e molti Giudei
erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Gv 11 Vs 19
Titolo: La
vicinanza terribile. (Dio e la molteplicità-"Molti vennero...").
Argomenti: La morte è un centro di attrazione. La morte
è la massima vicinanza alla vita.
Vicinanza non è eliminazione di distanza.
"Molti e pochi". La
vera consolazione. Lo scandalo del mutamento e della
morte. Il tempo propone l'eterno, lo spazio
l'infinito e la morte propone la vita. La vita è un segno
della morte o la morte è un segno della vita? L'evidenza s'impone la vita no. L'amore contrastato.
18/Luglio/1993 Casa
di preghiera Fossano.
Questo versetto conclude quello che abbiamo visto
domenica scorsa.
Mette in relazione questi "molti che vennero da
Gerusalemme", con la poca distanza fra Gerusalemme e Betania.
Noi dobbiamo cercare il significato spirituale, per la
nostra vita personale di quest’affermazione.
Tutto è carico di significato.
Non c'è nulla di banale.
Noi ci dobbiamo sforzare oggi come oggi di entrare nella
vita eterna.
Senza il nostro sforzo, senza il nostro impegno non si
entra.
Dobbiamo chiederci il significato di questo rapporto:
molti-vicinanza.
Qui giustifica la venuta di "molti da
Gerusalemme" con il fatto della poca distanza da Betania.
A Betania c'era Lazzaro morto.
Teniamo presente che sia Betania sia Gerusalemme erano in
Giudea e noi abbiamo visto che la Giudea rappresenta la nostra interiorità.
A Capo della Giudea c'è Gerusalemme che è la città di
Dio.
Basta accennare al fatto "città di Dio" per
capire come Gerusalemme rappresenti la nostra anima.
Dio nella realtà non abita in città esteriori: né
Gerusalemme, né Roma, né Parigi.
La verità abita dentro di noi.
Quindi la città vera di Dio, il tempio vero di Dio, la
casa vera di Dio non è fuori ma è in noi.
Fintanto che crediamo e cerchiamo Dio fuori di noi,
certamente non lo troviamo.
Se Dio e la verità abitano dentro di noi, nella nostra
anima, nella nostra mente, questo è il vero tempio di Dio, questo è il luogo,
dove noi dobbiamo cercarlo.
Basta accennare a questo, per capire come la morte di
Lazzaro e la venuta di molti da Gerusalemme, sia carico di significato per
ognuno di noi.
Teniamo presente che qui dice che "Molti vennero da
Gerusalemme a Betania ma a Betania è confluito anche Gesù".
Con i suoi pochi apostoli ("Piccolo gregge").
Per cui abbiamo molti che arrivano da Gerusalemme e
abbiamo (pochi) che arrivano con Gesù a Betania, non da Gerusalemme ma dal di
là del Giordano, dal deserto.
Questo
Lazzaro è l'uomo morto e quest’uomo morto è dentro di noi.
Sembra che questa morte che l'uomo porta dentro di sé
attiri tanti.
Sembra che la morte diventi un centro di attrazione.
Abbiamo molti che vengono da Gerusalemme (la città di
Dio) e abbiamo Gesù che con i suoi pochi apostoli, viene nello stesso luogo dal
deserto, dalla terra pagana, dal battesimo di Giovanni Battista.
Sembra che la morte diventi un centro di attrazione,
d’interesse.
Noi
abbiamo visto come la morte rappresenti la massima vicinanza con la vita.
Richiamo questo concetto di massima vicinanza alla vita,
perché questo è determinato dal fatto che l'uomo di fronte alla morte è posto
in una situazione d’impotenza.
L'uomo non può fare niente di fronte alla morte.
L'uomo può fare qualcosa di fronte alla malattia o di
fronte a chi dorme.
Qui l'uomo può fare qualche cosa.
Di fronte alla morte non c'è più niente da fare.
Il che vuol dire che l'uomo è escluso, impotente.
Però proprio in questa impotenza, si rivela questo grande
fatto: tutto dipende da Dio.
Cioè si rivela quello che era in principio.
Per questo dico che c'è la massima vicinanza.
È la possibilità dell'uomo di fare qualche cosa che crea
la distanza da Dio.
