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GV 10 VS 25 - Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me.


Primo tema - C'è Qualcuno?


Argomenti: Il parlare aperto di Dio e dell’uomo. Essere dentro e essere fuori del Regno. Lo scandalo e il dubbio. Dio ci conosce personalmente. L’assenza di Dio è una realtà relativa al pensiero dell’uomo,  non è assoluta. La solitudine dell’uomo è una parola di Dio. I concetti negativi. La lotta di Giacobbe in terra. L’impossibilità di cancellare Dio. La lotta tra l’umano e il divino. Il problema della parola. La lotta di San Michele in cielo. Sant’Agostino: parlare per insegnare o imparare. La parola comunica l’intenzione. La parola di Dio: nessuno. Il parlare personale di Dio nel nostro errore. Le visioni di Dio. Alla Verità si giunge solo per comprensione. L’identificazione di Dio. Dio principio d’identificazione.


 

28-29/ Luglio/ 1991


Queste parole è meglio vederle sotto questo aspetto: “Io parlo con voi e voi non credete”.

Prima gli avevano chiesto: “Fino a quando terrai Tu sospeso il nostro animo? Se Tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente” e Gesù risponde: “Io parlo con voi e voi non credete”.

Cristo è il Dio presente tra noi e dicendo: “Io parlo con voi” rivela quello che dice Dio ad ognuno di noi.

Tutta la creazione è parola di Dio.

Tutti i fatti e gli avvenimenti sono parole di Dio.

Ed è Dio che parla con noi.

Questo “Io” è l’Io di Dio.

Però nell’uomo c’è sempre il dubbio.

È il dubbio che martellava la mente di quei giudei allora e che martella la mente degli uomini di oggi.

L’uomo è sempre lo stesso.

“Se tu sei Cristo, dillo a noi apertamente”.

Abbiamo visto la stranezza di questo “apertamente”, di questa richiesta.

La richiesta degli uomini a Dio affinché parli apertamente, quasi che Dio non parlasse in modo aperto.

“Dillo a noi apertamente”.

La volta precedente abbiamo notato che non è Dio che deve dire apertamente a noi quello che Lui è ma siamo noi che dobbiamo dire a Dio, apertamente quello che Lui è.

Siamo noi che ci nascondiamo a Dio, non è Dio che si nasconde a noi.

Dio parla apertamente e lo dice Lui stesso attraverso il Figlio.

Lui dice che a tutti quelli che sono fuori, parla in parabole, quindi non apertamente ma, a tutti quelli che sono dentro, Lui parla apertamente.

Dio non tiene nulla nascosto.

“A voi che siete dentro è dato conoscere i misteri del regno di Dio”.

Non c’è nulla di nascosto che non debba essere rivelato.

Poiché Dio è il Dio della Luce.

Le tenebre sono un segno di lontananza da Dio.

Ma vicino a Dio, presso Dio, tutto è Luce.

E allora quando Dio dice a noi che Lui parla apertamente a coloro che sono dentro, è assurdo che gli uomini chiedano a Dio di parlare apertamente.

Perché se loro non intendono “apertamente” quello che Dio dice, è segno che loro non sono dentro.

E se Dio dice che parla apertamente a coloro che sono dentro, con ciò invita tutti gli uomini ad entrare, ad essere dentro, perché soltanto dentro Lui parla apertamente.

A tutti coloro che sono fuori, Lui parla in parabole affinché non capiscano e si rendano conto che è necessario entrare, perché soltanto a coloro che sono dentro, le cose vengono dette in modo aperto.

La parola di Dio è una sola.

Quindi il difetto non sta da parte di Dio che ci tiene nascosto qualcosa.

Il difetto sta dalla parte della creatura che intende male, quello che Dio dice in modo aperto.

E perché intende male?

Intende male perché non è dentro.

Ma cosa vuol dire essere dentro?

Sono dentro coloro che hanno messo Dio al di sopra di tutto, coloro che hanno messo l’interesse per conoscere Dio al di sopra di tutto ed è questa la condizione essenziale per intendere il linguaggio di Dio.

Ecco per cui l’uomo resta dominato dai dubbi.

Dai dubbi perchè non intende il linguaggio aperto di Dio.

E non lo intende perché non mette Dio al di sopra di tutto.

Ma il mettere Dio al di sopra di tutto, è il primo atto di giustizia che viene chiesto ad ogni uomo.

Perché nessun uomo è il creatore, Dio solo è il creatore.

E se Dio solo è il creatore, l’uomo è tenuto a riferire tutto a Dio e questo vuol dire intendere il linguaggio di Dio.

In caso diverso non può intendere il linguaggio di Dio.

E non intendendo l’uomo resta dominato dai dubbi.

Il dubbio nasce in quanto si assiste ad una realtà diversa a quella nella quale si crede.

E gli uomini assistono a realtà diverse da quelle in cui credono.

Credendo in Dio si assiste a degli scandali, cioè a delle realtà diverse da Dio.

Il parlare comune è questo: “Se Dio ci fosse”.

Appunto perché si resta dominati da una realtà che è diversa da Dio.

Ma tutta la realtà, tutto il mondo è diverso da Dio.

Tutta la creazione di Dio è diversa da Dio.

Ed è logico, perché tutta la creazione di Dio è segno di Dio ma non è Dio.

Quindi non essendo Dio, è diversa da Dio.

Se noi non mettiamo Dio prima di tutto, le creature diventano per noi motivo di scandalo nei riguardi di Dio.

Tutte le creature.

Sante o non sante.

Tutte le creature, tutte le istituzioni, tutti gli avvenimenti non sono Dio tra noi.

Non si vede il Regno di Dio.

Non si vede la Verità.

E non può vedersi la Verità.

Tutte le opere di Dio sono segni di Dio ma per intenderle come segni di Dio, come parole di Dio, è assolutamente necessario che uno metta Dio e l’interesse per Dio, al di sopra di tutto e faccia in tutto riferimento a Lui.

Allora tutto coopera e tutto aiuta.

Ma per poco che l’uomo trascuri Dio, dimentichi Dio, immediatamente in Lui sorge il dubbio.

Perché viene a trovarsi con una realtà diversa da Dio.

Ed è questo che crea poi il problema: “Se tu sei il Cristo”.

“Se Tu ci sei, parla apertamente”.

Qui Gesù Dice: “Io parlo con voi”.

“Sono Io che parlo con te”, quante volte lo troviamo!

Già nell’antico testamento: “Colui che parla con te, adesso l’hai presente, ma Colui che ha sempre parlato con te”.

Quindi la parola di Dio ce lo annuncia, ce lo dice, c’è Uno che parla con noi.

Gli uomini dicono: “Diccelo apertamente”.

Lui lo dice apertamente: “Io parlo con voi”.

Quindi noi abbiamo una prima testimonianza, la testimonianza della parola stessa di Dio che dice: “Io parlo con voi”.

Ma è sufficiente per l’uomo che la parola di Dio gli dica: “Io parlo con te?”.

L’uomo subisce scandali.

L’uomo assiste a delle realtà diverse da Dio e quando anche Dio gli dicesse: “Io parlo con te”, l’uomo dubita.

Qui si scandalizzano di Gesù che dice: “Io parlo con voi”.

Quindi Dio parla e gli uomini non credono.

La parola di Dio per essere intelletta, compresa, creduta, ha bisogno di Dio.

L’uomo se non mette Dio prima di tutto, viene a trovarsi nell’impossibilità Lui stesso di credere alla parola di Dio.

Per questo si dice che la fede viene da Dio.

È Dio che dà all’uomo la capacità di credere alle sue parole.

Non basta che Dio dica a noi: “Sono Io che parlo con te”, perché se l’uomo non guarda a Dio, non riceve da Dio, quella capacità di credere alla parola che Dio dice.

L’uomo riferirà sempre tutto all’uomo o al mistero, ma dubiterà sempre che sia Dio che sta parlando con lui.

Il tema di oggi è: c’è qualcuno?

L’uomo riuscirà mai a convincersi che lui non è solo?

Che c’è qualcuno che lo pensa personalmente?

Che c’è qualcuno che lo conosce personalmente?

Che c’è qualcuno che parla con lui personalmente?

Personalmente!

L’uomo ha bisogno di questo.

Ed è inquieto e tormentato, fintanto che non arriva a questa certezza, a questa convinzione.

E non gli bastano neppure le parole di Dio per convincersi.

E allora ci chiediamo: di che cosa ha bisogno l’uomo per convincersi, per entrare in questa pace?

Per capire, per rendersi conto che è pensato, che è voluto, che è conosciuto, che in tutto Dio gli sta parlando.

E gli sta parlando non come umanità, come massa, gli sta parlando personalmente.

Dio ci conosce personalmente.

Chi dà a noi questa capacità.

Non soltanto di capire ma di convincerci.

L’altra volta abbiamo parlato dell’importanza dell’identificazione di Dio.

L’identificazione di Colui che è presente in noi ma che tanto stentatamente noi riusciamo a identificare.

Noi lo confondiamo Dio.

Il dubbio è una conseguenza del fatto che l’uomo sperimenta una realtà diversa da quella nella quale crede.

E questa realtà diversa, incrina nell’uomo la fede in Dio, gli porta via il rapporto personale e diretto con Dio.

Gli annebbia Dio, lo rende incerto perché?

Perché la realtà che lui vede e tocca è un altra.

L’uomo non vede e non tocca Dio.

Questa realtà diversa da Dio che l’uomo esperimenta e tocca, non è una cosa assoluta, perché l’uomo vede e tocca l’assenza di Dio ma l’assenza di Dio non è una realtà assoluta.

L’assenza di Dio è relativa, non è assoluta.

E quando diciamo relativa cosa intendiamo?

Vuol dire che è una conseguenza di un pensiero dell’uomo.

L’assenza di Dio non è data all’uomo indipendentemente dall’uomo ma è dipendente da un pensiero dell’uomo.

L’uomo fa esperienza di una realtà diversa da Dio, certamente e ne resta scandalizzato, certamente.

“Se Dio ci fosse certe cose non esisterebbero”.

