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“…ma tutto quello che Giovanni ha detto di Lui era vero, e molti credettero in Lui.” Gv 10 Vs 42 Primo tema.


Titolo: Il concepimento.


Argomenti: Concepire e identificare. Segni e parole. La Verità che salva è dentro di noi. La formazione del Pensiero di Dio in noi. Creazione, segni, parole, pensiero. Nel Pensiero di Dio si rivela il Principio del Pensiero stesso. Noi vediamo le cose per differenza dall’Assoluto. Il frammento è una categoria, un segno del "tutto". Il segno è manifestazione di Dio alla nostra intenzione. La "parola" è una manifestazione “di” un’intenzione. La Parola di Dio ci dà la possibilità di concepire Dio. Concepire la singolarità di Dio. Dio si concepisce, (Maria) attraverso il Pensiero puro di Dio. È l'intenzione di Dio che ci fa concepire. La parola che si fa carne.


 

13-14/Dicembre/1992 Casa di preghiera Fossano.


Siamo giunti all’ultimo versetto del cap. X di san Giovanni, il 42, in cui sì dice: "..ma tutto quello che Giovanni ha detto di Lui (Gesù) era vero.

E molti credettero in Lui". 

È l'ultimo versetto, e se Dio vuole, ne concluderemo i commenti con l'ultima domenica di quest'anno.

È un versetto che chiude il capitolo decimo, però mentre chiude nello stesso tempo apre agli argomenti del cap. XI che è un capitolo caratteristico perché divide tutto il Vangelo di san Giovanni in due parti: è una cerniera tra le due parti del Vangelo di san Giovanni:

-la prima parte, fino al capitolo decimo, la "parte dei segni"

-la seconda, dal dodicesimo in avanti, la "parte delle parole”

Ecco: segni e parole. E proprio l'argomento di questa sera verte su questo fatto: "segni e parole". 

Per questo, dico, mentre chiude gli argomenti del capitolo decimo apre agli argomenti del capitolo undecimo.

Qui prima la folla aveva affermato che certamente Giovanni non fece alcun "segno", e siamo nel campo dei segni. 

Adesso troviamo:         "ma tutto quello che Giovanni ha detto di Lui era vero” e siamo nel campo delle parole.

Quindi fa una distinzione tra "segni": "Giovanni non fece alcun segno”, e "parole": "tutto quello che Giovanni ha detto (=parole) di Lui era vero!”.

Nell'ultimo argomento che abbiamo trattato, abbiamo approfondito l'argomento della identificazione: identificazione dì Cristo, identificazione di Dio, cioè identificazione della "realtà".

Ed abbiamo visto che l'identificazione di una cosa dipende da un termine fisso che sì è formato nell'uomo, un termine interiore, quindi personale: il termine del concepimento, del concetto di quella cosa.

Ognuno può identificare una realtà (abbiamo riportato l'esempio della stella alpina e abbiamo insistito molto su di esso), ognuno può identificare una realtà fuori di sé, quindi indipendente da sé, solo in relazione a ciò che ha concepito dentro di sé. 

Soltanto colui che ha capito cos'è una stella alpina in modo da non confonderla con nessun altro fiore, ha la possibilità di identificare la stella alpina quando la trova come realtà.

La realtà certamente non dipende da noi: non siamo noi a farla!

Noi con tutte le nostre conoscenze, con tutte le nostre scienze sulle stelle alpine, certamente non possiamo fare una stella alpina. Però la condizione per poter identificare una stella alpina è che in noi si sia formata la conoscenza, l’identificazione, si sia formato il concetto di che cos'è una stella alpina.

I concetti si formano in noi per confronto tra le realtà esterne ed è tutta misericordia di Dio che, data la nostra poca intelligenza, ci aiuta a capire il concetto di una cosa mettendocela a confronto con altre: ci aiuta a capire cos'è una stella alpina in quanto ce la fa confrontare con le margherite, con le rose, con tutti gli altri fiori, e ci fa notare la singolarità che c'è nella stella alpina. In noi si forma il concetto di una cosa per differenza, per rapporto, in quanto possiamo mettere in evidenza quello che caratterizza tra tutti gli altri fiori, quel fiore, la stella alpina.

E così anche per tutte le altre conoscenze: il concetto di chi è una persona, un esistente, ecc., si forma in noi per differenza, per confronto.

Si forma così in noi la capacità di identificare quella cosa quando troviamo nella realtà quella cosa.

Questo processo di identificazione come rapporto ci dà la capacità di capire la differenza che passa tra i segni e le parole e di capire la loro funzione: "segni" che Giovanni Battista non fece, leggiamo qui, e "parole" che Giovanni battista disse su Gesù.

Giovanni Battista non fece alcun segno, ma anche Gesù ad un certo momento si rifiutò di dare un segno, quando Gli chiesero: "Dacci un segno, affinché noi possiamo credere in Te!"

Sembra che la richiesta sia giusta: "dacci un aiuto! dacci un segno, affinché noi possiamo credere". 

Gesù si rifiuta e dice: "Nessun segno sara dato a questa generazione" (Mt 16,4). 

E qual è questa generazione?

A questa generazione che chiede un segno per credere.

Allora possiamo anche intuire perché Giovanni Battista non fece alcun segno, non diede alcun segno.

Mentre qui si dice che Giovanni non diede alcun segno e Gesù si rifiuta di dare un segno, qui si dice anche: "tutto quello che Giovanni Battista ha detto di Lui – cioè tutte le parole che ha detto su Gesù - erano vere!"

Questo ci fa capire che c'è una differenza ed è una differenza grande tra i segni e le parole, perché i segni Giovanni non li dà e Gesù si rifiuta di darli, ma le parole Giovanni le dà in abbondanza: "tutto quello che ha detto di Lui, era vero!”.

Che differenza c'è tra segni e parole?

Quante volte abbiamo detto che le parole sono dei segni, ma se sono dei segni che differenza c'è?

Gesù dice che “I cieli e la terra passeranno, ma le mie Parole non passeranno" (Mc 13,31). 

Ora i cieli e la terra sono dei segni.

Tutta la creazione di Dio, tutto l'universo di Dio, essendo tutto opera di Dio Creatore, tutto è segno di Dio. 

Abbiamo detto che essendo segno è anche parola: dal segno si arriva poi alla parola. 

Però qui Gesù con queste sue parole fa una distinzione.

Evidentemente c'è una differenza tra i segni e le parole, perché dice: “I cieli e la terra (=segni) passeranno (i cieli e la terra passano, i segni passano), ma le mie Parole (= Parole di Dio) non passeranno (non passano)".

Che differenza c'è tra questi segni che passano e questi segni "parole" che non passano? 

Ecco è necessario capire questa differenza per capire la loro funzione, perché è ancora necessario approfondire la condizione essenziale per giungere all'identificazione di Dio.

È necessario capire la funzione dei segni e delle parole, proprio perché c'è stata precedentemente questa riflessione sulla condizione per poter identificare le cose, la realtà. 

Chiamo "realtà" ciò che non dipende da noi né dal nostro pensiero, né dai nostri pensieri. 

L'identificazione di ciò che non dipende da noi è dipendente, quindi presuppone la formazione in noi del concetto di ciò che noi troveremo indipendentemente da noi.

Questo è facile per quel che riguarda il mondo esterno, la realtà esterna, ma non è così semplice giungere all'identificazione della Realtà interna.

C'è infatti tutta una realtà esterna (e anche questa è concessione, misericordia di Dio data la nostra incapacità di restare con Lui nello Spirito) che presuppone la formazione in noi del concetto di essa per poterla riconoscere, identificare ed è preparazione per giungere all'identificazione di quella “Realtà interna" che abita in noi e che è quella che ci salva, perché la Verità non è fuori di noi e non la troviamo fuori di noi.

Non basta riconoscere tutte le realtà esteriori, non basta poter identificare tutte le cose, tutte le creature o tutte le persone che fanno parte del mondo esterno attorno a noi: questo non ci salva! 

Tutte le scienze di questo mondo non possono salvare noi.

Conoscessimo tutte le scienze del mondo non sarebbe sufficiente per salvarci, assolutamente, anzi!  Perché? 

Perché la Verità che salva non abita fuori di noi.

La Verità che salva è dentro di noi.

Ma abbiamo già accennato che se la Verità che ci salva è dentro dì noi, questo ci fa correre un grande rischio ed è il rischio di confondere la Realtà interiore con quello che noi pensiamo.

Perché, come facciamo noi a distinguere la Realtà interiore dal nostro pensiero che è pure interiore?

Per noi è facile distinguere il filo d'erba da quello che siamo capaci di fare, perché certamente il filo d'erba non l'abbiamo fatto noi (e nel filo d'erba faccio rientrare tutto: stelle alpine, alberi, fiori, creature, ecc.), quindi tutta la realtà esterna non siamo noi a farla.  Noi possiamo sognare tutto quello che vogliamo, ma certamente non siamo in grado di fare un granello di sabbia.

La "realtà" dipende da Dio Creatore.

È Dio Creatore che forma la realtà davanti a noi, che fa la presenza delle cose.

Ho detto che però tutta questa realtà esterna non ci salva, pur essendo necessaria per far capire a noi la nostra situazione, la nostra vera dimensione, i nostri limiti e la grandezza di Dio, la presenza di Dio che opera e parla in tutto.

È necessaria, ma tutto questo non è sufficiente per la nostra salvezza.

La nostra salvezza sta nell'arrivare alla vita eterna e la vita eterna sta nel conoscere Dio.

La conoscenza di Dio si ha soltanto per mezzo di Dio, e quindi evidentemente, conoscessimo tutto ciò che non è Dio, avessimo quindi la scienza di tutte le cose, questo non sarebbe sufficiente per la nostra salvezza.

Dio si conosce solo per mezzo di Dio e per trovarlo dobbiamo conoscere il luogo in cui Lui è.

Dio non abita fuori di noi. 

Abbiamo visto che Dio abita in un luogo ben preciso. Dio non abita dappertutto. 

Dio si annuncia in tutto, ma non abita dappertutto. Dio abita in un luogo ben preciso.

E soltanto quando noi lo cerchiamo in quel luogo ben preciso, noi Lo possiamo trovare.

Quel luogo ben preciso è dentro di noi ed è il Pensiero di Dio.

Però, ho detto, qui c'è il rischio di confondere la Realtà, la Verità con quello che noi pensiamo.

È come se noi dicessimo: "io conosco, penso un filo d'erba e il filo d'erba c'è perché sono io che lo penso", e faremmo un errore gravissimo perché il filo d'erba esiste sia che io lo pensi o che non lo pensi.

E così: Dio esiste sia che lo pensi, sia che non lo pensi.

Però Dio è dentro di me.

Dio è dentro di me, dentro ognuno di noi: non è fuori di noi.

E allora come poter attingere questa Realtà oggettiva che esiste indipendente da noi e che pur abita dentro di noi, per trovare la quale non basta che noi la pensiamo?

È assolutamente necessario che noi la pensiamo, però non basta. 

Il pensiero è essenziale, altrimenti Dio non ce l'avrebbe dato.

Il pensiero ha una funzione importantissima: guai a chi disprezza il pensiero!

Perché il pensiero è l'unico canale attraverso cui noi possiamo collegarci con Dio e giungere a conoscere la Verità.

Come per identificare una cosa è essenziale che noi prima pensiamo quella cosa e la pensiamo in modo da poterla distinguere da ogni altra cosa, così è per Dio.

La stella alpina dobbiamo imparare a conoscerla, quindi ad a verla come nostro pensiero, ad averla presente nel nostro pensiero come differente da ogni altro fiore e a conoscere la differenza che c'è tra la stella alpina e ogni altro fiore.

Così è essenziale il pensiero, il Pensiero di Dio per giungere a identificare Dio, quel Dio che abita dentro dì noi e dire: "sei Tu”, per giungere a poter confermare, a poter dire (ed è un'esclamazione): "sei tu!", quindi una constatazione di una Realtà.

Dico, per arrivare a questo è essenziale che in noi ci sia questo Pensiero dì Dio, che in noi si sia formato il Pensiero di Dio e che si sia formato il Pensiero di Dio in modo da distinguere Dio da ogni altro esistente, perché fintanto che noi confondiamo Dio con qualche altro esistente, certamente siamo in confusione e non potremo mai identificare Dio, come noi non potremo mai identificare una stella alpina, se prima non abbiamo capito che cos’è una stella alpina.

Quindi, dico, il pensiero è essenziale perché è la condizione per poter capire cos'è Dio.

Soltanto quando in noi si sarà formata questa conoscenza personale (il pensiero è personale, nostro) noi avremo la possibilità di identificare Dio.

Si identifica in quanto si trova una Realtà che non dipende né da noi né dal nostro pensiero: non dipende più dal nostro pensiero!

