Gesù
scoppiò in pianto Gv 11 Vs
35
Titolo: Il pianto di Gesù.
Argomenti: Perché si piange? Riso e pianto.
Il pensiero dell'uomo è inquinato perché fatto di frammenti. L'incapacità di
pensare.
19/dicembre/1993 Casa di preghiera
Fossano
Siamo giunti al versetto 35 dei cap. XI di s. Giovanni: “E Gesù pianse”.
E' un versetto brevissimo, e sono questi versetti
brevissimi che caratterizzano Giovanni: lampi In una notte. Quando Giuda esce dal Cenacolo, Giovanni
dice: “Era notte” (Gv 19,30). Così qui.
dicono a Gesù: “Vieni e vedi!”. E Gesù pianse. La laconicità della frase vuol
mettere in evidenza, come mise in evidenza nell'episodio di Giuda il fatto che
era notte, la gravità del pianto di Gesù.
E noi dobbiamo chiederci il significato, la lezione che
Dio (in Gesù abbiamo Dio che piange) vuol comunicare a noi, e notiamo, poiché
tutto è disposto da Dio, la lezione che vuol dare a noi in questa vigilia di
Natale con questo pianto di Gesù mentre tutto il mondo crede di fare festa al
Signore.
Qui apparentemente si direbbe che Gesù piange per la
morte di Lazzaro; infatti il commento dei Giudei sarà questo. Abbiamo già detto
che così non è. Anzi abbiamo detto poco fa che Gesù dice: "Io mi rallegro
di non essere stato là e che Lazzaro sia morto". Ora non può essere che
poco dopo aver detto: “Io mi rallegro di...”, pianga perché Lazzaro è morto. Se
Lazzaro è morto, è Dio che l'ha fatto morire, e se è Lui che l'ha fatto morire,
non può essere che Lui ora pianga perché è morto, tanto più che Lui sa che fra
pochi minuti risorgerà. Allora c'è qualcosa di più profondo in questo pianto.
Cosa significa?
Superficialmente si potrebbe dire che magari piange
perché vede che tutti piangono. Ma
l'interpretazione del pianto di Gesù non può essere fatta a livello
sentimentale, quasi fosse una reazione emotiva ad un fatto esterno. Quando le emozioni
in noi sono provocate da fatti esterni (gente che piange, gente che muore,
gente che soffre), lì abbiamo una reazione sentimentale: gli altri piangono,
anche noi piangiamo; gli altri ridono e anche noi ridiamo. Queste sono reazioni sentimentali.
Ma non possiamo interpretare il pianto di Gesù a questo
livello. Basta pensare che pochi giorni dopo questi avvenimenti, Gesù fa
un'entrata trionfale in Gerusalemme e tutta la gente gli fa festa, gridando a
Lui: “osanna” (Gv 12,13); Lo glorifica: stende tappeti, mantelli al suo
passaggio; gli offrono palme, rami di ulivo. Però in mezzo a tutto questo
festeggiare di gente, ad un certo momento il Vangelo ci fa notare che Gesù
pianse.
E allora qui dobbiamo capire:
- Gesù piange
quando tutta la gente attorno piange,
- Gesù piange
quando tutta la gente attorno gli fa festa.
Ci chiediamo allora: perché piange?
Evidentemente non è un fatto di reazione sentimentale,
perché se così fosse, quando tutta la gente Gli fa festa, Lui dovrebbe essere
contento: “la gente mi fa festa!”. No! La gente fa festa a Lui, Lo applaude:
“osanna!” ...ma Lui piange! Piange quando si piange e piange quando si ride e
si fa festa.
Ora, quando ci sono queste contraddizioni, evidentemente
l'anima è sollecitata ad andare a fondo: c'è una ragione che va cercata altrove
e non secondo quello che appare al nostri occhi.
Dobbiamo chiederci il significato di questo pianto di
Gesù, perché in quanto avviene ha un significato, è una lezione personale per
ognuno di noi; è Dio che ci vuole comunicare qualche cosa, che ci vuol smuovere
forse dal nostro sentimentalismo, o dal nostro ritenere di fare piacere a Dio.
