GV 10 VS 26 - Ma voi non credete
perché non fate parte delle mie pecore.
Primo tema - La balconata
dal cielo.
Argomenti: L’opera del Figlio: la
Luce. Tenebre e luce. Cuore e intelletto. Il conflitto di Giacobbe. Il conflitto di
Michele. Coincidenza di principi. L’incostanza dell’uomo. Restare nel vero.
Il Figlio ci convoca alla presenza del Padre. Il punto di vista di Dio. La
stabilità è effetto del guardare dal punto di vista di Dio. Predicare Dio. Le parole e la realtà. Guardare dalla Realtà Dio. La realtà illumina le
parole. Lo sguardo di Dio ci fa essere.
Rapporto tra il guardare e l’essere.
25-26/ Agosto /1991
Abbiamo visto che le opere che il Figlio fa
sono la Luce che Egli reca nelle anime.
Ed abbiamo visto che proprio in questa Luce,
noi abbiamo la possibilità di identificare Colui che parla con noi.
È Luce la sua opera, perché collega ogni cosa
con il Principio.
Là, dove le parole, i segni, gli avvenimenti,
i fatti, sono collegati con il Principio, per cui si vede il Principio, lì c’è
la Luce.
La Luce è vedere la giustificazione dei fatti
e degli avvenimenti, il significato di essi, e quindi vedere il Principio.
Chi parla a noi il Principio, reca a noi la Luce.
Là, dove arrivano i fatti, i segni, le parole
non collegati col Principio, lì abbiamo le tenebre.
Ecco perché si dice che presso Dio non ci
sono tenebre.
Presso Dio, presso il principio non ci sono
tenebre.
Dio è il principio di tutto.
Però noi siamo immersi nelle tenebre.
Già fin dell’inizio del Vangelo di San
Giovanni, viene detto che la luce risplende nelle tenebre.
Ma le tenebre non l’anno compresa.
Noi siamo nelle tenebre perché assistiamo,
riceviamo segni e parole di Dio per imposizione.
Tutte le opere di Dio arrivano a noi,
indipendentemente da noi.
La creazione, le parole che si sentono nel
mondo, le parole stesse che si leggono nel Vangelo, arrivano a noi
indipendentemente da noi e in quanto arrivano indipendentemente da noi ci sono
imposte.
Noi la risposta la diamo dopo che queste sono
arrivate a noi.
Ed in quanto ci sono imposte, noi non
possiamo ignorarle, però non possiamo capirle.
Capire vuol dire vedere il principio di una
cosa.
E il Principio ci viene soltanto dal Figlio
di Dio, è il Figlio di Dio che parla a noi il Principio.
“Tu chi sei?”
“Io sono Colui che parla a voi il Principio”.
Ecco la Luce.
Lui è la Luce.
Però abbiamo detto che per giungere
all’identificazione di Colui che parla con noi si richiede una lotta e si
richiede una lotta già per scoprire che c’è qualcuno che parla con noi.
Queste due lotte sono state significate nella
scrittura (opera di Dio) con la lotta di Giacobbe e di Michele.
La lotta di Giacobbe è quel conflitto tra ciò
che portiamo in noi come sentimento, come cuore, e ciò che portiamo in noi come
mente, come intelligenza,
Ci sono due grandi dati, dati a noi
indipendentemente da noi e che formano l’uomo.
Che formano anche la tristezza dell’uomo, la
tribolazione dell’uomo.
L’uomo è tribolato perché è crocifisso tra
questi due grandi dati.
I dati del sentimento, del cuore e i dati
dell’intelletto che l’uomo non può smentire.
L’uomo nei sensi, in quello che esperimenta,
tocca e vede (creazione), non vede e non tocca Dio.
Però Dio lo porta dentro di sé, tra i suoi
pensieri e non lo può ignorare.
Quindi ci sono questi due grandi dati: uno è
Dio creatore di tutte le cose che l’uomo non può smentire, non lo può ignorare
ma difficilmente lo conosce e poi abbiamo tutta questa grande opera di Dio che
l’uomo sente, vede tocca, esperimenta, però non sa che cosa sia.
E questi due dati sono in conflitto uno con
l’altro.
È il conflitto di Giacobbe e di ogni uomo.
L’uomo questo conflitto generalmente non lo
avverte.
Giacobbe lo avvertì quando fece passare le
sue mogli, i suoi figli, i suoi servi, i suoi animali e restò solo al guado del
fiume Iabbok.
Restò solo.
Ecco, l’uomo incomincia a esperimentare
questa lotta quando scopre la sua solitudine.
Prima no, perché prima ha il conforto delle
creatore, l’uomo vive di sentimento, vive di cuore.
E se anche è religioso, la sua religiosità è
tutta una cornice.
Per lui il problema essenziale è quello che
vede e che tocca: le creature.
E fintanto che ci sono queste creature di
conforto, lui si sostiene su questo e tutto il resto diventa cornice.
Ma arriva il momento in cui il problema
s’impone e allora è qui che l’uomo entra in conflitto.
Perché è qui che l’uomo deve capire se c’è o
non c’è qualcuno.
Se colui che porta nella sua mente è soltanto
una idea, un suo mito, una sua creazione, oppure se è una realtà.
Ecco, il conflitto dell’uomo è questo: la
realtà è quella che l’uomo vede tocca ed esperimenta, oppure è quella che lui
porta nel suo intelletto, nei suoi pensieri?
La realtà è Dio o è la materia?
La realtà è Dio o sono gli uomini?
Se la realtà sono gli uomini, Dio è un mito,
è una fantasia degli uomini, è una proiezione degli uomini.
Ma se la realtà è quella dell’intelletto?
Attraverso questo conflitto, l’uomo subisce
una ferita ed è la ferita di ogni uomo.
Ferita che l’uomo patisce e che denuncia a
lui che c’è qualcuno.
E che quel “qualcuno” non è quello che l’uomo
vede e tocca, quello che l’uomo vede e tocca sono segni, opere di questo
“qualcuno”.
E qui l’uomo fa il passaggio da tutte le
creature al suo mondo interiore.
Il mondo interiore è il cielo dell’uomo.
Abbiamo visto che Dio creando l’uomo lo ha
formato di cielo e di terra, mondo interno e mondo esterno.
Realtà interiore e realtà esteriore.
Attraverso il primo conflitto, l’uomo scopre
che la realtà è dentro e allora a questo punto fa il passaggio dall’esterno
all’interno.
E nell’interno si avvia verso il secondo
grande conflitto: il conflitto dell’arcangelo Michele.
Nel cielo dei pensieri che cosa l’uomo mette
prima di tutto?
Tutto nella vita dell’uomo viene determinato
da ciò che l’uomo mette prima di tutto.
Fino alla prima lotta, l’uomo mette prima di
tutto il problema del mangiare, del vestire, del lavorare eccetera.
E l’uomo subordina tutto a questo.
Ma poi quando la lotta di Giacobbe s’impone,
l’uomo inizia a mettere prima di tutto ben altro.
Comincia a mettere prima di tutto quello che
porta in sé, tra i suoi pensieri.
Ma tra i suoi pensieri, che cosa deve mettere
prima di tutto?
La lotta, portata alle estreme conseguenze, è
la lotta tra il pensiero di Dio e il pensiero dell’io.
Perché su tutti i pensieri che mettiamo
sull’altare della nostra mente, questo arcangelo Michele li contesta tutti
dicendoci: “Chi è come Dio?”.
Arriva questa grande selezione: nessuno è
come Dio.
Solo Dio è come Dio.
Ecco il processo di selezione che si forma
nella vita dell’uomo.
Per cui a un certo momento l’uomo viene posto
a tu per tu con Dio, perchè nessuno è come Dio.
E chi parla questa singolarità dell’essere, è
soltanto il Figlio di Dio.
Ed è proprio in questo Figlio di Dio che noi
troviamo la luce, quella luce che illumina tutto di noi, dentro e fuori.
Pero qui Gesù dice: “Ma voi non mi credete”.
La luce splende tra le tenebre ma le tenebre
non la comprendono.
Il prima di tutto è il principio che
determina tutto di noi ma perché questo principio che determina tutto di noi
corrisponda alla verità, bisogna che questo principio coincida in noi con il
Principio, cioè bisogna che coincida con Dio.
Tutto nella nostra vita dipende da ciò che
abbiamo in noi prima di tutto.
Abbiamo detto però che questo prima di tutto
viene contestato a noi da quest’annuncio di Dio: “Chi è come Dio?”.
Che nessuno può smentire.
Per cui siamo a un certo momento costretti a dire
che nessuno è come Dio e che quindi nel nostro pensiero dobbiamo mettere prima
di tutto Dio, perchè soltanto mettendo Dio il principio in noi soggettivo
coincide con il Principio oggettivo.
Ed è da questa corrispondenza tra il
principio personale che poniamo nel nostro cielo e il Principio reale sorge in
noi la Luce della Verità.
In caso diverso no.
Però una volta capito ciò che bisogna mettere
prima di tutto, il problema che s’affaccia all’uomo è come restare in questo
prima di tutto.
La caratteristica dell’uomo (prima di entrare
nel cielo di Dio) è l’incostanza, la volubilità.
