigi: È già una grazia averlo scoperto.

Marco: quindi chiedere la Sapienza per esserlo, come l’aveva Salomone.

Luigi: Eppure si è perso anche lui, con tutta la sua sapienza…

Pinuccia: Domandare nel nome di Gesù vuol dire cercare il suo Pensiero in ogni cosa, cioè la conoscenza.

Luigi: Sapendo che tutto viene da Lui, dobbiamo preoccuparci di cercare il suo Pensiero di Lui in tutto, in ogni cosa. Questa è la vita.


“Ed Io pregherò il Padre e vi darà un altro Consolatore che resti per sempre con voi”.Gv 14 Vs 16


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29/Novembre/1980


Nino: Questo versetto fa seguito al precedente: “Se mi amate, osservate i miei comandamenti”. I comandamenti sono le proposte di Cristo.

Luigi: Perché Lui non ci impone niente dall’esterno.

Nino: E qui ci fa la promessa di un Consolatore che è lo Spirito Santo, cioè la conoscenza del Padre e del Figlio. Non dice : “Io vi darò”, ma “il Padre vi darà”, perché Lui ci affida al Padre, invitandoci ad attendere questo dono su quella soglia dove ormai sono superati tutti i segni.

Luigi: L’elemento caratteristico sta qui: Gesù promette, e non sappiamo ancora chi sia, la venuta di Uno che resterà sempre con noi. Ecco, la caratteristica è: “resterà sempre con noi”, mentre invece Cristo non resta sempre. Infatti, Gesù stesso dice: “Non sempre avrete Me”; “ancora per poco Io sono con voi”… “per poco la Luce è con voi”.

Nino: Però penso che quando Gesù parla così faccia una distinzione: cioè non l’avremo sempre Incarnato tra noi, però come Verbo non ci lascia mai, perché anche quando ci affida al Padre rimane come Maestro interiore in noi, no?

Luigi: Gesù di sé afferma che non è possibile che loro lo abbiano sempre, perché “Io me ne debbo andare, altrimenti lo Spirito non può venire in voi” e promette la venuta di un dono che sarà Consolatore, quindi fonte di gioia, che resterà per sempre. Evidentemente assicura ai discepoli, a coloro che ascoltano, la permanenza in Dio: questo permanere in Dio è inizio di vita eterna. Inizio di vita eterna che può già verificarsi qui, perché Gesù lo promette ora, adesso.

Nino: Non è già vita eterna l’impegno con Cristo?

Luigi: È vita! La vita eterna l’abbiamo con la  scoperta dello Spirito Santo. Certo, la ricerca di Dio è già vita, però non si permane, perché come stiamo riflettendo sugli argomenti della domenica, si arriva sulla soglia della Terra Promessa e poi si può tornare indietro. Il popolo ebreo dopo 40 giorni arrivò sulla soglia della terra promessa, poi ebbe paura e ritornò indietro. Allora fu costretto per 40 anni a vagare nel deserto fino all’estinzione. Eppure erano alla ricerca. Ora, questa ricerca, questo camminare verso la Terra Promessa dava loro vita, tant’è vero che avevano anche il nutrimento (ora, non ci si può cibare se non si è in vita). Loro erano in vita in quanto tendevano ad una vita. Quando uno tende ad una meta, cioè sa quello che vuole, tende verso un fine, è vivo, è già vivo, partecipa; non è detto però che raggiunga il Fine, perché il Fine ha le sue esigenze, e può darsi che arrivato sulla soglia, di fronte alle esigenze del Fine, l’entrata nella Terra Promessa, uno abbia paura, e ritorni indietro. E allora è costretto nella routine a vagare fino all’estinzione, fino alla morte. Quindi il tendere ad un Fine è già partecipare della Vita, però la vita eterna di per sé è conoscenza del Padre, cioè conoscenza di Dio come vero Dio. Gesù la definisce chiaramente: “la vita eterna sta nel conoscere Te, come vero Dio”. Certo, quando uno desidera, cerca la conoscenza, in quanto la cerca, è già attratto, quindi partecipa sotto un certo aspetto, però non è che permanga e che abbia questa vita eterna. Però è già vita, è già essere in vita.

Nino: Però non si tratta ancora della conoscenza personale.

Luigi: Sì, ma il fatto di cercare, in quanto uno cerca già conosce qualcosa. Se uno non avesse un inizio di conoscenza non potrebbe desiderare.

Nino: E noi accettando e facendo nostre le parole di Cristo che ci parlano del Padre, camminiamo verso il Padre. Ma se non le accettiamo interrompiamo questo cammino.

Luigi: Certo. E il Signore qui ci fa camminare proprio mettendoci doni maggiori. Ci fa camminare verso la Pentecoste, verso la conoscenza di Dio, promettendocela. Perché se Lui non parlasse, noi non potremmo nemmeno desiderare certe cose. È Lui che parlando a noi ce le presenta e presentandocele, ce le fa desiderare. Noi non potremmo nemmeno immaginarci di desiderare di conoscere Dio, se Dio per primo non ci invitasse a conoscerLo. Ora, se noi desideriamo conoscere è perché per primo Dio ci ha chiamati: ci ha chiamati a conoscerLo. Questa chiamata, è presentazione del suo Dono; è una presentazione, e non è che noi già l’abbiamo, però ce la fa vedere come possibile. È in base a questa presentazione di dono che noi incominciamo a guardare verso quello e quindi ad informarci circa il prezzo, la fatica, il cammino, ecc. per giungere a quella meta. Ma tutto è sempre dono di Dio, anche in fase di promessa; quindi è Lui che ci mette in movimento.

Pinuccia: Quindi dicendoci: “Vi darò un altro Consolatore” ci fa desiderare questo Consolatore?

Luigi: Certo. È una promessa. Tutte le parole di Dio, del Cristo, sono proposte, non avviene niente di automatico; sono proposte che richiedono da parte della creatura una adesione consapevole, responsabile, di elezione: bisogna eleggere ciò che Lui promette, perché di fronte ad una promessa uno può dire: “a me non interessa” e gira dall’altra parte. Ecco, la promessa c’è stata, la parola è arrivata, però la creatura ha rifiutato; aveva altri interessi. Dio presenta il suo dono. E gli dice: “Io ti offro questo, ti propongo questo, ti assicura questo; adesso informati circa il mezzo, la via, il prezzo, per poter arrivare ad ottenerlo”.

Amalia: Questa promessa di Gesù è una certezza che deve sorreggerci nelle difficoltà del cammino. Se noi restiamo con Lui, comunque, nonostante le difficoltà, abbiamo la sicurezza di arrivare.

Luigi: Se restiamo in cammino. Bisogna essere in cammino.

Amalia: Sì, e questa promessa di Dio dovrebbe liberarci dagli scoraggiamenti che possono venire. Quindi non bisogna mai dire di fronte alle difficoltà: “non ce la faccio”.

Luigi: Eppure l’esempio del popolo ebreo fu, nonostante la promessa di Dio (nonostante, perché c’era la promessa di Dio: “entrerete nella Terra promessa”) un fallimento, perché nonostante la promessa di Dio c’è stata la paura. Ecco non si è vinto l’ostacolo. Ora, la Parola di Dio, la Promessa di Dio, chiede sempre a noi il superamento, soprattutto del pensiero del nostro io, e il pensiero del nostro io non è facile da vincere.

Amalia: Però se si tiene presente questa meta che è promessa di Dio, questo dovrebbe aiutarci.

Luigi: Certo, soltanto tenendo presente Dio. Bisogna tener presente Dio. Non basta tener presente la promessa, bisogna proprio tener presente Dio.

Amalia: Però, nella promessa c’è la presenza di Dio, perché è Lui che parla.

Luigi: Sì, sì, però noi tendiamo sempre a scorporare la parola, e quindi anche la promessa dalla Persona. È la presenza della persona, cioè l’amore verso l’Altro che dà la forza. Non basta la promessa, perché la promessa può essere un sogno. È la presenza della Persona dell’Altro che dà la forza, è l’incontro con l’Altro. Ma se uno pensa a se stesso, anche con tutte le promesse che può avere su di sé, di fronte all’ostacolo, cede, non è sufficiente, perché c’è il pensiero dell’io. Ora soltanto il pensiero di un altro Io dà a noi la grazia, la possibilità di vincere il pensiero del nostro io; altrimenti il pensiero del nostro io prevale, non può farne a meno. Noi siamo dominati dal pensiero dell’io, perché noi siamo fatti per l’unità: o abbiamo un’altra unità, cioè un altro Io da amare a cui tutto riferire, o necessariamente noi siamo dominati dal pensiero dell’io, anche nel bene. Anche nel bene, il pensiero del nostro io ci domina e quindi ad un certo momento il pensiero dell’io ci fa praticamente comportare secondo il timore o secondo la paura. E allora noi ci regoliamo secondo il mondo e le ragioni del Mondo. Ecco, abbiamo bisogno di punti di appoggio, in relazione all’io. Ma i punti di appoggio in relazione all’io non sono il punto di appoggio di Dio, perché Dio è Persona, e richiede da parte nostra questa presenza personale: noi diciamo: “atto di amore”. È l’atto di amore con cui uno pensa all’Altro: è pensare all’Altro, anziché a noi stessi. Allora il pensiero dell’Altro fa superare tutto, anche la morte. Ecco, uno si immerge anche nella morte, pensando all’Altro.

