“Allora
essi cercarono di impadronirsi di Lui, ma Egli sfuggì dalle loro mani”.Gv 10 Vs
39 Primo tema.
Argomenti:
20/Settembre/1992 Casa di
preghiera Fossano.
Siamo giunti al versetto 39 del capitolo X di s.
Giovanni. Qui si dice: “Allora essi cercarono di impadronirsi di Lui, ma Egli sfuggì
dalle loro mani”. Ci fermiamo sulla prima parte di questo versetto e cioè:
“Allora essi cercarono di impadronirsi di Lui...”. Dice “allora”: cioè dopo che
Gesù aveva detto tutte quelle parole, fatto tutto quel discorso che abbiamo
osservato nel capitolo decimo di s. Giovanni. E c'è da chiederci perché Dio ci
presenti questa scena, poiché tutto ha un significato perché tutto è opera di
Dio” , creazione di Dio, e massimamente ha significato quello che riguarda
Cristo, i fatti, le scene che avvengono attorno a Cristo.
Qui c'è da chiederci come mai dopo questo discorso, dopo
tutte queste parole, che abbiamo visto quanto siano stupende e come annuncino e
rivelino misteri profondi, quanto facciano penetrare nelle cose di Dio, dico,
c'è da chiederci come mai Dio ci presen ti ora la scena di questi uomini che
erano stati con Lui, che L'avevano sentito parlare e dialogare con loro, come
mai ci presenti questo fatto: “allora essi cercarono di impadronirsi di Lui”.
Ci chiediamo che cosa Dio voglia significare per noi,
poiché le cose sono per noi come furono allora per gli apostoli, per i
discepoli, per tutta la gente; così oggi questi fatti sono per noi. Ed è per noi quindi che dopo tutto questo
parlare profondo di Gesù, ci viene presentata questa scena di uomini che
ascoltando parlare Gesù ad un certo momento cercano di impadronirsi di Lui.
Dobbiamo soprattutto cercare la lezione che Dio vuole darci.
Abbiamo visto che sono due le grandi passioni che
dominano nella vita di ogni uomo: c’è la passione di possedere e la passione di
capire. Queste due passioni noi le vediamo già chiare e nette nel bambino: una
è la passione che fa dire al bambino: “è mio!”, che lo fa desiderare, lo fa
volere, gli fa desiderare di toccare, di prendere la luna; e l’altra è: il
“perché?”: il bambino è questa continua interrogazione: “perché?”.
Ci sono quindi queste due passioni che dominano l'uomo:
- la passione
di possedere, di fare proprio: “questo è mio!”,
- la passione
per capire, per cercare di capire: “perché?”.
E queste due passioni sono espressione di uno stesso
volto, di uno stesso spirito che è nell'uomo, ed è la passione dell'assoluto. È
la passione dell'assoluto che assume due aspetti e dobbiamo chiederci quale sia
la portati di questi e il loro significato e cosa servano soprattutto per la
nostra vita.
Queste due passioni si evolvono e ad un certo momento una
delle due diventa dominante (e qui già possiamo intuire che cosa determini
nell'uomo la vita o la morte”. Ho detto, nel bambino abbiamo queste due
espressioni, poi man mano che il bambino cresce ci accorgiamo che una delle due
diventa la dominante e l’altra a poco per volta si spegne.
Generalmente la dominante diventa la passione di possesso
ed è una passione che assume tre grandi direzioni:
abbiamo la passione del possesso materiale che si
concretizza nell'uomo maturo con la ricchezza: possedere beni del mondo, cose
del mondo, case, terreni, ecc.;
abbiamo la passione di amore (sentimentale, affettiva);
possedere le persone, possedere le creature;
poi abbiamo anche la passione spirituale, perché anche
nella passione spirituale c'è una passione di possesso, passione di capire (che
non è da confondersi con la passione di capire cui ho accennato prima, e poi ne
vedremo anche il perché…). Comunque anche nel campo dell'intelligenza c'è
questa passione di possesso: possedere le cose culturalmente,
intellettualmente, possedere il mondo.
Si può quindi tendere a possedere il mondo materialmente,
ma si può anche tendere a possedere Il mondo affettivamente e culturalmente.
Infatti quando Gesù dice: “A che vale possedere il mondo?”, accenna non
soltanto a possedere il mondo materialmente, ma anche a possedere le creatura
affettivamente, a possedere l'affetto delle creature, oppure a possedere anche
il mondo intellettualmente, culturalmente, e sono sempre espressioni di
possesso.
Vedremo che accentuando la passione di possesso l'uomo si
sta scavando la tomba, sta andando verso la morte, cioè sta perdendo vita. Gesù
lo precisa perché dice che “la vita non viene dalle cose che si posseggono” (Lc
12,15). Questo ci fa capire che l'uomo tendendo a possedere le cose non si
costruisce la vita. L'uomo crede di costruirsi la vita, fa consistere la vita
nel possedere sia in un modo che nell'altro, ma Gesù dice che la vita non viene
dalle cose che si posseggono. Se noi impiantiamo la vita su questa passione del
possesso evidentemente (e già lo intuiamo per la Parola di Gesù) stiamo
perdendo la vita.
Allora abbiamo l'altra passione, la passione del capire.
E qui abbiamo la Parola di Gesù che conferma che la vita sta nel capire, nel
conoscere. Egli dice che “la vita vera, quindi la vita eterna sta nel conoscere
Dio, nel conoscere la Verità” (Gv 17,3); non soltanto la vita, ma la stessa
salvezza dell'uomo sta nella conoscenza della Verità. L'abbiamo sentito stamattina
nella lettera a Timoteo, dove è detto: “Dio vuole che tutti si salvino e
giungano a conoscere la Verità” (1 Tm 2,4).
Con queste parole s. Paolo associa il problema della salvezza con il
problema della conoscenza della Verità: è Parola di Dio. E' Parola di Dio!
Quindi la vita vera, e quindi la vita eterna, poiché ciò
che è vero è eterno, la vita vera sta nel conoscere Dio. Dio è Verità. La
salvezza e la vita stanno nel conoscere la Verità, stanno nel conoscere Dio. E
qui, dico, abbiamo Il conforto della stessa Parola di Dio che ci dice che la
vita sta nel conoscere, nel capire: siamo creati per conoscere.
Se noi ci riportiamo alle due passioni iniziali che
caratterizzano l'uomo e che sono
espressioni dell’unica passione, la passione di assoluto, noi dobbiamo
privilegiare questa passione per capire rispetto all'altra, alla passione del
possesso. Anzi, direi la passione del possesso deve diminuire e invece deve
essere esaltata questa: la passione del conoscere, la passione del capire, cioè
la passione del “perché?”, della ricerca del significato delle cose, della
ricerca del Principio.
Abbiamo detto che il Verbo stesso di Dio operando nella
nostra vita ci conduce, ci convoca al Principio e ci convoca al Principio
evidentemente perché noi abbiamo ad attingere la luce, ad attingere la
conoscenza, ad attingere la vita. Il capire, il conoscere sta nell'avere in noi
stessi Il “Principio” delle cose. Il Figlio di Dio opera ogni cosa per condurre
noi al Principio affinché possiamo attingere lì, dal Principio, la luce. La
luce viene dal Principio.
Però abbiamo anche detto che è necessario che, convocati
al Principio, noi impariamo a restare nel Principio, perché noi possiamo anche
essere convocati, sì, al Principio, ma non restare, o non saper restare nel Principio.
E allora lì abbiamo detto che è necessario "fare proprio" il
Principio: fare "proprio" il Principio per poter restare nel
Principio. E qui già ci accorgiamo che c'è un elemento di confusione, perché,
dicendo "fare proprio", cadiamo nella categoria del possesso.
Bisogna "fare proprio" il Principio per restare
nel Principio. E allora dico: se il restare nel Principio deriva dal possesso
del Principio, dal farlo proprio, in tal caso questo potrebbe farci capire che
quel “cercarono di impadronirsi di lui”, e Lui è il Principio (“Io sono il
Principio che parlo con voi”, o “Io sono Co lui che parlo a voi il Principio”,
dice Gesù) sia sulla linea della vita.
Ecco come ad un certo momento le cose ci sollecitano ad
essere approfondite. “Fare proprio” il Principio non vuol dire impossessarsi
del Principio, ma vuoi dire, l'abbiamo già accennato prima, imparare a guardare
ogni cosa dal Principio. Guardare ogni cosa dal Principio non vuol dire
impossessarsi del Principio. Nel Regno di Dio, Dio resta Dio. Noi corriamo, il
rischio, possiamo correre il rischio di fare “nostro” Dio, e quanta
spiritualità è fondata su questo fare “nostro” Dio, impossessarsi di Dio, dire
“mio” a Dio, ma è tutto da approfondire, tutto da capire. Perché abbiamo visto che quando l'uomo tende
a possedere, e può possedere anche intellettualmente, fare proprio
intellettualmente, si sta scavando la tomba.
E quanti si stanno scavando la tomba magari dicendo: “ho fatto mio Dio”.
Il problema non è possedere Dio. Dico, c'è questa
sfumatura che può ingannare l'uomo. E
perché c'è questa sottigliezza che può ingannare l'uomo sulla via dello
spirito?
L'uomo ad un certo momento può ritenersi di Dio: “io sono
tutto di Dio”, può ritenere di avere fatto "suo" Dio, può dire a Dio:
“Io sono tuo”, e può dire a Dio: “mio Dio: tu sei mio”. Dico, ci può essere un inganno sottile,
infatti se dopo quelle parole profonde di tutto il discorso che ha fatto Gesù
in questo capitolo e che si sono concluse con “affinché sappiate e conosciate
che il Padre è in Me e che Io sono nel Padre”, adesso Dio ci prese questa scena
di uomini che cercano di impadronirsi di Lui c’è una ragione profonda: è per
evitarci questo rischio dei possesso spirituale.
Infatti qui la scena di impadronirsi di Lui va capita
spiritualmente.
