Prologo Capitolo uno Vangelo di San
Giovanni
Titolo: La
funzione del Prologo.
Argomenti: Rinnegare noi stessi. Custodire le parole di Cristo. Gli interessi
diversi da Dio. Recuperare il Principio. Le
parole di Cristo purificano.
4/Gennaio/1976
Dall’esposizione di Luigi Bracco
(tratta
dagli appunti e dalla parte registrata).
(Appunti della parte non registrata): Dopo l’approfondimento dei singoli versetti
del Prologo, é utile ora dare uno sguardo generale su di esso, per averne una
visione d’insieme, al fine di coglierne l’anima e lo sviluppo del pensiero.
Il Prologo è una scena
grandiosa di tutta l’opera di Dio per
noi e del nostro cammino verso di Lui. Ne è una sintesi stupenda: in esso
troviamo tutto, per cui il Prologo rappresenta il fondamento, la base su cui
dobbiamo appoggiare la nostra vita spirituale.
Infatti in esso troviamo:
·la segnalazione del Principio dell’uomo,
·lo smarrimento di questo Principio da parte
dell’uomo,
·l’opera di recupero da parte di Dio (la funzione di Giovanni Battista e
l’Incarnazione del Verbo),
·le condizioni per riconoscere il Verbo
Incarnato, il Cristo,
·le condizioni per abitare e camminare con il
Verbo Incarnato,
·le condizioni per giungere a vedere la
Gloria del Verbo (importanza di vederla e il “luogo” da cui si vede).
Nel Prologo sono dunque
indicate le grandi tappe della nostra vita con Dio:
·recupero del Principio: giustizia essenziale, scoperta della Luce
vera che è in ogni uomo,
·incontro e cammino con il Verbo incarnato, il
Cristo,
·contemplazione della sua Gloria.
“In principio era il
Verbo……”: Quello che nel Prologo ci è annunciato come “principio” dobbiamo
intenderlo come “principio” da recuperare, perché “…in Lui è la vita…”. Alla
radice del nostro essere c’è il Verbo che parla con noi in tutto. Noi siamo
costituiti da questo “Tu” in cui è la nostra vita.
Il Prologo ci insegna infatti il principio della vera
vita: “…in Lui era la Vita e la Vita era la luce degli uomini”; ci
invita quindi a recuperare in noi il Principio della vera vita che abbiamo
smarrito; recupero che si conclude nel: “Abbiamo visto la sua gloria”.
È necessario recuperare
il nostro Principio, perché attualmente la nostra vita è una morte crescente.
S. Paolo ci dice: “lontani dal Signore vi disperdete”. Nel Vangelo di s.
Luca, nel Benedictus, è detto: “Dio viene a visitare coloro che giacciono
nelle tenebre e nell’ombra della morte” (Lc 1,78-79). Infatti viviamo
sotto l’ossessione della vita che se ne va e non nell’amore della ”Vita che
viene”. Finché uno teme la malattia e la morte, non vive.
La vera vita è conoscenza
di Dio, perché la vita sta nella Luce (“…la vita era la luce degli uomini”). Dalla
conoscenza ci viene la vita, la libertà, la pace, ecc.
Per questo Dio ci
annuncia: “In principio era il Verbo…, in Lui era la Vita”.
“L’uomo vive di ogni
parola che procede dalla bocca di Dio” (Mt 4,4): già in questa affermazione, che è parola di
Dio, possiamo capire il Principio che abbiamo smarrito. Se recuperiamo quel
Principio, cioè se incominciamo a vivere nella Parola di Dio e ci
preoccupiamo di non staccarci da essa, concluderemo anche noi nel vedere la
Gloria.
Quindi se abbiamo
veramente accolto in noi questo Principio, escluderemo tutto ciò che non è
Parola di Dio, dicendo: “non mi interessa, sono storie”.
La vera vita sta nella
Parola di Dio: nel Verbo di Dio che ci parla in tutto, questo è il Principio; ma questo recupero del Principio non viene
mai automaticamente; viene solo con la partecipazione nostra. Finché non
aderiamo personalmente, il Principio ci viene solo annunciato, ma rimane fuori
di noi.
Dio opera per recuperarci
al Principio smarrito, e tutta quest’opera di recupero è sintetizzata nel
messaggio di Giovanni Battista,
il cui battesimo di giustizia è la condizione per scoprire la “Luce
vera che illumina ogni uomo”, il Verbo interiore, e quindi per
incontrare il Cristo, il Verbo fatto carne.
Giovanni Battista
rappresenta la coscienza dell’umanità. È l’uomo giusto che parla: “…Chi viene
dopo di me…” (Gv 1,27). Inteso esteriormente il “dopo” indica tempo; inteso
spiritualmente significa “Colui che viene dopo che io mi sono superato”.
Il “dopo” di
Giovanni rappresenta il “dopo” di ogni uomo che si è superato; quindi, questo
“dopo” può anche non esserci, perché nessuno ci obbliga a superare noi stessi.
Questo “viene” è la scoperta di questo “dopo”.
Infatti Gesù dirà: “Nessuno
può venire a Me se non rinnega se stesso” (cf Mt 16,24). La parola rimane incarnata
fuori di me se non la vivo.
(Parte registrata): Il
Maestro interiore parla indipendentemente da noi (attraverso la voce della
coscienza, ecc.) e ci dice le stesse cose che ci dice il Cristo esterno, quando
mettiamo Dio al centro. È questa sintonia tra il Cristo esterno e il Verbo
interiore che ci convince e ci fa accogliere il Cristo.
Ma la condizione è
mettere Dio al centro e questo richiede
un superamento di noi stessi: è la giustizia prima.
Quindi superarci, rinnegare noi
stessi, vuol dire innanzitutto fare la giustizia di Giovanni
Battista, mettendo Dio al centro e vuol dire ancora non fermarci a ciò che
arriva a noi come impressione, come sentito dire, ma andare oltre.
Rinnegare se stessi non
vuol quindi dire prendersi a schiaffi o flagellarsi, perché così facendo non
risolviamo niente, ma vuol dire non fermarci al pensiero del nostro io e andare
oltre. Perché se mettiamo il nostro io come centro riceviamo le cose secondo il
piacere che provocano o le rifiutiamo per il dispiacere o fastidio che recano e
ci fermiamo lì. Invece bisogna andare oltre: anche se una cosa ti piace, non
fermarti, e non dare una risposta affrettata, ma cerca se piace al Signore. Ed
è così che vai oltre.