Infatti mentre noi crediamo di far piacere a Dio con le nostre feste, con i
nostri canti, con le nostre funzioni, con le nostre celebrazioni, forse non ci
siamo mai chiesti se tutto questo piaccia a Dio, o se di fronte invece a tutte
le nostre feste, a tutti I nostri canti, Lui non pianga... Infatti qui ci fa
per lo meno sospettare che ci sia questo pianto profondo sull'uomo,
sull'umanità, sulla gente che crede di far piacere a Dio.
Per capire la ragione profonda di questo pianto dobbiamo
chiederci: perché si piange? perché gli uomini piangono?
Gesù dice: “Beati coloro che piangono, perché saranno
consolati” (Mt 5,4). Dio ha creato il pianto, e Dio ha creato il riso. Caratteristica dell'uomo è Il pianto ed il
riso. Però Dio non ha detto: “Beati coloro che ridono”. E' il mondo che lo dice, Dio no! Dio non ha
mai detto o fatto capire: "beati coloro che ridono". Ha detto però: “Beati coloro che
piangono”. E al rovescio ha detto: “Guai
a voi che ridete!”. Ma, allora ci vuol vedere tutti piangere? tutti nella
tristezza? Una delle caratteristiche con cui è stato definito il Cristo già
nell'antico, da un documento. è questa: “non lo si è mai visto ridere”.
Piangere lo si è visto qualche volta, ma non lo si è mai visto ridere!
Eppure, dico, anche il riso è una creatura di Dio, è
perché allora Gesù dice: “Guai a voi che ridete, perché piangerete?”. E perché dice: “Beati voi che piangete,
perché sarete consolati!”.
Ci siamo chiesto che senso ha questo piangere; perché si
piange?
Si piange perché si è perduto qualche cosa. Chi piange è
perché ha perso qualche cosa. Quindi:
"beati voi che avete perso qualche cosa ... perché sarete consolati",
il che vuol dire: "perché lo troverete".
E perché si ride?
Chi è che ride? Ride colui che ha
trovato qualche cosa. Ma abbiamo Gesù che dice: "Guai a voi che avete
trovato". In una certa parte del
Vangelo Lui precisa: "Guai a voi che avete trovato la vostra consolazione,
che siete soddisfatti!" (Lc 6,24). Ecco, ride colui che ha trovato la
propria soddisfazione. Il riso è effetto
del nostro io che si esalta: magari vedendo un altro che è scemo, si mette a
ridere. Perché? Perché dal confronto si capisce che noi non siamo scemi,
crediamo di essere qualche cosa di più dell'altro. Il riso deriva sempre da “il
nostro io soddisfatto”. Ma Gesù dice: “Guai a voi che avete trovato la vostra
soddisfazione”.
Invece colui che piange è colui che ha perso qualche
cosa.
E prima di tutto dobbiamo chiederci: l'uomo può perdere
qualche cosa? Che l'uomo possa perdere qualche cosa è evidentissimo. Qui ad
esempio l'interpretazione del pianto di Maria e della gente è palese: Maria,
Marta, tutti quelli che sono venuti da Gerusalemme a trovarle, piangono: perché
piangono? Hanno perso un uomo: hanno perso Lazzaro. Le sorelle hanno per so il
loro fratello, gli altri hanno perso un amico. Si perde!
Abbiamo detto che c'è questa morte che opera nel mondo di
ogni uomo ed è una morte crescente, perché man mano che si vive c'è questa
morte che cresce fino ad invadere tutto: ad un certo momento invade tutto,
perché il tempo porta via. E se porta via l'uomo perde. E se perde piange.
Direi che la dimensione vera, autentica dell'uomo non è
il riso, ma è il pianto, come la dimensione vera dell'uomo non è la ricchezza,
ma la povertà. La ricchezza gonfia! anche il riso gonfia, fa credere a noi di
essere qualcuno! Ma la vera dimensione
dell'uomo è il pianto, è l'uomo che patisce una perdita: non si va verso un
essere in più, ma si va verso un essere in meno, ed è un meno crescente:
“polvere sei e polvere ritorni…” (Gen 3,19).