Il Dio che è amore, bontà e onnipotenza nella realtà che vediamo non esiste.

L’uomo subisce questa realtà e lo scandalo che porta.

E questa realtà introduce il dubbio nella mente e nell’animo dell’uomo e lo rende indeciso nei riguardi di Dio.

A un certo momento fa sentire l’uomo solo.

L’uomo è un essere che esperimenta la solitudine.

Non si sente compreso.

Non si sente compreso sopratutto nei suoi grandi problemi.

Ma perché?

Perché i problemi l’uomo li sente.

L’uomo sente i problemi.

Uno dei primi problemi è questo: Dio parla personalmente a me oppure io sono solo?

L’uomo sente il problema.

Invoca, prega supplica.

Ma la risposta ai problemi, lui non la trova.

Ci sono problemi esistenziali nella vita dell’uomo, che minano l’uomo, che lo portano alla morte.

Già questo semplice fatto di avvertire i problemi e di non trovare le risposte, le soluzioni a questi problemi, fa sentire all’uomo la tremenda solitudine.

L’uomo si sente solo.

L’uomo è solo in quanto porta in sé un desiderio e non trova nessuno che lo conosca in quel desiderio.

Nessuno che lo aiuti a realizzare quel desiderio.

Ecco la solitudine dell’uomo.

Ma questa esperienza del sentirsi non pensato, non conosciuto, l’uomo la esperimenta come fatto relativo.

L’uomo esperimenta la solitudine perché s’accorge che non c’è nessuno che risponda ai suoi problemi.

Allora questa solitudine che l’uomo esperimenta, è relativa ai problemi che l’uomo porta dentro di sé.

Ai pensieri che l’uomo porta dentro di sé.

Ai desideri che l’uomo porta dentro di sé.

L’assenza, il nessuno, è sempre relativo al pensiero che uno porta dentro di sé.

Se noi abbiamo presente una certa persona nella mente e non la vediamo nella realtà sensibile, diciamo che l’assenza di questa persona è relativa a ciò che noi abbiamo presente nella mente.

Per questo i concetti negativi (assenza, vuoto, solitudine, silenzio), sono conseguenza di una relatività.

Relatività a un nostro pensiero, a un nostro desiderio, a un nostro interesse.

Basta capire che questo fatto (assenza di Dio), è in relazione a un desiderio o a un problema che portiamo dentro di noi, per farci capire che c’è uno che parla con noi.

Cioè questo non risponderci ai problemi che portiamo, questo non rispondere alle nostre invocazioni, alle nostre richieste, questo farci sentire non pensati, non conosciuti, non amati, questo farci esperimentare la solitudine come se Dio non ci fosse, è una parola di Dio per noi.

È una parola di Dio per noi, perché Dio parla chiaramente a coloro che sono dentro.

Una di queste parole chiare che Dio dice a coloro che sono dentro è questa: “Sono Io che parlo con te”.

Ma questa parola chiara che Dio dice, Dio la dice solo a coloro che sono dentro, o meglio la intendono soltanto coloro che sono dentro.

Se allora noi, facciamo esperienza che nessuno parla con noi, che nessuno risponde alle nostre invocazioni, che nessuno scioglie i nostri problemi, se noi facciamo esperienza di assenza, di vuoto, di solitudine, è parola di Dio personale, che noi non siamo dentro.

E se a noi che siamo fuori, Dio fa esperimentare il suo silenzio, fa esperimentare a noi la solitudine, fa esperimentare a noi l’assenza, il vuoto di Sé, è parola di Dio per noi, è atto di misericordia di Dio.

È Dio che ci sollecita e ci invita ad entrare, perché soltanto quando si entra, lì, si capisce, s’intende come Dio parla con noi, come Dio ci pensa, come Dio ci conosce, come Dio risponde a tutti i nostri problemi.

“Qualunque cosa chiederete vi sarà data”.

Quindi tutta l’esperienza di solitudine, di assenza di Dio è ancora parola di Dio per noi, per sollecitare noi ad entrare in quel luogo (portico della sapienza) in cui Lui parla apertamente.

Parlare aperto vuol dire che parla convincendo.

Per cui lì e soltanto lì, Dio convince noi che è presente a noi, che parla con noi, che ci conosce e che risponde ai nostri problemi.

Quindi se l’assenza, il vuoto, lo vediamo dal punto di vista di Dio, noi capiamo che questa è parola di Dio e se è parola di Dio, vuol dire che Dio ci conosce.

Anche quando siamo fuori, cioè anche quando non abbiamo messo Dio prima di tutto.

Anche quando non abbiamo messo l’interesse per conoscere Dio al di sopra di tutto.

Perché soltanto quando l’avremo messo al di sopra di tutti i nostri problemi e di tutti i nostri impegni, noi saremo dentro.

E fintanto che noi non siamo dentro, Dio parlerà a noi questo linguaggio: il linguaggio della sua assenza che certamente ci scandalizza.

Linguaggio che soltanto visto da Dio può essere inteso come parola di Dio.

Qui si scopre il passaggio dal “c’è nessuno che parla” al “c’è qualcuno che parla”.

Siamo soli su questa terra oppure siamo conosciuti?

C’è il passaggio dal nessuno al qualcuno.

C’è qualcuno e tutto rientra in una logica.

Il problema dell’assenza non è un problema assoluto ma relativo a un pensiero nostro che non è Dio prima di tutto.

E fintanto che il nostro pensiero non è Dio prima di tutto, noi ci troveremo in questo mondo di assenza di Dio.

Ma questo mondo di assenza di Dio, di negatività, di solitudine, è ancora una parola di Dio per noi, per segnalare a noi il luogo in cui Dio ci convince sul fatto che ci conosce, ci ama e sopratutto che parla personalmente con noi.

Qui scopriamo la lotta dell’uomo, la lotta di Giacobbe con l’annuncio di Dio in terra.

C’è una lotta in terra e c’è una lotta in cielo.

La lotta di Giacobbe con l’angelo di Dio, con l’annuncio di Dio.

Dio che l’uomo non può dimenticare, anche quando non mette Dio prima di tutto.

L’uomo fa esperienza dell’assenza di Dio, ma nella sua mente, nel suo intelletto, nel suo pensiero, l’uomo non può ignorare Dio.

Non può cancellarlo, perché Dio è trascendente.

E se è trascendente vuol dire che è superiore a tutto e a tutti.

Superiore a tutti i nostri dubbi e a tutti i nostri pensieri.

Dio è al di sopra di tutti i nostri dubbi.

Noi con tutti i nostri dubbi e con tutte le negazioni e le nostre superbie, noi non possiamo cancellare Dio.

Nel modo più assoluto non possiamo cancellare Dio.

Nemmeno nell’inferno.

Noi possiamo scatenare tutto l’odio che vogliamo contro Dio ma non possiamo cancellarlo.

Dio è superiore a noi.

Per cui c’è questa presenza di Dio nel nostro cielo e il nostro cielo è la mente, è l’intelletto.

Nei nostri pensieri c’è questa presenza di Dio, data a noi indipendentemente da noi e quindi superiore a noi, trascendente noi che s’impone su di noi, per cui nessun uomo lo può ignorare.

Conoscerlo è un altra cosa.

Perché per conoscerlo bisogna essere dentro.

Però nessuno, dentro e fuori può ignorare la presenza di Dio.

L’uomo esperimenta, vede e tocca il “non Dio”, la solitudine.

L’uomo esperimenta, vede e tocca di essere solo.

L’uomo esperimenta vede e tocca che Lui porta dei problemi ma a questi problemi nessuno risponde.

Dio tace, Dio è lontano, nei cieli lontanissimi, siamo noi che dobbiamo dar da fare...ecco l’uomo esperimenta questo.

Però c’è questa lotta tra ciò che l’uomo esperimenta e ciò che porta nella sua anima e che non può cancellare.

L’uomo è vero che esperimenta il non Dio ma l’uomo porta nella sua anima, nella sua mente, nei suoi pensieri Dio.

E allora c’è questo conflitto tra l’annuncio di Dio che è dato a lui senza di lui, quindi superiore a lui, che porta nella sua anima, nella sua mente e quello che invece l’uomo esperimenta.

Ed è lo scandalo.

Noi portiamo in noi Dio e noi esperimentiamo il non Dio.

Noi portiamo in noi questo pensiero del nostro creatore che ci conosce, che è presente, che parla con noi eppure noi esperimentiamo che Dio non parla con noi, che Dio non risponde, che Dio è assente, che Dio ci ignora.

Ecco, questa è la lotta di Giacobbe.

È la lotta tra ciò che l’uomo esperimenta e ciò che l’uomo porta nella sua anima, nei suoi pensieri.

La lotta tra l’umano e il divino.

Però abbiamo detto che c’è un altra lotta ed è la lotta di San Michele.

Quindi abbiamo una lotta in terra e una lotta in cielo.

La prima lotta è “c’è qualcuno?”.

Uno o nessuno?

C’è o non c’è?

Uno non lo posso ignorare, però esperimento il nessuno.

E allora abbiamo il conflitto: c’è o non c’è?

È la lotta in terra dell’uomo.

Ma superata questa lotta che si conclude con: “Dimmi il tuo nome”.

Il bisogno di identificare, ha lottato, è stato ferito Giacobbe.

A questo punto Giacobbe ha capito che non c’è “nessuno”, c’è qualcuno.

E avendo trovato che c’è qualcuno, il problema è questo: “Dimmi il tuo nome”.       

L’angelo si rifiuta di dire il nome: “Perché mi chiedi il nome?”,

Abbiamo visto l’ultima domenica che non è Dio che dice a noi il suo nome.

Dio opera tutto affinché siamo noi stessi a dire il Suo Nome.

Lo dobbiamo dire noi il suo Nome.

Perché il giorno in cui Lui dicesse a noi il suo Nome, senza di noi, ce lo imporrebbe e ci metterebbe nell’inferno.

Quindi se Dio non dice a noi il suo nome ma opera tutto affinché siamo noi a dire a Lui il suo Nome, è perché ci vuole liberare dall’inferno.