È una Realtà che deriva da Dio, che dobbiamo dedurre da Dio, e soltanto quando questa Realtà coincide con quel concetto di Dio che si è formato dentro di noi, noi possiamo a quel punto dire: "sei Tu!".

Lì possiamo identificare Dio!  In caso diverso noi eternamente se non avremo interiorizzato Dio, ci troveremo di fronte a Dio, ma ci troveremo nell’impossibilità di riconoscerlo, di identificarlo così come ci troveremo di fronte ad una stella alpina senza aver la possibilità di dire: “questa è una stella alpina”, perché non l'abbiamo dentro di noi.

Quindi ci sono questi due termini, ben chiari e ben precisi che adesso ci aprono a capire questa distinzione tra quello che è il segno e quello che è la parola e la loro funzione, in vista del concepimento e dell'identificazione della Realtà Dio.

A questo punto dobbiamo chiederci: che cos'è un segno?

E dobbiamo dire cos'è un segno in modo da poterlo distinguere dalla parola.

E soprattutto dobbiamo chiederci: che cos'è una parola?

E quand’è che c'è una parola?

E poi ha grande importanza capire qual è la funzione del segno e qual è la funzione della parola.

Dobbiamo tenere ben presente sempre la parola del Cristo, perché è quella che ci aiuta ad approfondire.

Gesù dice: "i cieli e la terra passeranno". 

Quindi i segni sono soggetti al passare: tramontano, mutano, non possono restare.

Invece le parole di Dio non passano.

E allora dobbiamo chiederci: cos'è che distingue i segni dalla parola al punto tale che i segni passano e le parole no?

E come possiamo capire che passano in modo che possiamo distinguerli dalle parole di Dio che non passano?

E perché i segni passano e perché le parole di Dio non passano?

Che significato ha tutto questo?

Tutto questo è per noi, perché tutto questo è fatto da Dio per noi, ed è fatto da Dio per che cosa?

Perché Dio opera tutte queste cose per noi?

Perché Dio ci pone di fronte a segni meravigliosi che passano?

Ha fondato i cieli, la terra, queste meraviglie che sono attorno a noi, però sono tutte meraviglie soggette al tempo, meraviglie che passano: segni! Segni e non parole! 

Non parole perché Gesù dice che le sue Parole non passano.

Tutta questa creazione di Dio, meravigliosa, stupenda, che ci stupisce in ogni punto in cui noi ci fermiamo ad osservare, è tutto un segno di Dio perché Dio in tutte le sue opere non fa altro che significare Se stesso. Però tutti questi segni passano. Le parole non passano!

Dunque ci sono questi segni e ci sono le Parole di Dio.

Quindi abbiamo "segni" ed abbiamo parole.

Quando accenniamo al termine "parole", immediatamente il pensiero corre al significato, al pensiero, all'intenzione di colui che la dice, perché la parola è tale in quanto ci comunica un pensiero, ci fa passare al Pensiero di Colui che la dice.

E allora abbiamo tutta questa opera meravigliosa di Dio che è costituita da: creazione, segni, parole, pensiero.

E quando si arriva al pensiero, il passaggio a Dio è molto vicino.

Il Regno di Dio è molto vicino nel pensiero. Perché? 

Perché è nel Pensiero di Dio che si rivela il Principio del Pensiero stesso.

È nel Pensiero di Dio che si rivela il Padre.

Il Padre si rivela solo a suo Figlio!

Ora in quanto Gesù ci dice che il Padre si rivela solo a suo Figlio e a nessun altro, al punto tale che il Figlio di Dio dice: "Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me"(Gv 14,6), qui abbiamo un passaggio obbligato: una singolarità.

Qui Dio ci rivela una grande cosa: ci rivela come noi arriviamo al pensiero e al Pensiero di Dio, lì c'è la possibilità per noi di capire il Padre, di conoscere il Padre, perché il Padre si rivela solo al suo Pensiero.

È assolutamente necessario a questo punto che noi ci rendiamo conto, che capiamo che cos'è un segno e che cos’è una parola e che lo capiamo al punto tale da poter dire: sì, è vero: i segni passano, le parole non passano.

I segni sono dati all'uomo.

E ci chiediamo: che cos'è un uomo?

L'abbiamo detto molte volte: l'uomo è un campo di eternità; porta in sé la passione di assoluto perché porta l'Assoluto in sé.

L'uomo è un essere che tutte le cose che vede, tocca ed esperimenta, le vede, le tocca e le esperimento nella categoria dell'Assoluto, Infinito, ed Eterno.

Noi crediamo di vedere le cose così come sono, ma in realtà noi vediamo le cose in quanto in continuazione le confrontiamo con l'Assoluto, l'Infinito, l'Eterno che portiamo in noi, cioè, profondamente, le confrontiamo con Dio. 

Noi vediamo tutte le cose del nostro mondo e ne facciamo esperienza in quanto abbiamo presente l'Eterno, l'Infinito, l'Assoluto, e quindi le vediamo come differenza tra ciò che è Infinito, Eterno e Assoluto, cioè tra ciò che è Dio e ciò che non è Dio! Noi vediamo le cose per differenza da questo.

Ho detto molte volte: se noi vediamo il tempo, noi vediamo il tempo per differenza dall'Eterno.  E allora dico: il tempo è una categoria dell'Eterno, un segno dell'Eterno.

Le creature sono finite, certamente sono finite: occupano spazio e tempo.

Tutte le creature che sono finite noi le vediamo come categoria dell'Infinito, quindi come segno dell'Infinito.

Tutte le creature noi le vediamo come frammenti d'un tutto.

Ma per vedere una cosa come frammento di un tutto, noi dobbiamo aver presente il tutto. 

Allora diciamo che il frammento di una cosa è una categoria, quindi è un segno del "tutto".

Ecco, cosa comporta a noi questa presenza di Dio che portiamo in noi!

Avendo presente Dio, noi vediamo tutto ciò che non è Dio per differenza da Dio.

E proprio vedendolo come differenza da Dio, tutte le cose noi le vediamo come segni di Dio.

Quindi se noi vediamo il tempo, lo vediamo come segno dell'Eterno.

E le creature che le vediamo finite, le vediamo come segno dell'Infinito.

Quindi quello che abbiamo veramente come termine fisso ben presente in noi è questo Eterno, Assoluto, Infinito che è Dio.

Noi abbiamo presente Dio! 

Tutte le creature noi le contempliamo in Dio; non ce ne rendiamo conto, perché Dio si conosce soltanto per mezzo di Dio e fintanto che noi non conosciamo Dio, noi non ci rendiamo conto di questo, però già adesso noi tutte le cose le vediamo nel Pensiero e con il Pensiero di Dio, e le misuriamo con Questo.

L'uomo avendo presente questo Assoluto, è una passione di Assoluto.

Diciamo: è passione, è intenzione dell'Assoluto.

L'uomo porta questa intenzione, però non conoscendo Dio, corre questo grande rischio: tende a fare assoluto tutto quello che vede e tocca, e naturalmente prende delle cantonate solenni, perché tutto ciò che vede, tocca ed esperimento non è assoluto, non è Dio. Però l'uomo porta questa passionalità implicita.

Tutto il lavoro, tutte le fatiche, tutti gli studi degli uomini sono tutti improntati da questo bisogno: bisogno di rendere assoluto, bisogno cioè di vedere sotto un unico punto di vista.

Tutte le scienze noi vediamo che tendono a unificare tutto in un unico punto di vista, in un'unica regola, in un'unica formula, in senso matematico o fisico.

Tutto quanto tende sempre a riferire ad un unico punto.

E quante cantonate noi prendiamo e quante sciocchezze noi diciamo parlando, perché affermiamo: "la cosa è cosi". 

Quante volte noi diciamo: "la cosa è così!". 

Cioè, tendiamo a giudicare, ad affermare le cose sotto un unico punto, un unico giudizio, e prendiamo delle cantonate solenni, perché le cose non sono così. 

Siamo noi che prendiamo il frammento e diciamo: "questo frammento è tutto"; siamo noi che prendiamo un pezzo di universo e diciamo: "questo è tutto", cioè universalizziamo tutte le cose.

È in questa nostra intenzionalità, prodotto della nostra passione di assoluto, che Dio fa arrivare a noi i suoi segni.

Il segno non è altro che una manifestazione di Dio in una nostra intenzione.

Dobbiamo stare attenti a questo: un segno è una manifestazione “a” un'intenzione, è una manifestazione nell'intenzione dell'uomo: nell'intenzione dell'uomo che sta cercando di rendere assoluto quello che non è assoluto, che sta vivendo per un fine diverso da Dio.

A questa intenzione dell'uomo, Dio parla e significa che ciò per cui l'uomo sta vivendo non è il vero fine, che l'intenzione che l'uomo porta è un'intenzione sbagliata.

E come glielo dice?

Glielo dice attraverso un segno. 

Cioè, ad esempio: l'uomo sta vivendo per una creatura? quella creatura lì muore.

È un segno di Dio, ma è un segno di Dio per far capire all'uomo che aveva idealizzato una creatura o aveva assolutizzato una creatura, che quella creatura è relativa.

E così in tutte le cose: se stiamo attenti, Dio in continuazione, ci fa arrivare dei suoi segni, ma i suoi segni sono fatti nelle nostre intenzioni e se sono fatti nelle nostre intenzioni, sono per formare in noi l'intenzione giusta, l'intenzione vera.

Ho detto, questi sono i "segni.

Passiamo ora alle "parole": la "parola" è una manifestazione non “ad” un’intenzione.

La "parola" è una manifestazione “di” un’intenzione.

Quindi, dico, la grande differenza che c'è tra i segni e le parole sta in questo:

-i segni sono manifestazione “ad” una intenzione: là dove c'è un'intenzione dell'uomo, Dio opera con dei suoi segni per cambiare quell'intenzione, per far capire all'uomo che quell'intenzione è sbagliata;

-invece la parola è Manifestazione "di" una intenzione, cioè manifestazione dell'intenzione di Dio: attraverso la parola Dio fa arrivare a noi la sua intenzione, la sua volontà, il suo Pensiero.

Ecco, dico, parola che comunica pensiero.

Ecco, i segni modificano le nostre intenzioni.

Ora, il modificare le nostre intenzioni non è ancora farci conoscere la vera intenzione, però è aprirci, è formare in noi la capacità di ricevere la vera intenzione, perché fintanto che noi siamo chiusi nella nostra intenzione e quindi siamo sicuri della nostra intenzione e fintanto che Qualcuno non ce la mette in crisi, in dubbio, attraverso i suoi segni, noi non siamo aperti a ricevere un'altra intenzione.

Quindi abbiamo i segni che operano in noi e, diciamo, ci portano nella notte: operano, formano in noi il bisogno di capire qual è l'intenzione vera che dobbiamo portare in noi.

La Parola è quella che ci dà questa intenzione "vera".

Per cui noi abbiamo questi due grandi termini. segni e parole, che sono la condizione essenziale per formare in noi quello che abbiamo detto all'inizio: il concetto di Dio, cioè per formare in noi la capacità di concepire Dio, la Verità di Dio: questa Verità che si annuncia a noi attraverso questi due grandi termini: segni e parole (il sottotitolo dell'argomento di stasera è appunto: "La Verità che si annuncia").

La Verità si annuncia a noi attraverso i segni prima, per formare in noi la capacità di ricevere l'intenzione di Dio, altrimenti non abbiamo la possibilità di ricevere l'intenzione di Dio, per formare in noi il vuoto, per formare in noi la povertà, per formare in noi questa consapevolezza del tutto che passa e del tutto che è vano.

Tutti i seghi di Dio che Dio opera su di noi sono volti a questa formazione, affinché siamo fatti capaci di ricevere la Parola, l'intenzione di Dio.

L'opera dei segni non ci salva, però è la premessa per dare a noi la possibilità di ricevere la Parola; altrimenti ci troviamo nell'impossibilità di ricevere la Parola di Dio, come comunicazione di intenzione.

Quando uno è convinto di una sua intenzione, si trova completamente chiuso, nell'impossibilità più assoluta di ricevere un'intenzione diversa.

Quindi Dio opera attraverso i segni per sgretolare le nostre intenzioni, per ridurci nella relatività delle cose che son tutte segni e condurci nella possibilità, o meglio, nella capacità di ricevere la Parola di Dio che comunica a noi l'intenzione di Dio.

Ora soltanto ricevendo la Parola di Dio abbiamo la possibilità di concepire Dio.

Qui già possiamo intuire come tutto converte verso Maria, Colei che concepisce Dio.

Ecco, tutto l'universo, segni e Parole, sono per formare in noi quest'anima capace di concepire Dio.

Maria rappresenta la nostra anima, quest'anima che è fatta per concepire Dio e rappresenta la condizione ideale per concepire Dio.