Quindi, questo andare
oltre vuol dire non fermarci al nostro io, ma cercare la giustificazione in
Dio, cioè che cosa ne pensa Dio, che cosa dice Dio di ciò che ci ha fatto
arrivare.
Questo rinnegare noi
stessi richiede una fatica, perché è superamento. Però questo superamento non vuol nemmeno dire “faccio
tutto quello che non mi piace”, perché se anche noi facessimo tutto quello che
non ci piace, in realtà non rinnegheremmo noi stessi, perché si può arrivare ad
amare anche quello che non piace, e lì c’è ancora il proprio io.
È vero che ci sono delle
regole ascetiche che dicono: “fa’ tutto quello che non ti piace e quella è la
volontà di Dio”, ma questo è sbagliato, perché se uno prende come regola:
“faccio tutto quello che non mi piace”, ad un certo momento gli piace quello
che non gli piace, cioè è la contestazione per la contestazione. E c’è ancora
il nostro io lì in mezzo. Nel sadismo c’è ancora il nostro io, nel flagellarci
c’è ancora il nostro io, al punto da provare gusto nel flagellarci. Il
superamento non sta lì.
Dobbiamo arrivare a
quella maturità tale da non voler fare niente se non lo vediamo gradito a Dio. Cioè bisogna fare solo ciò che Dio vuole che
noi facciamo, e non dire: “io debbo fare questo e adesso cerco se Dio lo
vuole”. No! Questo sarebbe voler mettere l’etichetta (“Dio lo vuole”) ad una
decisione presa da noi. No, non bisogna muoverci affatto e fare solo ciò che
Dio dice, per cui è doveroso cercare la sua Volontà.
Ma c’è questo: anche
se non ci muoviamo, arrivano tante cose: notizie, richieste, informazioni.
Ecco, queste cose che arrivano a noi, non dobbiamo fermarle al nostro io e
dire: “che seccatura, è arrivato questo”, ma con pazienza, anche se
apparentemente è una seccatura, dobbiamo cercare la ragione in Dio di ciò che
ci arriva.
Ora, siccome Dio non è
mai il nostro io, la sua Volontà non è mai la nostra volontà e il suo Pensiero
non è mai il nostro pensiero, se noi facciamo questa fatica di andare
oltre il pensiero del nostro io per cercare la ragione di ogni fatto in Dio
(cioè per cercare di vedere, con l’aiuto della parola del Verbo incarnato,
Cristo, ogni fatto nello Spirito di Dio), l’avvenimento si modifica molto,
cioè si vede in modo molto diverso da come si era presentato a me e
soprattutto modifichiamo noi interiormente, perché è così che camminiamo
verso Dio. Rinnegare se stessi è infatti la condizione richiesta per
seguire Cristo in tutte le tappe della sua vita: Morte, Risurrezione,
Ascensione, fino alla nostra Pentecoste, cioè fino alla contemplazione della
Gloria del Verbo.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Eligio: Abbiamo sempre la possibilità di scoprire il
senso degli avvenimenti rapportandoli a Dio? Oppure delle volte ci si può
illudere di ritenere pensiero di Dio ciò che magari sottilmente può essere
invece un nostro pensiero?
Luigi: Certo, può capitare. Sono sempre possibili le
illusioni. Noi per principio dobbiamo sempre ritenerci dalla parte dell’errore
e dire: “Posso sbagliare”. Per cui, ritenendo sempre di poter sbagliare,
dobbiamo diventare un’interrogazione continua nei confronti del Signore.
Allora anche se abbiamo dato una nostra interpretazione, se ci teniamo dalla
parte del torto, nella consapevolezza di poter sbagliare, ci manteniamo aperti,
quindi disponibili a essere corretti, poiché Dio sta dialogando con noi. Dio ci
osserva personalmente, e Lui vede se stiamo prendendo una cantonata; se così è,
allora opera nell’ambiente per correggerci. Ma questo solo se siamo aperti.
Se invece ci irrigidiamo
su ciò che crediamo di aver capito, c’è chiusura, non disponibilità a essere corretti;
e qualunque cosa ci venga di contrasto, la rifiutiamo e diciamo: “…perché io ho
ragione”.
Non dobbiamo irrigidirci nemmeno nella volontà di Dio; per cui, anche
se abbiamo visto una cosa in Dio, dobbiamo stare attenti, perché Dio,
siccome ci supera continuamente, e ci supererà sempre, opera
continuamente per modificare un tantino anche quella conoscenza che abbiamo
avuto da Lui, perché la conoscenza di Dio è una conoscenza continua,
progressiva, e Lui la migliora solo se noi siamo aperti. Essere aperti vuol poi
dire non irrigidirsi.
Dio vede la tua buona
fede, quindi non ti condanna in caso di errore; infatti se sei in buona fede,
sei aperto alle correzioni. E non soltanto alle correzioni che ti vengono
dall’interno, ma anche a quelle che ti vengono dall’esterno.
Tu non puoi prendere a
calci niente e nessuno, appunto perché in tutto c’è la mano di Dio: “Togliti
i calzari, perché la terra su cui stai è terra sacra” (Es 3,5).
Allora se noi abbiamo la
coscienza che tutto è sacro, che tutto è parola di Dio, ogni avvenimento che ci
arriva cerchiamo di riferirlo a Dio e di capirlo in Lui; questo è
l’atteggiamento giusto in cui uno cerca onestamente, in coscienza, di vedere
qual è lo Spirito di Dio in ciò che Dio gli presenta. Per cui lo classifica
secondo Dio: lo accoglie se lo aiuta o
lo scarta se gli è di disturbo.
Però ci deve essere
sempre in noi questa apertura: “Mi posso anche sbagliare, posso anche dare
un’interpretazione soggettiva, Dio può anche pensare in modo diverso, ecc.”; per
cui se ci arriva un fatto contrario, non
dobbiamo escluderlo solo perché contrario al giudizio che abbiamo fatto,
perché è sempre Dio che ce lo manda, quindi va anche questo capito in Dio.
Se uno è attento a Dio
non si accontenta soltanto di una frase di Gesù, ma va avanti cercando di
penetrare tutte le parole di Gesù. Quindi medita sulle parole semplici, ma medita anche sulle parole
difficili, sapendo che le deve penetrare tutte.
Ora, la preoccupazione di
doverle penetrare tutte è quella che ci porta poi dopo a quella famosa
“gloria” di cui abbiamo già tanto parlato e che è poi la conclusione di
tutto il cammino tracciato dal Prologo e che Dio vuole far percorrere ad ognuno
di noi.
