GV 10 VS 28 - Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e
nessuno le strapperà dalla mia mano.
Primo tema – Capacità di vita eterna.
Argomenti: Le tre capacità
dell’uomo. La testimonianza nell’uomo della vita eterna e nella
parola di Dio. La vita eterna è riservata alle pecore di Dio. La vita eterna sta
nel conoscere. Vivere è tendere ad un fine. Il problema del valutare Dio. Le valutazioni si
fanno nel pensiero. La volontà ubbidisce ai valori. La perdita della
capacità di volere. La vita eterna sta
nella capacità di occuparci di ciò che è eterno. La manifestazione della Verità sull’uomo.
20-21/ Ottobre /1991
Abbiamo visto le volte precedenti, come nell’uomo si
formi la capacità di ascoltare e la capacità di conoscere e la capacità di
seguire.
Sono tre capacità che non sono naturali all’uomo ma che
si formano nell’uomo non senza l’uomo, richiedono all’uomo una presenza.
Abbiamo portato l’esempio dell’acqua: nessuno può
conoscere la voce dell’acqua se personalmente non è stato presente all’acqua e
personalmente non ha udito il rumore, la voce dell’acqua.
Abbiamo visto che nessuno può conoscere la voce di una
persona, se non è stato lui personalmente presente a quella persona e non ha
conosciuto la voce di quella persona.
Per cui abbiamo detto che nell’uomo, sia la capacita di
ascoltare, di conoscere e di seguire sono sempre conseguenza di una presenza,
una presenza che non avviene senza di noi.
In conseguenza di questa presenza si forma la capacità,
altrimenti non si forma la capacità.
L’uomo può trovarsi immerso in una infinità di voci e
trovarsi nella impossibilità di riconoscere, d’individuare una voce.
In realtà noi siamo immersi in un mare di voci di Dio.
Tutto è voce di Dio.
Ma abbiamo una grande difficoltà a riconoscere e ad
individuare la voce di Dio.
Ed è della massima importanza per noi, questa capacità di
riconoscere la voce di uno.
Perché è attraverso la voce che noi siamo convocati alla
presenza.
Se noi non siamo capaci d’individuare la voce di Dio
veniamo tagliati fuori dalla possibilità di essere convocati alla presenza di
Dio e senza presenza di Dio si fa esperienza di morte.
Avendo visto queste tre capacità che si formano
nell’uomo, non senza l’uomo,
per cui l’uomo è informato da esse, adesso abbiamo la
possibilità di aprirci a questo grande argomento a cui accenna qui Gesù: “Io do
loro la vita eterna”.
Dice: “Io” ed è una singolarità, presenza insostituibile.
Dicendo: “Io do loro la vita eterna”, vuol dire che al di
fuori del Figlio, nessuna creatura, nessuna istituzione, nessuna regola può
dare a noi la vita eterna.
È parola di Dio: “Io do
loro la vita eterna”.
“Do a loro”, a “loro” chi?
A coloro che hanno formato in
sé, la capacità di ascoltare, di conoscere e di seguire.
È la premessa.
Dicendo “loro”esclude da
questa possibilità di ricevere la vita eterna, coloro che non hanno formato in
sé la capacità di ascoltare, di conoscere e di seguirePer cui questa è una sintesi,
una conclusione.
“Io do loro la vita
eterna”.
Noi ci troviamo in una
realtà che è ben diversa dalla vita eterna.
Tutto per noi è soggetto al
tempo, tutto nasce cambia, passa e muore.
Anche noi nasciamo passiamo
moriamo.
Facciamo un certo numero di
giri attorno al sole e poi scompariamo.
Che senso ha tutto questo?
È come se salissimo su una giostra e poi si
scende.
Che significato ha tutto
questo?
E a noi immersi in questo
universo, tutto soggetto al tempo, tutto soggetto al mutare, tutto soggetto a scomparire,
ci viene annunciata questa parola: “Io do loro la vita eterna”.
Ma è possibile?
Vita eterna vuol dire cosa
che non può essere tolta.
Una vita che rimane sempre!
E viene annunciata a noi
che tra pochi anni moriremo e saremo sepolti nella terra, riciclati.
Eppure viene annunciata a
noi, quasi a dire che noi facciamo un certo numero di giri sulla giostra ma in
questo numero di giri sulla giostra ci viene offerta la possibilità di uscire
dal tempo e di entrare nella vita eterna.
Una vita per sempre.
È parola di Dio!
È un’offerta che Dio fa.
D’altronde noi stessi
capiamo il non senso, il non significato di vivere per cose che passano.
È vero questo?
È possibile?
Due sono le testimonianze
che portiamo in noi di questa possibilità.
Primo: l’assurdo, il non
senso, il non significato che tutti noi proviamo, esperimentiamo nel vivere per
delle cose che passano.
Tutti gli uomini si
chiedono che senso ha il vivere?
A cosa serve questa vita?
Mangiare, vestirsi, alzarsi
e poi ritornare a mangiare e poi ritornare a lavorare e poi di nuovo dormire e
poi di nuovo alzarsi.
Che senso ha tutto questo?
E tutti i giorni si lavora,
si fatica, si guadagna e si spende...che senso ha tutto questo?
Questo senso d’assurdo che ci
accompagna di fronte a tutto questo mondo che passa e a noi stessi che
passiamo, questa è una prova, è una testimonianza dell’esistenza della vita
eterna.
Noi stessi siamo una fame
di vita eterna perché costatiamo l’inutilità di tutto ciò che non è eterno.
La prima testimonianza è il
bisogno che noi abbiamo di capire il senso, il significato della cose e della
vita.
A che serve vivere?
Questo è testimonianza
della vita eterna e del destino per il quale siamo stati creati, perché noi
patiamo a vivere per delle cose che passano, che ci vengono portate via.
Tutto questo è una prova
scritta nella nostra stessa carne, nella nostra stessa vita che c’è una vita
eterna.
Sarà difficile arrivarci,
tutto quello che si vuole, però questa vita eterna c’è.
Noi con la nostra
tribolazione, le nostre sofferenze e il senso di assurdità di fronte a tutto
ciò che passa, testimoniamo la verità di questa vita eterna.
Due sono le testimonianze
della vita eterna, la prima è questa che portiamo in noi, la seconda è la
parola di Dio.
Dio parla di vita eterna,
Dio ci assicura la vita eterna.
Quindi noi abbiamo la
testimonianza della parola di Dio e la testimonianza del bisogno che abbiamo in
noi di approdare a questa vita eterna.
Però Gesù dice: “Io do
loro”.
Questa vita eterna, già in
quest’annuncio viene condizionata dall’essere pecora di Dio e abbiamo visto che
“sue pecore” sono coloro che s’affacciano a quella balconata dell’eternità, che
guardano le cose da Dio, che cominciano
a guardare le cose da Dio.
Pecore di Dio sono quelle
che hanno formato in sé la capacità di
ascoltatre e riconoscere la voce di Dio, che hanno capito qual’è il principio
da cui s’inizia a conoscere e soprattutto che hanno formato in sé la capacità
di seguire Colui che parla loro di Dio.
Gesù dice: “Io do loro”, a
costoro, non agli altri, ma a costoro dà la vita eterna.
E cosa è questa vita
eterna?
E anche qui abbiamo la
parola di Dio, chiarissima, nettissima: “La vita eterna è conoscere Te Padre e
Colui che tu hai mandato”.
La vita eterna sta nel
conoscere.
La salvezza, la vita eterna
sta nella verità; “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere
la Verità”.
La salvezza sta nel
conoscere Dio.
La vita eterna sta nel
conoscere Dio.
Questo è ciò che Dio
promette.
Noi facciamo consistere la
vita nel fare, nel guadagnare, nel lavorare, nell’accumulare ma come è
possibile che la vita stia nella conoscenza?
E Gesù è chiaro qui, la
vita sta nella conoscenza.
Come è possibile che la
conoscenza sia vita?
Ed è possibile comunicare
questo a noi che siamo creature finite?
È possibile che l’infinito
si comunichi a noi che ieri eravamo niente, che oggi siamo un sospiro, un
desiderio e che domani ritorneremo nel niente?
È come chiederci se
l’oceano quasi infinito si possa racchiudere in un secchiello, in un niente.
Eppure Gesù dice: “Io do
loro la vita eterna”, cioè: “Io do loro la conoscenza di Dio come vero Dio”.
La conoscenza della verità
è una promessa: “Conoscerete la Verità”.
E noi diciamo che è parola
di Dio.
Noi ci troviamo quindi con questa
realtà che pesa su di noi in modo terribile, il problema del denaro, del
guadagno, del lavorare, del faticare, del formarsi una famiglia, dell’avere una
casa e a noi, immersi in questa realtà viene annunciata questa meraviglia,
Cristo, questo “Io” promette a noi la possibilità di giungere a conoscere Dio
come vero Dio.
Non solo ma fa consistere
in questa conoscenza di Dio la vita.
Come è possibile che la
conoscenza possa essere vita?
La conoscenza di Dio è vita
ad una condizione sola, solo se noi viviamo per conoscere Dio.
Solo se noi viviamo per
conoscere Dio, la conoscenza di Dio diventa nostra vita.
Uguale-uguale.
Solo chi vive per conoscere
Dio trova nella conoscenza di Dio la sua vita-
Questo ci fa capire perché
sia difficile approdare a questa conoscenza.
Perché fintanto che noi
viviamo per altro da Dio, fossero pure scopi nobilissimi non possiamo conoscere
Dio.
Possiamo vivere per una
famiglia, per un istituzione, possiamo vivere per il prossimo, possiamo vivere
per fare della carriere ma possiamo anche vivere per la scienza, possiamo
vivere per fare del bene agli altri, per sacrificare tutto di noi agli altri,
possono anche farci dei monumenti ma fintanto che non si vive per conoscere
Dio, la conoscenza di Dio non è nostra vita.
E allora qui dobbiamo
approfondire.
Per cercare di capire.
Perché soltanto vivendo
per-, quello diventa mia vita.
Cosa vuol dire vivere?
Vivere vuol dire avere la
possibilità, la capacità di dedicarsi a qualche cosa, di dedicarsi per
raggiungere un fine.
E noi vediamo che tutti gli
uomini vivendo, tendono a raggiungere qualche fine.
La vita è raggiungere
qualche fine, è assimilare, unificare raccogliere.
La vita è tendere a una
meta.