Evidentemente qui è una scena nel campo dei segni, quindi
impadronirsi vuol dire impadronirsi materialmente di Gesù, mettergli le mani
addosso, cercare di imprigionarlo. Siamo d'accordo, però tutto quello che
avviene, avviene come segno di cose che avvengono nello spirito, o che debbono
avvenire nello spirito o che non debbono avvenire nello spirito. Sono lezioni
che dobbiamo intendere per i rapporti della nostra anima con Dio, perché queste
sono lezioni di Dio per aiutare noi nel veri rapporti con Dio ed evitarci la
zona di errore, perché l’uomo può sbagliare.
E allora dobbiamo intendere in che cosa consiste questa
possibilità di sbagliare nell'uomo nel campo dello spirito, questo desiderio di
possedere anche Dio, mentre il vero rapporto con Dio non sta nel possedere Dio.
Certo, l'uomo può passare tutta la vita nel errore che fanno i bambini: voler
la luna, possedere la luna! La maggior parte degli uomini passa tutta la vita
per cercare di possedere la luna. Però è un errore! Nessuno arriverà mai a
possedere la luna, come nessuno mai, e qui passiamo nel campo dello spirito,
arriverà mai a possedere la luce. La luce c'è, ma non puoi metterci le mani
addosso. Tu non puoi giungere a toccare l'orizzonte. Il bambino può desiderare
di toccare l'orizzonte, ma non giungerà mai a toccare l'orizzonte. Il punto di
contatto tra il cielo e la terra nessuno riuscirà mai a toccarlo, a
possederlo. Quindi evidentemente nella
via dei possesso c'è un errore di fondo.
Dobbiamo chiederci allora quale sia la responsabilità
dell'uomo in questo, e la colpa che c'è nell'uomo quando tende a trasformare il
problema essenziale della vita, che è un problema di capire e di conoscere, in
un problema di possesso.
Si tende a possedere ciò che non si riesce a capire.
L'errore di fondo sta in questo: l'uomo si illude che possedendo una cosa, una
creatura, la conosca. Invece il vero rapporto con le cose, con le creature,
ecc., è un rapporto con Dio, e nei rapporti con Dio non c'è rapporto di
possesso. Nei rapporti con Dio c'è il rapporto di conoscenza.
Abbiamo visto molte volte che quando uno tende a
possedere una persona perde la persona.
La persona non è oggetto di possesso e chi tende a possedere la persona,
ad assicurarsi il possesso di una persona, certamente la perde.
I rapporti tra persone non sono rapporti di
possesso. A molto maggior ragione il rapporto con Dio non è un rapporto di possesso.
Si parla di possesso, in quanto c'è l'io nostro che tende ad unire a sé altro
da sé. E questo è un'espressione, anche se noi lo chiamiamo amore, di affermazione
dell'io su-; è l'io che tende ad affermarsi, ad assimilare a sé, ad unire a sé,
ad appropriarsi, ad impadronirsi. Ora certissimamente le cose, le creature, le
persone non sono nostre: sono di Dio; non siamo noi che le abbiamo fatte.
Questo è certissimo: non siamo noi che le abbiamo fatte! Ho detto: c'è una
responsabilità e c'è una colpa. Se non siamo noi a fare le cose, e nessuno di
noi fa le persone, nessuno fa le cose (nemmeno un filo d'erbe facciamo noi,
niente! tutto è opera di un altro), c'è una responsabilità. E' un rapporto di giustizia: le cose non
siamo noi a farle, le cose non sono nostre, per cui se noi tendiamo ad
appropriarci delle cose, delle creature, di ciò che non è nostro, lì c'è una
colpa, un'ingiustizia di fondo, perché le cose sono di un Altro, sono di Colui
che le fa: sono dell'Autore! Noi non siamo gli autori. Se sono dell'Autore, noi
per giustizia dobbiamo rispettare l'Autore. Ecco perché non possiamo metterci
le mani addosso, mettere le mani su di esse, perché, dico, se metto loro le
mani addosso, ad un certo momento ci viene il lampo, il fulmine, Il tuono che
mi dice: “alto là! non è tuo”.
Ora arriva un certo momento nella nostra vita che
l'elemento dominante in noi non è l'elemento sensibile, non è l'elemento su cui
ho detto “questo è mio”, ecc., ma è l'elemento coscienza, è l'elemento
pensiero. E' questo elemento “pensiero” in cui domina la Verità, è questo
quello che mi schiaccia, è quello che urla e che mi dice: “Tu stai cercando di
possedere una cosa che non è tua! Hai
messo le mani su di una cosa che non è tua!”.
Ora, se debbo quindi escludere come problema essenziale
di vita il problema del possedere le cose, una sola è la passione giusta, la
passione che porta alla vita: è quella del capire. Le cose certissimamente non
sono nostre, ma sono di Dio. Sono dell'Autore. E allora se io non posso e non
debbo per giustizia possedere le cose o le creature, io debbo cercare di
rapportare le creature al loro Autore, a Colui che le possiede veramente. Colui
che possiede veramente le creature e che possiede veramente anche noi, poiché
anche noi siamo creature, è il Creatore, è l’Autore, è Dio.
Allora, dobbiamo superare il problema “possesso” e
dobbiamo portarci sul problema dell'altra passione, la passione del capire. Chi
tiene presente Dio, necessariamente non può possedere le cose perché sa che
entra in colpa e deve cercare di capire le cose, e capire le cose vuol dire
vedere le cose dal punto di vista di Dio, perché sono di Dio. Sono di Dio e
debbo rispettare questo rapporto: le cose sono di Dio!
Succede che quando l'uomo non tiene conto di Dio,
necessariamente tende a possedere le cose, per cui la passione di capire
diminuisce e ad un certo momento si spegne. Nell'uomo che è tutto proiettato o
che ha proiettato tutta la sua vita e possedere le cose, ricchezze o creature o
persone, in lui la passione del capire svanisce, sparisce, viene annullata,
buttata nell’immondizie.
Vediamo invece che in colui che tiene conto di Dio ad un
certo momento sparisce la passione di possedere; a lui Interessa poco
possedere, ma interessa molto capire, cioè vedere le cose dal punto di vista di
Dio.
Nella passione di possesso, sotto tutti gli aspetti
(materiale, affettivo e intellettuale), la passione del possesso, proprio
perché è espressione della passione di assoluto (che ogni uomo porta in sé per
presenza dell'Assoluto che è in lui) porta l'uomo necessariamente alla passione
di pretendere, ed è proprio nel pretendere che l'uomo perde una capacità che
sta a fondamento della vita, ed è la capacità di capire le novità da Dio.
L’uomo che resta preso dal problema del pretendere (e,
dico, anche nel campo dello spirito c'è questa passione di pretendere che può
dominare l'uomo), perde una capacità essenziale per la vita, ed è la capacità
di cogliere la novità o le novità che vendono da Dio (Tema di oggi è appunto:
“RISCHIO DI BUTTARE NELLA SPAZZATURA LO SPIRITO”).
Come può succedere questo? Perché l'uomo che pretende (ed è a sé la sua
pretesa, il suo desiderio, ed è proprio questo suo desiderio che egli porta in
sé che ad un certo momento lo acceca e gli impedisce di vedere le novità che
vengono da Dio, perché lui osserva tutte le cose dal suo punto di vista, tende
a fare l'altro secondo il suo desiderio. Non tende ad avere il desiderio
secondo l'altro, ma tende a volere che l'altro sia secondo il suo desiderio (e
questo errore avviene anche nel campo dell'approfondimento della Parola quando
uno tende a volere che l'altro tratti gli argomenti secondo il suo desiderio
invece di tendere a desiderare gli argomenti che l'altro presenta).
Quando in noi domina la pretesa, noi vogliamo informare
l'altro di noi, non essere informati noi dall'altro. E quando noi vogliamo
essere noi informatori dell'altro, informatori deIl’Altro, abbiamo in noi
dominante qualche cosa di limitato, di finito, perché tolto Dio (Dio è
Infinito, l'Eterno, l'Assoluto) dal nostro pensiero, dal nostro pensare,
immediatamente noi cadiamo in forme definite, limitate. Ed è proprio in questa
limitazione, in questa delimitazione di campo, che noi ci impediamo di vedere
la novità che viene da Dio, perché noi tendiamo a vedere le cose sotto questo
punto di vista, anche secondo quella luce che noi abbiamo ricevuto.
Dico, ecco perché dopo tutto questo argomentare di Gesù e
che è un argomentare di luce profonda (le parole del Cristo in questo capitolo
sono di una luce profondissima fino quasi a sfiorare lo Spirito Santo
nell'ultimo argomento), troviamo questa scena di uomini che vogliono
impossessarsi di Gesù. Anche quando l'uomo riceve della luce, quella luce che
ha ricevuto gli fa correre il rischio (per questo, dico, c'è questo argomento
subito dopo) di pretendere, cioè di pretendere di affermare la luce che lui ha
avuto, cioè di pretendere, di volere che le cose siano secondo questa luce e
perde in questo modo la capacità di ricevere luce nuova da Dio.
Ora il perdere la capacità di ricevere la luce, di
ricevere la novità da Dio (e ho detto si perde la capacità di ricevere la
novità da Dio in quanto si pretende), perdere la capacità di vedere le novità
da Dio, è perdere la vita, perché la vita sta nella novità. L'uomo solo con Dio
accede alle novità e con Dio ci sono novità eterne.
Dio è un Infinito ed è una Sorgente di novità infinite.
Per questo presso Dio c'è vita e vita eterna!
Ma per poco che noi ci scostiamo da Dio, anche se facciamo in noi
problemi di luce, di conoscenza, di intelligenza, cadiamo sotto forme di
pretesa e rendiamo vecchia ogni cosa.
Tutto quello che non è Dio diventa in noi motivo di vecchiaia: fa vecchie
le cose.