Perché l'uomo fintanto che può fare qualcosa può dire:
"Io".
E fintanto che l'uomo è un predicato di sé, quello crea
immense distanze dal principio, da Dio Creatore: un essere solo che opera in
tutto.
Questa è la verità.
E noi dovremmo restare in questo principio e dovremmo
contemplare ogni cosa in questo principio: Dio è Colui che opera tutto.
Quando invece noi incominciamo a pensare che: "Qui
sono io che l'ho fatto" o che sono stati gli uomini e che quindi
cominciamo a predicare l'uomo, qui si crea una grande distanza.
Questa grande distanza che a un certo momento ci fa
perdere di vista la vita.
Perché noi incominciamo a vivere per agire, per fare, per
conquistare, per possedere il mondo, ritenendo che la vita stia nel possedere
cose del mondo.
Gesù ci dice chiaramente di non credere che la vita venga
dalle cose che si possiedono.
La vita non sta lì.
La vita, ed è dichiarato fin dal principio, sta nel
conoscere Dio.
In principio la luce era la vita degli uomini.
In quel principio in cui tutto viene da Dio.
Abbiamo visto come la morte sia un grande atto di
misericordia di Dio, perché riducendo l'uomo all'impotenza, lo riporta nel
principio, lo riporta cioè nel "tutto dipende da Dio, tu non puoi fare
niente".
Ora, se nel punto di morte, l'uomo costata che non può
fare niente....
Nel fine c'è sempre la rivelazione della verità che è
nell'uomo.
Questa verità qui, l'uomo la dovrebbe portare in
continuazione, anche quando ritiene di poter fare qualcosa.
L'uomo dovrebbe sempre dire:"Se ho fatto qualcosa,
non sono io che l'ho fatto ma Dio".
È Dio che ha adoperato me per fare qualcosa.
Ma è sempre Dio.
Per cui se l'uomo parla, non è l'uomo che parla.
È Dio che lo fa parlare.
Se l'uomo pensa, non è l'uomo che pensa, ma è Dio che lo
fa pensare.
Se l'uomo agisce, non è l'uomo che agisce, ma è Dio che
lo fa agire.
Per restare nel principio, cioè per restare nella verità,
questa è la condizione essenziale.
Allora con la morte, l'uomo è riportato nella situazione
del principio.
Alla fine, noi ritroviamo il principio.
La
vicinanza non è identità, sia ben chiaro.
Qualcuno ha detto che con la morte noi troviamo Dio, no,
la morte non è Dio.
La morte è la massima vicinanza con Dio, perché si viene
portati di fronte al fatto che tutto viene da Dio.
Chiuso, l'uomo non può più fare niente.
Ma massima vicinanza non è identità.
Quindi non possiamo dire che con la morte noi troviamo
Dio.
Con la morte noi siamo nella massima vicinanza a Dio, con
la vita, ma non è detto che....
Qui si dice che Betania era molto vicina a Gerusalemme,
motivo per cui molti da Gerusalemme vengono.
Ci si aspetterebbe, data la vicinanza e dato il fatto che
Gerusalemme rappresenta la città di Dio....
Se la morte rappresenta la massima vicinanza alla vita,
vuol dire che è la massima possibilità di passare dalla morte alla vita.
Massima facilità.
Massima
vicinanza non è eliminazione di distanza, la distanza c'è (15 stadi).
Quindi non c'è annullamento di distanza.
Una distanza c'è.
Se una distanza c'è, vuol dire che questa distanza deve
essere superata.
Anche se poca va superata, è la condizione essenziale.
Ora, se la vita sta nel guardare tutte le cose dal punto
di vista di Dio e nel collegare tutto con l'eterno, evidentemente si passa
dalla morte alla vita, in quanto si supera quella distanza che passa tra ciò
che non è eterno e ciò che è eterno.
Questo passaggio non avviene senza di noi.
Necessariamente.
Per cui non si può passare dal segno allo spirito, non si
può passare dalla parola al pensiero, bisogna portarsi nello spirito, nel
pensiero per capire la parola.
E nel Pensiero di Dio Creatore autore di tutte le cose.
Questo è il passaggio.