Ad un certo momento vedi tutto il tuo mondo, vedi tutta
la tua vita, vedi tutto quello che hai accumulato (“Tutto quello che hai
accumulato di chi sarà?” dice Gesù {Lc 12,20}), vedi tutto quello che hai
raccolto (nozioni, sentimenti, affetti, scienze, conoscenze, affari, tutto!),
vedi tutto che si riduce a niente. Se ne va tutto! E che cosa resta di tutto
questo? una lacrima! un pianto! Andate dietro ad una sepoltura: di tutta la
vita di un uomo che cosa resta? Lo mettono là nella terra... c'è una lacrima
che scende. Chiuso! finito! L'ultimo segno. Tutto si conclude in un pianto.
Il pianto, dico, è la dimensione autentica dell'uomo. Un
uomo vero è povero, e povero è uno che patisce, che soffre la mancanza di
qualche cosa. Mancanza, perdita, quindi pianto: "beati coloro che
piangono", dice Gesù. Ma dice anche: “beati i poveri dello Spirito, perché
di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,3).
Ecco, questa povertà coincide con coloro che piangono. perché se povero
è colui che manca di qualche cosa, se povero dello Spirito è colui che manca
dello Spirito, che sente la perdita dello Spirito, che non trova questa Realtà
spirituale che pur non può negare perché è operante in tutto, allora, dico, il
povero dello Spirito in realtà è uno che piange, e siamo, dico, nell'uomo più
vero: l'uomo che invoca, l'uomo che chiede.
Anche i puri di cuore corrispondono a coloro che
piangono, corrispondono ai poveri dello Spirito. Siamo sempre nella stessa
categoria: è l'uomo che ha un amore unico, che ha un pensiero unico e lo porta
al disopra di tutto, che vive tutto per quello, che è teso verso quello:
abbiamo quindi l'anima che patisce, che soffre, che piange in attesa di
realizzare questo amore.
Puri di cuore! La purificazione avviene in questa attesa:
“beati coloro che vegliano” (Mt 24,46). Bisogna vegliare, perché è questa
veglia infinita per l'Infinito che purifica l'anima all'Infinito, fino a
renderla talmente semplice, una (ecco, pura) da poter essere trasparente
all'Infinito.
E' necessaria questa purificazione, perché, ho detto, la
difficoltà per noi a trovare la Realtà dello Spirito è determinata
dall'inquinamento del pensiero. L'esperienza della perdita di questa Realtà
(Realtà che è infinita, Verità che è assoluta, Verità che è spirituale, Verità
che è Dio), l'esperienza che l'uomo fa della difficoltà a trovare questa Realtà
spirituale, invisibile (che pesa però su di lui, e che lui non può dimostrare
che non ci sia) è conseguenza del pensiero inquinato.
Dico, questa difficoltà dell'uomo a trovare la Realtà
dello Spirito è determinata dal fatto che l'uomo ha il pensiero inquinato, e il
pensiero dell'uomo è inquinato unicamente perché è fatto di frammenti. L'uomo
ad un certo momento è tutto un frammento: frammento
di affetti, frammento di conoscenze, frammenti di pensieri. Siamo fatti tutti
di frammenti. E' questo che ad un certo momento crea delle distanze infinite
tra noi e Colui che non è frammento: Dio è Uno!
Nella molteplicità c'è il frammento, e nel frammento c'è
l'impossibilità di passare all'Uno: “Dove Io sono voi non potete venire”. Ecco,
il frammento non può inserirsi nel Tutto, non può vedere il Tutto. E' dal Tutto
che si vede il frammento, ma dal frammento non si può vedere il Tutto.
Se voi avete un frammento, non potete dal frammento, se
non soltanto con la fantasia, arrivare al “tutto”, e resterete sempre col
dubbio se quel "tutto" comprenda quel che è frammento. E' soltanto vedendo
il "tutto" che si può capire perché c'è quel frammento e dove va
inserito quel frammento, ma bisogna avere presente il "tutto".
Quindi, tutti questi pensieri, questi fatti, questi
avvenimenti, queste conoscenze che noi accumuliamo, poiché è un accumulo che si
fa dentro di noi, nel nostro cervello, giorno dopo giorno, e son tutte nozioni
che arrivano a noi, ma che restano tutte interrotte, ci paralizzano, ci
inquinano.
