GV 10 VS 30 - Io e il Padre siamo una cosa sola.
Primo tema – La vite e i tralci.
Argomenti: La passione di unità
– L’unione con Dio – Dio è sempre presente – La ragione di Dio e le ragioni dell’uomo.
Vivere per le creature e non per il Creatore – Dio opera unicamente per far
conoscere Sé – Il mondo dell’intelletto e il mondo dei sensi – L’infelicità – Le tre soluzioni
all’infelicità: Buddha, azione, Cristo – Dio si comunica nella conoscenza -
12-13/ Gennaio /1992
È parola di Gesù, è parola di Dio e noi
dobbiamo chiederci che cosa Dio ci vuole comunicare di Sé, in quanto Dio parla,
parla per comunicarci, per farci sapere qualche cosa.
“Io e il Padre siamo uno”.
In tutte le sue opere e parole, Dio parla per
comunicarci qualche cosa di Sé, per farci conoscere Se Stesso.
L’intenzione fondamentale di tutto l’operare
di Dio, è quella di comunicare Se Stesso, di farsi conoscere.
Lui solo è.
E tutto quello che Lui fa, lo fa per farci
partecipi di quello che Lui è.
E se Lui dice: “Io e il Padre siamo uno”, è
perché vuole farci sapere qualche cosa.
Non dobbiamo accontentarci di sentire queste
parole perché è un qualcosa che deve servire per la nostra vita essenziale.
E allora dobbiamo chiederci che cosa Dio
vuole dire a noi con queste parole, per la nostra vita essenziale.
Queste parole Lui le dice a noi che abbiamo
il grosso problema nella nostra vita di non essere uno.
Noi non siamo uno con Dio, non siamo uno con le
creature e non siamo nemmeno uno con noi stessi.
Noi siamo sempre divisi, terribilmente
divisi.
C’è il grande problema religioso di essere
uno e lo chiamano ecumenismo.
C’è il problema della mente dell’uomo di
essere uno e lo chiamano schizofrenia.
E c’è il problema della nostra vita, la
nostra vita è dispersa fratturata da tutte le cose e abbiamo bisogno di dare
unità, la nostra vita è sempre troppo complicata, troppo carica, abbiamo
bisogno di sgombrare molto dalla nostra vita, in modo da ridurre la nostra vita
alla massima semplicità.
Gesù la riduce alla massima semplicità
dicendo: “Una cosa sola è necessaria”.
Una sola cosa è necessaria: conoscere Dio,
perché questa è l’intenzione di Dio.
Siamo noi che ci complichiamo la vita al
punto di renderla impossibile e insopportabile.
Questo essere siamo noi, divisi e lacerati,
fuori di noi e dentro di noi.
Basta pensare alle contraddizioni e alla
confusione che portiamo nella mente, un pensiero contro l’altro senza
possibilità di unificare.
Eppure c’è in noi questo bisogno sostanziale
di vedere e di capire e vedere e capire, profondamente è ridurre tutto
all’unità.
Vedere tutte le cose da un unico punto di
vista.
Noi siamo passione di questo bisogno di
ridurre tutto all’unità.
Ed è in questo profondo bisogno che noi siamo
che Gesù fa arrivare queste parole: “Io e il Padre siamo uno”.
Quasi ad indicare a noi il luogo in cui si
realizza questa unità.
Questa unità che noi sogniamo, si realizza là
dove il Figlio e il Padre sono uno.
Proprio quell’uno che ognuno di noi sospira e
di cui ha bisogno per vivere.
Però dobbiamo chiederci perché noi subiamo
questa passione?
Perché soffriamo e patiamo nel sentirci
divisi?
Questa sofferenza che è poi la tristezza
profonda di ogni uomo, denuncia, testimonia che noi siamo fatti per essere uno.
Siamo fatti per ridurre tutto all’unità.
Questa passione di unità è la passione di
assoluto, poiché abbiamo detto spesso che l’assoluto è uno, Dio è uno e Dio è
assoluto.
Se noi subiamo questa passione d’assoluto che
è passione per Dio, per conoscere Dio, è segno che noi portiamo già in noi
presente questo Uno.
Noi non potremmo subire la passione, il
desiderio di qualcosa, se quel qualcosa non fosse già presente in noi.
Questo è testimonianza che l’uno, Dio,
l’assoluto è già presente in noi.
Tutti i problemi che si formano nel nostro
pensiero, sono sempre opera di Dio, per condurci sempre più avanti nella
conoscenza di Sé.
Qui si forma un altro problema: se
l’assoluto, l’uno, Dio è già presente in noi e quindi è unito a noi, perché
avvertiamo la necessità di unità?
E che sia già unito a noi Gesù stesso lo
dice: “Io sono la vite e voi i tralci”.
E se il tralcio è già unito alla vite, non si
forma il problema di restare unito alla vite.
Dio è già con noi, Dio è presente in noi e nessuno
lo può smentire, noi stessi ne portiamo la testimonianza: “Voi stessi dite che
Io sono”.
Noi stessi con quello che patiamo, con quello
che soffriamo, con la notte che ci portiamo addosso, noi stessi rendiamo
testimonianza che Dio è presente.
Perché noi patiamo l’assenza, ed è quello il
fatto strano.
Dio è presente e noi ne patiamo l’assenza.
Dio è unito a noi e noi ne patiamo la
disunione.
Com’è possibile e perché?
Se il tralcio è unito alla vite, non sente il
problema di restare unito alla vite, poiché è unito.
Se Dio è unito a noi, noi siamo uniti a Dio e
se siamo uniti a Dio, non dovrebbe esserci il problema di restare uniti a Dio.
Ma allora perché c’è il problema?
Quando Gesù dice: “Io sono la vite e voi i
tralci”, dice: “Se il tralcio si stacca dalla vite secca”, poi dice: “Restate
uniti a Me, perché senza di me non potete fare niente”.
Questo ci fa pensare che noi siamo uniti a
Dio, poiché Dio certamente è presente in noi, però possiamo disunirci da Dio e
disuniti da Dio, noi uomini e donne secchiamo.
Il problema della nostra tristezza e della
nostra sofferenza, è un problema di disunione da Dio.
Dio è unito a noi e noi non siamo uniti a
Lui.
O perlomeno non siamo uniti a Lui, come Lui è
unito a noi.
La tristezza profonda di ogni uomo è questo
sentirsi seccare.
L’uomo è un tralcio che si sta seccando.
Il tralcio separato dalla vite, è destinato a
seccare.
Non partecipa più della vita.
Abbiamo detto molte volte che a quel punto,
l’acqua lo fa marcire, la terra lo distrugge e il sole lo brucia.
Quegli stessi fattori che quando il tralcio
era unito alla vite, contribuivano a farlo vivere, ad alimentarlo, diventano
ora motivo di distruzione.
L’uomo patisce questa sofferenza per la
privazione di unione, di unità.
Questo bisogno di ridurre la nostra vita alla
semplicità, ad una cosa sola.
Questa necessità di capire che il bisogno di
vedere tutto da un unico punto di vista, testimonia che l’uomo sta perdendo
vita, sta perdendo essere.
La pienezza dell’essere è gioia, la pienezza
dell’essere è unione, la pienezza dell’essere è luce.
L’uomo però la sta perdendo e la sta perdendo
perché è staccato da Dio.
Quindi non è sufficiente che Dio sia con noi.
Dio certamente è con noi, Dio è al di fuori
dello spazio e del tempo e quindi certamente non si sposta da un luogo
all’altro.
Dio è sempre presente.
Anche nell’inferno Dio è presente.
Dio è presente nell’anima triste e nell’anima
gioiosa, nell’anima che lo bestemmia o nell’anima che lo glorifica, Dio è
sempre presente.
In tutto e in tutti.
Però questo non è sufficiente, è necessario
per restare uniti a Dio, che noi siamo presenti a Dio come Dio è presente a
noi.
Come mai che l’uomo, pur unito a Dio, non
resta unito a Dio.
Cos’è che c’è nella vita dell’uomo, per cui
l’uomo sperimenta il distacco da Dio, l’assenza di Dio, il silenzio di Dio?
Dio a un certo punto per l’uomo è come fosse
morto, non c’è e l’uomo ne fa esperienza.
Cosa succede?
Abbiamo detto la volta scorsa che se l’uomo
esiste, in quanto esiste, ha una sua ragione di essere.
Dio non crea nulla senza una motivazione,
senza una ragione.
È la ragione di essere che giustifica
l’esistente.
E ogni uomo che nasce in questo mondo è
giustificato da Dio, in quanto ha una sua ragione di essere.
Se Dio ci ha dato la vita, se noi oggi
parliamo e ci muoviamo, è perché c’è una ragione presso Dio del nostro esistere
e vivere.
Dio non fa nulla a caso, quindi noi non
esistiamo a caso.
Se esistiamo è perché siamo giustificati in
una ragione presso Dio-
Anche noi vivendo, viviamo per una ragione.