Questa è la prima lotta, poi c’è l’altra grande lotta, la lotta di San Michele.

“Chi è come Dio?”.

Individuato che c’è qualcuno, chi è questo qualcuno?

E chi ci assicura che questo qualcuno qui è Dio?

Questa lotta avviene nel cielo, non più sulla terra.

Sulla terra la lotta, il conflitto è fra ciò che l’uomo esperimenta, sente vede tocca e quello che porta nel suo spirito.

Qui invece la lotta è nel suo spirito, ecco perché la lotta è nel cielo e la lotta è con l’angelo Michele: “Chi è come Dio?”.

Per capire questo dobbiamo approfondire, perché qui si arriva soltanto con la parola di Dio.

Sant Agostino nel libro De magistro, chiede a suo figlio Adeodato perché si parla.

E Adeodato dice che si parla per due motivi: per insegnare o per imparare.

E Agostino gli chiede perché si parla per imparare, per imparare bisogna tacere.

Adeodato dà una risposta che stupisce Agostino che dichiarerà di essere stupito dell’intelligenza del figlio.

“Si può forse imparare se non s’interroga?”.

E allora perché gli uomini parlano?

Parlano per insegnare o parlano per interrogare.

Ma se andiamo più a fondo cosa vuol dire interrogare se non insegnare l’intenzione che uno porta dentro di sé?

Cioè l’intenzione di imparare qualche cosa.

Ecco s’interroga per insegnare l’intenzione che uno ha.

L’intenzione di conoscere.

Allora perché si parla?

Il motivo è uno solo.

Si parla per insegnare.

Cioè si parla per comunicare a un altro la propria intenzione.

Anche dove esperimentiamo l’assenza e il vuoto di Dio, anche qui c’è una parola di Dio per noi.

Ed è una parola che vuole comunicare a noi l’intenzione di Dio.

E la sua intenzione è farci entrare nel luogo in cui le cose sono dette chiaramente.

Abbiamo qui la parola di Dio che ci illumina, che ci fa capire.

La parola è comunicazione d’intenzione.

Abbiamo detto che il concetto di “nessuno” è un concetto relativo all’uomo, non è un concetto assoluto quindi non deriva da Dio.

Il concetto di “nessuno” è parola di Dio per noi ma per noi che abbiamo dimenticato Dio.

Per noi che non abbiamo messo Dio prima di tutto.

E Dio che non ci abbandona neppure quando non abbiamo messo Lui prima di tutto (giustizia), Dio parla a noi il nessuno, la solitudine, il non comprenderci, il no farci sentire pensati, è parola di Dio in un nostro pensiero deviato da Dio, è Dio che ci conosce lì, è una parola di Dio.

Abbiamo visto che si parla per comunicare una intenzione.

Dio ci comunica una sua intenzione, là, dove noi abbiamo trascurato Lui.

Là, dove noi abbiamo messo il pensiero del nostro io o il pensiero delle creature, prima di Dio.

E Dio parla in questo nostro errore.

E parla in questo modo.

E la sua intenzione è quella di comunicarci il luogo in cui Lui parla chiaramente.

Questi giudei dicevano: “Diccelo chiaramente”.

E  Gesù lo dice chiaramente ma sotto il portico di Salomone.

Là, dove la conoscenza di Dio è messa al di sopra di tutto.

Solo lì.

Quindi Dio parla chiaramente là, dove noi abbiamo messo l’interesse per conoscere Lui al di sopra di tutto.

Parla per comunicarci la sua intenzione: farci entrare in quel luogo in cui Lui parla chiaramente.

In un modo o nell’altro, se noi guardiamo le cose dal punto di vista di Dio, noi capiamo che non è vero quello che noi esperimentiamo, capiamo che non è vera la nostra solitudine, che non è vero che Dio abita nei cieli lontani, che non è vero che Dio sia assente, che non è vero che Dio non ci parli e non ci parli personalmente.

Tanto personalmente che Dio parla anche nel nostro errore.

Dio non c’ignora nel nostro errore.

Noi ci siamo chiesti se c’è qualcuno.

Sì, c’è qualcuno.

E chi è questo qualcuno?

Questo qualcuno è il creatore.

È il creatore che s’impone a noi ma, in quanto s’impone, non dà a noi la possibilità di conoscerlo.

È proprio la presenza di Dio che c’impedisce di vedere la presenza di Dio.

Anche le rivelazioni di Dio, le visioni di Dio o del divino, non sono vere visioni di Dio o del divino.

Sono segni di Dio ma non sono visioni di Dio.

Dio non si trova attraverso visioni o esperienze.

Tutto quello che esperimentiamo non è Dio, sono segni di Dio ma non è Dio.

E fintanto che noi ci accontentiamo di visioni o di esperienze del divino, edificando la nostra vita su quello, noi certamente non arriviamo a Dio.

A Dio non si arriva attraverso esperienze, intuizioni, sentimenti o visioni di Dio.

Dio è Verità.

Alla Verità non si arriva attraverso la visione della Verità, né attraverso l’esperienza della Verità.

A Dio si arriva attraverso la comprensione della Verità.

Attraverso la conoscenza della Verità.

Dio quindi si annuncia a noi, si dà a noi prima di noi e nessuno di noi può ignorare Dio, lo porta dentro di sé, è la presenza di Dio in noi indipendentemente da noi.

Però questo non ci salva, questo ci dà la possibilità di capire la parola di Dio.

Ma noi dobbiamo passare attraverso queste due grandi lotte.

La prima lotta è il superamento dell’esperienza nel pensiero del nostro io che Dio sia assente, che Dio non ci sia, che Dio non parli personalmente con noi, che Dio c’ignori.

Lì noi abbiamo il passaggio dal “nessuno nella mia vita” a “qualcuno c’è nella mia vita”.

E poi ci attende la seconda lotta, che è soltanto nel campo del pensiero, in cui “Chi è questo qualcuno?”, “Chi è come Dio?”

E qui entriamo nel problema della identificazione di Dio.

Dio s’identifica soltanto per mezzo di Dio.

Dio è l’unico essere che è Se stesso.

Dio è singolarità assoluta.

Lui solo è.

Singolarità assoluta, quindi principio di ogni individuazione e di ogni identificazione.

E quando dico principio di identificazione, vuol dire che per poco che noi ci scostiamo da Lui (singolarità suprema) noi cadiamo nell’ambiguità, nella confusione.

Dio solo è Se stesso.

Per poco che noi ci scostiamo da Dio, nessuno di noi è se stesso.

Anche gli angeli scostate da Dio si caratterizzano in questo: non sono se stessi.

Dio solo è Se stesso.

Il che vuol dire che Dio solo è il principio di ogni identificazione.

Anche dell’identificazione di Se stesso.

Per cui soltanto con Dio e per mezzo di Dio, noi possiamo identificare Dio.

Ma soltanto con Dio e per mezzo di Dio, noi possiamo identificare tutte le creature.

Perché senza Dio tutte le creature cadono nell’ambiguità, nella confusione, nell’anonimità.

Senza paternità.

Senza nome.

Soltanto Dio è il principio di noi stessi.

E se Dio è il principio di noi stessi, soltanto se noi mettiamo Dio principio e guardiamo dal punto di vista di Dio, soltanto da Dio, noi possiamo ricevere quella convinzione del Dio che è presente in noi che parla con noi, che ci conosce e che risponde a tutti i nostri problemi.

È lì che noi facciamo il passaggio dal “c’è qualcuno” a “questo qualcuno è Dio.

Ma noi possiamo giungere a questa convinzione, soltanto in quanto partiamo da Dio: Dio è il principio della sua presenza in noi.

Dio è presente in noi indipendentemente da noi ma questo non è sufficiente, questo ci dà la possibilità di capire, però non è sufficiente.

Perché la presenza di Dio in noi senza di noi, c’impedisce d’ignorare Dio ma non ci dà la possibilità di conoscere Dio.

Sopratutto non ci dà la possibilità di trovare Dio.

Perché fintanto che noi abbiamo presente Dio, noi non possiamo trovare Dio.

Anche la presenza di Dio ci viene da Dio.

Per cui è assolutamente necessario che noi, portiamo quella stessa presenza di Dio che portiamo in noi, indipendentemente da noi, a Dio principio, a Dio creatore, per riceverla da Lui, perché anche Lui è principio della sua presenza.

E soltanto se noi partecipiamo da questa discendenza da Dio di tutto, anche della sua presenza, soltanto lì, noi entriamo nella conoscenza, quella conoscenza che convince e lì è quella conoscenza che ci salva.


GV 10 VS 25 - Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me.


Secondo tema - La lotta dell'Arcangelo S.Michele in Cielo.


Argomenti: La battaglia di Giacobbe. Dio-assenza di Dio. L’assenza è un predicato della presenza di Dio. L’esperienza del niente. La vera colpa dell’uomo. Il nome di Dio. La ferita di Dio all’uomo. L’attrazione per Dio. Parola e intenzione. L’intenzione è singolarità. Credere è guardare dal punto di vista di Dio. Il cielo e la terra nell’uomo. La lotta dei prima di tutto.


 

4-5/ Agosto/ 1991


Oggi dobbiamo fermarci sulla seconda parte di questo versetto: “Voi non credete”.

Abbiamo accennato che nella vita dell’uomo ci sono due grandi battaglie.

La scrittura ce le presenta sotto forma di parabola con la lotta di Giacobbe contro l’angelo di Dio e la battaglia dell’arcangelo San Michele nel cielo.

La prima battaglia la troviamo all’inizio della bibbia, nel libro della Genesi.

Capitolo 32, versetto 23.

La seconda la troviamo invece alla fine della bibbia, nell’Apocalisse.

Al capitolo 12 versetto 7.

Non è per caso che la prima la troviamo all’inizio e la seconda la troviamo alla fine.

In mezzo c’è tutto.

Possiamo dire che tutta la nostra vita è inclusa tra queste due grandi lotte.