Solo da Dio noi abbiamo la novità, solo in quanto tutti
gli argomenti che arrivano a noi da Dio, tutti, nessuno escluso, quindi
escludendo le nostre pretese, tutto quello che arriva a noi da Dio, soltanto se
noi lo riportiamo a Dio per vederlo dal punto di vista di Dio, qui abbiamo
sempre una novità continua, per cui le cose viste nel Principio sono sempre
nuove, ma solo se viste dal Principio. Per poco che noi ci scostiamo dal
Principio, immediatamente noi cadiamo nelle cose ripetute, cose già viste.
Ecco la degradazione, l'impoverimento che si forma dentro
di noi come ci scostiamo da Dio! Perché come ci scostiamo da Dio immediatamente
noi incominciamo a guardare, ad osservare le cose dal nostro punto di vista,
cioè dal punto di vista del “questo l'ho già visto, questo l'ho già sentito,
conosciuto, questo l'ho già incontrato” e così noi facciamo vecchie tutte le
cose. Ad un certo momento tutto l'abbiamo visto, tutto l'abbiamo conosciuto,
tutto l'abbiamo capito: non c'è più niente che ci dia vita, perché non c'è più
novità. Non è che non ci sia la novità, la novità c'è, ma siamo noi che abbiamo
perso la capacità di vederla.
Quindi in un primo tempo Dio ci sorprende e noi chiamiamo
novità quello che ci arriva in quanto ci sorprende. Nuovo è ciò che arriva a
noi per la prima volta. Ma quando la cosa arriva a noi per la seconda volta non
è più nuova. Dico, non è più nuova nel pensiero del nostro io perché come
arriva per la seconda volta, noi
diciamo: “questo l'ho già visto ieri”, e sono finito: non traggo più vita,
perché “l'ho già visto”.
Chiamiamo “nuovo” ciò che arriva a noi per la prima
volta.
Ma nel pensiero dell'io non c'è più niente (è fatale!)
che arrivi a noi per la prima volta. Dio stesso, il parlare di Dio, il pensare
Dio non arrivano più a noi per la prima volta. Come non arriva più a noi per la
prima volta ogni cosa, perde novità, non è più elemento di vita, ma diventa
elemento di stanchezza, di noia, di vecchiaia, di morte.
Solo nel Principio, solo guardando da Dio, Principio di
tutte le cose, non c'è mai una seconda volta (non c'è mai una seconda volta!).
Presso Dio le cose eternamente arrivano a noi per la prima volta, quindi sono
sempre nuove, sempre fonti di novità, sempre fonti di vita. Ma tutto, tutto,
Dio stesso, nel pensiero del nostro io arriva a noi una prima volta e poi
arriva una seconda volta. La seconda volta non ci dà più vita, perché la
seconda volta c'è il pensiero dell'io, c'è la pretesa; noi non vediamo più la
novità, noi vediamo la cosa ripetuta.
Allora non è che noi dobbiamo aspettarci le novità, ma
siamo noi che dobbiamo guardare le cose dal Principio, perché soltanto
guardandole dal Principio, riportando tutto al Principio per vedere tutto dal
punto di vista di Dio, dal Principio, lì c'è la novità continua. Il difetto è
nostro perché presso Dio è novità continua. Lo Spirito di Dio è uno Spirito che
rinnova tutte le cose, che fa nuove tutte le cose.
Qui certamente qualcuno mi dirà che tutto il problema, la
Parola stessa di Dio, il problema della vita è impostata sul desiderio (ma il
desiderio non è certamente pretesa) perché Gesù stesso dice: “Bussate e vi sarà
aperto, chiedete e vi sarà dato cercate e troverete!”. Sembra da queste parole che il problema sia
un problema di insistere, e infatti Gesù stesso dice di insistere nel cercare.
La differenza diventa perciò sottilissima perché qui ci avviciniamo molto al
pretendere.
Ma c'è invece un abisso tra il desiderare di capire (eco
che arriviamo al capire!) quello che Dio ci invita a capire e la nostra
pretesa.
Per cui se il nostro desiderio è una conseguenza di
quello che Dio ci presenta, qui siamo nel desiderio della luce. Quando invece
la cosa cade nel pensiero dell'io diventa pretesa: quando io voglio che l'altro
sia come desidero io o che Dio stesso faccia quello che voglio io o risponda a
quello che voglio io qui abbiamo un capovolgimento! Perché noi possiamo anche
cercare Dio perché risponda a quello che parte da noi. No! le cose debbono
partire da Dio, noi dobbiamo imparare a vivere nella iniziativa di Dio, perché
Dio è il Principio, e questa é la condizione per restare nella novità di Dio,
altrimenti noi perdiamo la capacità della novità.
Nella pretesa noi perdiamo la capacità di cogliere la
novità e quindi la capacità di vivere, e questo avviene anche nel rapporto tra
noi e Dio in cui diciamo “mio Dio”. Ho detto, c'è un’illusione nell'uomo che ad un certo
momento crede di essere con Dio, di avere amico Dio dicendo: "mio” a Dio, oppure dicendo a
Dio: “io sono tuo”. Nessuna donna si
sposa dicendo all'altro: “io sono tua sposa”.
Non basta che dica all'altro: “io sono tua sposa” perché l'altro la
sposi.
Questo già ci fa capire, ci fa intuire che il “mio” e il
“tuo” deve essere Dio a dirlo, non dobbiamo essere noi: deve venire da Dio!
altrimenti tutto il “mio”, e “tuo” (“io sono tuo e Tu sei mio”, ecc.) per noi
sono soltanto parole, parole che non realizzano assolutamente niente, parole
vuote, tant’è vero che noi, pur dicendo “io sono tuo, Tu sei mio”, ecc., ci
accorgiamo che siamo di ben altro e che apparteniamo ben a altri.
Le cose si realizzano non in quanto le diciamo noi, e
dobbiamo stare molto attenti a non dirle, perché cadiamo nel campo della
pretesa, ma in quanto le ascoltiamo dire da Dio. Dio realizza il “tu sei mio”,
in quanto lo dice Lui, non se lo dico io. È Dio che ci unisce a Sé, non siamo noi
che ci uniamo a Dio. Il problema dell’unione con Dio, non è un problema di
volontà nostra (“Signore, io sono tuo, io mi unisco a Te, io sono con Te”),no!
deve essere Lui a dircelo.
E allora qui capiamo questa cosa molto importante: che si
entra nello Spirito non per opera nostra, si sceglie Dio non per opera nostra,
ma intendendolo dire da Dio, per cui è soltanto guardando da Dio che si resta
nell'iniziativa di Dio, e soltanto quando Dio ci unisce a Sé noi restiamo
veramente uniti a Lui.
Quindi qui dobbiamo evitare, appunto perché c'è questo
rischio, di impostare i nostri rapporti con Dio sul nostro punto di vista, di
ritenerci con Dio o amici di Dio in quanto lo diciamo noi, perché allora
sarebbe come dire: “io sono sposa del tale”, quando l'altro non mi ha sposata.
Dico, l’iniziativa deve venire dall’Altro. È l’Altro che fa la “realtà”. La
“realtà” viene da Dio. È Dio che realizza.
Quindi soltanto in quanto noi possiamo ascoltare da Dio il
rapporto che c’è tra noi e Dio, questo rapporto diventa reale; altrimenti è
fittizio e ci illude. Il che vuol dire che soltanto guardando da Dio e
ascoltando Dio noi entriamo nella “Realtà” che impedisce di fare “nostro” Dio,
ma ci dà la possibilità che Dio faccia noi “suoi”.
“Allora
essi cercarono di impadronirsi di Lui, ma Egli sfuggì dalle
loro mani”.Gv 10 Vs 39 Secondo tema.
Argomenti:
27/Settembre/1992 Casa di
preghiera Fossano.
Ci troviamo nel versetto 39 del cap. X di s. Giovanni in cui si dice: “Allora essi
cercarono di impadronirsi di Lui, ma Egli sfuggì dalle loro mani”.
Abbiamo visto giù la prima parte di questo versetto:
“Allora essi cercarono di impadronirmi di Lui...”. E proprio quanto abbiamo
meditato con la grazia di Dio circa questa scena (uomini che cercano di
impadronirsi di Cristo), ci aiuta adesso ad approfondire e a capire il
significato di questa seconda parte del versetto, poiché tutto è carico di
significato per la nostra vita personale, per farti giungere alla vita eterna,
a conoscere Dio, poiché tutto Dio opera
per farsi conoscere.
Ci resta questa seconda parte: “Ma Egli sfuggì dalle loro
mani”: ecco, questo Cristo che sfugge dalle mani di coloro che vogliono
prenderlo annuncia a noi un messaggio per la nostra vita personale, e dobbiamo
chiederci quale lezione, che cosa Dio vuol significare per noi, quello che Dio
vuol significare di Sé a noi, attraverso questo suo sfuggire dalle mani di
quelli che vogliono prenderlo perché già qui noi ci troviamo di fronte ad un
problema grosso, perché in Cristo che sfugge dalle mani è significato Dio che
sfugge dalle mani degli uomini.
Il problema grosso sta qui: Dio opera tutto per
concedersi, per darsi; tutta la creazione è tutta un donare e un donarsi di
Dio. Nei doni di Dio c'è Lui stesso che
si comunica, quindi si dona; Dio che opera ogni cosa, che ha fatto, che fa e
farà ogni cosa per donarsi, per comunicarsi, per farsi comprendere, quindi
prendere ("com-prendere"= prendere) dall'uomo, come mai quando l'uomo
Lo vuole prendere, sfugge?
Questo non è soltanto un fatto di allora, ma è un fatto
di ognuno di noi, di ogni uomo. Tutti
gli uomini infatti cercano di prendere Dio.
Dico, come mai quando proprio l'uomo cerca di prendere Dio, si interessa
di Dio, cerca di conoscere Dio, Dio sfugge?
Quale lezione Dio ci vuol comunicare? E perché questa
contraddizione? Ho detto molte volte che sono le contraddizioni (e quante
contraddizioni nella nostra vita!) che ci sollecitano, che ci fanno pensare,
perché noi non sopportiamo le contraddizioni.