Ora, il termine "concepire Dio" è essenziale per noi, perché, ho detto, è essenziale per noi capire che cos'è una stella alpina se vogliamo identificare una stella alpina: e essenziale, altrimenti noi ci troveremo sempre di fronte a stelle alpine, ma non capiremo assolutamente che cos'è una stella alpina.

Come è essenziale per noi, nel mondo relativo, che in noi si sia formato il concetto di una cosa (ad esempio, della stella alpina) per poter identificarla, così è essenziale per noi (siccome tutto è segno) che in noi si formi la capacità di concepire Dio, per poterlo identificare.

Concepire Dio vuol dire non confonderlo con nessuna altra cosa: Dio è una singolarità. 

È la Singolarità assoluta.

Quindi concepirlo vuol dire non confonderlo con nessuna altra cosa.

È questa Singolarità assoluta di Dio che si riflette nelle singolarità individue in tutta la creazione, per cui in tutta la creazione, quante volte l'abbiamo detto, in tutta la creazione, in tutte le creature non ce n'è una uguale all'altra; c’è questa singolarità che si ripete in tutte le cose: un filo d'erba non é uguale a nessun altro filo d'erba; un granello di sabbia non è uguale a nessun altro granello di sabbia. Nessuna creatura è uguale a un'altra creatura. Perché questo? 

Tutto e segno di Dio.

Segno di che cosa? della grande singolarità di Dio. Dio è questa Singolarità estrema, assoluta e in tutte le sue opere Lui non fa altro che significare questa sua Singolarità: ecco perché noi ci troviamo con tutte singolarità.

Tutta la creazione è fatta di singolarità, perché il Creatore è singolo.

Ora, dico, la condizione per poter arrivare a dire: "sei Tu!", per poter dire "Tu" a Dio, e si dice "Tu" a Dio in quanto lo si riconosce, è quella di concepire Dio.

Come la condizione per poter dire "sei tu!" ad una stella alpina, è di aver formato dentro di noi il concetto della stella alpina, così, per poter dire a Dio: "sei Tu!", cioè per poter individuare Dio, per poter riconoscere Dio (sapendo che Dio è presente) è quella ai formare in noi il suo Pensiero. Dio è presente, eppure con tutta la sua Presenza, noi non siamo capaci di dire: "sei Tu!". Ma perché questo?

Perché in noi non abbiamo concepito Dio; perché nel nostro mondo personale di pensiero, nel nostro pensiero, nella nostra anima, noi non abbiamo concepito Dio, e fintanto che non abbiamo concepito Dio, noi non saremo in grado di individuare Dio, di identificare Dio.

Adesso questo concepimento, questo "concetto" ("concetto" viene da "concepire") di Dio in noi si forma in noi attraverso questi due grandi dati: i segni e le Parole.

I segni formano la condizione (la "culla") per poter ricevere la parola di Dio come comunicazione di intenzione; ma è soltanto attraverso la comunicazione dell'intenzione di Dio, quindi del pensiero di Dio che si concepisce Dio. Maria ha concepito per opera dello Spirito Santo, cioè attraverso la Parola di Dio.

E la Parola di Dio che cosa le ha trasmesso?

La Parola di Dio (l’Angelo) le ha trasmesso il Pensiero di Dio, l'Intenzione di Dio: "tu concepirai!" (Lc 1,31).

Ecco, Maria ha concepito per mezzo del Pensiero di Dio.

Tutto è segno per noi che siamo fatti per concepire Dio e che dobbiamo impegnarci per concepire Dio.

Dio si concepisce, ed è la lezione di Maria, attraverso questo Pensiero puro di Dio.

Ecco quindi che abbiamo da parte di Dio tutti i segni di Dio che operano sulle nostre intenzioni per svuotarci di questa passionalità e renderci quindi capaci di ricevere l'intenzione di Dio attraverso la parola di Dio. Ma poi abbiamo bisogno soprattutto della Parola di Dio, perché con tutto il nostro vuoto noi certamente non possiamo concepire. Quello che ci fa concepire è la Parola di Dio: la Parola di Dio che arrivando a noi comunica a noi l'intenzione di Dio.  Ho detto, la parola si caratterizza in questo: in quanto comunica l'intenzione di chi la dice.

È l'intenzione di Dio che ci fa concepire! 

Soltanto quando si è invitati a pranzo si ha la possibilità di andare a pranzo.

Chi ci fa concepire questa capacità di andare a pranzo è Colui che invita noi. 

L'invito è comunicazione dì una intenzione.

È l’intenzione che si comunica a noi che dà a noi la capacità di concepire.

È l'intenzione che ci dà la capacità di concepire.

Però per ricevere questa intenzione bisogna avere l'animo puro, cioè non inquinato da altre intenzioni.

Ecco allora perché Dio opera tutti i segni che ci svuotano di tutte le nostre intenzioni. 

Tutte le creature sono buone, però tutte le creature possono diventare per noi oggetto di intenzione, quindi passione di assoluto, per la passione dell'Assoluto che portiamo.

E allora abbiamo bisogno di tutta questa pera dei segni di Dio che deve sgretolare tutte queste intenzionalità che inquinano la nostra anima, tutti questi amori che inquinano la nostra anima e che impediscono (l'anima inquinata non può concepire nel modo più assoluto) a noi di concepire: c'è il bisogno di svuotare tutto per fare arrivare alla nostra anima la Parola (l'Angelo): "Angelus domini nuntiavit Mariae".

Abbiamo detto che è questo il titolo dell'argomento di questa sera: "Angelus Domini nuntiavit Mariae": l’“Angelus” cioè, questa Parola che reca a noi il messaggio, cioè l'intenzione di Dio, l'intenzione di Dio che feconda e che quindi fa concepire.

Alcuni pensieri tratti dalla conversazione:

La distinzione tra segni e parole evidenziata dai versetti 41 e 42, e l'approfondimento della loro funzione, ci aiutano a capire le condizioni che si devono formare in noi per poter "concepire" Dio, concepimento che è essenziale per identificare Dio come "Realtà".

 

Il concepimento, che precede l'identificazione, è determinato dai segni e dalle parole: i segni preparano "la culla", le Parole danno la possibilità di concepire Colui che dovremo identificare come realtà. Ecco quindi che ora possiamo capire perché Gesù non fece alcun segno a coloro che li pretendevano: li avrebbe confermati nella loro intenzione, mentre invece i segni hanno la funzione di svuotarci dalle nostre intenzioni per preparare in noi la capacita di ricevere la Parola che ci fa concepire Dio.

 

Non si concepisce l'intenzione di Dio, ma si concepisce Dio. L'intenzione manifestata è l'invito al pranzo: "Vieni al pranzo di nozze: conoscimi! cioè “concepiscími!” ci dice Dio.



“…ma tutto quello che Giovanni ha detto di Lui era vero, e molti credettero in Lui.”Gv 10 Vs 42 Secondo tema.


Titolo: Il concepito diventa proposta.


Argomenti: Segni e parole – Il concepimento di Maria – Lo sgombero delle intenzioni diverse da Dio – La Parola di Dio ci fa concepire – Concepimento e identificazione – “Ecce Ancilla Domini: fiat mihi secundum Verbum Tuum" -

La condizione per poter costatare la Verità – La singolarità – Concepire Dio per confronto – L’inconfondibile volontà di Dio – I pastori a Natale – Lasciare il gregge – Coincidenza concepito e realtà – Dedizione e deduzione – Lo Spirito di Verità.


 

20-21/Dicembre/1992 Casa di preghiera Fossano.


Restiamo ancora nell'ultimo versetto, il 42, del capitolo decimo di s. Giovanni, in cui si dice: “... ma tutto quello che Giovanni ha detto di Lui era vero, e molti credettero in Lui”.

Abbiamo già visto la prima parte: “... tutto quello che Giovanni ha detto... "

Questa sera dobbiamo soffermarci sopra la seconda parte: "era vero!".

Nella prima parte abbiamo visto le "parole": "tutto quello che ha detto", cioè le parole che ha detto.

E abbiamo confrontato le "parole" con i "segni", perché nel versetto precedente era stato affermato che "Giovanni non fece alcun segno" (Gv 10,41).

Da questo confronto tra "segni" e "parole" e approfondendo la loro funzione, siamo giunti a capire qual è la condizione per concepire Dio.

Teniamo presente che per "segni" intendiamo tutte quelle opere di Dio attraverso le quali Lui si manifesta sulle nostre intenzioni; invece per "parole", noi intendiamo le opere (tutto è parola di Dio) attraverso cui Dio manifesta a noi la sua intenzione.

Quindi abbiamo:

1) un'opera di Dio che è tutta rivolta sulle nostre intenzioni: "segni";

2) e abbiamo un'opera di Dio che è rivolta a comunicare a noi la sua intenzione: "parole".

Quindi c'è diversità tra "segni" e "parole".

Lo scopo dei segni, cioè di quelle opere che sono rivolte a manifestare Dio sulle nostre intenzioni, è formare in noi quell'anima capace di accogliere il pensiero, la volontà, l'intenzione di Dio, di accogliere il messaggio di Dio. 

Fintanto che in noi ci sono altre intenzioni, noi siamo nell'impossibilità di accogliere l'intenzione di Dio.

Non possono entrare in noi contemporaneamente due intenzioni.

Allora abbiamo tutta un'opera di Dio che tende a svuotarci di tutte quelle intenzioni per le quali noi viviamo: intenzioni diverse da Dio.

Abbiamo visto che qui si rivela come tutta l'opera di Dio tende a formare in noi Maria, l'anima capace di concepire Dio, capace di ricevere l'intenzione dì Dio, di ricevere il Pensiero di Dio.

Certo, noi potremmo chiederci: perché nell'uomo si formano intenzioni diverse da Dio, per cui Dio deve operare sull'uomo in modo da svuotarlo di tutte quelle intenzioni che sono diverse da Dio, mentre siamo stati creati per Dio e non per altro?

Perché in noi si formano altre intenzioni? 

Come è possibile? 

È che noi per la passione di Assoluto che portiamo, tendiamo a far di tutto oggetto di intenzione: vediamo una bella casa e diventa oggetto di desiderio, quindi oggetto di pensiero, quindi intenzione nostra, vediamo una bella creatura e la facciamo oggetto di intenzione nostra; vediamo una bella macchina e la facciamo oggetto di intenzione nostra. ecc.

Ecco, data la nostra passione di assoluto, e data la nostra imperfezione (nel senso che non siamo ancora giunti al fine, ma siamo in cammino) facciamo questo errore.

Essendo noi in cammino e portando la passione di assoluto, corriamo il rischio di desiderare come assoluto tutto quello che incontriamo, e sono tutte opere di Dio, tutte le creature: 'li buoi, i campi, la moglie" (Lc 14,18-20).

Noi tendiamo a trasformarle in assoluto, quindi a trasformarle come fine, quindi come oggetto di intenzione.

È per la passione di assoluto che noi tendiamo ad avere tante intenzioni.

Il nostro io è un moltiplicatore di amori, quindi un moltiplicatore di intenzioni, per cui tende a renderci schiavi. 

La maggior parte della nostra vita passa proprio in questa schiavitù di intenzioni diverse da Dio, e c'è da ringraziare il Signore se in punto di morte, noi scopriamo la vera intenzione che dobbiamo portare in noi per giungere a Dio, per conoscere Dio.

Da parte dell'uomo c'è questa passionalità che tende ad abbarbicarsi a tutto quello che incontra, a tutto quello che vede, cioè c'è questa fatica nel tendere a fare suo tutto quello che vede, tutto quello che tocca; e da parte di Dio c'è questa fatica per cercare di distogliere l'uomo da questo suo abbarbicarsi a tutte le creature che incontra, per formare in lui, nel suo cuore, nella sua anima quella capacità di poter finalmente accogliere il Pensiero di Dio, di poter accogliere l'Intenzione di Dio, cioè di formare in lui Maria, perché non è possibile nella nostra anima, fatta per l'Assoluto, accogliere contemporaneamente due intenzioni. Intenzione vuol dire fine, e non è possibile accogliere contemporaneamente due finalità.

Ecco perché prima è necessario questo lavoro di sgombero nella nostra anima di tutte le intenzioni diverse da Dio, di tutte le finalità diverse da Dio, per formare in essa la capacità di accogliere l’Intenzione di Dio che viene comunicata attraverso la Parola. E questo lavoro Dio lo fa attraverso i "segni".

La Parola di Dio è quella che reca a noi l'intenzione, il Pensiero, il fine di Dio, ed è questo che ci fa concepire.

Maria ha concepito per la Parola di Dio recatale dall'Angelo e conclude dicendo: "Si faccia di me secondo la tua Parola" (Lc 1,38), secondo il Verbo di Dio che ha concepito. Tutto è lezione di Dio.