Pinuccia: Lei ha detto: “siamo fatti per l’unità”: è nel senso di vocazione all’amore? O nel senso che l’io, il nostro o un altro, è o può essere un centro unificante?

Luigi: Certo, l’io è un centro unificante.

Pinuccia: Quindi siamo fatti per l’unità vuol dire siamo fatti per un Io?

Luigi: Noi siamo fatti per un Io! Cioè noi siamo fatti per essere uniti a qualcuno. Questo qualcuno o è Dio o è l’io, cioè il nostro io, non possiamo farne a meno. Noi siamo un centro di unificazione: o unifichiamo in Dio o unifichiamo nel pensiero del nostro io. Non bastano le leggi, regole, comandamenti, voti, impegni, ecc. Non servono assolutamente niente, se non c’è la presenza dell’Altro!

Nino: Per cui se noi avessimo solo il desiderio di raggiungere la promessa in sé…

Luigi: Si fallirebbe certamente.

Nino: Avrebbe ragione X che diceva: “siete egoisti”.

Luigi: A parte il termine egoista, si fallisce, perché l’oggetto promesso ha un prezzo tale di fronte al quale noi non possiamo sostenerci, non possiamo pagarlo. Il termine “egoista” va riveduto, perché anche Dio opera tutto per sé. Ecco l’errore che faceva X, dicendo che è sempre egoista chi pensa a sé. No, Dio opera tutto per Sé e non è mica egoista. Noi invece pensando a noi siamo egoisti, perché non siamo la Verità.

Nino: Ma X non diceva che era Dio egoista; lo diceva a noi perché cercavamo la felicità cercando Dio.

Luigi: È la stessa cosa. Ecco, non dobbiamo dire così: “chi pensa a sé è egoista”, perché Dio pensa a Sé e non è egoista. L’egoismo è ingiustizia, ma in che cosa sta quest’ingiustizia? Sta nel mettere il pensiero del nostro io al posto di Dio. Ma, come ho detto prima, noi siamo fatti per l’unità e quindi per unificare tutto in un posto unico. Questo perché? Perché Dio è Colui che unifica, che raccoglie tutto in Sé: tutto viene da Dio e tutto ritorna a Dio. Noi pensando a noi stessi, siamo ingiusti, perché unifichiamo nel pensiero del nostro io: strumentalizziamo tutto e gli altri a noi, ai nostri punti di vista, cioè vogliamo cambiare gli altri. E cambiare gli altri vuol dire praticamente informare gli altri della nostra idea o della nostra volontà. Eh, no! Il nostro io non è Dio, la nostra volontà non è Dio, la nostra idea non è Dio. Indubbiamente Dio trasforma tutti, raccoglie tutti in sé, ma Lui è la Verità. Quindi raccogliendo tutto in Sé, Lui dà vita. Noi raccogliendo tutto nel pensiero del nostro io (anche in nome di pensieri buoni) in quanto tendiamo ad uniformare gli altri a questa nostra mentalità, al nostro pensiero, soffochiamo gli altri, limitiamo gli altri.

Nino: Sono allora “buoni” in apparenza.

Luigi: Certo. Molte volte diciamo: “la mia regola è buona, questa azione è buona”, quindi tendo a farla fare a tutti. Allora il pensiero dell’io, accentratore di per sé non è egoismo, perché allora dovremmo dire che Dio è il più grande egoista. È egoismo in quanto il pensiero dell’io è pensiero di creature  e quindi soffoca la vita dell’altro. Invece Dio essendo Verità, accentrando a Sé, raccogliendo in Sé, unificando a Sé dà vita a tutto. Infatti la vita è comunione. La comunione con Colui che vive, con Colui che è vivo, arricchisce di vita. Il tralcio stando unito alla vite partecipa della vita della vite, si arricchisce di vita; staccato muore. Ora la vite non è egoista nel tener unito a sé il tralcio. Invece noi da soli non siamo vivi. Ogni creatura vive come tralcio, ma nessuna creatura è vite. Dio solo è vite. Ogni creatura è tralcio. E quando noi pretendiamo di essere vite, ecco allora siamo egoisti, perché non siamo vita e soffochiamo l’altro, priviamo l’altro della vita. Mentre noi diciamo: “Io voglio servirti, io voglio il tuo bene”, noi praticamente assorbiamo da Lui la linfa, dall’altro, per vivere noi, perché cerchiamo la nostra gloria: allora siamo egoisti, strumentalizziamo l’altro  e non cerchiamo quindi il vero bene.

Nino: Strumentalizzando gli altri è sempre una ricerca di vita, anche se una ricerca sbagliata.

Luigi: Sì, perché noi da soli non stiamo su. Nessuno di noi sta su da solo. Ha bisogno sempre di qualcuno di qualcosa d’altro. Allora abbiamo bisogno di appoggiarci sulle creature, di appoggiarci sulle cose, di sostenerci, perché da soli non stiamo su. Quindi la nostra ricerca, il nostro arricchimento, perché c’è l’arricchimento col denaro e c’è l’arricchimento col metterci attorno delle creature, tutto questo è denuncia, dichiarazione che noi siamo creature, non siamo Dio. Dio solo sta su da solo, perché ha in Se stesso la vita.

Nino: Chi si circonda di creature è veramente convinto di arricchirsi…

Luigi: e non si accorge che invece sta assorbendo vita dagli altri perché ha bisogno degli altri. Gesù dice: “voi andate elemosinando…” dice proprio: “voi siete dei mendicanti”. Noi siamo mendicanti! “Tu credi di essere ricco e invece stai mendicando; sei mendicante, perché mettendoti attorno tanta roba denunci la tua mendicità, la tua povertà; hai bisogno di altri perché da solo non stai su, non sei vivo, ed io ti chiedo, ti ammonisco di arricchirti di me, di cercare presso di me la vera vita”.

Pinuccia: E poi non è che siamo egoisti a cercare Dio, perché non lo cerchiamo per essere felici (questo sarà una conseguenza), ma perché è giusto.

Luigi: Sì, prima di tutto, perché Lui è. Si cerca Dio perché esiste. In quanto esiste non lo possiamo ignorare, non lo debbo ignorare. Se io lo ignoro, io ignoro Uno che è presente qui nella mia stanza. Non posso ignorare Uno che abita con me: se lo ignoro compio un’ingiustizia, a parte l’infelicità che deriva dall’urto, perché non c’è armonia (ma questa è una conseguenza). La prima ingiustizia è questa: io non tengo conto di Uno che è con me. Dio è con me. Se io incontro uno per la strada che mi chiede una informazione ed io gli volto la faccia dall’altra, commetto un’ingiustizia: non tengo conto di lui e l’altro si offende. Perché? Perché non tengo conto di lui. Ecco, lui mi presenta, mi chiede qualcosa e la creatura deve rispondere: sei stato interrogato, ti è stato chiesto qualcosa; ti ha parlato! Ora, Dio è Uno che parla con noi ogni giorno, in continuazione, è presente con noi. Come facciamo a non tenerne conto? Si capisce che poi sbagliamo tutto! Ma se nel problema io non tengo conto dell’elemento principale, del fattore principale del problema, sbaglio certamente la soluzione, ma la colpa è mia. Tutta la nostra vita è un problema; il fatto fondamentale di questo problema è Dio. E noi vogliamo risolvere tutti i nostri problemi senza tener conto di Dio! È la più grande balordaggine che noi possiamo fare nella nostra vita: tutti i problemi, dai problemi della vita personale ai problemi della vita economica, ai problemi della vita sociale, ai problemi della vita politica, tutti i problemi, essendo problemi umani, sono problemi di Dio, e quindi non si possono risolvere senza tener conto di Dio. Se io non tengo conto del fattore principale del problema sbaglio tutto il problema. La nostra vita è questo problema; il nostro mondo è questo problema. Al centro dell’uomo c’è Dio: ignorarlo vuol dire prendere delle cantonate a non finire. E naturalmente nelle cantonate uno si accorge che le soluzioni non sono giuste; e allora c’è l’infelicità, c’è l’angoscia, c’è il dubbio, c’è il non senso: ma queste son tutte conseguenze, il primo dato fondamentale che dobbiamo tener presente è questo: mi occupo di Dio perché Dio esiste. Prova a dimostrare che Dio non esiste! Dio si annuncia a te: tu non Lo conosci, perché non Lo puoi conoscere: se Lo conoscessi sarebbe vita eterna. Lo conoscerai se ti applicherai a Lui. Tu non lo conosci, però non lo puoi smentire. Ora non è che possiamo dire: “Se io non lo conosco sono libero di rifiutare”. No! Colui che si presenta per la strada e mi chiede o mi interroga su qualcosa, io non lo posso ignorare e se lo ignoro responsabilmente, intenzionalmente, quindi colpevolmente, cioè io dico: “io ti voglio ignorare”. Io non so chi tu sia, però già rispondo: “io ti voglio ignorare”, perché non ti ascolto. Ora, Dio per primo parla a noi. Dio per primo. Ora in quanto parla, anche se noi non Lo conosciamo, in quanto parla si presenta; noi non Lo possiamo smentire e se Lo rifiutiamo dichiariamo di volerLo rifiutare. Quindi c’è la volontà positiva da parte nostra: “io non mi voglio interessare di Te: Tu parli a me, io non Ti voglio ascoltare”. Sostanzialmente noi facciamo questo. Noi in continuazione siamo in ascolto di Dio, ma nonostante noi, perché ognuno di noi è in ascolto di Dio anche se si professa ateo, anche se dice: “Io non credo in Dio”. Tu non credi in Dio, Dio però crede in te, Dio però parla a te, anche se tu non credi.

