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GV 10 VS 28 - Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.


Primo tema – Capacità di vita eterna.


Argomenti: Le tre capacità dell’uomo. La testimonianza nell’uomo della vita eterna e nella parola di Dio. La vita eterna è riservata alle pecore di Dio. La vita eterna sta nel conoscere. Vivere è tendere ad un fine. Il problema del valutare Dio. Le valutazioni si fanno nel pensiero. La volontà ubbidisce ai valori. La perdita della capacità di volere. La vita eterna sta nella capacità di occuparci di ciò che è eterno. La manifestazione della Verità sull’uomo. 


 

20-21/ Ottobre /1991


Abbiamo visto le volte precedenti, come nell’uomo si formi la capacità di ascoltare e la capacità di conoscere e la capacità di seguire.

Sono tre capacità che non sono naturali all’uomo ma che si formano nell’uomo non senza l’uomo, richiedono all’uomo una presenza.

Abbiamo portato l’esempio dell’acqua: nessuno può conoscere la voce dell’acqua se personalmente non è stato presente all’acqua e personalmente non ha udito il rumore, la voce dell’acqua.

Abbiamo visto che nessuno può conoscere la voce di una persona, se non è stato lui personalmente presente a quella persona e non ha conosciuto la voce di quella persona.

Per cui abbiamo detto che nell’uomo, sia la capacita di ascoltare, di conoscere e di seguire sono sempre conseguenza di una presenza, una presenza che non avviene senza di noi.

In conseguenza di questa presenza si forma la capacità, altrimenti non si forma la capacità.

L’uomo può trovarsi immerso in una infinità di voci e trovarsi nella impossibilità di riconoscere, d’individuare una voce.

In realtà noi siamo immersi in un mare di voci di Dio.

Tutto è voce di Dio.

Ma abbiamo una grande difficoltà a riconoscere e ad individuare la voce di Dio.

Ed è della massima importanza per noi, questa capacità di riconoscere la voce di uno.

Perché è attraverso la voce che noi siamo convocati alla presenza.

Se noi non siamo capaci d’individuare la voce di Dio veniamo tagliati fuori dalla possibilità di essere convocati alla presenza di Dio e senza presenza di Dio si fa esperienza di morte.

Avendo visto queste tre capacità che si formano nell’uomo, non senza l’uomo,

per cui l’uomo è informato da esse, adesso abbiamo la possibilità di aprirci a questo grande argomento a cui accenna qui Gesù: “Io do loro la vita eterna”.

Dice: “Io” ed è una singolarità, presenza insostituibile.

Dicendo: “Io do loro la vita eterna”, vuol dire che al di fuori del Figlio, nessuna creatura, nessuna istituzione, nessuna regola può dare a noi la vita eterna.

È parola di Dio: “Io do loro la vita eterna”.

“Do a loro”, a “loro” chi?

A coloro che hanno formato in sé, la capacità di ascoltare, di conoscere e di seguire.

È la premessa.

Dicendo “loro”esclude da questa possibilità di ricevere la vita eterna, coloro che non hanno formato in sé la capacità di ascoltare, di conoscere e di seguirePer cui questa è una sintesi, una conclusione.

“Io do loro la vita eterna”.

Noi ci troviamo in una realtà che è ben diversa dalla vita eterna.

Tutto per noi è soggetto al tempo, tutto nasce cambia, passa e muore.

Anche noi nasciamo passiamo moriamo.

Facciamo un certo numero di giri attorno al sole e poi scompariamo.

Che senso ha tutto questo?

È  come se salissimo su una giostra e poi si scende.

Che significato ha tutto questo?

E a noi immersi in questo universo, tutto soggetto al tempo, tutto soggetto al mutare, tutto soggetto a scomparire, ci viene annunciata questa parola: “Io do loro la vita eterna”.

Ma è possibile?

Vita eterna vuol dire cosa che non può essere tolta.

Una vita che rimane sempre!

E viene annunciata a noi che tra pochi anni moriremo e saremo sepolti nella terra, riciclati.

Eppure viene annunciata a noi, quasi a dire che noi facciamo un certo numero di giri sulla giostra ma in questo numero di giri sulla giostra ci viene offerta la possibilità di uscire dal tempo e di entrare nella vita eterna.

Una vita per sempre.

È parola di Dio!

È un’offerta che Dio fa.

D’altronde noi stessi capiamo il non senso, il non significato di vivere per cose che passano.

È vero questo?

È possibile?

Due sono le testimonianze che portiamo in noi di questa possibilità.

Primo: l’assurdo, il non senso, il non significato che tutti noi proviamo, esperimentiamo nel vivere per delle cose che passano.

Tutti gli uomini si chiedono che senso ha il vivere?

A cosa serve questa vita?

Mangiare, vestirsi, alzarsi e poi ritornare a mangiare e poi ritornare a lavorare e poi di nuovo dormire e poi di nuovo alzarsi.

Che senso ha tutto questo?

E tutti i giorni si lavora, si fatica, si guadagna e si spende...che senso ha tutto questo?

Questo senso d’assurdo che ci accompagna di fronte a tutto questo mondo che passa e a noi stessi che passiamo, questa è una prova, è una testimonianza dell’esistenza della vita eterna.

Noi stessi siamo una fame di vita eterna perché costatiamo l’inutilità di tutto ciò che non è eterno.

La prima testimonianza è il bisogno che noi abbiamo di capire il senso, il significato della cose e della vita.

A che serve vivere?

Questo è testimonianza della vita eterna e del destino per il quale siamo stati creati, perché noi patiamo a vivere per delle cose che passano, che ci vengono portate via.

Tutto questo è una prova scritta nella nostra stessa carne, nella nostra stessa vita che c’è una vita eterna.

Sarà difficile arrivarci, tutto quello che si vuole, però questa vita eterna c’è.

Noi con la nostra tribolazione, le nostre sofferenze e il senso di assurdità di fronte a tutto ciò che passa, testimoniamo la verità di questa vita eterna.

Due sono le testimonianze della vita eterna, la prima è questa che portiamo in noi, la seconda è la parola di Dio.

Dio parla di vita eterna, Dio ci assicura la vita eterna.

Quindi noi abbiamo la testimonianza della parola di Dio e la testimonianza del bisogno che abbiamo in noi di approdare a questa vita eterna.

Però Gesù dice: “Io do loro”.

Questa vita eterna, già in quest’annuncio viene condizionata dall’essere pecora di Dio e abbiamo visto che “sue pecore” sono coloro che s’affacciano a quella balconata dell’eternità, che guardano le cose da Dio, che cominciano  a guardare le cose da Dio.

Pecore di Dio sono quelle che hanno formato  in sé la capacità di ascoltatre e riconoscere la voce di Dio, che hanno capito qual’è il principio da cui s’inizia a conoscere e soprattutto che hanno formato in sé la capacità di seguire Colui che parla loro di Dio.

Gesù dice: “Io do loro”, a costoro, non agli altri, ma a costoro dà la vita eterna.

E cosa è questa vita eterna?

E anche qui abbiamo la parola di Dio, chiarissima, nettissima: “La vita eterna è conoscere Te Padre e Colui che tu hai mandato”.

La vita eterna sta nel conoscere.

La salvezza, la vita eterna sta nella verità; “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la  Verità”.

La salvezza sta nel conoscere Dio.

La vita eterna sta nel conoscere Dio.

Questo è ciò che Dio promette.

Noi facciamo consistere la vita nel fare, nel guadagnare, nel lavorare, nell’accumulare ma come è possibile che la vita stia nella conoscenza?

E Gesù è chiaro qui, la vita sta nella conoscenza.

Come è possibile che la conoscenza sia vita?

Ed è possibile comunicare questo a noi che siamo creature finite?

È possibile che l’infinito si comunichi a noi che ieri eravamo niente, che oggi siamo un sospiro, un desiderio e che domani ritorneremo nel niente?

È come chiederci se l’oceano quasi infinito si possa racchiudere in un secchiello, in un niente.

Eppure Gesù dice: “Io do loro la vita eterna”, cioè: “Io do loro la conoscenza di Dio come vero Dio”.

La conoscenza della verità è una promessa: “Conoscerete la Verità”.

E noi diciamo che è parola di Dio.

Noi ci troviamo quindi con questa realtà che pesa su di noi in modo terribile, il problema del denaro, del guadagno, del lavorare, del faticare, del formarsi una famiglia, dell’avere una casa e a noi, immersi in questa realtà viene annunciata questa meraviglia, Cristo, questo “Io” promette a noi la possibilità di giungere a conoscere Dio come vero Dio.

Non solo ma fa consistere in questa conoscenza di Dio la vita.

Come è possibile che la conoscenza possa essere vita?

La conoscenza di Dio è vita ad una condizione sola, solo se noi viviamo per conoscere Dio.

Solo se noi viviamo per conoscere Dio, la conoscenza di Dio diventa nostra vita.

Uguale-uguale.

Solo chi vive per conoscere Dio trova nella conoscenza di Dio la sua vita-

Questo ci fa capire perché sia difficile approdare a questa conoscenza.

Perché fintanto che noi viviamo per altro da Dio, fossero pure scopi nobilissimi non possiamo conoscere Dio.

Possiamo vivere per una famiglia, per un istituzione, possiamo vivere per il prossimo, possiamo vivere per fare della carriere ma possiamo anche vivere per la scienza, possiamo vivere per fare del bene agli altri, per sacrificare tutto di noi agli altri, possono anche farci dei monumenti ma fintanto che non si vive per conoscere Dio, la conoscenza di Dio non è nostra vita.

E allora qui dobbiamo approfondire.

Per cercare di capire.

Perché soltanto vivendo per-, quello diventa mia vita.

Cosa vuol dire vivere?

Vivere vuol dire avere la possibilità, la capacità di dedicarsi a qualche cosa, di dedicarsi per raggiungere un fine.

E noi vediamo che tutti gli uomini vivendo, tendono a raggiungere qualche fine.

La vita è raggiungere qualche fine, è assimilare, unificare raccogliere.

La vita è tendere a una meta.