Ognuno di noi, in quanto vive, ha una sua
ragione di vita.
E se noi interroghiamo 100 persone, ci
darebbero 1000 risposte differenti circa la loro ragione di dedicarsi a questo
o a quello.
Il fatto grave è questo: le ragioni per cui
viviamo, non coincidono con la ragione per cui noi Viviamo.
Le ragioni per cui noi esistiamo e viviamo,
non coincidono con la ragione per cui noi esistiamo e viviamo.
Dio ci ha dato l’esistenza, la vita, in una
sua ragione, noi esistiamo e viviamo per una nostra ragione.
E fintanto che la ragione per cui noi
viviamo, non coincide con la ragione per cui Dio ci ha dato la vita, qui noi
esperimentiamo il distacco.
Il distacco sta nella ragione.
In questa ragione in cui noi giustifichiamo
la nostra vita.
E com’è possibile che la ragione o le ragioni
per cui viviamo, siano diverse dalla ragione per cui Dio ci vuole?
Come può essere che nel regno di Dio si formi
in noi una ragione diversa da quella per cui Dio ci ha voluti e ci vuole?
Se noi esistiamo è perché Dio ci vuole.
Perché noi viviamo per una ragione diversa e
com’è possibile questo?
È la situazione in cui si trova ogni uomo.
Ogni uomo si trova con la presenza di Dio che
è l’assoluto, l’eterno, l’infinito, l’uno e ogni uomo ne subisce la passione, appunto
perché porta con sé questa presenza, la presenza di Dio.
Però l’uomo non ha presente soltanto Dio,
l’uomo ha presente tutte le creature, ha presente gli altri uomini e le
creature, e gli uomini e tutto ciò che esiste e tutto questo non è Dio.
E allora l’uomo si trova in questa
situazione: ha presente Dio che è l’assoluto e ha presente ciò che non è
assoluto, che è opera di Dio ma non è Dio.
Qui l’uomo corre il rischio di vivere per le
creature, anziché per il creatore.
E quindi di porre la sua ragione di vita,
nelle creature anziché che nel creatore.
L’uomo può vivere per le creature, anziché
per il Creatore.
Qui si crea la disunione, la frattura,
perché?
Perché Dio crea l’uomo e tutta la creazione,
unicamente per comunicare Se Stesso.
Abbiamo visto che nessuna ragione al mondo
può portare via quest’intenzione a Dio, nessuna autorità, nessuna istituzione,
nessuno.
Nessuno con tutti i suoi ragionamenti, con
tutte le sue riflessioni, con tutte le sue teologie, può portare via dalle mani
di Dio questa sua intenzione.
Dio opera tutto per manifestare Se Stesso,
per comunicare Se Stesso, per farsi conoscere.
Questa è l’unica sola ragione.
L’unico pensiero in cui Dio fa tutte le cose
è questo.
Farsi conoscere.
Perché Lui solo è.
Quindi non c’è un altra ragione.
Non c’è un altra realtà per cui Dio possa
operare.
Dio opera tutte le cose nel suo pensiero,
quindi per farsi conoscere.
Per manifestare Se Stesso.
Questa è l’intenzione, e inutile che noi
andiamo a cercare qual’è o non è la volontà di Dio.
La volontà di Dio è una sola per tutti.
Dio ci ha dato l’esistenza, ci ha dato la
vita, ha creato l’universo, continua a creare tutte le creature che ci sono,
Lui è il regista di tutta la storia, di tutti gli avvenimenti, fa Lui tutte le
cose e tutti gli avvenimenti sono determinati da Lui.
Vita, nascita, morte, gioie, dolori,
ricchezza, povertà è tutto opera sua.
Lui è il Creatore, non avere altro Dio.
Tutte le cose Dio le fa e le opera in questo
unico e solo pensiero.
Comunicare Se Stesso.
E comunicare Se Stesso, cosa vuol dire?
Vuol dire rendere altri partecipi di Sé.
Vuol dire rende l’uomo partecipe di Dio.
Farsi conoscere dall’uomo, perché nella
conoscenza, l’uomo può partecipare di quello che Dio è.
E la vita eterna sta nel conoscere Dio.
E Dio ha creato tutte le cose unicamente per
questo.
L’uomo ha presente Dio e non lo può smentire
ma avendo anche presente altro da Dio, può vivere per altro da Dio.
E può giustificarsi in altro da Dio.
E può addirittura dire che la volontà di Dio
per lui sono i buoi, i campi e la moglie, e tradisce Dio.
L’uomo può avere ragioni diverse da quelle
per cui Dio l’ha creato e gli dà la vita.
Può avere ragioni diverse.
In questa differenza di ragioni, l’uomo si
scolla da Dio, l’uomo perde il contatto con Dio.
Dio è presente nell’uomo, Dio si fa sentire,
l’uomo non lo può smentire, però l’uomo vive per altro e ha presente altro.
Ed è qui che l’uomo incomincia ad
esperimentare questa disunione con Dio.
Gesù dice che la casa divisa non può durare.
Anche ogni vita divisa non può durare.
E l’uomo si divide in se stesso, perché come
si discosta dall’unità di Dio, dal tenere presente questo essere unico che
opera in tutto, immediatamente si divide in se stesso e i pensieri si dividono
uno contro l’altro e l’uomo incomincia a sperimentare di seccare, di perdere la
vita.
Perché perde contatto con il vivente.
La nostra vita è nascosta in Dio.
Tristezza, noia, angoscia, sono espressioni
di questa vita che in noi si sta seccando, che si sta perdendo.
E si sta perdendo perché noi abbiamo ragioni
di vita diverse da quelle per cui Dio ci ha dato la vita.
Ora, teniamo presente una cosa, la presenza
in noi di Dio che è la presenza dell’assoluto è nella mente, nell’intelletto.
Tutte le creature che noi abbiamo presenti
invece le abbiamo presenti nei sensi, fanno parte del nostro mondo sensibile,
in noi c’è questo duplice mondo, il mondo dell’intelletto e il mondo dei sensi.
Noi sentiamo le creature e tutta la creazione
e l’opera di Dio, arriva a noi attraverso i sensi, perché s’impone, la
sentiamo.
Noi le creature le sentiamo, le
esperimentiamo e in quanto arrivano a noi producono in noi gioia o dolore,
piacere o tristezza.
Questi sono sentimenti provocati in noi dalle
creature.
Le creature noi le abbiamo presenti.
Presenti indipendentemente da noi.
Perché sono opera di Dio.
È Dio che scrive in noi tutta la sua
creazione.
È Dio che parla a noi.
Tutto questo fa parte del mondo dei sensi,
del sentimento.
E Dio non appartiene a questo mondo dei
sentimenti.
I sentimenti sono opera di Dio ma Dio non
appartiene ai sentimenti.
“Il mio regno non è di questo mondo”.
E tutto questo mondo è fatto di sentimenti.
Dio appartiene all’intelletto.
Dio si trova lì.
Nella mente.
E noi corriamo il rischio di dare la preferenza
ai sentimenti, a quello che vediamo tocchiamo ed esperimentiamo ed a trascurare
questo Dio che portiamo nell’intelletto.
E cosa succede?
Siccome Dio solo è l’assoluto, tutto ciò che
non è Dio, è soggetto a mutamento.
Si perde.
Infatti, tutta la creazione di Dio che
appartienme a questo mondo di sentimenti che noi vediamo, tocchiamo ed
esperimentiamo, è soggetta al tempo, mentre Dio non è soggetto al tempo.
La Verità non è soggetta al tempo.
Tutto ciò che non è Dio, che non è la Verità,
è soggetto al tempo, cioè è soggetto a mutamento, è soggetto a perdita.
Tutte le creature si perdono, può essere
questione di anni o di minuti ma si perdono.
Tutte le ragioni diverse da Dio, in cui
giustifichiamo la nostra vita si perdono, perché la realtà sentimentale passa.
Dio solo è l’eterno e l’immutabile, quindi
ogni altra realtà, fossero anche angeli è destinata a mutare poiché è segno di
Dio.
E i segni passano, le parole passano, è
imballaggio a perdere.
Dio resta.
Siccome siamo fatti per l’assoluto, per
vivere per ciò che non si perde, se noi viviamo per una cosa che si perde, noi
esperimentiamo la morte, l’infelicità.
E allora capiamo come il problema
dell’unione, dell’unità (“Io e il Padre siamo uno”) è un problema di felicità,
di gioia.
Perché soltanto là, dove si realizza l’unione
con ciò che non si può perdere, lì c’è la felicità e la gioia dell’uomo.
Ma quando l’uomo vive per qualcosa che sa che
presto o tardi perderà, l’uomo lì è infelice.
Lì è il luogo dell’infelicità.
L’infelicità dell’uomo sta nel vivere per ciò
che egli sa che in un modo o nell’altro perderà.
Nel mondo abbiamo tre grandi progetti di
soluzione a questo problema dell’uomo.
Il problema fondamentale per l’uomo è vivere
per ciò che non si perde, perché altrimenti Lui esperimenta l’infelicità.