Dio solo è, Dio è Colui che è Se stesso.
L’uomo non è mai se stesso.
Mentre la caratteristica di Dio è la
stabilità, l’immutabilità, la caratteristica dell’uomo è l’incostanza, la
volubilità, è l’incapacità a restare fermo.
Tutte le parole di Dio convocano l’uomo di
fronte a questa grande realtà: Dio è il Principio di tutto e tu non lo puoi
ignorare, perché tu sei fatto spettatore delle opere di Dio.
L’uomo non è creatore.
Dio è creatore.
L’uomo è spettatore della creazione di Dio.
Tutta l’opera di Dio, non fa altro che
convocare l’uomo di fronte a questa presenza.
E l’uomo di fronte a questa presenza (fosse
anche nell’inferno) deve dire: “È così!”.
Però che l’uomo sia convocato di fronte alla
realtà, questo non è sufficiente per rendere l’uomo capace di restare nella
realtà.
Noi abbiamo nella scrittura, nei salmi:
“Signore, chi resterà sul tuo santo monte?”.
“Chi potrà restare sul tuo santo monte?”.
Dio è questo santo monte ma chi può restare
su questo monte?
Tutti sono convocati di fronte a questo
monte, ma chi può restare?
E che cosa è necessario per restare e cosa
rende l’uomo capace di restare?
Abbiamo detto che la caratteristica dell’uomo
è la volubilità.
L’uomo è soggetto in continuazione a
mutamento.
E cosa è che rende l’uomo così incostante e
volubile?
L’uomo riconosce il vero e poi si lascia
attrarre da tutto il resto.
L’uomo attraverso i conflitti che subisce
deve confessare che prima di tutto bisogna mettere Dio ma poi non è capace a
restare.
Perché l’uomo è così volubile, perché l’uomo
è così incostante?
Tutto è parola di Dio, quindi anche la
volubilità e l’incostanza dell’uomo è una parola di Dio.
L’uomo è un moltiplicatore di amori, è un
moltiplicatore d’interessi.
L’uomo promette fedeltà a poi non sa
mantenerla.
Abbiamo visto la lezione di Pietro che è la
lezione di ogni uomo: l’uomo è sicurissimo: “Se anche tutti ti tradissero, io
no” e dopo poche ore Pietro è il primo a tradirlo.
E come lo tradisce!
Non bastano voti, promesse, giuramenti,
sacramenti, non bastano tessere, divise, istituti o istituzioni, non c’è
niente, nel modo più assoluto che renda l’uomo costante.
Quindi che renda l’uomo capace di restare in
quel prima di tutto che l’uomo ha riconosciuto che va messo prima di tutto.
L’uomo è un essere che non è libero.
Molte volte si dice che l’uomo avendo la
possibilità di scegliere tanti amori è libero ma è sbagliato.
L’uomo è incostante e volubile perché non è
libero.
Soltanto la conoscenza della verità rende
l’uomo libero e lì, nella libertà l’uomo sarà costante.
Perché l’uomo subisce le presenze e basta
cambiare ambiente o compagnia perché l’uomo cambi.
L’uomo subisce l’opera di ciò che ha
presente.
Ed è quella che determina tutto e lo fa
tradire.
Perché quando è con uno l’uomo subisce
l’opera di uno e quando è con l’altro, subisce l’opera dell’altro.
E l’uomo moltiplica gli amori così.
Ed è moltiplicando gli amori che distrugge in
sé la capacità di amare e la capacità di pensare.
Se c’è una incostanza nell’uomo è proprio
nella mente.
La nostra mente è vagabonda, sempre in giro.
Non è capace a restare ferma.
Perché subisce l’effetto di ciò che le si
presenta.
L’uomo lo riconosce, lo deve riconoscere che
Dio va messo prima di tutto, che Dio deve essere il centro, che deve essere il
punto fisso di riferimento, perché questa è la condizione essenziale per
entrare nella luce, per avere la vita, perché la vita sta nella luce.
L’uomo questo lo riconosce, non può non
riconoscerlo, anche il demonio lo riconosce.
Il tormento è che l’uomo riconosce ciò che è
vero ma non è in grado di restare.
Ma se non resta in quello che è vero, che
cosa lo può salvare?
Il tema di oggi è la balconata del cielo.
Ciò che ci viene presentato come prima di
tutto è una balconata e quando si parla di balconata, è un invito ad
affacciarci, è un invito a guardare da-.
Fino a questa balconata, a questo prima di
tutto, noi siamo convocati dall’opera di Dio, dalla parola di Dio, da Colui che
parla con noi.
Abbiamo detto che c’è uno che parla con noi e
poi attraverso l’arcangelo Michele siamo condotti a riconoscere che Colui che
parla con noi è il Figlio di Dio.
Però Colui che parla con noi, parla a noi,
indipendentemente da noi.
E quindi in quanto parla indipendentemente da
noi, conduce noi, ci convoca alla presenza di Colui che Lui ha presente.
Io in questo momento sto parlando e parlando
cosa faccio?
Non faccio altro che convocare, coloro che
ascoltano, alla presenza di quello che ho presente.
Tutta l’opera di Dio, nella vita di ogni uomo,
ha questo fine: convocarci alla presenza di Sé.
Il Figlio ci convoca alla presenza del Padre,
di Colui che Lui ha presente.
Questa è l’opera di Dio che viene a noi
indipendentemente da noi.
E qui cosa possiamo fare?
Come possiamo restare?
Ecco convocati lì ci dice:
“Questa è una balconata, tu ti devi affacciare”.
Prima siamo presi per il collo dall’opera di Dio che ci
porta di fronte alla Verità, qui non siamo più presi per il collo, non siamo
più costretti.
Qui tu ti devi affacciare, qui tu devi guardare.
Questo è un punto di vista.
Dio ti offre un punto di vista.
La balconata è un punto di vista.
Dio ci offre la vita, ci offre cioè in punto di vista da
cui dobbiamo guardare tutto: il Principio.
Ma tu devi guardare.
Dio non ci costringe a guardare.
Perchè se ci costringesse a guardare ci spingerebbe
nell’inferno.
Dio ci offre di guardare, ci offre il Principio da cui
guardare ogni cosa.
E c’invita a guardare tutto da quel punto di vista.
Soltanto nella misura in cui noi guardiamo da-, si forma
in noi la capacità di restare fermi.
La stabilità quindi è una conseguenza di quello che
guardiamo dal punto di vista di Dio.
Dal punto di vista dell’eterno, dell’assoluto,
dell’infinito.
L’eterno, l’infinito, l’assoluto, Dio ci viene presentato
ma ci viene presentato come il centro di tutto.
Colui che va messo prima di tutto.
E se va messo prima di tutto, deve essere il luogo, la
balconata da cui tu ti devi affacciare per osservare, per guardare tutto.
Guardare tutto da Dio, è un predicare Dio su tutto.
Nella misura in cui noi predichiamo Dio, siamo fatti
capaci di restare con Dio.
In caso diverso no, non possiamo smentire Dio ma nel modo
più assoluto non possiamo restare con Dio.
Quando si dice “predicare Dio” noi pensiamo
immediatamente a “parlare”.
No, su questa balconata non ci sono più parole.
Le parole servono a convocarci a questa balconata, a
questo prima di tutto, ci convocano lì, servono per quello.
Ma da quel punto lì in poi, le parole non servono più.
E allora il problema diventa come predicare Dio senza
parlare di Dio?
Non ci sono più parole, perché se noi guardando da questa
balconata facciamo delle parole, noi certamente non guardiamo da Dio.
Il guardare da questo prima di tutto, da questo
principio, è un guardare dalla Realtà.
Le parole sono segni della Realtà ma non sono mai la
Realtà.
Ecco per cui tutte le parole passano, tutti i segni
passano, tutta la creazione di Dio che è un parlare di Dio passa e tutto è
soggetto al tempo, perché?
Perché tutto deve lasciare il posto alla Realtà.
E la Realtà non è parola, la Realtà è Dio, Dio è la
grande Realtà.
E guardare da Dio, è guardare dalla Realtà.
La Realtà convince, la Realtà rende consapevoli.
Le parole no, è la realtà che illumina le parole.
Non sono le parole che illuminano la realtà.
Le parole sono rumore.
Tutto ciò che fa rumore ci convoca ad una fonte, al
principio di quel rumore.
Perché soltanto trovando la fonte di quel rumore si
giustifica il rumore.
La fonte mi giustifica il rumore, non è il rumore che mi
giustifica la fonte.
Tutte le parole che si dicono nella nostra vita sono
tutte rumore.
E in quanto noi sentiamo questo rumore, siamo convocati
al principio, alla fonte di questo rumore.
E la fonte di questo rumore è la Realtà e soltanto nella
misura in cui noi guardiamo da questa fonte, da questa realtà noi siamo fatti
capaci di restare.
La capacità in noi si forma man mano che noi guardiamo
da- e quindi assorbiamo tutto in Dio.
Ma senza parole, perché le parole sono dei segni.
Con Dio non ci sono i segni, con Dio si contempla la
realtà di Dio e del suo operare.
Ed è questo che ci rende capaci di restare.