Già il fatto che noi non
sopportiamo le contraddizioni ci rivela una grande cosa: che noi siamo fatti
per comprendere per conoscere, per giustificare, anzi la nostra vita sta in
questa conoscenza.
Ecco, le contraddizioni che noi subiamo ci mettono in
movimento: è Dio che chiama! Dio ci
chiama attraverso le contraddizioni. Tutta la creazione di Dio apparentemente è
tutta una contraddizione, perché:
Dio solo è, e noi vediamo invece che sono tutte le
creature;
c'è la materia e la materia contraddice lo Spirito;
Dio è vita e noi facciamo esperienza di morte;
Dio è Colui che parla in tutto e noi facciamo esperienza
del silenzio di Dio, tanto di quel silenzio che proprio quando noi cerchiamo di
ascoltare una Parola di Dio questa proprio non viene: è Dio che sfugge!
Fino a quando e perché questo Dio non mostra il suo
Volto, Lui che opera ogni cosa per farsi conoscere, per rivelarsi, per rendersi
presente, per svelarci il suo Volto, tanto da dire che nel vedere il suo Volto
noi abbiamo la nostra vita? Lui ha messo la nostra vita nel conoscere Lui e poi
quando l'uomo cerca di conoscerLo, Lui non si lascia trovare. Siamo tutti
appassionati di Verità, in un modo o nell'altro cerchiamo tutti la Verità,
tutti gli uomini cercano Dio, e Dio che si sottrae a tutti.
Ci chiediamo quale lezione Dio ci vuol significare
attraverso questo suo sottrarsi. Questo suo sottrarsi è un'esperienza che tutti
gli uomini fanno. Dio non si lascia trovare quando gli uomini vogliono trovarLo
o cercano di trovarLo. Gesù stesso, Lui che disse: “cercate e troverete,
bussate e vi sarà aperto, domandate e vi sarà dato, ecc.”, arriva un certo
momento (e questo momento arriva per ogni uomo, è esperienza di vita che ogni
uomo fa) in cui dice: “Mi cercherete e non mi troverete, dove lo sono voi non
potete venire... Io sono di lassù, voi siete di quaggiù...” Eppure Lui opera
tutto per portarci lassù, dove Lui è, e la sintesi di tutto il suo operare è
questo: “lo vado a prepararvi un posto, affinché dove Io sono possiate essere
'anche voi e vedere la mia gloria”.
Vedere la sua gloria è vedere il Padre, vedere il Principio,
quel Principio, che abbiamo detto domenica scorsa, è la condizione per noi per
vedere la novità. Noi moriamo perché ad un certo momento della nostra vita non
siamo più capaci di vedere una novità: tutto per noi diventa vecchio. Abbiamo
visto, proprio domenica scorsa come il nostro io sia questo principio di
invecchiamento di tutto, al punto tale da rifiutare il nuovo; come dice Gesù:
“Chi ha gustato il vino vecchio si rifiuta di gustare il vino nuovo”.
C’è questa problematica profonda, esistenziale, che crea
il vero problema dell'uomo.
Abbiamo visto che la novità è l'anima della vita, tanto
che presso Dio tutto è sempre nuovo, eternamente nuovo. E' proprio perché in
Lui e da Lui tutto è sempre nuovo che in Lui tutto è vita. Ho detto che il
principio di invecchiamento è nel pensiero del nostro io: è il nostro io che
vede la "seconda volta" e dice: “non è più nuovo, lo conosco già,
l'ho già visto...” e si priva della vita.
Quando uno cerca di vedere le cose dal Principio (ed è
questo il “principio” della vita) vede sempre tutto per "la prima volta" e quindi vede la
novità.
Avevamo detto che l'unico modo per poter restare nel
Principio è di guardare le cose dal punto di vista del Principio. Principio di
tutto è Dio, e Cristo è Colui che parla a noi il Principio, parla a noi il
Padre, il che vuol dire che ci convoca in continuazione a questo Principio.
Ora, se ci convoca in continuazione in questo Principio, è per dare a noi la
possibilità di vedere, di guardare dal punto di vista del Principio, dal punto
di vista del Padre.
Tutto quello che noi guardiamo dal punto di vista del
Padre a noi giunge sempre nuovo, sempre eternamente nuovo! Siccome nella novità
sta la vita, qui sta la vita eterna: questo guardare tutte le cose dal punto di
vista di Dio, nel Cielo di Dio. Tutte le cose si vedono da un unico punto fisso
di riferimento: Dio. Anche il parlare
tra le anime, tra le creature, fa sempre riferimento a quest'unico punto fisso:
tutto in Dio, tutto da Dio, tutto per Dio. E' proprio questo tutto riferire a
Dio, in questo guardare tutto da Dio, in questo comprendere tutto da Dio che a
noi giunge eternamente (eternamente, poiché Dio è un Infinito) la vita, la
comunicazione della vita, la partecipazione a quello che Dio é.
Abbiamo visto che nell'uomo fondamentalmente si formano
due grandi passioni, ed è l'argomento che in parte abbiamo visto la volta
scorsa e in parte lo vediamo oggi: la passione di possedere e la passione di
capire. Eppure noi l'altra volta abbiamo detto che l'uomo è essenzialmente una
passione di assoluto. E ci chiediamo, come mai questa passione di assoluto ad
un certo momento assume questi due volti: passione di possedere (possedere =
possesso) e passione di capire?
L'uomo nel pensiero del proprio io ha questo terribile
potere: tutte le cose arrivano a noi da Dio, tutto, beni e mali, tutto, nascite
e morti; tutto arriva da Dio perché Lui solo è il Creatore, è Lui solo che fa
tutto, tutto Lui fa arrivare a noi; però tutte le cose che arrivano a noi da
Dio possono essere da noi stessi non riportate a Dio. Ecco, tutte le cose si
possono fermare a questo stadio in noi. Le cose arrivano a noi, lasciano in noi
certe impressioni, fanno provare dei sentimenti, sensazioni, e l'uomo può
fermarsi a questi sentimenti, a queste sensazioni. Ecco, l'uomo per giustizia
deve invece riportare tutte le cose a Dio, perché tutto viene da Dio e tutto è
di Dio. Però questo ritorno di tutte le
cose a Dio non avviene senza l'uomo nell'uomo.
E cosa succede quando l'uomo non riporta le cose a Dio?
Ecco, quando l'uomo non riporta le cose a Dio, nasce in lui la passione di
possesso. Cercarono di prenderlo, di mettergli le mani addosso, di impadronirsi
di Lui. Ecco, queste “mani”, queste mani che cercano di prendere l’uomo che non
riporta le cose a Dio tende a possedere, tende a fare suo, tende a dire “questo
è mio”. Ho detto che profondamente questo è un furto, perché tutto è di
Dio. Tutte le cose che arrivano a noi
recano in se stesse un titolo, un nome: “noi siamo di Dio, noi apparteniamo a
Dio”; non siamo noi che facciamo le cose: nemmeno un filo d'erba noi siamo
capaci di farei anche la nostra stessa volontà, il nostro pensare, tutto è di
Dio. Nessuno si vanti dicendo: “io ho la capacità, oppure ho la buona volontà
di lavorare, ecc.” e non giudichi il fratello che non ha volontà di lavorare,
perché tutto è grazia di Dio, tutto è dono di Dio “Che cosa hai tu che tu non abbia ricevuto?”
ci dice la Parola di Dio.
Quindi, dico, tutte le cose che arrivano a noi, dentro e
fuori di noi, facoltà nostre o non facoltà nostre, tutto ha questo sigillo;
tutto è opera, è dono, è grazia di Dio Creatore: tutto quindi appartiene a Dio.
Il che vuol dire che quando l'uomo dice: “questo è mio”, profondamente ruba a
Dio ciò che è di Dio, e quindi ne subisce anche le conseguenze.
La passione di possesso si scatena non appena l'uomo non
riporta a Dio quello che viene da Dio. Quindi tutte le cose che arrivano a noi
da Dio arrivano a noi con questo sigillo: “noi siamo di Dio, apparteniamo a
Dio, riportaci a Dio!”. Non è detto che noi riportiamo a Dio. Non appena non riportiamo a Dio,
immediatamente in noi si scatena questa passione di dire “questo è mio!” questa
passione di possedere le cose, possedere le creature, possedere attraverso la
ragione l’intelligenza delle cose di Dio. Anche nell'intelligenza c'è questa
passione di possesso.
E questa passione di possesso reca un danno enorme alla
nostra vita, a noi stessi, perché, abbiamo detto, l’uomo che tende a possedere
diventa uomo che vanta dei diritti, uomo che pretende e quando l'uomo pretende si
acceca con le sue stesse mani. L'uomo quando pretende si impedisce di vedere la
novità di Dio, perché vede tutte le cose secondo la sua pretesa, secondo questo
angolo. Ogni uomo si pone da un suo punto di vista e quando pretende qualche
cosa anche da Dio, osserva tutte le cose che gli arrivano secondo questo suo
punto di vista, questa sua pretesa, e non riesce più a vedere i doni immensi
che Dio gli fa, perché vede quello che Dio non gli fa! vede che Dio non
risponde alla sua pretesa. Dio non è un servitore dei nostri desideri. Ho detto
molte volte che sono i nostri desideri che debbono nascere da Dio, non è Dio
che deve nascere dai nostri desideri.
Dio è il Signore e i nostri desideri debbono nascere
dalla sua Verità: è un rapporto di giustizia. Non dobbiamo sottomettere Dio ai
nostri desideri. Ora quando i nostri desideri tendono ad informare Dio di sé,
qui c'è la pretesa! E questa pretesa ricade su di noi, perché siccome Dio non è
servitore dei nostri desideri e non dipende dai nostri desideri, come noi ci
rivolgiamo a Dio con questa angolatura, con questa pretesa, con questo
desiderio, noi vediamo soltanto che Dio non soddisfa al nostro desiderio. Noi
vediamo la negatività, diciamo, di Dio, non vediamo il positivo di Dio, e non
vedendo il positivo di Dio, non vediamo quindi i doni di Dio, perché noi
osserviamo quello che Dio non risponde a ciò che desideriamo.