È il desiderio dell’uomo che condiziona e
determina tutta la vita dell’uomo.
È questa ragione per cui l’uomo vive.
Abbiamo tre grandi soluzioni, tre risposte
nel mondo a questo problema dell’uomo.
Abbiamo la risposta di Buddha.
La sintetizzo in un termine unico ma si
diffonde a mille facce.
Buddha sostanzialmente dice di non
desiderare, di sopprimere il desiderio.
Poiché l’infelicità è determinata dal
desiderare cose che poi ti fanno soffrire, tu sopprimi il desiderio e trovi la felicità.
Abbiamo la soluzione del mondo che ti dice di
affaticarti, lavorare, agire, operare per rendere assoluto quello che perisce.
Poiché la tua infelicità è determinata da ciò
che perisce, tu devi faticare per rendere assoluto ciò che è soggetto a perire.
E abbiamo la soluzione di Cristo, il
messaggio di Cristo.
Non ti dice né di sopprimere il desiderio, né
di rendere assoluto quello che passa, ma ti dice di cercare di conoscere che
cosa è l’assoluto.
Le tre grandi soluzioni sono queste.
Perché i termini sono quelli.
Non soltanto Buddha ma tutta la lezione
morale che c’è nel mondo ti dice di sopprimere il tuo desiderio.
L’altro ti dice di buttarti nell’azione per
cercare di rendere assoluto quello che non è assoluto.
Dio tra noi che dice a noi di cercare di
capire che cosa è l’assoluto.
Lì ti rivela la grande lezione che c’è in
tutta l’opera di Dio.
Tutta l’opera di Dio, tutte le creature,
tutta la nostra vita è tutta per dire a noi: “Noi non siamo l’assoluto, ti
annunciamo l’assoluto ma l’assoluto è un altro, cercalo, cerca Dio”.
Cerca Dio e troverai ciò che non muta.
E quindi troverai la tua felicità.
I primi due progetti di soluzione sono
fondati sull’assurdo.
Buddha è fondato sull’assurdo e il mondo è
altrettanto fondato sull’assurdo.
E l’assurdo sta in questo: “sopprimi la
passione dell’assoluto, perché è quella che ti fa soffrire”, sarebbe come
consigliare a uno che ha mal di testa di tagliarsi la testa.
Perché la passione dell’assoluto ce la
portiamo addosso, indipendentemente da noi, costituisce l’uomo.
Non si può dire ad un uomo di distruggere se
stesso per non soffrire più.
L’uomo è la passione dell’assoluto.
L’uomo porta con sé questa passione
d’assoluto, indipendentemente da lui, è il creatore che ha formato questa
passione d’assoluto nell’uomo.
Non si può uccidere l’uomo per liberarlo
dalla sua infelicità.
Ma altrettanto assurda è la risposta del
mondo: agisci, opera per rendere assoluto, ciò che perderai.
È fondata sull’assurdo, è come se volessimo
eliminare il tempo.
Nessuno può eliminare il tempo.
È Dio che ha creato tutte le creature e le ha
create nel tempo.
Per cui tutte le creature sono destinate a
passare.
Ed è una lezione grandissima perché le
creature passando predicano a noi di non essere l’assoluto e quindi non
facciamole assolute.
Sarebbe come volere trasformare un gatto in
un cane.
Uno fatica tutta la vita per concludere con
un nulla di fatto.
Il problema non sta nel cercare di rendere
assoluto il relativo, tutta la tua vita si conclude in niente, in un
fallimento.
Tutto il lavoro, tutta l’industria, tutte le
scienze umane sono rivolte a cercare di fare stare in piedi una cosa che
necessariamente cadrà.
La terza soluzione, la soluzione di Dio è
l’unica praticabile: non cercare di rendere assoluto il relativo ma cerca di
capire che cosa ti dice il relativo dell’assoluto.
Perché tutto ciò che non è assoluto, ti sta
predicando l’assoluto.
Ti sta insegnando l’assoluto.
E ti sta insegnando il luogo dell’assoluto.
Cioè ti sta invitando ad avere come ragione
di vita, non le tue ragioni di vita ma la ragione per cui Dio ti ha dato la
vita.
Soltanto in questo collimare tra la ragione
per cui tu vivi e la ragione per cui Dio ti fa vivere, lì c’è la possibilità di
restare uniti alla Vita.
Evidentemente per capire questa ragione per
cui Dio ha dato a noi la vita, dobbiamo elevare il nostro pensiero a Dio,
perché soltanto da Dio, noi possiamo capire l’intenzione per cui Dio ci dà la
vita.
Soltanto da Dio possiamo conoscere la ragione
per cui Dio ci dà l’esistenza.
Per guardare le cose da Dio che è poi
guardare le cose dal principio, dobbiamo superare il pensiero del nostro io,
superare tutte le nostre ragioni, dobbiamo superare tutto il nostro mondo e
guardare da Dio, cioè pensare Dio.
Fintanto che il Signore ci dà la possibilità
di pensare Dio dobbiamo elevare il nostro pensiero a Dio.
Ma elevare il nostro pensiero a Dio, per
conoscere da Lui, la ragione, l’intenzione per cui ci ha dato la vita.
Perché soltanto nella conoscenza c’è la
comunicazione.
Dio si comunica nella conoscenza.
Nella conoscenza c’è l’essere ed è in questo
essere che c’è l’unione.
E si può formare una cosa sola.
E si forma una cosa sola.
Ed è un unione con un essere che non è
soggetto a perdita, non è soggetto a mutamento.
Nessuno, per quanto prolunghi il suo pensare
a miliardi di anni luce, non potrà mai minimamente concepire un mutamento in
Dio.
Dio è l’assoluto, è l’eterno, era, è, è Colui
che viene ed è sempre lo stesso.
Ora se la nostra vita è trovare ciò che non è
soggetto a perire, che non è soggetto a mutamento, lì è la vera soluzione al
problema della nostra vita.
GV 10 VS 30 - Io e il Padre siamo una cosa
sola.
Secondo tema – Il sassolino bianco.
Argomenti: La vite e i tralci –
La disunione da Dio – Perdita di essere
– La sintonia d’intenzioni – Restare con Dio -
Dio è presente nella creatura – Capire come
Dio è con l’uomo – Transustanziazione – Questo è mio -
19-20/ Gennaio /1992
Abbiamo accennato domenica scorsa, come, questa dichiarazione di Gesù, ci
presenti il luogo dell’unità, dell’unione e quanto sia importante per noi
l’unione.
Basta tenere presente la parabola di Gesù, in cui paragona la nostra unione
con Dio, con l’esempio della vite e dei tralci.
L’unione del tralcio alla vite è essenziale per la vita del tralcio.
Altrettanto essenziale è l’unione nostra con Dio per la nostra vita.
Abbiamo anche visto la difficoltà che l’uomo ha, nel restare unito a Dio.
Ogni esistente e a maggior ragione ogni uomo, in quanto esiste e vive, ha
una sua ragione presso Dio per esistere e per vivere.
Tutto cià che esiste ha una sua ragione in Dio.
Dio è il Creatore e tutto ciò che Egli opera, lo opera in un suo pensiero.
Ognuno di noi personalmente, in quanto esiste e vive appartiene a una
ragione presso Dio.
Però abbiamo anche visto quanta differenza ci sia tra la ragione per cui
l’uomo Vive e la ragione per cui l’uomo vive.
L’uomo Vive presso Dio, secondo Dio, con una ragione ben precisa.
E l’uomo vive nella sua vita, con un altra ragione ben precisa.
E c’è un abisso tra una ragione e l’altra.
Ci siamo anche chiesti come sia possibile che là, dove tutto è regno di Dio
(poiché tutto è regno di Dio) si formi una ragione di esistenza e di vita
differente da quella di Dio.
Abbiamo visto che questa ragione di vita per cui l’uomo vive, nasce da una
realtà.
L’uomo non ha solo una realtà davanti a sé.
L’uomo ha due realtà davanti a sé.
L’uomo davanti a sé, ha la realtà di Dio creatore che non può smentire, che
non può ignorare e in quanto non lo può ignorare è una realtà per l’uomo.
E poi c’è la realtà sensibile, quello che l’uomo vede, tocca ed
esperimenta.
Dio, l’uomo non lo può ignorare, quindi siamo nel campo della conoscenza.
Poi c’è una realtà sensibile che l’uomo subisce, patisce ed esperimenta.
Ed è la realtà che fa sempre riferimento al pensiero dell’io.
Queste due realtà, sono entrambe opera di Dio.
La realtà divina, la realtà dell’essere assoluto del creatore è Dio stesso.
La realtà che noi subiamo, che noi esperimentiamo nel pensiero del nostro
io, è opera di Dio creatore.
Dio crea l’uomo e poi si annuncia all’uomo.
Parla all’uomo.
Tutta la creazione è parola di Dio per l’uomo.
E l’uomo subisce questa creazione di Dio.