Abbiamo visto queste settimane che Mosé prima di morire
fu condotto sul Monte per osservare tutta la terra promessa.
Ecco la balconata per guardare.
Però lui non è entrato.
Dio ci conduce a vedere, però il guardare da- non avviene
senza di noi.
Abbiamo visto nell’Apocalisse un monte altissimo dove è
fatta vedere la meraviglia: la donna vestita di sole.
Ecco la balconata per osservare la realtà e la verità di Dio
ed è questa Realtà che convince l’uomo.
Perché soltanto in questa realtà (non più parole) noi
giungiamo a questa grande scoperta.
Quello che impedisce a noi di conoscere e di essere
consapevoli, è sempre qualche cosa che non troviamo giustificato nel Principio.
Soltanto guardando da Dio, da questa balconata, noi siamo
condotti a scoprire che noi non siamo altro, non siamo fatti di altro che dello
sguardo di Dio: è Dio che guardando noi ci fa essere.
Che ci sia un rapporto tra il guardare e l’essere noi tutti
lo esperimentiamo.
Noi tutti esperimentiamo a livello dei segni di Dio che
colui che ci guarda ci fa essere.
Noi lo costatiamo tutti i giorni, basta che una persona
ci saluti o non ci saluti per essere pieni di gioia o essere depressi.
Questo ci fa capire che nel guardare c’è una
comunicazione dell’essere.
Noi siamo fatti da colui che ci guarda.
Ecco la grande verità, guadando dalla Balconata, noi
costatiamo che siamo fatti da Colui che ci guarda.
Dio guardandoci ci fa essere, quindi Dio guardandoci ci
comunica l’essere.
Come una creatura che ci saluta ci comunica qualche cosa.
C’è Santa Teresa d’Avila che ha una parola stupenda:
“Mira che te mira”, in italiano vuol dire: “Guarda che ti guarda”.
Ecco, è la sintesi di questa balconata.
Guarda Dio, guarda da Dio e scoprirai che tu sei lo
sguardo di Dio, è Dio che guardando te ti fa essere, ti comunica il suo Essere.
Fintanto che noi da Dio non scopriamo che noi siamo
sguardo di Lui, pensiero suo, noi non giungiamo alla conoscenza di Dio, noi non
giungiamo alla consapevolezza.
GV 10 VS 26 - Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore.
Secondo tema - L'abito della
sposa.
Argomenti: L’abito delle nozze. Il Verbo incarnato. La balconata. La parabola dei
talenti. L’investitura del regno. Dio non premia i talenti dati a noi. Dio premia
l’interesse. “Entra nella gioia del
tuo Signore”. L’interesse per
conoscere Dio. Il pensiero dell’uomo
e il pensiero di Dio. L’unione col pensiero
di Dio. I servi e i figli. L’illusione del prima di tutto. L’uomo nasce
dal movente. L’ubbidienza al padre
nella parabola del figliol prodigo. Il punto di
vista del Figlio. Il verbo credere: cosa
vuol dire. Fare la Verità. L’opera del Figlio. Ricevere l’essere di
Dio. La comunicazione dell’essere. Fatti partecipi della natura divina.
1-2/Settembre/1991
Abbiamo visto la volta scorsa, la condizione
per restare nel “prima di tutto”.
E per considerare questo, abbiamo presentato
quel “prima di tutto” come una balconata da cui bisogna guardare ogni cosa.
C’era stata una domanda: “Quando si mette
prima di tutto qualcosa , è implicito restare in quel prima di tutto”, è vero,
è giusto, però nell’uomo può succedere e succede, che l’uomo metta il prima di
tutto dopo tutto e si è convinti di averlo messo prima di tutto.
Perché nell’uomo succede quello...e anche
altro...
D’altronde che non si possa restare nel prima
di tutto, noi lo troviamo nella parabola di Gesù degli invitati al pranzo di
nozze.
Ad un certo momento Gesù dice che quel
signore che aveva invitato alle nozze, entrando nella sala, trova uno che non
aveva l’abito delle nozze.
Era entrato ma non aveva l’abito, l’abito
delle nozze.
E ci si dice che lo cacciò fuori, tra le
tenebre esteriori, dove c’era pianto e stridore di denti.
Abbiamo detto che la condizione per entrare è
quella di mettere Dio prima di tutto, è questo che ci fa entrare.
Gli uomini si caratterizzano in uomini che
sono fuori e uomini che sono dentro.
Agli uomini che sono fuori, tutto è detto in
parabole, affinché non capiscano.
Gli uomini che sono fuori s’accorgono che
tutto è mistero, che tutto è incomprensibile, che tutto è notte.
E siccome l’uomo è fatto per la luce, le
tenebre e il mistero sono sofferenza.
E poi abbiamo invece uomini che sono dentro.
“A voi che siete dentro è dato conoscere i
misteri del regno di Dio”.
Quindi abbiamo uomini a cui non è dato
conoscere i misteri del Regno ed abbiamo uomini a cui è dato conoscere i
misteri del Regno di Dio e quest’ultimi sono coloro che sono dentro.
Si è dentro quando si mette Dio prima di
tutto.
Quest’invitato alle nozze era dentro, quindi
aveva messo Dio prima di tutto, però non aveva l’abito delle nozze.
Questo deve farci pensare, poiché è parola di
Dio e Dio parla per noi, per la nostra salvezza, quindi contempla le situazioni
in cui noi veniamo a trovarci.
Verbo incarnato vuol dire un verbo che
contempla tutte le situazioni dell’uomo, per offrire ad ogni situazione la
possibilità della salvezza.
Questo vuol dire incarnazione, questo vuol
dire mangiare la carne del Figlio dell’uomo.
Quindi è una situazione in cui l’uomo può
venirsi a trovare.
L’uomo può essere dentro, può cioè avere
messo Dio prima di tutto e non avere l’abito.
Allora il problema si sposta, abbiamo visto
già che si è spostato dal “prima di tutto” (condizione per entrare), alla
“balconata”, il prima di tutto deve essere considerato come una balconata da
cui guardare ogni cosa, per cui questo “prima di tutto” non deve essere
considerato come un fine da raggiungere ma come un principio da mettere, perché
è un punto di vista.
Abbiamo detto che è una balconata e vale come
prima di tutto in quanto è una balconata.
“Balconata” vuol dire un luogo di
osservazione, un punto di vista da cui si osservano tutte le cose.
Come punto di vista, evidentemente deve
essere messo prima di tutto.
Quindi siamo passati dal “prima di tutto”
alla “balconata” perché c’è il rischio di mettere il prima di tutto, dopo tutto
ed essere convinti di averlo messo prima di tutto, ed essere convinti di essere
dentro per poi trovarci di fronte a questo padrone di casa che ci dice: “Amico,
come mai sei entrato in casa mia senza avere l’abito delle nozze?”, ed essere
cacciati fuori.
E allora il problema si sposta dalla
balconata, cioè dal guardare de questo punto di vista all’abito delle nozze.
Cosa è quest’abito delle nozze?
Perché il problema è quello di restare nel
prima di tutto.
Questa parabola è segno che senza questo
abito delle nozze non si può restare dentro, cioè non si può restare nel prima di
tutto, il che vuol dire che non si può guardare da quella balconata.
Il problema si sposta su questo abito,
abbiamo detto che il tema di oggi è l’abito della sposa.
Questo abito delle nozze che dà la
possibilità di restare, perché se quell’uomo che era entrato, avesse avuto
l’abito delle nozze sarebbe rimasto, infatti fu cacciato perché non aveva
l’abito delle nozze.
Se il Signore ci presenta l’abito delle
nozze, come condizione per restare dentro, cioè per restare nel prima di tutto,
per guardare tutto da Dio, evidentemente questo abito delle nozze è il momento
determinante nella vita dell’uomo.
E allora dobbiamo chiederci in che cosa
consiste questo abito delle nozze che dà la possibilità di restare.
Visto quello che abbiamo già visto, cioè il
prima di tutto come una balconata, come un punto di vista, qui già possiamo
capire cosa significa questo abito delle nozze.
Tanto più che noi abbiamo nell’Apocalisse
questo quadro stupendo della sposa dell’agnello della città santa.
Dice: “L’angelo mi condusse su un alto monte”
e lì siamo sulla balconata, perché soltanto sull’alto monte si può vedere
questa sposa, preparata per l’Agnello vestita di sole, questa Gerusalemme
celeste, questa città di Dio.
E viene presentata come una città che
discende dal cielo: discende, viene da-, viene da Dio.
Ecco l’abito è un qualche cosa che si
aggiunge alla nostra nudità.
D’altronde abbiamo visto proprio ieri, nella
parabola dei talenti di quel signore che distribuisce dei talenti ai suoi servi
e poi se ne va in un paese lontano, in un altro luogo si precisa “per
l’investitura del regno” ed è molto importante, perché ci fa capire tante cose.
Questo signore che se ne va lontano, è Dio
che se ne va lontano.
È Dio che, dopo aver dato a noi l’esistenza,
i talenti, la creazione, il tempo e tutto quello che abbiamo con noi che è
tutto nudo, se ne va lontano, Dio è assente.