Pinuccia: Ma il rifiuto è responsabile anche se…

Luigi: Il rifiuto è responsabile, perché io rifiuto Uno che mi sta parlando.

Pinuccia: Ma se uno non sa che Dio gli sta parlando, come può essere responsabile?

Luigi: Noi tutti siamo responsabili perché non possiamo smentire la Verità di Dio. L’ateo non può dire: “Dio non c’è”, con convinzione. Nessuno di noi si può convincere che Dio non esiste. Basta questo: non è che io debba conoscere Dio per poterlo rifiutare responsabilmente. Quando tu conosci Dio, tu non Lo puoi più rifiutare. Il giorno in cui tu conosci Dio, tu necessariamente ne sei innamorato, non ne puoi fare a meno. Noi rifiutiamo Dio prima di conoscerLo. Perché il giorno in cui Lo conosciamo,noi entriamo in vita eterna; non possiamo più peccare. Chi conosce Dio, non può più peccare, è in Paradiso, perché conoscendo Dio, Dio è di una amabilità infinita: Dio è Colui che ci dà tutto. Come si può non amare Colui che è la nostra vita? Se Lo amiamo poco o se non Lo amiamo, è soltanto perché Lo ignoriamo, cioè non Lo conosciamo. Ma il fatto di non conoscerLo, non vuol dire non sapere che Egli esiste, perché Lui per primo si annuncia a me. Io non posso ignorare Dio. Mi basta il filo d’erba per denunciarmi che Dio esiste, perché non l’ho fatto io; e non c’è nessuna creatura che l’abbia fatta io. Mi basta questo.

Interlocutore: La capacità che ho di pensare, di amare o di offendermi, ecc.. Perché un cane non ha tutto questo? Chi mi ha fatto così? Chi mi ha dato tutto questo?

Luigi: Tutto ciò che esiste ha l’impronta di Chi l’ha fatto, ha il sigillo, ecco c’è la firma. Dio mette la firma su tutto. Tutto ha la firma e tutti dicono a noi: “noi non ci siamo fatti da soli”. Nessuno di noi può dire: “io mi son fatto da solo”. Sì, a parole possiamo dire: “mi son fatto da solo”, ma diciamo delle stupidaggini alle quali non crediamo neppure noi. Quante volte sentiamo qualcuno che dice: “Mi sono fatto tutto da solo”, ci fa sorridere. E quando uno dice: “Io, io,io…”, l’altro si mette a ridere, è logico. Perché si mette a ridere? È talmente evidente la relatività di quanto viene detto, che… Quindi tutti quanti portano la firma di Dio: tutte le creature hanno la firma di Dio come loro Principio. Non è necessario contemplare l’universo con tutte le sue stelle e galassie; basta il granello di sabbia, basta il filo d’erba, basta l’occhio di un bambino: tutte le creature portano la firma di Dio. Quindi Dio è Colui che non possiamo ignorare, anche se non possiamo capire chi sia, perché se noi capissimo chi Dio è non potremmo fare a meno di pensarLo 24 ore su 24 ore, e di amarLo all’infinito, non ci scosteremo di un istante da Lui. Noi ci separiamo da Lui, Lo trascuriamo, Lo dimentichiamo, solo perché non Lo conosciamo, perché non sappiamo Chi è. Quindi se noi vogliamo aumentare nell’amore, se vogliamo aumentare nell’unione, dobbiamo cercare di conoscere Dio, perché più aumentiamo questa conoscenza e più in noi cresce l’amore, cresce l’unione. Queste sono conseguenze, come la pace, la gioia, la vita: sono tutte conseguenze. Ma conseguenze di che cosa? Della vita eterna. Vita eterna è conoscere Dio. Quindi cerca prima di tutto il Regno di Dio, cerca prima di tutto di conoscere Dio, perché sei stato creato per questo. Uomo, non sei stato creato per mangiare, per vestire, per guardare il tuo corpo, per cercare la società, ecc. sei stato creato per conoscere Dio. Questo è il tuo fine, questa è la meta, questo è il senso di tutta la vita e il senso di tutto ciò che esiste. L’universo ha questo scopo: dire ad ogni uomo: “uomo sei qui per cercare Dio, per conoscere il tuo Signore”. Ecco più ti impegni a conoscerLo e più tu entri nell’amore e più tu entri nell’unione e quindi entri nella vita. Ma Dio è Colui che nessuno può ignorare, anche se pochissimi sono coloro che Lo conoscono. Basta il fatto di sapere che nessuno Lo può ignorare per costituire tutti in responsabilità e quindi in colpa. Perché noi di fronte a Colui che non possiamo ignorare, non siamo senza colpa nella risposta, perché non possiamo non rispondere. Dal momento che Dio parla e parla in tutto e mi dice: “Io ci sono”, dal momento che mi dice questo, mi propone Se stesso: è una proposta che Lui mi fa. E di fronte a chi mi fa una proposta, io in un modo o nell’altro non posso restare innocente, sono responsabilizzato, sia che dica sì, sia che dica no; non posso non rispondere. Anche di fronte alle cose più banali, ad es. quando mi si chiede qual è la strada per andare a Cuneo e me lo chiede una creatura,  un uomo qualunque, uno che io ignoro, un mendicante, un poveraccio, un bambino non posso non rispondere. Io dico è la creatura, ma in realtà è Dio che mi interroga, ed io non posso fare a meno di rispondere. In un modo o nell’altro dico sì o dico no. Ma dicendo sì o dicendo no, io mi responsabilizzo di fronte all’altro, cioè rivelo il mio cuore. Ecco come Dio ci personalizza. Ecco come Dio ci fa entrare nella vita: in un modo o nell’altro noi entriamo, perché dobbiamo manifestare il nostro pensiero. Lui ci interroga e noi non possiamo fare a meno di rispondere; rispondendo però ci qualifichiamo intenzionalmente e diventiamo qualcuno. Quindi chi ci fa qualcuno è Lui; Lui con le sue interrogazioni, Lui con le sue proposte; giorno per giorno Lui ci fa. Ecco perché dico che noi non siamo fatti, noi siamo creature in formazione e giorno per giorno ci facciamo dicendo sì o dicendo no. Il nostro parlare è soltanto quello: sì, no, sì, no, tutto il resto viene dal demonio.

Interlocutore: Non possiamo restare a metà, o diciamo sì o no.

Luigi: Certo, non possiamo restare a metà. Molte volte sentiamo qualcuno che dice: “io dico ni”. No, tu non puoi dire: “ni”, dici sempre: “sì” o dici sempre: .“no”. Di fronte a Dio le risposte sono soltanto quelle, non puoi fare in modo diverso.

Interlocutore: Anche Gesù dice questo: “O sei con me o sei contro di me”. Però l’Apocalisse dice: “Non sei né freddo né caldo, ma tiepido; almeno se fossi o freddo o caldo”; sembra cioè che presenti la possibilità di essere né di qua né di là.

Luigi: Ma quella è tiepidezza e la tiepidezza non è dire “ni”.

Interlocutore: In effetti la tiepidezza è già un no.