L’esistenza stessa, la vita stessa dell’uomo, l’uomo la subisce.
L’uomo esiste indipendentemente dalla sua volontà.
Tutti gli avvenimenti, la storia, la nostra vita, il tempo, le creature,
sono tutti fatti che l’uomo subisce.
Quindi c’è una volntà diversa che opera sull’uomo, che si fa sentire
dall’uomo.
L’uomo ha presente queste due realtà.
E proprio perché ha presente queste due realtà, l’uomo corre il rischio di
vivere per le creature anziché per il creatore.
Ed è qui che nascono le due ragioni, la ragione secondo Dio e la ragione
secondo l’uomo.
L’uomo può vivere per la realtà che vede, tocca ed esperimenta.
Può vivere per il sentimento.
Il sentimento è opera di Dio.
L’uomo può vivere per la creatura, invece che per il creatore.
E allora qui subentra una ragione diversa di vita.
Tutto è in relazione all’intenzione fondamentale di Dio che l’uomo, non
potendo ignorare non deve trascurare, perché se lo trascura è in colpa.
L’intenzione di Dio è una sola e non può essere che una sola.
Dio solo è e la sua intenzione è quella di comunicare Se Stesso, perché Lui
solo è.
Tutta la sua opera creatrice è giustificata in questa unica intenzione, in
questo unico pensiero.
Dio crea, opera ogni cosa per comunicare Se Stesso.
Abbiamo visto che fintanto che la ragione per cui l’uomo vive, non coincide
con la ragione per cui Dio gli ha dato l’esistenza, l’uomo esperimenta la
disunione, il distacco da Dio.
L’uomo pur non potendo dimenticare Dio, perché non lo può cancellare,
l’uomo ha questa terribile difficoltà di prendere contatto con Dio.
Di avvertire Dio, di fare esperienza di Dio.
L’uomo fa esperienza delle creature e di tutto ciò che non è Dio, ma non fa
esperienza di Dio.
L’uomo cammina in un vuoto immenso.
Ed è sempre alla stessa distanza.
Può correre in Cina o in America ma l’uomo non si avvicina a Dio.
Non modifica la sua distanza da Dio di un millimetro.
Ovunque vada e qualunque cosa pensi, l’uomo si ritrova sempre alla stessa
distanza da Dio.
Non lo può cancellare e non lo può sperimentare.
E quanto sia il bisogno di toccare sperimentare qualcosa di Dio, l’uomo
stesso lo sa.
Perché l’uomo paga con il suo sangue, paga con la sua anima, paga con la
sua vita, questa sua esperienza dell’assenza di Dio, del distacco da Dio.
Questa incapacità di restere con Dio, di essere unito a Dio.
Come il tralcio, quando si stacca dalla vite, subisce il danno di tutte le
cose, così l’uomo non potendo toccare niente di Dio, non potendo restare con
Dio, fa l’esperienza che tutte le cose, tutte le creature, tutti i fatti, tutto
lo distrugge.
Tutto coopera a distruggere l’uomo.
E quindi a privarlo dell’essere.
Dio solo è il vivente, Dio solo è Colui che è.
L’essere assoluto è vivente, l’essere assoluto è persona.
Ogni altro esistente, vive, esiste, è persona in quanto partecipa a Dio.
E là dove non può partecipare, l’uomo subisce la perdita di essere.
Una perdita crescente.
Una perdita che va fin quasi al nulla, senza toccare mai il nulla.
E quel limite verso il quale l’uomo va, quando non può restare unito a Dio,
che si avvicina infinitamente al nulla, è la grande dispersione in tutto.
E la grande dispersione, vuol dire che tutte le creature ti portano via.
Tutte le creature ti lacerano.
Tutte le creature ti disperdono.
E tu non sei più uno.
L’uomo che è fatto per essere uno, per partecipare a Colui che è uno (la
vita sta nell’uno), l’uomo a un certo momento si trova a partecipare a numeri
infiniti.
I numeri sono infiniti e l’uomo si disperde in questi numeri infiniti.
E sono segni di Dio e l’uomo si disperde nei segni di Dio.
I segni di Dio sono infiniti, perché Dio è infinito.
Ma i numeri infiniti che sono infiniti perché sono segno di Dio, non sono
l’Infinito.
La nostra vita è nell’infinito, non è nei numeri infiniti.
Nei numeri infiniti, abbiamo la grande dispersione e quindi l’esperienza di
morte.
L’uomo fa esperienza di morte quando non riesce a restare in questa unione
con Dio.
Abbiamo detto che questa impotenza, questa incapacità a restare uniti a
Dio, è determinata nell’uomo dal portare in sé una ragione diversa da quella
ragione per cui Dio lo ha creato.
E la ragione dell’uomo è fondata su una realtà che è opera di Dio, che è
creazione di Dio, che è segno, parola di Dio ma che non è Dio.
Se quindi l’uomo vive per le creature di Dio, per le opere di Dio, per i
segni di Dio, per le parole di Dio o per le visioni di Dio, l’uomo esperimenta
la sua incapacità a restare con Dio.
E quindi esperimenta il male, esperimenta la morte, esperimenta la
dispersione.
Abbiamo visto l’importanza di creare la sintonia tra ciò per cui l’uomo
vive e la ragione per cui Dio gli ha dato la vita.
Soltanto in questa sintonia l’uomo resta con Dio.
Soltanto in questo pensiero unico, poiché tutto è fatto in un pensiero
unico, il pensiero di Dio.
E quindi anche tutta la creazione va vista in questo pensiero unico.
E Dio opera ogni cosa per riportarci sempre di fronte a questo pensiero
unico.
Noi abbiamo presenti due realtà, ma Dio è la vera grande realtà in cui ogni
uomo si trova a vivere.
Qui è il principio di tutte le cose e soltanto riportando tutte le cose in
questo principio, l’uomo ha la possibilità di restare con Dio.
In questo principio il Figlio ci dice: “Io e il Padre siamo Uno”.
In questo principio c’è l’unità.
Fuori di questo principio non c’è l’unità, c’è la molteplicità.
La molteplicità è segno di Dio, là dove Dio non è presente.
Ma la molteplicità non è Dio.
Dio è presente nella creatura per primo, perché se non fosse presente in
noi, noi non potremmo né intendere i segni di Dio, né ascoltare le parole di
Dio.
Dio è presente nella creatura.
Per primo Lui si concede.
Dio creando l’uomo, il primo grande dono che Dio fa all’uomo è quello di
concedersi all’uomo.
Per cui l’uomo è portatore dell’essere assoluto.
L’uomo porta in sé questo essere assoluto, al punto tale da subirne la
passione.
Possiamo definire l’uomo come l’essere che subisce la passione
dell’assoluto.
Ed è questa passione d’assoluto che lo porta o al paradiso o all’inferno.
E l’uomo non può dimettere questa passione d’assoluto, perché è l’elemento
costitutivo dell’essere umano.
Però abbiamo detto che non è sufficiente che Dio sia con l’uomo perché
anche l’uomo sia con Dio.
Dio è con l’uomo ma il più delle volte l’uomo non è con Dio.
E allora dobbiamo osservare che cosa si richiede affinché l’uomo possa
essere con Dio, come Dio è con l’uomo.
Tutto il problema sta in quel “come”.
Dio è con l’uomo, l’uomo non è con Dio.
Cosa si richiede perché l’uomo possa
essere con Dio come Dio è con l’uomo?
Il problema evidentemente è tutto incentrato su quel “come”.
Sul capire come, perché soltanto conoscendo, capendo come Dio è con l’uomo,
l’uomo può essere con Dio.
Soltanto conoscendo!
Qui non è problema di volontà, sacrifici, rinuncie, né di tante parole.
Si tratta di capire come Dio è con l’uomo.
E qui subentra il problema: è mai possibile che l’uomo possa capire, possa
conoscere come Dio è con l’uomo?
Se l’uomo sente un problema, in quanto sente un problema la soluzione c’è.
Dio non ci prende in giro.
L’uomo certamente è carico di problemi ma questi problemi sono problemi di
una creatura e creatura vuol dire che porta in sé l’opera di un creatore.
E se l’uomo avverte questi problemi, è perché il creatore glieli fa
sentire.
Quindi non dobbiamo scherzare sopra il fatto dell’impossibilità.
In quanto l’uomo sente un problema, c’è certamente la soluzione del
problema.
Si tratta di trovare il luogo in cui c’è la soluzione di questo problema,
sarà difficile tutto quello che si vuole ma la soluzione c’è, altrimenti Dio
non ci farebbe sentire il problema.
Dio non ci prende in giro.
L’uomo avverte il problema, non capisce come Dio sia presente in lui.
Eppure non può negare perché fa esperienza.
L’uomo non può ignorare Dio e se non lo può ignorare vuol dire che Dio è
presente.
L’uomo subisce la passione dell’assoluto, se subisce una passione, vuol
dire che c’è una presenza.
Senza presenza non subirebbe la passione, non sarebbe attratto.