Allora ci si aspetterebbe che data la poca distanza che
c'è tra la morte e la vita, cioè tra Betania e Gerusalemme, ci si aspetterebbe
il passaggio da Betania a Gerusalemme: città di Dio, luogo in cui si trova lo
spirito.
Passaggio cioè dal segno, dalla parola, da quella cioè
che è la realtà materiale, sensibile a quella che è la presenza spirituale, la
presenza di Dio, la conoscenza di Dio.
Quindi ci si aspetterebbe di vedere passare questa
esperienza di morte da Betania a Gerusalemme.
Invece qui troviamo il rovescio, cioè troviamo che
"molti" da Gerusalemme vanno a Betania.
Quel
termine "molti" è sempre un po' sospetto....
Se noi teniamo presente che la vita con Dio è una vita
d'amore, quindi una vita essenzialmente personale, dove si parla di
"molti" questo ci fa sempre sospettare che ci sia qualcosa che non
quadra.
Comunque dobbiamo approfondire, perché in quanto avviene
ha un significato.
Teniamo sempre presente che a Betania confluiscono non
solo i molti da Gerusalemme ma anche i pochi che erano con Gesù, dal deserto.
Confluiscono tutti lì.
Quale significato ha?
Sembra che pur essendo molto breve la distanza che separa
Betania da Gerusalemme, sembra che sia molto più facile passare da Gerusalemme
(luogo di vita, di Dio) a Betania (luogo di morte) che non passare dalla morte
alla vita.
Questa è la prima lezione che se ne ricava da questo
fatto.
Gesù dice che pochi sono quelli che passano attraverso la
porta stretta che conduce alla vita e che molti sono quelli che passano per la
porta larga.
Ecco perché il "molti" è sempre un termine
sospetto.
Perché "pochi" sono quelli che si salvano,
"pochi" sono quelli che passano per la porta stretta,
"pochi" sono quelli che si sforzano di entrare nella vita eterna.
Quel "molti" ci fa capire che si è in molti, là
dove si è molto facilitati.
Allora se c'è c'è questa facilità a passare da
Gerusalemme a Betania e c'è invece difficoltà a passare da Betania a
Gerusalemme, vuol dire che apparentemente la distanza fra Gerusalemme e Betania
è la stessa che c'è tra Betania e Gerusalemme ma in realtà no, spiritualmente
no.
La distanza che passa tra Betania e Gerusalemme è più
difficile, più faticosa della distanza che passa tra Gerusalemme e Betania.
Noi sappiamo già che tutte le consolazioni di fronte alla
morte servono a un bel niente.
Con tutte le consolazioni di questo mondo, nessun morto
risorge.
Qui che cosa vengono poi a consolare è ancora tutto da
vedere.
Comunque c'è questo fatto.
Questa facilità ad allontanarsi dalla vita per consolare
coloro che hanno subito questa morte.
La morte non la subisce tanto colui che muore quanto
coloro che restano.
Questi sono coloro che patiscono e forse hanno bisogno di
consolazione.
Ma il vero problema dell'uomo non è la consolazione
sentimentale, non è avere attorno tanta gente che ti dice di farti coraggio o
animo.
Quello rivela, ci fa quasi capire che la realtà
ineluttabile per l'uomo sia la morte.
Per cui c'è bisogno di tanta gente che venga a consolare,
quasi a dire: "Rassegnati, la realtà è questa".
Ma la realtà non è questa!
La realtà non è la morte.
La realtà è la vita.
Dio non ha creato l'universo, gli uomini e il mondo per
la morte.
Dio ha creato tutto per la vita, affinché l'uomo viva.
Se noi togliamo questo noi, non capiamo più niente.
Dio crea tutte le cose per rendere una sua creatura
partecipe di quello che Lui è.
Lui è il vivente.
Lui crea tutte le cose per manifestare Se Stesso, per
comunicare Se Stesso.
La comunicazione di Dio è vita.
Quindi Dio crea per rendere una sua creatura partecipe
della Sua vita.
Partecipe!
Quindi la realtà è questa Volontà di Dio, è questa
Intenzione di Dio.
Questa è la realtà.
La realtà non è la morte.
La morte è un accidente.
Un accidente di percorso.
Dovremmo vedere perché si crea quest’accidente, ma la
morte è un accidente, non possiamo dire che sia la realtà.