Ho detto, due sono le passioni che determinano tutto
nella vita dell'uomo:
la prima è questa passione di possesso, ed abbiamo visto
qual è la fonte di questa;
e poi c'è l'altra passione, quella di capire.
Teniamo presente che queste due passioni sono espressioni
della stessa passione, passione di assoluto. Tutti gli uomini, in bene e in
male, nell'inferno e in Paradiso, sono dominati da questa passione di assoluto,
perché portano in sé l'assoluto, e questa passione di assoluto assume questi
due volti
se uno si ferma al pensiero del proprio io, allora
incomincia a desiderare, a voler possedere e ne abbiamo visto anche le
conseguenze;
se invece l'uomo tiene presente Dio e guarda le cose dal
punto di vista di Dio, ecco, qui in lui, è ed è tutto grazia, si forma questa
passione per capire le cose dal punto di vista di Dio, per vedere le cose dal
punto di vista di Dio. E' la passione di capire. Questa nasce, ha la fonte in
Dio stesso.
Perché se noi trascuriamo Dio immediatamente in noi si
scatena la passione di possedere: possedere il mondo, possedere le creature,
possedere le cose anche intellettualmente. Se invece noi teniamo presente Dio,
per grazia di Dio si forma in noi questa passione per capire: “Cercate prima di
tutto il Regno di Dio”, dice Gesù. Ecco, è lì che si entra nel Regno di Dio. Il
Regno di Dio è conoscere Dio come vero Dio, è conoscere tutte le cose dal punto
di vista di Dio. Noi siamo stati creati per conoscere tutte le cose dal punto
di vista di Dio.
Ci siamo chiesti: queste mani, ecco, mani che cercano di
afferrare, che cercano di impadronirsi, che cosa significano? Le mani sono
espressioni proprio di questa passione di possesso. Con le mani noi tendiamo a
prendere le cose, le creature, a farle nostre. E cosa vuol dire “farle nostre”?
Qui abbiamo visto che Cristo si sottrae alle mani degli
uomini che Lo volevano prendere. Tutto
quello che accade ha un significato spirituale, un significato in rapporto
personale con noi. E allora dobbiamo chiederci che cosa significhino queste
mani: quand’è che noi allunghiamo queste mani per cercare di impossessarci di
Cristo?
Cristo è rivelazione del rapporto tra la nostra anima e
Dio. Noi possiamo, credendoci religiosi, credere di impossessarci di Dio, al
punto da arrivare a dire: “Mio Dio, Tu sei mio”, come noi possiamo dire ad una
creatura: “Tu sei mia”. Abbiamo visto
che proprio quando uno incomincia a dire ad una persona: “Tu sei mia”, proprio
in quel punto la perde.
Altrettanto avviene nei rapporti con Dio, ché tutto è
segno. Quando noi incominciamo a dire a Dio: “Tu sei mio”. proprio in quel
punto noi perdiamo Dio, perché soltanto se Dio dice a noi: “tu sei mio”, noi
siamo di Dio, ma deve essere Lui a dirlo; non possiamo essere noi a dirlo. Tutte le cose in noi si realizzano in quanto
vengono da Dio, non in quanto partono da noi.
Quando partono da noi, lì c'è la pretesa, lì c'è l'iniziativa nostra. E
quando noi diciamo: “Tu sei mio”, dico, proprio lì Dio sfugge, non si lascia
prendere, perché se si lasciasse prendere convaliderebbe un nostro errore. Lui
è Verità e se c'è una cosa che la Verità non può fare è proprio l'errore, la
menzogna. Dio non sottoscrive la nostra menzogna.
Qui arriviamo a capire qual è Il significato di Cristo
che sfugge dalle mani degli uomini.
Ho detto, le mani sono significazione della passione di
possesso. La passione di possesso certamente è un errore. Questa passione di
possesso vuol dire mettere il nome nostro sulle cose, dire su di esse: “questo
è mio”, questo tendere a voler appropriarsi delle cose. Certamente qui siamo nel campo di un errore.
E' un errore perché è un fatto di giustizia: tutto è di Dio. Noi dobbiamo
riconoscere: “tutto è di Dio. Signore, tutto è tuo!”. Anche le cose che Dio dà
a noi, noi dobbiamo sempre dire: “Signore, tutto è tuo”: il tempo da vivere, la
vita stessa, la capacità di pensare, la capacità di amare, la capacità di
sacrificarci, la capacità di donarci, tutte le cose, in tutti i campi, tutto è
sempre di Dio. E noi restiamo veramente al nostro posto soltanto in quanto
riconosciamo in tutto sempre questo: “tutto è di Dio, tutto è tuo, Signore!”.
Questo rapporto di giustizia è fondamentale: è
fondamentale per non restare dominati dalla passione di possedere le cose. Ho
detto che l'unico modo per perdere le cose è di desiderare di possederle. Le
cose restano nel loro vero rapporto anche con noi, e si donano a noi, perché
Dio dona tutto a noi, anche Se stesso: ma soltanto in quanto noi le riceviamo
da Dio, non per iniziativa nostra!
Quindi le cose non diventano nostre in quanto dico: “questo è mio” o in
quanto la compero. E' l'errore gravissimo in cui cadono gli uomini che credono
di possedere le cose. Le cose e le persone soprattutto e massimamente Dio, non
si posseggono possedendole, anzi, si perdono possedendole.
La vera passione di vita è passione per capire. E' nel
capire che le cose si posseggono veramente, e Dio si lascia possedere. Dio si
lascia possedere, ma attraverso una via sola. Una via sola! Quindi Dio non si
lascia possedere attraverso i sentimenti, attraverso il cuore, attraverso
rinunce, sacrifici, attraverso le nostre lacrime. Dio non si lascia possedere
così. Noi possiamo piangere tutte le nostre lacrime, ma Dio non si lascia trovare.
C'è un solo punto in cui Lui si lascia trovare: Dio si
lascia trovare conoscendoLo.
La conoscenza viene da Lui, solo da Lui, ed è soltanto
per mezzo di Dio che noi possiamo conoscere Dio. Soltanto quando Dio dice a noi:
“questo è mio”, lì capiamo che noi siamo di Lui e che Lui è nostro: ma soltanto
quando lo dice Lui, non quando lo diciamo noi. Quando lo diciamo noi le parole
restano parole. Gesù dice che nessuno può salire al Cielo partendo dalla terra.
Nessuno di noi trovando una chiave per strada può capire qual è la casa cui
essa appartiene. Nessuno può passare da una chiave alla casa cui quella chiave
appartiene. Non si può passare dal frammento al tutto. Non si può passare dalla materia allo
Spirito, come non si può passare da una parola al Pensiero rappresentato da
quella parola...
Quindi c'è un senso unico: senso unico di intelligenza.
Sì, noi possiamo passare da un segno, da una parola al Pensiero ma è fantasia
nostra. Noi possiamo dire: “tu sei mio”, dirlo anche a Dio ("Tu sei
mio"), come possiamo dire ad una persona: “tu sei mia!”. Ma è tutta
illusione nostra. E' illusione nostra dire ad una persona: “tu sei mia!”, ma
altrettanto è una illusione dire a Dio: “Tu sei mio”, perché è soltanto tutta proiezione
di questa passione di possesso. E' un errore, perché non parte da Dio, ma parte
dal pensiero del nostro io. Quindi, dico, c'è una direzione unica, un senso
unico. Il senso della conoscenza è unico: discende:
soltanto partendo dal Tutto si può comprendere il frammento
o la parte;
soltanto partendo dal pensiero si può intendere la
parola;
soltanto partendo dal Cielo si può capire la terra,
soltanto partendo dallo Spirito si può capire la materia.
Ma se uno volesse partire dalla materia per arrivare allo
Spirito, se lo sognerebbe: farebbe la costruzione della torre di Babele: quando
gli uomini hanno voluto toccare Il Cielo partendo dalla terra hanno costruito
la torre di "Babele". Tutto è segno e tutto è Parola di Dio.
Qui incominciamo ad intuire perché Cristo non si lascia
prendere dalle mani degli uomini. Queste
mani rappresentano le nostre ragioni, i nostri argomenti, questa passione di
assoluto che può coinvolgere anche la nostra mente, per cui noi possiamo
tendere ad inserire Dio nelle nostre ragioni. E' un fallimento pieno! Dio non entra nelle nostre ragioni. Le nostre ragioni sono tutte frammentarie,
perché in noi tutte le nostre ragioni sono sempre determinate dalle nostre esperienze
e conoscenze: “perché io ho
esperimentato questo, perché io conosco questo, perché io ho visto questo, cioè
sono determinate da un dato relativo al nostro io. L’uomo ragiona in quanto fa
certe esperienze, in quanto tocca, vede e questo è sempre parziale.
Ora, abbiamo detto prima, non si può passare dal
parziale, dal limitato, all'infinito; non si può passare dal finito
all'Infinito. Soltanto dall'Infinito si può arrivare al finito, ma nel modo più
assoluto non si può passare (senso vietato!) dal finito all'Infinito: anzi si
resta nella "babele", si costruisce la “babele”.
Ecco, questo Dio che si sottrae alle mani dell'uomo è Dio
che si sottrae ai nostri argomenti, che si sottrae alle nostre ragioni. Gesù ad
un certo momento a Pietro e lo chiama "demonio", disse: “tu ragioni
secondo gli uomini, e non secondo Dio”.
Ecco, ci fa capire questo grande abisso tra il pensare degli uomini e il
pensare di Dio: è un abisso! Non si può passare da uno all'altro (è il problema
del ricco epulone del Vangelo di stamattina: ad un certo momento si scava un
abisso che lo separa da Lazzaro per cui non si può passare dall'uno all'altro).
Non si può passare dal ragionare secondo gli uomini, al
ragionare secondo Dio. C'è un
abisso! Quando si ragiona secondo gli
uomini si arriva al demonio: “tu sei un demonio!”: è ragionare secondo i
sentimenti, ragionare in modo umano, come Pietro.