Le parole del Signore
sono la nostra strada chilometrata che ci conduce alla meta. Però queste parole
vanno tutte raccolte, perché ci fanno camminare nella misura in cui noi le
penetriamo e le capiamo. Ma nella misura in cui noi le trascuriamo…ci fermiamo.
Ecco, in quanto io trascuro un argomento resto bloccato, resto fermo,
non vado più avanti: avendo trascurato un tratto di strada, quel tratto di
strada mi impedisce ormai di proseguire.
Eligio: Ma se non comprendiamo le parole del Signore
pur desiderando di capirle, che atteggiamento dobbiamo avere?
Luigi: Noi le dobbiamo
custodire in attesa di arrivare a capirle, come faceva la Madonna: “Meditava
e custodiva tutto ciò che riguardava suo Figlio, anche se non capiva” (Lc
2,19.51); perché chi veramente ha amore per una persona, ricorda di quella
persona anche ciò che non capisce. Poi, magari dopo una settimana o un mese la
cosa s’illumina: “Ah, ho capito, voleva dire quello….!”.
Ora, noi queste cose le
esperimentiamo: quando una persona ci sta veramente a cuore, diciamo: “Chissà
cosa vorrà dire con quella parola”; poi dopo, magari dopo averla meditata,
arriva un’altra parola che illumina la prima.
Quindi anche con Dio: se
noi conserviamo le parole nel nostro cuore, queste saranno illuminate da parole
successive. Ma tutto dipende da questo “timore”, cioè da questa attenzione
riverenziale che dobbiamo avere nei confronti di Cristo, perché è Lui il
Maestro che parla; e in quanto il Maestro parla a noi, noi allievi dobbiamo
essere molto scrupolosi nel meditare e custodire.
L'altra sera si diceva che,
frequentando l’Università della Terza età, una signora molte cose le scrive senza ancora capirle. Proprio
perché non capisce prende degli appunti. Ma perché questo? Perché ha interesse
e ha la speranza di giungere a capire. Ecco, noi dobbiamo fare altrettanto
lavoro nei riguardi del Signore, se effettivamente ci stanno a cuore le sue
lezioni. E anche se non le capiamo, dobbiamo rimanere in attesa di capirle,
mantenendole dentro, meditandole, pensandoci.
Questo lavoro va fatto
soprattutto con le parole che non capiamo; perché proprio in quanto non
le capiamo sono le più importanti. Infatti se non le capisco vuol dire
che queste parole sono ad un livello
superiore, e se sono ad un livello superiore mi sollecitano, quindi mi dicono:
“Guarda che devi salire più su”. Ora, il Signore non ci farebbe arrivare una
cosa che non capiamo se già non ci chiamasse a quel livello superiore. Se ci fa
arrivare una parola che non capiamo, vuol dire che già ci invita, che ci
sollecita a salire più in alto.
Eligio: Quindi io non posso dire: “Questa parola non
la capisco, quindi non me ne occupo”.
Luigi: Tu non la puoi accantonare, perché è il
Signore che ti chiama. Ti chiamerà da lontano, ma ti chiama. In quanto te la fa
giungere, vuol dire che ti chiama a una luce superiore, perché Dio è fedele.
Dio non inganna, e in quanto non inganna, se ti fa arrivare l’annuncio di
qualche cosa, vuole già comunicartelo, quindi ti chiama alla luce.
Ora, sapendo che sono
chiamato, anche se mi sento lontanissimo da quella voce o da quella altezza
alla quale Lui mi chiama, siccome però so che Lui mi chiama, allora presto
attenzione e subentra in me la preoccupazione di custodire e la speranza di
capire, perché in quanto Lui mi chiama, già mi dà Lui stesso la
possibilità, la grazia, se io sono fedele, di arrivare dove Lui vuole condurmi.
Eligio: Per poter riportare l’anima in quella
situazione ideale del “In principio era il Verbo…”, siccome ritrovo in
me una grande quantità di mondo che mi impedisce di vedere il Verbo che mi parla in tutto, l’opera che devo fare è quella di rimuovere
questo mondo?!
Luigi: È la penitenza di cui parla Giovanni
Battista. Non si tratta tanto di rimuovere materialmente, ma di rimuovere
soprattutto interiormente, dentro di noi, come giudizio. Per cui arriva un certo
momento in cui devo farmi, dentro di me, due classificazioni: “questo vale”
o “questa è una storia”.
Eligio: E già, perché tra le tenebre attuali e quell’“In
Principio…”, c’è il mondo che ho messo, che ho lasciato entrare in me.
Luigi: Si capisce! Comunque noi dobbiamo sapere
che la vera vita incomincia là. È un punto luminoso; sarà lontano, ma è là,
mi è annunciato; io devo recuperare quella posizione là, devo recuperare questo
“principio”. C’è un po’ di dislivello, ma a tutto quello che si frappone, adesso
devo avere il coraggio di dire: “Sono tutte storie”; ecco, è zavorra che devo
eliminare, perché debbo recuperare quello, in quanto so che la mia vita
incomincia da quel punto ben preciso: “In principio era il Verbo…” .
Eligio: La sintesi del Prologo è un po’ questa!?
Luigi: La sintesi del
Prologo è quella di darci, di annunciarci un Principio da recuperare, perché la
vita era lì. Ora, il Prologo è annunciato a dei morti, cioè a delle
persone che stanno esperimentando le tenebre, la morte, la confusione, il caos,
ecc. In sintesi dice: “Voi state esperimentando questa situazione di morte e di
tenebre perché la Vita era quella…, perché la Luce era quella…, perché la
liberazione era quella…”. Ecco, ce l’annuncia, e in quanto ce l’annuncia,
siccome Dio è fedele, già ci chiama. Quindi: “Se vuoi vivere, recupera il
Principio, perché il principio della tua vita sta lì, nel Verbo di Dio,
nella Parola di Dio; quindi non scostarti di lì”.
Ma nel momento in cui c’è
questa disponibilità di recuperare, sorge questo problema: “Ma io mi trovo in
un mondo che è tutt’altro che regno di Dio, io mi trovo con parole che sono
tutt’altro che parole del Signore”. È qui che tutto ciò che non è parola del
Signore lo devi scartare: se non è parola del Signore e tu sai che la vita è
nella parola del Signore, “butta a
mare”! Tutto quello che non è parola del Signore è tutto veleno. Quindi
butta tutto via in quanto ti avvelena la vita. Certo, tu non puoi chiudere
gli occhi, ma puoi chiudere la porta dell’anima. E come la chiudi? La
chiudi dicendo: “Sono tutte storie”, “A valu niante”, “Mi avvelenano,
non m’interessano”.