Abbiamo avuto come tema domenica scorsa: “Angelus Domini nuntiavit Mariae”: ecco l'annuncio a Maria che la fa concepire, come primo tema.

Tema di oggi è la seconda parte dell'Angelus: “Ecce Ancilla Domini: fiat mihi secundum Verbum Tuum".

Ecco, concependo per grazia della Parola di Dio, abbiamo Maria che si apre: "Ecce ancilla Domini". 

Dopo aver concepito, si apre, si mette a disposizione: "fiat mihi secundum Verbum tuum". 

Prima abbiamo la Parola dell'Angelo che annuncia, abbiamo adesso il Verbo di Dio che si propone.

Dobbiamo chiederci: che cosa significa per noi questa dedizione di Maria?

Ho detto che questa sera l'argomento è questa seconda parte del versetto: “era vero!".

La folla dice: "tutto quello che Giovanni ha detto di Lui, di Gesù, era vero!". Ecco, c'è questa constatazione di fronte alla Realtà (Gesù).

Come fa la nostra anima, la nostra mente ad arrivare a constatare e a dire: "questo è vero"?

Cosa deve succedere dentro di noi, perché ad un certo momento si possa dire: "questo è vero"?

Domenica scorsa c'è stato l'argomento "La Verità si annuncia". 

Stasera è: "La Verità si propone": dopo essersi annunciata, si propone.

Non si può proporre se prima non si annuncia, perché a che cosa noi ci rivolgeremmo se prima, l'opera è sempre di Dio, quest'opera di Dio non arrivasse a noi?

Noi dobbiamo arrivare a identificare Dio come Realtà, per questo è necessario giungere a concepire. 

Si concepisce per arrivare a identificare la Realtà, e identificare vuol dire constatare: “è vero questo!”.

Cosa deve succedere nella nostra anima, dentro di noi, per arrivare a questa testimonianza, a questa confessione, a questo riconoscimento (: “è vero!")? che è la più grande grazia che l'uomo possa ricevere, perché il più grande tormento è di non poter uscire dai propri dubbi: Dio c'è o non è? Dio opera oppure sono gli uomini ad operare?

Siamo abbandonati a delle leggi di un universo che ci ignora: tutto ci ignora, le stelle ci ignorano, le stelle stanno a guardare, ma nessuno si Interessa al nostro destino, nessuno partecipa al nostro destino"?

C'è Qualcuno che ci conosce e partecipa al nostro destino, che partecipa alle nostre incertezze, alle nostre debolezze, alle nostre confusioni e cerca di tirarci fuori, oppure noi siamo soli, sperduti in questo grande universo in cui tutti ci ignorano?

Ecco, dico, il tormento dell'uomo è non poter uscire da questi dubbi, mentre invece la grande gioia per l'uomo è poter giungere a constatare e dire: "questo è vero!"

Dobbiamo chiederci: che cosa si richiede per poter giungere a questo punto?

Ora, come per arrivare a concepire si richiedono due termini ben precisi: i segni di Dio e le parole di Dio, così per arrivare a identificare la realtà e a poter dire: "questo è vero!" si richiedono anche due termini, due fattori.

Dobbiamo giungere a questa constatazione poiché abbiamo bisogno di convincere noi stessi e la nostra coscienza della Verità. E che cosa si richiede per giungere a questa convinzione della Verità?

Di questa Verità che è presente?

Nessuno la può ignorare.

È presente, eppure noi non la vediamo.

Noi abbiamo bisogno di toccarla con mano, di vederla, di constatarla, per poter dire: “è vero!”

Noi siamo salvati dalla Verità e abbiamo bisogno di giungere a questo convincimento.

Il problema è questo: che cosa si richiede perché l'uomo possa dire: "questo è vero!"?

Qui la folla ha detto in riferimento alle parole di Giovanni Battista: “Tutto quello che Giovanni ha detto di Lui, di Gesù, era vero! Non ha dato dei segni, ma tutto quello che aveva detto di Lui era vero!"

Come hanno fatto costoro a dire: “era vero!”? 

Evidentemente costoro hanno ascoltato le parole di Giovanni, poiché dicono: "tutto quello che Giovanni ha detto di Lui", quindi hanno ascoltato le parole, e, ascoltando le parole, che cosa è successo?

È successo che hanno interiorizzato le parole udite e interiorizzando le parole hanno accolto e concepito il messaggio di esse e ora, di fronte alla Realtà, Gesù, riconoscono che era vero.

Teniamo presente che le parole ci recano sempre un messaggio, e il messaggio ci comunica un'intenzione, ci comunica un "essere" che si fa concepire.

Ritornando all'esempio della stella alpina, abbiamo il concepimento della stella alpina che avviene dentro di noi, e questo concepimento si deve formare prima per poter dire: "questa è una stella alpina".

Così anche: nel campo dello Spirito, della Verità, per poter arrivare a dire: "questo è vero!" bisogna aver concepito prima la Realtà.

Se costoro non avessero ascoltato prima la parola di Giovanni Battista, non avrebbero certamente potuto dire: "tutto quello che Giovanni Battista ha detto di Lui era vero!".

Ora per poter dire: “è vero!”, bisogna aver dentro di noi qualche cosa.

Ecco perché c'è la prima fase: poter concepire il Pensiero di Dio, per poter constatare il Pensiero di Dio, perché se noi abbiamo concepito il Pensiero, l'Intenzione di Dio, certamente noi ci troviamo nell'impossibilità di riconoscere la Realtà di Dio.

La "realtà" viene da Dio, non viene certamente da noi, però di fronte alla Realtà noi non avremmo mai la possibilità di dire: "questo è vero", se non avessimo interiorizzato la stessa Realtà, concepita dentro di noi, quindi se non l’avessimo conosciuta dentro di noi.

Dio è una singolarità, abbiamo detto.

Ora il concepimento di una singolarità avviene non in quanto si conosce direttamente la singolarità, non in quanto si conosce direttamente Dio, ma in quanto c'è la possibilità di confrontare quello che Dio è con quello che Dio non è.

Ecco perché Dio mette attorno a noi tante creature, tante cose.

E così avviene anche per la conoscenza delle singolarità create.

E perché? 

Ritornando, alle stelle alpine: abbiamo le stelle alpine, ma ci sono tanti fiori. E come facciamo a concepire le stelle alpine? In quanto le confrontiamo con gli altri fiori.

E confrontandole con gli altri fiori che cosa notiamo?

Notiamo quello che caratterizza, quindi la singolarità, la stella alpina da ogni altro fiore.

Ecco, arriviamo a concepire una cosa in quanto abbiamo la possibilità di confrontarla con tutti gli altri esistenti e notare la singolarità di essa.

Abbiamo detto che Dio essendo singolarità è Creatore di singolarità, quindi è Creatore di intelligenza, quindi è Creatore di concepimenti: Lui attraverso le singolarità create dà a noi la possibilità di concepire quella che è una singolarità.

Ora siccome Lui è l'Essere assoluto, Singolarità massima, per dare a noi, (nel nostro nulla, nella nostra incapacità di fermarci con Dio e di conoscere che cos’è Dio in Sé, la capacità di concepirlo), ci mette attorno tante creature, tante singolarità con cui possiamo confrontarlo!

Noi non abbiamo la possibilità di conoscere che cos’è una stella alpina in sé, però abbiamo la possibilità di confrontare la stella alpina con altri fiori e notare la differenza che c'è tra una stella alpina e altri fiori.

Così noi abbiamo la possibilità per la creazione stessa di Dio, di confrontare l'Assoluto che è Dio (e l’Assoluto Lo portiamo tutti dentro di noi , perché Dio è l'Essere che nessuno può ignorare) con tutti gli altri esistenti.

E confrontandolo con gli altri esistenti, noi incominciamo a dire: "no, questo non è Dio ... questo non è Dio ... questo non è Dio ... questo non è Dio…"

Facciamo cioè dei confronti e facendo dei confronti che cosa succede? 

Ecco, succede che noi incominciamo a concepire Dio, cioè incominciamo a notare la singolarità di Dio, perché dicendo: "questo non è Dio, questo non è Dio, questo non Dio...",ad un certo momento arriviamo a notare la singolarità dell'Essere assoluto.

Ecco, noi concepiamo Dio per confronto con ciò che non è Dio, non per conoscenza diretta di Dio; questa sarà la meta, è la vita eterna!

Certamente noi siamo creati per questo, ma siccome è necessario che si formi dentro di noi il concepimento di quello che Dio è per poter poi arrivare a identificare, a dire: "questo è Dio!", è necessario che si formi prima questo concepimento.

Questa prima formazione, cioè il concepimento, avviene in noi attraverso il confronto tra l'Assoluto, il pensiero dell'Assoluto, il Pensiero di Dio che portiamo dentro di noi, ma che non sappiamo che cosa è, con tutti gli altri segni di Dio, con tutte le altre creature di Dio, con tutti gli altri esistenti.

Ecco il motivo per cui Dio ci mette in questa creazione.

Dio ci mette in questa creazione perché noi abbiamo a confrontare tutte le creature, e ogni creatura è una singolarità con quello che Lui è.

Egli prima domanda: "Che cosa dice la gente che io sia?" e poi: “chi dite che Io sono?”

“C’è chi dice che Tu sei il Giovanni Battista..... chi dice che sei un grande Profeta, c'è chi dice che sei questo ... o quell'altro...” (Mc 8,27-29).

Ecco, si fa un confronto!

Dal confronto a poco per volta si forma il concetto di Dio.

Il concetto di Dio è una Singolarità estrema, inconfondibile, per cui l'intenzione di Dio è inconfondibile con ogni altra intenzione. Quante volte invece noi confondiamo le intenzioni di Dio con le nostre intenzioni, con le intenzioni degli uomini, con le intenzioni di un'autorità o di una istituzione.

La Volontà di Dio è inconfondibile con ogni altra volontà!

Il Pensiero di Dio è inconfondibile con ogni altro pensiero!

Ora, noi dobbiamo arrivare a capire questa Singolarità di Dio.

Questo vuol dire concepire Dio, altrimenti ci troviamo completamente tagliati fuori e non potremo mai dire: "questo è vero!".

Quindi si deve formare in noi il concepimento di questa singolarità con cui noi abbiamo la capacità di distinguere il Pensiero di Dio da ogni altro pensiero, la Volontà di Dio da ogni altra volontà.

Quante volte noi diciamo: “sto facendo la Volontà di Dio, perché Dio mi ha messo qui, in questa situazione.

Sto facendo la Volontà di Dio, abbimi per giustificato: ho i buoi, i campi, la moglie. 

Me li ha dati Dio, sto facendo la Volontà di Dio se curo questi, perché questi me li ha dati Dio. 

Dio mi ha messo in questo luogo, quindi faccio la Volontà di Dio se resto in questo luogo…". 

Quante cantonate noi prendiamo!

E perché? 

Perché non abbiamo ancora colto la singolarità dì Dio, non abbiamo ancora concepito Dio, per cui noi confondiamo la Volontà di Dio con la volontà degli uomini, con la volontà delle creature, con la volontà della situazione in cui ci troviamo.

Noi confondiamo l'intenzione di Dio con tutte le altre intenzioni.

Dico, fintanto che in noi non si forma il concepimento dell'intenzione di Dio, fintanto che non si forma in noi il concepimento della Singolarità di Dio, noi ci troviamo nell'incapacità di concepire Dio, perché è l'intenzione di Dio che mi rivela Dio.

E la sua intenzione, Dio, me la rivela attraverso la sua Parola, se però nella nostra anima si è formato questo vuoto, questa apertura: "si apra la terra e germini il Salvatore" (Is 45,8).

Ecco, si deve essere formata in noi questa apertura: apertura a ricevere l'Intenzione dell'Essere assoluto, l'Intenzione di Dio.

Quando nella notte santa, abbiamogli Angeli che appaiono ai pastori e dicono loro: "vi annunciamo una grande gioia ... è nato a Betlemme il Salvatore, ecc…. Lo troverete in una mangiatoia ecc." (Lc 2,10-12), qui è riassunto tutto quello che costituisce la condizione per poter arrivare a dire: "questo è vero!".

Ecco, prima abbiamo l'annuncio di Dio, questa Parola dì Dio che arriva: "Vi annuncio una grande gioia". 

È vero, uno può non credere a questo.

I pastori hanno creduto e credendo che cosa hanno fatto?

Ecco, si ripete sempre lo stesso tema, che è il tema di Maria: i pastori ascoltano la voce dell'Angelo (e abbiamo I’“Angelus Domini nuntiavit Mariae") che dice loro: "Vi annuncio una grande gioia: è nato il Salvatore!" Dove?  "A Betlemme; Lo troverete con questi segni: è deposto in una mangiatoia, ecc.".