Devi imparare a ragionare secondo Dio. Ragionare secondo Dio vuol dire partire dal
punto di vista di Dio.
Allora fintanto che noi ragioniamo in modo umano, secondo
le Ragioni umane, cioè tendiamo a
comprendere (= a prendere) Dio, a far entrare Dio nelle nostre ragioni umane,
Dio non si lascia prendere. Dio si sottrae alle nostre mani.
Ma proprio questo Dio che, si sottrae alle nostre mani,
mentre si sottrae alle nostre mani, proprio sottraendosi alle nostre mani, ci
comunica una cosa stupenda e meravigliosa: ci indica la via per giungere a
comprendere. Dio rifiutandosi di lasciarsi comprendere, ci indica la via per
comprendere.
Per questo abbiamo annunciato come tema di stasera Dio
NON SI LASCIA COMPRENDERE PER LASCIARSI COMPRENDERE, oppure anche il tema:
"I COLORI DEI FIORI", perché i colori dei fiori sono delle piste che
indicano, segnalano la presenza dei fiori.
Il colore dei fiori non è soltanto un fatto estetico, ma
ha una funzione. I colori sono funzionali, essenzialmente funzionali. Tutto
serve (e quindi anche questo segno) per insegnare, per educarci all'unione,
alla comunione, poiché tutto è Parola di Dio. Anche i colori dei fiori servono
all'unione: attirano gli insetti, segnalano loro dove c'è il nettare e il polline.
Ecco, segnalano loro dove devono andare per cogliere quegli elementi tali che
servono loro per la riproduzione dei fiori.
Quindi mentre i colori fanno un servizio agli insetti, fanno servire gli
insetti a se stessi, cioè ai fiori stessi: servono per la loro riproduzione,
perché gli insetti prendono e portano gli elementi che fecondano il fiore.
Dico, Dio proprio sottraendosi alle nostre mani, indica a
noi la via per arrivare a possederlo, per arrivare a conoscerLo.
Ho detto, Dio si conosce soltanto per mezzo di Dio.
Bisogna imparare a ragionare non in modo umano, ma in modo divino. “Tu non
ragioni secondo Dio, ma ragioni secondo gli uomini”, ci rimprovera Gesù.
Bisogna imparare a ragionare secondo Dio.
E Dio dice a noi: “Tu che mi vuoi prendere devi cercarmi
dove sono”. Se l'uomo vuol prendere Dio è perché Dio (Dio stesso!) ha seminato
in lui questo desiderio di conoscere Dio.
L'uomo è passione di assoluto, quindi è passione di arrivare a Dio.
L'uomo può sbagliare molto su questa strada, ma ecco che Dio proprio
rifiutandosi di lasciarsi prendere dall'uomo, quindi proprio rifiutandosi di
soddisfare questo bisogno fondamentale che l'uomo ha di giungere alla
conoscenza di Dio, proprio rifiutandosi, tutte le volte che l'uomo sbaglia, gli
segnala, gli indica, lo convoca a quel punto in cui veramente può trovare Dio e
in cui Dio si lascia trovare. “Nessuno
viene al Padre se non per mezzo di Me”, dice Gesù. Dio si lascia trovare solo nel suo Pensiero:
sarà l'argomento di domenica prossima.
Dio lo si comprende quando comprendiamo “come” Lui ci
comprende.
Lo si conosce quando comprendiamo “come” Lui ci conosce.
Lo possediamo quando comprendiamo “come” Lui ci possiede.
“Allora
essi cercarono di impadronirsi di Lui, ma Egli sfuggì dalle
loro mani”.Gv 10 Vs 39 Terzo tema.
Argomenti:
4/Ottobre/1992 Casa di preghiera
Fossano.
Restiamo ancora nel versetto 39 del cap. X di s. Giovanni, in cui si dice: “Allora
essi cercarono dì impadronirsi di Lui, ma Egli sfuggì dalle turo mani”. Nella
conclusione del versetto 39, Dio ci ha condotti a trovare le tre novità che
vengono da Dio. E fu necessario passare attraverso il versetto 39 e gli argomenti
che ci ha presentato per poter approdare adesso alla quarta novità che viene da
Dio.
L'argomento di questa sera è: LA QUARTA NOVITA’, e
rappresenta la sintesi, la conclusione del versetto 39 e del versetto 38.
L’argomento di stasera è anche sintesi della conclusione di tutto il discorso
di Gesù, soprattutto del versetto 38 in cui abbiamo visto le tre novità che
vengono da Dio.
Qui, in questo versetto abbiamo visto che Gesù “sfuggì
dalle loro mani”, cioè Gesù si sottrae dalle mani di coloro che cercavano di
impadronirsi di Lui. Abbiamo visto che le mani che cercano di impadronirsi d
Dio rappresentano non soltanto le mani che vogliono imprigionare fisicamente
Gesù, ma anche le ragioni, i sentimenti, i sensi degli uomini, gli argomenti
degli uomini, il cuore degli uomini, le regole degli uomini: tutte cose
attraverso le quali gli uomini cercano di giustificare Dio, di inserire Dio, di
capire Dio. Questa settimana abbiamo
visto il problema di Giobbe e tutta la sua tribolazione per cercare di capire
Dio! Ed è il problema di Abramo: cercare di capire Dio. Entrambi cercavano cioè di inserire Dio nelle
loro ragioni, nelle loro sicurezze, nei loro argomenti.
Cristo che sfugge dalle mani di coloro che vogliono
impadronirsi di Lui rappresenta Dio che sfugge, che si sottrae agli argomenti,
alle ragioni con cui gli uomini cercano di capire Dio. Infatti Dio è una Realtà che nessuno può
ignorare, però la cosa terribilmente difficile per l'uomo è di comprendere Dio.
Dio non si lascia comprendere (comprendere). Eppure ci ha creati per
comprenderlo, ci ha creati per conoscerLo. La conclusione di Giobbe è stata:
“giungerò a conoscere il mio Signore… vedrò il suo Volto”. Giobbe, attraverso la sofferenza, è giunto a
capire l'intenzione di Dio, a comprendere dove Dio vuole condurlo: a conoscere
il suo Signore: “ho capito! ora so che vedrò il suo Volto”. Ecco, l'uomo è
stato creato per conoscere Dio, l'uomo è stato creato per la vita eterna e la
vita eterna sta nel conoscere Dio. Eppure quando l'uomo cerca di conoscere Dio,
Dio sfugge. E' un assurdo, una contraddizione! Eppure tutto è opera di Dio e
niente è senza significato. Gesù stesso dice: “Dove Io sono voi non potete
venire!”. Ci ha creati per conoscerLo, quindi per condurci là dove Lui è e poi
ci dice: “Dove Io sono voi non potete venire”?
Sono queste le contraddizioni che ogni uomo subisce nella
vita e che lo mettono in crisi. Giobbe
fu messo in crisi. Dobbiamo chiederci che significato ha tutto questo: Dio che
da una parte ci crea per farci giungere a conoscerLo, a comprenderLo (conoscere
vuol dire comprendere, e comprendere vuol dire avere in noi stessi il
principio, la ragione delle cose, la ragione stessa di Dio). Nella vita eterna
siamo chiamati a partecipare a quello che Dio è e Dio non sarà un mistero. “Dio
è Luce e presso di Lui non ci sono tenebre” . E' Parola di Dio: “Dio è Luce e
presso di Lui non ci sono tenebre”.
Quindi da una parte si dice questo ed è tutta una
promessa di Luce, ma dall’altra abbiamo la parola di Gesù: “Dove Io sono voi
non potete venire”.
Abbiamo detto la volta scorsa che se qualcuno vuole,
pretende o crede di poter trovare la luce prendendola nella mani, sta fresco!
Eppure la luce c’è. Però la luce non si lascia prendere nelle mani. Quando qui
cercano di impadronirsi di Lui, cercano di impadronirsi della Luce! Dio è Luce
e la Luce non si può prendere nelle mani, ma non si può prendere nemmeno con le
nostre ragioni, con i nostri argomenti, con i nostri sentimenti… Quante volte
noi sbagliamo lasciandoci guidare dai nostri sentimenti!
Quante volte si dice: “lo non sento Dio!”. Ma Dio esiste
anche se tu non Lo sentii il che vuol dire che la ragione, la giustificazione
di Dio non è relativa al nostri sentimenti, ai nostri sensi, alle nostre
ragioni. Dio esiste indipendentemente, sia che noi Lo conosciamo, sia che non
Lo conosciamo, sia che Lo copiamo sia che non Lo capiamo; sia che Lo sentiamo,
sia che non Lo sentiamo. E' assurdo voler dimostrare Dio con le nostre ragioni,
Dio non si lascia prendere dalle nostre ragioni. Dio ha in Se stesso la ragione
di Sé.
Dobbiamo cercare di capire perché Dio sfugge, ed è la
conclusione di questi ultimi due argomenti che abbiamo trovato nel versetto 39:
uomini che cercano di impadronirsi di Dio, (perché Cristo è Dio) e Dio che
sfugge.
Questi argomenti sono necessari per giungere, dopo aver
visto le tre novità che vengono da Dio, alla quarta novità che viene da Dio. Ma
già questo ci fa capire che la quarta novità non viene puramente da Dio senza
di noi: c'è bisogno di noi, delle nostre mani (cioè di esperimentare l'impossibilità di
comprendere, di possedere Dio), per giungere alla quarta novità che viene da
Dio.
Noi ci siamo chiesti: perché l'uomo ha le mani? Le mani
sono espressioni del desiderio di possesso. Attraverso le mani uno cerca di far
proprio: “è mio” questo è mio!". E' proprio questa pretesa, questo cercare
di far proprio Dio, che ci fa sfuggire Dio: Dio non si lascia impadronire dalla
creatura. Quando noi diciamo anche ad una persona: "tu sei mia!",
proprio in quel punto questa sfugge. Se c'è un modo per perdere le persone è
proprio di dire loro: “tu sei mia”, e se c'è un modo per perdere Dio, è di
dirgli: “Tu sei mio”, oppure: “Io sono tuo”.