Tutti noi sentiamo il bisogno di capire che senso ha
quell'avvenimento, quel fatto, vicino o lontano da noi, tutto quello che
succede; perché, dico, tutti i giorni noi siamo bombardati da notizie che
entrano dentro di noi ma che restano lì sospese, perché non vengono raccolte
nel Tutto, non vengono viste nell'Unità di Dio, non vengono viste nel
significato di Dio.
Siamo tutti lì sospesi, con quel carico enorme di
frammenti che portiamo dentro di noi e che ad un certo momento rovinano tutto
di noi, soprattutto nel cervello (prima nel cervello e poi anche in tutto
l'organismo, perché tutto viene di lì), perché tutto quello che è frammento,
che rimane In noi frammentato, è come cibo non assimilato: ti avvelena, ti
intossica. Tutte le nozioni che arrivano a noi, nel nostro cervello, e che non
vengono riportate nello Spirito e che non vengono unificate in Dio e viste nel
loro significato in Dio, tutto quello ci intossica.
E l'intossicazione nel cervello cosa vuol dire? Vuol dire
che siamo paralizzati, diventiamo Incapaci di pensare. Gesù dice: "Chi con Me non raccoglie
disperde" (Mt 12,30).
Ecco, nella dispersione c'è la paralisi, c'è l'incapacità
di pensare, si va avanti soltanto per emozioni e nient'altro. Non c'è più la
possibilità della contemplazione, della visione della Verità e delle cose. E
qui l'uomo esperimenta l'impotenza, esperimenta la paralisi, esperimenta la
povertà, la sua povertà. E' morte crescente dentro di noi.
Dio opera, giorno dopo giorno, attraverso la notte, per
cercare di scaricare questo veleno che noi accumuliamo durante il giorno, perché
non riportiamo le cose a Dio, perché ci fermiamo alle sensazioni, ai
sentimenti. Dio opera per scaricare questo veleno, ma ad un certo momento quel
veleno arriva ad essere così grande, così tanto, che la notte non è più
sufficiente per scaricarlo. Il veleno cresce troppo, e la morte incomincia a
operare dentro di noi.
Ecco, dico, come si forma in noi questa incapacità a
trovare lo Spirito, questo distacco, questa perdita, una perdita crescente. E
una delle principali perdite è questa: l'uomo perde la capacità di capire.
E' questo spettacolo che crea il pianto in Gesù e nella
profondità della nostra anima.
Noi ci chiediamo: come mai Gesù ci fa arrivare questo suo
pianto proprio a Natale? ma proprio a Natale una delle caratteristiche che lo
significano è questo: “Venne tra i suoi e i suoi non Lo accolsero”(Gv 1,11).
Ecco, l'abbiamo sentito anche stamattina nella predica: non c'era una casa per
Lui! Ecco, Dio viene. Tutto il mondo è suo ognuno di noi appartiene a Dio; pure
non c'è posto per Lui.
Qui incominciamo a intravedere perché Gesù piange, perché
nel Natale c'è un pianto. L'entrata di
Dio nel nostro mondo è già caratterizzata da questo pianto e in questo pianto
già si vede la Croce, già si vede la morte di Cristo In Croce. Ecco perché c'è
questa impronta fondamentale nella vita Gesù: “mai riso! pianto, qualche
volta”, perché Lui, il Figlio di Dio, incarnandosi prende su di sé la
situazione dell'altro, poiché è questa la condizione essenziale per salvarlo, e
prendendo su di Sé patisce, perché amando si patisce.
E quando Gesù dice: “Dove lo avete posto?”, è qui che
piange! E noi la volta scorsa abbiamo commentato dicendo che Lui sapeva
perfettamente dove lo avevano posto. Lo avevano posto sotto una pietra.
Chiedendo rivela interesse e si rende partecipe della situazione della
creatura: "Dove lo avete posto?”, quasi a dire: “dove avete posto la
vostra vita?” (per Maria e Marta Lazzaro era diventato la loro vita). E' lì che
scoppia il pianto! “Dove avete posto la vostra vita?”, quella vita che Lui è
venuto a recare agli uomini. La vita sta
nel conoscere Dio, sta nel capire. “Venne tra i suoi e i suoi non l'hanno
capito!”, “la luce splende nelle
tenebre, ma le tenebre non comprendono!”(Gv 1,5).