La prima di Giacobbe che abbiamo visto domenica scorsa, rappresenta la lotta che deve sostenere ogni uomo tra il Dio creatore che porta nella mente, nell’intelletto e  che non può ignorare e l’esperienza dell’assenza di Dio che invece l’uomo fa nel mondo esteriore e che non può ignorare.

Per cui l’uomo si trova in mezzo a questo conflitto fra due cose che non può ignorare.

- Dio: nessun uomo lo può ignorare, perché nessun uomo è il creatore dell’universo.

- L’assenza di Dio: l’uomo non vede, non tocca, non esperimenta Dio.

Questi due termini che l’uomo non può ignorare e che non può sopportare, perché l’uomo per la passione d’assoluto, non può sopportare la contraddizione.

E allora c’è la lotta, il conflitto.

La lotta di Giacobbe con l’angelo.

La lotta è agonia.

E nella lotta si cerca di sottomettere uno all’altro.

Si tratta di sottomettere o l’assenza di Dio a Dio, o di sottomettere Dio all’assenza di Dio.

I termini estremi sono: esiste la realtà che vediamo e tocchiamo e allora Dio non esiste, oppure esiste Dio e allora questa realtà che vediamo e tocchiamo (assenza di Dio) cosa significa?

La conclusione della lotta in Giacobbe fu questa: Giacobbe chiede il nome: “Chi sei?”.

Cioè cosa scopre?

Giacobbe scopre che non è vero che nessuno parla con noi, non è vero quindi quello che noi vediamo, tocchiamo ed esperimentiamo, non è vera l’assenza di Dio, è vero che c’è qualcuno che parla con noi.

L’ha scoperto lottando contro.

E lottando contro Giacobbe è stato ferito.

Anche noi in questa lotta, tutti noi, quando lottiamo restiamo feriti.

La ferita vuol dire che si è segnati.

Segnati da qualcuno.

E se si è segnati da qualcuno, questo “qualcuno” c’è.

Il conflitto è: nessuno-qualcuno.

C’è nessuno che parla con noi o c’è qualcuno che parla con noi?

L’esperienza ci dice: “Nessuno parla con te, tu uomo sei solo”.

L‘intelletto ci dice: “Qualcuno parla con te, tu uomo non sei solo”.

Attraverso la lotta, l’uomo scopre: “Qualcuno parla con me”.

Però ferito in questo modo, resta il problema: “Chi è questo qualcuno?”.

E qui c’è l’apertura all’altra grande lotta che avverrà nell’Apocalisse, alla fine della vita, alla grande conclusione, nel cielo di Dio ed è quella che dobbiamo vedere questa sera.

Il tema di oggi è la lotta dell’arcangelo Michele nel cielo.

Ho detto che l’uomo ferito da questa lotta nel quale Dio stesso lo mette, poiché Dio è il creatore.

Quindi Dio creando l’uomo, introduce l’uomo in questo universo in cui Dio non si vede, non si tocca, non si esperimenta.

Anzi, si vede, si tocca e si esperimenta ben altro.

Non si vede il regno di Dio.

La parola stessa di Gesù dice: “Non aspettatevi di vedere il regno di Dio nelle cose esteriori, il regno di Dio è dentro di voi”.

Quindi la parola di Dio lo dice in modo aperto, chiaro.

Quindi è inutile fare sogni, illusioni o tante chiacchiere.

Il regno di Dio non sta nel “fare”, non sta nel realizzare nel mondo esterno il regno di Dio.

Assolutamente no.

Il regno di Dio c’è già.

Tutto e regno di Dio.

È Dio che regna.

E l’esperienza del silenzio, dell’assenza di Dio, è regno di Dio, con uno scopo ben preciso.

È Dio che ci fa esperimentare il suo silenzio, è Dio che non risponde.

L’assenza è una testimonianza di presenza.

Dio che non risponde è una testimonianza del Dio che parla.

L’assenza di Dio è un predicato a noi della presenza di Dio.

Il silenzio di Dio, è un predicato a noi della parola di Dio.

Perché noi certamente non faremmo esperienza della assenza di Dio, se non avessimo presente Dio.

Il che vuol dire che l’assenza è un problema relativo, non è un problema assoluto.

Non esiste l’assenza, come non esiste il niente.

Non esiste il vuoto.

Non esiste il silenzio.

Esiste la parola di Dio.

Questo è l’assoluto, esiste Dio e la sua parola.

Invece l’assenza, il silenzio, il vuoto, il nulla che l’uomo esperimenta sono relativi.

Ogni uomo esperimenta il niente, perché la parola stessa di Dio dice: “Senza di me fate niente”.

E la parola di Dio si realizza: “passeranno i cieli e la terra e le mie parole non passeranno”, il che vuol dire che ogni uomo a un certo momento se le troverà davanti queste parole e se tra le parole di Dio c’è: “Senza di me fate niente”, vuol dire che l’uomo esperimenta questo niente.

L’uomo tocca con mano questo niente, tocca cioè con mano il silenzio di Dio, il vuoto, il niente della vita e il niente di tutte le cose.

Però tutto questo è relativo, cioè è una conseguenza di un pensiero dell’uomo che non tiene presente Dio.

E allora è Dio che parla ancora all’uomo in questo errare dell’uomo.

Perché l’uomo dovrebbe mettere Dio prima di tutto.

Già nell’antico testamento era scritto: “Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze, con tutta la tua vita, con tutto te stesso”.

Quando si dice di amare il Signore, non vuol dire fare del sentimento col Signore, non vuol dire dire al Signore: “Io ti amo”.

Amare vuol dire cercare la conoscenza dell’essere amato.

Amare vuol dire cercare la presenza dell’essere amato.

Quindi vuol dire impegnare la propria mente.

Si ama veramente quando uno si impegna a pensare.

Quando invece l’uomo non tiene conto di Dio, (non soltanto), quando l’uomo non mette Dio al di sopra di tutto, qui adesso abbiamo dei dati (opera di Dio) che diventano relativi a questo errore dell’uomo.

L’uomo può non tenere conto di Dio.

L’uomo può avere come punto fisso di riferimento altro da Dio.

L’uomo può vivere per altro da Dio.

L’uomo può pensare a se stesso, anziché pensare Dio.

Ed è un errore, una colpa, un peccato.

È il vero errore, il vero peccato dell’uomo.

La colpa sta nel pensare alla creatura anziché al creatore.

Quando si pensa si preferisce.

La colpa sta nel preferire la creatura al creatore.

E qui si stabiliscono allora dei concetti relativi.

Siccome Dio regna in tutto, anche nell’inferno, Dio regna anche sull’uomo che non tiene conto di Dio.

Dio regna anche sull’uomo che non mette Dio prima di tutto.

E cosa vuol dire regnare?

Vuol dire che Dio dimostra apertamente la sua verità, a colui che non lo pensa.

A colui che pensa ad altro, a colui che riferisce tutto ad altro.

E come la dimostra?

Dimostra la sua verità con la sua assenza.

Con il far toccare con mano all’uomo il niente, il vuoto, il Suo silenzio.

Questa è una predicazione di Dio nell’uomo che è in errore.

Per cui l’universo con tutte le sue manifestazioni, è una predicazione di Dio nel pensiero dell’uomo e quindi è relativo all’uomo.

L’universo è relativo all’uomo.

Ma è predicazione di Dio nella relatività dell’uomo.

L’uomo è un essere stranissimo: non può ignorare Dio eppure lo trascura e vive per altro da Dio ed esperimenta l’assenza, il silenzio di Dio.

L’uomo che non può ignorare Dio esperimenta che Dio non c’è.

E qui si apre un ansia, un angoscia, perché l’uomo non può sopportare questa conflittualità.

L’uomo può sopportare tutto ma non la contraddizione.

E questa contraddizione è Dio che la fa subire all’uomo.

Perché tutto è opera di Dio.

Dio regna sull’uomo.

È questa contraddizione che introduce l’uomo nella lotta di Giacobbe.

La lotta contro l’annuncio di Dio.

Contro ciò che l’uomo non può dimenticare di Dio.

E l’uomo tende a cancellare questo Dio, perché si trova con una realtà che è diversa da Dio.

La conclusione è che vince Dio e l’uomo scopre che nonostante tutta la sua esperienza di solitudine nel mondo, l’uomo, ferito da questa lotta confessa e riconosce che c’è qualcuno che sta parlando con lui, c’è qualcuno che si sta opponendo a lui: “Chi sei? Dimmi il tuo nome”.

E la sorpresa è questa che il nome non gli viene detto.

Perché la lotta è tutt’altro che finita.

L’uomo ferito è un uomo che comincia ad essere attratto.

Attratto da Colui che l’ha ferito: “Dimmi il tuo nome”.

E quando uno è attratto la prima cosa che chiede è “Come ti chiami?”.

Già questo è segno che l’uomo Giacobbe (che è in ognuno di noi), ferito da questa lotta incomincia ad interessarsi di questo “Qualcuno”, cercando di identificare questo qualcuno.

L’angelo risponde: “Perché mi chiedi il nome?”.

E questo ci fa capire, come abbiamo detto la volta scorsa che non è Dio che dice chi è all’uomo ma Dio opera ogni cosa per far dire all’uomo chi è Dio.

È l’uomo che deve dire chi è Dio, è lui che ha lottato e deve dire chi è Colui contro il quale ha lottato, che deve dire chi è Colui che l’ha ferito.

Il primo nome è questo: “Tu sei Colui che mi ha ferito”.

E se c’è uno che porta una grande ferita è l’uomo.

L’uomo è un essere crocifisso.

Crocifisso da Dio.

Ferito da Dio.

L’uomo porta questa piaga aperta.

L’uomo è mendicante di Luce, appunto perché è ferito dalla Luce.

L’uomo porta un sogno immenso, un sogno di vita eterna, è ferito dalla vita eterna.

La più grande sciocchezza che possa fare l’uomo è quella di vivere per le cose del mondo, per le cose del mondo.

Gesù dice: “Non raccogliete tesori in terra, raccogliete tesori in cielo”.

E qui l’uomo è con le spalle al muro perché non capisce assolutamente cosa vuol dire raccogliere tesori in cielo.