Non è il nostro dire “sei mio” che può realizzare la
cosa. E' Dio che deve dire: “tu sei mio”.
Solo quello che viene da Dio si realizza. L'uomo vive di ogni Parola che
esce dalla bocca di Dio. Solo quello che
viene da Dio fa la realtà. E' Dio il Creatore, è Dio che fa la realtà, per cui
è Dio che quando dice: “tu sei mio”, realizza e noi siamo suoi, ma la cosa deve
venire da Dio.
Ho detto: perché allora l'uomo ha le mani? Perché l'uomo
corre questo rischio, come ha fatto qui, di cercare di impadronirsi di Dio? Ho
detto: è necessario!
È necessario che l’uomo faccia l'esperienza di
impadronirsi, di appropriarsi di qualcosa per incominciare a capire, a scoprire
il modo, la via, il luogo in cui si trova quello che cerca.
La quarta novità che viene da Dio è il "luogo".
Ogni esistente ha un suo luogo. Anche Dio ha un suo luogo. E noi dobbiamo
chiederci cosa significa il "luogo".
Cos'è un luogo? Un luogo è un punto in cui un essere si
trova e si può trovare. Evidentemente
Dio che è Infinito, Eterno, Assoluto non
si trova in ciò che è finito. Ecco perché se noi cerchiamo Dio nelle cose
finite certamente non troveremo Dio. Non si può passare dal finito
all'Infinito. E allora che cosa dobbiamo dire?
Il finito non è il luogo di Dio. Certamente!
Quindi fintanto che noi cerchiamo di possedere Dio con le nostre mani,
di toccarlo coi sentimenti o anche con le nostre ragioni, e le nostre ragioni
sono fondate su un mondo finito, su quello che noi esperimentiamo, Dio sfugge.
Giobbe esperimentò il suo mondo finito, esperimentò il
crollo del suo mondo finito e non vi trovò Dio.
Ad un certo momento Giobbe entrò in crisi, perché era sicuro di trovare
Dio nel mondo finito (“se mi comporto bene, mi tratta bene, trovo Dio”,
pensava) ma nel suo mondo finito Giobbe non ha trovato Dio.
Maria e Giuseppe, per ben tre giorni hanno cercato il
loro figliolo Gesù nel mondo finito! Fu necessario che Lo cercassero, ma non Lo
trovarono. E il loro mondo finito da che cos’era determinato? Da una loro
sicurezza: erano sicuri che fosse nella carovana (mondo finito: carovana!).
Quanti di noi sono sicuri di essere con Dio perché sono in una carovana, in un
gregge (in un'istituzione, regola, ecc.).Dio non si trova nella carovana! E la
sera di quel giorno hanno esperimentato cosa vuol dire essere sicuri che Dio
fosse nella loro carovana. Dio non è nelle nostro carovane! E poi, dice il
Vangelo, hanno incominciato a cercarLo tra i parenti. Parenti? Dio non è tra i parenti! E l'hanno
cercato tra i conoscenti, ma Dio non è tra i conoscenti. L'hanno cercato per
tre giorni, ma Dio non era lì. Ma attraverso quei tre giorni è maturato in loro
qualche cosa. Tutto è lezione di Dio, tutto è Parola di Dio per ognuno di noi:
ad un certo momento l'hanno cercato in Gerusalemme, e Gerusalemme, l'abbiamo
detto molte volte, rappresenta la nostra anima, il mondo interno: quindi è
dentro di noi.
Fintanto che cerchiamo Dio fuori di noi, nelle cose
esteriori, noi cerchiamo di impadronirci: c'è la pretesa dell'uomo. Noi
cerchiamo di impadronirci di Dio, ma Dio sfugge.
Ma abbiamo anche detto: Dio sfugge, cioè non si lascia
comprendere perché vuole lasciarsi comprendere. E guai se Lui si lasciasse
comprendere là dove noi Lo cerchiamo perché sarebbe un disastro per noi. Dio
non si lascia comprendere perché vuole lasciarsi comprendere!
Questo ci fa capire che c'è un luogo preciso in cui Dio
si trova e in cui si lascia trovare.
Abbiamo detto: certamente Dio non è nel finito. Tutto il mondo finito è
segno di Dio, Parola di Dio, certamente, ma Dio non si trova lì. Dio è Infinito
e l'Infinito non può trovarsi nel mondo finito. Dio è eterno e l'Eterno non può
trovarsi nel tempo. Dio è l'Assoluto e
l'Assoluto non può trovarsi nel relativo.
Con ciò già si definisce un campo ben preciso: bisogna
escludere tutto ciò che è finito, perché non si può passare dal finito
all'Infinito. Nel mondo finito (e questo comprende il cuore, i sentimenti, le
nostre ragioni, le nostre istituzioni, le nostre regole, ecc.) non possiamo
trovare Dio. Dio non abita nelle
costruzioni fatte da mani d'uomo. Dico, nel mondo finito non si trova Dio. Tutto il finito è segno di Dio, ci richiama a
Dio, ci mette il problema di Dio, ci fa sentire il problema di Dio, però
fintanto che noi corriamo per il mondo per cercare Dio, certissimamente non Lo
troviamo. E tutto questo però ci orienta. Ecco, diventa per noi un'istanza, il
bisogno di trovare Il luogo in cui Dio si trova, ci orienta verso un
luogo. A forza di battere il naso e
farcelo sanguinare, ad un certo momento, ecco, l'uomo Incomincia a
pensare. Giobbe incominciò a pensare: ma
Dio c'è o non c'è? E dove è? Dove si può
trovare?
Ora, che ci sia un luogo in cui Dio è e che si può
trovare, è la Parola stessa di Dio che ce lo dice, è Parola stessa del Cristo,
quando Cristo dice: “Io vado a preparare a voi un luogo, affinché dove Io sono
siate anche voi”.
Allora c'è la possibilità di giungere dove Lui è, ci dove
essere questa possibilità. Il luogo è la Parola stessa di Dio che ce lo dice:
“Io vado a preparare a voi un luogo, affinché dove Io sono siate anche
voi”. Prima aveva detto: “Dove lo so ,no
voi non potete venire”. Quindi il luogo
di Dio è un luogo in cui l'uomo non può giungere da solo, perché da solo l'uomo
è nel mondo finito. Attraverso le cose
finite, quindi anche attraverso le ragioni nostre, perché le nostre ragioni
sono fondate sul mondo finito, non si giunge a Dio, quindi anche tutti i nostri
sentimenti, tutti i nostri argomenti, non danno a noi la possibilità di trovare
Dio. “Dove Io sono voi non potete
venire”. Escluso? No, tutt'altro che escluso! Anzi, proprio dicendo a noi: “Dove Io sono
voi non potete venire”, ci fa capire qual è la via per arrivare dove Lui è.
Dio opera ogni cosa per condurci a conoscerLo, quindi non
per escluderci, non per metterci di fronte al muro, al mistero, no! ma per
darci la possibilità di penetrare nel pieno del mistero. S. Paolo stesso dice
che Dio ha dato a noi il suo Spirito, affinché noi possiamo penetrare, con
questo suo Spirito, tutti i segreti di Dio. Non c'è nulla di nascosto che non
abbia ad essere rivelato, perché è attraverso la conoscenza che si riceve
l'essere: quell'Essere di cui il Figlio parla: “Dove Io sono...”. “Dove Io
sono…” cioè dove Lui riceve l'Essere. Dove Lui riceve l'Essere, il luogo in cui
noi possiamo trovare Dio è quel luogo in cui Dio comunica il suo Essere.
Ora questo luogo la Parola di Dio ce lo annuncia, ce lo
indica, quindi abbiamo già Il sostegno e il conforto di essa. L’uomo che fa una
fatica enorme per cercare di capire, di conoscere Dio, ad un corto momento
incontra la Parola di Dio che gli dice: “io abito là...”. La Parola di Dio ci
annuncia che c'è un luogo preciso in cui Dio si trova.
E allora dobbiamo chiederci: un luogo che cosa è? Luogo è
quel punto in cui un essere si trova. Ogni esistente ha un suo luogo. Se uno
vuol trovare funghi, deve sapere il luogo dei funghi. Così, non si può cercare
una persona a vanvera: la prima cosa che si cerca è l'indirizzo. la casa di
essa: è il luogo!
Qui incominciamo ad intuire che il luogo è intermediario:
è intermediazione. Intermediazione tra
Colui che si cerca e colui che cerca. Perché certamente, fintanto che noi non
sappiamo, il luogo di un essere non possiamo trovare quell'essere.
Ma quando noi diciamo intermediazione, noi diciamo “punto
in comune”. Dio non Lo possiamo ignorare, però non Lo troviamo, non Lo
conosciamo. Però ci deve essere un punto in comune tra noi e Dio, perché se non
ci fosse un punto in comune, noi saremmo completamente tagliati fuori da Dio,
non potremmo minimamente né avvicinarci, né pensare, né cercare di conoscere
Dio. Dico, ci deve essere un luogo,
quindi “punto in comune”; un luogo è luogo in quanto è punto in comune tra due.
Ho detto: io non so dove sia il fungo, ma se non so dove è il luogo dei funghi,
io certamente non posso cercare i funghi, e se li cerco, concludo con un
fallimento. Quindi il luogo diventa intermediario. Ma per essere intermediario
deve essere comune a colui che cerca e a colui che è cercato. Deve essere
comune! Quindi: il fungo non si vede, però il luogo in cui si trova deve
potersi vedere.
Quando uno comunica ad una persona il luogo di una cosa o
di una persona, di una creatura, evidentemente gli comunica qualcosa che lui
può avere presente, che lui ha presente, altrimenti non serve. Quindi il luogo
deve essere qualche cosa che è presente a colui che cerca e che è presente a
Colui che è cercato. Fa da intermediazione. E' un punto che deve essere comune,
perché soltanto se è comune fa da intermediario e quindi dà la possibilità di
passare dal luogo in cui Dio non si vede al luogo in cui si vede, cioè dà la
possibilità di passare dall'assenza alla Presenza.