Luigi: Si capisce. Siamo noi che ci crediamo giusti, onesti, ecc. e Dio ci sta staffilando, perché la nostra tiepidezza è crederci giusti, è crederci a posto, e non preoccuparci intensamente di Dio. Cioè, quando uno non cerca Dio come Dio va cercato, cioè con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le sue forze, con tutto se stesso, indubbiamente è debole è tiepido. E dice: “Signore io ti ringrazio perché io sono giusto, io sono contento, non sono come gli altri sono già a posto, cosa vuoi di più”? È lì che abbiamo la tiepidezza! Cioè è l’uomo che sostanzialmente dice no. Dio dialoga con l’uomo per cercare di tirarlo fuori dal suo errore, ma è un uomo che dice “no”. Non è un uomo che si oppone a Dio (ecco, “se fossi freddo!”), che lotta contro, no; ma una delle rovine più grosse dell’uomo non è mica tanto il lottare contro, perché chi lotta contro è appassionato ed è partecipe dell’amore, ma è questa situazione di indifferenza, di uno che si crede giusto. È quello il vero rifiuto! È la superficialità. La Verità teme una cosa sola: la superficialità. La Verità non teme mica né la passione per, né la passione contro, perché la Verità in un modo o nell’altro trionfa. La Verità teme soltanto quest’indifferenza, questa superficialità.

Interlocutore: Magari noi rispondiamo “ni” alle creature, ma davanti a Dio è un no.

Luigi: Ma il problema non è mai di fronte alle creature. Noi rispondiamo sempre a Dio, mai alle creature. Le creature sono la chiave inglese. Le creature sono mezzi attraverso le quali Dio interroga. Noi crediamo di essere in colloquio con le creature, ma in realtà noi siamo in colloquio con Dio! Perché è Dio che parla con me, con ognuno di noi.

Interlocutore: Che liberazione sarebbe se lo ricordassimo!

Luigi: In tutte le cose è Dio che parla con me, non sono le creature. Le creature sono dei mezzi: lei non si è messa mai a dialogare con il termosifone? O con la chiave inglese o con le sedie?

Interlocutore: I bambini lo fanno.

Luigi: E va bene, ma noi tante volte siamo questi bambini. Noi non dialoghiamo con la sedia, ma dialoghiamo con i corpi e che differenza c’è tra il corpo e la sedia?

Interlocutore: Ma noi magari dialoghiamo con le parole degli altri, non con i corpi.

Luigi: Sì, ma al centro delle parole degli altri noi abbiamo la presenza fisica dell’altro, il corpo dell’altro, l’io dell’altro. Abbiamo la proiezione del nostro io.

Perché non è mica l’io dell’altro! L’io dell’altro noi non lo conosciamo, perché per conoscere l’io dell’altro dobbiamo conoscere Dio. Noi rivestiamo l’altro del nostro io e dialoghiamo praticamente con noi stessi. Perché diciamo “l’altro è così” e lo vesto con i miei abiti e dialogo con me stesso perché amo me stesso. Invece attraverso tutti è sempre Dio che parla con ognuno di noi. Noi siamo sempre a nostra insaputa in dialogo con Dio.  Ecco per cui un giorno, il giorno del Signore noi resteremo molto confusi perché scopriremo che Colui che parlava con noi in tutto era sempre Dio. E noi credevamo che fosse quel villano là, o che fosse questo ingiusto qui, o che fosse quel ladro là e invece era Dio in tutto ! È lì la confusione, che non abbiamo capito, non abbiamo conosciuto Colui che stava sempre parlando con noi! Colui che parla con te adesso tu lo vedi, adesso ti è presente: già, però io resto confuso. È troppo tardi, perché per poterlo accogliere bisogna averlo scoperto prima, bisogna arrivare prima.

Interlocutore: Quindi qui Gesù ci promette questa conoscenza dicendoci: “Pregherò il Padre e vi darà un altro Consolatore che resti per sempre con voi”. Il Consolatore è già conseguenza della conoscenza?

Luigi: Sì, qui Gesù sta preparando la Pentecoste. La Pentecoste è questa scoperta dello Spirito di Dio in noi, questa Presenza di Dio in noi. La Presenza di Dio è una conseguenza della conoscenza del Padre. Viene dal Padre. Quindi soltanto trovando il Padre, incontrando il Padre, dal Padre noi siamo condotti a scoprire la Presenza dello Spirito di Dio in noi. Non si arriva alla Presenza e poi al Padre. Prima al Padre e poi alla Presenza. Per questo dice: “Il Padre vi darà”, perché viene dal Padre.

Interlocutore: Ritornando al discorso di prima: se in ogni creatura dobbiamo vedere Dio, come dobbiamo comportarci con le persone che indirettamente ci inducono a fare delle ingiustizie? Viene istintivo trascurarle, ma sarebbe questo un rifiuto a Dio?

Luigi: No, un momento! Non è che la persona che arriva a noi debba sempre essere ossequiata, debba sempre ottenere da noi adesione. Nella persona che arriva a noi è Dio che presenta a noi una proposta, ma questa proposta noi dobbiamo valutarla con Lui; perché Lui ci presenta delle cose affinché noi abbiamo ad affermare il suo Spirito e magari a dire un bel “no” a chi ci chiede qualche cosa. Non è detto che, perché Dio mi ha mandato a chiedere questo io rispondo “si”. No, quello che Dio ti manda a chiedere, tu lo devi vedere in Lui, cioè lo devi presentare a Lui e vedere da Lui la risposta che devi dare. Cioè in tutto dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito di Dio, non dai nostri sentimenti; allora c’è una creatura che mi si presenta e mi chiede di fare un’opera cattiva, allora io dico: “È Dio che me la presenta”. Certamente è Dio che me la presenta. Come debbo rispondere? Debbo aderire? No, tu questa creatura che ti si presenta, vedila: “Dio che ti presenta questa creatura”. Adesso pensala presso Dio: cosa debbo dire a questa creatura che mi invita a fare del male? Ecco, lo ragiono con Dio. E Dio dice: “Dì questo, correggi…, cioè lasciati guidare dal mio Spirito”. Se mi lascio guidare dal sentimento o dal mio piacere o dal desiderio di piacere all’altro, cioè se mi lascio guidare dal sentimento ecc. allora naturalmente sbaglio, non tengo conto

 di Dio. In tutte le cose debbo tener conto di Dio. Tener conto di Dio vuol dire affermare il suo Spirito.        

Affermando il suo Spirito, faccio il vero amore del prossimo, amo veramente il mio fratello e  nello stesso tempo trovo la vita per me. Perché Dio presentandomi il fratello che mi invita a qualche cosa, qualunque proposta mi arrivi, mi sollecita a restare unito a Lui, cioè a cercare Lui, a dialogare con Lui, ad affermare il suo Spirito, quindi a partecipare, a vivere il più secondo Lui e nello stesso tempo mi dà un dono da dare al fratello, un vero dono, magari dicendogli un nel no. Ma quel no grosso che dico al fratello è il vero dono che posso fare al fratello, il vero aiuto, perché non si aiutano mica i fratelli dicendo sempre sì a tutto quello che loro propongono o che Dio ci manda a proporre attraverso loro.Dio, attraverso tutti i fatti, le occasioni, le cose, ci sollecita sempre, perché se Lui non parlasse, noi non potremmo entrare in comunione con Lui. È Lui che parlando ti dà occasione per entrare in comunione con Lui. Il Signore dice: “Beati quando vi perseguiteranno!” Perché dice: “Beati quando sarete perseguitati, quando diranno male di voi?”, perché “beati?” perché questo vi sollecita ad una maggiore unione con me. Quindi Lui attraverso tutti i fatti, tutte le creature, tutti gli incontri che ci fa fare ecc. ci sollecita a cercare Lui, non a parlare, a rispondere secondo quello che intuiamo noi, crediamo noi ecc. no, ma a comportarci secondo il suo Spirito. Quindi Lui ci presenta attraverso le creature delle pagine bianche. E le pagine bianche sono un invito: “Scrivi qualche cosa sopra, mettici il tuo pensiero”. E quale pensiero, Signore debbo metterci? “Mettici il mio Pensiero”. Ecco allora Dio attraverso ogni creatura mi presenta una pagina bianca. La pagina bianca è una tentazione perché io possa scrivere qualunque pensiero. Lui però mi dice: “Io ti presento una pagina bianca, però ti dico: scrivi il mio Pensiero, scrivi il mio Verbo!” Ma come faccio, io non lo conosco! “Allora cerca me prima di tutto!” Ecco, io ti mando questo per sollecitarti a cercare me. Quindi tutti gli incontri che Dio mi fa fare sono sollecitazioni a cercare presso di Lui la risposta da dare e quindi non ad avventurarci secondo quello che può sapere essere il nostro giudizio, il nostro pensiero, una categoria morale, una regola, ecc. No, cerca sempre il pensiero di Dio, dialoga con Dio in tutto e lo Spirito di Dio ti dirà come ti devi comportare.