Se la realtà è la vita e la morte è un accidente, allora
il vero bisogno dell'uomo che viene a trovarsi a tu per tu con la morte è
capire il significato.
L'uomo ha bisogno di capire il significato.
L'uomo non ha bisogno di gente che scenda da Gerusalemme
e che si allontani dalla vita per consolare sentimentalmente di quest’accidente
che è la morte.
L'uomo ha bisogno di capire il significato, il senso di
questo.
Perché la morte non è la realtà.
La realtà è la vita, però la morte è negazione della
vita.
Siccome la morte è la massima vicinanza alla vita, qui è
possibile dimostrare il significato della morte.
Si passa alla vita in quanto si coglie il significato
della morte.
La vera consolazione sta lì.
Nel far vedere che tutto ciò che muore nel mondo è un
segno di vita, non è conclusione di vita.
Noi abbiamo visto la volta scorsa che la morte non è
altro che la conclusione del tempo.
Il tempo va verso una conclusione.
Ogni mutamento è già una morte.
L'uomo infatti soffre.
La
prima morte il bambino la subisce quando domanda: "Perché?".
L'uomo non sopporta la morte perché non sopporta il
mutamento.
Tanto forte è la presenza dell'eterno (immutabile) che l'uomo
porta in sé.
L'uomo porta in sé la presenza dell'eterno e di fronte a
ciò che muta subisce uno scandalo.
Ogni mutamento è uno scandalo nel campo dell'eternità.
L'eternità è ciò che non muta e l'uomo vive in quanto può
sempre raccogliere tutto, in ciò che non muta.
Se l'uomo non portasse in sé questo punto di eternità non
potrebbe vedere nemmeno il tempo.
E non potrebbe essere scandalizzato dal mutamento.
Invece l'uomo è scandalizzato dal mutare delle cose, per
non parlare dello scandalo che subisce dal perire delle creature.
Tanto più se queste creature sono vicinissime all'uomo:
padre, madre, sorella eccetera.
Quanto più la creatura è vicina e tanto più l'uomo resta
scandalizzato.
Il vero aiuto che si può dare all'uomo è togliere lo
scandalo.
Lo scandalo è un inciampo e vuol dire che l'uomo non può
più andare avanti.
Cosa vuol dire andare avanti?
Non si può collegare più con la vita, c'è una frattura.
Sul cammino dell'uomo è arrivato un muro e l'uomo non
riesce più ad andare avanti.
Non riesce più a vivere!
Perché non riesce più a vivere?
Perché non riesce a capire quest’accidente che gli è
capitato davanti.
Non riesce più a inserirlo nella vita.
Tanto che a un certo momento inizia il dubbio.
Il
tema di oggi è la vicinanza terribile.
La vicinanza è una cosa terribile.
La morte è vicinissima alla vita e ci semina un dubbio
tremendo con questa vicinanza.
La realtà è la morte o la vita?
Cioè
la vita è un segno della morte o la morte è un segno della vita?
Perché se tutta la nostra vita si conclude con la morte,
la morte è la realtà.
E se la morte è una realtà, la nostra vita non è altro
che un progresso verso la morte.
Cioè la vita non è altro che un segno della morte.
La realtà che noi esperimentiamo è questa: tutti viviamo
per poi morire.
Quindi la realtà è la morte?
Quante volte si dice che la vita è così, che bisogna
rassegnarci.
La vita non è così!!
C'è quest’apparenza terribile che è vicinissima alla
vita, ma si conclude con la morte.
Noi subiamo questa realtà sentimentale, perché la percepiamo
con i sensi, non con l'intelligenza.
Con l'intelligenza noi non ci rassegniamo alla morte.
Non possiamo rassegnarci alla morte, perché non ha una
giustificazione la morte.
La vita sì ha una giustificazione.
Dio Creatore di tutte le cose, opera in tutto per
comunicare Se Stesso, quindi per comunicare la vita.
Qui si che c'è una giustificazione, ma la morte non si
giustifica, non ha una giustificazione.
La morte quindi è un fatto relativo a un errore che
l'uomo porta dentro di sé.
Ma la morte non si giustifica in Assoluto, in Assoluto si
giustifica la vita.