L’uomo è un essere che perde sangue da questa ferita.

Perde la vita da questa ferita.

Ferita che ha ricevuto da questa lotta.

Però l’uomo ferito è un essere attratto.

Ha lottato ed è rimasto attratto da Colui che lo ha ferito.

E quando è attratto, a questo punto qui l’uomo comincia ad essere attento.

La prima interrogazione è segno del primo amore, del primo interessamento: “Come ti chiami?”.

Vuol dire che ormai l’uomo è sensibilizzato, ferito è entrato nell’amore.

Ha interesse, è attratto.

L’uomo che è attratto da Dio è un uomo che adesso è aperto, attento alle parole di Dio.

Prima le parole di Dio non gli dicevano proprio niente,  tutt’al più erano consolatorie.

Quando piangeva perché gli affari gli andavano male, trovava consolazione nelle parole di Dio.

“Dio permette”.

Qui invece siamo in un campo molto diverso.

Qui adesso l’uomo è terribilmente affamato di parole di Dio, perché sono parole dell’essere amato, dell’essere che l’ha ferito, che riguardano lui.

La volta scorsa parlando delle parole, ci siamo chiesti perché l’uomo parla e perché Dio parla e abbiamo visto che si parla per manifestare una intenzione.

La parola di Dio è manifestazione dell’intenzione di Dio.

L’uomo ferito è attento alle parole, perché è nelle parole dell’altro che lui comincia a scoprire l’intenzione dell’altro.

Ora, l’intenzione di uno, è caratteristica singolare dell’uno stesso.

Ognuno si conosce nella sua intenzione ed è conoscendo l’intenzione di uno che si capisce tutto di quell’uno e tutte le cose che dice.

E Dio, attraverso le sue parole comunica a noi la sua intenzione.

L’uomo arriva all’intenzione che c’è nelle parole soltanto se è ferito.

Fintanto che non è ferito, lui sfrutta le parole del Cristo, le parole di Dio per farle servire alla sua intenzione ma certamente non arriva all’intenzione di Dio, nel modo più assoluto.

Per questo dico che i tempi dell’anima sono di Dio ed è perfettamente inutile arrabbiarsi se l’altro non capisce.

I tempi sono di Dio e fintanto che Dio non ferisce un anima, non l’attrae, quell’anima si trova nella impossibilità di capire che tutto è voluto da Dio, che Dio regna in tutto ed è nell’impossibilità sopratutto di capire l’intenzione, il fine di Dio.

Però quando un anima riceve la grazia di capire l’intenzione di Dio riceve un dono immenso.

Perché conoscendo l’intenzione, acquista la possibilità di guardare dal punto di vista di Dio.

Dio parla per comunicare all’uomo la sua intenzione, affinché l’uomo possa passare dal suo punto di vista, al punto di vista di Dio.

L’intenzione ho detto, è la singolarità di una persona.

L’intenzione di Dio è la singolarità di Dio.

Infatti il Figlio di Dio è unigenito.

L’intenzione di Dio, il pensiero di Dio è unigenito.

Singolare.

Se la comunica, dà all’uomo la possibilità all’uomo di passare dal suo punto di vista, al punto di vista di Dio, al cielo di Dio.

La tristezza è qui dove Gesù dice: “Io parlo con voi e voi non credete”.

Qui ci fa capire cosa vuol dire credere.

Se nella parola di Dio c’è la comunicazione dell’intenzione di Dio e se l’intenzione di Dio vuol dire dare all’uomo la possibilità di guardare dal punto di vista di Dio, credere alla parola di Dio vuol dire impegnarsi a pensare dal punto di vista di Dio.

Chi non s’impegna a guardare le cose dal punto di vista di Dio, a pensare dal punto di vista di Dio, non entra nella fede, non crede: “Voi non credete”.

Guardare dal punto di vista di Dio che è la conclusione della fede è mettere Dio al di sopra di tutto.

E qui ci apriamo al tema di questa sera: la lotta di Michele nel cielo di Dio.

L’altra lotta che attende ogni uomo, perché tutto quello che è scritto, è scritto per l’uomo, il che vuol dire che parla di fatti che avvengono nell’uomo.

C’è la lotta in terra e c’è la lotta in cielo.

Due lotte che aspettano ogni uomo.

Cosa vuol dire cielo?

Ogni uomo ha un suo cielo.

Perché Dio creando l’uomo ha creato il cielo e la terra.

Il cielo e la terra sono creati nell’uomo.

Ogni uomo è fatto di cielo e di terra.

Anche qui sono parole, perché quando parliamo di cielo e terra nell’uomo cosa significano?

Ogni cosa ha un anima e bisogna sempre arrivare all’anima, per capirci qualche cosa, altrimenti facciamo solo del rumore, anche se parliamo di Dio da mattina a sera.

Ogni uomo ha un suo cielo.

Il cielo è il luogo in cui tutte le cose sono riferite a un punto unico.

La terra invece è il magazzino, il luogo in cui tutte le cose sono lì, offerte, non c’è una centralità.

Nella terra le cose sono offerte all’uomo, è un magazzino.

L’uomo può comperare quello che vuole, cioè l’uomo può avere tanti punti di vista diversi, punti fissi di riferimento: tutto va bene.

Nel cielo no.

C’è il cielo di Dio in cui tutto è riferito a Dio, il che vuol dire che Dio è il punto fisso di riferimento.

Ma c’è un cielo nell’uomo in cui tutte le cose nell’uomo sono riferite ad un punto fisso.

E quale è questo punto fisso?

È ciò che l’uomo mette prima di tutto.

Ogni uomo ha un suo cielo.

Ogni uomo ha un suo prima di tutto.

Generalmente il prima di tutto dell’uomo è la salute, la famiglia, il lavoro, ciò in cui giustifica tutto, a cui sottomette tutto.

“Io ho il lavoro non posso venire”.

“Io ho i buoi, i campi, la moglie, non posso venire”.

Prima di tutto i buoi, i campi, la moglie, tutto il resto sta sotto, anche Dio.

Questo è il cielo di ogni uomo.

È ciò che l’uomo mette prima di tutto.

Questo è il cielo dell’uomo.

Il cielo di Dio invece è il luogo in cui prima di tutto c’è Dio.

E tutte le cose sono riferite a Dio.

Non si entra nel cielo di Dio se non si riferisce tutto a Dio.

Dio è il centro del suo cielo e lì c’è perfetta Luce, perfetta conoscenza.

Ora cosa succede? Succede che il prima di tutto dell’uomo, cioè il cielo dell’uomo, non coincide con il cielo di Dio.

Succede che il prima di tutto che l’uomo mette nella sua vita, non coincide con il prima di tutto che c’è nel cielo di Dio.

Ma il cielo di Dio è la verità.

E qui abbiamo la seconda lotta.

La seconda battaglia.

Perché quando ci sono due cose l’uomo per la passione d’assoluto non le sopporta.

Prima c’era la lotta di Giacobbe tra “c’è qualcuno che parla o non c’è nessuno?”

E abbiamo visto la conclusione: qualcuno c’è.

Adesso abbiamo la seconda lotta.

E la seconda lotta avviene tra i prima di tutto.

Questi sono passaggi necessari perché l’uomo sta andando verso l’identificazione di Dio.

Come nella prima lotta Giacobbe a un certo momento è stato sensibilizzato, è stato ferito, per cui ha cercato il nome di colui che lo aveva ferito.

Ogni uomo è chiamato a dire chi è questo qualcuno perché fintanto che arriva a dire chi è questo qualcuno non entra certamente nel cielo di Dio.

Non c’è chiesa, santo o autorità che possa sostituire l’uomo, l’uomo è chiamato a dire personalmente chi è Dio.

Perché altrimenti non entra nel cielo di Dio.

Nel cielo di Dio tutti sanno perfettamente chi è Dio perché Dio è il punto fisso di riferimento.

Dio è il prima di tutto, è il centro di tutto per coloro che sono nel cielo.

E fintanto che in noi c’è un prima di tutto diverso da Dio, il nostro cielo è altro dal cielo di Dio, è un cielo diverso.

Ma qui abbiamo Michele, abbiamo gli annunci di Dio.

Come per Giacobbe ci fu un angelo, così anche nel cielo di ogni uomo c’è questo angelo di Dio che mette in crisi tutti, con una parola sola: “Chi è come Dio?”.

Tu metti prima di tutto il lavoro, il guadagno, la salute, i buoi, i campi, la moglie o il pensiero del tuo io ma...”Chi è come Dio?”.

Su tutte le cose che noi mettiamo prima di tutto, c’è questo arcangelo Michele che è un fuoco (che tutto purificherà) che dice: “Chi è come Dio?”.

Lo dice ad ogni uomo e lì crolla tutto.

Di fronte a questa parola chi può paragonare cose relative all’assoluto?

Chi può sostenere questo confronto?

La battaglia di Michele nel cielo di ogni uomo.

Questa battaglia è tra ciò che ogni uomo mette prima di tutto e ciò che deve mettere prima di tutto.

Come la battaglia di Giacobbe fu tra ciò che l’uomo esperimenta nel mondo e ciò che porta nella sua mente: Dio, così la battaglia nel cielo di ogni uomo dell’arcangelo Michele è la battaglia tra ciò che ogni uomo mette prima di tutto, a cui subordina tutto e ciò che invece deve mettere prima di tutto.

Basta quel: “Chi è come Dio?” per renderti evidente quello che devi mettere prima di tutto.

È la condizione essenziale per entrare nel cielo di Dio, per potere dire quello che ognuno di noi deve dire: chi è Dio.


La grande ferita che porta l’uomo è l’uccisione di Dio, l’uomo esperimenta la morte di Dio ed è questa la grande ferita che l’uomo porta dentro di sé.

Il velo è determinato dal prima di tutto che portiamo dentro di noi.


GV 10 VS 25 - Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me.


Terzo tema – Il disvelamento di Colui che parla con noi.