Però ci sono degli uomini
che non assimilano, che non raccolgono, se noi mettiamo del cibo vicino a una
pietra, noi ci accorgiamo che non assimila niente.
Perché nel nostro mondo c’è
questo esempio terribile: le pietre?
C’è la roccia, c’è il
monte, c’è la materia, c’è la pietra.
Perché Dio ci presenta la
lezione della pietra?
Noi mettiamo qualsiasi cibo
vicino alla pietra e la pietra non assimila, il pane resta pane e la pietra
resta pietra.
Se mettiamo il pane vicino
ad un animale, l’animale assimila il pane, ma se noi vicino all’animale
mettiamo un libro, l’animale non assimila il libro.
Tutto è segno.
Perché l’uomo può essere
pietra, può essere pianta, può essere animale, può essere uomo.
Ci sono uomini a cui
possiamo mettere vicino l’annuncio di Dio, il pane di Dio, la parola di Dio e
sono pietre e non assimilano niente.
La parola di Dio resta
parola di Dio e l’uomo continua a restare pietra.
Gli animali assimilano il
cibo ma non assimilano lo spirito.
Soltanto l’uomo può
assimilare lo spirito, perché?
Se noi mettiamo un libro
accanto a una gallina, la gallina non sa che farsene del libro.
Mettiamo un libro accanto
all’uomo e l’uomo forse sa farne qualche cosa di quel libro.
Se parliamo di Dio ad un
animale, l’animale non sa cosa farsene di questo parlare di Dio.
Parliamo di Dio all’uomo e
l’uomo intende qualche cosa.
Però ci può essere l’uomo
che non sa farsene niente del parlare di Dio.
Attorno a noi, nel mondo,
Dio non fa altro che significare Se stesso e quindi significa anche noi e se
davanti a noi ci sono delle pietre, è perché ci sono uomini che possono essere
pietre, siamo noi che possiamo essere pietre.
E la pietra non riceve seme
e non produce frutto e non assimila niente.
E vivere è essenzialmente
ricevere un seme e produrre frutto.
Che cosa c’è di diverso
nell’uomo che accanto alla parola di Dio, all’annuncio di Dio, può ricevere il
seme, custodirlo, meditarlo e portare frutto?
E il frutto è la conoscenza
di Dio.
Ecco, la vita è questa
capacità di dedicarsi a qualche cosa.
C’è chi si dedica ai campi,
c’è chi si dedica ad un azienda, chi si dedica al lavoro, alla famiglia, chi si
dedica ad un istituto, chi si dedica al prossimo, chi si dedica a se stesso e
la vita sta nel dedicarsi a-.
Però la parola di Dio dice
nettamente che la vita sta nel conoscere Lui.
E se la vita vuol dire
dedicarsi a-, fintanto che noi non ci dedichiamo a Dio, a conoscere Dio, noi
non troviamo la vita.
Come mai ci possono essere
uomini come pietre o come animali o degli uomini invece che ricevono il seme e
si dedicano a questo seme.
Il seme è un annuncio e
l’annuncio è questo: Dio c’è.
Dio è il creatore e tu uomo
sei stato creato per conoscere Dio.
Ci sono uomini che ricevono
questa parola di Dio e ascoltando questo annuncio, incominciano a custodirlo, a
meditarlo e incominciano a vivere per-.
Per che cosa?
Per quello che l’annuncio
dice.
La voce ha questo potere
meraviglioso, quello di convocarci a una presenza.
E c’è questa voce nella
vita di ogni uomo: Dio c’è, Dio è il tuo creatore e Dio ti ha creato per
conoscere Lui.
E questa è voce e se noi
ascoltiamo questa voce, questa voce ci convoca, ci convoca dove?
Ci convoca a vivere per ciò
che ci annuncia.
Ci convoca a vivere per
conoscere Dio.
E soltanto coloro che
vivono per conoscere Dio, trovano nella conoscenza di Dio la vita.
Come mai c’è negli uomini
questa diversità?
Questa diversità di finalità
e di vita: si vive per tante cose.
Come mai di fronte a questa
unica Parola uguale per tutti: “La vita sta nel conoscere Dio” ci sono risposte
differenti?
Il problema di fondo è un
problema di valori e di valutazione.
Tutto dipende da ciò che
l’uomo mette prima di tutto.
E perché ci sono uomini che
mettono prima di tutto il lavorare, il guadagnare, l’azienda, un’istituzione,
un comportamento nel mondo, un modo di essere, perché ci sono queste
differenziazioni?
Dio solo è Colui che è al
di sopra di tutto e perché ci sono uomini che mettono altro al di sopra di
tutto?
Altro interesse, altro
motivo, altro scopo di vita.
Perché?
Non è un problema di
volontà, è problema di valutazione.
Di stima.
Ogni uomo dentro di sé
compie una certa valutazione, dà una certa stima di fronte a tutto quello che
gli si presenta: questo vale molto, questo vale poco.
E ci sono uomini che
ritengono che il problema di Dio valga niente: è un problema astratto, non si
vede e non si tocca, il problema è un altro, è quello di mangiare e di vestire
o raggiungere una certa gloria nel mondo.
E ci sono invece uomini che
ritengono che Dio sia tutto.
Come mai c’è questa
differenziazione qui, in uomini che sono tutti creati da Dio?
È un problema di
valutazione.
Ma perché ci sono uomini che
valutano uno diverso dall’altro.
La valutazione non è
problema di volontà, l’uomo non è libero, la libertà la si ha soltanto nella
conoscenza della Verità.
La valutazione è un
problema di pensiero, le valutazioni si fanno nel pensiero.
Cos’è che dentro di noi,
nella nostra mente, tra i nostri pensieri, ci fa mettere prima di tutto
qualcosa o altro?
Il problema si riduce qui a
due termini soli: Dio e il nostro io.
Se il nostro io è la
preoccupazione principale per noi, noi valutiamo nella nostra mente, nei nostri
pensieri, importante, ciò che soddisfa il nostro io, ciò che risponde alle
ambizioni del nostro io, ciò che fa essere il nostro io al centro di un piccolo
o un grande mondo poco cambia.
Se invece noi abbiamo nella
nostra mente Dio prima di tutto (giustizia) come punto fisso di riferimento,
ogni valutazione è fatta in relazione a Dio: serve o non serve per conoscere
Dio?
Mi aiuta o non mi aiuta per
conoscere Dio?
È un problema di valori,
perché soltanto da queste valutazioni, poi dopo l’uomo è fatto capace di
volere.
La volontà ubbidisce ai
valori ed è importantissimo questo.
La nostra volontà che è ciò
con cui si determina il nostro vivere (tendere a-) è una funzione, una
conseguenza di ciò che noi abbiamo valutato importante.
Ora, se noi abbiamo messo
prima di tutto ciò che non è Dio (assoluto-eterno) noi siamo dipendenti da cose
che sono soggette a mutamento, condizionate.
Teniamo presente che la
volontà può volere soltanto in quanto vede un valore davanti a sé.
Arriva un momento certissimamente
che quel valore che noi abbiamo messo prima di tutto crolla, ci delude, si
annulla.
E cosa succede quando
questo valore qui si annulla?
Guardate che qui è l’opera
creatrice di Dio che mette un grosso tratto blu, sull’errore che noi abbiamo commesso.
Ci annulla il valore
diverso da Dio che noi abbiamo messo prima di tutto.
Annullandoci il valore,
facendoci cioè toccare con mano la delusione di ciò per cui noi siamo vissuti,
annulla in noi la capacità di volere.
Noi perdiamo la capacità di
vivere.
Le cose non hanno più
senso, non hanno più significato.
La vita diventa
insostenibile.
L’uomo incomincia a fare
esperienza di morte.
Qui incominciamo a capire
l’importanza nel valutare di mettere prima di tutto Dio.
Soltanto se noi mettiamo un
valore eterno prima di tutto, nelle nostre valutazioni e quindi cominciamo a
vivere per quel valore eterno, noi non saremo soggetti a questa vanificazione,
di annullamento del valore per il quale noi siamo vissuti.
Quando viene annullato il
valore per cui viviamo, noi non siamo più capaci di volere, quindi non siamo
più capaci di vivere.
Le nostre capacità sono una
conseguenza di quello che noi portiamo nel nostro pensiero, nella nostra mente.
Soltanto se dentro di noi
abbiamo presente Dio, il pensiero di Dio, noi possiamo valutare rettamente
quello che dobbiamo mettere prima di tutto.
Allora a questo punto la
cosa è chiara, soltanto il pensiero di Dio dà a noi la possibilità di trovare
ciò che è eterno, di mettere prima di tutto ciò che non è soggetto a mutamento.
Il pensiero di Dio è questo
“Io” di Cristo: “Io vi do la vita eterna”, nessuno può dare la vita eterna,
perché se tu non hai presente in te Dio come prima di tutto nel dare la
valutazione delle cose, tu nel modo più assoluto non puoi avere la vita eterna.
Soltanto il pensiero di Dio
dà a noi la possibilità, la capacità della corretta valutazione, cioè di
mettere prima di tutto quello che va messo prima di tutto.
E prima di tutto va messo
ciò che è eterno.
E allora qui concludiamo
dicendo in cosa sta questa vita eterna.
La vita eterna sta nella
capacità di occuparci di ciò che è eterno.
La vita eterna sta nella
capacità di pensare Dio.
Notiamo bene che noi
possiamo arrivare al punto da non essere più capaci di pensare ciò che è
eterno.
Non siamo più in grado di
occuparci di ciò che è eterno.
Non siamo in grado di
dedicarci a ciò che è eterno.
Cristo ci reca la capacità,
la possibilità di dedicarci a ciò che è eterno, ci reca la possibilità
d’individuare ciò che è eterno e di vivere per ciò che è eterno.
E questa è la vita eterna
che Cristo è venuto a darci.
Non a darcela con la nostra
morte ma a darcela qui, perché noi siamo già qui nella vita eterna.
Però noi possiamo
concludere la vita con un grande aborto.
Un aborto in cui tutte le nostre
capacità svaniscono, cioè noi possiamo diventare incapaci di pensare Dio.
Incapaci di occuparci di
Dio.
Incapaci di dedicarci a
Dio.
Questo è l’aborto e questo
è il fallimento della vita.
Cristo prima di tutto ci fa
individuare l’unica cosa necessaria e ci dà la possibilità di vivere per ciò
che è eterno.