Però ci sono degli uomini che non assimilano, che non raccolgono, se noi mettiamo del cibo vicino a una pietra, noi ci accorgiamo che non assimila niente.

Perché nel nostro mondo c’è questo esempio terribile: le pietre?

C’è la roccia, c’è il monte, c’è la materia, c’è la pietra.

Perché Dio ci presenta la lezione della pietra?

Noi mettiamo qualsiasi cibo vicino alla pietra e la pietra non assimila, il pane resta pane e la pietra resta pietra.

Se mettiamo il pane vicino ad un animale, l’animale assimila il pane, ma se noi vicino all’animale mettiamo un libro, l’animale non assimila il libro.

Tutto è segno.

Perché l’uomo può essere pietra, può essere pianta, può essere animale, può essere uomo.

Ci sono uomini a cui possiamo mettere vicino l’annuncio di Dio, il pane di Dio, la parola di Dio e sono pietre e non assimilano niente.

La parola di Dio resta parola di Dio e l’uomo continua a restare pietra.

Gli animali assimilano il cibo ma non assimilano lo spirito.

Soltanto l’uomo può assimilare lo spirito, perché?

Se noi mettiamo un libro accanto a una gallina, la gallina non sa che farsene del libro.

Mettiamo un libro accanto all’uomo e l’uomo forse sa farne qualche cosa di quel libro.

Se parliamo di Dio ad un animale, l’animale non sa cosa farsene di questo parlare di Dio.

Parliamo di Dio all’uomo e l’uomo intende qualche cosa.

Però ci può essere l’uomo che non sa farsene niente del parlare di Dio.

Attorno a noi, nel mondo, Dio non fa altro che significare Se stesso e quindi significa anche noi e se davanti a noi ci sono delle pietre, è perché ci sono uomini che possono essere pietre, siamo noi che possiamo essere pietre.

E la pietra non riceve seme e non produce frutto e non assimila niente.

E vivere è essenzialmente ricevere un seme e produrre frutto.

Che cosa c’è di diverso nell’uomo che accanto alla parola di Dio, all’annuncio di Dio, può ricevere il seme, custodirlo, meditarlo e portare frutto?

E il frutto è la conoscenza di Dio.

Ecco, la vita è questa capacità di dedicarsi a qualche cosa.

C’è chi si dedica ai campi, c’è chi si dedica ad un azienda, chi si dedica al lavoro, alla famiglia, chi si dedica ad un istituto, chi si dedica al prossimo, chi si dedica a se stesso e la vita sta nel dedicarsi a-.

Però la parola di Dio dice nettamente che la vita sta nel conoscere Lui.

E se la vita vuol dire dedicarsi a-, fintanto che noi non ci dedichiamo a Dio, a conoscere Dio, noi non troviamo la vita.

Come mai ci possono essere uomini come pietre o come animali o degli uomini invece che ricevono il seme e si dedicano a questo seme.

Il seme è un annuncio e l’annuncio è questo: Dio c’è.

Dio è il creatore e tu uomo sei stato creato per conoscere Dio.

Ci sono uomini che ricevono questa parola di Dio e ascoltando questo annuncio, incominciano a custodirlo, a meditarlo e incominciano a vivere per-.

Per che cosa?

Per quello che l’annuncio dice.

La voce ha questo potere meraviglioso, quello di convocarci a una presenza.

E c’è questa voce nella vita di ogni uomo: Dio c’è, Dio è il tuo creatore e Dio ti ha creato per conoscere Lui.

E questa è voce e se noi ascoltiamo questa voce, questa voce ci convoca, ci convoca dove?

Ci convoca a vivere per ciò che ci annuncia.

Ci convoca a vivere per conoscere Dio.

E soltanto coloro che vivono per conoscere Dio, trovano nella conoscenza di Dio la vita.

Come mai c’è negli uomini questa diversità?

Questa diversità di finalità e di vita: si vive per tante cose.

Come mai di fronte a questa unica Parola uguale per tutti: “La vita sta nel conoscere Dio” ci sono risposte differenti?

Il problema di fondo è un problema di valori e di valutazione.

Tutto dipende da ciò che l’uomo mette prima di tutto.

E perché ci sono uomini che mettono prima di tutto il lavorare, il guadagnare, l’azienda, un’istituzione, un comportamento nel mondo, un modo di essere, perché ci sono queste differenziazioni?

Dio solo è Colui che è al di sopra di tutto e perché ci sono uomini che mettono altro al di sopra di tutto?

Altro interesse, altro motivo, altro scopo di vita.

Perché?

Non è un problema di volontà, è problema di valutazione.

Di stima.

Ogni uomo dentro di sé compie una certa valutazione, dà una certa stima di fronte a tutto quello che gli si presenta: questo vale molto, questo vale poco.

E ci sono uomini che ritengono che il problema di Dio valga niente: è un problema astratto, non si vede e non si tocca, il problema è un altro, è quello di mangiare e di vestire o raggiungere una certa gloria nel mondo.

E ci sono invece uomini che ritengono che Dio sia tutto.

Come mai c’è questa differenziazione qui, in uomini che sono tutti creati da Dio?

È un problema di valutazione.

Ma perché ci sono uomini che valutano uno diverso dall’altro.

La valutazione non è problema di volontà, l’uomo non è libero, la libertà la si ha soltanto nella conoscenza della Verità.

La valutazione è un problema di pensiero, le valutazioni si fanno nel pensiero.

Cos’è che dentro di noi, nella nostra mente, tra i nostri pensieri, ci fa mettere prima di tutto qualcosa o altro?

Il problema si riduce qui a due termini soli: Dio e il nostro io.

Se il nostro io è la preoccupazione principale per noi, noi valutiamo nella nostra mente, nei nostri pensieri, importante, ciò che soddisfa il nostro io, ciò che risponde alle ambizioni del nostro io, ciò che fa essere il nostro io al centro di un piccolo o un grande mondo poco cambia.

Se invece noi abbiamo nella nostra mente Dio prima di tutto (giustizia) come punto fisso di riferimento, ogni valutazione è fatta in relazione a Dio: serve o non serve per conoscere Dio?

Mi aiuta o non mi aiuta per conoscere Dio?

È un problema di valori, perché soltanto da queste valutazioni, poi dopo l’uomo è fatto capace di volere.

La volontà ubbidisce ai valori ed è importantissimo questo.

La nostra volontà che è ciò con cui si determina il nostro vivere (tendere a-) è una funzione, una conseguenza di ciò che noi abbiamo valutato importante.

Ora, se noi abbiamo messo prima di tutto ciò che non è Dio (assoluto-eterno) noi siamo dipendenti da cose che sono soggette a mutamento, condizionate.

Teniamo presente che la volontà può volere soltanto in quanto vede un valore davanti a sé.

Arriva un momento certissimamente che quel valore che noi abbiamo messo prima di tutto crolla, ci delude, si annulla.

E cosa succede quando questo valore qui si annulla?

Guardate che qui è l’opera creatrice di Dio che mette un grosso tratto blu, sull’errore che noi abbiamo commesso.

Ci annulla il valore diverso da Dio che noi abbiamo messo prima di tutto.

Annullandoci il valore, facendoci cioè toccare con mano la delusione di ciò per cui noi siamo vissuti, annulla in noi la capacità di volere.

Noi perdiamo la capacità di vivere.

Le cose non hanno più senso, non hanno più significato.

La vita diventa insostenibile.

L’uomo incomincia a fare esperienza di morte.

Qui incominciamo a capire l’importanza nel valutare di mettere prima di tutto Dio.

Soltanto se noi mettiamo un valore eterno prima di tutto, nelle nostre valutazioni e quindi cominciamo a vivere per quel valore eterno, noi non saremo soggetti a questa vanificazione, di annullamento del valore per il quale noi siamo vissuti.

Quando viene annullato il valore per cui viviamo, noi non siamo più capaci di volere, quindi non siamo più capaci di vivere.

Le nostre capacità sono una conseguenza di quello che noi portiamo nel nostro pensiero, nella nostra mente.

Soltanto se dentro di noi abbiamo presente Dio, il pensiero di Dio, noi possiamo valutare rettamente quello che dobbiamo mettere prima di tutto.

Allora a questo punto la cosa è chiara, soltanto il pensiero di Dio dà a noi la possibilità di trovare ciò che è eterno, di mettere prima di tutto ciò che non è soggetto a mutamento.

Il pensiero di Dio è questo “Io” di Cristo: “Io vi do la vita eterna”, nessuno può dare la vita eterna, perché se tu non hai presente in te Dio come prima di tutto nel dare la valutazione delle cose, tu nel modo più assoluto non puoi avere la vita eterna.

Soltanto il pensiero di Dio dà a noi la possibilità, la capacità della corretta valutazione, cioè di mettere prima di tutto quello che va messo prima di tutto.

E prima di tutto va messo ciò che è eterno.

E allora qui concludiamo dicendo in cosa sta questa vita eterna.

La vita eterna sta nella capacità di occuparci di ciò che è eterno.

La vita eterna sta nella capacità di pensare Dio.

Notiamo bene che noi possiamo arrivare al punto da non essere più capaci di pensare ciò che è eterno.

Non siamo più in grado di occuparci di ciò che è eterno.

Non siamo in grado di dedicarci a ciò che è eterno.

Cristo ci reca la capacità, la possibilità di dedicarci a ciò che è eterno, ci reca la possibilità d’individuare ciò che è eterno e di vivere per ciò che è eterno.

E questa è la vita eterna che Cristo è venuto a darci.

Non a darcela con la nostra morte ma a darcela qui, perché noi siamo già qui nella vita eterna.

Però noi possiamo concludere la vita con un grande aborto.

Un aborto in cui tutte le nostre capacità svaniscono, cioè noi possiamo diventare incapaci di pensare Dio.

Incapaci di occuparci di Dio.

Incapaci di dedicarci a Dio.

Questo è l’aborto e questo è il fallimento della vita.

Cristo prima di tutto ci fa individuare l’unica cosa necessaria e ci dà la possibilità di vivere per ciò che è eterno.