Però l'uomo subisce la morte e l'uomo non può ignorare
quello che subisce.
L'uomo non può ignorare la morte.
Per l'uomo c'è questa facilità a scivolare nella morte.
Così come per l'uomo c'è questa facilità a scivolare nel
tempo.
Il tempo l'uomo lo subisce.
Volente o nolente l'uomo subisce il tempo.
Il tempo si conclude con l'annientamento e quindi con la
morte.
L'uomo subisce la morte.
Quello che si subisce arriva a noi indipendentemente da
noi e quindi s’impone, noi diciamo che è evidente.
Per
cui è molto facile adeguarsi a ciò che è evidente.
È evidente che con il denaro si possono fare tante cose.
È molto facile scivolare nel denaro e vivere per il
denaro perché è evidente che si possono fare tante cose con il denaro.
È evidente che chi ha un posto di lavoro è più tranquillo
di quello che è disoccupato.
È evidente, e allora è molto facile vivere per il posto
di lavoro o vivere per il lavoro.
Queste evidenze noi le percepiamo attraverso i sensi, i
sentimenti.
Tutto ciò che subiamo, lo subiamo attraverso i sentimenti
ed entra poi nel nostro spirito.
Già San Tommaso diceva che tutto quello che entra nel
nostro pensiero, nella nostra mente arriva sempre attraverso i sensi.
Ed è logico.
Tutto quello che subiamo, arriva a noi attraverso i
sensi.
Attraverso i sensi si esperimenta questo.
Per questo dico che è facile scivolare nella morte, come
scivolare nella ricchezza, come scivolare nell'autorità: affidarsi a uno che
comanda, a un superiore è molto facile.
La ricchezza è un'autorità, il lavoro è un'autorità è una
potenza, è un posto di potere.
È molto facile scivolare nell'autorità: "Lo dice la
tale autorità", e mi abbandono all'autorità.
Questo è affidarsi a una potenza, affidarsi a ciò che
s'impone su di noi.
Invece la vita non s'impone su di noi.
La vita richiede da parte nostra sempre un certo
superamento.
La vita è spirito.
La vita è raccoglimento e questo raccoglimento non
avviene senza di noi.
Raccogliere nell'unità non avviene senza la dedizione del
nostro pensiero.
Ecco per cui, pur essendoci la stessa distanza tra
Betania e Gerusalemme c'è molta diversità tra l'andare da Gerusalemme a Betania
(scivolare nell'evidenza di morte, potere, autorità) che passare da Betania a
Gerusalemme città di Dio, luogo della vita.
Anche se la morte è vicinissima alla vita, anche qui il
passaggio dalla morte alla vita è più difficile del passaggio dalla vita alla
morte.
Ecco per cui molti vennero da Gerusalemme (luogo della vita)
a Betania (luogo della morte).
Perché si richiede il superamento dei segni e quindi il
superamento della morte che è anch'essa un segno.
Si richiede il superamento del tempo, della ricchezza,
del lavoro, del potere, dell'autorità, il superamento di tutto.
Abbiamo
visto che anche la morte è segno dell'eterno.
Il tempo è una categoria dell'eterno.
Lo spazio è un segno dell'infinito.
Se è segno, è voce e se è voce, vuol dire che è
vocazione.
Vuol dire proposta.
Allora il tempo e anche la morte sono voce dell'eterno.
Se è voce dell'eterno è voce che ci chiama all'eterno.
Quindi il tempo che passa è voce che ci chiama
all'eterno.
La morte è voce che ci chiama all'eterno, quindi è una
proposta.
Proposta a noi dell'eterno.
Lo spazio è voce dell'infinito, quindi chiamata, quindi
proposta.
È l'infinito che si propone a noi.
Però noi vediamo il tempo e lo spazio ma non vediamo
l'infinito e l'eterno.
Però abbiamo la Parola di Dio che ci dice di non
occuparci delle cose che si vedono.
Perché le cose che si vedono sono soggette al tempo,
passano.
Dice di occuparci delle cose che non si vedono,
invisibili.
Perché lì c'è l'eterno.
Allora l'eterno è nelle cose invisibili, e se io vivo per
le cose che si vedono io vivo per la morte e qui San Paolo è chiarissimo.