Ecco, il pianto nasce da questo! dal constatare la
durezza, l'incapacità a capire. A capire che cosa? a capire il messaggio che
Dio porta tra noi, a capire la vita: “dove avete posta la vostra vita?”. E gli
uomini anziché porla in Dio l'hanno posta nella materia, sotto la pietra, sotto
gli argomenti umani. E credono di far piacere a Dio, perché accendono le luci,
perché fanno i presepi. Credono che facendo i presepi di rendere gioia a Dio, e
forse in un angolo Gesù sta piangendo. E chi mai si domanda di fronte ad un
presepio, di fronte a tante luci, di fronte a tante funzioni belle a Natale, di
fronte a tanti discorsi, tante parole..., chi mai non sospetta che a fondo di
tutto questo ci sia una lacrima di Dio, ci sia un pianto…? che Dio sia
tutt'altro che contento? “Io - Egli dice - ho nausea delle vostre feste” (Is 1,14),
ed è Parola di Dio, parola di un Profeta: "Io ho nausea delle vostre
feste, dei vostri canti, delle vostre funzioni religiose”. Dice: “Ho nausea...;
perché Io voglio la conoscenza!” (Os 6,6).
Ecco, Dio ci ha portato la vita e vuole essere capito! Lì
è ciò che piace a Dio! Lui non ha bisogno né delle nostre luci, né dei nostri
canti, né delle nostre feste, né delle nostre funzioni. Dio ha bisogno che noi capiamo, perché la sua
presenza tra noi è tutto un messaggio.
Ora, quando uno ci reca un messaggio, e Dio è tutto un
messaggio per noi, nel messaggio c'è una proposta, e quando uno ci fa una
proposta c'è un'attesa. Ora certissimamente Gesù tra noi, nascendo tra noi è
una proposta per noi, reca un messaggio, quindi una proposta. E qual è questa
proposta? “Metti Dio prima di tutto, perché la tua vita è Dio!”. Cerca Dio
prima di tutto! Questo è il messaggio
essenziale.
Però, dico, quando uno fa una proposta viene a mettersi
in una situazione di attesa. E cosa attende? Ha fatto una proposta, attende la
risposta. Colui che attende è sempre un debole. E Gesù si fa debole. E quanto
si fa debole, per ognuno di noi, facendoci le sue proposte! perché, ho detto,
facendoci la sua proposta si mette in una situazione di attesa: di attesa della
risposta della sua creatura. E Lui che sa come le cose vanno a finire, Lui si
prepara, in questa situazione di attesa, a morire in Croce, perché la risposta
dell'uomo alla sua proposta sarà questa.
E l'uomo fa esperienza di perdita proprio lì! Perché
tutto già ci è dato, la realtà tutta è data, Dio è già tutto tra noi! Dio è presente tutto tra noi! Pure noi
facciamo esperienza, ed è un mondo di morte che noi esperimentiamo, dico, noi
facciamo esperienza invece dell'assenza di Dio: pensiamo Dio, ma non tocchiamo
Dio; pensiamo Dio, ma non capiamo niente di Dio! Abbiamo il pensiero di Dio, perché questo non
Lo possiamo annullare (il pensiero di Dio mi viene dalla proposta, e questo
Pensiero di Dio nessuno di noi lo può cancellare), abbiamo Dio come pensiero,
ma la Realtà ci sfugge! La Realtà tutt'altro!
Ora ciò che ci salva, quello che ci dà vita non è il
pensiero, ma è la Realtà, è la Presenza di Dio! Qui sta la nostra salvezza! Ad
un certo momento noi diventiamo tutto pensiero, poiché tutte le esperienze
della nostra vita diventano pensiero, frammenti (frammenti di pensiero, ma
tutto pensiero e pensiero di Dio), ma diventa un pensiero in noi che non trova
la Realtà corrispondente, e, dico, questo è morte. Questa è esperienza di
morte.
L'esperienza di morte si fa in quanto uno ha presente una
persona e quella persona non è più reale, quella persona lì non la vede più,
non la tocca più! non parla più! Il pensiero di essa però ce l'ha.