Eligio: Cristo dà alle sue
pecore la capacità di vita eterna.
Luigi: Capacità di
dedicarsi a Dio.
Capacità di conoscere Dio.
Non è che al termine della
vita, dopo aver vissuto per cose temporanee, io mi possa dedicare a conoscere
Dio, non posso!
Cioè vivendo per delle cose
che mutano, io perdo la capacità di occuparmi delle cose eterne, cioè perdo
l’anima.
Non sono più capace, non so
dove sbattere per occuparmi delle cose eterne.
La conoscenza di Dio,
diventa vita per colui che vive per conoscere Dio.
Eligio: Si trova nella
possibilità di conoscere Dio, colui che si affida totalmente all’Io di Cristo.
Luigi: L’Io di Cristo è la
condizione per valutare in modo retto.
Tutto il problema della
nostra vita è determinato dalla valutazione, in quello che io metto prima di
tutto.
Se io tengo presente il mio
io, io metto prima di tutto quello che risponde alla soddisfazione del mio io.
“Nessuno viene a me se non
è attratto dal Padre”, per cui se non metto Dio al di sopra di tutto e non
guardo le cose da Dio...
Il guardare le cose da Dio
è proprio avere il pensiero di Dio e il pensiero di Dio è il Figlio.
Per cui è il Figlio che mi
dà la possibilità di valutare rettamente ciò che è eterno, di riconoscere ciò
che è eterno e di metterlo al di sopra di tutto e di vivere per quello, è lì
che mi dà la vita eterna.
Eligio: L’importante è
escludere tutto ciò che non è l’io di Cristo.
Luigi: Senza Dio, io do
delle valutazioni necessariamente errate e divento figlio di queste valutazioni
errate.
A un certo momento questi
valori errati che ho posto alla base della mia vita vengono annullati.
Nel regno di Dio le
valutazioni errate vengono annullate.
Annullate, io divento
incapace di vivere, perdo la capacità di pensare e perdo la capacità di volere.
Perché io non posso nè
pensare , nè volere se non sono sostenuto da un valore.
Quindi quando una cosa per
me non vale più niente, quando mi ha deluso, io non sono più capace di volerla,
sono reso impotente.
Ora, il Cristo è venuto per
evitarci di essere ridotti a questa impotenza qui che è manifestazione della
Verità su di noi.
GV 10 VS 28 - Io do loro la vita eterna e non andranno
perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Secondo tema – Anoressia spirituale.
Argomenti: La vita eterna sta
nella capacità dvi pensare ciò che è eterno. Le due
testimonianze della morte. La capacità di riconoscere la voce del Padre:
il Figlio. La volontà è condizionata dai valori. La valutazione. Sapere il proprio
niente. Dio solo non muta. La morte glorifica Dio. La perdita della
capacità di pensare e di volere. Schiavi del niente infinito. Il crollo del nostro
mondo. “Fuggite ai monti”. Il senso di colpa dell’uomo verso Dio. La presenza di Dio
è legata al nostro pensare. La ferita di Giacobbe. Dio è soltanto se
l’uomo gli dà l’essere.
27-28/ Ottobre /1991
Domenica scorsa abbiamo visto la prima parte
di questo versetto: “Io do loro la vita eterna”.
Oggi dobbiamo fermarci sulla seconda parte,
la parte centrale: “Esse non periranno mai”.
È un’assicurazione, una promessa di Gesù,
parola di Dio per noi e proprio perché parola di Dio, noi dobbiamo chiederci,
quale lezione, quale significato ha e che cosa Dio vuole comunicarci con
quest’affermazione: “Esse non periranno mai”.
“Esse” chi?
Le sue pecore.
Le pecore di Dio.
Basta accennare a questo per capire che ci
sono invece pecore che periscono o perlomeno c’è il rischio di questo perire.
Abbiamo visto la volta scorsa in cosa
consiste la vita eterna.
La vita eterna sta nella capacità di pensare
ciò che è eterno.
Adesso che abbiamo visto questo, abbiamo la
capacità di capire cosa vuole dire perire.
Perché se la vita eterna sta nella capacità
di pensare ciò che è eterno, il perire sta nella incapacità di pensare ciò che
è eterno.
Teniamo presente che se c’è una vita eterna,
c’è anche il rischio di una morte eterna.
La vita eterna è una vita che non termina
mai, va di luce in luce all’infinito, Dio è un infinito.
Questa vita sta nel conoscere Dio e abbiamo
visto come la conoscenza di Dio sia vita, e vita eterna.
Ma se c’è una vita eterna, c’è anche una
morte eterna o per lo meno il rischio di una morte eterna.
Cioè di una morte che non finisce mai.
Il rischio dell’uomo è questo: non arrivare
mai a morire definitivamente.
Una morte crescente ma crescente all’infinito
così come c’è una vita crescente all’infinito.
E noi dobbiamo chiederci: c’è?
È veramente così?
Gesù qui parla di perire, è parola di Dio,
quindi vuol dire che c’è questo rischio.
Altrimenti non ne parlerebbe nemmeno, sarebbe
tutto assicurato.
Noi però dobbiamo chiederci: questa morte
perché c’è?
Che significato ha?
Forse Dio non può evitarci questo morire o
questo rischio di morire?
Sul fatto che ci sia questo perire, abbiamo
due testimonianze anche qui.
Abbiamo già visto che ci sono due
testimonianze per la vita eterna.
Così ci sono anche due testimonianze per
questa morte, in cui ogni uomo, essendo chiamato alla vita eterna, si trova nel
rischio.
Due sono le testimonianze.
Prima di tutto la parola di Dio, Dio lo dice
apertamente, parla della possibilità di restare chiusi fuori, di bussare invano
ad una porta che non si apre.
Parla del rischio di essere gettati nelle
tenebre dove è pianto e stridore di denti e dove apertamente Lui dice: “Il loro
verme non muore”.
Questo verme che rode, ecco la morte
all’infinito.
Questo verme che rode l’anima dell’uomo e non
gli dà pace.
La prima testimonianza è quella della parola
di Dio.
E poi c’è la testimonianza dell’uomo, l’uomo
è un essere che soffre, è un essere che è in crisi, una crisi esistenziale,
quando non può capire, quando si trova di fronte alla vanità del tutto, al
crollo dei valori, al non senso delle cose o della vita.
L’uomo è un essere che fa esperienza di
morte.
Abbiamo due testimonianze, tutte le opere di
Dio si valgono di due testimonianze, i due testimoni e questo è sufficiente per
renderci responsabili.
La prima testimonianza è quella della parola
di Dio, noi possiamo anche non capirla ma non possiamo smentirla.
E la seconda testimonianza è quella che portiamo
noi stessi dentro di noi.
Noi esperimentiamo la pace, la gioia, la
felicità nel trovare la luce e questo è segno del destino per il quale Dio ci
ha creati.
Questa primogenitura che Dio ci ha promesso.
La nostra gioia sta nel conoscere, sta nel
capire.
Così, ognuno di noi fa esperienza di questa
morte, fa esperienza della vanità di tutte le cose, soprattutto della vanità di
ciò per cui lui sta vivendo o consumando la sua vita.
Ci sono queste testimonianze.
Ma noi dobbiamo anche chiederci che
significato ha questo morire, questo perire?
O perlomeno questo rischio che grava su ogni
uomo di perire.
Quello che caratterizza la vita è la
finalità.
Non tutti gli uomini, pur essendo creati per
uno stesso fine, vivono per lo stesso fine.
Dio vuole che tutti si salvino e giungano a
vedere la Verità, questo è il fine, il destino per cui Dio ci ha creati.
Dio vuole che tutti entrino nella vita
eterna, anzi ammonisce: “Sforzatevi di entrare nella vita eterna”.
Sforzatevi di entrare in questa conoscenza di
Dio come vero Dio.
Però è altrettanto vero che ogni uomo ha un
suo fine.
E noi dobbiamo chiederci coma mai, l’uomo
creato per conoscere Dio, destinato a questo, l’uomo vive per altro.
Cosa succede nell’uomo che vive per altro da
Dio?
E c’è da ringraziare il Signore, se almeno in
punto di morte, l’uomo capisce e si rende conto del suo destino, di ciò per cui
è stato creato.
Per quale motivo, cosa c’è?
Ogni uomo vive per qualche cosa, in quanto
dentro di sé, ha dato valore a qualche cosa.
Il destino dell’uomo che da Dio è stato ben
fissato, ben netto, nell’uomo subisce una deviazione, è affidato a una
valutazione.
L’uomo dentro di sé determina, ciò per cui
vuole vivere, ciò a cui vuole destinare la sua vita, ciò a cui vuole offrire il
suo pensare, i suoi pensieri.
Ed è in questa valutazione che succede tutto,
è nella mente dell’uomo.
L’uomo a un certo momento dà stima a qualcosa
mette al di sopra di tutto qualcosa.
L’uomo può pensare una cosa sola per volta e
proprio perché può pensare una sola cosa per volta, già pensando privilegia
qualcosa.
Perché pensa ad una cosa anziché ad un altra?
Per quale motivo?
E per quale motivo non privilegia Dio.
Per quale motivo non pensa Dio?
Dio è il massimo valore.
Nessuno lo può smentire.
Eppure non è il nostro massimo valore.
Dio non è il massimo valore dell’uomo.
Abbiamo detto che il punto cruciale, deriva
dal fatto che l’uomo tende a valorizzare ciò che per lui è significativo.
E se pensa a se stesso, significativo
(valore) per lui è ciò che gli fa fare bella figura, è ciò che lo fa stimare
dal mondo, piccolo o grande che sia.
Se l’uomo pensa a se stesso, mette in primo
piano ciò che può esaltare, gonfiare il suo io davanti agli altri.
È un gioco di prestigio: l’uomo tende a
cercare la propria gloria.
E Gesù stesso dice che chi cerca la propria
gloria non può credere.
“Come potete credere voi che andate
elemosinando la gloria gli uni dagli altri?”.
Chi cerca la propria gloria è sempre un
mendicante, mendicante e cieco, anche se è ricchissimo, anche se è potente, anche
se è primo ministro, è un cieco che ha bisogno che gli altri gli battano le
mani, che gli altri lo ammirino, che gli altri gli dicano che lui è importante.
Ma se l’uomo sente il bisogno di elemosinare
questo, è perché porta dentro di sé una grande convinzione, la convinzione di
essere niente.