Se io vivo per l'autorità che si vede, per il potere che
si vede, per la ricchezza che si vede, per il lavoro che si vede, io vivo per
la morte.
Sono molto facilitato ma, vivo per la morte.
Seguo quello che è evidente.
Invece la Parola di Dio, anche nel mio errore mi dice di
non vivere per le cose che si vedono, perché quelle sono soggette al tempo e
alla morte.
Quindi chi vive per le cose che si vedono, morirà.
Ma chi vive per le cose invisibili vive per le cose
eterne.
Ecco che qui la Parola di Dio coincide con il messaggio
che c'è nel tempo e nello spazio.
Il tempo è la voce dell'eterno che ci chiama all'eterno e
lo spazio è la voce dell'infinito che ci chiama all'infinito.
La Parola di Dio ci propone le cose invisibili.
Il tempo ci propone l'eterno, lo spazio ci propone
l'infinito e noi ricevendo questa proposta una risposta la diamo.
La morte ci propone la vita.
La morte ci pone a tu per tu con la vita, massima
vicinanza.
Ma come possiamo noi rispondere a questa proposta.
La maggior parte di noi di fronte al tempo che passa o
alla morte, aspetta che venga qualcuno a consolarli.
Perché?
"Perché la realtà è questa, bisogna rassegnarsi, la
vita è una ruota che gira, si finisce al cimitero, bisogna
rassegnarci"...e no!!
L'uomo ha bisogno di ben altro.
L'uomo non ha bisogno di cuscini né dall'autorità, né da
un istituto, né da tanta gente.
La molta gente forma l'autorità, perché l'autorità è
formata dalla quantità.
Noi vediamo che per eleggere una certa autorità ci vuole
sempre un certo numero, è il numero che fa l'autorità.
Evidentemente qui c'è un errore perché l'uomo non ha
bisogno né di quantità, né di numeri.
Attraverso i numeri o la quantità non si arriva
all'infinito.
All'infinito si arriva con l'intelligenza, cioè comprendendo,
giustificando.
L'uomo ha bisogno di giustificazione.
La proposta del tempo e dello spazio evidentemente è
personale perché propone una cosa invisibile.
Noi questa proposta non la possiamo ignorare, però, in
quanto ci chiede di occuparci di cose invisibili, noi la possiamo realizzare
con un mezzo solo: con il pensiero, solo con il pensiero.
Solo con il pensiero mi posso avvicinare a ciò che non si
vede.
Ciò che si vede tutti lo vedono e allora noi facciamo
gruppo.
Facciamo massa, facciamo società, facciamo popolo.
Ma nelle cose invisibili si entra solo personalmente con
il pensiero.
E quando dico con il pensiero, vuol dire che l'impegno è
essenzialmente personale.
Si passa dalla massa, dal gruppo, dalla società,
dall'istituzione all'impegno personale.
Ecco perché è di grandissima difficoltà il passare dalla
morte alla vita.
Pur essendo la morte vicinissima alla vita.
Perché si richiede il nostro pensiero, si richiede la
nostra dedizione e l'impegno personale in quello.
Senza pensiero non si entra e il Pensiero di Dio, notate
bene.
Non basta pensare, perché noi con tutto il nostro pensare
noi non formiamo una certezza.
Tutta la cultura del nostro mondo, state certi che non
approda mai a una certezza e quindi non può assolutamente salvare l'uomo.
Tutte le parole che possono dire gli uomini, non possono
sostituire una sola Parola di Dio.
"L'uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di
Dio".
Non dalle tante parole che escono dalla bocca degli
uomini.
Per quanto queste parole possono consolare.
L'impegno quindi è essenzialmente personale.
Quando l'uomo inizia a pensare con la sua testa e inizia
a dedicarsi personalmente a qualcosa, qui si scatena "l'ira di Dio".
Perché si scatena tutto il mondo ed è Parola di Dio.
Qui torniamo a quella vicinanza terribile: i più vicini
all'uomo sono quelli che maggiormente sono quelli che diventano nemici
dell'uomo che cerca personalmente Dio.
Quelli che fanno parte della sua stessa famiglia
diventano i nemici dell'uomo.
È Parola di Dio.