Eligio: Cristo dà alle sue pecore la capacità di vita eterna.

Luigi: Capacità di dedicarsi a Dio.

Capacità di conoscere Dio.

Non è che al termine della vita, dopo aver vissuto per cose temporanee, io mi possa dedicare a conoscere Dio, non posso!

Cioè vivendo per delle cose che mutano, io perdo la capacità di occuparmi delle cose eterne, cioè perdo l’anima.

Non sono più capace, non so dove sbattere per occuparmi delle cose eterne.

La conoscenza di Dio, diventa vita per colui che vive per conoscere Dio.

Eligio: Si trova nella possibilità di conoscere Dio, colui che si affida totalmente all’Io di Cristo.

Luigi: L’Io di Cristo è la condizione per valutare in modo retto.

Tutto il problema della nostra vita è determinato dalla valutazione, in quello che io metto prima di tutto.

Se io tengo presente il mio io, io metto prima di tutto quello che risponde alla soddisfazione del mio io.

“Nessuno viene a me se non è attratto dal Padre”, per cui se non metto Dio al di sopra di tutto e non guardo le cose da Dio...

Il guardare le cose da Dio è proprio avere il pensiero di Dio e il pensiero di Dio è il Figlio.

Per cui è il Figlio che mi dà la possibilità di valutare rettamente ciò che è eterno, di riconoscere ciò che è eterno e di metterlo al di sopra di tutto e di vivere per quello, è lì che mi dà la vita eterna.

Eligio: L’importante è escludere tutto ciò che non è l’io di Cristo.

Luigi: Senza Dio, io do delle valutazioni necessariamente errate e divento figlio di queste valutazioni errate.

A un certo momento questi valori errati che ho posto alla base della mia vita vengono annullati.

Nel regno di Dio le valutazioni errate vengono annullate.

Annullate, io divento incapace di vivere, perdo la capacità di pensare e perdo la capacità di volere.

Perché io non posso nè pensare , nè volere se non sono sostenuto da un valore.

Quindi quando una cosa per me non vale più niente, quando mi ha deluso, io non sono più capace di volerla, sono reso impotente.

Ora, il Cristo è venuto per evitarci di essere ridotti a questa impotenza qui che è manifestazione della Verità su di noi.


GV 10 VS 28 - Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.


Secondo tema – Anoressia spirituale.


Argomenti: La vita eterna sta nella capacità dvi pensare ciò che è eterno. Le due testimonianze della morte. La capacità di riconoscere la voce del Padre: il Figlio. La volontà è condizionata dai valori. La valutazione. Sapere il proprio niente. Dio solo non muta. La morte glorifica Dio. La perdita della capacità di pensare e di volere. Schiavi del niente infinito. Il crollo del nostro mondo. “Fuggite ai monti”. Il senso di colpa dell’uomo verso Dio. La presenza di Dio è legata al nostro pensare. La ferita di Giacobbe. Dio è soltanto se l’uomo gli dà l’essere.


 

27-28/ Ottobre /1991


Domenica scorsa abbiamo visto la prima parte di questo versetto: “Io do loro la vita eterna”.

Oggi dobbiamo fermarci sulla seconda parte, la parte centrale: “Esse non periranno mai”.

È un’assicurazione, una promessa di Gesù, parola di Dio per noi e proprio perché parola di Dio, noi dobbiamo chiederci, quale lezione, quale significato ha e che cosa Dio vuole comunicarci con quest’affermazione: “Esse non periranno mai”.

“Esse” chi?

Le sue pecore.

Le pecore di Dio.

Basta accennare a questo per capire che ci sono invece pecore che periscono o perlomeno c’è il rischio di questo perire.

Abbiamo visto la volta scorsa in cosa consiste la vita eterna.

La vita eterna sta nella capacità di pensare ciò che è eterno.

Adesso che abbiamo visto questo, abbiamo la capacità di capire cosa vuole dire perire.

Perché se la vita eterna sta nella capacità di pensare ciò che è eterno, il perire sta nella incapacità di pensare ciò che è eterno.

Teniamo presente che se c’è una vita eterna, c’è anche il rischio di una morte eterna.

La vita eterna è una vita che non termina mai, va di luce in luce all’infinito, Dio è un infinito.

Questa vita sta nel conoscere Dio e abbiamo visto come la conoscenza di Dio sia vita, e vita eterna.

Ma se c’è una vita eterna, c’è anche una morte eterna o per lo meno il rischio di una morte eterna.

Cioè di una morte che non finisce mai.

Il rischio dell’uomo è questo: non arrivare mai a morire definitivamente.

Una morte crescente ma crescente all’infinito così come c’è una vita crescente all’infinito.

E noi dobbiamo chiederci: c’è?

È veramente così?

Gesù qui parla di perire, è parola di Dio, quindi vuol dire che c’è questo rischio.

Altrimenti non ne parlerebbe nemmeno, sarebbe tutto assicurato.

Noi però dobbiamo chiederci: questa morte perché c’è?

Che significato ha?

Forse Dio non può evitarci questo morire o questo rischio di morire?

Sul fatto che ci sia questo perire, abbiamo due testimonianze anche qui.

Abbiamo già visto che ci sono due testimonianze per la vita eterna.

Così ci sono anche due testimonianze per questa morte, in cui ogni uomo, essendo chiamato alla vita eterna, si trova nel rischio.

Due sono le testimonianze.

Prima di tutto la parola di Dio, Dio lo dice apertamente, parla della possibilità di restare chiusi fuori, di bussare invano ad una porta che non si apre.

Parla del rischio di essere gettati nelle tenebre dove è pianto e stridore di denti e dove apertamente Lui dice: “Il loro verme non muore”.

Questo verme che rode, ecco la morte all’infinito.

Questo verme che rode l’anima dell’uomo e non gli dà pace.

La prima testimonianza è quella della parola di Dio.

E poi c’è la testimonianza dell’uomo, l’uomo è un essere che soffre, è un essere che è in crisi, una crisi esistenziale, quando non può capire, quando si trova di fronte alla vanità del tutto, al crollo dei valori, al non senso delle cose o della vita.

L’uomo è un essere che fa esperienza di morte.

Abbiamo due testimonianze, tutte le opere di Dio si valgono di due testimonianze, i due testimoni e questo è sufficiente per renderci responsabili.

La prima testimonianza è quella della parola di Dio, noi possiamo anche non capirla ma non possiamo smentirla.

E la seconda testimonianza è quella che portiamo noi stessi dentro di noi.

Noi esperimentiamo la pace, la gioia, la felicità nel trovare la luce e questo è segno del destino per il quale Dio ci ha creati.

Questa primogenitura che Dio ci ha promesso.

La nostra gioia sta nel conoscere, sta nel capire.

Così, ognuno di noi fa esperienza di questa morte, fa esperienza della vanità di tutte le cose, soprattutto della vanità di ciò per cui lui sta vivendo o consumando la sua vita.

Ci sono queste testimonianze.

Ma noi dobbiamo anche chiederci che significato ha questo morire, questo perire?

O perlomeno questo rischio che grava su ogni uomo di perire.

Quello che caratterizza la vita è la finalità.

Non tutti gli uomini, pur essendo creati per uno stesso fine, vivono per lo stesso fine.

Dio vuole che tutti si salvino e giungano a vedere la Verità, questo è il fine, il destino per cui Dio ci ha creati.

Dio vuole che tutti entrino nella vita eterna, anzi ammonisce: “Sforzatevi di entrare nella vita eterna”.

Sforzatevi di entrare in questa conoscenza di Dio come vero Dio.

Però è altrettanto vero che ogni uomo ha un suo fine.

E noi dobbiamo chiederci coma mai, l’uomo creato per conoscere Dio, destinato a questo, l’uomo vive per altro.

Cosa succede nell’uomo che vive per altro da Dio?

E c’è da ringraziare il Signore, se almeno in punto di morte, l’uomo capisce e si rende conto del suo destino, di ciò per cui è stato creato.

Per quale motivo, cosa c’è?

Ogni uomo vive per qualche cosa, in quanto dentro di sé, ha dato valore a qualche cosa.

Il destino dell’uomo che da Dio è stato ben fissato, ben netto, nell’uomo subisce una deviazione, è affidato a una valutazione.

L’uomo dentro di sé determina, ciò per cui vuole vivere, ciò a cui vuole destinare la sua vita, ciò a cui vuole offrire il suo pensare, i suoi pensieri.

Ed è in questa valutazione che succede tutto, è nella mente dell’uomo.

L’uomo a un certo momento dà stima a qualcosa mette al di sopra di tutto qualcosa.

L’uomo può pensare una cosa sola per volta e proprio perché può pensare una sola cosa per volta, già pensando privilegia qualcosa.

Perché pensa ad una cosa anziché ad un altra?

Per quale motivo?

E per quale motivo non privilegia Dio.

Per quale motivo non pensa Dio?

Dio è il massimo valore.

Nessuno lo può smentire.

Eppure non è il nostro massimo valore.

Dio non è il massimo valore dell’uomo.

Abbiamo detto che il punto cruciale, deriva dal fatto che l’uomo tende a valorizzare ciò che per lui è significativo.

E se pensa a se stesso, significativo (valore) per lui è ciò che gli fa fare bella figura, è ciò che lo fa stimare dal mondo, piccolo o grande che sia.

Se l’uomo pensa a se stesso, mette in primo piano ciò che può esaltare, gonfiare il suo io davanti agli altri.

È un gioco di prestigio: l’uomo tende a cercare la propria gloria.

E Gesù stesso dice che chi cerca la propria gloria non può credere.

“Come potete credere voi che andate elemosinando la gloria gli uni dagli altri?”.

Chi cerca la propria gloria è sempre un mendicante, mendicante e cieco, anche se è ricchissimo, anche se è potente, anche se è primo ministro, è un cieco che ha bisogno che gli altri gli battano le mani, che gli altri lo ammirino, che gli altri gli dicano che lui è importante.

Ma se l’uomo sente il bisogno di elemosinare questo, è perché porta dentro di sé una grande convinzione, la convinzione di essere niente.