Se questo luogo deve essere comune a colui che cerca,
all'uomo e a Colui che è cercato, a Dio, dobbiamo trovare questo luogo
nell'uomo e in Dio.
Ho detto che questa quarta novità che viene da Dio
richiede questo versetto 39, cioè la riflessione che abbiamo fatto sul versetto
39 in cui gli uomini cercano di impadronirsi, di mettere le mani su Cristo.
Dico, era necessario passare attraverso questi argomenti per arrivare a questa
quarta novità che è la novità del luogo che viene da Dio e che è nell'uomo, perché
il luogo deve essere un punto comune: non deve venire soltanto da Dio, deve
venire anche dalla creatura, perché deve essere comune a Dio e alla creatura,
altrimenti non c'è la possibilità di passaggio, altrimenti non è un luogo per
la creatura.
Noi dobbiamo trovare questo luogo già nel versetto 38 che
si è concluso con le tre novità di Dio. In queste tre novità di Dio c'era già
il luogo di Dio da Dio; c'era questo luogo (“Il Padre è in Me..”). Ma fu
necessario passare attraverso gli argomenti del versetto 39 per trovare questo
luogo nella creatura, trovarlo nell'uomo, perché se non è in comune non è
luogo, non dà la possibilità alla creatura di trovare Dio.
Le mani con cui la creatura cerca di impossessarsi di Dio
non sono un luogo comune a Dio e alla creatura. Le ragioni con cui gli uomini
cercano di capire Dio, di comprendere Dio, non sono un luogo comune tra Dio e
l'uomo e neppure lo sono gli argomenti, le regole, tutto quello che noi
vogliamo. Il mondo finito, tutto il nostro mondo, non è luogo comune tra Dio e
l'uomo. Gesù dice: “Voi siete di quaggiù, Io sono di lassù”, niente in
comune! Lui è l'Infinito, noi siamo
finiti, noi apparteniamo ad un mondo finito. Lui è l'Infinito: niente in
comune! Eppure c'è un luogo (d'altronde Dio ci ha creati per conoscerLo, quindi
ci deve essere questo luogo in comune).
Allora dobbiamo arrivare a capire qual è questo luogo comune tra Dio e
l'uomo, perché soltanto in quel punto e solo in quel punto è data a noi la
possibilità di conoscere Dio, di comprendere Dio, di passare dall'assenza alla
Presenza.
Ecco la portata di questo versetto, della sintesi che si
trova in questo versetto.
Ho detto che nel versetto 38 le tre novità che vengono da
Dio sono:
Dio è il Principio di tutto, quindi Dio è Soggetto del
pensiero che pensa Dio.
Il Pensiero di Dio è di Dio.
“Il Padre è nel Figlio e il Figlio è nel Padre”, cioè Dio
è nel suo Pensiero e il suo Pensiero è in Dio: ecco il luogo! Il luogo di Dio è
il suo Pensiero. Perché dicendo: Dio è nel suo Pensiero: il Padre è nel Figlio,
cioè il Padre è nel suo Pensiero, noi diciamo: questo è il luogo di Dio! Dio è nel suo Pensiero.
Ma, abbiamo detto: il luogo per essere luogo deve essere
comune anche a colui che cerca, quindi deve essere nell'uomo. Se non c'è un
punto in comune, non c'è la possibilità di passare, di trovare Colui che si
trova in quel luogo. Se io non conosco il luogo dei funghi certamente non posso
trovare i funghi. I funghi non li vedo, però andando in quel luogo ho la
possibilità di trovarli, perché i funghi si trovano lì. Così, dico, per ogni
creatura, per ogni cosa esistente, perché tutto è segno. Tutto è segno ed è
segno di Dio (segno di Dio per noi!): Dio ci significa che soltanto se noi
cerchiamo Lui nel suo luogo, non nei nostri luoghi, Lo possiamo trovare.
Il suo luogo è il suo Pensiero. Questo è nell'uomo? Deve essere un punto comune!
Dico qui possiamo capire perché fintanto che l'uomo non
cerca Dio nel Pensiero di Dio, Dio sfugge.
Ma abbiamo detto però: questo sfuggire di Dio ha un
significato e l'abbiamo detto con il tema: “i colori del fiore”. Dio sfugge non per sottrarsi, ma per dare a
noi la possibilità di trovarLo. Vuol
dire che Lui sfuggendo ci indica il luogo in cui si trova. Fintanto che noi Lo
cerchiamo altrove, non nel Pensiero di Dio, ma in altro da Dio, proprio questo
suo sottrarsi, a poco per volta ci fa pensare. Giobbe ad un certo momento
pensa. Abramo ad un certo momento pensa:
“Ma si può sapere Chi sei e che cosa vuoi?” (Cfr.: “Abramo sospirò di vedere il
mio giorno...”).
Ecco, ad un certo momento si pensa: ad un certo momento
si entra nella dimensione del pensiero e del Pensiero di Dio: si pensa Dio:
attraverso le contraddizioni, l'incapacità di afferrare Dio, di capire Dio, di
conoscere Dio, l'uomo è costretto a pensare Dio.
Ho detto: è costretto a pensare Dio! ma pensare Dio è
Pensiero di Dio! E' il punto comune! Questo è il punto comune! Questo è il
“luogo”. Questo è il luogo in cui si trova Dio.
Ho detto che il luogo di Dio è il Pensiero di Dio e Dio
ce l'ha fatto capire tra le novità che discendono da Dio. Però abbiamo bisogno
che questo Pensiero di Dio si trovi anche nel nell'uomo il suo Pensiero che è
il luogo e che può essere il nostro luogo; cioè è il luogo messo a nostra
disposizione per trovare Dio e che se diventa il luogo in cui noi cerchiamo
Dio, solo in quel punto noi possiamo trovare Dio, altrimenti non Lo troviamo,
altrimenti è sempre un fallimento!
Infatti il mondo finito e tutto ciò che è finito non può
essere luogo di Dio, non può essere luogo dell'Infinito. Il Pensiero di Dio in
noi è infinito perché è Pensiero di Dio. Qui abbiamo l'infinito! Qui c'è quella
meraviglia che si crea e che può portarci al livello in cui si trova Dio: una
meraviglia che ci fa passare dal nostro finito all'Infinito di Dio. Nel canale
di Panama ci sono le chiuse. Voi sapete che cosa sono le chiuse: sono degli
sbarramenti. Ma perché ci sono questi sbarramenti? Ci sono degli sbarramenti
per elevare (e ritorniamo all'esempio dell'ascensore): cioè si tratta di
portare una nave sulla cima delle nostre torri.
E come si fa per portare una nave sulla cima delle torri? La si fa
entrare in queste “chiuse” del canale: la nave entra ad un certo livello, poi
si apre un'altra chiusa per cui l'acqua scende dall'alto fino a portare l'acqua
della prima chiusa ad un livello superiore e questo innalza la nave, e quindi
attraverso due o tre chiuse la si porta fino alla cima delle torri, e così la
nave si eleva fino al livello necessario per passare al di là del canale, per
superare il dislivello che c'è tra una sponda e l'altra. Le chiuse servono per
far passare una nave a livelli diversi di acqua.
Questa è l'opera del Pensiero di Dio in noi: è il luogo
la "chiusa" in cui noi dobbiamo entrare! Se noi entriamo in quel lungo, ecco, quel
luogo è una chiusa che ci eleva, che ci fa passare dal finito all'Infinito, Lì
e solo lì, l'unico punto in cui si può passare dal finito all’infinito,
altrimenti noi restiamo chiusi fuori nel nostro mondo finito e lì Dio sfugge,
non può farsi comprendere.
Soltanto col Pensiero di Dio noi siamo elevati
all’altezza di Dio. Ecco perché Gesù dice: “Io vado a prepararvi un posto,
affinché dove Io sono siate anche voi”.
Evidentemente noi da soli non possiamo andarvi, non possiamo elevarci al
livello dell'Infinito; abbiamo bisogno della "chiusa" per salire in
alto, quindi abbiamo bisogno del Pensiero di Dio.
E' solo in quel punto che può avvenire in noi il
passaggio dal finito all'Infinito, perché noi non siamo Pensiero di Dio. Noi
siamo pensiero di tante cose: tante cose finite! Tutta la creazione in noi
diventa pensiero. Tutte le creature in noi diventano pensiero. Noi siamo
un'immensità, un cielo, un cielo di stelle, un cielo di pensieri. Ma tra tutti
questi pensieri, c'è anche il Pensiero di Dio. E se c'è il Pensiero di Dio, c'è
un punto comune tra noi e Dio: in quel punto lì e solo in quel punto lì, se noi
pensiamo Dio, possiamo passare dall'assenza di Dio alla Presenza di Dio.
Questa è la quarta novità che viene a noi da Dio, non
senza l'uomo, ma viene a noi da Dio e solo da Dio.
Alcuni pensieri tratti dalla conversazione:
Non basta sapere che c'è un luogo in cui si trova
Dio. Sapendo che c'è se voglio trovare
Dio, debbo andare in quel luogo: però quel luogo debbo averlo presente
(altrimenti non è punto in comune), altrimenti non posso andare in quel luogo.
Non posso andare in un luogo che non ho presente. Andare spiritualmente vuol
dire pensare.
Dio è presente soltanto nel suo Pensiero: andare in
questo luogo vuol dire pensare Dio.
Possiamo verificare che abbiamo in noi il Pensiero di Dio
perché tendiamo a possederlo.
E' la
terza novità che ci ha indicato il luogo di Dio: “il Padre è nel suo Pensiero”:
“il Padre è in Me”, dice Gesù.
“Allora
essi cercarono di impadronirsi di Lui, ma Egli sfuggì
dalle loro mani”.Gv 10 Vs 39
Argomenti:
11/Ottobre/1992 Casa di preghiera
Fossano.