Ed essi cosa dicono?

Notate che erano pastori e quindi vegliavano sul gregge.

Ognuno di noi ha un suo gregge su cui veglia, ed è proprio su questa veglia che arriva la voce dell'Angelo che annuncia la salvezza. C’è il rischio di dire: “io ho il gregge e non posso partire”. 

I pastori hanno detto: "Andiamo a vedere il Verbo che ci è Stato annunciato" (Lc 2,15) (ed è la stessa risposta di Maria: "Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundun Verbum tuum").

Ecco, è sempre lo stesso Spirito, la stessa scena: di fronte all'annuncio dell’Angelo, Maria ad un certo momento dice: “Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum Verbum tuum"; i pastori di fronte all’annuncio dell'Angelo dicono: “Andiamo a vedere il Verbo che ci è stato annunciato".

Andare a vedere vuol dire lasciare il gregge e tutto quanto per essere totalmente disponibili al Verbo: "sì faccia di me secondo la tua Parola". 

Ecco l’importanza del Verbo! 

Se non ci fosse questo annuncio, questo Verbo, non si potrebbe partire.

Per i pastori (e per Maria) c'è stato questo annuncio. I pastori potevano non partire se quel legame con il gregge avesse superato il problema proposto dall'Angelo l’annuncio della Verità.

Lasciarono il gregge per andare a vedere il Verbo. Andarono e videro. E videro che cosa? 

Videro che era vero quello che aveva detto l'Angelo.

E come hanno potuto dire: “è vero!"?

Hanno fatto il confronto tra quanto avevano udito e quanto hanno trovato.

Ecco, per poter dire “è vero” è necessario fare il confronto.

Quando si parla di confronto bisogna avere due termini.

C'erano i due termini nei pastori e c'erano due termini in Maria: l'annuncio e la Realtà trovata: il Bambino Gesù.

I due termini nei pastori erano evidenti (come per Maria): la voce dell'Angelo, l'annuncio dell'Angelo e la Realtà trovata.

La parola dell'Angelo era: "Vi annuncío...”. Ecco, essi hanno concepito la parola, il Verbo annunciato dagli Angeli.  L'hanno concepito.

Però non è sufficiente questo concepimento perché essi avrebbero potuto dire: "Abbiamo sognato... o può essere stata una visione.... potrebbe non essere vero...".

Per arrivare al “vero", e poter dire “è vero!”, hanno dovuto partire e per partire hanno dovuto lasciare il loro gregge. 

Sono andati a vedere e hanno trovato la "Realtà". 

La Realtà! 

Quella Realtà, non è la Parola che la fa, quella non è il sogno che la fa.

La realtà è opera di Dio.

Loro potevano partire e andare a Betlemme e non trovare il Bambino.

Invece sono partiti; hanno lasciato il gregge, sono andati a Betlemme seguendo la voce dell’Angelo e hanno trovato.

E cosa hanno trovato?

La Realtà che corrispondeva alla voce dell’Angelo, cioè alla voce che essi avevano interiorizzato, a quella parola che portavano dentro di sé.

Toccando con mano, constatando possono dire: “era vero!” quello che ha detto l'Angelo. 

Avevano detto: "Andiamo a vedere il Verbo che ci è stato annunciato".

Sono andati e hanno visto il Verbo, la realtà del Bambino annunciato.

Ecco, ci sono queste due grandi componenti:

- la dedizione all'annuncio: sono partiti, lasciando tutto,

- e la Realtà: il Bambino.

Come nella formazione nell'anima della capacità di concepire ci sono due grandi termini:

- i termini dei segni di Dio,

- e i termini della Parola di Dio che comunica l'intenzione di Dio,

così anche nella formazione in noi del "vero", della capacità di dire: "è vero!", di questa capacità che ad un certo momento dice: "questo è vero! era vero!", ci sono questi due grandi termini:

- il primo termine è la Parola dell'Angelo che arriva a noi: l'annuncio della Verità che ci fa concepire la Verità e che forma in noi la capacità della dedizione a ciò che si è concepito: “Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum Verbum tuum" (oppure per i pastori: “andiamo a vedere il Verbo che ci è stato annunciato").  Ecco, dedizione al Verbo, alla Parola che è arrivata e che è stata da noi concepita.

È assolutamente necessaria questa dedizione. 

Dedizione che consiste in che cosa? 

"Fiat mihi secundum Verbum tuum": sia fatto di me secondo la tua Parola. 

E che cosa vuol dire "fare di me secondo la tua Parola?

Quel "me" cos'è? che cosa si intende per quel "me"?

Il "me" significa tutti quei problemi che fanno capo al nostro io.

Tutto va sottomesso al Verbo annunciato e concepito: “sia fatto di me secondo la tua parola”, il che vuol dire vedere tutto dal punto di vista della parola dell’Altro, della parola che è stata annunciata. 

I pastori hanno detto: "sia fatto di me secondo la tua Parola". 

Perché?

Perché hanno lasciato il loro gregge: "sia fatto di me…": a questo "me" faceva capo tutto il gregge! 

Essi hanno dovuto superare tutto questo, altrimenti certamente non sarebbero arrivati a constatare, a vedere il "vero", la "Realtà". Sarebbero rimasti con il dubbio: "sarà stata una parola vera o falsa?", perché uno riceve la parola, ma fintanto che non la constata, non la vede, gli rimane il dubbio: vero o non vero?"

Per poter arrivare a dire: “vero!”, bisogna lasciare il proprio gregge, bisogna partire dal proprio mondo.

È soltanto partendo, quindi dedìcandosi a- (a ciò che si è concepito) che si arriva a vedere.

Ma ho detto: non basta l'annuncio, non basta concepire, non basta la dedizione, non basta andare a vedere per trovare la Realtà: la Realtà non dipende da noi, la Realtà viene da-, è opera di Dio.

Non basta tutto questo.

Ritorno all'esempio delle stelle alpine: uno può sapere cos'è una stella alpina, quindi ha ricevuto l'annuncio, può aver concepito che cos'è una stella alpina, può andare a cercare una stella alpina, ma non è il suo pensiero o il suo concepito o Il suo andare a cercare la stella alpina che fa la stella alpina, certamente no.

La stella alpina è oggetto della creazione di Dio e la creazione sfugge a noi: certissimamente non siamo noi i creatori. Quindi noi ci troviamo di fronte ad una "realtà" che non è opera nostra.

Se noi troviamo la stella alpina, possiamo dire: "questa è una stella alpina", ma chi dà a noi la possibilità di riconoscere la stella alpina è quanto noi abbiamo interiorizzato, concepito di essa.

Così anche i pastori: essi avevano interiorizzato la parola dell'Angelo.

Andando a vedere, hanno visto la "Realtà", il Bambino, ma la “Realtà” non sono loro che l’hanno fatta.

La “realtà” è opera di Dio.

Di fronte all’opera di Dio hanno avuto la possibilità di dire: "era vero quello che aveva detto l'Angelo, cioè quello che portiamo dentro di noi, l'annuncio cui abbiamo creduto!"

Ecco, la possibilità di dire: “è vero”, è data: prima di tutto da questa dedizione al Verbo che ci è stato annunciato, a quello che ci ha fatto concepire,  e poi dalla Realtà che viene da-, che si presenta a noi.

Quindi sì passa dal concepimento all'identificazione, alla realizzazione attraverso la dedizione, altrimenti non si realizza niente.

Ora per passare dal concepimento all'identificazione, quindi alla realizzazione, al riconoscimento della Realtà, quindi alla realizzazione di quello che portiamo dentro di noi, perché altrimenti resta nostro pensiero e il pensiero non fa niente, non crea niente e non convince nessuno, per passare a questo noi dobbiamo incontrare quella Realtà che coincide con quello che abbiamo concepito dentro di noi.

L'abbiamo concepito per opera di Dio, si capisce, però non è sufficiente questo.

È necessario che coincidano le due cose: l'annuncio concepito e la Realtà.

Qui nell'episodio dei pastori la “realtà” è data dall'opera di Dio (e in realtà la “Realtà” che hanno trovato era Dio).

Di fronte alla Realtà, noi dobbiamo dirci: sì, la stella alpina fuori è creazione di Dio (è facile riconoscerla), ma per quel che riguarda la Verità in sé, per quel che riguarda la Realtà spirituale, interiore, come si fa?

Ho detto che la Verità è interiore a noi, e come possiamo allora constatarla come Realtà che non dipende da noi?

Non basta giungere all’identificazione in terra, cioè non basta che quello che portiamo dentro di noi ad un certo momento noi lo constatiamo fuori, per cui coincidono le due cose.

Non basta, perché la meta per noi è di arrivare a conoscere Dio, a conoscere la Verità e la Verità non è fuori: la Verità non è una stella alpina.

I pastori andarono e videro, e videro un Bambino secondo le descrizioni dell'Angelo per cui hanno potuto dire: “era vero”, però per passare dal Bambino a Dio, ci sarà in mezzo tutta la passione e la morte del Cristo.

E sarà necessario che Cristo se ne vada, Lui stesso. Perché tutto questo? 

"Perché altrimenti non può venire in voi lo Spirito di Verità".(Gv 16,7)

E lo Spirito di Verità come può venire?

"Ve lo manderò dal Padre" (Gv 15,26). Lo Spirito di Verità viene dal Padre.

Fintanto che ci troviamo con realtà create, esterne, è facile per noi: se abbiamo interiorizzato un concetto e lo troviamo nella realtà creata, possiamo dire: "questo è vero" perché coincidono le due cose (concetto e realtà) e possiamo nominarlo. 

Ma nel campo dello Spirito come possiamo dire: "questo é vero", "questa è la Realtà che ho concepito, che ho dentro"?

Non la troviamo fuori!

Non troviamo fuori la Realtà che abbiamo concepito!

E come la troviamo?

La troviamo soltanto deducendola dal Padre. È dal Padre che viene la Realtà, lo Spirito: "Ve lo manderò dal Padre", dice Gesù.

La Verità viene dal Padre.

Lo Spirito di Verità viene dal Padre.

Qui abbiamo la fusione di questi due grandi termini: concetto e Realtà.

Per arrivare a poter dire: "questo è vero", nel campo dello Spirito, nel campo dell'Assoluto e quindi poter dire: "Dio è vero!", Dio è la Realtà, noi abbiamo bisogno:

1) prima di tutto di dedizione: "Sia fatto di me secondo la tua Parola: ecce ancilla Domini, fiat..."; se non c'è questa disponibilità ce la possiamo sognare la conoscenza della Verità. 

Abbiamo bisogno assolutamente di questa dedizione (è il tema di stasera), e quindi di questo superamento di tutto il nostro gregge per poterci occupare di quello che abbiamo concepito;

2) soprattutto abbiamo bisogno di dedurre la Realtà dal Padre perché è la deduzione della Realtà dal Padre che ci porta a constatare che quello che portiamo dentro di noi coincide con quello che viene dal Padre, ed è da questo rapporto, da questa coincidenza tra quanto abbiamo concepito e quanto deduciamo dal Padre che noi possiamo dire: “è vero!”

"Vero" lo possiamo dire soltanto quando coincidono le due cose, soltanto quando coincide quello che si deduce dal Padre, da quello che il Padre è, con quanto abbiamo concepito in noi.

E questo, ciò che si deduce dal Padre, è opera del Padre: non siamo noi che deduciamo, noi possiamo soltanto dedurre fantasie. Questo è opera del Padre: quello che si deduce dal Padre è lo Spirito di Verità: "Ve lo manderò dal Padre" dice Gesù.

Ma è assolutamente necessario per giungere a identificare, a constatare la Realtà, la Verità (poiché lo Spirito di Verità non viene come una stella alpina su di una montagna), è assolutamente necessario che dentro di noi si sia formato per opera del Cristo il concepimento di quello che si riceve dal Padre, perché soltanto in quanto si è formato questo concepimento cresce in noi la dedizione, poiché questo concepito essendo diventato in noi proposta richiede da noi la dedizione.

È necessaria la dedizione poiché, essendo Dio una Singolarità, richiede da noi questa dedizione a Dio, a quanto abbiamo concepito per mezzo della parola del Cristo sul Padre, per dedurre (ecco ci vuole la dedizione e la deduzione), per dedurre da Dio la Realtà. Soltanto quando questa Realtà che viene dedotta dal Padre coincide in noi con quello che noi abbiamo concepito di Dio, abbiamo concepito del Padre, per le parole del Cristo, lì abbiamo la possibilità di dire: “questo è vero!”

Ecco, il problema della conoscenza della Verità richiede questi due grandi fattori: dedizione e deduzione.