Passione è passività e quindi attrazione, testimonianza di presenza.
Allora il problema è capire come Dio è presente nell’uomo.
È possibile?
È possibile!
Perché il problema è opera di Dio.
Dio è presente nell’uomo in quanto dona all’uomo il suo pensiero.
Dio dona all’uomo il suo pensiero.
L’uomo è portatore del pensiero di Dio.
Il mistero del Cristo tra noi, non è altro che la significazione di questo
dono di Dio all’uomo.
Cristo è il pensiero di Dio tra noi è la rivelazione, quindi la
significazione del pensiero di Dio in noi.
E noi dobbiamo aspettarci nella nostra vita e nella vita di tutto
l’universo che, a un certo momento questo pensiero di Dio si presenti a noi.
Perché tutto è fatto nel pensiero di Dio e tutta l’opera creatrice di Dio è
una conversazione e quando uno è in una conversazione, a un certo punto viene a
trovarsi di fronte al pensiero.
Per cui il Cristo è la pienezza dei tempi, è la conclusione della
conversazione di Dio con la creatura, ed è rivelazione di come Dio è con noi.
Dio è con l’uomo perché dona all’uomo il suo pensiero.
E l’uomo porta il pensiero di Dio e l’uomo lo attribuisce a sé: “Io penso
Dio”, però l’uomo porta il pensiero di Dio.
E questo è Dio con l’uomo.
Ma allora qui la deduzione è immediata, se il problema è quello di essere
con Dio come Dio è con l’uomo, avendo capito che Dio è con l’uomo in quanto
dona a Dio il suo pensiero, l’uomo è con Dio a una condizione sola: solo se
dona a Dio il suo pensiero.
Dio è con l’uomo in quanto dona all’uomo il suo pensiero, l’uomo è con Dio,
come Dio è con l’uomo, solo se dona a Dio il suo pensiero.
Fintanto che l’uomo non dona a Dio il suo pensiero, fa esperienza di non
essere con Dio come Dio è con l’uomo.
E quindi fa esperienza di distacco, di lontananza, di separazione da Dio.
Quindi il problema è un problema di pensiero.
L’uomo deve donare a Dio il suo pensiero.
E qui scopriamo prima di tutto che il nostro rapporto con Dio è un fatto
essenzialmente personale, come il pensiero è personale.
Se c’è un luogo in cui noi siamo puramente noi, in cui non entra
nessun’altro, è il pensiero.
E allora il rapporto con Dio che è un rapporto di essere con Dio come Dio è
con noi, è un fatto essenzialmente personale.
Non è un fatto di base, di gruppo, d’istituzione, è un fatto essenzialmente
personale.
Perché è dedizione di pensiero.
È offerta di pensiero, come Dio offre a noi il suo pensiero.
Dio offre a noi il suo pensiero per primo, se Dio non offrisse a noi il suo
pensiero, noi non potremmo minimamente sognarci di donare il nostro pensiero a
Dio.
È per i dono di Dio che noi possiamo fare qualche cosa nei riguardi di Dio.
Noi non potremmo nè amare, né pensare se per primi non fossimo amati e
pensati.
Qui però succede una cosa stupenda e meravigliosa (transustanziazione):
all’uomo che dà a Dio il suo pensiero, Dio dice all’uomo: “Questo è mio”.
Qui succede il finimondo.
Dio dice all’uomo che dà a Dio il suo pensiero: “Questo è mio”.
Tutto ciò che l’uomo crede che sia suo (soprattutto il pensiero), soltanto
se lo offre a Dio, da Dio può ascoltare questa parola stupenda: “Questo è mio”.
Dio dicendo: “Questo è mio”, fonda l’unione con l’uomo.
Fintanto che noi siamo in ciò che riteniamo nostro, noi creiamo un abisso
fra noi e Dio.
Un abisso che impedisce di passare dal nostro mondo a Dio e da Dio
all’uomo.
Dio dice “questo è mio” personalmente, perché è un fatto personale
l’offerta dell’uomo del suo pensiero a Dio.
Quindi se non c’è questa offerta dell’uomo a Dio, l’uomo non può sentire
questa parol: “Questo è mio”.
Si, parole possiamo sentirne tante...nella messa si dice: “Questo è mio” ma
sono solo parole.
In quanto l’uomo offre, dona personalmente a Dio il suo pensiero, su quel
pensiero che dona, personalmente, intimamente Dio dice: “Questo è mio”.
Con parole?
Senza parole.
Tra il pensiero e Dio non ci sono più parole, le parole sono fuori.
Le parole servono per convocare l’uomo ma su quest’orizzonte, non ci sono
più parole.
Il rapporto tra l’anima e Dio non ha parole in mezzo.
Come tra Padre e Figlio non ci sono parole.
Ma se non lo dice a parole, come lo dice?
Dio lo dice con la Realtà e convince, cioè unisce in modo incancellabile,
indelebile.
Una unione eterna.
Quando Dio comunica, la sua comunicazione è eterna.
Ogni uomo esiste per una parola di Dio e tutti noi siamo immortali, non
moriami più.
Possiamo andare all’inferno o dove vogliamo ma siamo immortali.
Non moriamo più.
Non possiamo noi annullare l’opera di Dio.
Dio quello che opera, lo opera nella sua eternità, fuori del tempo.
E quindi nessuna creatura può cancellare quello che Dio vuole.
Se tu offri a Dio il tuo pensiero, e Dio dice al tuo pensiero “questo è mio”,
questa è una parola immortale.
E quindi qui abbiamo una unione, una unione stabile.
Una unione eterna.
È lì che Dio ci inserisce in questa unione.
La nostra unione con Dio, viene da Dio ma non viene senza di noi.
Non viene perché se la creatura, avendo ricevuto il dono di Dio, non offre
a Dio il suo pensiero.
Dio è con l’uomo in quanto dona all’uomo il suo pensiero, l’uomo è con Dio,
come Dio è con l’uomo, solo se l’uomo dona, offre a Dio il suo pensiero.
Se l’uomo dona a Dio il suo pensiero, in questa offerta, in questa
presentazione a Dio del pensiero che l’uomo porta in sé, su questo pensiero che
è il Pensiero di Dio (ma l’uomo non lo sa), Dio fa la grande rivelazione:
“Questo è il mio pensiero” e dicendo questo Dio lo sigilla di un unione.
Qui l’uomo trova l’unione con Dio.
Abbiamo accennato che il tema era il sassolino bianco che dice
l’Apocalisse, viene dato con un nome scritto.
E quel nome, solo colui che lo riceve lo conosce: fatto personale, fatto
intimo.
Parola di Dio.
Ciò ci rivela che quel nome: “Questo è mio” che Dio dona alla creatura che
ha donato il suo pensiero a Dio, è un fatto personale, intimo che la persona
sola che lo riconosce, lo capisce e lo conosce, ed è incomunicabile.
Questo è il dono col quale Dio unisce noi a Sé.
Eligio: Il pensiero è “suo” di Dio o dell’uomo?
Luigi:Il pensiero di Dio nell’uomo.
Non pasticciamo...Dio dona all’uomo il suo pensiero, donandolo all’uomo,
l’uomo porta in sé il pensiero di Dio che è “suo” pensiero, pensiero dell’uomo.
È il pensiero dell’uomo, Dio mica scherza.
Abbiamo tutta la rivelazione in Cristo.
Il figlio di Dio che si fa uomo, il che vuol dire che si dona all’uomo, si
fa figlio dell’uomo e l’uomo fa di questo Pensiero quello che vuole.
E lo manda a morte.
Quindi vuol dire che se Dio dona a noi il suo pensiero, quel suo pensiero
che portiamo in noi che è il pensiero dell’assoluto, diventa il nostro pensiero
e tutta la tragedia sta lì.
Perché è in questo Pensiero di Dio che noi possiamo cominciare a dire: “Io
sono”.
E si crea la tragedia, perché noi è col pensiero di Dio che predichiamo il
“Io sono”.
GV 10 VS 30 - Io e il Padre siamo una
cosa sola.
Terzo tema - L'unità nel Cielo.
Argomenti: Raccogliere e
disperdere - Sintonia di intenzioni - I dieci lebbrosi - L’infinito nel finito
- “Questo è mio” - La morte infinita -
Offrire il pensiero a Dio - Dio soggetto del nostro pensare - L’unione del
Figlio col Padre - Il rapporto di pensiero con Dio - La realtà divina - Essere
e conoscenza – Inferno e paradiso -
26-27/ Gennaio /1992
Gesù dichiara e conclude tutto il suo
discorso dicendo: “Io e il Padre siamo uno”.
Il tema di oggi è l’unità nel cielo.
L’uomo vivendo corre un grande rischio ed è
il rischio della dispersione.
Gesù infatti dice: “Chi con Me non raccoglie,
disperde”.
E in quanto dice “Disperde”, è segno che c’è
questo rischio nella vita dell’uomo.
L’uomo può non raccogliere con il Figlio di
Dio.