E allora ha bisogno di qualcuno che gli dica:
“No, tu sei qualcuno, tu vali qualche cosa”.
Ma l’uomo sa di essere niente e se anche
tutto il mondo gridasse la sua importanza, l’uomo sa, sa il suo niente.
E sa il suo niente perché non può ignorare
Dio e allora fa un errore di valutazione grande quando lui cerca, esalta quei
valori che sono significativi per il suo io.
Ben diversa è la stima, è la valutazione che
l’uomo fa se tiene presente Dio.
Perché se l’uomo tiene presente Dio, cerca
ciò che è significativo per Dio.
Cerca ciò che vale per Dio.
Qui l’uomo dà una giusta stima alle cose.
Il che vuol dire che soltanto con il pensiero
di Dio, noi abbiamo la possibilità, di valorizzare e giudicare bene le cose.
Senza il pensiero di Dio, cioè nel pensiero
del nostro io, noi necessariamente falsifichiamo i valori.
Per cui riteniamo importante ciò che non è
importante, riteniamo significativo per noi ciò che non è significativo per
noi.
Abbiamo detto che la vita eterna sta nella
capacità di pensare ciò che è eterno.
L’uomo non ha in sé la capacita.
La capacità si forma nell’uomo in relazione a
ciò che l’uomo ha presente.
Ricordo l’esempio dell’acqua, ricordo
l’esempio delle persone, soltanto alla presenza di una persona, noi ci formiamo
la capacità di riconoscere la voce di quella persona.
Soltanto alla presenza dell’acqua in noi si
forma la capacità di riconoscere la voce dell’acqua.
E tutto è così, perché ho detto che tutto è
voce.
Però ogni voce è sempre singolare di un essere,
per cui soltanto dalla presenza dell’essere, è dato a noi formare in noi la
capacità, altrimenti questa capacità di riconoscere la voce non l’abbiamo.
E già questo è un grande segno nel cielo di
Dio.
Ci fa capire che soltanto alla presenza di
Dio creatore è dato a noi di formare in noi la capacità di riconoscere la voce
di Dio.
E la voce di Dio è il Figlio.
Se noi non siamo stati presenti, almeno per
un attimo, alla presenza del Padre celeste creatore, non si è formata in noi,
la capacità di riconoscere la voce di Dio.
Ora, se noi nel pensiero del nostro io, diamo
dei valori sbagliati alle cose e dando dei valori sbagliati viviamo per questi
valori...notate che quando uno ha dato valore ad una cosa e l’ha messa al di
sopra di tutto, la sua vita è determinata, lui vivrà in funzione di quel
valore, si può già sapere dove andrà a finire, fino all’ultimo.
Perché la nostra volontà, la volontà di
vivere, la volontà di tendere ad un fine, è sempre condizionata dal valore, da
ciò che noi riteniamo importante.
Non possiamo volere una cosa che per noi
valga niente.
Non possiamo volere una cosa che per noi sia
insignificante.
E la vita è espressione di volontà, perché è
unificazione in quel massimo valore che noi abbiamo messo prima di tutto.
Fossimo anche religiosissimi non conta
assolutamente niente, perché tutta la nostra religiosità, cantassimo lodi da
mattina a sera, è sempre soltanto una cornice a ciò che noi abbiamo messo prima
di tutto.
Quello che determina tutto non è la nostra
religiosità, quello che determina tutto nella nostra vita è ciò che noi
mettiamo prima di tutto, ciò per cui noi siamo sempre disponibili, ciò per cui
noi abbiamo sempre tempo, è lì che si rivela, ciò che noi abbiamo messo prima
di tutto.
Tutto il resto è contorno, è a servizio del
nostro prima di tutto.
Ora cosa accade?
Dio solo è l’eterno e se Dio solo è l’eterno,
ogni altro esistente, quindi ogni altro valore, non è eterno.
Tutto ciò che non è Dio è segno di Dio,
quindi tutte le creature, anche gli angeli sono creazione di Dio ma non sono
Dio.
E se Dio solo è l’eterno, Dio solo è
l’immutabile, è l’assoluto, è Colui che non muta mai e non muore mai, ogni
altro esistente essendo segno e non essere, è soggetto a mutamento: tutto muta,
Dio solo rimane, Dio solo è.
Succede quindi che quando noi poniamo come
valore nella nostra vita altro da Dio, questo altro da Dio, non essendo Dio,
non è eterno, è soggetto a mutamento a cambiamento, è soggetto al tempo ed è
soggetto al morire.
Soggetto al morire, non perché Dio lo abbia
assoggettato al morire o alla vanità: tutta la creazione, anche gli angeli sono
stati assoggettati a questa vanità, ma sono stati assoggettati per noi, per la
nostra vita, per glorificare Dio.
Tutta la creazione, tutte le creature, angeli
compresi, con il loro mutare, con la loro relatività, con i loro
condizionamenti, non fanno altro che glorificare Dio, che cantare la gloria di
Dio.
L’uomo morendo, non fa altro che glorificare
Dio.
L’uomo che è costretto a mutare, è costretto
all’infedeltà, perché non è capace ad essere fedele: l’uomo in buona fede dice
che domani verrà, e poi non viene.
Perché non può.
Perché c’è un altro che opera su di lui.
L’uomo con la sua infedeltà, con il suo
mutare, testimonia che senza Dio non si può fare niente.
Non si può nemmeno essere fedeli.
Senza Dio si è in continuo mutamento.
Quando allora noi nelle nostre valutazioni,
nella nostra mente, poniamo un valore diverso da Dio come punto di riferimento
per la nostra vita, quindi come fine, come scopo del nostro vivere pratico,
questo qualche cosa, non essendo eterno è soggetto a mutamento e cosa succede?
La volontà dell’uomo non può volere una cosa
che non abbia valore.
La volontà è una espressione dei valori,
tolto il valore la nostra volontà non può più volere.
Se noi viviamo per qualche cosa che è molto
importante per noi, quando questo qualche cosa molto importante per noi, muta,
crolla, noi subiamo una crisi, non siamo più in grado di volere.
Qui succede un disastro, è la fine del mondo,
è il crollo di una città, è un terremoto.
Perché noi abbiamo la capacità che è
condizionata da ciò che abbiamo presente e se noi abbiamo messo come presenza
nostra, un valore che poi dopo ci delude, muta, crolla, noi non siamo più
capaci, né di pensare, né di volere.
Non siamo più capaci di vivere, la volontà di
vivere finisce ma finisce con il crollo dei valori o per il crollo di quei
valori per i quali noi siamo vissuti.
Noi siamo una funzione di ciò per cui
viviamo, di ciò cui noi dedichiamo il nostro tempo, la nostra vita ed essendo
funzione di quello, quando quello crolla, tutto di noi crolla.
Noi perdiamo la capacità di pensare, noi
perdiamo la capacità di volere.
Una cosa che crolla, che perde di valore, per
noi non ha più significato e ciò che non ha significato, da noi non può essere
voluto.
Quando noi siamo vissuti per una persona e
quella persona ci ha delusi, per cui la nostra vita non ha più significato, noi
non abbiamo più la capacità, la volontà di vivere.
La nostra vita senza significato, non può
essere voluta.
Il Signore dice: “Quando incomincerete a
vedere queste cose fuggite”.
Ci sono dei segni premonitori, ci sono degli
scricchiolii che annunciano il terremoto o il crollo della casa.
Se vita eterna è capacità di pensare ciò che
è eterno, quando noi ci accorgiamo che perdiamo questa capacità di pensare
l’eterno, questo è il primo scricchiolio, perché questo è segno che noi siamo
invasi da ciò che non è eterno.
E quindi dobbiamo aspettarci il giorno dopo,
il crollo di ciò che non è eterno ed in cui noi stiamo giustificando la nostra
vita e con questo crollo la fine di noi stessi.
La fine della nostra capacità di pensare,
perché noi abbiamo la possibilità di pensare ciò che è eterno, quando ancora
non abbiamo deciso niente, ma quando noi abbiamo messo un valore ed abbiamo
incominciato a vivere per questo, la nostra capacità di pensare, amare, volere,
è tutta determinata da ciò che noi abbiamo presente, cioè è determinata da ciò
per cui noi stiamo vivendo, dal nostro fine e siccome questo fine non è eterno,
questo ci porta via la capacità di pensare ciò che è eterno.
Perché la capacità di pensare ciò che è
eterno ci viene dall’eterno e se noi non pensiamo l’eterno, noi perdiamo la
capacità di pensare l’eterno.
E quando non abbiamo più la capacità di
pensare l’eterno siamo finiti.
Notate che quando crolla in noi quel valore
per cui noi siamo vissuti o abbiamo dedicato il nostro vivere, non è che noi
siamo liberi, dico: “È crollato e adesso mi dedico ad altro”, eh no!
Il valore crolla, il valore ci delude, il
valore quindi ci fa fallire la nostra vita e la nostra capacità di vivere e di
pensare, però noi non ne usciamo mica, noi restiamo succubi schiavi, del valore
che è crollato.
Noi non ne usciamo perché quel valore è
fallito o ci ha delusi, quando un nostro caro è morto, noi non siamo liberi
perché quel caro è morto, quello che non ci libera dal valore crollato, è
perché noi abbiamo bisogno di capire il perché, abbiamo bisogno di una
giustificazione: “Perché è successo questo?”.
Ed è quello che ci lega, ci lega al niente,
perché per noi quello è niente, eppure non riusciamo più ad uscire da questo
niente.
Noi vediamo così che l’assoluto è un abisso
infinito di luce e di conoscenza ma per noi quel niente in cui è precipitato
quel valore che noi abbiamo messo al posto di Dio, quel niente è un abisso
altrettanto infinito che mangia tutto di noi.
Perché noi abbiamo bisogno di trovare una
giustificazione.
Il bisogno di un perché?
“Perché mi ha fatto questo, perché mi ha
deluso? perché è mutato? Perché è morto?”.
È quello che ci rende schiavi e a un certo
momento ci rende incapaci di vivere.
Perché non c’è giustificazione se non da Dio
e se non in Dio.
Questi sono fatti che ogni uomo esperimenta
nella sua vita.
L’uomo quando vive per ciò che non è Dio, già
incomincia a sentire timori e paure e sono scricchiolii, è il Signore che ci
dice di fuggire dalla città.