È importante fare questo
giudizio interiore, perché ciò che apre e ciò che chiude il nostro mondo
interiore è l’interesse per-.
Per cui, se io dico: “Quella cosa mi interessa”, già apro la mia anima e quella
cosa entra in me.
A questo punto dobbiamo
dire: “Il mio interesse è per il Verbo di Dio, perché mi è stato annunciato che
la Vita sta lì, la mia vita è lì”. Dicendo che il mio interesse è lì, chiudo la
mia anima ad ogni altro interesse. Ora, se io invece ritengo interessante
qualcos’altro che non sia il Verbo di Dio, praticamente preferisco le tenebre
alla Luce per cui aumentano le tenebre in me.
Fintanto che non mi
convinco che il vero mio interesse è il Verbo di Dio, e solo il Verbo di Dio
(quindi esclusi tutti gli altri verbi), niente da fare. Invece se mi convinco
che la sorgente della mia vita è nel Verbo di Dio, allora potrò concentrare il
mio interesse lì.
Concentrare l’interesse
vuol dire far fuori gli altri interessi; quindi incomincio a dire a tutte le cose che mi
giungono: “Questo non m’interessa, quest’altro non m’interessa, ecc.”, per cui
queste non entrano più. Perché le cose entrano in noi nella misura in cui
dentro di noi diciamo: “Questo m’interessa”. Ma se entrano, fanno poi da
padrone, e quando vogliamo metterle fuori casa non possiamo più.
E allora dici: “Ma come
mai non riesco a liberarmi?”. Ecco, non riesci a liberarti perché tu hai detto
a quella cosa: «Tu sei il mio padrone». La chiave di volta sta lì,
nell’interesse per-. La chiave di volta per poter ascoltare la voce del
Maestro interiore è quindi mettere Dio al centro.
Eligio: Ecco, bisogna allora mettere Dio al centro
per reintegrare questo stato del “In principio…”.
Luigi: Sì, perché l’annuncio del Principio è un
invito a recuperare il Principio.
Eligio: Ed è un fatto personale e interiore.
Luigi: È essenzialmente personale, perché senza di
noi non avviene.
Eligio: Quindi è dentro di me che devo ricostituire
questo “principio”.
Luigi: Certo, ma come lo ricostituisci? Siccome è
un problema di interesse, non c’è nessuno che te lo possa ricostituire.
Indubbiamente è un problema di amore, di passione. Ora, siccome è un
problema personale, diventa un problema interiore. Ecco come si interiorizza la
cosa!
Eligio: Delle volte ci sono dei problemi personali di
natura anche solo intellettuale, culturale; invece questi sono di natura
vitale, di natura essenziale. Ecco perché parlavo prima di quella
coessenzialità del Verbo con l’anima nostra.
Luigi: Sì, ma la coessenzialità si forma in noi non
senza di noi. Dio esiste indipendentemente da noi, per cui se tu lo rifiuti,
certamente esperimenterai la morte, perché Lui è la vita, e lo è sia che tu
dica: “Sì, Tu sei la mia vita”, sia che tu dica: “No, non ci credo”.
Quindi non è il nostro
credere o no che smobiliti Dio, perché la Verità è tale sia che noi diciamo: “È
così”, sia che noi diciamo: “Non è così”. Noi possiamo dire mille volte ad una
penna rossa che è nera, ma quella continua ad essere rossa. Ora, in un primo
momento Dio ci fa toccare con mano che la Verità è indipendente da noi; però
se io aderisco alla Verità, partecipo e divento coessenziale ad Essa; se io
invece non aderisco, mi metto fuori. Quindi siamo noi che ci mettiamo
fuori.
Eligio: Questa coessenzialità deve diventare come
una simbiosi...
Luigi: Certo, però la coessenzialità chiede a noi la
partecipazione, che è questo andare oltre il pensiero del nostro io. Avendo
presente il Principio, bisogna per forza rientrare in esso. L’annuncio del
Principio è per noi personalmente un Principio da recuperare, perché quello è
il principio della nostra vita spirituale. Però è un Principio che non entra
nella nostra vita se noi stessi, personalmente non lo mettiamo come principio...
Eligio: …e se non lo riteniamo valido.
Luigi: Cioè, se non lo
vediamo interessante, perché fintanto che non lo vediamo interessante,
“quello” non entra; però eternamente ci sarà annunciato: “Il Principio
era quello!”, anche se andassimo all’inferno. Per cui: “Come mai sono
all’inferno?” Perché il Principio era quello, e tu non l’hai accolto, non l’hai
fatto entrare come principio!
Trascurando il Principio
si hanno tutti problemi di non-principio, che sono tutti problemi successivi,
fasulli, perché “Il Principio era Quello…”. Per cui fintanto che tu non
metti il Principio come principio, non c’è niente che si risolva in te, perché
il Principio è Quello.
Ecco l’importanza di
recuperare il Principio!
Quindi se ci viene detto
che il principio della vita sta lì, vuol dire che il punto di partenza della
nostra vita è lì; e allora portiamoci lì se vogliamo incominciare a vivere.
E ce lo dirà un miliardo di volte. E anche se lo rifiutiamo, il Principio resta sempre là,
eternamente là. Il Signore dice: “Passeranno i cieli e la terra, ma le mie
parole non passeranno” (Mt 23,45). Per cui ci verrà detto: “Tu eri stato
informato: il principio della tua vita era là”, ed eternamente ci verrà
detto: “Il principio della tua vita era là”.
Eligio: Quindi è necessario riportarsi in quella
situazione di giustizia rappresentata dal Battista per poter recuperare il Principio?!
Luigi: Sì, perché accogliendo l’annuncio del
Principio poco per volta si arriverà all’ascolto del Verbo interiore, al sogno
della vita con Dio e quindi alla scoperta del Verbo Incarnato. Infatti si può
trovare “fuori” solo ciò che si porta “dentro”; quindi solo se abbiamo messo in
alto il Verbo interiore, scopriamo il Verbo esteriore.
Quindi il Maestro
interiore ci porta ad ascoltare il Maestro esteriore, il quale ci farà realizzare il sogno, cioè quella vita
che intimamente desideravamo.
Quindi non si tratta
di modificare qualche cosa fuori, ma si tratta di modificare l’interesse
dentro. Bisogna partire da un fatto interessante spirituale, intellettuale,
ma interiore, dentro di noi, quindi personale. E anche se esteriormente
continuiamo la vita di prima, non importa, perché sarà poi il Cristo esteriore
che poco per volta ci recupererà anche la vita esteriore.