Dio ci fa esperimentare l’assenza e quante
volte ci chiediamo perché l’uomo che è fame e bisogno di Dio non lo
esperimenta.
Quante volte invochiamo un segno da Dio eppure
Dio tace, Dio è assente, Dio è lontano, Dio non si fa toccare, non si fa
esperimentare dall’uomo che ha bisogno di esperimentarlo, perché è condizione
di vita o di morte.
Dio se ne va lontano.
Qui in questa parabola ci viene precisato che
questo padrone se ne va lontano per ricevere l’investitura del regno.
Dio si fa assente dalla nostra vita ed ha il
modo di farci esperimentare, toccare con mano la sua assenza, il suo silenzio.
Noi tocchiamo con mano il silenzio di Dio.
C’è un significato.
Anche questa è parola di Dio.
Tutto è parola di Dio, quindi anche
l’esperienza dell’assenza di Dio, della morte di Dio, è una parola di Dio,
quindi ha un significato.
Non dobbiamo mai allontanarci dalla parola
del Cristo, perché è la parola di Cristo che ci apre ai grandi significati.
La parola di Cristo ci dice che quel signore
se ne andò lontano per ricevere l’investitura del regno.
Ed abbiamo detto che è l’uomo che deve dire a
Dio chi Dio è.
L’uomo chiede a Dio: “Dimmi chi tu sei” ma è
l’uomo che deve dire a Dio chi è Dio.
Dio proprio attraverso la sua assenza, il suo
silenzio, la sua lontananza chiede l’investitura del regno, vuole che sia
l’uomo a dire: “Tu sei questo! Tu sei Colui che regna!” ed è l’uomo che lo deve
dire.
Perché soltanto se l’uomo lo dice può entrare
nel regno di Dio.
E deve dirlo con consapevolezza, perché la
verità non s’impone, si propone, il che vuol dire che è l’uomo che deve dire
cosa è questa verità.
Perché è l’uomo che deve investire Dio di
questo regno.
Proprio attraverso questa parabola dei
talenti, noi troviamo che quel signore non premia i diversi talenti dati ai
servi e i doni di Dio dati agli uomini sono infinitamente diversi.
Ogni uomo è diverso dall’altro, il che vuol
dire che i talenti sono molti, ma Dio non premia i talenti che ci dà, quindi
tutto quello che abbiamo indipendentemente da noi, non riceve premio, quello è
dono di Dio che Dio ha dato a noi indipendentemente da noi.
Quel signore non premiò i talenti dati.
Quel signore, al suo ritorno, dopo molto
tempo, premiò l’interesse che i servi avevano saputo trarre dai talenti.
Abbiamo detto che il talento è un dono nudo,
è un dono imposto, l’interesse no, l’interesse è un vestito, l’interesse è
l’abito.
Dio premia l’interesse che l’uomo sa trarre
dai doni che Dio fa all’uomo, indipendentemente dall’uomo.
L’interesse per che cosa?
L’interesse per conoscere Dio.
Quindi abbiamo i doni di Dio che sono dati
all’uomo, indipendentemente dall’uomo e poi abbiamo l’interesse che ogni uomo
sa trarre da ciò che Dio gli ha dato.
Dio premia l’interesse e il premio sta in
questo: “Entra nella gioia del tu Signore”.
Questo: “Entrare nella gioia del Signore” è
la stabilità.
Ecco il problema che dicevano: questo restare
nel “prima di tutto”.
“Entra nella gioia del tuo Signore”.
Perché l’uomo, fintanto che si trova
nell’incertezza, fintanto che l’uomo non è sicuro di restare, l’uomo trema, non
ha pace.
La grande gioia è soltanto là dove c’è la
sicurezza e questa sicurezza soltanto la parola di Dio ce la dà, quando dice:
“Entra nella gioia del tuo Signore”.
Lì è la sicurezza.
Lì l’uomo non muta più.
Non è più soggetto a mutamento.
E quando l’uomo non è soggetto a mutamento,
lì, abbiamo l’uomo che si riposa.
Cosa è che lo ha fatto entrare in questa
“Gioia del suo Signore”?
È l’interesse abbiamo visto, è un qualche
cosa che si aggiunge.
Abbiamo quindi i talenti, i doni che Dio dà e
sono nudi, l’interesse è l’abito.
Ma l’interesse per che cosa?
L’interesse per conoscere Dio.
Dio dà a noi tutte le cose per suscitare in
noi interesse per conoscere Lui, è l’uomo che deve dire chi è Dio.
E quindi tutti i doni di Dio, tutto quello
che accade, tutti gli avvenimenti, hanno una finalità ben precisa, suscitare
nell’uomo l’interesse, quindi l’impegno per conoscere Dio.
E Dio premierà questo abito, premierà questo
interesse,
Tant’è vero che colui che ha un talento solo
e per paura di perdere quel talento lo mette sotto terra, questo si vedrà
privato del talento.
Privato vuol dire messo fuori.
Non ha trovato il modo di trarre interesse da
quel talento ricevuto.
Viene cacciato fuori.
Ecco il dono nudo e puro custodito dall’uomo,
questo è l’uomo senza l’abito delle nozze.
Allora diciamo subito che l’abito delle nozze
è l’interesse per conoscere Dio, è questo che riveste la nostra nudità che dà
significato, che dà senso alla nostra vita.
Noi da soli siamo nudi, non abbiamo senso.
Noi il senso lo traiamo da Dio.
Abbiamo detto che la sposa discende dal cielo
ed è vestita di luce, dalla luce che viene da Dio, l’interesse.
Il che vuol dire che soltanto guardando da
Dio, da questo prima di tutto, il primo regalo, il primo dono che si riceve è
l’attrazione, è l’interesse, è l’interesse per conoscerlo.
È la prima derivazione sulla creatura quando
la creatura guarda da Dio: interesse per Conoscerlo.
Questo è l’abito delle nozze, perché l’uomo è
stato creato per sposare Dio, per sposare il pensiero di Dio e il pensiero di
Dio non è l’uomo.
Perché l’uomo ha un pensiero suo, perché se
non avesse un pensiero suo non sarebbe persona ma, il pensiero che è nell’uomo
non è il pensiero di Dio.
Tra i pensieri degli uomini c’è anche il
pensiero di Dio ma il pensiero di Dio non è il pensiero dell’uomo.
Il che vuol dire che l’uomo ha la possibilità
di unirsi (sposarsi) al pensiero di Dio ma il pensiero di Dio viene da Dio, è
Figlio di Dio, è generato da Dio ed è unigenito, inconfondibile quindi, però
all’uomo è data la possibilità (se ha l’Abito della sposa) di questa unione.
Ed è da questa unione che deriva un essere
nuovo.
Perché chi resta per sempre nella Casa sono
soltanto i figli di Dio.
Quindi il Figlio di Dio resta sempre con il
Padre e i figli di Dio restano sempre col Padre, nella casa del Padre.
I figli di Dio, sono quelli che hanno sposato
il Figlio di Dio.
Quindi hanno formato una cosa sola con il
Figlio di Dio.
I figli restano sempre nella casa.
I servi no.
E anche qui noi dobbiamo capire le parole, le
parole sono dei segni.
E allora quando è che abbiamo i figli di Dio,
perché è molto importante.
Abbiamo detto che il problema è il restare e
il restare ci viene dall’abito.
E tenendo presente quello che abbiamo visto
prima, che rimane presente soltanto colui che guarda da questa panoramica del
prima di tutto ogni cosa, abbiamo visto che questo abito è determinato dall’interesse
che si forma nell’uomo, quando l’uomo guarda da Dio, avendo messo Dio prima di
tutto.
L’uomo mettendo Dio prima di tutto, riceve
l’interesse, l’attrazione.
L’attrazione per Dio, ecco la prima grazia.
Tanto è prima grazia che Gesù precisa che nessuno
può andare a Lui Figlio di Dio (quindi non ha l’abito) se non è attratto dal
Padre.
Essere attratti vuol dire avere interesse.
Chi ha interesse è attratto ma questo
interesse viene da Dio.
Il che vuol dire che soltanto guardando da Dio,
si riceve quest’attrazione.
Restiamo sempre nella stessa problematica: ma
forse Dio non attrae tutti?
E allora c’è qualcuno che è motivato da Dio e
qualcuno che non è motivato da Dio.
Ma Dio non è forse il Padre di tutti?
Dio è il Padre di tutti, però c’è qualcuno
che non ha Dio come Padre e Gesù lo precisa con i farisei: “Voi non avete Dio
come padre”.
Anzi apertamente, a un certo momento dice
loro: “Voi avete per padre il demonio”.
Può succedere che l’uomo dica tante volte al
giorno a Dio: “Padre nostro” mentre nella realtà ha per padre il demonio come
quei farisei.
Ed è parola di Dio anche questa.
Perché Dio lo dice a coloro che erano
convinti di avere Dio come padre.
L’uomo può essere convinto di mettere Dio
prima di tutto e poi in realtà lo ha messo dopo di tutto.
Ecco per cui non basta mettere Dio prima di
tutto per restare dentro.
Avevano per padre il demonio ed erano
convinti di avere Dio come padre.
L’uomo può essere convinto di avere messo Dio
prima di tutto e poi invece lo ha messo dopo tutto.