Ecco perché l'esperienza della perdita, dell'assenza, è
una conseguenza del pensiero, quel pensiero che diventa in noi principio,
desiderio di una realtà, di una realtà che non si trova e che non si troverà
eternamente, perché la realtà non sarà mai figlia del nostro pensiero.
Dico, è di fronte a questo, a questo pensiero che in noi
diventa dominante (perché non è diventato più figlio della Realtà Dio), che noi
esperimentiamo l'assenza, la perdita. Il pensiero che portiamo in noi è il
Pensiero di Dio, ma è Pensiero "di" Dio, quindi Figlio di Dio; fuori
di questo, il nostro pensiero diventa motivo di morte dentro di noi, perché
diventa constatazione di un'assenza.
Il nostro pensiero non fa la Realtà. La Realtà è Dio che
la fa. E' soltanto deducendo, derivando da Dio che noi possiamo esperimentare
la Realtà.
Ho detto, la realtà viene da Dio, non viene dal nostro
pensiero. E allora ecco l'importanza che il nostro pensiero non sia staccato da
Dio, ma derivi sempre da Dio, quindi che la realtà che noi desideriamo, che noi
vogliamo, non sia conseguenza del pensiero che portiamo in noi, non sia
conseguenza del desiderio che portiamo in noi, dei nostri interessi, ma derivi
sempre da Dio: il nostro pensiero deve essere figlio, non deve essere
principio, perché come è principio annulla tutto.
E' in questa situazione che l'uomo viene a constatare
l'infinita distanza da Dio.
Ecco, quell'infinita vicinanza che si trova nella veglia
con Dio quando si guarda a Dio, diventa un'infinita distanza quando l'uomo
distoglie il suo sguardo da Dio! distanza insuperabile!
Quando invece l'uomo veglia con Dio, guarda a Dio, Lo
mette prima di tutto, cioè guarda dal
suo punto di vista, esperimenta un'infinita vicinanza, perché quando si guarda
a Dio, non siamo noi a guardare Dio, ma è Dio che guarda noi! Noi siamo
attratti da ciò cui guardiamo: attratti! quindi subiamo la passione di ciò cui
guardiamo. Quindi il principio del nostro guardare è ciò cui noi guardiamo. Se
noi guardiamo Dio, il principio dei nostro guardare Dio è Dio stesso. E' lì che si vive nella Realtà e quindi
nell'Infinita vicinanza!
Ma tolto questo, se non si mette quel “prima di tutto
Dio”, l'uomo viene a fare questa terribile esperienza: l'infinita distanza che
lo separa da Dio, che lo separa dalla Realtà. “Dove lo sono voi non potete
venire”. E' questo, la situazione di inaccessibilità a Dio della creatura, che
crea il pianto in Gesù! 1
Pianto che si inizia facendo entrare in noi il dubbio,
perché noi superficialmente, e lo vedremo le prossime domeniche, interpretiamo
il pianto di Gesù sul piano sentimentale: “piange per ciò che noi piangiamo”.
Gesù piange per ben altro!
Perché piange?
La grande rivelazione ce l'abbiamo quando Lui entra in
Gerusalemme: tutti Lo applaudono e Lui piange. Ma perché? Non hanno conosciuto il suo cuore, non hanno
capito il suo animo, non hanno compreso la passione che Egli porta va in Sé,
non hanno capito il suo messaggio: la vita che Lui recava! Questo non l'hanno
capito ed è per questo che Lui piange!
Quindi il problema sta nel capite! per cui se noi
vogliamo recare gioia a Dio, piacere a Dio, dobbiamo puntare lì: è nel capire!
Tutto il resto non serve! Tutto il resto serve per noi: ci illude, ci inganna,
al punto tale che noi crediamo di far piacere a Dio e invece creiamo un pianto
in Dio!
Il suo pianto rivela il pianto segreto della nostra
anima. “Davanti a Lui piangeranno tutte le genti!” (Ap 15,4). Eppure si dice
anche che Lui asciugherà ogni lacrima (Ap 7,17). “Beati coloro che piangono perché saranno
consolati”. Ecco, in questo pianto della
creatura c'è il pianto di tutte le creature. La Parola di Dio dice che “tutta
la creazione geme e soffre nell'uomo! piange, in attesa: in attesa della
rivelazione di Dio” (Rm 8,22-23).