E allora ha bisogno di qualcuno che gli dica: “No, tu sei qualcuno, tu vali qualche cosa”.

Ma l’uomo sa di essere niente e se anche tutto il mondo gridasse la sua importanza, l’uomo sa, sa il suo niente.

E sa il suo niente perché non può ignorare Dio e allora fa un errore di valutazione grande quando lui cerca, esalta quei valori che sono significativi per il suo io.

Ben diversa è la stima, è la valutazione che l’uomo fa se tiene presente Dio.

Perché se l’uomo tiene presente Dio, cerca ciò che è significativo per Dio.

Cerca ciò che vale per Dio.

Qui l’uomo dà una giusta stima alle cose.

Il che vuol dire che soltanto con il pensiero di Dio, noi abbiamo la possibilità, di valorizzare e giudicare bene le cose.

Senza il pensiero di Dio, cioè nel pensiero del nostro io, noi necessariamente falsifichiamo i valori.

Per cui riteniamo importante ciò che non è importante, riteniamo significativo per noi ciò che non è significativo per noi.

Abbiamo detto che la vita eterna sta nella capacità di pensare ciò che è eterno.

L’uomo non ha in sé la capacita.

La capacità si forma nell’uomo in relazione a ciò che l’uomo ha presente.

Ricordo l’esempio dell’acqua, ricordo l’esempio delle persone, soltanto alla presenza di una persona, noi ci formiamo la capacità di riconoscere la voce di quella persona.

Soltanto alla presenza dell’acqua in noi si forma la capacità di riconoscere la voce dell’acqua.

E tutto è così, perché ho detto che tutto è voce.

Però ogni voce è sempre singolare di un essere, per cui soltanto dalla presenza dell’essere, è dato a noi formare in noi la capacità, altrimenti questa capacità di riconoscere la voce non l’abbiamo.

E già questo è un grande segno nel cielo di Dio.

Ci fa capire che soltanto alla presenza di Dio creatore è dato a noi di formare in noi la capacità di riconoscere la voce di Dio.

E la voce di Dio è il Figlio.

Se noi non siamo stati presenti, almeno per un attimo, alla presenza del Padre celeste creatore, non si è formata in noi, la capacità di riconoscere la voce di Dio.

Ora, se noi nel pensiero del nostro io, diamo dei valori sbagliati alle cose e dando dei valori sbagliati viviamo per questi valori...notate che quando uno ha dato valore ad una cosa e l’ha messa al di sopra di tutto, la sua vita è determinata, lui vivrà in funzione di quel valore, si può già sapere dove andrà a finire, fino all’ultimo.

Perché la nostra volontà, la volontà di vivere, la volontà di tendere ad un fine, è sempre condizionata dal valore, da ciò che noi riteniamo importante.

Non possiamo volere una cosa che per noi valga niente.

Non possiamo volere una cosa che per noi sia insignificante.

E la vita è espressione di volontà, perché è unificazione in quel massimo valore che noi abbiamo messo prima di tutto.

Fossimo anche religiosissimi non conta assolutamente niente, perché tutta la nostra religiosità, cantassimo lodi da mattina a sera, è sempre soltanto una cornice a ciò che noi abbiamo messo prima di tutto.

Quello che determina tutto non è la nostra religiosità, quello che determina tutto nella nostra vita è ciò che noi mettiamo prima di tutto, ciò per cui noi siamo sempre disponibili, ciò per cui noi abbiamo sempre tempo, è lì che si rivela, ciò che noi abbiamo messo prima di tutto.

Tutto il resto è contorno, è a servizio del nostro prima di tutto.

Ora cosa accade?

Dio solo è l’eterno e se Dio solo è l’eterno, ogni altro esistente, quindi ogni altro valore, non è eterno.

Tutto ciò che non è Dio è segno di Dio, quindi tutte le creature, anche gli angeli sono creazione di Dio ma non sono Dio.

E se Dio solo è l’eterno, Dio solo è l’immutabile, è l’assoluto, è Colui che non muta mai e non muore mai, ogni altro esistente essendo segno e non essere, è soggetto a mutamento: tutto muta, Dio solo rimane, Dio solo è.

Succede quindi che quando noi poniamo come valore nella nostra vita altro da Dio, questo altro da Dio, non essendo Dio, non è eterno, è soggetto a mutamento a cambiamento, è soggetto al tempo ed è soggetto al morire.

Soggetto al morire, non perché Dio lo abbia assoggettato al morire o alla vanità: tutta la creazione, anche gli angeli sono stati assoggettati a questa vanità, ma sono stati assoggettati per noi, per la nostra vita, per glorificare Dio.

Tutta la creazione, tutte le creature, angeli compresi, con il loro mutare, con la loro relatività, con i loro condizionamenti, non fanno altro che glorificare Dio, che cantare la gloria di Dio.

L’uomo morendo, non fa altro che glorificare Dio.

L’uomo che è costretto a mutare, è costretto all’infedeltà, perché non è capace ad essere fedele: l’uomo in buona fede dice che domani verrà, e poi non viene.

Perché non può.

Perché c’è un altro che opera su di lui.

L’uomo con la sua infedeltà, con il suo mutare, testimonia che senza Dio non si può fare niente.

Non si può nemmeno essere fedeli.

Senza Dio si è in continuo mutamento.

Quando allora noi nelle nostre valutazioni, nella nostra mente, poniamo un valore diverso da Dio come punto di riferimento per la nostra vita, quindi come fine, come scopo del nostro vivere pratico, questo qualche cosa, non essendo eterno è soggetto a mutamento e cosa succede?

La volontà dell’uomo non può volere una cosa che non abbia valore.

La volontà è una espressione dei valori, tolto il valore la nostra volontà non può più volere.

Se noi viviamo per qualche cosa che è molto importante per noi, quando questo qualche cosa molto importante per noi, muta, crolla, noi subiamo una crisi, non siamo più in grado di volere.

Qui succede un disastro, è la fine del mondo, è il crollo di una città, è un terremoto.

Perché noi abbiamo la capacità che è condizionata da ciò che abbiamo presente e se noi abbiamo messo come presenza nostra, un valore che poi dopo ci delude, muta, crolla, noi non siamo più capaci, né di pensare, né di volere.

Non siamo più capaci di vivere, la volontà di vivere finisce ma finisce con il crollo dei valori o per il crollo di quei valori per i quali noi siamo vissuti.

Noi siamo una funzione di ciò per cui viviamo, di ciò cui noi dedichiamo il nostro tempo, la nostra vita ed essendo funzione di quello, quando quello crolla, tutto di noi crolla.

Noi perdiamo la capacità di pensare, noi perdiamo la capacità di volere.

Una cosa che crolla, che perde di valore, per noi non ha più significato e ciò che non ha significato, da noi non può essere voluto.

Quando noi siamo vissuti per una persona e quella persona ci ha delusi, per cui la nostra vita non ha più significato, noi non abbiamo più la capacità, la volontà di vivere.

La nostra vita senza significato, non può essere voluta.

Il Signore dice: “Quando incomincerete a vedere queste cose fuggite”.

Ci sono dei segni premonitori, ci sono degli scricchiolii che annunciano il terremoto o il crollo della casa.

Se vita eterna è capacità di pensare ciò che è eterno, quando noi ci accorgiamo che perdiamo questa capacità di pensare l’eterno, questo è il primo scricchiolio, perché questo è segno che noi siamo invasi da ciò che non è eterno.

E quindi dobbiamo aspettarci il giorno dopo, il crollo di ciò che non è eterno ed in cui noi stiamo giustificando la nostra vita e con questo crollo la fine di noi stessi.

La fine della nostra capacità di pensare, perché noi abbiamo la possibilità di pensare ciò che è eterno, quando ancora non abbiamo deciso niente, ma quando noi abbiamo messo un valore ed abbiamo incominciato a vivere per questo, la nostra capacità di pensare, amare, volere, è tutta determinata da ciò che noi abbiamo presente, cioè è determinata da ciò per cui noi stiamo vivendo, dal nostro fine e siccome questo fine non è eterno, questo ci porta via la capacità di pensare ciò che è eterno.

Perché la capacità di pensare ciò che è eterno ci viene dall’eterno e se noi non pensiamo l’eterno, noi perdiamo la capacità di pensare l’eterno.

E quando non abbiamo più la capacità di pensare l’eterno siamo finiti.

Notate che quando crolla in noi quel valore per cui noi siamo vissuti o abbiamo dedicato il nostro vivere, non è che noi siamo liberi, dico: “È crollato e adesso mi dedico ad altro”, eh no!

Il valore crolla, il valore ci delude, il valore quindi ci fa fallire la nostra vita e la nostra capacità di vivere e di pensare, però noi non ne usciamo mica, noi restiamo succubi schiavi, del valore che è crollato.

Noi non ne usciamo perché quel valore è fallito o ci ha delusi, quando un nostro caro è morto, noi non siamo liberi perché quel caro è morto, quello che non ci libera dal valore crollato, è perché noi abbiamo bisogno di capire il perché, abbiamo bisogno di una giustificazione: “Perché è successo questo?”.

Ed è quello che ci lega, ci lega al niente, perché per noi quello è niente, eppure non riusciamo più ad uscire da questo niente.

Noi vediamo così che l’assoluto è un abisso infinito di luce e di conoscenza ma per noi quel niente in cui è precipitato quel valore che noi abbiamo messo al posto di Dio, quel niente è un abisso altrettanto infinito che mangia tutto di noi.

Perché noi abbiamo bisogno di trovare una giustificazione.

Il bisogno di un perché?

“Perché mi ha fatto questo, perché mi ha deluso? perché è mutato? Perché è morto?”.

È quello che ci rende schiavi e a un certo momento ci rende incapaci di vivere.

Perché non c’è giustificazione se non da Dio e se non in Dio.

Questi sono fatti che ogni uomo esperimenta nella sua vita.

L’uomo quando vive per ciò che non è Dio, già incomincia a sentire timori e paure e sono scricchiolii, è il Signore che ci dice di fuggire dalla città.