Interlocutore: Nel caso che una creatura non ci propone di fare un’ingiustizia, ma ci fa un’ingiustizia?

Luigi: Anche l’ingiustizia che una creatura fa a me, è sempre un parlare di Dio, è sempre una proposta che Dio fa a me e quindi un invito ad un comportamento. Però questo comportamento lo debbo sempre ottenere da Dio, cioè in tutte le cose dobbiamo regolarci secondo lo Spirito di Dio e quindi sempre cercare presso Dio come comportarci, per dare la risposta, perché in un modo o nell’altro, anche se uno a parole non dice niente, dà una risposta con il suo comportamento. E quando io di fronte a chi mi ha offeso, volto la faccia dall’altra, do una risposta: è un comportamento e il comportamento è una parola.

Interlocutore: Ma non è un comportamento giusto.

Luigi: Può anche darsi che sia giusto: bisogna che lo senta da Dio; bisogna che sia guidato dallo Spirito di Dio, non nel pensiero dell’io, che non sia un espressione dell’io. Può darsi benissimo che Dio mi dica: “Ignoralo!

Interlocutore: Cristo è stato condannato ingiustamente, ma ha perdonato.

Luigi: Certo, non mi dice mica di non perdonare. Si dice l’indifferenza. Il fatto per es. di voltare la faccia dall’altra. Cristo quante volte ha voltato la faccia dall’altra. Deve essere un atto d’amore! È un atto d’amore perché Dio fa capire che attraverso quel silenzio Dio aiuta l’altro, è un atto d’amore verso l’altro. Però bisogna sempre che sia lo Spirito di Dio a suggerire questo e non seguire quello che può essere istinto nostro, sentimento nostro.

Interlocutore: Certo, lì non ci deve essere l’io in mezzo.

Luigi: Il Signore ha staffilato qualche volta; qualche volta ha detto : “Razza di vipere!” Ora, non è che noi possiamo dire “razza di vipere”, perché non possiamo giudicare, però ci ha insegnato che di fronte alle creature dobbiamo sempre comportarci secondo lo Spirito di Dio. Non basta dire così: “vogliamoci bene, abbracciamoci, comunque sia, comunque tu pensi, ecc. andiamo sempre assieme”. Eh, beato sogno! Quello non è amare! Non è vero amore al prossimo.

Interlocutore: Però Gesù dice anche: “A chi ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra”, e allora come la mettiamo?

Luigi: Certo!

Interlocutore: Un padre può arrivare a dare un ceffone al figlio per amore, se visto in Dio.

Luigi: Sì, ma come ho detto: Gesù ha preso a staffilate quelli nel Tempio e mica l’ha fatto per odio, l’ha fatto per amore.

Interlocutore: È il motivo che abbiamo dentro che conta…

Interlocutore: Appunto, non è questione di modo di fare, ma dipende dall’interno.

Luigi: Sempre, bisogna sempre essere guidati dallo Spirito di Dio.

Interlocutore: I figli di Dio si lasciano sempre guidare dallo Spirito di Dio.

Luigi: Lo Spirito di Dio va sempre interrogato, perché non è che sia in noi naturalmente, Lo Spirito di Dio è soprannaturale, quindi richiede sempre da noi un superamento di quello che sono i nostri sentimenti, le nostre conoscenze, le nostre reazioni immediate e istintive; no, non seguire queste, cerca sempre di interrogare il tuo Signore, di dialogare con Dio, prima di dare la tua risposta. Ad un certo momento il tuo comportamento sarà tutto spirituale, ma deve essere sempre una conseguenza della Presenza di Dio. Ecco non lasciarti mai guidare dal tuo istinto, dal pensiero del tuo io (“quel tale mi ha offeso…”) ecco, non ragionare in quei termini lì, perché è sempre Dio che sta parlando con te, attraverso tutto, anche attraverso chi ti offende. È Dio che ti ha mandato ad offenderti, perché tu avevi bisogno di questa lezione. Adesso tu cerca presso Dio come ti devi comportare verso quell’altro, ma è sempre presso Dio che noi dobbiamo ragionare per lasciarci guidare da Dio, non dall’io.

Luigi: … ma è sempre presso Dio che noi dobbiamo ragionare per lasciarci guidare da Dio; non dall’io.

Interlocutore: Per poter attuare questo bisognerebbe pregare sempre.

Luigi: Sì, bisogna pregare in continuazione. È la vera preghiera, non la preghiera fatta a parole, ma preghiera di ascolto di Dio. La vera preghiera è ascolto col desiderio di capire. Cioè bisogna sempre avere questo sguardo rivolto a Dio, questo pensiero a Dio, non dire parole. La preghiera non è dire parole; l’essenza della preghiera è ascolto; se manca l’ascolto, anche se dico parole da mattino alla sera, non è preghiera. La vera preghiera è ascolto di Dio, cioè guardare Dio: sempre in tutto, perché Dio sta parlando con noi in tutto e quindi noi non possiamo ignorare Colui che parla con noi. Se non Lo ignoriamo siamo in preghiera!

Interlocutore: Ci sono a volte situazioni che sono più difficili.

Luigi: Sì, che son difficili, si capisce; ma è Dio che ci mette in difficoltà.

Interlocutore: E pur interrogando Dio, non si sa come fare: pur vedendo il da farsi, si è però obbligati dall’ingranaggio del lavoro a fare diverso (ad es. a richiedere un pagamento sollecito).

Luigi: Noi siamo già inseriti in un sistema che è egoistico, lontanissimo da Dio. Dovremmo mettere tanto raccoglimento nella giornata, tanto silenzio, perché per poter colloquiare con Dio, bisogna aver conosciuto qualcosa di Dio. Più uno lo conosce, più naturalmente gli diventa facile nelle scelte, ma noi siamo immersi in un mondo che è talmente lontano! Osserviamo la nostra società, tutto il nostro vivere comune, la massa, ecc. Chi si preoccupa di cercare Dio prima di tutto, di mettere Dio prima di tutto? Noi prima di tutto mettiamo il problema del mangiare, della figura, del guadagnare o del lavoro, ecc., tutti idoli! Noi siamo fuori del Regno di Dio, noi siamo fuori della meta, del nostro destino, e si capisce che in questo ingranaggio, ad un certo momento le cose diventano impossibili. Bisogna incominciare ad essere fedeli nel poco, in quel poco che possiamo dire: “Signore tu vedi io sono ingranato qui e sbaglio in continuazione: però in questi cinque minuti di tempo che mi dai io cerco di conoscerti un pochino di più, se Tu mi aiuti”. Ma se io metto in quei cinque minuti il silenzio, il raccoglimento in Dio e li metto onestamente per cercare di conoscere qualcosa più di Lui, dopo Lui mi darà la possibilità di restare dieci, quindici minuti, mezz’ora. E a poco per volta mi educa nelle scelte, per cui “questa cosa qui non la posso più fare, quell’altra neppure” e ad un certo momento mi trovo libero, ma è Lui che mi ha liberato. È Lui che mi ha liberato perché ho incominciato ad essere fedele nel poco. Se noi incominciamo ad essere fedeli nel poco, Lui a poco per volta ci libera da tutto; ci dice: “Guarda quella cosa è solo fatta per la figura, per il denaro, lascia correre, metti altro d’importante prima di questa”; e mentre faccio questa sostituzione mi libera, proprio ascoltando. Quindi più noi riusciamo ad ascoltare le sue proposte e più Lui ci conduce verso la liberazione. Lui è il vero liberatore. Ma bisogna incominciare da quel poco che possiamo. Ora generalmente, noi non siamo vincolati 24 ore su 24 ore: saremmo nell’inferno, perché saremmo tutto condizionati dall’esterno. Ora l’esterno ci vincola, ci condiziona un certo tempo, un certo numero di ore nella giornata; altre ore le abbiamo disponibili, ore in cui noi possiamo scegliere; mica nessuno ad es. ci prende per la gola e ci dice: “adesso tu devi guardare la televisione”, non sempre qualcuno mi costringe a questo; ho del margine di tempo, ho qualcosa in cui posso disporre secondo quello che voglio io. È lì che rivelo il mio cuore. È lì che si rivela se veramente ho interesse per Dio o no: là dove io posso fare delle scelte. Ecco, questa parola posso dirla o no: nessuno ti prende per il collo per costringerti a dirla. Sì, se la dico, ci faccio bella figura; ma allora c’è il pensiero del tuo io. Ora, senti, fa silenzio e pensa un pochino al Signore. Ecco è un pensiero, sarà un instante, due secondi; intanto però sei stato fedele nel poco. Ora è in questa fedeltà nel poco che Dio a poco per volta ci libera da ogni altra cosa. È un cammino, un cammino faticoso, è logico che sia faticoso, perché siamo talmente lontani, talmente immersi in una vita che è completamente lontana da quella che è lo Spirito, che naturalmente diventa faticoso, però “con la pazienza - dice il Signore - giungerete a possedere le vostre anime”. Possedere le nostre anime vuol dire non averle più in balia degli altri. E naturalmente le nostre anime sono in balia degli altri. Basta metterci in silenzio per accorgerci dove sono le nostre anime. Noi non siamo in possesso dei nostri pensieri, della nostra mente, delle nostre anime.