Ecco per cui non basta mettere prima di tutto
per restare dentro.
E Gesù dice che soltanto i figli restano
sempre nella casa del padre, i servi no.
È necessario precisare chi sono i figli e chi
sono i servi.
Gesù stesso lo precisa: figli sono coloro che
hanno Dio come padre e cosa vuol dire avere Dio come padre?
I farisei si vantavano di avere Dio come
padre e poi avevano per padre il demonio.
Sono figli di Dio coloro che hanno Dio come
motivazione.
Come movente.
Come principio del loro pensare, parlare, agire.
Quindi che hanno Dio come questa balconata.
Dio è l’abito.
Dio è l’interesse principale della loro vita.
Quindi figli di Dio sono quelli che nascono
da Dio.
E i servi?
Anche i servi servono Dio, sia chiaro.
Anche i servi servono Dio.
Però hanno una motivazione diversa.
Quindi anche i servi servono Dio perché
conviene, però la motivazione è altra.
L’uomo nasce dal movente, da ciò che lo
motiva, i figli di Dio hanno come movente il Padre, come movente Dio, qui Dio è
loro padre.
I servi non hanno come movente Dio, anche se
servono Dio da mattina a sera ma il loro movente è un altro.
E allora non possono restare sempre.
Il che vuol dire che a un certo momento il
movente dei servi entra in contraddizione con il movente Dio.
Ed è la contraddizione che costringe l’uomo a
scappare dalla casa, il servo non può restare nella Casa.
L’uomo è costretto a scappare quando entra in
contraddizione.
Come nella parabola del figliol prodigo,
quando rientra il suo fratello, il figlio maggiore è costretto a scappare,
dalla casa, non può più stare nella casa.
Ecco, a un certo momento c’è questa
contraddizione che si forma nell’uomo tra i due moventi.
Ho detto che soltanto quando il movente
personale della nostra vita coincide con il movente universale ed eterno che è
Dio, soltanto lì, noi abbiamo la luce, la verità con noi.
Soltanto lì si ha la stabilità ma fintanto
che il movente nostro è diverso no, anche se il fratello maggiore del figliol
prodigo urlerà di avere sempre fatto la volontà del padre, di avere sempre
ubbidito agli ordini.
Ecco l’ubbidienza dove ci conduce.
A un certo momento c’è questa conflittualità
qui tra l’amore del padre e l’amore di questo figlio maggiore.
Evidentemente il movente di questo figlio
maggiore non s’identificava con l’amore del padre e quando l’amore del padre si
è manifestato, a un certo momento c’è stata la contraddizione.
E la casa è diventata insopportabile.
Quando c’è la contraddizione non si può più
restare in casa, si è costretti a scappare, ecco perché c’è l’uomo che è soggetto
a mutamento.
Fintanto che il movente dell’uomo non
coincide con il movente di Dio, l’uomo sarà sempre soggetto a cambiamento,
costretto a fuggire di casa.
La stabilità la troviamo soltanto presso ciò
che è eterno, ecco per cui è importante identificare che cosa c’è di eterno in
noi.
Perchè è lì che bisogna costruire.
Noi dobbiamo trovare che cosa è eterno e
appoggiarci su questo.
E fare di questo il nostro punto di vista.
Soltanto guardando dal punto di vista
dell’eterno si vede veramente bene e si vede il significato di tutte le cose, è
lì che si ha la possibilità di restare sempre dentro: “A voi che siete dentro è
dato conoscere i misteri”.
Tutto questo avviene soltanto in quanto uno
ha l’abito delle nozze e l’abito delle nozze viene da Dio perché i figli di
Dio, diventano tali, per grazia del Figlio di Dio.
È il Figlio di Dio che fa i figli di Dio:
“Senza di me non potete fare niente”, “Nessuno viene al Padre se non per mezzo
di Me”.
Il Figlio di Dio, venendo tra noi, parlando a
noi non fa altro che manifestare a noi le cose dal suo punto di vista.
Abbiamo detto molte volte che parlare è
comunicare una intenzione.
Si parla per insegnare una intenzione.
Tutti anche quelli che interrogano dice Sant Agostino
parlano per insegnare una propria intenzione.
Anche il Figlio di Dio parlando a noi,
insegna a noi la sua intenzione, il suo punto di vista.
E il Suo punto di vista è il Padre.
Il che vuol dire che Lui parlando a noi,
convoca noi a vedere il suo punto di vista.
Le parole per essere intellette, devono
sempre essere viste dal punto di vista di colui che ci parla.
Quindi il Figlio di Dio parlando a noi,
convoca noi a vedere il suo punto di vista.
Ma il punto di vista è una balconata.
Convocati al suo punto di vista, ed è il
punto di vista del Figlio (che non è il nostro), convocati qui, siamo invitati
o perlomeno, abbiamo la possibilità di affacciarci: è una balconata.
Quando uno ci porta su un balcone o in
montagna, la prima cosa è quella di affacciarci.
Si va in montagna perché siamo fatti per
vedere e più si va in alto e più si gioisce, perché?
Perché si può vedere tanto da un unico punto
di vista.
Ora il Figlio di Dio ci conduce, ci convoca
al suo punto di vista.
E convocati lì, ci invita ad affacciarci, a
guardare da-, è proprio questo che ci fa capire un altro verbo, quello che è
detto qui in questo versetto: il verbo “credere”.
Le parole sono tutte segni: abiti, nozze,
credere e noi li rivestiamo di tanti e tanti significati ma il vero significato
viene da Uno solo, ecco per cui l’importanza di guardare unicamente dal punto
di vista dell’eterno, dell’infinito, dell’assoluto, dal punto di vista del
Padre.
Noi dobbiamo evitare di caricare di
significati materiali le parole, i fatti e i segni.
Tutti commentano i fatti, basta aprire un
giornale per vedere un commento diverso dall’altro.
Tutto è opera di Dio, lezione di Dio per noi,
anche se arriva attraverso la cronaca quotidiana e noi dobbiamo avere paura di
caricare le lezioni di Dio delle nostre intenzioni.
Perché noi su tutte le cose che incontriamo,
proiettiamo su di esse i nostri punti di vista, le nostre intenzioni, i nostri
valori, cioè ciò di cui siamo convinti.
Ma quello non è il punto di vista di Dio!
Il punto di vista di Dio non coincide mai con
il nostro punto di vista: “I miei pensieri non sono i vostri”.
L’intenzione di Dio non è mai la nostra, il
che vuol dire che richiede da parte nostra (poco o tanto) un superamento di
tutto quello di cui noi siamo convinti, di tutto quello che noi riteniamo vero,
per guardare dal punto di vista di Dio quello che Dio ci presenta.
È sempre necessario questo passaggio.
Perché Dio per quanto sia vicinissimo a noi,
non coincide mai con noi e con quello che noi sappiamo.
Ed è qui che si giunge alla consapevolezza
delle cose da Dio, perchè senza di noi non ci si affaccia e non si guarda da
questa balconata.
Il Figlio di Dio, essendo figlio di Dio vede
tutto dal punto di vista del Padre e parlando a noi ci presenta il suo punto di
vista, la sua balconata e quindi invita noi a guardare da-.
Qui abbiamo la chiave per capire cosa vuol
dire questo “credere” e questo “non credere”.
“Ma voi non credete”.
Credere vuol dire affacciarci alla balconata.
Vuol dire guardare dal punto di vista che il
Figlio di Dio, parlando a noi presenta.
E se noi non ci affacciamo a guardare da quel
punto di vista lì, noi non crediamo.
“Voi non credete” cioè: “Io vi ho presentato
un balcone ma voi non vi siete affacciati a guardare”.
Ecco l’opera del Figlio, per rendere noi capaci
di essere partecipi d’intendere le cose dal punto di vista di Dio.
Di fare la verità.
Gesù
nel vangelo di San Giovanni a un certo momento dice: “Chi fa la verità
giunge alla luce”.
Ecco è l’uomo che deve “fare”.
Questo è il vero fare chiesto all’uomo.
Noi crediamo che il fare sia l’agire, è ben
altro il fare.
Il vero fare è affacciarci a questa
balconata, balconata del Dio che va messo prima di tutto, questo vedere le cose
dal punto di vista di Dio.
Questo è fare la verità per giungere alla
luce e chi giunge alla luce trova la stabilità.
Ecco, il Figlio di Dio, parlando a noi, rende
a noi possibile la verità, la conoscenza di Dio e delle cose dal punto di vista
di Dio, dall’intenzione di Dio.
Dà a noi la possibilità, possibilità! Perchè
a un certo momento Lui dice anche: “Senza di Me non potete fare niente”, quindi
c’è una situazione d’impossibilità.
Il Figlio di Dio dà a noi la possibilità di
vedere in tutto il pensiero di Dio.
Abbiamo detto molte volte che là, dove c’è la
possibilità di vedere in tutto il pensiero di Dio, lì si è nella casa di Dio.
La casa di Dio come la casa di ognuno di noi
è caratterizzata dal fatto che si vede il pensiero del proprietario.
Si entra in una casa e si vede il pensiero
del proprietario.