Argomenti: I dubbi su Dio e Cristo. Dentro e fuori del regno di Dio. Le vergini stolte. Dio prima di tutto. L’assoluto nel pensiero dell’uomo. Le contraddizioni. La lotta tra sentimento e intelletto. Il dubbio sgretola la volontà. La lotta di Giacobbe e la lotta di Michele. Dio singolarità assoluta. L’intelligenza è relativa al prima di tutto. Le giustificazioni del mondo e di Dio. L’intelligenza delle cose di Dio. L’uomo è un cercatore di Dio. Perdere l’anima. Il silenzio e la morte di Dio. L’opera di Dio: affermare Se stesso. La ferita dell’uomo. Il principio d’identificazione. Dio principio e fine. Avere Dio come principio. L’opera del Figlio è la Luce. Il Padre afferma e il Figlio dimostra.


 

11-12 Agosto/1991


Intanto notiamo subito che avevano chiesto a Gesù: “Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”.

E qui Gesù dice: “Le opere che Io faccio in nome del Padre mio”, ecco una parola aperta.

Gli avevano chiesto se fosse il Cristo e Lui apertamente dice: “Le opere che Io faccio nel nome del Padre mio”.

Evidentemente è il Figlio che parla.

E lo dichiara apertamente.

Lo dichiara a parola, aveva detto prima: “Io parlo con voi”.

Ma non sono queste parole aperte che possono convincere.

Di fronte a queste parole aperte, gli uomini possono dire che è un pazzo, un indemoniato.

E allora dobbiamo chiederci il significato di questo parlare di Gesù.

Per arrivare a quel ”apertamente” che tutti gli uomini invocano.

Perché tutti gli uomini stanno cercando un criterio di verità, una base di giudizio, una certezza.

Perché tutti quanti sono nel dubbio: “Dio c’è e parla con noi o è una fantasia nostra?”.

“Cristo è veramente Figlio di Dio o un uomo con una sapienza straordinaria?”.

Chi libererà gli uomini da questi dubbi?

Chi dà a loro la certezza?

Ecco la vera invocazione dell’uomo.

E non bastano tutte le parole degli uomini e di Dio a sciogliere questi dubbi.

Quando Gesù dice: “Le opere che faccio in nome del Padre mio”, sono solo parole.

E non bastano le parole per convincere gli uomini.

L’uomo ha un anima che si nutre di Verità e si lascia convincere (cum-vincere: legare assieme) circa Dio, non dalle parole ma dalla Verità.

Gesù stesso dice ancora adesso: “Finora vi ho parlato in parabole” e anche questo: “Le opere che faccio in nome del Padre mio”, è ancora un parlare in parabole.

E le parabole non convincono.

Come non convincono i miracoli.

Quello che convince è la Verità.

Ma per trovare la Verità è necessario essere dentro abbiamo detto.

Perché gli uomini si distinguono in due grandi categorie: uomini dentro e uomini fuori e questo è Gesù stesso che lo dice.

“A tutti quelli che sono fuori, Io parlo in parabole affinché non capiscano”.

La Verità viene predicata, annunciata, affermata, dichiarata apertamente in tutto l’universo, perché Dio solo è Colui che parla in tutto.

Pero Gesù dice: “A tutti quelli che sono fuori, Io parlo in parabole affinché non capiscano”.

Ecco le parole che non convincono.

La parabola annuncia la Verità, però non convince, lascia il dubbio.

E invece dice: “A voi che siete dentro è dato conoscere i misteri del regno di Dio”.

E ci siamo chiesti cosa è che ci fa essere fuori e cosa è che ci fa essere dentro?

Ripetiamo sempre la parabola delle vergini stolte che restano chiuse fuori.

Eppure avevano la fede e allora non basta avere la fede per essere dentro.

Erano vergini, avevano lasciato tutto il loro mondo poiché andavano incontro allo sposo ma questo non fu sufficiente.

Allora non è sufficiente per entrare essere vergini, aver lasciato tutto e andare incontro allo Sposo.

E ci chiediamo allora, cosa è che fa entrare?

È qui evidente che la stoltezza non lascia entrare.

Ma allora dobbiamo chiederci cosa è la stoltezza.

Cosa vuol dire essere stolti?

Perché quelle che entrarono furono le vergini intelligenti, dice Gesù.

Le vergini che si erano fatte la provvista di olio, segno d’intelligenza.

La stoltezza è fermarci ai sentimenti, all’apparenza delle cose.

È fermarci a un gruppo, a una istituzione, a una regola.

È il non cercare di vedere le cose dal punto di vista di Dio.

Dio solo è la nostra intelligenza.

Soltanto coloro che mettono Dio prima di tutto, questi entrano.

È il mettere Dio prima di tutto che fa essere dentro.

Il che vuol dire che fintanto che noi non mettiamo Dio prima di tutto, noi siamo fuori.

E se siamo fuori tutto viene detto a noi in parabole.

In quelle parabole che ci lasciano nel dubbio, nell’incertezza, che non possono convincere la nostra anima, perché la nostra anima è fatta per la Verità.

Quindi la premessa per potere arrivare a trovare quell’elemento che convince, che lega la nostra anima in modo indissolubile alla Verità, è questo mettere Dio al di sopra di tutto, prima di tutto.

Altrimenti la verità ci viene annunciata ma non può essere da noi capita.

Soltanto coloro che sono dentro.

E allora abbiamo visto come per ogni uomo ci siano due grandi lotte da affrontare.

Il vivere secondo i sentimenti rende l’uomo stolto e c’è la lotta tra i sentimenti (ciò che si esperimenta) e quello che non si può cancellare dalla sua mente, il pensiero dell’assoluto, del Dio Creatore, quello che l’uomo non può cancellare dai suoi pensieri, dal suo cielo.

Abbiamo detto che ogni uomo è fatto di cielo e di terra.

E nel cielo c’è questo pensiero di Dio che nessun uomo può ignorare, questo pensiero dell’assoluto, dell’infinito, dell’eterno.

Questo Pensiero è tanto presente che ogni uomo, tutto ciò che vede, il tempo, il passare delle cose e la loro relatività, la grande insoddisfazione, lo vede sotto l’angolatura dell’eterno, dell’infinito, dell’assoluto.

Se l’uomo vede il finito, è perché ha presente l’infinito.

Se l’uomo vede il tempo è perché ha presente l’eterno.

Se l’uomo non avesse presente l’eterno, non vedrebbe assolutamente il tempo.

Se l’uomo vede le cose che passano, è perché ha presente ciò che non passa.

L’infinito, l’eterno e l’assoluto è questo pensiero di Dio che l’uomo porta nel suo cielo, porta tra i suoi pensieri, porta nella sua mente, che non può ignorare ma che non sa che cosa sia.

Non lo può ignorare perché è dato a lui indipendentemente da lui e tutto quello che è dato a noi indipendentemente da noi, noi non possiamo ignorarlo ma non possiamo conoscerlo.

La prima grande lotta che l’uomo deve affrontare è questo conflitto che è una contraddizione.

Tutto il mondo dell’uomo è pieno di contraddizioni ma è proprio la contraddizione che mette in movimento l’uomo.

L’uomo esperimenta, un mondo in cui Dio è assente.

Nessuno ha mai visto la Verità passeggiare per le strade del mondo.

L’uomo non vede e non tocca la verità, però non la può smentire, perché la porta tra i suoi pensieri.

E allora c’è questa prima lotta perché l’uomo non sopporta la contraddizione.

Non la sopporta perché l’uomo è passione d’assoluto quindi passione di unità.

Per cui nel vedere che tutto è soggetto al tempo e portando in sé l’eterno, l’uomo sente la contraddizione.

E da questo il dubbio, perché nella contraddizione c’è lo sgretolamento delle sicurezze.

C’è lo sgretolamento della mente e dell’anima e di conseguenza anche lo sgretolamento di tutte le facoltà dell’uomo.

Dove c’è il dubbio anche l’intelligenza e la volontà crollano e l’uomo diventa incapace di volere qualcosa ma incapace perché si trova di fronte ad un dubbio.

Le paralisi che colpiscono la nostra mente e la nostra anima, sono determinate dai dubbi.

La prima lotta è questa: esiste la realtà che esperimentiamo o esiste ciò che portiamo nell’intelletto?

La realtà è quella che tocchiamo con i nostri sensi, quindi con i nostri sentimenti, è quella che ci testimoniano i sensi, oppure la realtà è quella testimoniata dallo spirito, dal pensiero?

L’abbiamo sintetizzata nella lotta di Giacobbe.

L’uomo è costretto a lottare perché non sopporta la contraddizione e in questa lotta, l’uomo resta ferito.

C’è qualche cosa nello spirito, l’uomo non sa cosa ma c’è qualche cosa.

C’è qualcuno che parla con lui.

L’uomo da questa lotta esce con questa ferita.

C’è qualcuno che parla con me e non so chi sia.

E poi abbiamo visto la seconda lotta che avviene unicamente nel cielo dell’uomo, che è il cielo di Dio.

Questa lotta la scrittura ce la presenta sotto l’aspetto dell’arcangelo Michele.

Michele che lotta, affermando: “Chi è come Dio?”.

La prima lotta avviene tra il mondo esterno e il nostro mondo interno e si conclude con questa ferita: qualcuno c’è, ma chi è?

La seconda lotta invece è tutta all’interno, nel campo dei pensieri.

Quindi la realtà non è quella del sentimento, la realtà non è quella del mondo esterno.

La realtà è dentro di noi.

Ma chi? Cos’è?

E allora abbiamo detto che qui è la lotta dell’angelo Michele che di fronte a tutto quello che mettiamo prima di tutto nella nostra vita (mangiare, vestire, l’io, doveri, regole) , Michele dice: “Chi è come Dio?”.

Di fronte ai nostri punti fissi di riferimento c’è questo angelo terribile che ci dice: “Chi è come Dio?”.

E ci fa crollare tutto, perché i buoi, i campi e la moglie non possono essere come Dio.

E le istituzioni non possono essere come Dio.

E le trappe non possono essere come Dio.

E non c’è niente che possa essere come Dio.

E allora chi è come Dio?