Interlocutore: È difficile però vivere così in questa società in cui dobbiamo vivere, perché dobbiamo vivere in essa.

Luigi: Un momento, prima di tutto perché: “dobbiamo”? Esiste Dio o non esiste Dio? Sì, e se esiste Dio il primo dovere non è mica restare in società, perché altrimenti avrebbero sbagliato tutto quelli che sono andati a farsi eremiti ad es. o a vivere in un deserto. Non è detto! Perché: “dobbiamo”? il dovere è uno solo. Mettiamo bene quello al suo posto. E poi sistemiamo tutto il resto.

Interlocutore: Diciamo allora che non abbiamo il coraggio a deciderci…

Luigi: Va bene, non abbiamo coraggio: allora è un’altra faccenda, così ragioniamo bene. Io ho paura; benissimo. Ho paura perché se esco,: non sono più al centro di un mio mondo, non ho più la figura…

Interlocutore: Diciamo che siamo tiepidi allora, perché al massimo mi pongo il problema del mio egoismo, ma non vado più in là.

Luigi: Sì, ma è proprio questo problema del pensiero dell’io, dell’amore a noi stessi, che ci mette in situazione di paura. Anche la violenza è una paura. Il pensiero del nostro io ci fa diventare paurosi, per forza, perché ci rende succubi della società, dell’ambiente, della mentalità degli altri, della figura. Questo è il pensiero del nostro io. Il pensiero del nostro io ci conduce alla morte. Dio è vita; il pensiero del nostro io da solo diventa morte. Se io vivo pensando a me stesso, senz’altro io finisco nella morte, nel vuoto, nell’angoscia, non posso farne a meno, perché io non sono la Verità. Nessuno di noi è la Verità. Quindi senz’altro bisogna spostare il pensiero del nostro io dal centro: è un atto di giustizia. Se sono convinto di non essere io Dio Sei convinto tu che non sei Dio?

Interlocutore: Convintissimo!

Luigi: E allora evidentemente, il primo atto di giustizia è questo: sposta il pensiero del tuo io dal centro dei tuoi pensieri, mettilo in periferia: metti Dio al centro e comincia a ragionare con Dio intellettualmente, non preoccuparti se sbagli mille volte al giorno, se ti ubriachi in continuazione. Incomincia a metterLo intellettualmente al primo posto, cioè incomincia a rapportare tutto a Dio, incomincia a riferire tutto a Lui.

Interlocutore: Ma non posso ubriacarmi se lo metto al primo posto.

Luigi: E va bene, ci sono tante debolezze, ecc.; però incomincia a ragionare con Dio, perché noi attualmente ragioniamo col nostro io, ci diamo ragione, perché: “io questo lo debbo fare, perché altrimenti…” e sempre ci diamo ragione. Non dobbiamo darci ragione. Incomincia a non darti ragione, cioè incomincia a non darti ragione se sei orgoglioso, se sei egoista o se sei ambizioso; non darti ragione: dì che sei un vile, dì che sei un pauroso, ecc. Ma dì questo! L’importante è non darci ragione, non ritenerci giustificati pensando a noi stessi. Sì, puoi pensare a te stesso, però dì: “sono un vile, non sono capace in modo diverso”. Benissimo, questo va bene. L’importante è non ritenersi degli eroi quando viviamo pensando a noi stessi. Questa è la prima cosa da fare: incominciare a ragionare con Dio.

Interlocutore: La chiave di tutto è proprio incominciare col poco, fermandoci quei minuti: “Signore, sono qua…”

Luigi: Certo, è la fedeltà nel poco. È cominciare soprattutto con la mente a dar ragione a Dio e non più a noi; i gravi errori succedono perché noi diamo ragione a noi stessi, ci giustifichiamo: “Signore, io ho i buoi, io ho la moglie, io ho i campi, io ho questo lavoro, quindi non posso venire”. Non darti ragione, cerca presso Dio se Dio ti dà ragione o no. Ecco, non darti ragione da te stesso. “Ma tutti fanno così…”: “sbagliato!”, non basta. “Ma il dovere…”: no, non è niente dovere. È sbagliato. Cerca presso Dio, cerca sempre se Dio ti dà ragione o meno, cerca la ragione di Dio.

Interlocutore: È il principio che è sbagliato, perché diciamo: “tutti lo fanno”.

Luigi: È lì l’errore! Ci crediamo giustificati perché tutti fanno così. Tutti, un cavolo! Noi siamo responsabili davanti a Dio, perché è Dio che parla con te, mica tutti. Tutti sono quella carta bianca su cui Dio ti invita ad affermare lo Spirito. Non basta dire: “Signore, ma tutti gli altri…”, perché ci dirà: “Ero io che parlavo con te, e tu sapevi che io c’ero e perché non mi hai considerato? Perché hai ritenuto più importante le creature al Creatore”? E lì c’è in gioco il mio io; è il nostro io che sfasa tutte le cose, sfasa il problema. Non sono giustificato se io metto la creatura al posto del Creatore, anche se queste creature sono “tutti”. Ma se noi mettiamo cento fiaschi vuoti, e sono creature, non è che noi otteniamo un fiasco pieno: sono sempre vuoti tutti quanti. Noi ci mettiamo magari in gruppo, cento, mille… e diciamo: “oh, siamo tanti”! No! Siete delle nullità, perché Dio è l’Essere! Dio è la Verità! Tutte le creature assieme anche se sono tante sono niente, perché è niente un uomo solo, ed è niente un miliardo di uomini: sono tutti niente, sono tutti zero: l’unità è data da Dio. È l’uno che davanti agli zeri dà valore a tutto. Ma se togliamo l’uno, restano tutti gli zeri e se anche io mettessi un miliardo di zeri, sono sempre zero, e non c’è nessun valore. Ora, l’importante è convincerci di questo: la Verità è Dio, Dio al di sopra di tutto, Dio è Colui che vale più di tutto: noi dobbiamo imparare a ragionare con Dio. Ecco, imparare quindi a giudicare le cose secondo lo Spirito di Dio e  non secondo quello che fanno tutti, non secondo la figura, non secondo la società, non secondo il dovere qui, non secondo il dovere là, perché noi ci mettiamo tutti degli schermi: sono soltanto degli schermi in cui ci illudiamo, ma ad un certo momento, la Verità balza fuori: “Tu stavi soltanto pensando a te stesso”. Naturalmente, siccome non potevi dire: “io sto pensando a me stesso”, ci metti l’ideale, l’ideologia, la bandiera, il dovere, ecc., ma sotto sotto c’è il pensiero di te stesso. Metti anche la famiglia: c’è il pensiero del tuo io. No, impara a ragionare con Dio, allora ti accorgerai che ragionando con Dio, riesci anche a dare alle creature, alla tua famiglia, e anche alla società, i veri doni, i doni migliori. I problemi non si risolvono con i soldi, la salute, ecc. I problemi si risolvono su un campo molto diverso. Quando anche uno lavorasse ad es. tutta una vita per lasciare una fortuna economica alla famiglia, quella famiglia lì diventa poi un disastro morale o un disastro intellettuale e di carattere. Lascia il vero bene, lascia Dio, quello è ciò che veramente conta.

Interlocutore: Anche nel superare le nostre debolezze possiamo peccare di superbia, perché vorremmo toglierle subito di botto e invece anche qui bisogna cominciare col poco.