In tutto c'è questo pianto, tutta la creazione è immersa
in questo pianto. E Gesù dice: “beati coloro che piangono!”. Colui che piange è
aperto all'Infinito, colui che perde è aperto all'Infinito, colui che è povero
è aperto all'Infinito; ma colui che ride no! non è aperto all'Infinito, ma è
chiuso nel suo io, è chiuso nella sua soddisfazione.
Là dove c'è il pianto c'è un'apertura all'Infinito. E
dove sta quest'apertura?
In ogni lacrima che scende c'è una perdita. Si piange
perché si è perduto qualche cosa. Ora
notiamo che l'uomo essendo creato per Dio, quindi creato per l'Infinito,
vivendo nel mondo perde questo Infinito, perché si cala nel finito, e la Realtà
infinita a contatto con la realtà finita, in cui finisce la nostra vita,
diventa una lacrima.
Noi diciamo che in ogni lacrima c'è un sogno, ed è il
sogno infinito, il sogno di ogni uomo. Ogni
uomo è fatto per la vita eterna e muore: e c'è una lacrima! Ogni uomo è fatto
per capire e per capire l'Eterno, per contemplare, ma ad un certo momento
nell'uomo c'è una babele di confusione di pensieri: non capisce niente,
assolutamente niente! E questa umanità, questo uomo che è stato creato per
capire, per capire in Dio e da Dio ogni cosa, perché attraverso la conoscenza
può partecipare della vita di Dio, dell'Essere stesso di Dio, perché l'Essere
si comunica attraverso la conoscenza e solo attraverso la conoscenza, ad un
certo momento constata la confusione, l'incapacità di capire e di pensare.
Questa povertà estrema che cala così sull'uomo (che viene
in tal modo a contatto con il finito, lui che è fatto per l'Infinito), si
tramuta in una lacrima.
La lacrima, è l'ultimo segno che resta nel nostro mondo
di un sogno infinito. Senza Infinito non c'è lacrima: l'uomo che non porta in
sé un sogno, il sogno dell'Infinito, dell'Eterno, dell'Assoluto, non piange!
Piange colui che porta il sogno dentro di sé, ma un sogno che ad un certo
momento, dico, svanisce, si perde. Resta una realtà: polvere, pietra, in cui va
a finire la sua vita. Dico, ma non resta soltanto questa realtà: c'è la realtà,
ma c'è una lacrima.
E, dico, in questa lacrima, ecco, c'è una speranza.
Perché? perché questa lacrima dice a noi che quel sogno non era un sogno: era
la Realtà! L'Infinito non è un Infinito che illude l'uomo. Dio non illude l'uomo e quindi la lacrima
dell'uomo, dell'uomo che piange perché non vorrebbe morire, che non vorrebbe
perdere, perché vorrebbe capire; questa lacrima testimonia all'uomo che quel
sogno non era illusione: era la Realtà! era la Realtà che lui doveva mettere al
di sopra di tutto per conseguirla, perché soltanto mettendola al di sopra di
tutto, ecco il messaggio del Natale, l'avrebbe constatata.
Il messaggio del Natale infatti è: Cristo tra noi è tra
noi e non è un sogno! E' tra noi indipendentemente da noi. Ciò che esiste in
noi indipendentemente da noi non è un sogno, ma è una Realtà, perché è indipendente,
e questo è appunto la garanzia, il sigillo della Realtà: la Realtà esiste
indipendentemente dall'uomo. La Verità è trascendente.
Il Natale testimonia a noi questa trascendenza di Dio:
Dio è presente in noi indipendentemente da noi: nasce da una Vergine: l'uomo
non c'entra. Nasce in una grotta, scartato da tutto. Viene nella sua casa,
nessuno Lo accoglie, però è una Realtà, non è un sogno.
Ora, se questa è la Realtà, il pianto di Gesù che è il
pianto di ogni creatura, che è il pianto di ogni uomo, è questa proposta: la
proposta di capire questa Realtà, perché il sogno in noi diventa Realtà che si
tocca, che si vede, che si capisce, che si constata, solo in un punto solo: in
quanto è messo prima di tutto. Altrimenti il sogno tramonta, finisce in una lacrima;
ma in quella lacrima ancora annuncia a noi che il sogno per noi è tramontato
perché non l'abbiamo messo prima di tutto, non l'abbiamo messo al suo posto.