Questa seconda lotta si concretizza in un conflitto tra ciò che noi mettiamo come punto fisso di riferimento, prima di tutto e ciò che noi dobbiamo mettere prima di tutto

Questo conflitto è sostenuto dall’arcangelo Michele, cioè da questo annuncio di Dio che arriva ad ogni uomo perché ogni uomo lo porta dentro di sé nel suo cielo: “Chi è come Dio?” e ti fa crollare tutto e determina la fine del mondo.

Perché nessuno di fronte a questa interrogazione: “Chi è come Dio?”, nessuno potrà mai sostenere che qualcosa o qualcuno è come Dio.

Nessuno è come Dio.

Dio è la singolarità assoluta.

Dio è se stesso, nessuna creatura è se stessa.

Dio solo è se stesso.

Singolarità assoluta, per cui è conoscibile solo in se stesso.

Tutte le creature, angeli, uomini, animali ci parlano di Dio, ci annunciano Dio e nessuno lo può smentire ma nessuno può farci conoscere Dio.

Perché Dio essendo singolarità assoluta, unico, può essere conosciuto soltanto per mezzo di Se stesso.

Dio è conoscibile solo in Se Stesso.

E se Dio non si rivela, non parla a noi, nessuna creatura ce lo può far conoscere.

Ecco per cui è assolutamente necessario il superamento di questi due conflitti, di queste due lotte.

Prima di tutto il superamento del mondo, perché certamente la Verità non abita nel mondo esterno.

Ma poi dentro di noi, il superamento della grande seconda lotta che è la più difficile, perché dobbiamo capire quello che dobbiamo mettere prima di tutto.

Perché soltanto mettendo Dio prima di tutto, come punto fisso di riferimento, lì abbiamo l’intelligenza.

Ogni uomo ha l’intelligenza di ciò che mette prima di tutto.

Perché ciò che mette prima di tutto, in lui diventa un punto di riferimento.

Quindi un punto di giustificazione, di giustificazione fintanto che può giustificare.

In un primo tempo uno dice: “Io ho i buoi, i campi, la moglie, abbimi giustificato”.

E apparentemente nel mondo lui troverà sempre nel mondo, qualcuno che lo giustifica e lui si sentirà confortato dalle ragioni del mondo.

Tanti uomini hanno bisogno di narrare agli altri le proprie cose per trovare qualcuno che gli dia ragione.

Gli uomini non cercano la giustificazione presso Dio.

Basterebbe alzare gli occhi a Dio giustificandosi con i buoi, i campi e la moglie, per vedere il sorrisetto di Dio che non ti giustifica.

Ma gli uomini vanno a cercare chi giustifica ciò, di cui loro non sono convinti.

Hanno bisogno di trovare qualcuno che li giustifichi, perché loro nella loro coscienza sanno che non sono giustificati.

Ognuno ha l’intelligenza di ciò che mette prima di tutto.

E soltanto se noi mettiamo Dio prima di tutto come punto fisso di riferimento in noi, noi lì abbiamo l’intelligenza per capire le parole di Dio.

Noi lì siamo dentro, altrimenti siamo fuori.

Altrimenti tutte le parole e le opere di Dio arrivano a noi ma sono tutte fraintese, perché non abbiamo l’intelligenza per capirle.

Le opere di Dio, sono intellegibili, soltanto con l’intelligenza di Dio.

Recano a noi un infinito e l’infinito può essere intelletto solo con l’infinito.

Colui che è Uno, può essere intelletto soltanto da colui che è uno.

E fintanto che noi siamo molteplici e dispersi, ce lo sognamo lontanamente di arrivare a conoscere la Verità, di arrivare a conoscere Dio.

Ecco per cui non troviamo mai nulla che ci convinca.

Perché per essere convinti bisogna essere dentro.

Dio si conosce soltanto per mezzo di Dio.

L’infinito si conosce solo per mezzo dell’infinito.

Ciò che è eterno si trova solo per mezzo dell’eterno.

Se tu sei pieno di cose che passano, soggette al tempo, puoi sognartelo di conoscere ciò che è eterno.

Sono fantasie tue.

Tu puoi fantasticare da mattina a sera di trovare l’eternità ma non troverai mai l’eterno.

E lo stesso per l’infinito.

Non si giunge all’infinito partendo dal finito, è assurdo, non si passerà mai dal finito all’infinito.

L’infinito si trova solo per mezzo dell’infinito, l’eterno per mezzo dell’eterno, l’assoluto solo per mezzo dell’assoluto e Dio si trova soltanto per mezzo di Dio.

E qui abbiamo Dio creatore che opera in quello che noi mettiamo prima di tutto.

Ed è proprio per l’opera creatrice di Dio, che noi tocchiamo con mano l’assenza di Dio, il silenzio di Dio, il vuoto di Dio.

Tutti gli uomini sono dei terribili cercatori di Dio.

Sbagliano luogo però sono tutti dei terribili cercatori di Dio.

Se fossimo capaci di vedere tutti coloro che stanno correndo per il mondo in questi giorni di vacanza e l’interrogaste, risponderebbero che stanno cercando l’assoluto, l’eterno, l’infinito, Dio.

Non vedono, non capiscono, non si rendono conto, ma stanno cercando l’assoluto, stanno cercando Dio.

Tutti quanti.

Chiedetegli dove corrono? Dove vanno?

Stanno andando tutti a cercare Dio ma non lo sanno.

Sono come uomini che cercano mele sui larici.

L’errore tremendo che fanno gli uomini è che cercano Dio, là, dove Dio non può esserci.

E consumano tutta la loro vita, tutto il loro tempo, tutte le loro risorse in niente.

E la bibbia ha questa parola terribile di Dio che dice a tutti gli uomini: “Perché sprecate le vostre ricchezze (tempo-pensiero) in cose che valgono niente?”.

E sono millenni che vengono ripetute queste parole.

Perché sprecate il vostro tempo, la vostra mente, i vostri pensieri, le vostre risorse in cose che valgono niente e che vi lasciano con niente.

E Gesù che dice: “A che vale correre per tutto il mondo, cercando di conoscerlo o di possederlo, se tu perdi l’anima?”.

Se tu perdi la conoscenza di Dio?

A che vale tutto questo.

E ti mette in evidenza, l’unica cosa necessaria.

L’unico impegno, l’unico scopo per cui sei stato creato e per cui devi vivere.

Tu uomo sei stato creato per conoscere Dio, per cercare e per conoscere Dio, vivi per questo!

Se non vuoi sprecare la tua vita in niente.

Perché a un certo momento, tutti gli uomini confessano di essere vissuti per niente.

Non gli è rimasto niente.

E lo sentiamo ripetere in continuazione.

Ecco la stoltezza, ecco quello che fa restare l’uomo fuori.

E gli impedisce di entrare là, dove i misteri di Dio è dato conoscere.

Dio creatore, non fa altro che parlare e affermare Se stesso.

Lui solo è e in tutto ciò che opera e in tutto ciò che fa, Lui non fa altro che predicare Se stesso, la sua Verità.

Lui l’annuncia in tutto.

E se l’uomo ha come punto fisso di riferimento altro da Dio, Dio  afferma la sua Verità in questo “altro da Dio” .

La meraviglia di Dio sta in questo: Lui che è l’assoluto, il presente, il vivente, attraverso la sua opera creatrice, ci fa toccare con mano che Lui è assente, non parla, non risponde alle nostre invocazioni e alla nostra ricerca.

Lui ci fa toccare con mano che Lui è morto e noi vivi.

Dio attraverso la sua opera creatrice, trova il modo di farci toccare con mano, il suo silenzio, la sua assenza, il suo vuoto, la sua morte.

È parola di Dio per noi, per far capire a noi l’errore in cui noi ci troviamo, quando noi mettiamo prima di tutto, altro da Lui.

Ecco per cui dico che è essenziale questa lotta interna tra i nostri pensieri, per convincerci che dobbiamo mettere come punto fisso di riferimento in noi, al di sopra di tutto Dio.

Per cui tutti i nostri giudizi, le nostre parole devono sempre essere riferite a questo punto fisso di riferimento: Dio.

Lui solo è.

Non avere altro Dio, cioè non avere altro punto fisso di riferimento.

Questo deve essere il nostro criterio per ogni scelta e ogni giudizio.

E fintanto che tu hai altro prima di tutto, Dio opererà sempre per farti toccare con mano che Lui lì non si manifesta.

Lui lì non si fa conoscere.Per cui ti fa toccare con mano la sua assenza, il suo silenzio, la sua morte, non risponde.

Ma questo è per comunicarti che hai fatto un errore, che Lui parla, rivela la sua presenza, si fa trovare, si fa conoscere soltanto nel suo pensiero.

Cioè soltanto in quel pensiero in cui Lui è messo al di sopra di tutto.

Ora, solo Colui che è tutto, può farci toccare con mano la vanità del tutto, l’inutilità del tutto.

Questa è opera creatrice di Dio che s’impone su di noi.

Lui ci fa toccare il niente di tutto ciò che non è Dio, mettiamoci anche tutti quei valori più sacri, ce li annulla tutti e ci fa toccare con mano che tutto è niente.

Soltanto Colui che è tutto per noi, può fare toccare con mano a noi il niente, il nulla di tutto il resto.

E Dio è questo.

Questo è Dio creatore.

Dio creatore in quanto afferma, manifesta, predica la sua verità, su ciò che per noi è vero.

Su ciò che per noi è il punto fisso di riferimento.

“Le opere che io faccio in nome del Padre mio, mi rendono testimonianza”.

Questa è l’opera di Dio creatore e Dio creatore non può fare altro che predicare, manifestare, affermare Se stesso.

Lui solo è.

E lo predica su ciò che noi abbiamo presente.

Però qui in quanto dice “Padre” afferma due persone.

Se si parla di Padre, si parla di Figlio.

“Le opere che faccio nel nome del Padre”.

Cosa vuol dirci?

E dice che queste gli rendono testimonianza.

Il tema di questa sera è il disvelamento di Colui che parla con noi.