Abbiamo due grandi fattori nella formazione dell'anima della capacità di concepire, e abbiamo due grandi fattori che, dopo aver concepito, si devono  formare dentro di noi per giungere all’identificazione della Realtà:

- la dedizione nostra a Dio,

- la deduzione da Dio,

per poter (ecco la sintesi: lo Spirito di Verità) dire: "è vero!"

Lo Spirito di Verità (sintesi, rapporto di questi due fattori) è il rapporto tra Padre e Figlio. 

Quindi dal Padre è generato il Figlio e il rapporto tra Padre e Figlio è la Verità, lo Spirito di Verità che ci fa dire a questo punto: "questo è vero!”.

E per noi diventa Vita Eterna.

 


“…ma tutto quello che Giovanni ha detto di Lui era vero, e molti credettero in Lui.”Gv 10 Vs 42 Terzo tema


Titolo: La verità si presenta.


Argomenti: Il Verbo che si fa carne – Riconoscere la Verità – La capacità di sopportare la Verità – I profeti e il Messia – I pastori a Natale – Concepire e identificare – Dedizione e realtà – La Parola fa concepire – Identificare la salvezza in Cristo – Segni e Parola=concepire – L’intermediario fra terra e cielo -


 

27-28/Dicembre/1992 Casa di preghiera Fossano.


Restiamo ancora, e concludiamo, sull’ultimo versetto del capitolo decimo di s. Giovanni in cui si dice: " ... ma tutto quello che Giovanni ha detto di Lui era vero.  E molti credettero in Lui".

Abbiamo visto le prime due parti.

Questa sera ci dobbiamo soffermare sopra l'ultima: "…molti credettero in Lui', e con ciò terminiamo il capitolo decimo di s. Giovanni il cui commento è durato quasi tre anni e mezzo (e precisamente dalla domenica 4 giugno 1989) e ne ringraziamo il Signore.

Dopo questo, già abbiamo accennato domenica scorsa che ci sarà il capitolo XI, il quale fa da cerniera tra le due grandi parti del Vangelo di s. Giovanni:

Le prime dieci parti che si concludono stasera chiamate “il libro dei segni”;

Le ultime dieci parti, dal XII capitolo in poi, “il libro delle Parole”

Il capitolo XI ci terrà impegnati per quattro anni, se Dio vorrà.

{ D) Non possiamo allora ancora morire...

L) Non abbiamo più tempo per morire... Ma noi cercheremo di fare delle "lezioni brevi" nel capitolo XI; cercheremo di accorciare, in modo da darci la possibilità di finirlo in minor tempo.. altrimenti non c'è più tempo per morire...

P) C'è tempo per vivere.

L) C'è solo tempo per vivere! }         

Qui si dice: “Molti credettero in Lui”: ecco, ci si apre alla scoperta della Verità che è tra noi, e abbiamo visto come Dio ci conduce a questa scoperta, perché tutto è opera di Dio, Dio solo regna, Dio è il Creatore di tutte le cose, Creatore ancora adesso dì tutte le cose, il che vuoi dire che parta in tutto, opera in tutto, opera tutto, e in tutte le cose non fa altro che:

annunciare Se stesso,

proporre Se stesso,

e presentare Se stesso.

Sono questi i tre argomenti che sono alla base di questo versetto e che abbiamo tenuti presenti commentando le tre parti dell' "Angelus":

"Angelus Domini nuntiavit Mariae, et concepit de Spiritu Sancto": prima parte. È la Verità che si annuncia e che fa concepire, perché l'annuncio dell'Angelo ci fa concepire.

La seconda parte: “Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum Verbuum tuum", cioè la dedizione: la Verità che si propone.

È la dedizione di Maria che rappresenta la dedizione della nostra anima, perché qui in Maria abbiamo la Maestra, la Madre che ci accompagna proprio nei nostri rapporti con questo Dio che si annuncia, che si propone, che si presenta.

La terza parte è il tema di oggi: "Verbum caro factum est": “Il Verbo si è fatto carne…”; concludiamo l’anno con: “et Verbum caro factum est et habitavit in nobis”: “…ed abitò tra noi”.

Dobbiamo chiederci come si possa giungere a identificare questo Verbo che si fa carne, e in quanto si fa carne si rende toccabile, visibile: si fa carne.

Carne è cosa che si vede e si tocca, si esperimenta.

Abbiamo la prima lettera di s. Giovanni che dice: “Quello che noi abbiamo visto con i nostri occhi, toccato con le nostre mani, la vita che in Principio era presso Dio… il Verbo della Vita…”, lo scrive lui, Giovanni, che aveva iniziato il suo Vangelo dicendo che in principio la “Vita era presso Dio e la vita era la luce degli uomini” (cf Gv 1,1.4).

E ora dice: "questa Vita che era presso Dio, noi l'abbiamo vista con i nostri occhi, l'abbiamo toccata con le nostre mani, l’abbiamo esperimentata; e questo - aggiunge- vi annunciamo, affinché possiate anche voi fare una cosa sola con noi” (1 Gv 1,1-5).

Questo Verbo che ad un certo momento si presenta in forma di carne, come e in qual modo è dato a noi di identificarlo, in modo da poter dire: "Sei Tu!"'?

Abbiamo visto proprio nelle domeniche precedenti tutta questa preparazione per arrivare a identificare, perché il problema è dì identificare una Verità che si rende presente, reale nella nostra vita e che ci fa correre un grande rischio, perché quando la Verità si rende presente ci fa correre il rischio di non poterla riconoscere: ecco perché c'è la Verità che si annuncia.

La Verità si annuncia, si propone, si presenta.

Tutto è in funzione di questo: “la Verità si presenta”. 

Stiamo andando verso questo grande fine, unico fine, perché siamo stati creati solo per questo: per trovarci a tu per tu con Dio, a tu per tu con la Verità di Dio.

È necessario giungervi preparati in modo da poter sopportare la sua Presenza.

"Ho tante cose da dirvi - dice Gesù - ma per ora non le potete sopportare” (Gv 16,12), il che vuol dire che la Verità che viene a noi richiede da parte nostra una capacità.

Questa capacità si forma attraverso questa Verità che si annuncia.

I "segni" di Dio sono tutti finalizzati a formare in noi la capacità di sopportare la Verità di Dio, quando si presenterà.

Annunciandosi, la Verità si propone e qui è detto: “Molti credettero in Lui”.

Chi sono questi “molti”?

Prima si dice: “Tutto quello che Giovanni ha detto di Lui era vero”.

Ora qui, come scena, ci troviamo là dove Gesù (che il suo popolo aveva cercato di lapidare) si era ritirato (là dove Giovanni aveva battezzato), richiamando così la gente al battesimo di giustizia.

E qui “molti credettero in Lui”: “molti”, perché essendo stati discepoli di Giovanni Battista avevano riconosciuto che "tutto quello che Giovanni Battista ha detto di Lui era vero". 

"Giovanni Battista non ha fatto nessun segno" – dicevano, però "tutto quello che Giovanni Battista ha detto di Lui era vero". 

E conclude dicendo: "molti di costoro credettero in Lui".

Ci fa capire come si giunge a credere al Cristo, al Verbo incarnato.

Erano discepoli di Giovanni Battista, cioè avevano ascoltato il messaggio, l'annuncio di Giovanni Battista.

E Giovanni Battista di che cosa parlava?

Giovanni Battista parlava del Messia e diceva: “È Lui che deve crescere ed io debbo diminuire... Egli era prima di me... io non sono degno nemmeno di legargli i legacci dei suoi calzari...” (Gv 3,30; Gv 1,30; Gv 1,27).

Che differenza c'è tra Giovanni, tutti i profeti, e il Messia?

La differenza stava qui: "lo vi battezzo in acqua –dice il Giovanni Battista - ma Lui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Mt 3,11). 

La gente che aveva ascoltato Il messaggio di Giovanni Battista adesso ha la capacità di riconoscere il Messia, di individuare il Cristo e di credere in Lui.

Ci fa capire che la capacità di individuare, di riconoscere, richiede questa preparazione, questa interiorizzazione: Richiede delle "parole". 

Infatti: "tutto quello che Giovanni Battista ha detto”.

Abbiamo commentato le domeniche scorse: "Ha detto": quindi “parole"! Non “segni”, ma delle “parole”; le parole ascoltate, meditate, capite, danno la capacità di riconoscere che in Cristo, nel Messia, sono realizzate. "Quello che Giovanni ha detto di Lui era vero!". 

Cioè le parole interiorizzate formano in noi la capacità di dire, di riconoscere quello che è vero.

La Verità per essere riconosciuta ha bisogno di una dimensione interiore, altrimenti non possiamo identificarla, non possiamo dire: "questo è vero!"

E come facciamo a dire "questo è vero" se non l'abbiamo già dentro di noi?

Abbiamo fatto l’esempio delle stelle alpine che ha avuto la sua efficacia, perché è sufficiente quello che si è commentato in questi giorni scorsi (e precisamente nel giorno di Natale): «…come sono belli i piedi sui monti di Colui che viene parlandoci di Sion, i piedi del messaggero di lieti annunci… messaggero di bene che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» (Is 52,7): ecco, abbiamo detto che i piedi sui monti sono proprio queste "stelle alpine", perché la "stella alpina" si chiama “leontopodium", il che vuol dire "piede del leone", e il Messia, Gesù Cristo, è chiamato "Leone di Giuda". 

C'è un rapporto anche tra le stelle alpine e il Messia, il Verbo fatto carne, e anche queste servono per glorificare Dio.

Abbiamo detto che la condizione per poter riconoscere, individuare una stella alpina è di averla concepita personalmente dentro di noi: uno che non sappia nel suo intelletto, che cosa sia una stella alpina, può trovarsi di fronte a tutte le stelle alpine, ma certamente non può individuarle, non può dire: "questa è una stella alpina".

Qui c'è già una lezione grande per portarci a capire come avviene in noi la formazione di questa capacità di dire:  "questo è vero!", oppure: "questo è il Verbo incarnato!".

Ho detto che la stella alpina bisogna che prima sia concepita da noi, e si concepisce in quanto si fa il confronto tra la stella alpina e tutti gli altri fiori, e quindi si arriva a quello che determina la singolarità della stella alpina.

Conosciuta questa "singolarità", allora adesso trovando la "realtà", stella alpina (e la realtà è opera di Dio, non è opera del nostro pensiero), possiamo riconoscerla.

La realtà non è opera del nostro pensiero, però il nostro pensiero è la condizione essenziale per poter riconoscere la stella alpina, per poterla individuare.

Ecco allora noi abbiamo la sintesi: la presenza della stella alpina e quindi la sua individuazione è opera di Dio Creatore (perché se Dio non crea la stella alpina noi ce la sogniamo), ma richiede il nostro pensiero, per cui quando nel nostro pensiero si è concepito che cos’è una stella alpina, trovando la “realtà”, stella alpina, a noi è data la possibilità di nominarla, di darle un nome, di dire: "questa è una stella alpina", quindi di individuarla.

Dalla stella alpina siamo poi passati alla scena dei pastori a Betlemme.

È sempre la stessa lezione, perché la lezione è unica e si ripete in tutto e la troviamo anche in Maria, nella scena dei pastori ci siamo chiesto: come hanno fatto i pastori a riconoscere il Messia?

Nella notte santa c'è stato un Angelo che apparendo ai pastori ha annunciato l'avvenimento e ha anche detto loro il segno con cui l'avrebbero riconosciuto; il che vuol dire che è arrivata loro una Parola dal Cielo.

Questa parola è stata creduta, interiorizzata, ed abbiamo l'identica lezione in questi "molti” (che qui si dice "credettero in Lui”).

Questi "molti" hanno ascoltato la parola di Giovanni Batti sta.

Gesù quando interrogherà i farisei (che gli chiederanno con quale autorità aveva cacciato i profanatori del Tempio), dirà: “il battesimo di Giovanni era dal Cielo o dagli uomini?"

E i Farisei risponderanno: "non lo sappiamo!"(Mt 21,25.27).

Qui invece costoro hanno riconosciuto che il Battesimo di Giovanni era dal Cielo, che le parole di Giovanni venivano dal cielo, che questo Battesimo di giustizia era dal Cielo, che era secondo Dio, e proprio questo li ha resi capaci di dire: “è vero!”, cioè di riconoscere il Verbo fatto carne.

Così anche i pastori, ricevendo l'annuncio dell'Angelo, hanno avuto la possibilità, la capacità di riconoscere il Messia, in quanto hanno creduto all’annuncio dell’Angelo, l’hanno interiorizzato, l’hanno portato nella loro mente.

Però c’è stato un altro grande fatto che li ha caratterizzati: ad un certo momento hanno detto: “Andiamo a vedere il Verbo che ci è stato annunciato dagli Angeli” (Lc 2,15), quindi opera divina: è arrivato loro.

Però fu necessario che essi dicessero: “andiamo a vedere!”.