Nella casa di Dio si vede il pensiero di Dio.
In tutto.
Soltanto colui che ha la possibilità di
vedere il pensiero di Dio in tutto, solo questo rimane nella casa di Dio
sempre.
Sempre perché il sempre coincide con il
tutto.
Là dove c’è qualcosa in cui non si vede il
pensiero di Dio si è cacciati fuori: si è servi, non si è figli di Dio.
Il figlio di Dio è colui che guarda tutto dal
punto di vista del Padre e lì abbiamo l’abito della sposa.
Lì abbiamo l’unione, lì abbiamo il guardare
da-.
Ed abbiamo visto che guardando da-, si riceve l’essere.
È lì la meraviglia dell’opera di Dio, che Dio
creando la creatura ha trovato il modo di comunicare Se stesso, attraverso un
semplice sguardo.
La meraviglia di Dio è quella, che dà a noi
la possibilità di ricevere l’essere guardandolo col semplice pensiero.
Basta pensare Dio per ricevere Dio, ed è
parola di Dio anche questa.
D’altronde il Figlio di Dio è il pensiero di
Dio.
“Nessuno viene al Padre se non per mezzo di
Me”.
Perché soltanto nel pensiero di Dio si riceve
l’essere, il Padre, abbiamo la comunicazione dell’essere attraverso lo sguardo
dell’Essere.
Guardando da Dio si riceve l’essere di Dio.
Guardando da Dio si partecipa alla
generazione del Figlio di Dio.
Ho detto: l’abito della sposa.
Cioè attraverso quest’interesse che viene dal
guardare da Dio. l’uomo riceve una natura nuova, una natura divina.
“Fatti partecipi della natura divina”.
La natura divina è infinitamente distante
dalla natura umana, è abissalmente differente dalla natura umana, perché?
Perché la natura umana è tutta costituita dal
finito.
La natura divina è infinito, è l’infinito, è
l’assoluto, è l’eterno, è il presente.
E noi siamo chiamati ad essere fatti
partecipi della natura divina.
Questo avviene unicamente guardando da-, da
Dio.
GV 10 VS 26 - Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore.
Terzo tema - Di-: le pecore
di Dio.
Argomenti: Fuori e dentro la
verità. Dio prima di tutto. L’abito della sposa. I talenti e
l’interesse. Il credere non dipende dalla nostra volontà. Il concetto di
appartenenza. Non è nel potere della creatura appartenere a Dio. Tutto appartiene a Dio. La realtà è
lezione di Dio per noi. I talenti e l’interesse. Siamo in casa d’altri. Guardare dal punto di
vista di Dio. Il superamento del pensiero dell’io. Pecora è chi ascolta
il maestro. L’essere si comunica attraverso la conoscenza. Pecora di Dio è chi conosce cosa vuol dire essere pecora di Dio.
8-9/Settembre/1991
Siamo giunti all’ultima parte di
quest’affermazione di Gesù: “Non mi credete, perché non siete delle mie
pecore”.
Abbiamo visto che gli uomini possono essere
dentro o essere fuori.
“A tutti coloro che sono fuori, tutto viene
detto in parabole affinché non capiscano, invece a voi che siete dentro, è dato
conoscere i misteri del regno”.
E il problema della salvezza, della vita
eterna sta nel conoscere i misteri del regno: “Dio vuole che tutti si salvino e
giungano a conoscere la Verità”.
Il più delle volte noi confondiamo la
salvezza o nei comportamenti o nel raggiungimento di certe virtù, o nell’essere
in un luogo piuttosto che in un altro, la parola di Dio ci dice che la salvezza
non sta in questo.
La salvezza sta nel giungere a conoscere la
Verità.
Siamo già tutti nella vita eterna, si tratta
di giungere a prendere consapevolezza del luogo in cui ci troviamo.
San Paolo diceva che noi esistiamo, viviamo e
ci muoviamo in Dio, siamo già nella vita eterna, soltanto che non ne abbiamo
consapevolezza.
La vita eterna sta nel conoscere Dio come
vero Dio e Colui che è mandato da Dio.
E dobbiamo sforzarci di entrare nella vita
eterna, sforzarci cioè di entrare nella conoscenza.
La Conoscenza però è data soltanto a coloro
che sono dentro.
Il problema allora è diventato il passaggio
dal di fuori al di dentro.
Come si fa questo passaggio?
Quand’è che si è dentro?
Si è dentro mettendo Dio prima di tutto.
E quando si è fuori?
Si è fuori quando ci sono interessi diversi
da Dio che ci dominano.
Fintanto che Dio non è messo prima di tutto
noi siamo fuori e tutto ci viene detto in parabole: non è dato a noi capire.
Il fatto però di non capire, di trovarci
nelle tenebre, nella notte, in noi che siamo fatti per capire è motivo di
tristezza, di angoscia, di tribolazione e di morte.
La morte sta proprio nella notte: l’uomo è
fatto per la Luce.
Però, anche messo Dio prima di tutto.....
L’uomo si confonde e s’imbroglia, l’uomo ama
raccontarsi delle menzogne e allora è necessario precisare: il più delle volte
l’uomo ritiene di avere messo Dio prima di tutto e poi lo mette sempre dopo
tutto.
Dobbiamo precisare quando veramente mettiamo
Dio prima di tutto.
Si mette Dio prima di tutto quando si guarda
ogni cosa da Dio, dal punto di vista di Dio.
È soltanto guardando da Dio quindi che si è
dentro, chi ci fa entrare è Dio.
Guardando dal punto di vista di Dio si ha la
possibilità di capire le cose di Dio.
E qui siamo passati all’abito della sposa.
L’ultimo argomento è stato l’abito della
sposa.
Quest’abito che è dato dall’interesse che uno
ha.
Abbiamo parlato del fatto che Dio non premia
i talenti che ci dà.
Dio premia l’interesse che noi traiamo dai
talenti che Dio ci dà.
Per cui nell’uomo ci sono sempre queste due
grandi componenti:
1-I talenti, cioè quello che l’uomo riceve
indipendentemente da sé, l’universo, la creazione, la vita, il tempo,
l’intelligenza, il cuore, la fede eccetera, tutto questo è tutto talento che
Dio ci dà e non è questo che determina la salvezza e non è questo che ci dà la
possibilità di entrare nella gioia del Signore.
2-L’interesse che l’uomo sa trarre da ciò che
Dio gli dà e Dio premia l’interesse che uno sa trarre dai talenti ricevuti.
L’interesse per che cosa?
L’interesse per conoscere Dio.
Tutte le cose ci sono date perché in noi si
formi interesse per conoscere Colui che dà a noi le cose.
La creazione è come ricevere un mazzo di fiori,
quel mazzo di fiori ci viene dato unicamente per suscitare in noi interesse
verso chi ci manda il mazzo di fiori.
Noi tutti i giorni riceviamo doni di Dio ma
dobbiamo capire l’anima, il significato, l’intenzione di questi doni.
Dio tutti i giorni ci offre doni per farci
alzare gli occhi a Lui, perché soltanto alzando gli occhi a Lui, da Lui noi
possiamo conoscere qualche cosa di Lui.
E la conclusione di tutto questo argomento è
questa tristezza di Gesù: “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà ancora
qualcuno che crederà?”.
E qui dopo tutto questo discorrere Gesù dice:
“Ma voi non credete”.
E dà anche la ragione per la quale non
credono.
L’argomento di questa sera è proprio questo
credere e la ragione per cui non si crede.
“Voi non mi credete perché non siete delle
mie pecore”.
La prima cosa che questa dichiarazione di
Gesù mette in evidenza è questa dipendenza dal credere all’essere sue pecore.
Cioè ci fa capire che il credere è una
funzione ed è dipendente da-.
“Voi non mi credete perché...” e ti dice la
causa, il motivo: “Perché non siete mie pecore”.
Ma allora questo ci fa capire che il credere
non è un atto che dipenda dalla nostra volontà, noi non siamo liberi di
credere.
Quanti vorrebbero credere e non possono
credere!
Il credere non dipende da noi.
È vero che “opera di Dio è che voi crediate”
ma qui ci precisa che il credere non è dato alla nostra volontà.
Il credere è una capacità, è una facoltà che
deriva dall’essere pecore di Dio.
E allora il problema si sposta perché se noi
vogliamo capire questo credere e la responsabilità che l’uomo ha in questo
credere, dobbiamo spostarci sull’argomento “essere pecore di Dio”.
Il vangelo è pieno di contraddizioni perché
ci sollecita ad andare in profondità.
La Verità non si trova in superficie, la
verità si trova in profondità.
Noi non troveremo mai la verità tra le cose
apparenti.
La verità richiede dedizione.
La verità richiede l’andare in profondità.
Tutto quello che leggiamo vediamo e
ascoltiamo, anche il vangelo è tutto per noi, essendo creazione di Dio è parola
di Dio per noi: “Voi non siete mie
pecore”.
Il primo problema che si presenta è questo:
come è possibile che nella creazione di Dio, nel regno di Dio in cui Dio solo
regna a cui tutto appartiene vi siamo delle pecore che non sono sue?