– —
Alcuni pensieri tratti dalla conversazione:
Il pianto di Gesù è tutto un messaggio: è il vero pianto
della nostra anima, non quello sentimentale, ma perché non capiamo.
Chi piange, piange nell'Infinito, chi ride, ride nel suo
finito: qui non c'è speranza. Invece nel pianto, nella lacrima, c'è ancora
questo sogno infinito dell'uomo, quindi un'apertura all'Infinito.
Gesù non piange per il dolore di Maria, Marta e di quella
gente, ma piange per il loro errore. Il pianto è conseguenza del turbamento di
cui si è parlato la volta scorsa, che ha fatto fremere Gesù.
Nella nostra lacrima c'è ancora quel sogno perduto,
svanito: ecco allora che Gesù sposa il suo pianto al nostro pianto e quindi
attraverso la sua e la nostra morte ci riapre al sogno, ci riporta in quel
sogno d'infinito che noi abbiamo perduto disperdendoci.
Noi non troviamo più Dio perché non raccogliamo in Lui,
perché siamo sempre noi a parlare (mentre invece abbiamo bisogno di trovare Lui
che parla a noi), Dio non ci ha creati frammentati, ma siamo noi che lo
diventiamo perché non accogliamo in Lui. Dio ci ha creati con la passione di
assoluto che è passione dell'unità, che è passione del "tutto", non
del frammento. Ma noi non raccogliendo perdiamo questo desiderio di unità nel
quale Dio ci ha creati: “chi con Me non raccoglie disperde”, dice Gesù. E
disperdendo, restiamo dispersi, frammentati, per cui ad un certo momento non
siamo più capaci ad unificare.
Si ricupera il sogno perduto, solo mettendo Dio prima di
tutto: Infatti Cristo muore in Croce per farci morire al nostro io e farci
mettere Dio prima di tutto, cioè per farci risorgere, vivere per le cose
invisibili. Quindi il ricupero è
possibile, ma attraverso questa morte all'io.
Il vero pianto della nostra anima è effetto della perdita
di un sogno d'infinito che ci ha illuso. Nelle nostre lacrime c'è ancora quel
sogno di infinito che noi crediamo sia stato solo sogno perché ci ha illusi.
Invece Cristo sposando il nostro pianto al suo pianto ci fa capire che quel
sogno è una Realtà, realtà che per noi è diventata un'illusione solo perché non
lo abbiamo messo prima di tutto: non sono vissuto per quel sogno! Non è il
sogno che mi tradisce, ma sono io che tradisco, perché non lo metto al suo
posto.
Per passare dal frammento al "Tutto", bisogna
aver presente il Tutto, e il Tutto è Dio, altrimenti è impossibile. Soltanto che per vedere il Tutto bisogna
passare attraverso il niente di tutto il resto, di tutti i frammenti. Il
frammento non è un cammino, ma solo esigenza di fare un salto nel Tutto,
altrimenti non si può raccogliere il frammento.
Il pianto di Gesù va capito: non serve spremerci in
lacrime e sentimenti. Con Dio si opera in un modo solo: con l'intelligenza: Dio
vuole essere conosciuto. Il pianto di Gesù è ancora una proposta a mettere la
conoscenza di Dio prima di tutto.
L'uomo fondamentalmente è solo con Dio e tutto accade in
questo rapporto. Se fossimo intelligenti manterremmo questo rapporto, perché in
realtà noi siamo fatti consapevoli soltanto in questo rapporto con Dio;
diversamente, fuori di questo rapporto, siamo in balla di tutto, per cui non siamo
mai noi stessi; di qui la nostra grande tristezza: certo, perché mettiamo
l'infinito, la nostra vita sotto una pietra!
Gesù piange perché vede che per rendere accessibile a
Maria, la contemplativa, il salto all'Infinito, non basterà la risurrezione di
Lazzaro (anzi questa la può anche illudere, perché è una
"caramella"), ma sarà necessaria la sua morte in Croce.