Quando vi accorgete che non siete più in
grado di desiderare quello che è assoluto, di pensare ciò che è assoluto,
quando vi accorgete che le cose del mondo vi stanno portando via verso il
nulla: “Fuggite dalla città”.
Perché?
Per non essere travolti dal crollo della
città.
Quella città per cui voi state vivendo, è
destinata a crollare e la parola di Dio dice a noi: “Fuggi”.
Il tema di oggi lo volevo chiamare: toccata e
fuga.
C’è la toccata, questo annuncio, questo
scricchiolio che ci avverte che la città in cui noi stiamo vivendo e per cui
noi stiamo vivendo, sta subendo il rischio di un terremoto.
E la parola di Dio ci avverte in anticipo e
ci dice: “Fuggi”.
E fuggi dove?
Fuggite ai monti.
Nella scrittura il monte è sempre segno di
elevazione, di preghiera, di contemplazione, di rapporto con Dio.
Ma ho detto che a questo punto la capacità
dell’uomo di pensare l’assoluto, di pensare l’eterno, di pensare Dio, viene dall’eterno
e se l’uomo non ha messo nel suo pensiero l’eterno ma ha messo altro, non ha
più la capacità di pensare l’assoluto, non ha la possibilità di pensare
l’eterno.
L’uomo a questo punto sta esperimentando il
fallimento per cui è vissuto, il niente ma sta anche esperimentando questo:
l’assenza di Dio.
L’uomo sta esperimentando il vuoto di tutto.
“Fosse vero che Dio c’è”, dice l’Innominato,
ma chi lo assicura?
L’uomo fa esperienza dell’assenza di Dio.
Però questa esperienza dell’assenza di Dio
nell’uomo, è strettamente legata (questo è molto importante) ad un senso di
colpa dell’uomo stesso.
Quando l’uomo
esperimenta l’assenza di Dio, quando assiste al crollo della sua vita,
quando non è più capace di pensare l’assoluto e l’eterno, quando non desidera più vivere, quando non
desidera nemmeno più la vita eterna, quando non ha più desiderio di nutrirsi,
di mangiare (anoressia spirituale), quando si lascia morire, quando si lascia
andare perché tutto oramai è fallito, lì non trova il soccorso di Dio, trova
l’assenza di Dio, lui invoca, chiede, piange ma Dio non si presenta.
L’uomo esperimenta l’assenza di Dio.
Però in questa esperienza che l’uomo fa,
l’uomo porta un senso di colpa e la colpa sta in questo: sapere di non avere
dato il proprio pensiero a Dio, avere trascurato Dio.
Cioè questa esperienza di assenza di Dio
nella vita dell’uomo è strettamente legata all’uomo che ha trascurato Dio,
all’uomo che ha vissuto senza dare il suo pensiero a Dio.
L’uomo è vissuto per altro da Dio e l’uomo sa
di essere vissuto per altro da Dio, perché l’uomo non può ignorare ciò per cui
vive e questo altro per cui è vissuto sa che non era Dio e siccome Dio è un
essere che nessuno può ignorare (anche nell’inferno non lo si ignora), l’uomo
porta questo senso di colpa: “Io sono vissuto per altro da Dio”.
L’uomo non sa il come e non può saperlo, però
sa che l’esperienza dell’assenza di Dio, del silenzio di Dio, della morte di
Dio che egli esperimenta, che egli prova è essenzialmente legata al suo avere
trascurato Dio.
E questo ci fa capire una cosa enorme, che la
presenza di Dio, l’esperienza di Dio, la conoscenza di Dio è strettamente
legata al nostro pensiero.
Se noi dedichiamo il pensiero ad altro da
Dio, noi corriamo verso l’esperienza della morte di Dio, dell’assenza di Dio,
pur non potendo negare Dio o annullare Dio.
La grande scoperta che ci fa fare questa (ed
è una grande ferita) esperienza dell’assenza di Dio è questo: Dio è
strettamente legato al nostro pensare.
Dio, la conoscenza di Dio è strettamente
legata a ciò a cui noi dedichiamo il nostro pensiero.
A questo punto l’uomo porta con sé una
ferita, ha fatto fuori Dio dalla sua vita, l’ha trascurato.
Ho fatto fuori il mio amore principale, l’ho
trascurato e quando io vado a elemosinare da questo amore qui non lo trovo più,
ma io so che l’ho trascurato.
L’uomo ha trascurato Dio perché ha preferito
altro, adesso che avrebbe bisogno di un soccorso, Dio non c’è.
Dio non c’è più.
Dio è assente, è morto.
Però l’uomo porta questa ferita.
Quando abbiamo parlato della lotta di Giacobbe,
abbiamo detto che l’uomo vince Dio, vince Dio perché riesce a vivere per altro
da Dio.
L’uomo vince Dio ma resta ferito.
E in questa ferita per l’uomo, c’è una
finestra che si spalanca, c’è una porta aperta.
L’uomo capisce che il rapporto con Dio è in
relazione al suo pensiero, al pensiero dell’uomo.
Capendo questo, l’uomo a questo punto non è
capace a pensare Dio, non può pensare Dio, perché la capacità di pensare Dio
viene soltanto da Dio e quando l’uomo pensa Dio, lo pensa con il Figlio di Dio,
soltanto con il pensiero di Dio e quando l’uomo scopre di essere oramai
separato da Dio, l’uomo non può più pensare Dio.
Non può ignorare Dio ma non può pensarlo, se
potesse pensarlo sarebbe nella vita eterna.
Questa ferita gli fa capire che lui ha
trascurato Dio e adesso Dio è assente, gli fa capire che la vita, la capacità
di conoscere Dio è strettamente in relazione al suo pensiero (pensiero
dell’uomo non di Dio).
In questa ferita (problema del Cristo) c’è una
finestra che si spalanca sull’eterno, l’uomo non è capace di pensare Dio, però
comincia qui ad invocare.
L’uomo non sa come ma comincia a desiderare
di incontrare qualcuno che gli parli di Dio, parli di Dio a lui che non è
capace di pensare Dio.
A lui che patisce, soffre e muore per
l’assenza di Dio.
Qui a questo punto l’uomo è aperto
all’incontro con Cristo.
L’uomo che non è capace di pensare Dio, è
però attento all’incontro con Colui che gli parla di Dio e parlandogli di Dio,
gli dà la possibilità di ricostruire il valore perduto, la fede perduta, la sua
vita, di ricostruire tutto, è una ferita che si apre sopra l’eternità.
A questo punto qui l’uomo non può più
appartenere al mondo, non ha ancora trovato Dio ma già appartiene a Dio e
quando incontra Colui che gli parla di Dio, a questo punto lui parte, non gli
importa più niente d’altro, l’uomo è stato purificato, attraverso questa
esperienza di questa morte, attraverso questa esperienza di perdita
dell’interesse per Dio, di perdita della capacità di vivere, di perdita della
capacità di pensare Dio.
A questo punto, l’uomo ha la possibilità di
dare vita a Dio.
Proprio perché Dio è condizionato dal nostro
pensare, Dio incomincia a essere per l’uomo che l’ha perso, soltanto se l’uomo
gli dà l’essere, incomincia a vivere soltanto se l’uomo gli dà la vita, perché
è in stretta relazione al pensare dell’uomo.
Dio incomincia ad essere soltanto se l’uomo
incomincia a pensare a Dio.
GV 10 VS 28 - Io do loro la vita eterna e
non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Terzo tema - Fortezza e debolezza dell'uomo.
Argomenti: Zona Cesarini. Anoressia
spirituale. La volontà è effetto dei valori. Inferno e paradiso. Le contraddizioni del
parlare di Dio. Dimenticare il pensiero dell’io. La scala della
creazione. Pecore di Dio e pecore non di Dio. Essere portati via a
Dio. Non c’è posto per Dio nella nostra vita. Tutto è nelle mani di
Dio. L’assenza di Dio. Dio nasce senza di noi ma non muore senza di noi. Il legame tra il
nostro pensiero e Dio. Dio oggetto-soggetto del nostro pensiero. Il sapere o non
sapere dell’uomo non condiziona la realtà. Il giudizio del mondo
e il giudizio di Dio. La Verità e l’ignoranza. La responsabilità dell’uomo.
3-4/ Novembre/1991
Ci rimane stasera questa ultima parte:
“Nessuno le rapirà dalle mie mani”.
Era necessario vedere gli argomenti delle
domeniche scorse, soprattutto l’anoressia spirituale che è un primo sintomo di
questo perire a cui l’uomo va incontro quando trascura Dio.
Anoressia vuol dire non più interesse per
Dio.
L’uomo può arrivare a questo punto, a non
avere più interesse per conoscere Dio.
L’interesse a quella beata vita eterna a cui
la parola di Dio ci invita e ci sprona e ci dice: “Sforzati di entrare”.
S. Paolo stesso dice: “Se tu oggi odi la
parola di Dio, affrettati ad entrare nella sua pace”.
La pace di Dio è la conoscenza della Verità,
la conoscenza di Dio.
E bisogna sforzarsi e bisogna affrettarsi,
Gesù dice: “Sforzati di entrare per la porta stretta!”.
“Affinché non avvenga come al popolo ebreo
che quando giunse alle porte della terra promessa, ebbe timore e gli mancò la
fede”.
Si corre quindi il rischio di essere
costretti a vagare per quarant’anni nel deserto fino all’estinzione di tutta
quella generazione.
Dio è Colui che opera tutto, Dio è Colui che
fa tutto ma fa tutto in un pensiero ben definito e chiaro, Dio opera tutto
nella vita di ogni uomo, per condurre ogni uomo alla conoscenza di Sé.
Perché nella conoscenza di Dio c’è la nostra
vita eterna e l’uomo corre il rischio di non giungere a questa conoscenza di
Dio.
Corre il rischio di precipitare in
quest’anoressia, in questa indifferenza, in questo non più appetito, in questa
non più fame, in questo non più desiderio,
Si arriva al punto di non avere neppure più
volontà di vivere.
La volontà non è libera nell’uomo.
L’uomo non può volere.
La volontà è un effetto dei valori.
E quando noi non mettiamo Dio prima di tutto,
noi cadiamo schiavi di altri valori, infinitamente inferiori a Dio e sono
questi valori qui (inferiori) che determinano la nostra volontà e che la
frustrano.
Dio solo è l’eterno, Dio solo è l’infinito,
Dio solo è l’eterno.