Non è bastato e non basta l’annuncio! Bisogna andare a vedere!

È nel vedere che uno si pacifica.

È nella luce che uno trova la pace.

Per andare a vedere hanno dovuto lasciare il gregge.

Ecco la cosa importante!

Abbiamo detto che ognuno di noi appartiene a un gregge, piccolo o grande che sia, ma quando arriva l'annuncio, la Parola dì Dio, è necessario lasciare il gregge, perché il cammino che si fa è un cammino essenzialmente personale: è un cammino di amore, cammino di dedizione, di ricerca, "Ecce ancilla Domini”. Ecco, ci vuole questa dedizione. 

Maria è stata una ''singola": si è assunta la responsabilità della risposta.

Di fronte all'Angelo, si è assunta la responsabilità e si è messa a disposizione: dedizione!

Dico: è dalla sintesi di questa dedizione con la Realtà che si avrà la capacità di dire: "questo è", cioè di realizzare quello che è stato annunciato, cioè di identificare, riconoscere il Messia.

I pastori andarono e videro.

Ecco, hanno realizzato quello che è stato loro annunciato. 

Come hanno fatto a dire: "questi è il Messia? questi è la salvezza del mondo?"

Avevano dentro di sé la Parola di Dio: "Vi annuncio una grande gioia: è nata la Salvezza per tutti gli uomini!" Ecco! 

Hanno visto che la Parola dell'Angelo ha coinciso con la Realtà che essi hanno visto con i loro occhi e, da questa sintesi, tra quello quello che hanno visto e quello che portavano dentro di sé come Parola dell'Angelo, hanno avuto la capacità di individuare, di identificare il Messia, per cui hanno detto: “questi é la salvezza di Dio” (Lc 3,6).

Se fosse mancato uno dei due termini, il termine interiore o il termine esteriore, certamente non avrebbero avuto la possibilità di dire: “questo è”.

Il tema è questo: “et Verbum caro factum est”: “Il Verbo si è fatto carne”. E ci chiediamo: “Che cos’è che dà a noi la capacità, la possibilità di riconoscere, di dire: “questi è il Figlio di Dio, questi è il Messia, questa è la Salvezza per tutti gli uomini?”. 

“Oh, Signore lascia ora che il tuo servo se ne vada in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”  (Lc 2,29), disse il vecchio Simeone.

“Perché I miei occhi hanno veduto la Salvezza di Dio”: ecco, vedere la salvezza di Dio!

Poter vedere la salvezza di Dio, poterla riconoscere, poter dire: "questa è la salvezza, il Messia!”.

Nei pastori questa capacità si è formata attraverso: l'ascolto, la fede nella Parola dell'Angelo e il lasciare il gregge per andare a vedere.

Non basta l'ascolto perché sarebbero rimasti in dubbio: anche se essi avessero ascoltato la Parola dell'Angelo, ma non fossero partiti, non avessero lasciato il loro gregge e non fossero andati a vedere quello che l'Angelo aveva annunciato, sarebbero rimasti in un dubbio, perché non avrebbero potuto constatare quello che l'Angelo aveva detto.

L'Angelo quindi annuncia, la Parola di Dio arriva a noi: è un annuncio!

Ma è sempre necessario partire.

Ecco la fede di Abramo!

È quella che ti fa partire.

Se uno non parte resta con l'annuncio.

L'annuncio non lo può smentire, ma resta condannato dall'annuncio.

E condannato come?

Condannato nel senso che resta fuori dalla Verità: non può arrivare a realizzare quello che gli è stato annunciato, e lì c'è il giudizio: l'uomo non arriva a "realizzare" quello che ha ricevuto, quello che gli è stato annunciato.

L'uomo corre questo rischio: di ricevere l'annuncio e di non realizzarlo.

L'annuncio arriva dappertutto: non c'è luogo della terra che non senta questo annuncio, perché tutto è opera di Dio.

Quindi l'annuncio arriva dappertutto.

Il grande problema dell'uomo è di partire dal suo gregge e di andare personalmente a vedere ciò che gli è stato annunciato; soltanto vedendo "realizza", constata: così come constata la stella alpina quando, avendola concepita la trova come realtà per cui dice: "questa è una stella alpina".

La "realtà" non sono i pastori che l'hanno fatta e non sono nemmeno gli Angeli. Gli Angeli l'hanno annunciata, ma la “realtà” è opera di Dio.

Quindi la "realtà" non è opera né degli Angeli, né della parola degli Angeli, né della fede dei pastori.

Anche se fossero partiti, se Dio non avesse fatto quella "Realtà", il Bambino Gesù, essi si sarebbero trovati con il vuoto, la Parola di Dio non si sarebbe realizzata, non avrebbero trovato la Realtà che coincideva con l'annuncio dell'Angelo. 

Invece per opera di Dio hanno trovato la realtà che coincideva con l'annuncio ricevuto e interiorizzato.

Abbiamo detto che la "presenza" la si trova quando c'è una coincidenza: stiamo andando verso la grande Presenza di Dio che è lo Spirito Santo e questa Presenza di Dio la si trova in quanto c'è una coincidenza tra quello che viene dal Padre e quello che si porta dentro di sé.

Quando quello che viene dal Padre, dedotto dal Padre, derivato dal Padre (e questo richiede la nostra partecipazione personale), coincide con quello che dentro di noi stessi abbiamo concepito ascoltando il Figlio (ecco perché è il Figlio che manda lo Spirito dal  Padre), soltanto quando coincidono le due cose (quando quello che viene dal Padre coincide con quello che si è formato in noi ascoltando il Figlio di Dio), noi troviamo la Presenza dello Spirito Santo, lì troviamo la Presenza di Dio.

È una fusione, una sintesi, come è stata una sintesi l'incontro con il Messia da parte dei pastori.

I pastori hanno concepito il Messia per opera dell'Angelo, cioè della Parola di Dio; andando e vedendo la Realtà (Realtà che è sempre opera di Dio Creatore, mai degli uomini), trovando questa Realtà che coincideva con quello che essi avevano concepito per opera dell'Angelo, hanno detto: "questi è il Messia".

Ecco la sintesi con cui si riconosce il Verbo che si fa carne: la "carne" è un bimbo qualunque, quello che trovarono era un bambino qualunque, però era preceduto da certi segni, da certi annunci.

È la coincidenza di questi annunci con la Realtà che si presenta che dà la possibilità, ha dato allora e dà ancora adesso, ad ognuno di noi, la possibilità di dire: "questo il Figlio di Dio, questa è la salvezza di Dio tra noi”.

Gesù vuol dire "Salvezza di Dio": Colui che parlandoci del Padre ci porterà alla Presenza dello Spirito Santo. È l'opera meravigliosa che Dio compie nella nostra vita.

Tutto questo (la stella alpina e la scena dei pastori) è lezione per ognuno di noi.

Due sono i grandi termini estremi che racchiudono tutta la nostra vita: ritorno all'esempio delle stelle alpine; primo termine, l'ultimo termine: lo Spirito Santo.

Abbiamo questi due grandi termini entro cui si svolge tutta la nostra vita e si corre anche il rischio di non poter arrivare alla conclusione.

Il primo termine è di riconoscere la presenza di una realtà materiale.

Abbiamo una presenza, ad esempio la stella alpina, che rappresenta tutte le altre presenze fisiche.

Noi non stiamo su senza presenze, perché siamo fatti di presenza.

Abbiamo una presenza materiale, fisica, la presenza delle cose del mondo che si sintetizza con le stelle alpine.

Quando abbiamo parlato di questo abbiamo detto che l'individuazione di questa presenza richiede anche qui due termini:  prima di tutto il concepimento, e poi la realtà.

Bisogna concepire prima una cosa per poterla trovare: uno che non abbia concepito la stella alpina, certamente non può trovare la stella alpina.

Però per arrivare a concepire Dio abbiamo detto che anche qui c'è  bisogno di due termini:

prima di tutto c'è bisogno dei "segni" che ci annunciano Dio.

E c'è bisogno della Parola, perché è la Parola che ci comunica il pensiero, ci fa concepire: è la Parola di Dio che fa concepire Dio.

I "segni" non fanno altro che preparare in noi (ed è tutta opera di Dio) la capacità di concepire Dio in quanto sgombrano, purificano la nostra mente, perché fintanto che noi abbiamo altri interessi, fintanto che noi viviamo per altro, noi ci troviamo nell’impossibilità di concepire Dio. In quanto vivendo di altre intenzioni siamo inquinati.

Abbiamo la possibilità di avere un'intenzione sola e abbiamo la possibilità di concepire se abbiamo un'intenzione sola: siamo fatti per una cosa sola e quindi possiamo avere e seguire un'intenzione sola, per cui abbiamo bisogno di tutta quest'opera dei "segni" per preparare in noi l'ambiente a ricevere un'intenzione sola.

Ora, fintanto che noi siamo dominati da altri interessi, da altre intenzioni, fintanto che viviamo per altre intenzioni, ci troviamo nell'impossibilità di concepire, di ricevere il "seme", cioè di ricevere la Parola di Dio. Noi non concepiamo per i segni di Dio: noi concepiamo per la Parola di Dio.

È la Parola di Dio che ci trasmette l'intenzione di Dio. La Parola di Dio è comunicazione di intenzione. Quello che fa concepire è l'intenzione: è questa che fa concepire Dio.

Ma il concepimento non basta. È necessario trovare la "Realtà" che coincide con la nostra intenzione, con il nostro desiderio, per poter realizzare la "Presenza".

Lo vediamo già nel campo dei segni, qui in terra: riconosciamo una “presenza” in quanto troviamo una "realtà" che coincide con un nostro desiderio, con una nostra intenzione. 

Nello stesso modo esperimentiamo l'assenza: quando noi desideriamo una rosa e ci vengono dati dei tulipani, diciamo: “le rose sono assenti” non troviamo la presenza delle rose.

Nella presenza quindi c'è questa coincidenza, la "presenza" è data da questa coincidenza; tra quello che portiamo noi come intenzione e la "realtà" che troviamo di fronte a noi.

Soltanto in quanto abbiamo concepito l'intenzione (ad esempio l'intenzione di trovare una stella alpina), a noi è data la possibilità di far coincidere le due cose (intenzione e realtà) e di dire: "questa è una stella alpina!"; e troviamo la "presenza" della stella alpina, perché coincidono le due cose.

È la “presenza" che determina tutto dì noi: il nostro corpo è dominato da queste presenze naturali che sono però una sintesi di questi due termini (intenzione e realtà), entrambi "terra", quindi "presenze terra – terra”). Queste presenze naturali costituiscono il primo termine.

L'ultimo termine, il termine estremo, è la Presenza dello Spirito Santo: la meta.

Infatti Dio opera ogni cosa non per farci concepire "stelle alpine", non per farci concepire presenze fisiche: queste sono pane sul nostro cammino.

Sono parola di Dio certamente: la stella alpina è una parola di Dio sul nostro cammino, perché fintanto che noi non siamo capaci di vivere della Presenza di Dio e alla Presenza di Dio, se Dio ci togliesse queste altre presenze noi precipiteremmo nel vuoto.

Noi siamo fatti di presenza, ma dobbiamo affrettarci a passare dalle presenze naturali, alla vera Presenza, perché tutto è messaggio, tutto è segno. Le presenze naturali sono messaggio, sono segno, ed essendo tutto messaggio, tutto segno, se noi non ci affrettiamo ad arrivare alla presenza dello Spirito, ad un certo momento perdiamo tutto. 

Anche questa Presenza dello Spirito richiede due grandi termini: dedizione e deduzione.

Dedizione e deduzione che é l'opera di Maria.

Così, prima bisogna dedicarsi a quello che è stato concepito.

Alla Presenza dello Spirito si arriva soltanto per dedizione al Padre (di cui ci ha parlato Cristo), Principio, e per deduzione dai Padre, perché lo Spirito viene dal Padre, quindi si richiede la nostra partecipazione a questa deduzione.

Soltanto quando quello che si deduce dal Padre coincide con quello che noi abbiamo concepito per opera del Figlio di Dio (cioè del Verbo incarnato, la nostra Salvezza), soltanto quando coincidono le due cose: intenzione e realtà, noi troviamo lo Spirito Santo, troviamo lo Spirito di Verità.

La sintesi di questi due termini di “cielo”, è la “Presenza cielo - cielo”.

Questi, dico, sono i due grandi termini entro cui si svolge tutta la nostra vita: un termine terreno ("terra - terra") e un termine celeste: "cielo - cielo".

Il primo termine “terra – terra”, si concepisce facendo il confronto tra realtà terrene: concepisco cos'è una stella alpina in quanto faccio il confronto con tutti gli altri fiori e posso notare la differenza che c'è tra gli altri fiori e la stella alpina. 