Quando vi accorgete che non siete più in grado di desiderare quello che è assoluto, di pensare ciò che è assoluto, quando vi accorgete che le cose del mondo vi stanno portando via verso il nulla: “Fuggite dalla città”.

Perché?

Per non essere travolti dal crollo della città.

Quella città per cui voi state vivendo, è destinata a crollare e la parola di Dio dice a noi: “Fuggi”.

Il tema di oggi lo volevo chiamare: toccata e fuga.

C’è la toccata, questo annuncio, questo scricchiolio che ci avverte che la città in cui noi stiamo vivendo e per cui noi stiamo vivendo, sta subendo il rischio di un terremoto.

E la parola di Dio ci avverte in anticipo e ci dice: “Fuggi”.

E fuggi dove?

Fuggite ai monti.

Nella scrittura il monte è sempre segno di elevazione, di preghiera, di contemplazione, di rapporto con Dio.

Ma ho detto che a questo punto la capacità dell’uomo di pensare l’assoluto, di pensare l’eterno, di pensare Dio, viene dall’eterno e se l’uomo non ha messo nel suo pensiero l’eterno ma ha messo altro, non ha più la capacità di pensare l’assoluto, non ha la possibilità di pensare l’eterno.

L’uomo a questo punto sta esperimentando il fallimento per cui è vissuto, il niente ma sta anche esperimentando questo: l’assenza di Dio.

L’uomo sta esperimentando il vuoto di tutto.

“Fosse vero che Dio c’è”, dice l’Innominato, ma chi lo assicura?

L’uomo fa esperienza dell’assenza di Dio.

Però questa esperienza dell’assenza di Dio nell’uomo, è strettamente legata (questo è molto importante) ad un senso di colpa dell’uomo stesso.

Quando l’uomo  esperimenta l’assenza di Dio, quando assiste al crollo della sua vita, quando non è più capace di pensare l’assoluto e l’eterno,  quando non desidera più vivere, quando non desidera nemmeno più la vita eterna, quando non ha più desiderio di nutrirsi, di mangiare (anoressia spirituale), quando si lascia morire, quando si lascia andare perché tutto oramai è fallito, lì non trova il soccorso di Dio, trova l’assenza di Dio, lui invoca, chiede, piange ma Dio non si presenta.

L’uomo esperimenta l’assenza di Dio.

Però in questa esperienza che l’uomo fa, l’uomo porta un senso di colpa e la colpa sta in questo: sapere di non avere dato il proprio pensiero a Dio, avere trascurato Dio.

Cioè questa esperienza di assenza di Dio nella vita dell’uomo è strettamente legata all’uomo che ha trascurato Dio, all’uomo che ha vissuto senza dare il suo pensiero a Dio.

L’uomo è vissuto per altro da Dio e l’uomo sa di essere vissuto per altro da Dio, perché l’uomo non può ignorare ciò per cui vive e questo altro per cui è vissuto sa che non era Dio e siccome Dio è un essere che nessuno può ignorare (anche nell’inferno non lo si ignora), l’uomo porta questo senso di colpa: “Io sono vissuto per altro da Dio”.

L’uomo non sa il come e non può saperlo, però sa che l’esperienza dell’assenza di Dio, del silenzio di Dio, della morte di Dio che egli esperimenta, che egli prova è essenzialmente legata al suo avere trascurato Dio.

E questo ci fa capire una cosa enorme, che la presenza di Dio, l’esperienza di Dio, la conoscenza di Dio è strettamente legata al nostro pensiero.

Se noi dedichiamo il pensiero ad altro da Dio, noi corriamo verso l’esperienza della morte di Dio, dell’assenza di Dio, pur non potendo negare Dio o annullare Dio.

La grande scoperta che ci fa fare questa (ed è una grande ferita) esperienza dell’assenza di Dio è questo: Dio è strettamente legato al nostro pensare.

Dio, la conoscenza di Dio è strettamente legata a ciò a cui noi dedichiamo il nostro pensiero.

A questo punto l’uomo porta con sé una ferita, ha fatto fuori Dio dalla sua vita, l’ha trascurato.

Ho fatto fuori il mio amore principale, l’ho trascurato e quando io vado a elemosinare da questo amore qui non lo trovo più, ma io so che l’ho trascurato.

L’uomo ha trascurato Dio perché ha preferito altro, adesso che avrebbe bisogno di un soccorso, Dio non c’è.

Dio non c’è più.

Dio è assente, è morto.

Però l’uomo porta questa ferita.

Quando abbiamo parlato della lotta di Giacobbe, abbiamo detto che l’uomo vince Dio, vince Dio perché riesce a vivere per altro da Dio.

L’uomo vince Dio ma resta ferito.

E in questa ferita per l’uomo, c’è una finestra che si spalanca, c’è una porta aperta.

L’uomo capisce che il rapporto con Dio è in relazione al suo pensiero, al pensiero dell’uomo.

Capendo questo, l’uomo a questo punto non è capace a pensare Dio, non può pensare Dio, perché la capacità di pensare Dio viene soltanto da Dio e quando l’uomo pensa Dio, lo pensa con il Figlio di Dio, soltanto con il pensiero di Dio e quando l’uomo scopre di essere oramai separato da Dio, l’uomo non può più pensare Dio.

Non può ignorare Dio ma non può pensarlo, se potesse pensarlo sarebbe nella vita eterna.

Questa ferita gli fa capire che lui ha trascurato Dio e adesso Dio è assente, gli fa capire che la vita, la capacità di conoscere Dio è strettamente in relazione al suo pensiero (pensiero dell’uomo non di Dio).

In questa ferita (problema del Cristo) c’è una finestra che si spalanca sull’eterno, l’uomo non è capace di pensare Dio, però comincia qui ad invocare.

L’uomo non sa come ma comincia a desiderare di incontrare qualcuno che gli parli di Dio, parli di Dio a lui che non è capace di pensare Dio.

A lui che patisce, soffre e muore per l’assenza di Dio.

Qui a questo punto l’uomo è aperto all’incontro con Cristo.

L’uomo che non è capace di pensare Dio, è però attento all’incontro con Colui che gli parla di Dio e parlandogli di Dio, gli dà la possibilità di ricostruire il valore perduto, la fede perduta, la sua vita, di ricostruire tutto, è una ferita che si apre sopra l’eternità.

A questo punto qui l’uomo non può più appartenere al mondo, non ha ancora trovato Dio ma già appartiene a Dio e quando incontra Colui che gli parla di Dio, a questo punto lui parte, non gli importa più niente d’altro, l’uomo è stato purificato, attraverso questa esperienza di questa morte, attraverso questa esperienza di perdita dell’interesse per Dio, di perdita della capacità di vivere, di perdita della capacità di pensare Dio.

A questo punto, l’uomo ha la possibilità di dare vita a Dio.

Proprio perché Dio è condizionato dal nostro pensare, Dio incomincia a essere per l’uomo che l’ha perso, soltanto se l’uomo gli dà l’essere, incomincia a vivere soltanto se l’uomo gli dà la vita, perché è in stretta relazione al pensare dell’uomo.

Dio incomincia ad essere soltanto se l’uomo incomincia a pensare a Dio.


GV 10 VS 28 - Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.


Terzo tema - Fortezza e debolezza dell'uomo.


Argomenti: Zona Cesarini. Anoressia spirituale. La volontà è effetto dei valori. Inferno e paradiso. Le contraddizioni del parlare di Dio. Dimenticare il pensiero dell’io. La scala della creazione. Pecore di Dio e pecore non di Dio. Essere portati via a Dio. Non c’è posto per Dio nella nostra vita. Tutto è nelle mani di Dio. L’assenza di Dio. Dio nasce senza di noi ma non muore senza di noi. Il legame tra il nostro pensiero e Dio. Dio oggetto-soggetto del nostro pensiero. Il sapere o non sapere dell’uomo non condiziona la realtà. Il giudizio del mondo e il giudizio di Dio. La Verità e l’ignoranza. La responsabilità dell’uomo.


 

3-4/ Novembre/1991


Ci rimane stasera questa ultima parte: “Nessuno le rapirà dalle mie mani”.

Era necessario vedere gli argomenti delle domeniche scorse, soprattutto l’anoressia spirituale che è un primo sintomo di questo perire a cui l’uomo va incontro quando trascura Dio.

Anoressia vuol dire non più interesse per Dio.

L’uomo può arrivare a questo punto, a non avere più interesse per conoscere Dio.

L’interesse a quella beata vita eterna a cui la parola di Dio ci invita e ci sprona e ci dice: “Sforzati di entrare”.

S. Paolo stesso dice: “Se tu oggi odi la parola di Dio, affrettati ad entrare nella sua pace”.

La pace di Dio è la conoscenza della Verità, la conoscenza di Dio.

E bisogna sforzarsi e bisogna affrettarsi, Gesù dice: “Sforzati di entrare per la porta stretta!”.

“Affinché non avvenga come al popolo ebreo che quando giunse alle porte della terra promessa, ebbe timore e gli mancò la fede”.

Si corre quindi il rischio di essere costretti a vagare per quarant’anni nel deserto fino all’estinzione di tutta quella generazione.

Dio è Colui che opera tutto, Dio è Colui che fa tutto ma fa tutto in un pensiero ben definito e chiaro, Dio opera tutto nella vita di ogni uomo, per condurre ogni uomo alla conoscenza di Sé.

Perché nella conoscenza di Dio c’è la nostra vita eterna e l’uomo corre il rischio di non giungere a questa conoscenza di Dio.

Corre il rischio di precipitare in quest’anoressia, in questa indifferenza, in questo non più appetito, in questa non più fame, in questo non più desiderio,

Si arriva al punto di non avere neppure più volontà di vivere.

La volontà non è libera nell’uomo.

L’uomo non può volere.

La volontà è un effetto dei valori.

E quando noi non mettiamo Dio prima di tutto, noi cadiamo schiavi di altri valori, infinitamente inferiori a Dio e sono questi valori qui (inferiori) che determinano la nostra volontà e che la frustrano.

Dio solo è l’eterno, Dio solo è l’infinito, Dio solo è l’eterno.