Quando l'uomo incomincia a vivere personalmente, attorno
a lui si scatena tutta la conflittualità, tutta la critica, si scatena una
rivoluzione.
I padri mandano a morte i figli, i figli mandano a morte
i padri c'è tutto questo conflitto verso l'uomo che inizia a fare i primi passi
nella ricerca personale di Dio.
Perché? Come mai?
Anziché aiutarci a vivere, sembra che tutti ci mettano i
bastoni fra le ruote.
E più c'è vicinanza con l'uomo che cerca Dio e più c'è il
nemico dell'uomo.
Bisogna aspettarcelo questo, è Parola di Dio.
D'altronde chiunque lo può esperimentare, basta guardarsi
attorno.
Non appena l'uomo inizia a scoprire la vita,
immediatamente si scatena questo.
perché?
Fintanto che tu sei sottomesso e obbediente seguendo
tutte le regole del tuo mondo, tutti ti battono le mani, ti fanno santo, ti
approvano.
Non appena tu cominci a vivere personalmente, cercando la
verità, secondo la verità si scatena una guerra attorno a te.
Rientra nel disegno di Dio.
Tutta quest’opera di contrasto è come il vento o il
soffio su una fiammella che si è accesa.
Fintanto che tutto il mondo ti approva e ti batte le
mani, stai pure certo che tu sei morto.
Tu sei nella morte: "Guai a voi quando vi loderanno",
perché sei nella morte.
"Beati voi quando inizieranno a criticarvi e
condannarvi", perché vuol dire che la fiammella si è accesa.
Allora c'è tutta questa conflittualità e questa critica
sopratutto di quelli più vicini.
Quelli più vicini sono quelli che pretendono di più.
Pretendono che l'altro sia sottomesso e ubbidiente.
Ecco perché vicinanza terribile.
Perché quando si vive insieme, c'è sempre uno che tende a
sottomettere l'altro, perché l'uomo è fatto per la passione d'Assoluto, per
l'unità e non c'è niente da fare.
L'uomo tende a rendere schiavo l'altro.
E quindi si diventa nemici.
Però, tutto questo scatenarsi di conflittualità ha uno
scopo ben preciso.
Tutto serve ad alimentare quella fiamma che si è accesa.
Personalmente nell'anima dell'uomo.
Quindi è positivo.
È Dio stesso che opera così.
Opera per rafforzare la fiamma.
L'amore
contrastato è un amore fortificato.
La fiamma è un amore perché è una scelta.
Dio in un primo tempo opera per farti nascere e tu nasci
in quanto inizi ad assumerti la responsabilità di una scelta.
Personale, non perché te lo dice uno o l'altro.
No, perché Dio stesso ti ha convinto, quindi rapporto
personale con Dio.
A un certo momento si sente il bisogno di vivere per
capire ma capire personalmente.
Non per sentito dire, lì è la chiave della vita e appena
questo si accende, lì si scatena tutto.
Per alimentare questa fiamma non per spegnerla.
Per cui a un certo momento l'uomo che vive per Dio,
diventa riconoscente verso amici e nemici, perché tutti contribuiscono,
sopratutto con la conflittualità, sopratutto rendendogli difficile la vita.
Tutti contribuiscono a formare in lui quella passione,
quell'amore che a un certo momento deve crescere al punto tale da
diventare infinito in modo da poter comprendere l'infinito.
Venne dunque
Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel
sepolcro. Betania distava poco da Gerusalemme: quindici stadi (meno di due
miglia) e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro
fratello. Gv 11
Vs 17 – 19 Riassunti
Riassunti Domenica – Lunedì -
Argomenti: La Giustizia essenziale – La fede dei discepoli – La capacità di leggere le opere di Dio – La
morte e la vita interiori – Gerusalemme e la Giudea
– Il tempo e l’eterno – La morte seminata in
noi – La resurrezione – L’irreversibilità
del tempo – L’eternità che portiamo in noi –
Lo specchio del mondo esterno – Raccogliere è vivere – Individuare l’eterno – La morte non esiste in
assoluto – L’ignoranza della vita – La distanza
tra la morte e la vita – Lo spazio e l’infinito –
Il velo che si spacca – Lo spirito e il segno – Il
significato della morte -
25/Luglio/1993