Essendo Lui solo l’eterno, tutto ciò che non
è Dio, (angeli compresi) è soggetto a mutamento.
Ed essendo soggetto a mutamento, è soggetto a
deludere coloro che fanno conto su di quello.
Quando l’uomo fa esperienza della delusione,
cioè del crollo di quei valori nei quali lui ha creduto, l’uomo resta
frustrato, perché il crollo dei valori trascina l’uomo con sé.
Crollati i suoi valori non è che l’uomo resti
libero per altro.
Ho fatto l’esempio della mamma che per
distrazione perde il suo bambino, la mamma non è libera da quella perdita,
perso il bambino non può rivolgersi ad altro, non può.
C’è una forza di trascinamento nell’annullamento
dei valori che porta via l’anima, la vita alla creatura, perché l’uomo non può
sopportare l’annullamento delle cose senza trovare una ragione, una
giustificazione.
Il niente non esiste ma c’è l’opera di questo
niente che può far perire l’uomo.
Dio solo è, e l’uomo può vivere per ciò che
non è, e essere quindi trascinato nel vortice di ciò che non è.
Quando le cose si annullano diventano il non
essere.
Ma nel loro precipitare nel non essere
trascinano dietro di sé l’uomo, perché l’uomo non può separarsi da esse senza
trovare una ragione, una giustificazione dell’annullamento di quello che ha
creduto fino ad allora e che ora costata che non è più.
Era necessario approfondire questi argomenti
qui: in che cosa sta la vita eterna, e precisare che la vita eterna sta nella
possibilità di pensare l’eterno e poi quest’esperienza di anoressia spirituale
che diventa nell’uomo incapacità di pensare l’eterno.
Ecco, la vita eterna sta nella capacità,
nella possibilità di pensare Dio, l’eterno.
I termini estremi sono questi: vita eterna o
morte eterna.
La morte non è annullamento ma è esperienza
d’impossibilità di pensare all’eterno.
I due grandi termini verso cui ogni uomo sta
andando sono questo paradiso e questo inferno e il paradiso sta nella
possibilità di pensare l’eterno, di guardare tutte le cose dal punto di vista
di Dio, possibilità di conoscere Dio e l’inferno non è annullamento, è
impossibilità di pensare l’eterno, inpossibilità di conoscere Dio.
Il problema si risolve in questo: conoscenza
o non conoscenza.
Lì è la vita essenziale.
Erano necessarie queste premesse per potere
affrontare quanto qui Gesù afferma: “Nessuno le rapirà dalle mie mani”, poiché
è tutta una contraddizione.
Dio parla per contraddizioni perché sollecita
noi ad avere fame di Verità e non c’è nulla che solleciti noi a pensare più che
la contraddizione.
La contraddizione è per portare noi nella
fame: “Manderò la mia fame sulla terra” diceva già Dio per bocca dei profeti.
Questa “fame” è la contraddizione.
L’uomo a un certo momento viene a trovarsi di
fronte a tutta una contraddizione.
La nostra vita stessa è tutta una
contraddizione nei riguardi di Dio ma appunto perché è fame.
Questa dichiarazione di Gesù: “Nessuno le
rapirà dalle mie mani”.
Chi sono queste pecore che nessuno potrà
rapire dalle mani di Dio?
Nei versetti precedenti è detto chiaro: “Le
mie pecore” e questo ci fa capire che ci sono delle pecore che saranno rapite.
Intanto la prima contraddizione è questa,
l’abbiamo già vista altre volte, ma come possono esserci nel regno di Dio,
pecore di Dio e pecore non di Dio?
Perché c’è questa distinzione, là dove è
detto che Dio non fa distinzioni di persone?
Dio vuole che tutti si salvino e quando dice
“tutti” intende nessuno escluso.
Dio vuole che tutti si salvino, quindi non ci
sono pecore sue e pecore non sue.
Tutte sono pecore di Dio eppure non tutte
sono sue pecore.
E quello che nella logica umana è una
contraddizione, nella logica divina si rivela una verità.
Perché Dio vuole che tutti si salvino e tutte
sono pecore sue, ma non tutte le pecore rispondono a Dio.
Perché per diventare pecore sue, è necessario
imparare a superare il pensiero del nostro io.
Nessuno può entrare nel paradiso, cioè
nessuno può entrare nella vita eterna, nessuno può entrare in quel luogo in cui
tutte le cose sono riferite a Dio, se non ha dimenticato completamente se
stesso.
Nel paradiso non c’è nessun confronto,
nessuno si paragona con gli altri, in tutto si vede soltanto il dono di Dio,
tutto è santo e tutto è adorabile, non c’è nessuna invidia, non c’è nessuna
gelosia.
Appunto perché si è dimenticato completamente
il pensiero del proprio io.
E già su questa terra, questa terra già
appartiene al cielo, già appartiene al paradiso, già su questa terra se noi
fossimo capaci a dimenticare completamente il pensiero del nostro io, noi non
faremmo altro che godere e gioire di tutte le opere di Dio, di tutte le
meraviglie che Dio fa in tutto e in tutti.
Invece siamo sempre lì che ci rodiamo l’anima
perché il tale ha questo e io non ce l’ho, è tutta proiezione del pensiero del
nostro io.
Ed è con questo che ci avveleniamo la vita.
Questa prima contraddizione è data dal fatto
che la Verità ha un esigenza e un esigenza terribile: richiede da parte
dell’uomo il superamento del pensiero del proprio io per incominciare a vedere
le cose dal punto di vista di Dio.
Si entra nel regno di Dio non attraverso i
nostri sforzi, le nostre virtù, le nostre fatiche, le nostre bontà o le nostre
cattiverie, si entra nel regno di Dio guardando dal punto di vista di Dio.
Il guardare dal punto di vista di un altro è
opera del pensiero, solamente del pensiero, soltanto col pensiero possiamo
trasferirci dal nostro mondo in cui ci troviamo al mondo di un altro e quindi
solo col pensiero possiamo entrare nel regno di Dio.
Noi non siamo la verità, però abbiamo la
possibilità di entrare nel regno della Verità, di entrare nel regno di Dio se
ci trasferiamo a guardare dal punto di vista di Dio, poiché Dio si conosce
soltanto in Dio per mezzo di Dio.
Dio è l’assoluto, Dio è l’eterno, Dio è
l’infinito e l’infinito, l’eterno, l’assoluto può essere conosciuto soltanto
per mezzo dell’infinito, dell’eterno, dell’assoluto, grazia di Dio.
Quindi certamente non per opera nostra, non
per pensiero nostro.
Quindi richiede questo nostro trasferirci dal
nostro punto di vista al suo punto di vista; è da Lui che si riceve la luce.
Data questa condizione essenziale della
Verità, di Dio, ecco che si crea immediatamente una differenziazione negli
uomini: sue pecore, non sue pecore.
Tutto è di Dio, certamente tutto è di Dio,
però ci sono uomini che superano il pensiero di se stessi e ci sono uomini che
vivono talmente nel pensiero del loro io, parlando di se stessi che finiscono
col morire nel pensiero del loro io.
Ecco per cui si crea questa distinzione.
Perché Dio non ci forza, il pensiero del
nostro io è creazione stessa di Dio, è dono di Dio e Dio non si contraddice.
Il pensiero del nostro io è una creatura
buona, come tutte le creature, anche i buoi, i campi e la moglie sono creature
di Dio e quindi creature buone, però tutte le creature vanno superate (angeli e
chiesa comprese).
Perché se noi viviamo per le istituzioni, se
viviamo per gli angeli, se viviamo per i santi o viviamo per la nostra
famiglia, sbagliamo tutto.
E tanto più sbagliamo se viviamo nel pensiero
del nostro io.
Perché tutto ciò che è creato da Dio è dato a
noi come scala e sulla scala non si mettono le tendine, la scala serve per
essere superata, per entrare nell’appartamento, tutta la creazione è una scala,
tutte le creature sono gradini di questa scala e vanno continuamente superate e
il pensiero del nostro io è un gradino di questa scala e va quindi altrettanto
superato.
Perché dobbiamo entrare nell’appartamento e
l’appartamento è Dio.
E non si dorme sulla scala si dorme
nell’appartamento, si riposa nell’appartamento, si trova la pace
nell’appartamento.
Tutta la creazione è una scala per arrivare a
Dio, il che vuol dire che va tutta superata, comprese le opere angeliche, vanno
tutte superate.
Lì si crea questa distinzione, perché Dio che
crea tutte le cose, Dio che crea il pensiero del nostro io, perché è la
condizione per essere coscienti, consapevoli, un animale non può arrivare a
superare se stesso e conoscere Dio, perché puà giungere alla conoscenza di Dio
soltanto l’essere che è consapevole.
Dio che dà a noi il pensiero del nostro io
non ci obbliga a superare il pensiero del nostro io.
Dio opera convincendo, ci fa capire che è
giusto, se vogliamo conoscere Dio, superare il pensiero del nostro io.
Non guardare le cose dal nostro punto di
vista è giusto, è sacrosanto, questo ce lo fa capire ed è venuto a morire per
farci capire questo.
C’è una logica in tutto l’universo e c’è una
logica divina, per dimostrare a noi la necessità di superare il pensiero del
nostro io e di dimenticarci.
Per dimostrare, non per obbligarci, non per
imporcelo, perché il giorno in cui Lui lo imponesse ci distruggerebbe.
Quindi Dio non va in contraddizione con Se
stesso, avendoci dato il pensiero del nostro io lo vuole eternamente.
Quello che Dio vuole lo vuole eternamente,
quindi noi che si vada in paradiso o si vada all’inferno siamo immortali.
Non possiamo distruggerci perché esistiamo
per volontà di un Altro e quest’altro è il Creatore.
E non c’è nessuno che possa condizionare la
volontà di Dio, per cui noi siamo voluti, pensati, amati da Dio.
Per questo noi siamo eterni, noi siamo
immortali.
Quindi Dio non distrugge il pensiero del
nostro io perché sarebbe in contraddizione con Se stesso, vorrebbe e non
vorrebbe la stessa cosa.
Però opera per convincere noi a mettere al di
sopra del pensiero del nostro io, il pensiero di Dio, perché è giusto, perché è
Lui il Creatore, è Lui che va messo al centro e non il pensiero del nostro io.
Perché nel pensiero del nostro io noi non
possiamo giustificare nemmeno un filo d’erba.