Abbiamo dovuto premettere le lotte di Giacobbe e di Michele, perché questa è la condizione per arrivare a capire chi è Colui che parla con noi.

Attraverso la prima lotta, si è giunti a capire che c’è qualcuno che parla con noi.

Che ci sia qualcuno non lo possiamo smentire, perché l’uomo è ferito da questo “qualcuno” e quando l’uomo porta una ferita aperta, ne deduce che qualcuno gliela ha fatta quella ferita.

L’uomo che lotta con Dio porta una ferita, conseguenza di questa lotta, ma proprio questa ferita gli denuncia che c’è qualcuno.

Qualcuno che l’ha ferito.

E quando l’uomo è ferito inizia a interessarsi a colui che lo ha ferito.

E infatti Giacobbe dice:”Dimmi il tuo nome”.

Quando si chiede il nome è perché si è attratti.

Però il nome non gli viene detto.

Perché c’è un altro cammino da fare che sta nella lotta da fare nel cielo, nei pensieri.

C’è ancora una lotta da sostenere.

Ed è quella in cui si deve mettere Dio al di sopra di tutto: “Chi è come Dio?”.

Perché soltanto mettendo Dio al di sopra di tutto, come punto fisso di riferimento, soltanto lì si ha l’intelligenza per capire chi è.

Prima si diceva “c’è uno che parla”.

Ma chi è quest’uno e chi mi farà capire chi è?

Chi mi farà identificare chi è Colui che parla?

Per potere identificare qualcuno bisogna sempre averlo già dentro di noi, altrimenti non possiamo identificarlo.

Ecco la tragedia della stoltezza, dell’uomo che vive senza interiorizzare Dio.

Perché a un certo momento di troverà di fronte a Dio e non avrà la possibilità di identificarlo.

Perché il principio d’identificazione è quello che uno porta dentro di sé.

Se l’uomo non ha disegnato il volto di Dio dentro di sé, non potrà mai identificare Dio.

Per l’eternità.

Si troverà di fronte a tutti i segni di Dio, a tutte le opere di Dio, a tutti i volti di Dio e non potrà identificarlo.

Noi identifichiamo una persona in quanto l’abbiamo dentro di noi e nella misura in cui l’abbiamo dentro di noi.

Quindi nella misura in cui abbiamo conosciuto personalmente, interiorizzato una persona noi avremo la possibilità di identificarla, il criterio per identificarla.

Tutto è segno e questo vale anche per Dio.

Nella misura in cui noi avremo anticipato, interiorizzato il volto di Dio dentro di noi, noi avremo la capacità di identificarlo.

Ecco che scopriamo che la conoscenza di Dio non è un fatto di libri, di cultura ma è un fatto essenzialmente personale.

È un fatto essenzialmente di pensiero e di pensiero personale.

Ognuno lo potrà identificare per quello che l’avrà scritto dentro di sé.

Per quello che l’avrà conosciuto personalmente.

Solo tenendo presente proprio questo “prima di tutto” in noi, questo volto di Dio posto al di sopra di tutto, questo invito a disegnare dentro di noi questo “volto che ci darà poi la capacità di identificare chi è Dio.

L’arcangelo Michele, bombardandoci con quel “Chi è come Dio?” c’invita a definire dentro di noi questo assoluto, questo infinito, questo eterno, questo volto di Dio che portiamo dentro di noi.

Soltanto qui noi abbiamo adesso la possibilità di capire cosa vogliono dire queste parole di Gesù: “Le opere che Io faccio nel nome del Padre mio”.

Nel pensiero del nostro io, le opere generalmente sono quelle che si fanno nel mondo esterno (agire, fare) ma non è questo.

Non sono queste le opere di Dio.

Agire e fare nel nome del Padre, nel nome di qualcuno, vuol dire essere motivati da-.

Fare le opere in nome del Padre, vuol dire essere motivati dal Padre.

E cosa vuol dire essere motivati dal Padre?

Vuol dire avere il Padre come principio.

Dio è il principio e il fine e Lui lo dichiara apertamente.

Ma Dio è il nostro principio?

Dio è il nostro fine?

Dio è principio sopratutto dei nostri pensieri?

Dio è il punto fisso di riferimento?

E Dio è il fine a cui tendiamo attraverso tutti i nostri pensieri?

Dio è il principio del nostro parlare?

È Dio che muove il nostro parlare?

È Lui che muove il nostro agire?

È Lui che muove la nostra vita o è altro?

Quale è il movente del nostro pensare, del nostro parlare, del nostro vivere?

Lì vediamo se Dio, il vero movente, il vero principio s’identifica con il nostro movente.

E fintanto che le due cose non s’identificano, noi siamo nei pasticci.

Perché quello che convince è questa identità di principi.

Fintanto che colui che ci fa giudicare, scegliere le cose non è il vero valore, non è il principio di tutte le cose, noi veniamo a trovarci nel dubbio, nell’incertezza, di fronte a tutte cose che non ci convincono.

Qui Gesù dice: “Le opere che Io faccio nel nome del Padre”, cioè motivate dal Padre: è la caratteristica del Figlio.

E quali sono queste opere motivate dal Padre?

Il Figlio si caratterizza nell’essere figlio e se è figlio si caratterizza in questo che ha il Padre come padre del suo pensare.

Noi siamo figli di Dio in quanto Dio è padre, quindi principio dei nostri pensieri, del nostro parlare, del nostro vivere.

Altrimenti Dio non è padre.

Non basta che noi diciamo da mattina a sera: “padre nostro”.

Sono parole.

E le parole non convincono nessuno.

Noi diciamo in realtà “padre”, in quanto Dio è in noi, il principio, l’anima del nostro pensare.

Quello che ci fa pensare, parlare, giudicare.

Alla luce di Lui tutte le cose dobbiamo osservarle, giudicarle e valorizzarle.

Dio è nostro padre, se Lui è il principio della nostra vita.

Altrimenti no.

Altrimenti noi diciamo delle parole.

E sono queste parole che ci confondono.

Perché da una parte noi non possiamo smentire Dio, dall’altra noi diciamo parole che sono vuote di significato perché noi abbiamo altro come padre.

Gesù stesso dice: “Voi avete altro come padre”.

Ci fa capire che ognuno ha come padre il proprio io e il proprio io è un demonio quando è disunito da Dio.

“Le opere che io faccio nel nome del padre mio”: motivato da Dio.

E si è motivati da Dio in quanto uno accoglie tutto da Dio e riporta tutto a Dio.

L’opera del Figlio di Dio (“Questa mi rende testimonianza”) è la luce che Lui reca alla nostra anima.

Il Padre opera la verità in ciò che noi abbiamo messo prima di tutto, ma operando la verità ci fa toccare la Sua assenza, il Suo vuoto, il Suo niente, la Sua assenza per noi, perché Dio è conoscibile soltanto nel suo pensiero.

Il Figlio invece è Colui che dimostra a noi l’opera del Padre.

Ecco per cui dico che l’opera del Figlio è la Luce.

È la Luce con cui illumina l’anima.

Rendere testimonianza vuol dire dimostrare.

Il Figlio di Dio dimostra.

Il Padre non dimostra, afferma, crea.

La creazione di Dio s’impone.

Noi assistiamo alla creazione di Dio.

Le cose s’impongono e tutte le cose che s’impongono, noi non possiamo capirle.

Le subiamo ma non possiamo capirle.

L’opera creatrice di Dio s’impone, ecco per cui noi esperimentiamo l’assenza di Dio.

IL giorno in cui Dio s’imponesse noi siamo nell’inferno e nell’inferno costatiamo l’assenza di Dio senza poterne toccare la presenza.

Perché anche nell’inferno si è perfettamente convinti che Dio è presente, però ne esperimentiamo l’assenza.

E tanti già su questa terra stanno esperimentando quest’assenza di Dio, perché nessuno può annullare Dio o convincersi che Dio sia assente.

Tutti sanno e non lo possono smentire che Dio è presente e tutti costatano l’assenza di Dio.

È il grande conflitto, la contraddizione che ogni uomo porta dentro di sé.

Ma dice: “Le opere che Io faccio mi rendono testimonianza”, ecco il Figlio di Dio.

Il Figlio di Dio dimostra ma dimostra a chi?

Dimostra a coloro che lo ascoltano.

Per questo dico che le opere del Figlio di Dio sono la luce.

La luce convince.

IL Figlio dimostra, convince.

Il Figlio di Dio dimostra che l’assenza di Dio che gli uomini esperimentano e che è opera creatrice di Dio, è un predicato di Dio, un predicato della verità di Dio.

Il Figlio di Dio dimostra che il tempo che gli uomini subiscono è un predicato dell’eternità di Dio, ed è Dio che afferma la sua eternità.

Dimostra che la relatività di tutte le cose, è un predicato dell’assoluto di Dio, è questo che il Figlio di Dio dimostra.

Se noi troviamo uno spirito che collega i segni, le opere di Dio con Dio stesso, lì abbiamo il Figlio di Dio, lì abbiamo il Dio che parla con noi.

Ecco questa è la testimonianza di Dio tra noi.

Gli uomini dicono tante parole ma è l’unificare l’opera di Dio con Dio, è il dimostrare che tutto ciò che avviene, tutto ciò che accade, anche la morte di Dio, è significazione di Dio.

E chi dimostra questo è il Figlio di Dio.

È la testimonianza che il Figlio di Dio, dice chiaramente a tutti gli uomini che è Lui che parla con noi.

 

 


GV 10 VS 25 - Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me.


RIASSUNTI Domenica-Lunedì.


Argomenti: L’opera del Figlio. Il linguaggio terreno di Cristo. L’errore di luogo. Il parlare in parabole. Il prima di tutto. L’assenza è predicato di presenza. L’uomo resta ferito dall’uccisione di Dio. Parabole e parole sono segni che non convincono. Subire – capire l’opera del Padre. Ferita e attrazione. La ricerca dell’assoluto nel luogo sbagliato. L’altare della mente. Dimostrazione e contemplazione. La negatività di Dio. L’opera dello Spirito Santo.


 

18-19/Agosto/1991