Tutte le creature sono di Dio, Dio è il padre
di tutti, eppure ci sono uomini che non hanno Dio come padre, ai farisei che si
vantavano di avere per padre Dio, Gesù dice apertamente: “Voi non avete Dio
come padre, voi avete come padre il demonio”.
Come è possibile in questo regno universale
di Dio, in cui Dio tutto opera, governa e regna vi siano pecore che non sono
sue, creature non sue, uomini che non abbiano Lui come padre.
Eppure c’è questa dichiarazione: “Voi non
siete pecore di Dio” e anche questa è parola di Dio per noi.
Qui il problema diventa cercare di capire
cos’è questa appartenenza a Dio.
Questo concetto di appartenenza: “Voi non
siete mie pecore”.
Quand’è che si appartiene a Dio e quand’è che
non si appartiene a Dio.
Perché ha un significato il non appartenere a
Dio come ha un significato il non avere Dio come padre.
Il concetto di appartenenza non è relativo
all’uomo, non è l’uomo che possa appartenere a-.
Una donna che volesse appartenere a un tale
uomo sta fresca, non è nelle mani della creatura appartenere a-.
Non è offrendo un oggetto che quell’oggetto
appartenga a colui al quale lo si offre.
L’appartenenza non dipende quindi dai nostri
sacrifici, dalle nostre offerte, dai nostri voti o dalle nostre promesse.
Noi possiamo fare tutte le promesse del mondo
ma queste non ci fanno appartenere a-.
Non dipende da noi essere sposi di Dio, avere
l’abito dello sposo o della sposa, non dipende dalla nostra offerta.
Certamente non è questo il criterio
dell’appartenenza a-.
Il criterio di appartenenza non è nelle mani
di colui che vuole appartenere a-.
L’appartenenza dipende da colui che possiede,
da colui che prende, non dipende da colui che offre, uno può offrire tutta la
merce di questo mondo ma se non c’è qualcuno che gliela compra sta fresco.
Non è che offrendo qualcosa si determini
l’appartenenza, il possesso di questo qualcosa.
Il possesso dipende da colui che vuole
possedere o da colui che possiede.
Quindi non è nelle mani della creatura
l’appartenere a Dio, questo bisogna chiarirlo bene.
Ma allora com’è che il Signore dice: “Voi non
siete mie pecore”, forse Dio crea delle pecore non sue, cioè delle creature che
non vuole? Che rifiuta?
A un certo momento abbiamo anche questa
parola del Signore alle creature: “Non vi ho mai conosciuti, non vi conosco”.
Nell’uomo ci sono due componenti:
Nell’uomo tutto è opera di Dio, noi non siamo
nati con la partecipazione nostra, tutto l’universo non ha nulla a che fare con
noi, nel senso che lo troviamo, ci siamo dentro ma certamente non siamo noi che
lo abbiamo voluto, è un altro che lo ha fatto, tutto è opera di un altro e
tutto è nelle mani di un altro.
Ogni giorno noi siamo sorpresi da
avvenimenti, da fatti, da incontri che sono sempre determinati da un altro, c’è
un altra volontà che opera nella nostra vita, fuori e dentro di noi.
Tutto questo mondo in cui noi siamo immersi
come pesci nel mare, è voluto da un altro, non è opera nostra, arriva a noi
indipendentemente da noi.
E qui è pacifico, tutto è di Dio, la
creazione è di Dio, tutto è di Dio.
Anche il demonio appartiene a Dio, servo o
non servo però tutto appartiene a Dio.
Non c’è un filo d’erba o un granello di
sabbia che non appartengano a Dio.
Basterebbe che ci fosse un solo granello di
sabbia in tutto l’universo, uno solo, non voluto da Dio e Dio cesserebbe di
esistere.
Quindi noi ci troviamo in un universo che è
tutto disposto e tutto voluto da Dio.
Tutte le creature (buone e cattive)
appartengono a Dio.
Però in quest’universo c’è anche questa
parola di Dio che ci dice: “Voi non siete mie pecore, voi non avete Dio come
padre”.
E se lo dice, lo dice affinché noi capiamo.
Dio non parla per non farci capire, anche se
Lui dice: “Parlo in parabole affinché non capiscano”, ma questo è un argomento per
farci entrare perché c’è un luogo dove si capisce.
Se Dio parla per accecarci, o parla per farci
rendere conto che non capiamo, è un atto d’amore o di misericordia per
sollecitarci ad entrare in quel luogo in cui le cose diventano chiare.
Perché c’è un luogo ben preciso in cui si
capisce: “A voi che siete dentro” e questo luogo abbiamo visto che è
determinato dal fatto di mettere Dio prima di tutto.
Dio parla per farci capire.
Dio parla per comunicarci il suo pensiero.
Dio parla unicamente per far conoscere Se
Stesso, per comunicare Se stesso.
Dio opera tutto in questa finalità.
E noi ci troviamo in questo universo, in
questo mondo qui, apparteniamo tutti a Dio, tutti i fatti e tutti gli
avvenimenti appartengono a Dio, noi stessi siamo di Dio, volenti o nolenti, che
lo sappiamo o non lo sappiamo.
Dio è già in noi e noi siamo già in Dio,
questa è la grande realtà in cui ogni uomo si trova.
Però noi siamo incoscienti e Dio opera per
far maturare in noi questa presa di coscienza, per farci diventare consapevoli
della realtà in cui ci troviamo.
Tutto il problema della vita non è un
problema di modificazione del mondo, di cambiare il mondo o di farlo migliore,
il problema non è questo.
Siamo tutti allievi nell’aula dell’universo
in cui c’è un solo maestro: “Non date a nessuno il nome di maestro”.
L’universo è questa grande aula in cui c’è un
solo maestro che parla a tutti.
Ora il compito dell’allievo non è quello di
modificare la lezione, il compito dell’allievo è quello di capire la lezione.
Noi siamo lì che ci arrabattiamo per
modificare l’universo, per fare il mondo migliore, correre a destra e sinistra
per cambiare gli altri ma il problema non è cambiare il mondo, perché tutto
quello che accade, tutto quello che esiste e in cui noi ci troviamo è realtà e
la realtà è lezione di Dio per noi.
Siamo tutti allievi e il problema principale
dell’allievo non è quello di modificare la lezione che il maestro sta dando o
di voler che la lezione sia come piace all’allievo: lì ci mettiamo fuori.
Il problema dell’allievo è quello di capire
la lezione.
Quindi se il mondo è così come è, il problema
non è quello di cambiare il mondo o fare il mondo che piace a noi, il problema
è quello di capire perché Dio ci mette in una situazione di tanta durezza o di
tanta severità o addirittura in un mondo che ci fa tribolare fino a condurci
alla morte.
Sono lezioni di Dio, tutte da capire.
Abbiamo detto che Dio parla per farci capire
qualche cosa, per far maturare in noi questa consapevolezza, questa presa di
coscienza e se in questo mondo, in quest’aula, in queste sue lezioni c’è anche
questa lezione, Lui che dice: “Voi non potete credere in Me perché non siete
mie pecore”, è una lezione da capire.
È una lezione personale per ognuno di noi.
Noi non dobbiamo giustificarci ritenendo che
queste parole le dica solo ai farisei.
Questa è parola di Dio e le parole di Dio non
sono condizionate né dallo spazio, né dal tempo: “Passeranno i cieli e la terra
ma le mie parole non passeranno”.
Le parole di Dio sono personali per ognuno di
noi.
Qui abbiamo questa parola di Dio che dice a
noi che quando abbiamo difficoltà a credere (credere è guardare dal punto di
vista di Dio) è perché non siamo pecore di Dio.
Il credere è una capacità che si forma in
conseguenza dell’essere pecore di Dio
Abbiamo detto che due sono le componenti
dell’uomo.
C’è la creazione di Dio che arriva a noi,
indipendentemente da noi.
Noi stessi siamo creazione di Dio, noi, così
come siamo, con tutto il nostro carico di pene, di tribolazioni e di
sofferenze, così come ci troviamo, oggi come oggi: questa è creazione di Dio, è
voluto da Dio per noi, è lezione di Dio per noi.
Questo è il primo dato e questi sono i
talenti.
E poi abbiamo un altro dato che costituisce
l’uomo: l’interesse.
Abbiamo detto che i talenti da soli sono
nudi.
La situazione, la realtà, il mondo in cui
ognuno di noi si trova è creazione di Dio, appartiene a Dio, è di Dio.
E se è di Dio, non dobbiamo permetterci noi
di cambiarla, noi dobbiamo preoccuparci d’intenderla.
E poi c’è l’interesse per conoscere, per capire
che cosa Dio ci vuole dire, attraverso la situazione in cui ci fa essere.
La realtà in cui tu ti trovi, oggi come oggi
è voluta da Dio, inutile rinvangare scelte o colpe.
Ma se è voluta da Dio, il problema per te è
capire che cosa Dio ti vuole dire, che cosa ti vuole significare, che cosa Dio
ti vuole significare attraverso questi talenti che Dio ti ha dato.
La realtà è nuda ed essendo nuda ha bisogno
di significato.
Tutte le cose arrivano a noi ma non hanno
scritto il significato.
E già perché il significato nasce
dall’interesse.