Essendo Lui solo l’eterno, tutto ciò che non è Dio, (angeli compresi) è soggetto a mutamento.

Ed essendo soggetto a mutamento, è soggetto a deludere coloro che fanno conto su di quello.

Quando l’uomo fa esperienza della delusione, cioè del crollo di quei valori nei quali lui ha creduto, l’uomo resta frustrato, perché il crollo dei valori trascina l’uomo con sé.

Crollati i suoi valori non è che l’uomo resti libero per altro.

Ho fatto l’esempio della mamma che per distrazione perde il suo bambino, la mamma non è libera da quella perdita, perso il bambino non può rivolgersi ad altro, non può.

C’è una forza di trascinamento nell’annullamento dei valori che porta via l’anima, la vita alla creatura, perché l’uomo non può sopportare l’annullamento delle cose senza trovare una ragione, una giustificazione.

Il niente non esiste ma c’è l’opera di questo niente che può far perire l’uomo.

Dio solo è, e l’uomo può vivere per ciò che non è, e essere quindi trascinato nel vortice di ciò che non è.

Quando le cose si annullano diventano il non essere.

Ma nel loro precipitare nel non essere trascinano dietro di sé l’uomo, perché l’uomo non può separarsi da esse senza trovare una ragione, una giustificazione dell’annullamento di quello che ha creduto fino ad allora e che ora costata che non è più.

Era necessario approfondire questi argomenti qui: in che cosa sta la vita eterna, e precisare che la vita eterna sta nella possibilità di pensare l’eterno e poi quest’esperienza di anoressia spirituale che diventa nell’uomo incapacità di pensare l’eterno.

Ecco, la vita eterna sta nella capacità, nella possibilità di pensare Dio, l’eterno.

I termini estremi sono questi: vita eterna o morte eterna.

La morte non è annullamento ma è esperienza d’impossibilità di pensare all’eterno.

I due grandi termini verso cui ogni uomo sta andando sono questo paradiso e questo inferno e il paradiso sta nella possibilità di pensare l’eterno, di guardare tutte le cose dal punto di vista di Dio, possibilità di conoscere Dio e l’inferno non è annullamento, è impossibilità di pensare l’eterno, inpossibilità di conoscere Dio.

Il problema si risolve in questo: conoscenza o non conoscenza.

Lì è la vita essenziale.

Erano necessarie queste premesse per potere affrontare quanto qui Gesù afferma: “Nessuno le rapirà dalle mie mani”, poiché è tutta una contraddizione.

Dio parla per contraddizioni perché sollecita noi ad avere fame di Verità e non c’è nulla che solleciti noi a pensare più che la contraddizione.

La contraddizione è per portare noi nella fame: “Manderò la mia fame sulla terra” diceva già Dio per bocca dei profeti.

Questa “fame” è la contraddizione.

L’uomo a un certo momento viene a trovarsi di fronte a tutta una contraddizione.

La nostra vita stessa è tutta una contraddizione nei riguardi di Dio ma appunto perché è fame.

Questa dichiarazione di Gesù: “Nessuno le rapirà dalle mie mani”.

Chi sono queste pecore che nessuno potrà rapire dalle mani di Dio?

Nei versetti precedenti è detto chiaro: “Le mie pecore” e questo ci fa capire che ci sono delle pecore che saranno rapite.

Intanto la prima contraddizione è questa, l’abbiamo già vista altre volte, ma come possono esserci nel regno di Dio, pecore di Dio e pecore non di Dio?

Perché c’è questa distinzione, là dove è detto che Dio non fa distinzioni di persone?

Dio vuole che tutti si salvino e quando dice “tutti” intende nessuno escluso.

Dio vuole che tutti si salvino, quindi non ci sono pecore sue e pecore non sue.

Tutte sono pecore di Dio eppure non tutte sono sue pecore.

E quello che nella logica umana è una contraddizione, nella logica divina si rivela una verità.

Perché Dio vuole che tutti si salvino e tutte sono pecore sue, ma non tutte le pecore rispondono a Dio.

Perché per diventare pecore sue, è necessario imparare a superare il pensiero del nostro io.

Nessuno può entrare nel paradiso, cioè nessuno può entrare nella vita eterna, nessuno può entrare in quel luogo in cui tutte le cose sono riferite a Dio, se non ha dimenticato completamente se stesso.

Nel paradiso non c’è nessun confronto, nessuno si paragona con gli altri, in tutto si vede soltanto il dono di Dio, tutto è santo e tutto è adorabile, non c’è nessuna invidia, non c’è nessuna gelosia.

Appunto perché si è dimenticato completamente il pensiero del proprio io.

E già su questa terra, questa terra già appartiene al cielo, già appartiene al paradiso, già su questa terra se noi fossimo capaci a dimenticare completamente il pensiero del nostro io, noi non faremmo altro che godere e gioire di tutte le opere di Dio, di tutte le meraviglie che Dio fa in tutto e in tutti.

Invece siamo sempre lì che ci rodiamo l’anima perché il tale ha questo e io non ce l’ho, è tutta proiezione del pensiero del nostro io.

Ed è con questo che ci avveleniamo la vita.

Questa prima contraddizione è data dal fatto che la Verità ha un esigenza e un esigenza terribile: richiede da parte dell’uomo il superamento del pensiero del proprio io per incominciare a vedere le cose dal punto di vista di Dio.

Si entra nel regno di Dio non attraverso i nostri sforzi, le nostre virtù, le nostre fatiche, le nostre bontà o le nostre cattiverie, si entra nel regno di Dio guardando dal punto di vista di Dio.

Il guardare dal punto di vista di un altro è opera del pensiero, solamente del pensiero, soltanto col pensiero possiamo trasferirci dal nostro mondo in cui ci troviamo al mondo di un altro e quindi solo col pensiero possiamo entrare nel regno di Dio.

Noi non siamo la verità, però abbiamo la possibilità di entrare nel regno della Verità, di entrare nel regno di Dio se ci trasferiamo a guardare dal punto di vista di Dio, poiché Dio si conosce soltanto in Dio per mezzo di Dio.

Dio è l’assoluto, Dio è l’eterno, Dio è l’infinito e l’infinito, l’eterno, l’assoluto può essere conosciuto soltanto per mezzo dell’infinito, dell’eterno, dell’assoluto, grazia di Dio.

Quindi certamente non per opera nostra, non per pensiero nostro.

Quindi richiede questo nostro trasferirci dal nostro punto di vista al suo punto di vista; è da Lui che si riceve la luce.

Data questa condizione essenziale della Verità, di Dio, ecco che si crea immediatamente una differenziazione negli uomini: sue pecore, non sue pecore.

Tutto è di Dio, certamente tutto è di Dio, però ci sono uomini che superano il pensiero di se stessi e ci sono uomini che vivono talmente nel pensiero del loro io, parlando di se stessi che finiscono col morire nel pensiero del loro io.

Ecco per cui si crea questa distinzione.

Perché Dio non ci forza, il pensiero del nostro io è creazione stessa di Dio, è dono di Dio e Dio non si contraddice.

Il pensiero del nostro io è una creatura buona, come tutte le creature, anche i buoi, i campi e la moglie sono creature di Dio e quindi creature buone, però tutte le creature vanno superate (angeli e chiesa comprese).

Perché se noi viviamo per le istituzioni, se viviamo per gli angeli, se viviamo per i santi o viviamo per la nostra famiglia, sbagliamo tutto.

E tanto più sbagliamo se viviamo nel pensiero del nostro io.

Perché tutto ciò che è creato da Dio è dato a noi come scala e sulla scala non si mettono le tendine, la scala serve per essere superata, per entrare nell’appartamento, tutta la creazione è una scala, tutte le creature sono gradini di questa scala e vanno continuamente superate e il pensiero del nostro io è un gradino di questa scala e va quindi altrettanto superato.

Perché dobbiamo entrare nell’appartamento e l’appartamento è Dio.

E non si dorme sulla scala si dorme nell’appartamento, si riposa nell’appartamento, si trova la pace nell’appartamento.

Tutta la creazione è una scala per arrivare a Dio, il che vuol dire che va tutta superata, comprese le opere angeliche, vanno tutte superate.

Lì si crea questa distinzione, perché Dio che crea tutte le cose, Dio che crea il pensiero del nostro io, perché è la condizione per essere coscienti, consapevoli, un animale non può arrivare a superare se stesso e conoscere Dio, perché puà giungere alla conoscenza di Dio soltanto l’essere che è consapevole.

Dio che dà a noi il pensiero del nostro io non ci obbliga a superare il pensiero del nostro io.

Dio opera convincendo, ci fa capire che è giusto, se vogliamo conoscere Dio, superare il pensiero del nostro io.

Non guardare le cose dal nostro punto di vista è giusto, è sacrosanto, questo ce lo fa capire ed è venuto a morire per farci capire questo.

C’è una logica in tutto l’universo e c’è una logica divina, per dimostrare a noi la necessità di superare il pensiero del nostro io e di dimenticarci.

Per dimostrare, non per obbligarci, non per imporcelo, perché il giorno in cui Lui lo imponesse ci distruggerebbe.

Quindi Dio non va in contraddizione con Se stesso, avendoci dato il pensiero del nostro io lo vuole eternamente.

Quello che Dio vuole lo vuole eternamente, quindi noi che si vada in paradiso o si vada all’inferno siamo immortali.

Non possiamo distruggerci perché esistiamo per volontà di un Altro e quest’altro è il Creatore.

E non c’è nessuno che possa condizionare la volontà di Dio, per cui noi siamo voluti, pensati, amati da Dio.

Per questo noi siamo eterni, noi siamo immortali.

Quindi Dio non distrugge il pensiero del nostro io perché sarebbe in contraddizione con Se stesso, vorrebbe e non vorrebbe la stessa cosa.

Però opera per convincere noi a mettere al di sopra del pensiero del nostro io, il pensiero di Dio, perché è giusto, perché è Lui il Creatore, è Lui che va messo al centro e non il pensiero del nostro io.