Quando ho notato la singolarità della stella alpina ho concepito la stella alpina.

Si concepisce in terra facendo il confronto tra una cosa e l'altra, ed è quindi un concepimento intellettuale. Questo concepimento intellettuale adesso mi rende capace quando troverò, per grazia di Dio, una stella alpina di riconoscerla; naturalmente debbo partire dal mio gregge e salire sui monti, se voglio trovare la stella alpina.

Quando per grazia di Dio troverò la stella alpina nel suo luogo, potrò dire: "questa è una stella alpina!": trovo una presenza, una presenza “terra – terra”.

Questo è il termine terreno ("terra – terra”).

Poi abbiamo invece l'altro termine che è tutto cielo: "cielo - cielo", perché lo Spirito Santo si concepisce solo dal Padre, quindi abbiamo ''cielo e cielo".

Sono questi i due termini estremi.

La grande difficoltà per noi è passare dall'uno all'altro: ecco il problema della salvezza!

È lì che ci viene chiesto di conoscere la salvezza dì Dio, conoscere "come" Dio ci salva, cioè "come" Dio ci porta da queste presenze terrene a quell'altra Presenza ''cielo- cielo”.

Ora, dico, noi partiamo da “terra – terra”, come presenze, e l’ultimo termine è: “cielo – cielo” come Presenza. Evidentemente abbiamo bisogno di un termine che faccia da intermediario, che ci colleghi, che ci apra a quel “cielo – cielo” e ci prepari, perché per giungere qui bisogna essere talmente puri da poter dedurre dal Padre, da poter essere affidati al Padre e poter derivare dal Padre, per poter partecipare alla generazione del Figlio dal Padre, perché soltanto così troviamo la Presenza dello Spirito Santo.

Se il primo termine di presenze è “terra – terra”, e l'ultimo temine è "cielo - cielo", il termine intermediario qual è?

È uno solo: "terra - Cielo". 

Soltanto quel temine, cioé quella “presenza" (siamo sempre nel campo delle presenze, perché noi viviamo di presenze) che porta in sé la "terra" e il "Cielo", lì noi abbiamo l'intermediario, lì abbiamo la possibilità del passaggio dalla "terra" al "Cielo".

Il passaggio richiede che ci sia la presenza di "terra", ecco, il "Verbum caro factum est": questa "carne", questa "terra"'

Ora noi diciamo "terra" quello che noi possiamo vedere con i nostri occhi, toccare con le nostre mani: "Il Verbo di Dio ... quella Vita che era presso Dio - dice Giovanni nella sua prima lettera- noi l'abbiamo vista con gli occhi e toccata con queste mani": quindi abbiamo visto qualcosa di "terra", un termine, una "presenza" in cui c'è la terra, ma in cui non c'è "terra - terra", perché l'estremo termine deve essere "Cielo": quindi "terra e Cielo".

Quindi ci deve essere un termine "terra" che porta in sé il termine "Cielo". 

Soltanto a questa condizione noi abbiamo l'intermediario e quindi la possibilità, attraverso di Lui, di passare al "Cielo - Cielo".

Ma il termine "Cielo" nel termine "terra" come è possibile riconoscerLo?

Ecco, l'abbiamo visto nei pastori.

I pastori per poter dire: “abbiamo visto! abbiamo capito! questo è il Messia”, cosa hanno capito?

Portavano in sé il Cielo.

Qual è questo "Cielo" che portavano dentro di sé? 

Il "Cielo" che essi portavano dentro di sé era l'annuncio dell'Angelo: "Vi annuncio una grande gioia...".

Ecco!

Non era un confronto come si fa per le stelle alpine, per concepire le stelle alpine. 

Non hanno fatto il confronto fra quel Bambino e gli altri bambini ( poiché avremmo qui un concepimento "terra - terra"). 

Non hanno detto: "tutti gli altri bambini sono bruni, questo Bambino è biondo, quindi è la salvezza di Dio".  No! 

Con la stella alpina invece noi facciamo così: tendiamo a cogliere la singolarità della stella alpina nei confronti di tutti gli altri fiorì. 

Tutti gli altri fiori non sono fatti in questo modo, questo invece è fatto in quel determinato modo, per cui questa è una stella alpina.

Va benissimo, ma, dico, questo è "terra - terra".

Questi concepimenti "terra - terra" non ci servono per la salvezza: io posso conoscere tutte le stelle alpine di questo mondo (e nelle stelle alpine c’è la sintesi di tutte le altre presenze terrene), posso far la raccolta di tutte le stelle alpine, posso imbalsamare tutte le stelle alpine, posso portarle con me, ma non mi salvano. Tutte le conoscenze di questo mondo non servono per la salvezza!

Noi possiamo riempirci di tutte le scienze dì questo mondo, conoscere tutto il mondo e non soltanto il mondo terreno, ma anche il mondo celeste, possiamo conoscere tutto, non ci salva! non ci può salvare, perché è tutto "terra - terra".

Quello che ci salva è quello che è questa fusione "terra" e "Cielo".

Perché?

Perché soltanto con questa fusione "terra - Cielo" noi abbiamo l'intermediazione e quindi abbiamo la possibilità di passare dalla "terra - terra" al "Cielo - Cielo", abbiamo cioè la possibilità di formare in noi questa capacità di superare tutto quello che è "terra - terra" per poter vedere le cose dal punto di vista di Dio. La salvezza l'abbiamo nel guardare le cose dal punto di vista di Dio, l'abbiamo nella possibilità di guardare tutte le cose dal punto di vista di Dio.

Ma chi ci darà la possibilità di vedere le cose dal punto di vista di Dio?

Come i pastori hanno visto il Messia (il "cielo - terra") in quel Bambino, che era un "bambino" qualunque, bruno o biondo, come tutti gli altri?

Non c'era nessuna singolarità che lo caratterizzasse da poterlo distinguere e riconoscere: "questo è il Messia!". Non c'era "la stella alpina" diversa da tutti gli altri fiori.

Lì avevamo un Bambino uguale a tutti gli altri bambini.

Non potevano sapere come fosse stato concepito, come fosse nato, questo non potevano saperlo.

Da che cosa allora essi hanno avuto la possibilità di caratterizzarlo, di scoprire la singolarità di questo Bambino?

In quel Bambino c'era qualcosa del Cielo e quel qualcosa del Cielo l'aveva detto loro l'Angelo: “Vi annuncio una grande gioia... vi annuncio la "salvezza di Dio ...troverete un bambino.. lì sta la salvezza di Dio!: troverete un Bimbo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia...” (Lc 2,10-12).

Andando essi hanno trovato la coincidenza tra quello che aveva detto loro l'Angelo e quello che hanno visto con gli occhi: quello che hanno visto con gli occhi è un "segno", quindi "terra", e come tutti i segni che noi vediamo, poteva essere rivestito di un’intenzione.

I segni debbono essere rivestiti di un'intenzione: noi il più delle volte rivestiamo i segni delle nostre intenzioni.

È per quello che noi non riusciamo ad evadere dal pensiero del nostro io, perché noi rivestiamo tutti i segni di Dio delle nostre intenzioni. Quelli invece, i pastori, hanno rivestito quel Bambino, il segno di quel Bambino, dell'intenzione dell'Angelo ed è l'intenzione dell'Angelo che ha dato loro la possibilità di caratterizzarlo, di scoprire la singolarità di quel Bambino e di dire: "questa è la Salvezza del mondo".

Ora tutto questo per dire che cosa?

Che non si può, nel modo più assoluto, di fronte a tutti gli annunci di Natale, di Gesù che nasce in una grotta di Betlemme, non possiamo uscire dai nostri dubbi, dalla chiusura del pensiero del nostro io, il quale conosce in base a esperienze, a conoscenze terrene.

Chi ci libera dal dubbio di dire: "questo è Figlio di Dio, oppure è il Figlio di Maria... o e tutto è una novellistica?"

Chi ci libera da questo?

Ecco, dico, ci sono queste lezioni di Dio attorno a Betlemme per dire a noi quali sono le condizioni per poter dire personalmente anche noi: "Questi è il Verbo di Dio fatto carne, è la Parola di Dio incarnata": non è “carne – carne” non è "terra - terra", non è "fiore - fiore": questa è Parola di Dio incarnata!

Infatti i pastori andando a cercare a Betlemme, hanno trovato la realizzazione della Parola di Dio: della Parola di Dio annunciata dagli Angeli. 

Era Parola di Dio annunciata dagli Angeli.

Per loro è stato un fatto straordinario, certamente, perché è lezione per noi e tutto quello che è lezione è un fatto straordinario per noi, e Dio opera tutte le cose per preparare in noi la capacità di riconoscere la sua Salvezza.

Intanto ci fa capire che non si può arrivare a individuare, a identificare il Messia, cioè il Verbo di Dio fatto carne, se noi dentro di noi non abbiamo prima identificato, cioè se non abbiamo prima concepito chi è Dio e “come” Dio ci salva.

Ho detto che i pastori sono arrivati carichi di un messaggio: il messaggio dell'Angelo.

Quel messaggio dell'Angelo non è altro che il concepimento in noi di ciò che Dio è e di come Dio ci salva: Dio ci salva solo per mezzo di Se stesso, con la sua Presenza.

Soltanto se noi avremo intellettualmente e soltanto intellettualmente concepito chi è Dio, che cosa è Dio e come Dio ci salva, questo e soltanto questo, dà a noi la capacità, dì fronte a quel Bimbo qualunque, di riconoscere la singolarità di quel Bimbo, e di dire, di poter dire: "questi è la salvezza di Dio" e non a parole, non per sentito dire, ma per convinzione perché coincide con quello che portiamo dentro di noi, con quello che abbiamo concepito di Dio.

Come la stella alpina non si può identificare se non l'abbiamo prima concepita dentro di noi, così è con Dio nella sua realizzazione: non realizzazione finale, ma come mezzo, come intermediazione per condurci alla soluzione finale che è quella di "Cielo - Cielo", cioè Spirito di Presenza, Presenza del Padre.

È necessario aver concepito da Dio chi è Dio e "come" Dio ci salva (Dio ci salva soltanto per mezzo di Se stesso, con la sua stessa Presenza), per poter identificare questa Singolarità, dell'intermediario tra la nostra terra e il Cielo.

Soltanto se noi avremo concepito chi è Dio dentro di noi, quel concepito dà a noi la possibilità di individuare e di confessare e di testimoniare: "Questi è veramente il Figlio di Dio: la salvezza, l'aiuto di Dio, il "Dio presente tra noi".

Alcuni pensieri tratti dalla conversazione:

Solo se abbiamo concepito "come" Dio salva possiamo riconoscere in quel bambino la salvezza di Dio, e quindi il Figlio di Dio, poiché Dio ci salva solo per mezzo di Se stesso, della sua Presenza.

L'intermediario "terra - Cielo" ci porta al "tutto Cielo": anche la terra viene spiritualizzata, quindi diventa Cielo. Il Natale ci rivela che Dio ci salva affidandosi a noi come un bimbo affidato a sua Madre: è un piccolo Pensiero tra tanti nostri pensieri: Lo dobbiamo curare e far crescere fino ad assorbire tutto in Sé.

Quest'ultimo versetto, il 42, ci ha evidenziato come il problema dell'identificazione, a tutti i livelli, dalla "stella alpina" al "Verbo fatto carne" (esperienza dei pastori, dei discepoli di Giovanni, ecc.) fino alla Presenza dello Spirito Santo, sia una sintesi fra un concepimento (componente soggettiva) e una "realtà" (componente oggettiva).


“…ma tutto quello che Giovanni ha detto di Lui era vero, e molti credettero in Lui.”Gv 10 Vs 42


- RIASSUNTI – Domenica – Lunedì -


Argomenti: Concepimento e identificazione – La singolarità – La conoscenza personale di Dio – L’immondizia – Cielo e terra – Cristo è la strada che conduce al Padre – Concepire nel disordine della mente – La passione d’assoluto – Il pensiero di Dio dedotto dal Padre -  La realtà che discende dal Padre – Il pensiero puro di Dio.


 

3-4/ Gennaio /1993  Casa di preghiera Fossano.


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- RIASSUNTO CAPITOLO 10 – Domenica – Lunedì -


Argomenti: La giustificazione del Figlio nel Padre – Principio e conoscenza – Riconoscere la Verità – Il concepimento – Dio in terra e Dio in cielo – La presenza di Dio – Segni e parole – Opere e persona – L’individuazione di Cristo – Le 5 scene del capitolo – La mappa del tesoro – Ladri e briganti – Le pecore di Dio – La voce e l’esistente – La vita del Pastore – Il potere del Figlio – Il tempio di Dio – La disponibilità di Dio – L’unità in cielo – Il sassolino -


 

10-11/ Gennaio /1993 Casa di preghiera Fossano.