E intanto ci fa capire che il Figlio di Dio è
Colui che raccoglie tutto nel Padre.
L’uomo può non raccogliere.
E Gesù dice: “Chi con Me non raccoglie
disperde”.
E disperdendo resta disperso.
E nella dispersione c’è la morte, c’è il non
essere.
L’uomo vivendo può essere paragonato a un
uomo che andando in montagna raccoglie tutte le pietre belle che vede e a un
certo momento o lascia il sacco con le pietre o non si muove più.
Questo è quello che avviene nella vita di
ogni uomo.
L’uomo corre il rischio di appiccicarsi alle
pietre.
Tutto l’universo è pietra.
Le pietre sono belle e l’uomo corre il
rischio di appiccicarsi alle pietre, alle creature, alle cose, ai segni.
Tutto è opera di Dio.
Tutto è bello, tutto è buono.
Sono segni di Dio.
Dio è verità, è bontà, ed è bellezza.
E proprio per questi segni di Dio sparsi
attorno a noi nella creazione (significazione di Dio), l’uomo corre il rischio
di attaccarsi, di appiccicarsi a tutte le creature.
E attaccandosi alle creature si disperde e
resta disperso.
Si disperde in quanto perde di vista il fine
per cui è stato creato.
L’essere vivente è un organizzazione in atto
per raggiungere un fine.
E la vita vale in quanto si tende ad un fine.
Soltanto in quanto si ha un fine e si tende
ad un fine, questa organizzazione che è l’essere, resta unita.
Se il fine viene meno, questa organizzazione
che è l’essere umano, che è ogni essere vivente, si disgrega, si disperde.
Muore.
E tutto coopera a disgregarlo, perché è
venuta meno l’anima.
È
venuto meno il fine.
È la disgregazione in cui si è venuto a
trovare tutto il popolo di Dio (segno di ogni uomo) che a un certo momento si è
appiccicato alla legge, si è appiccicato alle regole, al sabato, ed è venuta
meno l’anima di tutto.
L’anima della creazione.
L’anima della legge.
L’anima della vita stessa.
È venuto meno il fine e il fine è conoscere
Dio.
Abbiamo visto le volte scorse che la
condizione essenziale per l’uomo è questa sintonia tra l’intenzione per cui Dio
ha dato all’uomo la vita e l’intenzione per cui l’uomo vive.
E bisogna che questa due intenzioni
coincidano.
Altrimenti l’uomo non può minimamente sognarsi
di restare unito a Dio.
Qui non centra né buona volontà, né voti, né
sacrifici, né sacramenti, non c’è assolutamente niente che possa salvare
l’uomo, se non c’è questa sintonia tra l’intenzione di Dio e l’intenzione
dell’uomo.
Abbiamo detto molte volte che ogni essere
vivente in quanto esiste, in quanto vive, ha una sua ragione presso Dio.
Anche l’uomo in quanto esiste e vive, ha una
sua ragione presso Dio.
Dio crea ognuno di noi con una sua ragione.
Tutto è giustificato in Dio ed ognuno di noi
ha la sua giustificazione in Dio.
E questa è l’intenzione di Dio.
E abbiamo visto che l’intenzione di Dio è una
sola, pur essendo personale per ognuno di noi.
L’intenzione di Dio è quella di comunicare Se
stesso, è quella di farsi conoscere.
E questa è l’intenzione nella quale Dio ha
dato a noi l’esistenza e la vita.
Se Dio vuole farsi conoscere e ci ha creati
per conoscerlo, noi dobbiamo vivere per conoscere Dio.
Ecco, soltanto in quanto noi viviamo per
conoscere Dio, c’è questa sintonia tra l’intenzione di Dio e l’intenzione
nostra.
Senza questa sintonia, non c’è né
comunicazione di Dio, né alcuna possibilità di unirci a Dio.
Noi possiamo dire “Signore, Signore!” da
mattina a sera ma certamente non possiamo unirci a Dio.
Quindi abbiamo visto che qui in terra,
l’armonia, l’unione tra creatura e Dio, è data da questa sintonia di
intenzioni.
L’intenzione dell’uomo deve coincidere con
l’intenzione di Dio.
È nell’intenzione che c’è l’unione.
E qui si realizza la vita.
Ci siamo anche chiesti come sia possibile che
pur essendo tutto regno di Dio, ci sia nell’uomo la possibilità di avere
intenzioni diverse dall’intenzione di Dio.
La zizzania nel campo di grano.
Com’è possibile?
“Non hai forse seminato grano buono?”.
Come mai queste intenzioni diverse da Dio
nell’uomo dal momento che tutto appartiene a questo regno di Dio?
Le intenzioni diverse da Dio, avvengono in
quanto l’uomo si ferma alle opere di Dio, ai segni di Dio, ai comandi di Dio,
alle leggi di Dio e non riporta tutto a Dio e non collega tutto con Dio.
L’uomo si ferma a quello che riceve da Dio e
non riporta a Dio.
E quindi non riportando a Dio gli viene meno
il fine.
L’uomo riceve da Dio e si ferma.
Magari ringrazia il Signore, canta e loda il
Signore ma non riporta a Dio.
È l’episodio dei dieci lebbrosi, tutti e
dieci guariti e uno solo ritorna.
E ritornando al Signore si sente dire: “La
tua fede ti ha salvato”.
Quello che salva l’uomo, non è ricevere doni
da Dio, non è essere guariti dalla lebbra, la fede che salva l’uomo è quella
che fa ritornare l’uomo a Dio.
È la fede che fa riportare a Dio i doni che
l’uomo riceve, per conoscere Dio.
Per conoscere Colui che lo guarisce.
Per conoscere Colui che parla con lui tutti i
giorni.
Ecco, l’uomo può fare realtà quello che è
segno di Dio, parola di Dio, mentre invece la Realtà è una sola.
La realtà è Dio creatore.
È Dio che crea, è Dio che opera, è Dio che
parla con l’uomo.
Uno solo è il Signore Dio tuo, non avrai
altro Dio all’infuori di Lui.
Uno solo è il Padre tuo, non avrai altro
padre all’infuori di Lui.
Uno solo è il tuo Maestro, non avrai altro
maestro all’infuori di Lui.
Questo è il centro di tutto, la grande realtà
e tutto è segno di Dio, tutto è opera di Dio.
L’uomo invece può fermarsi, può raccogliere
pietre lungo il cammino.
Ed a un certo momento l’uomo è paralizzato.
L’uomo è un essere che si paralizza.
Incomincia a camminare e poi a un certo
momento non ce la fa più, resta disperso e paralizzato.
Appunto perché si rivolge alle creature, vive
per le creature, fossero anche creature santissime.
Vive per conoscere le creature, vive per
conoscere il mondo.
E qui l’uomo si paralizza.
Si paralizza, si confonde e si disperde e
trova la morte.
Il problema è quello d’imparare a essere con
Dio come Dio è con noi.
Abbiamo visto che Dio è con noi, nessuno lo
può smentire.
Se Dio non fosse con noi questi discorsi non
sarebbero assolutamente capibili.
Se tutti gli uomini hanno questa fame di
assoluto, questo bisogno di dare un senso alle cose è perché gli uomini portano
in sé, indipendentemente da sé la presenza di Dio.
Dio è con noi.
Dio è dentro di noi.
E bisogna imparare ad essere con Dio come Dio
è con noi.
Sapendo come Dio è con noi, bisogna essere
con Dio come Dio è con noi.
Ma cosa significa e come può essere Dio con
noi?
Dio è con noi in quanto dona a noi il suo
pensiero.
Dio dona a noi il suo pensiero.
La condizione per essere con Lui come Lui è
con noi, è quella di donare noi a Lui il nostro pensiero.
Dio dona a noi il suo pensiero e noi siamo
portatori del pensiero di Dio.
Anche se non ne sappiamo niente.
E non ne sappiamo niente,
Non sappiamo quale dono noi portiamo in noi.
Noi siamo mistero a noi stessi.
E sarebbe assurdo se non fossimo mistero a
noi stessi.
Noi siamo mistero a noi stessi ed è mistero
quello che portiamo in noi.
Noi portiamo Dio in noi.
Noi portiamo il pensiero di Dio in noi e non
lo sappiamo.
Non lo sappiamo perché questo mistero, questa
presenza di Dio in noi è data a noi senza di noi.
E tutto quello che è in noi indipendentemente
da noi, non è conosciuto da noi.
Noi siamo incoscienti, inconsapevoli dei doni
di Dio che portiamo in noi.
Proprio per arrivare alla consapevolezza e
per restare con Dio, la condizione è quella di offrire a Dio il nostro
pensiero, poiché Lui per primo ha offerto a noi il suo pensiero.
E abbiamo visto che offrendo a Dio il nostro
pensiero, qui succede una meraviglia: pensando Dio, da Dio, noi siamo fatti
consapevoli che il pensiero con cui noi pensiamo Dio, è il Pensiero di Dio.
Abbiamo detto che Dio dice a noi: “Questo è
mio”.