Infatti il Verbo
Incarnato ci trasforma man mano che noi Lo ascoltiamo e conosciamo: siccome
Lui ha attuato una certa vita, vivendo con Lui, il suo modo di vivere si
trasferisce nella nostra vita e poco per volta ci modifica. Vivendo con Lui
cominciamo a dire: “Questa cosa non la posso fare perché Cristo mi ha insegnato
quest’altra”, e così per ogni cosa: “Questa cosa non la posso dire, perché Gesù
dice il contrario”, ecc. Avviene così tutta una sostituzione nella mia
costruzione: mattone su mattone costruiamo la nostra abitazione eterna.
Eligio: La fedeltà nel poco (mattone su mattone) mi
darà la possibilità di essere fedele nel molto.
Luigi: Esatto. Quindi è il Cristo che, attraverso la
vita con Lui, ci porta a questa grande Realtà del Padre che abita dentro di
noi, e dal Quale noi possiamo contemplare la sua Gloria, giungere cioè alla
Pentecoste, ma attraverso di Lui.
Emma D.: Quindi bisogna sempre ritornare al nostro
Principio.
Luigi: Sì, dobbiamo sempre aver presente che:
·il Principio che ci è annunciato,
·è un Principio da recuperare nella nostra vita
personale,
·perché lì è il Principio della nostra vita,
·quindi la nostra vita non si realizza finché
non lo recuperiamo.
In quanto il Principio ci
è annunciato, è da recuperare.
Eligio: Direi che bisognerebbe proprio partire dal
fatto che noi attualmente ci troviamo in uno stato di confusione di ideali di
vita, proprio perché abbiamo smarrito il Principio della vita. Quindi ecco la
necessità di recuperarlo.
Luigi: Ora, è proprio in questa confusione che noi
riceviamo l’annuncio dall’esterno: “Il tuo Principio è quello!”, e che ci
invita ad una partecipazione.
Eligio: Sì, e ci fa desiderare di uscire da questo
stato confusionale.
Luigi: Perché in qualunque stato di confusione e
tribolazione Dio non ci lascia mai mancare la sua Parola; e allora ce
l’annuncia. Ma ce l’annuncia anche se noi non vogliamo sentire.
Se invece noi accogliamo
l’annuncio dal Principio e lo facciamo nostro, lo rendiamo interessante.
Questo rendere
interessante Dio vuol dire chiudere la porta a tutti gli altri interessi; e questo è possibile proprio grazie al fatto
che abbiamo toccato con mano che gli altri interessi che autorizzano poi le
cose del mondo a spadroneggiare in casa nostra, sono motivo di morte. Quindi, una
volta fatte queste esperienze di morte, abbiamo la grazia, cioè la convinzione
di chiudere la porta, di non lasciare più entrare tutto ciò che non è Verità, dicendo dentro di noi: “No, questo
non mi interessa… queste sono storie…”.
È molto importante
chiudere la porta a tutto ciò che non è Dio, perché per poco che la
socchiudiamo, questa si spalanca ed entra in noi il mondo; e poi dobbiamo
tribolare da matti per cercare nuovamente di recuperare; e chissà con quanta
fatica...
Eligio: L’annuncio del Principio, proprio perché è annuncio,
ci lascia nell’esercizio della nostra libertà, nonostante tutti i nostri legami
di schiavitù.
Luigi: Dio opera sempre nella fedeltà, quindi
rispetta sempre la nostra coscienza, la nostra partecipazione. Non è che basti l’annuncio
per possedere il Principio, no: ora devi faticare per recuperarlo. Egli ce lo
propone, non ci costringe. È nel momento della proposta che abbiamo il dono
della libertà di rispondere sì o no. Se aderiamo facciamo un passo verso la
libertà che deriva dalla conoscenza della Verità; altrimenti, se non aderiamo,
ricadiamo più schiavi di prima.
Eligio: Dio ci annuncia che nel suo Verbo è il nostro
Principio, la nostra vita.
Luigi: Si capisce, però senza di noi, quello non
diventa vita, resta esterno alla nostra vita. Non basta che ci venga
annunciato il Principio: bisogna aderire ad esso, altrimenti, siccome Lui è
la vita, se escludiamo il Principio, la nostra vita diventa una morte.
Se invece noi vogliamo essere coessenziali, cioè con-partecipi, dobbiamo
aderire a quel Principio che ci è stato annunciato; dobbiamo farlo nostro.
Il Principio di vita deve
diventare nostro principio di vita, non dobbiamo muoverci da lì. Per cui il Signore dice: “L’uomo vive di
ogni parola che procede dalla bocca di Dio”. Hai sentito questa parola?!
Questa parola è un principio di vita; allora incomincia ad agganciarti ad
essa!.
Eligio: Ed è così che inizia la purificazione, la
liberazione.
Luigi: Certo, è la Parola che
purifica. Infatti all’ultimo Gesù dice: “Voi siete puri a motivo delle
parole che vi ho detto” (Gv 15,3). Ecco un’altra cosa molto importante: sono
le Parole di Dio che ci lavano, che ci purificano, che ci liberano; ma
questo solo nella misura in cui noi le ascoltiamo. Egli infatti dice questo ai
suoi discepoli, cioè a coloro che hanno ascoltato le sue Parole. Quando lava
loro i piedi dice: “Chi ha fatto il
bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete
mondi a motivo delle parole che vi ho detto e che voi avete ascoltato” .
Si è suoi discepoli se si
resta nelle sue parole. Quindi è la parola ascoltata che ci purifica.
Eligio: E già! La parola deve essere ascoltata; non
basta sentirla, perché Lui la dice a tutti.
Luigi: Certamente, Lui la dice a tutti; Egli parlava
anche a chi l’ha messo in Croce, parlava anche a coloro che Lo bestemmiavano.
Ma non basta udire le sue parole per essere puri: bisogna ascoltarle! Egli
dice: “Sarete veri miei discepoli se ascolterete le mie parole” (Gv
8,31): è questo ascolto che ci fa discepoli del Cristo. E dice ancora: “…Se
ascolterete le mie parole (e quindi se resterete in esse),
giungerete a conoscere la Verità, e la Verità vi farà liberi” (Gv
8,32): è uno sviluppo.
Quindi Dio parla; se noi
ascoltiamo, la parola entra dentro di noi, diventa intima, ed è questa parola
che ci conduce a vedere la Verità. Per cui, quella Verità, che è poi la
Gloria, noi non la vediamo se non attraverso la Parola, ma la Parola ricevuta,
custodita, meditata, capita; e una volta capita si trasforma in Luce.