Luigi: Bisogna incominciare sempre dalla causa, dall’inizio, cioè bisogna incominciare a ragionare con Dio. Per questo dico così: ubriacati magari tutto il giorno, ma incomincia a  colloquiare con Dio, a ragionare con Dio; altrimenti diventiamo dei giganti di virtù: “ah, io quello non l’ho fatto, io sono diverso dall’altro…”, credi di essere chissà che cosa, e poi sei tutto marcio dentro. No, incomincia a convertire il tuo pensiero. Dietro il tuo pensiero verrà poi il tuo cuore: dietro il tuo cuore verrà la tua bocca verranno le azioni, la vita, ecc. Non incominciare a pulire il tuo bicchiere dal di fuori, quando è sporco dentro, perché allora noi finiamo di trasformare la nostra vita in una recitazione: ecco, io recito l’uomo virtuoso, la donna virtuosa. Ma è tutta una recitazione e dentro c’è il marcio. Ora l’uomo si costruisce dal pensare, dalla mente. Per questo dico: incomincia a ragionare con Dio, incomincia a mettere il Pensiero di Dio, incomincia a vedere un poco come riesci a confrontare le cose con Dio, a raccoglierle in Dio, e tutto il resto lascialo, lascia che le cose vadano come attualmente debbono andare; non preoccuparti del resto, tutto il resto verrà dopo. Ecco, incomincia a purificare il bicchiere dal di dentro, e cioè i tuoi pensieri con Dio. Incomincia a verificarli lì, e poi tutto il resto a poco per volta verrà: è una conseguenza.

Interlocutore: Perché Gesù usa il futuro qui dicendo: “Pregherò il Padre”?

Luigi: Pregare vuol dire guardare a. Qui i discepoli erano con Cristo, Cristo dice: “Io guarderò il Padre, pregherò il Padre”? Perché? Per dire a loro che guardino il Padre. Siccome loro sono con Cristo, se Cristo guarda il Padre, anche loro guardano il Padre, no? Il futuro è sollecitazione alla creatura. Nel cap.17 troveremo Gesù che consegna, affida al Padre tutti quelli che sono con Lui.

Interlocutore: Quindi: “pregherò il Padre” è come dire: “Vi affiderò al Padre”.

Luigi: Ecco. Questo pregare vuol dire guardare. Quando lei vede una persona che guarda qualcosa, guarda anche lei quel qualcosa. Ha mai trovato lei una persona che sta guardando qualcosa? Vien da chiederci: “Cosa guarda? Adesso guardo anch’io”. Ecco, e guardando ricevo, perché noi riceviamo guardando.

Interlocutore: Gesù ci presenta qualcosa in cui non siamo ancora, ma siamo chiamati a diventare, ci sta proponendo la Pentecoste.

Interlocutore:Pregherò il Padre, cioè vi affido al Padre e il Padre vi darà il Consolatore”.

Luigi: È un invito a guardare al Padre, perché lo Spirito della Presenza di Dio si riceve solo dal Padre; per mezzo del Figlio, ma si riceve dal Padre. Se noi non guardiamo il Padre, non possiamo ricevere lo Spirito, anche se siamo con Cristo.

Interlocutore: Qui mi trovo nella stessa difficoltà di quando volevo distinguere il Padre dal Figlio, perché qui ci presenta lo Spirito Santo, che non conosciamo, e che dobbiamo distinguere dal Padre e dal Figlio.

Luigi: Va bene, non lo si conosce; non si conoscono le Persone, però in quanto Gesù ce ne parla, ce le propone. E proponendocele, ascoltando, di che cosa sentiamo il bisogno? Sentiamo il bisogno di distinguerle, di conoscerle, perché non le conosco: mi parla di una cosa che non conosco. Questo è già una cosa buona. Prima non pensavo nemmeno di dovermi interessare di certe cose. Ad un certo momento Dio mi ha parlato… Io vivevo per mangiare, per vestire, ecc. e poi ad un certo momento il Signore mi fa arrivare la sua Parola: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire”. Ma io sto vivendo per mangiare e per vestire. “No   - mi dice - cerca prima di tutto il Regno di Dio”. Ecco, una proposta. È sulla sua Parola che incomincio a interessarmi…

Non pensavo nemmeno di dovermi interessare di Dio e invece la sua Parola mi ha detto: “No, interessati di Dio”! Vedi? È la sua Parola che ci sollecita: “Vieni avanti, vieni avanti! Vieni avanti! Vieni avanti! E a poco per volta, più l’ascoltiamo e più ci stiamo accorgendo che ci interessiamo di argomenti che ci propone Lui, e ad un certo momento ci occupa tutto; occupa la mente, perché Dio è Spirito e verità, ma la occupa a tempo pieno: ecco la preghiera continua! Restiamo occupati a tempo pieno dal suo parlare! Il suo parlare è una presentazione di argomenti in cui ci dobbiamo impegnare: è pane! È pane! Che Lui ci offre ogni giorno e che noi dobbiamo durante la giornata sbocconcellare per nutrirci. Lui ci offre del pane. Vedi che ci sta offrendo del pane? E questo pane come ce lo offre? Parlandoci di cose che ancora non capiamo, che però ci impegnano: è Parola sua! E in quanto è Parola sua, ci impegna. Ma proprio impegnandoci, io incomincio a mangiare, e incominciando a mangiare, incomincio a nutrirmi di cose spirituali, delle sue cose, perché: “l’uomo vive di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio”. È così, vedi, che ci fa crescere. Però si cresce in quanto si desidera conoscere Dio, cioè si è messo Dio al centro.

Interlocutore: Si può identificare la sapienza con lo Spirito Santo?

Luigi: Certo, lo Spirito Santo è la sapienza di per sé, la sapienza personificata, che è data proprio dalla presenza di Dio, però questa sapienza viene, diciamo, diluita, spezzettata, a seconda delle nostre capacità, appunto perché: “per ora voi non siete capaci di portarla”. Però se noi incominciamo a nutrirci di quelle parole di Dio, di Cristo, che arrivano a noi, terra a terra, e incominciamo a fare attenzione a quelle, noi incominciamo a entrare nella sapienza. Perché la parola che mi fa mettere Dio prima del mangiare e del vestire è sapienza, è sapienza divina. Quindi quella parola che mi fa ritenere che una cosa sola è necessaria, che la parte migliore è quella di Maria, quella è sapienza ed è sapienza divina. Quindi quanto più io sto ad ascoltare la parola del Cristo e la medito e cerco di rendermi conto se è giusto o se non è giusto, se è vero o se non è vero, tutto questo mi fa entrare nella sapienza; una sapienza che cresce, cresce, cresce giorno per giorno, fino a quel giorno in cui diventa Persona, diventa Spirito Santo, diventa Presenza di Dio. Questa è vita eterna, perché è vera sapienza. Già in tutta la creazione c’è questa sapienza: il filo d’erba! Il filo d’erba che dice: “io non mi sono fatto da solo”, questo è già sapienza! L’uomo che dice: “io mi sono fatto da solo” è un insipiente! È inferiore al filo d’erba; perché il filo d’erba mi dice: “io non mi son fatto da solo” l’uomo invece dice: “io mi son fatto da solo” e questo è uno sciocco, non è più sapienza. Quindi l’uomo che si vanta, l’uomo che crede di essere qualcuno, non è sapiente. Ma per poco che ascolti la parola di Dio, incomincia ad entrare nella sapienza, e a poco per volta questa cresce, cresce fino all’infinito; quindi c’è una partecipazione continua; però questa partecipazione richiede sempre l’iniziativa da parte di Dio e l’accoglienza da parte nostra, l’ascolto.

Interlocutore: Però questa sapienza la possiamo chiedere, no?

Luigi: Questa sapienza non solo la possiamo, ma abbiamo il dovere di chiederla. Non solo possiamo, ma abbiamo il dovere! Dio stesso ci inonda di sapienza e ci dice: “guardate il bue: il bue conosce la stalla, l’asino conosce la greppia del suo padrone e voi non mi conoscete!”. Ci rimprovera! Rimprovera la nostra stoltezza: la nostra stoltezza sta nel non conoscere il nostro Signore, non conoscere Dio: questa è stoltezza!

Interlocutore: E naturalmente conoscendo il Signore avremo anche la sapienza nelle situazioni quotidiane.

Luigi: È logico! Quanto più cresce in noi la luce, quanto più questa luce si espande su tutto, tanto più noi vediamo le cose illuminate. Guardiamo il Cristo: il Cristo è la sapienza, è lo Spirito di Dio tra noi: come affronta tutte le situazioni? Vediamo il semplice fatto del denaro: quando gli chiedono: “Dobbiamo pagare il tributo a Cesare?” risponde: “Fatemi vedere il denaro: di chi è questa effige? “Di Cesare”. “Date a Cesare quel che è di Cesare, ma date a Dio quel che è di Dio”: questa è sapienza! Una sapienza divina. L’adultera: “Dobbiamo lapidarla? Mosè ordina di lapidarla”;“Chi è senza peccato scagli per primo la prima pietra”. Se ne vanno tutti: “Donna - dice - qualcuno ti ha condannata? Nessuno Signore! Nemmeno io, va in pace e non peccare più”: questa è sapienza! Mettiamo un altro invece in questa situazione: come se la sarebbe tolta? Mettiamo uno di noi: come ce la saremmo tolta? Noi ci accorgiamo della differenza che c’è tra la sapienza di Dio e la povertà e la stoltezza nostra.