Soltanto in Dio noi abbiamo la possibilità di
giustificare tutte le cose, perché in Dio Creatore c’è la ragione di tutte le
cose e quindi c’è la Luce, quella luce che noi andiamo elemosinando a destra e
a manca.
Abbiamo questa prima contraddizione tra
pecore di Dio e pecore non di Dio.
Gesù invita a fare bene i conti circa le
condizioni per giungere alla Verità.
Esaminate bene quali sono le condizioni per
arrivare alla Verità affinché non abbiate ad illudervi e desistere dopo avere
incominciato il cammino.
Mentre Dio vuole salvare tutti, a un certo
momento si crea questa distinzione tra pecore di Dio e pecore non di Dio.
E poi Gesù dice: “Nessuno le rapirà dalle mie
mani” e c’è un altra grande contraddizione, perché dicendo che nessuno le
rapirà dalle sue mani, ci fa capire che qualcuna sarà rapita.
Rapita dalle mani di Dio?
Ma ci rendiamo conto?
Gesù stesso dice che quando un uomo forte
veglia sui suoi beni nessuno può rubare quei beni, ma se viene uno più forte di
lui gli porta via tutto.
Ma qui c’è la possibilità che qualcuno rubi,
rapini, porti via a Dio le pecore.
Rapite dalle sue mani?
Lui che è l’onnipotente?
Lui che è il Creatore, Lui che è il forte per
eccellenza.
Si può forse immaginare che ci sia uno più
forte di Dio?
Eppure Gesù dice che c’è questo rischio, il
rischio di essere rapiti dalle mani di Dio.
Ecco l’argomento di questa sera, nell’uomo
c’è questo rischio.
L’uomo volente o nolente appartiene a Dio.
Dio è il più forte, eppure ad un certo
momento le anime possono essere portate via a Dio.
Che questo avvenga, tutti quanti noi ne
facciamo esperienza.
Per il semplice fatto che difficilmente noi
abbiamo tempo per Dio.
E quindi dobbiamo testimoniare, confessare,
riconoscere che siamo portati via a Dio.
Ma come è possibile che noi, tutte quante
creature di Dio, quindi possesso di Dio, possiamo essere portati via a Dio.
C’è forse un altro più forte di Dio?
Soltanto se un altro più forte di Dio può
portare via a Dio qualche cosa.
Ma è mai possibile che ci sia uno più forte
di Dio?
È assurdo!
E allora come è possibile che l’uomo venga
portato via a Dio?
E questo tutti lo costatiamo.
Portato via a Dio dagli affari, dal mondo.
Tutti i giornali riportano parole di uomini,
di Dio forse c’è un accenno nell’ultima pagina.
Dio per noi è sempre l’ultima cosa.
Non c’è posto per Dio nella nostra vita.
Come non ci fu posto per Dio a Betlemme quando è nato tra noi.
Tutto è segno ma se non c’è posto per Dio
vuol dire che c’è qualcosa o qualcuno che ci sta portando via a Dio.
Chi è questo qualcosa?
È inutile che noi diciamo demonio o non
demonio eccetera...
Anche il demonio è un servo di Dio e non è
superiore a Dio ma allora cosa è che ci porta via a Dio?
E come è possibile che ci sia questa azione
qui nel mondo, noi non possiamo trasferire le giustificazioni in un “altro” da
Dio.
Non c’è nessun “altro” nel regno di Dio che
possa operare contro Dio, Dio non subisce condizionamenti, non sarebbe più Dio.
Dio solo è
Colui che regna: “Non avrai altro Dio” .
Quindi uno solo
è il Creatore, uno solo è Colui che regna, uno solo è Colui che conduce tutte
le cose al fine, non c’è nessun altro.
Ma allora come
è possibile?
Tutto è opera
di Dio, anche questa esperienza che ogni uomo fa di essere occupato da altro da
Dio.
Di essere
portato via da altro.
Di avere
pensiero e tempo per altro e non per Dio.
Ma perché?
In tutto è Dio
che regna, in tutto è Dio che opera e tutto è nelle mani di Dio.
Tutto, che
l’uomo lo sappia o non lo sappia, tutto è nelle mani di Dio.
Questa è la
realtà, la realtà che è giustificata nell’assoluto di Dio, nel Dio Creatore di
tutte le cose.
Tutto è nelle
mani di Dio, anche il demonio è nelle mani di Dio, sono soltanto fantasie umane
quelle che dicono che il demonio è nemico di Dio, non ci sono nemici.
Nel regno di
Dio c’è Uno solo che regna e tutti sono servi e sono creature di Dio, anche il
demonio è una creatura di Dio.
Quindi tutti
sono servi di Dio, volenti o nolenti, lo sappiano o non lo sappiano.
Però noi
abbiamo visto le volte scorse come la presenza di Dio in noi, la conoscenza di
Dio, della Verità in noi, sia condizionata e relativa al nostro pensiero, al
nostro pensare.
Si arriva a Dio
solo attraverso il pensiero.
E cosa vuol
dire questo?
Siamo arrivati
a dire che se noi non diamo vita a Dio, Dio per noi è assente.
Siamo arrivati
a dire che se noi non pensiamo Dio, Dio per noi non esiste.
Sembra una
bestemmia, perché Dio non è opera del nostro pensiero.
Siamo noi che
siamo opera del pensiero di Dio.
Eppure succede
questo.
Noi facciamo
esperienza dell’assenza di Dio ed è un altro assurdo.
Noi uomini che
siamo nel regno di Dio, che siamo in continuazione opera di Dio, che Dio è
Colui che parla con noi in tutto, noi facciamo esperienza del silenzio di Dio.
Parlano tutti,
politici, poeti, scrittori, tutti parlano e Dio non parla.
O per lo meno
noi facciamo esperienza del Dio che non parla.
Noi facciamo
esperienza del Dio assente.
Noi facciamo
esperienza del Dio morto.
Abbiamo anche il
Cristo che muore in croce.
Cristo che
muore in croce è rivelazione di quello che avviene nella vita di ognuno di noi.
Cristo che
muore in croce è una grande luce, un faro che illumina quello che per noi pare
assurdo: noi facciamo esperienza dell’assenza di Dio, del silenzio di Dio,
della morte di Dio nella nostra vita e il Cristo che muore in croce è un faro
che illumina questa nostra esperienza.
Cristo non
muore in croce senza di noi, come il bambino non muore senza la mamma.
Il bambino che
muore, abbiamo detto muore per distrazione della mamma che non pensa al bambino
e a un certo momento perde il bambino.
E così Cristo
che muore in croce non muore senza di noi, nasce senza di noi.
Nasce in noi
senza di noi.
La presenza di
Dio è in noi indipendentemente da noi, per questo nasce da una Vergine perché
tutto è segno per farci capire i misteri che portiamo in noi.
Noi portiamo
Dio in noi indipendentemente da noi, tutto grazia, tutto dono gratuito di Dio.
Come la nascita
di Gesù è un dono gratuito che Dio ha voluto fare per noi, per aprirci gli
occhi.
Quindi Dio
viene in noi indipendentemente da noi, come la nascita di un bambino in una
mamma avviene indipendentemente dalla mamma, possiamo sorridere ma è così: la
mamma non sa neppure come si faccia un capello di un bambino, quindi è un
miracolo che giunge a lei, opera di Dio creazione di Dio.
Quindi Dio
entra in noi, si presenta in noi, arriva a noi indipendentemente da noi ma non
muore senza di noi, è lì il fatto, non muore senza di noi.
Per cui noi
facciamo questa terribile esperienza, prima c’era e adesso non c’è più e in
mezzo ci sono io.
È tutta la
settimana che mi bombardano di obbiezioni dicendo che non è vero ma in mezzo ci
sono io.
Perché?
Per il semplice
fatto che io non ho messo Dio prima di tutto.
La mamma che
perde il bambino lo perde, perché a un certo momento non pensa più a lui, si
lascia distrarre, magari per pochi minuti ma il bambino cade e muore.
La mamma non
può più ignorare che quel bambino è morto per colpa sua.
E noi non
possiamo ignorare che Cristo muore e muore per colpa nostra.
Perché prima
c’era e dopo non c’è più e in mezzo ci
siamo noi e ci siamo noi perché?
Semplicemente
perché quando Lui diceva di non preoccuparci del mangiare e del vestire e di
cercare il regno di Dio, noi ci preoccupavamo del mangiare e del vestire e non
cercavamo il regno di Dio prima di tutto.
Semplicemente
perché quando Gesù diceva che una sola cosa è necessaria: pensare a Lui, noi
non pensavamo a Lui, perché avevamo i buoi, i campi, la moglie a cui pensare.
Ora siccome non
abbiamo ascoltato le sue parole e non abbiamo messo prima di tutto quello che
Lui diceva dovevamo mettere prima di tutto, ecco che qui sorge la colpa, in
conseguenza del fatto che io non ho pensato a Lui e non ho pensato a Lui come
Lui voleva essere pensato, Lui è morto e io adesso faccio esperienza della sua
morte.
Quindi Dio
c’era e ora non c’è più, Dio parlava con me e adesso non parla più e io
esperimento la sua morte ma in mezzo ci sono io che non l’ho messo prima di
tutto.
Tutto questo ci
fa capire una cosa stupenda e meravigliosa: la presenza di Dio, l’esperienza di
Dio è strettamente legata al nostro pensare, a ciò che noi mettiamo prima di
tutto nel nostro pensiero.
Dio Creatore di
tutte le cose, si fa oggetto, figlio del nostro pensare, quindi si fa oggetto
del nostro pensiero, perché soltanto facendosi oggetto del nostro pensiero,
conduce noi a capire che Lui è soggetto, principio del nostro pensiero.
Ecco che c’è un
legame strettissimo tra il nostro pensiero e Dio.
Noi possiamo
pensare una sola cosa per volta, il che vuol dire che quando pensiamo ad una
cosa, noi privilegiamo quella cosa, al di sopra di tutto.
Quindi se
attualmente uno pensa a una cosa è perché ritiene che quella cosa sia più
importante di tutto il resto.
Quando noi alla
mattina apriamo il giornale, implicitamente rivolgiamo il nostro pensiero a
quel giornale, il che vuol dire che quello che ci dice il giornale è prima di
tutto ed è un veleno che noi introduciamo nella nostra vita ma noi lo
introduciamo perché lo mettiamo prima di tutto.