Perché nel pensiero del nostro io noi non possiamo giustificare nemmeno un filo d’erba.

Soltanto in Dio noi abbiamo la possibilità di giustificare tutte le cose, perché in Dio Creatore c’è la ragione di tutte le cose e quindi c’è la Luce, quella luce che noi andiamo elemosinando a destra e a manca.

Abbiamo questa prima contraddizione tra pecore di Dio e pecore non di Dio.

Gesù invita a fare bene i conti circa le condizioni per giungere alla Verità.

Esaminate bene quali sono le condizioni per arrivare alla Verità affinché non abbiate ad illudervi e desistere dopo avere incominciato il cammino.

Mentre Dio vuole salvare tutti, a un certo momento si crea questa distinzione tra pecore di Dio e pecore non di Dio.

E poi Gesù dice: “Nessuno le rapirà dalle mie mani” e c’è un altra grande contraddizione, perché dicendo che nessuno le rapirà dalle sue mani, ci fa capire che qualcuna sarà rapita.

Rapita dalle mani di Dio?

Ma ci rendiamo conto?

Gesù stesso dice che quando un uomo forte veglia sui suoi beni nessuno può rubare quei beni, ma se viene uno più forte di lui gli porta via tutto.

Ma qui c’è la possibilità che qualcuno rubi, rapini, porti via a Dio le pecore.

Rapite dalle sue mani?

Lui che è l’onnipotente?

Lui che è il Creatore, Lui che è il forte per eccellenza.

Si può forse immaginare che ci sia uno più forte di Dio?

Eppure Gesù dice che c’è questo rischio, il rischio di essere rapiti dalle mani di Dio.

Ecco l’argomento di questa sera, nell’uomo c’è questo rischio.

L’uomo volente o nolente appartiene a Dio.

Dio è il più forte, eppure ad un certo momento le anime possono essere portate via a Dio.

Che questo avvenga, tutti quanti noi ne facciamo esperienza.

Per il semplice fatto che difficilmente noi abbiamo tempo per Dio.

E quindi dobbiamo testimoniare, confessare, riconoscere che siamo portati via a Dio.

Ma come è possibile che noi, tutte quante creature di Dio, quindi possesso di Dio, possiamo essere portati via a Dio.

C’è forse un altro più forte di Dio?

Soltanto se un altro più forte di Dio può portare via a Dio qualche cosa.

Ma è mai possibile che ci sia uno più forte di Dio?

È assurdo!

E allora come è possibile che l’uomo venga portato via a Dio?

E questo tutti lo costatiamo.

Portato via a Dio dagli affari, dal mondo.

Tutti i giornali riportano parole di uomini, di Dio forse c’è un accenno nell’ultima pagina.

Dio per noi è sempre l’ultima cosa.

Non c’è posto per Dio nella nostra vita.

Come non ci fu posto per Dio  a Betlemme quando è nato tra noi.

Tutto è segno ma se non c’è posto per Dio vuol dire che c’è qualcosa o qualcuno che ci sta portando via a Dio.

Chi è questo qualcosa?

È inutile che noi diciamo demonio o non demonio eccetera...

Anche il demonio è un servo di Dio e non è superiore a Dio ma allora cosa è che ci porta via a Dio?

E come è possibile che ci sia questa azione qui nel mondo, noi non possiamo trasferire le giustificazioni in un “altro” da Dio.

Non c’è nessun “altro” nel regno di Dio che possa operare contro Dio, Dio non subisce condizionamenti, non sarebbe più Dio.

Dio solo è Colui che regna: “Non avrai altro Dio”                                     .

Quindi uno solo è il Creatore, uno solo è Colui che regna, uno solo è Colui che conduce tutte le cose al fine, non c’è nessun altro.

Ma allora come è possibile?

Tutto è opera di Dio, anche questa esperienza che ogni uomo fa di essere occupato da altro da Dio.

Di essere portato via da altro.

Di avere pensiero e tempo per altro e non per Dio.

Ma perché?

In tutto è Dio che regna, in tutto è Dio che opera e tutto è nelle mani di Dio.

Tutto, che l’uomo lo sappia o non lo sappia, tutto è nelle mani di Dio.

Questa è la realtà, la realtà che è giustificata nell’assoluto di Dio, nel Dio Creatore di tutte le cose.

Tutto è nelle mani di Dio, anche il demonio è nelle mani di Dio, sono soltanto fantasie umane quelle che dicono che il demonio è nemico di Dio, non ci sono nemici.

Nel regno di Dio c’è Uno solo che regna e tutti sono servi e sono creature di Dio, anche il demonio è una creatura di Dio.

Quindi tutti sono servi di Dio, volenti o nolenti, lo sappiano o non lo sappiano.

Però noi abbiamo visto le volte scorse come la presenza di Dio in noi, la conoscenza di Dio, della Verità in noi, sia condizionata e relativa al nostro pensiero, al nostro pensare.

Si arriva a Dio solo attraverso il pensiero.

E cosa vuol dire questo?

Siamo arrivati a dire che se noi non diamo vita a Dio, Dio per noi è assente.

Siamo arrivati a dire che se noi non pensiamo Dio, Dio per noi non esiste.

Sembra una bestemmia, perché Dio non è opera del nostro pensiero.

Siamo noi che siamo opera del pensiero di Dio.

Eppure succede questo.

Noi facciamo esperienza dell’assenza di Dio ed è un altro assurdo.

Noi uomini che siamo nel regno di Dio, che siamo in continuazione opera di Dio, che Dio è Colui che parla con noi in tutto, noi facciamo esperienza del silenzio di Dio.

Parlano tutti, politici, poeti, scrittori, tutti parlano e Dio non parla.

O per lo meno noi facciamo esperienza del Dio che non parla.

Noi facciamo esperienza del Dio assente.

Noi facciamo esperienza del Dio morto.

Abbiamo anche il Cristo che muore in croce.

Cristo che muore in croce è rivelazione di quello che avviene nella vita di ognuno di noi.

Cristo che muore in croce è una grande luce, un faro che illumina quello che per noi pare assurdo: noi facciamo esperienza dell’assenza di Dio, del silenzio di Dio, della morte di Dio nella nostra vita e il Cristo che muore in croce è un faro che illumina questa nostra esperienza.

Cristo non muore in croce senza di noi, come il bambino non muore senza la mamma.

Il bambino che muore, abbiamo detto muore per distrazione della mamma che non pensa al bambino e a un certo momento perde il bambino.

E così Cristo che muore in croce non muore senza di noi, nasce senza di noi.

Nasce in noi senza di noi.

La presenza di Dio è in noi indipendentemente da noi, per questo nasce da una Vergine perché tutto è segno per farci capire i misteri che portiamo in noi.

Noi portiamo Dio in noi indipendentemente da noi, tutto grazia, tutto dono gratuito di Dio.

Come la nascita di Gesù è un dono gratuito che Dio ha voluto fare per noi, per aprirci gli occhi.

Quindi Dio viene in noi indipendentemente da noi, come la nascita di un bambino in una mamma avviene indipendentemente dalla mamma, possiamo sorridere ma è così: la mamma non sa neppure come si faccia un capello di un bambino, quindi è un miracolo che giunge a lei, opera di Dio creazione di Dio.

Quindi Dio entra in noi, si presenta in noi, arriva a noi indipendentemente da noi ma non muore senza di noi, è lì il fatto, non muore senza di noi.

Per cui noi facciamo questa terribile esperienza, prima c’era e adesso non c’è più e in mezzo ci sono io.

È tutta la settimana che mi bombardano di obbiezioni dicendo che non è vero ma in mezzo ci sono io.

Perché?

Per il semplice fatto che io non ho messo Dio prima di tutto.

La mamma che perde il bambino lo perde, perché a un certo momento non pensa più a lui, si lascia distrarre, magari per pochi minuti ma il bambino cade e muore.

La mamma non può più ignorare che quel bambino è morto per colpa sua.

E noi non possiamo ignorare che Cristo muore e muore per colpa nostra.

Perché prima c’era e  dopo non c’è più e in mezzo ci siamo noi e ci siamo noi perché?

Semplicemente perché quando Lui diceva di non preoccuparci del mangiare e del vestire e di cercare il regno di Dio, noi ci preoccupavamo del mangiare e del vestire e non cercavamo il regno di Dio prima di tutto.

Semplicemente perché quando Gesù diceva che una sola cosa è necessaria: pensare a Lui, noi non pensavamo a Lui, perché avevamo i buoi, i campi, la moglie a cui pensare.

Ora siccome non abbiamo ascoltato le sue parole e non abbiamo messo prima di tutto quello che Lui diceva dovevamo mettere prima di tutto, ecco che qui sorge la colpa, in conseguenza del fatto che io non ho pensato a Lui e non ho pensato a Lui come Lui voleva essere pensato, Lui è morto e io adesso faccio esperienza della sua morte.

Quindi Dio c’era e ora non c’è più, Dio parlava con me e adesso non parla più e io esperimento la sua morte ma in mezzo ci sono io che non l’ho messo prima di tutto.

Tutto questo ci fa capire una cosa stupenda e meravigliosa: la presenza di Dio, l’esperienza di Dio è strettamente legata al nostro pensare, a ciò che noi mettiamo prima di tutto nel nostro pensiero.

Dio Creatore di tutte le cose, si fa oggetto, figlio del nostro pensare, quindi si fa oggetto del nostro pensiero, perché soltanto facendosi oggetto del nostro pensiero, conduce noi a capire che Lui è soggetto, principio del nostro pensiero.

Ecco che c’è un legame strettissimo tra il nostro pensiero e Dio.

Noi possiamo pensare una sola cosa per volta, il che vuol dire che quando pensiamo ad una cosa, noi privilegiamo quella cosa, al di sopra di tutto.

Quindi se attualmente uno pensa a una cosa è perché ritiene che quella cosa sia più importante di tutto il resto.

Quando noi alla mattina apriamo il giornale, implicitamente rivolgiamo il nostro pensiero a quel giornale, il che vuol dire che quello che ci dice il giornale è prima di tutto ed è un veleno che noi introduciamo nella nostra vita ma noi lo introduciamo perché lo mettiamo prima di tutto.