Interlocutore: Pensi sia sbagliato pensare nelle situazioni difficili cosa Cristo avrebbe fatto, perché posso fargli fare ciò che voglio…

Luigi: Bisogna cercare, attraverso la Parola di Dio, lo Spirito di Dio. Ci vuole del raccoglimento, e della preghiera. Preghiera e silenzio.

Interlocutore: Mi sembrerebbe più comprensibile se Gesù avesse detto al rovescio di quanto ha detto e cioè: “Io pregherò il Padre che vi mandi il Consolatore perché possiate amarmi e osservare i comandamenti miei”, e invece dice: “se mi amate e osservate…”

Luigi: Eh, no! È proprio al rovescio di ciò che dici tu, certamente!

Interlocutore: Ma non si può amare e osservare i comandamenti senza lo Spirito Santo!

Luigi: È proprio al rovescio: il problema non è osservare i comandamenti!

Interlocutore: No, ma amare, come si fa?

Luigi: Il problema non è osservare i comandamenti! Il fine non è il dovere! Il fine è l’unione con Dio!  Il fine è contemplare Dio, il fine non sono i comandamenti. I comandamenti sono mezzi, sono strade, quindi non sono lo scopo. Quindi non è che noi dobbiamo ricevere lo Spirito Santo “per” (fine) ubbidire ai comandamenti. I comandamenti sono la strada. Forse che tu deve andare a Cuneo per vedere la strada che porta a Cuneo? No, ma cammini sulla strada per arrivare alla città di Cuneo, ma poi arrivata alla città di Cuneo stai nella città: il problema è arrivare nella Città di Dio; quindi tutti i comandamenti, tutti gli insegnamenti, l’universo stesso, sono una strada, sono un cammino per arrivare a Dio. Conoscere Dio è la vita eterna.

Interlocutore: Ma Lui ci dice: “Senza di Me non siete capaci nemmeno di un buon pensiero”, quindi come facciamo ad amare, se Lui non ci dà il suo Spirito?

Luigi: Ma certo! Tutto viene a noi da Lui, tutto. Lui ci dà tutto già fin dall’inizio, perché Lui ci dà la fede in Lui, perché senza la fede in Lui, non possiamo assolutamente fare niente. Noi da soli non possiamo fare niente, ed è niente tutto quello che facciamo. Quindi bisogna partire da Dio per arrivare a Dio. Ma la meta è Dio. Bisogna partire da Dio per accettare tutto da Dio e per dare ragione a Dio di tutte le cose che Lui ci dice, perché se noi non crediamo in Dio, non possiamo dar ragione. Se io non credo in Dio e apro il Vangelo, dico: “Ma queste sono tutte sciocchezze! Quello che conta è farsi del denaro, farsi una carriera, cercare la gloria del mondo…”.

Interlocutore: Eppure Gesù dicendoci: “Se osservate i comandamenti… Io pregherò perché il Padre vi mandi lo Spirito”. Quindi chiede a noi di fare una parte: “Osservare i comandamenti”. Ma la possiamo fare da noi?

Luigi: No, tutto è per mezzo di Dio.

Interlocutore: Eppure ci invita a fare una cosa…

Luigi: Ci invita a fare una cosa e ci dà tutto. Ci invita a fare la polenta, ma ci dà la farina, ci dà il fuoco, ci dà la pentola, ci dà il mestolo, ci dà la forza per girarla. E ci dà anche la fame e la volontà di mangiare la polenta.

Interlocutore: E prima ancora ci dà la volontà di farla. E qui è lo stesso: è già tutto dono dello Spirito, ma non siamo ancora alla Pentecoste.

Luigi: Comunque sia ben chiaro: tutto viene a noi da Dio. Dio è il viandante che mi trova per la strada e mi chiede un’informazione e in conseguenza di questa informazione io posso dire “si” o “no”, e quindi naturalmente io dò una risposta. L’abbiamo detto prima: Lui interroga su altre cose e poi su altre cose. Ad un certo momento, incomincio a conoscere sempre di più della sua vita, del suo mondo ecc. ma è tutto dono di quell’Uno che si è fatto presente a me. Quindi è Dio per primo. L’iniziatore è sempre Lui: l’iniziativa è sempre di Dio, però chiede in continuazione a noi una adesione, perché più noi aderiamo a ciò che Lui ci manda e più noi cresciamo e più cresciamo e più diventiamo capaci di accogliere domande, proposte sempre più alte, sempre più grandi, fino ai doni superiori, fino allo Spirito Santo. Allora l’iniziativa è tutta di Dio. Dio non opera con atti magici, Lui non ci considera delle macchine; d’altronde una macchina Lui non può condurla a conoscere la Verità. La Verità si conosce consapevolmente; la Verità si trova solo conoscendola e la conoscenza richiede la partecipazione consapevole di un essere  cosciente; quindi Dio ci offre un pezzettino di pane: noi possiamo mangiarlo o non mangiarlo. Se lo mangiamo cominciamo a crescere un po’ di più, ma crescendo diventiamo capaci di mangiare un pane più sostanzioso, e più mangiamo e più cresciamo, e diventiamo capaci di arrivare fino ai grandi doni. Per questo, di fronte ad ogni parola, ad ogni dono di Dio, Dio ci invita ad un atto di adesione. Certo, è logico, se fin dall’inizio, quando Lui ci dice: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire, cerca prima di tutto il Regno di Dio”, io non aderisco, resto a quel piano lì, morto a quel punto lì, perché sono segnato dal rifiuto della Parola di Dio: chi mi giudica è la Parola, la Parola che era arrivata: Dio ti aveva proposto di occuparti di Lui; non ti sei occupato, ecco: questa è la situazione in cui ti trovi; perennemente tu sarai in questa situazione, in quel problema, di fronte a questa Parola che non hai accolto, che non hai accettata. Ma se tu l’accetti, incominci a crescere, e più cresci, più diventi capace di doni maggiori.

Interlocutore: Quindi abbiamo fin dall’inizio lo Spirito, con la differenza che prima di Pentecoste non Lo possediamo ancora, a Pentecoste sì: sarà il dono della sua Presenza.

Luigi: Sì, il dono delle Presenza di Dio.

Interlocutore: Lo chiama Consolatore perché è dono di Presenza?

Luigi: Perché dà gioia. La luce quando arriva a noi è gioia. Quando noi non capiamo qualche cosa siamo nella notte, nelle tenebre, siamo tristi; come arriviamo a vedere, a capire qualche cosa proviamo della gioia. Ecco, la luce è gioia. Quindi non dobbiamo cercare la gioia prima: cerca la luce, nella luce, troverai la gioia.

Pensieri conclusivi:

Interlocutore: Spostare il centro, mettendovi Dio.

Interlocutore: Essere fedeli nelle piccole cose.

Interlocutore: L’umiltà di incominciare dal poco, per essere fedeli.

Interlocutore: Chiedere la sapienza.

Interlocutore: Cercare di conoscere Dio per amarlo e perché si riveli.

Interlocutore: Aspettare tutto da Dio.

Luigi: Bisogna aspettare , siamo in Avvento.

Interlocutore: La chiave è interrogarci: quale è il Pensiero di Dio? Per essere sempre motivati dall’amore di Dio.

Luigi: Cioè bisogna sempre interrogare Dio per essere mossi da Dio.

Interlocutore: La fedeltà nelle piccole cose e poi l’importanza di incominciare sempre dal pensiero, perché l’uomo si costruisce nel pensiero; quindi convertire il pensiero a Dio e poi tutto il resto è conseguenza.

Luigi: Cioè; faccia pure molte sciocchezze, però riconosca che sono sciocchezze.

Interlocutore: Qui Gesù ci fa un grande annunzio, perché è la prima volta che ci parla dello Spirito Santo e lo chiama Consolatore, non perché ci consoli della sua presenza fisica, ma perché è Luce, constatazione di Presenza e quindi assenza di solitudine.

Luigi: Lo Spirito Santo è soprattutto Spirito di Verità, la Verità è amore, la Verità è conoscenza, la Verità è gioia.

Interlocutore: Questo annunzio è per suscitare in me il desiderio di ricevere questo Spirito.

Luigi: Gesù lo fa per questo. Lui vuole suscitare in noi il desiderio; parlando a noi di qualcosa, forma in noi il desiderio; per cui anche il desiderio in noi, non è nostro, è grazia di Dio; perché se non ce ne parlasse, non lo potremmo desiderare.