Infatti Gesù dice: “Chi
raccoglie riceve mercede di Vita Eterna” (cf Gv 4,36); e precisa: “La
Vita Eterna sta nella conoscenza di Dio” (cf Gv 17,3). Allora chi
raccoglie la parola di Dio riceve un compenso, riceve la Luce, perché la parola
porta alla Luce. Ed è la Luce di Vita Eterna, la conoscenza di Dio: è qui
che si realizzano le parole: “…Conoscerete la Verità e la Verità vi farà
liberi”.
Quindi chi è fedele
non cerca la sua liberazione prima della conoscenza della Verità, perché la
liberazione è una conseguenza della conoscenza della Verità. Quindi, se io non
tengo presente la Parola di Dio, dico: “cerco di liberarmi”, e inizio a vivere
in funzione di questa utopica libertà, accumulando denaro, facendomi una
pensione, magari dicendo: “Quando sarò libero mi occuperò di Dio”. È una beata
illusione. No, la libertà è una conseguenza della conoscenza della Verità.
Quindi bisogna prima cercare di conoscere la Verità e sarà la Verità che ci
farà liberi.
Ecco che se noi
accogliamo la Parola di Dio, modifichiamo l’atteggiamento, perché non mettiamo
prima quello che deve venire dopo, perché il Signore fa dipendere la libertà
dalla conoscenza della Verità. Aggrappati alla Luce e vivrai; come il filo
d’erba. Il filo d’erba non ricorre ad
altro: si aggrappa alla luce e vive. Allora, anche se sei schiavo a causa
dei tuoi errori precedenti, pazienza! Cerca però la Verità attraverso le parole
del Cristo. Se ascolti le parole di Dio, modifichi le tue scelte e poco per
volta ti troverai libero. È la Verità che ci libera, quindi diamo la
precedenza alla ricerca della Verità. Ma come fare per cercare la Verità?
“Se
custodirete le mie parole conoscerete la Verità”, dice Gesù, quindi bisogna custodire; ma come fare a
custodire le sue parole? “Se ascolterete…”, e allora ascoltiamo; ma come
fare ad ascoltare se Lui non parla? Ma Lui parla sempre; siamo noi che anziché
ascoltare Lui, ascoltiamo gli altri o noi stessi. Dobbiamo avere sempre il
pensiero rivolto a Lui, perché Lui ci conduce, la sua parola c’è ovunque; e se
noi ci afferriamo alla sua parola, poco per volta si forma questa trafila che
ci purifica, che ci conduce a vedere la Verità, cioè la sua Gloria e che
quindi ci libera.
Pinuccia B.: Per arrivare al Fine bisogna tener presente il Principio,
metterlo in alto.
Luigi: Dire: “Tener presente…”, è generico, perché
quando si annuncia un Principio si esclude tutto il resto. Il Principio è uno
solo, altrimenti non è il Principio. Il concetto di “principio” implica il
concetto di esclusione di ogni altro principio. Bisogna sapere che è nel
Principio il principio della nostra vita. Dobbiamo saperlo, perché se noi sappiamo che il principio della
nostra vita sta lì, non ci rivolgiamo più altrove. Ci deve essere
un’esclusione di tutto il resto, perché il Principio è esclusivo, proprio
perché è Principio.
Ciò che è principio di-,
esclude qualunque altra cosa. Ora, è questa esclusività che diventa importante. Se invece noi diciamo “tener presente”, o
soltanto “tenere alto…”, non dichiariamo questa esclusività. È proprio questa
esclusività che diventa importante; infatti quando si dice che una cosa è il
principio di un’altra, la prima è la base della seconda, il fondamento, per cui
la prima diventa esclusiva per la seconda.
Pinuccia B.: Il nostro principio è il Verbo di Dio o il Padre stesso?
Luigi: “In principio era il Verbo e il Verbo era
presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio con Dio”. Allora il
Principio è il Verbo, ma il Verbo è il Pensiero del Padre, è il Pensiero da
cui viene la Vita. Il Pensiero di Dio è il Verbo del Padre! La nostra vita sta nella Parola di Dio,
che è uguale al Pensiero di Dio, che procede dalla Bocca di Dio, cioè dal
Pensiero di Dio.
La Parola va intesa con
Dio: “Il Verbo era con Dio”, quindi non disunirlo, perché forma una sola
cosa con Dio. Corriamo il rischio di disunirlo, perché la Parola di Dio,
essendo segno in me, può essere rivestita del mio io.
La Vita viene dalla
Parola che viene dalla Bocca di Dio, non dalla tua bocca. Questa Parola va
sempre intesa in Dio, perché Dio non è mai il nostro io. L’intelligenza
della Parola di Dio va chiesta a Dio stesso, perché è Dio che illumina ed è
Lui che forma l’orecchio. Per cui:
·Per prima cosa bisogna chiedere a Lui che ce
lo formi.
·Poi bisogna chiedere a Dio che ci faccia
giungere la Parola.
·Chiedere, infine, che ce la faccia capire.
Ma bisogna riferire
sempre tutto a Dio, per capirlo in Lui. È questo il cammino che ci conduce,
attraverso tappe successive, a vedere la Gloria del Verbo.
Lettura riassunto:
Dicendoci: “In principio
era il Verbo”, il Prologo ci dice la necessità di recuperare il nostro
Principio, perché “…in Lui era la vita”: la vita era quella! Quello che
nel Prologo ci è annunciato come “principio” dobbiamo intenderlo come
“principio” da recuperare.
Quindi il Prologo ci
insegna il Principio della vera Vita, ci invita a recuperare in noi il
Principio della vera Vita che abbiamo smarrito; recupero che si conclude nel “…abbiamo
visto la sua Gloria”.
Attualmente la nostra
vita è una morte crescente. S. Paolo ci dice: “Lontani dal Signore vi
disperdete”, Luca dice nel Benedictus: “Dio viene a visitare coloro che
giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte”(Lc 2,78-79). Infatti
viviamo sotto l’ossessione della vita che se ne va e non nell’amore della “vita
che viene”. Finché uno teme la malattia e la morte non vive.
La vera vita è conoscenza
di Dio: dalla conoscenza ci viene la vita, la libertà, la pace, ecc..
Per questo Dio ci
annuncia: “In principio era il Verbo; in Lui era la vita”.
“L’uomo vive
di ogni parola che procede dalla bocca di Dio": ci fa capire il principio che abbiamo
smarrito. Recuperando quel
principio, cioè incominciando a vivere nella Parola di Dio, cioè se ci
preoccupiamo di non staccarci dalla Parola di Dio, concluderemo anche noi nel vedere
la Gloria.