Perché possiamo pensare una sola cosa per volta.

E quando penso ad una cosa, io privilegio quella cosa su tutto il resto.

E perché non pensiamo sempre a Dio?

Il dono grande, immenso, infinito che Dio dà all’uomo è questa possibilità di pensare a Lui.

Noi abbiamo un dono meraviglioso, è come il dono che Dio fa ad una mamma di poter pensare al suo bambino.

E la mamma esperimenta che se non pensa costantemente al bambino, il bambino muore.

Quindi c’è una relazione tra il pensiero e l’esistenza.

C’è un rapporto.

Se noi abbiamo avuto questo tesoro immenso, questo dono stupendo di potere pensare Dio ma perché non urliamo nel mondo e non fermiamo il mondo, per dire: “Io voglio pensare a Dio”.

Perché questa è l’unica ricchezza che abbiamo, la nostra vita sta nel pensare a Dio.

Noi siamo stati creati con questo dono meraviglioso di potere pensare Dio, non è detto che pensiamo a Dio.

È tutto lì il problema.

E se il pensare Dio è vita per noi, perché la nostra vita è in Dio, il non pensare a Dio per noi è morte ed è esperienza di morte.

E l’esperienza di morte cosa significa?

Vuol dire fare esperienza dell’assenza di Dio.

Della non più presenza di Dio.

Del Dio che tace.

Del Dio che non parla più con noi.

Ora, teniamo presente che tutte le nostre capacità: di credere, di amare, di vivere, volontà di vivere, derivano tutte dallo stare con una presenza.

Ma noi non possiamo restare con una presenza se non la pensiamo.

Se noi non pensiamo il pensiero di Dio, a un certo momento perdiamo tutte le nostre facoltà, tutte le nostre capacità, perché le nostre capacità vengono dalla presenza.

Se perdiamo la presenza perdiamo tutto.

Questa è una esperienza che facciamo tutti, perché quando amiamo una persona al di sopra di tutto e quella persona muore o ci tradisce, tutte le nostre capacità vengono meno e noi ci accorgiamo che diventiamo niente.

Non siamo neppure più capaci di desiderare una cosa, non vogliamo neppure più mangiare.

Perché?

Perché ci è venuta meno la presenza per cui vivevamo.

Ecco il problema dei valori.

E della gravità nello sbagliare la valutazione dei valori.

Ecco il rischio di essere rapiti dalle mani di Dio.

Perché tutti sono nelle mani di Dio ma c’è questo rischio qui.

La Realtà non c’è nessuna creatura che la possa incrinare: Dio è Colui che regna e non c’è nessuna creatura che possa mettersi al posto di Dio a regnare.

Dio è il Creatore e non c’è nessuna creatura che possa creare al posto di Dio.

“Senza di Me fate niente” e resta confermato: senza di Lui facciamo niente.

L’unica cosa che crea l’abisso tra le creature e Dio è questo: l’uomo può sapere che tutto è nelle mani di Dio o può non sapere che tutto è nelle mani di Dio.

Il sapere o non sapere dell’uomo non condiziona la realtà.

Che io sappia o non sappia che ci sia una curva sulla strada, non modifica la curva, la curva resta quella che è, che io lo sappia o non lo sappia, soltanto che se lo so mi adatto alla curva (realtà) se non lo so vado a finire nel prato.

L’unico momento in cui le creature si differenziano sta in questo: abbiamo creature (pecore di Dio) che sanno che tutti sono nelle mani di Dio e ci sono creature che non sanno che tutto è nelle mani di Dio.

Ma come è possibile se tutto è creazione di Dio che, a un certo punto ci sia questa differenziazione: creature che sanno e creature che non sanno.

Perché il sapere ci viene soltanto dal fatto di mettere Dio prima di tutto, se noi non pensiamo Dio, non possiamo saperlo.

Perché tutte le facoltà ci vengono da Dio, anche la capacità di conoscere ci viene da Dio.

Il che vuol dire che se non penso Dio, quindi non privilegio Dio su tutto il resto, io non posso sapere.

E non potendo sapere cosa mi succede?

La realtà è quella che è, che io lo sappia o no, tutto è nelle mani di Dio.

Però se io non lo so, non sapendolo, mi fermo a quella che è l’apparenza delle cose.

E nell’apparenza delle cose, uno tocca con mano che senza il denaro non si fa niente, uno tocca con mano che se non si è potenti si resta schiacciati, uno tocca con mano che senza cotoletta non può vivere, uno tocca con mano che se ha la Ferrari è ammirato da tutti e se ha la Panda è mal sopportato.

Quindi c’è questa apparenza nel pensiero dell’io.

Perché nel mondo chi ha la Ferrari è ammirato e chi ha la Panda è sopportato?

Perché c’è questa differenza di valori nel mondo?

Che differenza c’è tra il giudizio del mondo e il giudizio di Dio?

Il mondo ammira gli uomini per quello che hanno, ed è per questo che l’uomo si illude, perché vede che più si gonfia e più il mondo lo ammira e se l’uomo cerca la figura del mondo, cerca di gonfiarsi il più che sia possibile.

Poi scoppia.

E invece Dio?

Il mondo ammira l’uomo non per quello che l’uomo è in sé, il mondo ammira l’uomo per quello che l’uomo ha e più ha e più è ammirato.

Invece Dio ammira l’uomo non per quello che ha, ammira l’uomo per quello che non ha: “Beati i poveri dello spirito”, povero è uno che non ha.

Dio ammira l’uomo non per quello che ha ma per quello che non ha e quindi per quello che desidera.

Quindi non conta nella nostra vita quello che abbiamo fatto o non abbiamo fatto, quello che siamo o quello che non siamo, la vita non viene dalle cose che si posseggono.

Davanti a Dio conta quello che noi desideriamo avere.

Conta quello che sogniamo.

Conta quello cui aspiriamo.

Conta quello per cui noi piangiamo perché non l’abbiamo.

Quello che conta davanti a Dio è il futuro.

Dio ci osserva nel futuro, in quello cui noi siamo rivolti.

Lì Dio ci osserva.

E se io vivo per il mondo, Dio mi osserva che sto desiderando il mondo.

E se io desidero Dio, desidero lo Spirito, Dio mi osserva in questa povertà dello Spirito.

Ma è ai poveri dello Spirito, cioè a coloro che non hanno lo Spirito, a coloro che piangono perché non hanno lo Spirito, il che vuol dire che soffrono perché non hanno lo Spirito, a costoro Dio assicura il regno.

Quindi il problema è unicamente di sapere o di non sapere.

Ci sono uomini che sanno che tutto è nelle mani di Dio, queste sono pecore di Dio e nessuno le può rapire dalle mani di Dio.

Non c’è nessuno più forte di Dio che possa rubare a Dio quello che è di Dio.

Quindi quando in noi c’è questa conoscenza che siamo tutti nelle mani di Dio, nessuno ci può portare via, perché non c’è nessuna ragione al mondo che possa portarci via a Dio, perché qui c’è la forza della Verità.

E l’uomo che porta in sé la forza della Verità che è la forza di Dio, non può essere portato via dalle mani di Dio nel modo più assoluto.

Chi è portato via dalla mani di Dio è colui che non sa che tutto è nella mani di Dio.

Quindi è la nostra ignoranza che è più forte della Verità.

Abbiamo detto che soltanto se viene uno più forte di Dio, può portare via a Dio le pecore e più forte della Verità, nell’uomo è l’ignoranza, è il non sapere.

Perché quando uno non sa, resta trascinato dalle cose che s’illude di sapere, dalle cose che gli appaiono, è questo che porta via l’uomo a Dio.

È questa che è più forte di Dio, è l’ignoranza riguardo Dio che è più forte di Dio, nell’uomo che non pensa Dio, perché alla Verità si giunge soltanto attraverso il pensiero e se uno non dedica il pensiero a Dio e non mette quindi Dio prima di tutto non conoscerà mai Dio e non conoscendo Dio resterà necessariamente schiavo della Ferrari e di tutte le cose del mondo ma certamente non potrà restare con Dio, sarà portato via dalle mani di Dio da tutte le cose.

Come la donna che a un certo momento non s’interessa più di conoscere suo marito, ha già seminato il tradimento dentro di sé, un altro amore la porterà via, non può resistere.

Perché per resistere bisogna essere forti e per essere forti bisogna essere agganciati a qualcosa che sia forte.

Noi da soli facciamo niente, nel modo più assoluto.

E l’uomo che non conosce Dio è un tralcio che si è staccato dalla vite.

Il tralcio unito alla vite è fortissimo, perché?

Perché assorbe tutto nella sua vita: gli elementi della terra, la luce, l’acqua ma questo perché è unito alla vite.

Ma per il tralcio staccato dalla vite, tutto quello che prima contribuiva a dargli vita, adesso diventa negativo.

Tutto lo distrugge: la terra, il sole e l’acqua.

Perché c’è stato questo capovolgimento?

Prima il tralcio era unito alla vite e poi staccato dalla vite.

Ed è lezione di Dio per ognuno di noi per dirci che se noi non mettiamo Dio prima di tutto, se noi non conosciamo Dio, se noi non ci preoccupiamo di conoscere Dio, noi abbiamo questo terribile potere di staccarci come un tralcio dalla vite.

E allora lì, tutto ci porta via, ecco la forza maggiore di Dio.

La forza maggiore che opera perché noi tradendo Dio, diventiamo talmente deboli da essere portati via da tutto e da tutti e non possiamo assolutamente resistere.

Tutto ci trascina via, tutto ci porta via, tutto ci distrugge.

Perché questa è l’esperienza di morte.


GV 10 VS 28 - Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.


RIASSUNTI Domenica-Lunedì.


 

Argomenti: La singolarità di Cristo – La capacità di ascoltare la voce di Dio – L’offerta della vita eterna – La testimonianaza della Parola di Dio – La vita eterna è conoscere Dio – L’infinito e il finito – Il prima di tutto – Il mutamento delle cose -


10-11/ Novembre/1991