Perché possiamo
pensare una sola cosa per volta.
E quando penso
ad una cosa, io privilegio quella cosa su tutto il resto.
E perché non
pensiamo sempre a Dio?
Il dono grande,
immenso, infinito che Dio dà all’uomo è questa possibilità di pensare a Lui.
Noi abbiamo un
dono meraviglioso, è come il dono che Dio fa ad una mamma di poter pensare al
suo bambino.
E la mamma
esperimenta che se non pensa costantemente al bambino, il bambino muore.
Quindi c’è una
relazione tra il pensiero e l’esistenza.
C’è un
rapporto.
Se noi abbiamo
avuto questo tesoro immenso, questo dono stupendo di potere pensare Dio ma
perché non urliamo nel mondo e non fermiamo il mondo, per dire: “Io voglio pensare
a Dio”.
Perché questa è
l’unica ricchezza che abbiamo, la nostra vita sta nel pensare a Dio.
Noi siamo stati
creati con questo dono meraviglioso di potere pensare Dio, non è detto che
pensiamo a Dio.
È tutto lì il
problema.
E se il pensare
Dio è vita per noi, perché la nostra vita è in Dio, il non pensare a Dio per
noi è morte ed è esperienza di morte.
E l’esperienza
di morte cosa significa?
Vuol dire fare
esperienza dell’assenza di Dio.
Della non più
presenza di Dio.
Del Dio che
tace.
Del Dio che non
parla più con noi.
Ora, teniamo
presente che tutte le nostre capacità: di credere, di amare, di vivere, volontà
di vivere, derivano tutte dallo stare con una presenza.
Ma noi non
possiamo restare con una presenza se non la pensiamo.
Se noi non
pensiamo il pensiero di Dio, a un certo momento perdiamo tutte le nostre
facoltà, tutte le nostre capacità, perché le nostre capacità vengono dalla
presenza.
Se perdiamo la
presenza perdiamo tutto.
Questa è una
esperienza che facciamo tutti, perché quando amiamo una persona al di sopra di
tutto e quella persona muore o ci tradisce, tutte le nostre capacità vengono
meno e noi ci accorgiamo che diventiamo niente.
Non siamo
neppure più capaci di desiderare una cosa, non vogliamo neppure più mangiare.
Perché?
Perché ci è
venuta meno la presenza per cui vivevamo.
Ecco il
problema dei valori.
E della gravità
nello sbagliare la valutazione dei valori.
Ecco il rischio
di essere rapiti dalle mani di Dio.
Perché tutti
sono nelle mani di Dio ma c’è questo rischio qui.
La Realtà non
c’è nessuna creatura che la possa incrinare: Dio è Colui che regna e non c’è
nessuna creatura che possa mettersi al posto di Dio a regnare.
Dio è il
Creatore e non c’è nessuna creatura che possa creare al posto di Dio.
“Senza di Me
fate niente” e resta confermato: senza di Lui facciamo niente.
L’unica cosa
che crea l’abisso tra le creature e Dio è questo: l’uomo può sapere che tutto è
nelle mani di Dio o può non sapere che tutto è nelle mani di Dio.
Il sapere o non
sapere dell’uomo non condiziona la realtà.
Che io sappia o
non sappia che ci sia una curva sulla strada, non modifica la curva, la curva
resta quella che è, che io lo sappia o non lo sappia, soltanto che se lo so mi
adatto alla curva (realtà) se non lo so vado a finire nel prato.
L’unico momento
in cui le creature si differenziano sta in questo: abbiamo creature (pecore di
Dio) che sanno che tutti sono nelle mani di Dio e ci sono creature che non
sanno che tutto è nelle mani di Dio.
Ma come è
possibile se tutto è creazione di Dio che, a un certo punto ci sia questa
differenziazione: creature che sanno e creature che non sanno.
Perché il
sapere ci viene soltanto dal fatto di mettere Dio prima di tutto, se noi non
pensiamo Dio, non possiamo saperlo.
Perché tutte le
facoltà ci vengono da Dio, anche la capacità di conoscere ci viene da Dio.
Il che vuol
dire che se non penso Dio, quindi non privilegio Dio su tutto il resto, io non
posso sapere.
E non potendo
sapere cosa mi succede?
La realtà è
quella che è, che io lo sappia o no, tutto è nelle mani di Dio.
Però se io non
lo so, non sapendolo, mi fermo a quella che è l’apparenza delle cose.
E
nell’apparenza delle cose, uno tocca con mano che senza il denaro non si fa
niente, uno tocca con mano che se non si è potenti si resta schiacciati, uno
tocca con mano che senza cotoletta non può vivere, uno tocca con mano che se ha
la Ferrari è ammirato da tutti e se ha la Panda è mal sopportato.
Quindi c’è
questa apparenza nel pensiero dell’io.
Perché nel
mondo chi ha la Ferrari è ammirato e chi ha la Panda è sopportato?
Perché c’è
questa differenza di valori nel mondo?
Che differenza
c’è tra il giudizio del mondo e il giudizio di Dio?
Il mondo ammira
gli uomini per quello che hanno, ed è per questo che l’uomo si illude, perché
vede che più si gonfia e più il mondo lo ammira e se l’uomo cerca la figura del
mondo, cerca di gonfiarsi il più che sia possibile.
Poi scoppia.
E invece Dio?
Il mondo ammira
l’uomo non per quello che l’uomo è in sé, il mondo ammira l’uomo per quello che
l’uomo ha e più ha e più è ammirato.
Invece Dio
ammira l’uomo non per quello che ha, ammira l’uomo per quello che non ha:
“Beati i poveri dello spirito”, povero è uno che non ha.
Dio ammira
l’uomo non per quello che ha ma per quello che non ha e quindi per quello che
desidera.
Quindi non conta
nella nostra vita quello che abbiamo fatto o non abbiamo fatto, quello che
siamo o quello che non siamo, la vita non viene dalle cose che si posseggono.
Davanti a Dio
conta quello che noi desideriamo avere.
Conta quello
che sogniamo.
Conta quello
cui aspiriamo.
Conta quello
per cui noi piangiamo perché non l’abbiamo.
Quello che
conta davanti a Dio è il futuro.
Dio ci osserva
nel futuro, in quello cui noi siamo rivolti.
Lì Dio ci
osserva.
E se io vivo
per il mondo, Dio mi osserva che sto desiderando il mondo.
E se io
desidero Dio, desidero lo Spirito, Dio mi osserva in questa povertà dello
Spirito.
Ma è ai poveri
dello Spirito, cioè a coloro che non hanno lo Spirito, a coloro che piangono
perché non hanno lo Spirito, il che vuol dire che soffrono perché non hanno lo
Spirito, a costoro Dio assicura il regno.
Quindi il
problema è unicamente di sapere o di non sapere.
Ci sono uomini
che sanno che tutto è nelle mani di Dio, queste sono pecore di Dio e nessuno le
può rapire dalle mani di Dio.
Non c’è nessuno
più forte di Dio che possa rubare a Dio quello che è di Dio.
Quindi quando
in noi c’è questa conoscenza che siamo tutti nelle mani di Dio, nessuno ci può
portare via, perché non c’è nessuna ragione al mondo che possa portarci via a
Dio, perché qui c’è la forza della Verità.
E l’uomo che
porta in sé la forza della Verità che è la forza di Dio, non può essere portato
via dalle mani di Dio nel modo più assoluto.
Chi è portato
via dalla mani di Dio è colui che non sa che tutto è nella mani di Dio.
Quindi è la
nostra ignoranza che è più forte della Verità.
Abbiamo detto
che soltanto se viene uno più forte di Dio, può portare via a Dio le pecore e
più forte della Verità, nell’uomo è l’ignoranza, è il non sapere.
Perché quando
uno non sa, resta trascinato dalle cose che s’illude di sapere, dalle cose che
gli appaiono, è questo che porta via l’uomo a Dio.
È questa che è
più forte di Dio, è l’ignoranza riguardo Dio che è più forte di Dio, nell’uomo
che non pensa Dio, perché alla Verità si giunge soltanto attraverso il pensiero
e se uno non dedica il pensiero a Dio e non mette quindi Dio prima di tutto non
conoscerà mai Dio e non conoscendo Dio resterà necessariamente schiavo della
Ferrari e di tutte le cose del mondo ma certamente non potrà restare con Dio,
sarà portato via dalle mani di Dio da tutte le cose.
Come la donna
che a un certo momento non s’interessa più di conoscere suo marito, ha già
seminato il tradimento dentro di sé, un altro amore la porterà via, non può
resistere.
Perché per
resistere bisogna essere forti e per essere forti bisogna essere agganciati a
qualcosa che sia forte.
Noi da soli
facciamo niente, nel modo più assoluto.
E l’uomo che
non conosce Dio è un tralcio che si è staccato dalla vite.
Il tralcio
unito alla vite è fortissimo, perché?
Perché assorbe
tutto nella sua vita: gli elementi della terra, la luce, l’acqua ma questo
perché è unito alla vite.
Ma per il
tralcio staccato dalla vite, tutto quello che prima contribuiva a dargli vita,
adesso diventa negativo.
Tutto lo distrugge:
la terra, il sole e l’acqua.
Perché c’è
stato questo capovolgimento?
Prima il
tralcio era unito alla vite e poi staccato dalla vite.
Ed è lezione di
Dio per ognuno di noi per dirci che se noi non mettiamo Dio prima di tutto, se
noi non conosciamo Dio, se noi non ci preoccupiamo di conoscere Dio, noi
abbiamo questo terribile potere di staccarci come un tralcio dalla vite.
E allora lì,
tutto ci porta via, ecco la forza maggiore di Dio.
La forza
maggiore che opera perché noi tradendo Dio, diventiamo talmente deboli da
essere portati via da tutto e da tutti e non possiamo assolutamente resistere.
Tutto ci
trascina via, tutto ci porta via, tutto ci distrugge.
Perché questa è
l’esperienza di morte.
GV 10 VS 28 - Io do loro la vita eterna e non
andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
RIASSUNTI Domenica-Lunedì.
Argomenti: La singolarità di
Cristo – La capacità di ascoltare la voce di Dio – L’offerta della vita
eterna – La testimonianaza della Parola di Dio – La vita eterna è
conoscere Dio – L’infinito e il finito – Il prima di tutto – Il mutamento delle
cose -
10-11/ Novembre/1991