Se ho ricevuto in me
questo principio, escludo tutto ciò che non è Parola di Dio, dicendo: “Non mi
interessa, sono storie”.
La vera vita sta nella
Parola di Dio: questo è il Principio; ma questo recupero del Principio non
viene mai automaticamente; viene solo con la partecipazione nostra. Finché
non aderiamo personalmente, il Principio ci viene solo annunciato, ma rimane
fuori di noi.
Giovanni Battista
rappresenta la coscienza dell’umanità. È l’uomo giusto che parla. “Chi
viene dopo di me…” (Gv 1,30). Inteso esteriormente il “dopo” indica
il tempo; inteso spiritualmente significa: “Colui che viene dopo che io mi sono
superato”.
Il “dopo” di Giovanni
rappresenta il “dopo” di ogni uomo che si è superato. Quindi questo “dopo” può
anche non esserci, perché nessuno mi obbliga a superare me stesso: questo
“viene” è la scoperta di questo “dopo”. Infatti Gesù dice: “Nessuno può venire
a me se non rinnega se stesso”. La parola rimane incarnata fuori di me, se non
la vivo.
Il Maestro interiore parla
indipendentemente da noi (voce della
coscienza, ecc.). Mi dice le stesse cose
che mi dice il Cristo esterno, quando metto Dio al centro. Ma mettere Dio al
centro richiede un superamento di noi stessi: è la giustizia prima.
Superarmi vuol dire non
fermarmi a ciò che arriva a me come impressione, come sentito dire, ma andare
oltre. Questo vuol dire
“rinnegare se stessi”: non fermarci cioè al pensiero dell’io (“questo mi
interessa, questo non mi interessa; questo mi piace, questo non mi piace), ma
cercare la giustificazione in Dio: “Cosa dice Dio in questo fatto che mi è
arrivato?”. Cioè bisogna cercare se piace o no al Signore. E questo richiede
fatica. Questo è il superamento di sé.
Non si tratta di prendere
come regola di fare ciò che non mi piace (perché anche nella flagellazione e
nel sadismo c’è ancora il nostro io e il nostro orgoglio), perché si può
arrivare ad amare ciò che non piace: e qui c’è ancora l’io.
Neppure si tratta di
chiederci se ciò che facciamo piace a Dio oppure no, perché in tal caso prima
decidiamo noi cosa fare e poi interroghiamo Dio per sapere se gli piace o no.
Si tratta invece di non volere fare niente se non lo vediamo gradito a Dio.
Dobbiamo fare solo ciò che Dio vuole: “Non fare niente, non ti muovere, fa’
solo ciò che Dio dice”.
Ma anche se non ci
muoviamo arrivano tante cose: notizie, richieste, informazioni, ecc. Ma queste
cose non dobbiamo fermarle al nostro io, perché apparentemente può essere una
seccatura, ma cerca ciò che Dio ne pensa.
Dio non è mai il nostro
io, il suo pensiero non è mai il nostro pensiero. La sua Volontà non è mai la
nostra volontà. Se facciamo questa fatica di andare oltre il nostro io, per
cercare la ragione in Dio, l’avvenimento si modifica molto. Lo vediamo diverso
da come ci era apparso.
Possiamo certamente
sbagliare interpretazione, perciò dobbiamo sempre lasciare spazio
all’illusione, dicendo a noi stessi: “Per principio posso sbagliare”.
Dobbiamo sempre ritenerci
dalla parte dell’errore. Quindi dobbiamo diventare una continua
interrogazione verso Dio: “Mi mantengo aperto perché Dio sta dialogando con
me”. Egli capisce, per cui opera nell’ambiente con una notizia, ecc. perché Egli vede se prendo una cantonata.
Quindi non devo mai
irrigidirmi, nemmeno nella volontà di Dio, perché anche se ho visto la cosa in
Dio, siccome Dio ci supera continuamente, Egli opera continuamente per
migliorare la nostra conoscenza di Lui, che è progressiva.
L’importante è sempre
essere aperti, mai essere
sicuri. Dio vede la tua buona fede, anche se sbagli. Egli ti corregge
operando; per cui non puoi prendere a calci niente, perché tutto è sacro, in
tutto c’è la mano di Dio, tutto è Parola di Dio. Se mi mantengo aperto, mi
arriva un altro avvenimento, magari contrario: devo assimilare anche questo,
perché è Dio che me lo manda; non lo devo respingere, ma considerare.
Non dobbiamo
accontentarci di capire qualche parola, ma dobbiamo penetrare tutte le
parole di Gesù, anche le più difficili; dobbiamo essere aperti verso tutte.
Così esse diventano la nostra strada chilometrata che ci conduce alla meta.
Queste parole vanno tutte raccolte. Ci fanno camminare nella misura in cui le
penetriamo e le capiamo. Se trascuro qualcosa mi blocco in questo tratto di
strada. Se non la capisco, la conservo come la Madonna, perché quando si ama,
si custodisce anche ciò che non si capisce; e poi magari si trovano altre
parole che la illuminano.
Tutto dipende da questa attenzione
riverenziale, perché è il Maestro che parla: “Capirò dopo, per intanto me
la scrivo e la conservo” (così si fa nella scuola). Anzi, presterò attenzione
proprio a quelle più difficili e che non capisco, perché sono in un livello
superiore e quindi mi sollecitano ad avanzare. Se Dio ci fa arrivare questa
parola, vuol dire che già ci invita a questo livello superiore, perché Dio è
fedele, non inganna.
Se mi chiama, se mi fa
arrivare l’annuncio di qualche cosa vuol dire che già me lo vuole comunicare, e
mi dà la possibilità di arrivare.
Per portare l’anima a
recuperare questo “Principio”, per accogliere il Verbo, ci vuole la
“penitenza”. Penitenza vuol dire
rinnovare dentro di me i miei giudizi: questo vale, questa è una storia.
Devo sapere che la Vita
vera comincia là. Devo recuperare quella posizione là. La sintesi del
Prologo è questa: annunciare un Principio da recuperare. Il lavoro di
recupero è un lavoro di selezione: “Questo è zavorra, questo no!”. La funzione del Prologo è quella di
annunciare a dei morti, a coloro che esperimentano le tenebre il Principio
della vita: “Voi sperimentate la morte perché la luce era quella, la
liberazione era quella, la vita era quella...”.