E soltanto se noi manteniamo unita la realtà
in cui noi ci troviamo con Dio, lì sgorga l’interesse.
E Dio guarda l’interesse, lì salta fuori
l’interesse, l’interesse per capire che cosa Dio ci vuole dire mettendoci in
questa “marmellata”, mettendoci nelle problematiche in cui noi ci troviamo,
mettendoci nella notte.
Dio creandoci ci ha messi in una notte ma che
significato ha questa notte.
Ora, se noi teniamo unita la notte con Dio
creatore di tutte le cose la nostra notte s’illumina e diventa giorno.
Perché da questa notte nasce un interesse:
“Signore perché mi hai messo in questa notte? Che cosa mi significhi di te in
questo?”.
Ora, è proprio questo interesse per capire il
pensiero di Dio, per capire il significato di Dio in quella realtà in cui Lui
mi mette, questo interesse mi fa incontrare Dio che mi dice: “Entra nella gioia
del tuo Signore”.
Ho detto che l’uomo è costituito da queste
due grandi componenti, dalla realtà di Dio che opera in tutto e qui tutto è di
Dio, angeli e demoni compresi, e dalla componente dell’interesse, del desiderio
di vedere, di capire il significato delle cose dal punto di vista di Dio,
questo si forma soltanto se noi manteniamo le cose unite a Dio.
Se non le manteniamo unite al pensiero di Dio
creatore, noi siamo in colpa, perché noi sappiamo perfettamente che le cose,
che la realtà in cui ci troviamo, che il mondo in cui ci troviamo non lo
abbiamo fatto noi.
Quindi se noi siamo sicuri che non siamo noi
i creatori delle cose, noi dobbiamo rispettare il padrone di casa.
Trovandoci in casa d’altri, noi dobbiamo
rispettare il padrone di casa, altrimenti quello ci butta fuori, ecco perché
tanti si trovano fuori.
La casa è di un altro e arriva il momento in
cui il padrone di casa ci butta fuori.
Quando uno entra in casa d’altri la prima
cosa è quella di rispettare, perché la cosa non è tua, è di altri.
Noi ci troviamo in casa d’altri, l’universo
non è nostro, è del creatore, non siamo noi ad avere fatto l’universo.
Basta questo pensiero per porci questa grande
necessita di giustizia.
Le cose non sono tue, sono di Dio, anche te
stesso non sei tuo, sei di Dio, per cui non puoi permetterti di usarti come
vuoi, perché tu sei di Dio.
E se tutto è di Dio, noi, gli altri, tutta la
creazione, tutte le cose sono di Dio, noi siamo tenuti a questo grande
rispetto.
“Date a Dio quello che è di Dio”.
Tutto è di Dio.
Perché in tutte le cose e in te stesso c’è un
anima, c’è un pensiero, il pensiero di un altro, c’è l’intenzione di un altro e
devi rispettarla questa intenzione, c’è il disegno di un altro e devi capirlo
questo disegno.
È qui che l’uomo viene a trovarsi in difetto
poiché non è pecora di Dio.
Anche il demonio è di Dio e non può non
ubbidire a Dio e non può non fare quello che vuole Dio ma se tutti sono di Dio,
non tutti giungono a conoscere Dio, non tutti entrano nella Luce.
Per entrare nella Luce ci vuole questo
interesse per Dio.
Dio che crea tutte le cose, per cui tutte le
cose sono sue, non tutte possono godere della conoscenza di Dio, perché?
Perché Colui che ti crea senza di te, non si
fa conoscere senza di te, è un problema che richiede questa balconata, che
richiede questo portarsi a guardare dal punto di vista di Dio, che richiede il
pensiero di Dio.
Per questo è necessario che a un certo punto
tutto dell’uomo sia superato, che l’uomo superi se stesso, che l’uomo
dimentichi se stesso e tutti i suoi punti di vista, superi il suo mondo, superi
tutto di sé per guardare le cose dal punto di vista di Dio.
Questo guardare le cose dal punto di vista di
Dio, non può avvenire senza di noi perché si richiede il superamento del
pensiero del nostro io.
Il pensiero del nostro io è creazione di Dio,
appartiene a Dio, è opera di Dio, ora è Dio che creandoci dà a noi il pensiero
del nostro io perché questo pensiero è la condizione essenziale per potere
essere consapevoli di qualche cosa, perché un essere incosciente non può
giungere a conoscere niente.
L’animale non può giungere a conoscere
Dio....noi abbiamo letto che Dio salva anche le bestie ma l’uomo animale non
può assolutamente giungere a conoscere Dio.
L’uomo che vive di sentimento seguendo la
natura o i suoi bisogni certamente non giunge a conoscere Dio.
Nel pensiero del nostro io non si giunge a
conoscere Dio.
Il pensiero del nostro io deve essere
superato, è come una pedana di lancio, perché?
Perché dobbiamo imparare a guardare le cose
dal punto di vista di Dio.
Quando parliamo di conoscenza, quando
parliamo di luce, vuol dire guardare le cose dal Principio.
È soltanto quando uno conosce una cosa dal Principio che conosce veramente la
cosa.
Quando uno non conosce la cosa dal principio
si trova nella notte, esperimenta la cosa, tocca la cosa, vede, subisce la
cosa, però non la conosce dal principio, non sa la ragione di quella cosa.
Lui che è il principio di tutto, Lui nel
quale c’è la ragione di tutto, Lui ci ha creati per dare a noi la possibilità
di vedere le cose dal principio e proprio vedendo le cose dal principio abbiamo
la conoscenza, si forma in noi la conoscenza.
Ma allora qui arriviamo al problema delle
pecore di Dio e cosa vuol dire essere pecora di Dio.
Perché se si entra nella Luce, soltanto
guardando dal principio e il Principio è Dio, non siamo certamente noi.
Che non siamo noi il Principio lo sappiamo
perfettamente perché noi ci troviamo davanti a tante cose che noi subiamo ma di
cui non vediamo il principio.
Come dice Gesù è tutta opera dello spirito e lo spirito
soffia dove vuole, tu ne senti il soffio ma non sai né donde viene né donde va.
E così è per tutti gli avvenimenti e tutti i
fatti, la vita, il nascere, il morire, il gioire, il soffrire, è tutto questo
vento della creazione di Dio, arriva a noi, noi lo avvertiamo, sentiamo il
soffio però non sappiamo né donde viene, né donde va, perché?
Perché noi non siamo il principio.
Quindi questo ci annuncia che il Principio è
un altro.
Dio è il Principio e soltanto se vediamo le
cose dal principio noi abbiamo la possibilità di entrare nella Luce.
Le pecore di Dio sono le creature che
guardano le cose dal principio, dal pensiero di Dio.
Pecora è colui che ascolta, è l’allievo che
ascolta la lezione del maestro, è la creatura che è tutta disponibile per
intendere le cose dal punto di vista di Colui che le insegna.
Ecco perché ci sono pecore di Dio e non
pecore di Dio.
Qui non siamo nell’automatismo, qui non siamo
nella fase della creazione, qui non c’è più la creazione.
Nella fase della creazione tutte creature di
Dio (anche il demonio) ubbidiscono a Dio ma qui siamo nel campo
dell’automatismo.
Ma là dove invece la creatura deve superare
se stessa per incominciare a guardare le cose dal punto di vista di Dio, qui
non c’è più automatismo.
Qui è la creatura che per giustizia, per
amore di Luce, per amore di verità, supera se stessa, supera quello che tocca
ed esperimenta, per guardare le cose dal punto di vista del Creatore, dal punto
di vista di Dio.
La pecora di Dio nasce qui, nasce dalla
conoscenza di Dio, nasce dalla Luce e qui scopriamo una grande cosa, scopriamo
che l’essere, (quindi la pecora di Dio) si comunica attraverso la conoscenza.
Essere pecora di Dio non è effetto di volontà
nostra, si diventa pecora di Dio soltanto conoscendo cosa vuol dire essere
pecora di Dio.
La pecora di Dio nasce dalla luce dalla
conoscenza quindi soltanto chi conosce, chi capisce cosa significa essere
pecora di Dio è pecora di Dio.
Qui scopriamo una cosa molto importante: nel
campo dello spirito l’essere si comunica attraverso la conoscenza.
Per cui conoscenza ed essere coincidono.
Là dove non c’è conoscenza di Dio non c’è
pecora di Dio e l’essere non si comunica.
Presso Dio conoscenza ed essere si
uguagliano.
Là dove non c’è conoscenza non c’è
partecipazione di essere, quindi si è in
difetto, c’è perdita di essere.
Il concetto principale di oggi è che pecore
di Dio sono soltanto coloro che giungono a conoscere cosa vuol dire essere
pecora di Dio.
GV 10 VS 26 - Ma
voi non credete perché non fate parte delle mie pecore.
RIASSUNTI Domenica-Lunedì.
Argomenti: L’illusione del
mettere Dio prima di tutto. L’essere si riceve attraverso la conoscenza. Servi
e pecore di Dio. Guardare dal punto di
vista di Dio. Sapere cosa vuol dire essere pecora di Dio. Subire la passione di
ciò che si ha presente. L’interesse per Dio nasce da Dio.
15-16/Settembre/1991