E questo è significato in tutta l’opera di
Dio, perché Dio in tutte le cose, non fa altro che significare il suo pensiero
principale.
L’infinito di Dio, nella creazione finita, si
significa in una molteplicità infinita.
L’infinito di Dio per significarsi nel nostro
finito, crea questa molteplicità di creature all’infinito.
Ma notate bene che l’infinito è infinito in
ogni suo punto.
Per cui se noi osserviamo un filo d’erba, noi
troviamo tutto l’infinito, tutto l’universo nel filo d’erba.
Se noi osserviamo una pietruzza noi troviamo
tutto l’infinito, tutto l’universo.
E la meraviglia di Dio è questa, che in ogni
punto c’è tutto l’infinito.
Noi non abbiamo bisogno di correre per
l’universo per conoscere l’universo, basta fermarsi in un punto.
In quel punto lì c’è tutto l’infinito.
Sulla punta del mio dito c’è tutto
l’universo.
Quindi il problema non è di correre, il
problema è quello di fermarsi.
E di approfondire.
Di meditare.
Di capire.
Perché l’infinito è infinito in ogni punto e le
significazioni dell’infinito sono infinite in ogni punto.
Quindi l’uomo deve smettere di correre, di
agitarsi, di agire, il problema non è quello, il problema è quello di capire.
In
questa creazione, in questo universo meraviglioso a un certo momento, Dio
prende un punto solo dell’universo e ti dice: “Questo è mio”.
E te lo dice in un modo che tutta la storia,
tutti gli uomini, passati e futuri non possono infirmare quest’affermazione di
Dio: “Questo è mio”.
E noi abbiamo il Cristo, il Dio tra noi.
Il “Dio tra noi” è Dio che prende un punto
della sua creazione, lo sposa a Sé e dice: “Questo è mio”.
Tutto il resto lo lascia a noi, in questo
mondo in cui tutti noi, per la passione d’infinito che portiamo in noi,
tendiamo a scrivere il nostro nome su tutte le creature.
Tendiamo a dire: “Questo, è mio, questo è
mio, questo è mio”.
E l’uomo sa, che nella sua corsa nella vita,
più riesce a mettere il suo nome, su creature e cose (la passione dell’io si
proietta nel possesso), più aumenta la sua gloria.
E Dio lo lascia fare, perché questa è la
condizione affinché l’uomo possa essere consapevole del suo io.
L’uomo è consapevole del suo io in quanto può
affermare il suo io.
E Dio lascia parlare l’uomo.
In realtà, l’unico che parla in tutto
l’universo è Dio.
Eppure questo unico Uno che parla in tutto
l’universo, lascia parlare tutti gli uomini.
Tutti gli uomini parlano e noi ci accorgiamo
che, se c’è uno che fa silenzio e tace è Dio.
Eppure Dio conquista con il suo silenzio e
tutti gli uomini con tutto il loro rumore, non fanno altro che creare della
noia, della stanchezza e della vecchiaia.
Però in quest’universo, in cui tutti gli
uomini scrivono o desiderano scrivere su tutte le creature il proprio nome e
dire “Questo è mio”, Dio si riserva un punto solo e dice: “Questo è mio”.
E lo dice in un modo che più nessuno può
alterare quel nome: è il segno del Cristo tra noi, del Dio tra noi.
Ma poi abbiamo l’altro segno ed è nella
messa.
A un certo momento nella messa, noi abbiamo
questa meraviglia.
A un certo momento, su un punto, un pezzo di
pane,un po’ di vino, una cosa qualunque, Gesù dice: “Questo è mio”.
In un punto, in un punto solo Gesù dice:
“Questo è mio”.
E io voglio sfidare chiunque voglia alterare
o cancellare questa parola.
Un punto che Dio riserva per Sé.
E quando ha detto “questo è mio”, poi ce lo
dà da mangiare, da assimilare, da capire.
Prima Lui dice “Questo è mio” e poi ce lo dà
da mangiare e ci dice: “Questo lo devi capire”.
E soltanto se lo capisci quello ti forma la
comunione.
Qui capisci qual’è la condizione per potere
essere in unione con Dio.
La vita è data dall’unione e perdere l’unione
con Dio vuol dire necessariamente esperimentare la morte.
Noi siamo immortali, perché siamo creati per
una vita all’infinito, noi corriamo il rischio disperdendo, cioè non capendo di
inoltrarci in una morte infinita.
C’è questa morte che non finisce mai.
L’uomo corre questo rischio di non finire mai
di morire.
Una crisi che si può perpetuare in eterno.
Una morte che si diffonde su tutto.
Perché “quel verme non muore” dice il
Signore.
Ecco i segni di questa meraviglia di Dio che
dice al nostro pensiero: “Questo è mio”.
Fa Suo il pensiero che noi offriamo a Lui.
Offrire vuol dire dedicare il pensiero.
Offrire il pensiero non vuol mica dire fare un
voto o offrire delle parole.
Offrire il pensiero vuol dire dedicarsi a
pensare.
E ci si dedica a pensare in quanto si cerca
di capire.
Quindi in quanto l’uomo s’impegna a pensare
Dio per conoscere Dio, su questo pensiero Dio pronuncia queste parole stupende
e meravigliose che trasfigurano: “Questo è mio”, “Questo è il mio Pensiero”.
Noi credevamo che fosse il nostro pensiero,
tanto da ritenere che Dio fosse l’oggetto del nostro pensiero: “Sono io che
penso Dio”, noi ci troviamo con questa meraviglia del Dio che dice: “Questo è
il mio pensiero”.
E Lui diventa il soggetto, il principio di
questo “mio” pensiero.
Io credevo d’essere io a pensare e invece è
Lui che mi fa pensare.
Ecco il capovolgimento che avviene.
Finora abbiamo visto le condizioni per
restare uniti al Creatore, a Dio: la sintonia d’intenzioni, sopratutto il fine.
Perché quello che mantiene unito,
organicamente unito il nostro essere, è il fine.
E bisogna averlo molto chiaro il fine, è la
prima cosa il fine.
La prima creazione di Dio è stata la luce.
E la luce è il fine.
Dio ha creato tutte le cose in questa luce.
L’universo è tutto luce.
I confini di questo universo che per noi è
infinito (ma non lo è), poiché è segno dell’Infinito, i confini dell’universo
sono la velocità della luce.
Tutto l’universo, tutta la creazione, tutte
le creature sono delimitate dalla luce stessa.
Essere con Dio come Dio è con noi, è la
condizione in terra per non perdere
l’unione con Dio, per evitare la morte, la dispersione.
Ma scoperto questo, scoperto questo Dio che
quando lo pensiamo dice a noi che il nostro pensiero è il suo Pensiero, qui si
apre un altro problema, ed è il problema che c’introduce nel cielo di Dio.
Prima abbiamo considerato le condizioni per
restare uniti a Dio, adesso Dio che fa suo il nostro pensiero ci apre al
problema del rapporto tra il Pensiero di Dio e Dio.
Dell’unione che c’è tra il Figlio ed il
Padre.
Ed è questo che ci fa entrare nel cielo di
Dio.
E ci pone un altro problema.
Non è più il problema della nostra unione con
Dio, è il problema dell’unione del Figlio con il Padre, è il problema
dell’unione del Figlio di Dio con Dio.
Senza Dio non c’è più fine nella nostra vita,
perché tutti i fini per cui noi viviamo ci scavano la fossa, perché quando i
fini crollano, crolla il significato della nostra vita e senza significato la
nostra vita non può più essere voluta.
Tutte le espressioni di unione con Dio, qui
sulla nostra terra sono espressione di un altra Unione, ed è soltanto trovando,
conoscendo quell’Unione lì, noi troviamo la matrice di tutte le unioni terrene.
E la matrice di queste unioni, è l’Unione che
passa tra il Figlio e il Padre nel cielo di Dio.
Tra il Pensiero di Dio e l’Essere di Dio.
Ed è soltanto conoscendo questa che noi
entriamo là, dove tutto è riferito a Dio.
Perché tutte le unioni qui in terra, hanno
sempre come punti fissi di riferimento dei segni di Dio esperimentati da noi.
Ma le vere giustificazioni sono nel cielo di
Dio.
Là dove il punto fisso di riferimento è
l’essere assoluto, è Dio, è il Padre.
Soltanto qui le cose si conoscono veramente.
Soltanto in quanto si ha Dio come unico punto
fisso di riferimento.
Ecco perché Dio, assorbendo a Sé il suo
pensiero e facendolo suo pensiero, perché è suo pensiero, c’introduce nella
vera conoscenza.
“Io e il Padre siamo uno”.
Sono parole.
Certo sono parole.
Perché all’uomo che è nella notte, all’uomo
che ha gli occhi pieni di terra, all’uomo che vive nel pensiero del suo io, si
possono far giungere soltanto parole.
Nient’altro che parole.
Ed è la parola che fa da ponte tra il finito
in cui si trova l’uomo e l’infinito di Dio.
Ma se l’uomo non supera questo ponte, resta
alla parola.
E la parola non ti dà vita, la parola non ti
nutre, la parola non ti unisce, è lo spirito che unisce.
Però questa parola è necessaria, fa da ponte
e il ponte è necessario.
Però quando ci si offre un ponte, bisogna
attraversarlo questo ponte.
E questa parola qui di Gesù che annuncia: “Io
e il Padre siamo uno” fa da ponte tra il nostro bisogno di unità (vita) e
quello che Lui ci annuncia.
Ci annuncia una cosa di cui non capiamo
assolutamente niente.
Fintanto che Lui ci parla di finalità, di
accordo con Lui, di sintonia d’intenzioni, noi capiamo, perchè le intenzioni
noi le portiamo, il fine noi sappiamo cos’è.
Il nostro vivere è sempre tendere ad un fine,
perché giorno per giorno noi abbiamo sempre qualche finalità da raggiungere.
E ci accorgiamo che viviamo in quanto abbiamo
dei fini da raggiungere.
Quindi questo linguaggio di Dio noi lo
intendiamo sulla nostra terra.
Questo è un linguaggio che noi intendiamo.
Ma quando Lui ci annuncia: “Io e il Padre
siamo uno” noi non abbiamo nessun punto d’appoggio sulla nostra terra per
verificare queste parole.
Sulla nostra terra non c’è nessun essere che
formi una sola cosa con un altro essere.
I segni si caratterizzano in questo: dove c’è
uno, non ci può essere l’altro.
Non si realizza mai l’unità.
E non si può realizzare l’unità, perché
l’unità è nel cielo.
È nel cielo là, dove “Io e il Padre siamo
uno”.
Se Gesù ci dice queste parole, in quanto ce
le dice è perché è cibo che Lui ci offre da mangiare, da assimilare, da capire.
Ma come possiamo capire, assimilare parole
che ci dicono cose di cui non abbiamo alcun metro di verifica?
Sulla nostra terra non c’è questo metro.
Alla conclusione dei problemi di unione tra
la creatura e il Creatore alla quale siamo giunti e che si concretizza in quel
“Questo è mio” che Dio dice al nostro pensiero quando noi pensiamo Dio.
Se noi non pensiamo Dio per conoscere Dio,
noi non udiremo in eterno quel: “Questo è mio” di Dio sul nostro pensiero.
Quest’affermazione (non a parole) la ode
soltanto colui che pensa Dio e pensa Dio per conoscere Dio.
E quindi prende contatto con Dio.
Il problema non è studiare, meditare,
imparare a memoria o registrare tutte le parole di Dio o il Vangelo.
Il problema è questo rapporto personale del
nostro pensiero (che non è nostro) che personalmente e intimamente prende
contatto con questa realtà divina che porta con sé, con questo Dio che porta in
sé, per conoscerlo.
Perché soltanto pensando Dio, si può
conoscere Dio.
Soltanto l’anima che personalmente e
intimamente pensa Dio, può sentire queste parole stupende e meravigliose di Dio
che concludono tutto questo mondo terreno di vita: “Questo pensiero è mio
Pensiero”.
Questa conclusione si abbina a quell’altra
parola di Dio che ci lancia nel cielo e che si abbina con quest’affermazione:
“Questo è mio” e che ci apre al cielo di Dio: “Io e il Padre siamo uno”.
E qui si tratta di capire che cosa Gesù ci
vuole significare.
Se Dio parla, parla per comunicare qualcosa.
Dio che dice: “Io e il Padre siamo uno”, cosa
vuole comunicare a noi?
A noi che non capiamo assolutamente cosa
vogliano dire queste parole.
Parole che ci lanciano nel cielo di Dio.
E il cielo di Dio è costituito da Dio stesso.
Ed è soltanto in Dio e soltanto da Dio che
noi possiamo verificare queste parole.
A questo punto non è più la realtà terrena,
non sono più i segni che possono illuminare la verità delle parole che gli
vengono dette.
Soltanto la realtà divina può illuminare
queste parole.
Questa parola Dio la dice, dopo che l’anima
si è sentita dire da Dio sul proprio pensiero: “Questo è mio”.
Altrimenti non può capire assolutamente
niente.
Adesso Dio ha fatto suo il pensiero della
creatura, per cui la creatura ha preso consapevolezza che il pensiero con cui
pensa Dio è il Pensiero di Dio.
Con questo Pensiero di Dio, adesso la
creatura si lancia su queste parole “Io e il Padre siamo uno”.
E non è più la creatura ma è il Pensiero di
Dio che si lancia su queste parole.
È col Pensiero di Dio che si può capire,
perché il Pensiero di Dio pensa Dio.
E il pensiero di Dio, essendo puro pensiero
di Dio, contemplando Dio, contempla il suo principio.
Contemplando l’essere assoluto, contempla ciò
che genera l’essere assoluto.
Questo essere assoluto che appunto perché è
assoluto, è perfetta conoscenza di Sé, consapevolezza di Sé.
E il Pensiero che lo pensa è conoscenza di
quello che ha presente.
E conoscendo l’essere assoluto, cioè
conoscendo il Padre, vede quello che il Padre opera, vede quello che il Padre
genera e conosce Se stesso.
“Io e il Padre siamo uno” e ci stiamo
chiedendo cosa significhi questo essere uno.
L’unità che c’è tra Padre e Figlio è
determinata da questa comunicazione dell’essere tra Padre e Figlio.
Comunicazione che avviene solo attraverso la
conoscenza.
Tutto avviene nel campo del pensiero.
E noi potremo fare quest’opera qui solo dopo
che Dio ha detto sul nostro pensiero: “Questo è mio”.
Quindi è soltanto col Pensiero di Dio che noi
possiamo sprofondarci, per opera del Figlio, nella conoscenza del Padre.
Qui c’è il grande capovolgimento.
Quindi solo conoscendo si riceve l’essere, il
Figlio riceve l’essere del Padre.
Il Padre è l’essere assoluto e comunica
soltanto Se stesso.
Il Figlio guardando il Padre, conoscendo il
Padre, riceve l’essere del Padre.
Per cui tra Padre e Figlio l’essere è uno
solo.
Ed è questo che stabilisce una cosa sola, per
cui Padre e Figlio sono due persone distinte ma l’essere è uno solo.
Ed è l’essere del Padre.
L’essere assoluto.
Però questa comunicazione di essere avviene
attraverso la conoscenza.
C’è il capovolgimento.
Perché tra i segni di Dio sulla nostra terra,
tutto noi percepiamo, prima ricevendo l’essere, la presenza e poi conosciamo.
Noi arriviamo a conoscere dopo.
Le cose arrivano a noi indipendentemente da
noi
Noi costatiamo le presenze, la realtà.
Quindi noi prima esperimentiamo e poi
conosciamo.
Nel regno dello Spirito che è il regno
eterno, si trova la realtà, si trova l’essere dopo la conoscenza.
Soltanto conoscendo la Verità, si trova la
Verità.
Dio è la Verità, soltanto conoscendo Dio si
trova Dio.
E trovare Dio è ricevere la comunicazione
dell’essere.
Dio comunica solo Se stesso.
E siccome questo essere è uno solo ecco che
attraverso la conoscenza si riceve l’essere.
Ma se attraverso la conoscenza si riceve
l’essere, conoscere è essere.
Ma il non conoscere è il non essere.
Non conoscere è fare esperienza di non
essere.
Ed è la morte.
L’uomo corre il rischio di fare esperienza di
non essere.
Senza annullarsi mai.
Perché anche il non essere è segno
dell’essere non conosciuto, è testimonianza dell’essere non conosciuto.
E allora noi abbiamo questi due grandi punti
d’arrivo nella vita dell’uomo.
Inferno e paradiso.
E l’inferno è la non conoscenza.
La non conoscenza non mi annulla l’essere ma
non mi comunica l’essere.
E non mi fa una sola cosa con Dio.
Il paradiso è conoscenza.
I due termini sono soltanto questi:
conoscenza e non conoscenza.
Nella non conoscenza l’essere non passa al
non essere, però nella conoscenza comunica Se stesso e là dove non si conosce,
l’essere afferma Se stesso.
Dio afferma Se stesso.
La non conoscenza non annulla l’essere però
rende incapaci di ricevere la comunicazione dell’essere ed è l’inferno.
Il paradiso invece è la conoscenza
dell’essere.
Il che vuol dire che attraverso la
conoscenza, c’è la comunicazione dell’essere.
Nella comunicazione dell’essere si forma una
sola cosa con Dio.
Qui si può capire quello che dice Gesù: “Io e
il Padre siamo uno”.
Anche noi, essendo persone distinte, siamo chiamati
attraverso la conoscenza a ricevere la comunicazione dell’essere e a formare
una sola cosa con Colui che è.
GV 10 VS 30 - Io e il Padre siamo
una cosa sola.
RIASSUNTI - Domenica - Lunedì
Argomenti:
2-3/ Febbraio /1992