Ma se Dio ce l’annuncia, ci chiama già là, perché Dio è fedele: “La tua vita è lì, non
spostarti di lì”.
Mi trovo in un mondo che
non è Parola del Signore. Lui mi dice: “Ora sai che la vita è lì”; ciò che non
è parola del Signore, buttalo via, è veleno; chiudi la porta dell’anima: sono
storie, è veleno!
Ciò che apre o chiude il
nostro mondo interiore è l’interesse per. Se mi interessa questo, già gli apro il cuore. Devo solo
avere interesse per il Verbo di Dio, perché so che la mia vita è lì. Se ho
questo interesse, già chiudo il cuore e l’anima ad ogni altro interesse. Se
ritengo interessante qualche cosa che non sia il Verbo di Dio, resto nelle
tenebre.
Finché non mi convinco
che la sorgente della mia vita è lì, solo nel Verbo di Dio, non posso far a
meno di avere ancora interesse per altro. Allora devo concentrare il mio
interesse lì: mi deve interessare solo il Verbo di Dio, non gli altri verbi.
Le cose entrano in me nella misura in cui dentro di me dico: “Questo mi
interessa”. E tutto ciò che entra mi fa da padrone, e poi non me ne posso
liberare.
La chiave di volta per
ascoltare questa voce interiore, è mettere Dio al centro, per reintegrare
questo stato del “Principio” che è da recuperare. È un fatto personale e
interiore. Ricostituisco questo principio con l’interesse e nessuno lo può
fare per me. Se lo rifiuto certamente esperimenterò la morte, perché Lui è la
Vita. Lui però continua a essere vita anche se io non ci credo. La Verità è
indipendente da noi. Se aderisco alla Verità, partecipo ad Essa e mi diventa
coessenziale. Se no vengo messo fuori. Dio chiede a noi questa partecipazione
che è andare oltre al pensiero dell’io.
L’annuncio del Principio
è l’annuncio di un “principio” da recuperare, perché è il principio della
nostra vita spirituale. Ma è un Principio che non entra nella nostra vita se
noi stessi personalmente non Lo troviamo interessante.
Anche se fossimo
all’inferno e ci domandassimo: “Come mai sono all’inferno?”, ci verrà detto:
“Il Principio era quello! Te l’avevo annunciato. Finché non torni al
Principio non c’è niente che si risolva in te. Il punto di partenza della
tua vita è là, portati lì se vuoi vivere. Anche se stai per morire, portati
lì”. Il Principio sarà sempre lì, eternamente, anche se vai all’inferno. Tu
eri stato informato: il principio della tua vita era lì.
Dal recupero di questo “Principio” si arriva al Verbo
incarnato.
Si tratta di maturare
l’interesse dentro; scoprendo il Maestro interiore Lo ritrovo fuori
incarnato.
Bisogna partire da un fatto interiore,
personale: sarà il Cristo esteriore che mi recupera la vita esterna,
perché mi trasforma, trasferendo la sua vita nella mia, ricostruendo l’edificio
(è una sostituzione di mattoni), fino a portarmi alla grande Realtà: il
Padre che è dentro di noi: la Pentecoste. Quindi,
riassumendo:
·il Principio che ci è annunciato,
·è un
Principio da recuperare;
·perché lì è il Principio della nostra vita;
·quindi la nostra vita non si realizza finché
non lo recuperiamo.
Attualmente ci troviamo
in uno stato di confusione, di caos, ma Dio ci parla ancora, ci annuncia il
nostro Principio. Se noi vi aderiamo, lo facciamo nostro e lo facciamo
interessante, e quindi chiudiamo la porta agli altri interessi che sono motivo
di morte. Abbiamo già sperimentato che sono motivo di morte, e avendolo
sperimentato abbiamo la grazia di chiudere ad essi la porta, perché per poco
che noi la socchiudiamo, essa si spalanca, come si spalanca la porta di una
baita in montagna, se la socchiudiamo quando fuori soffia un grande vento.
Dio opera sempre nella
fedeltà, rispettando la nostra coscienza. Se noi non partecipiamo, il Principio
(la Parola di Dio) rimane esterno, non vita. “L’uomo vive di ogni parola che
esce dalla bocca di Dio”. Se incomincio ad agganciarmi a questa Parola (“L’uomo
vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”) che mi interessa, incomincio a ricevere vita
e a cambiare modo di pensare. Infatti Gesù dice: “Voi siete puri a motivo delle parole che
avete ascoltato”. È la parola ascoltata che ci purifica, è l’ascolto
che ci fa discepoli del Cristo.
Dio parla; se la creatura
ascolta, la parola entra, diventa intima, e ci conduce a vedere la Verità,
la Gloria. La Verità la vediamo soltanto attraverso la Parola ricevuta,
custodita, ascoltata, meditata, capita. La Vita Eterna sta nel raccogliere le
Parole di Dio: “Chi raccoglie con Me avrà mercede di vita eterna”, chi
ascolta le sue parole riceve un compenso di vita eterna: la Luce, la conoscenza
di Dio e quindi fa un passo verso la libertà.
Chi è fedele non cerca la
sua liberazione prima della conoscenza della Verità, perché la liberazione è
una conseguenza della conoscenza della Verità. Quindi non devo cercarla
prima dicendo: “Per ora mi cerco un capitale, una pensione, e quando sarò
libero cercherò Dio". Cerca la Verità e la Verità ti farà libero.
Aggrappati alla Luce e vivrai; come il filo d’erba. Il filo d’erba non ricorre
ad altro, si aggrappa alla luce e vive.
Anche se sono schiavo a
causa dei miei errori, devo cercare la Verità attraverso le sue parole.
Se ascolto le parole di
Dio, modifico le mie scelte. Quindi non devo mettere prima ciò che devo mettere
dopo.
L’ascolto delle parole di
Dio mi conduce a vedere la Verità che mi libera. Lo dice Gesù: “Conoscerete la
Verità se ascolterete le mie parole e se resterete nelle mie parole”.
Il “Principio” implica il concetto di esclusione di ogni
altro principio: se so che il Principio della Vita è lì, non lo cerco più
altrove.
Non basta tenere alto
questo pensiero del Principio: è questa esclusività che è importante. La
vita è solo lì. Sbagli se la cerchi altrove.
Conclusione: Il Principio è il Verbo, il Verbo è il
Pensiero del Padre. È il Pensiero da cui viene la Vita. Il Pensiero è il Verbo del
Padre.
La nostra vita sta nella
Parola (che è uguale a “Pensiero”), che procede dalla bocca (cioè dal Pensiero) di Dio.
Va intesa con Dio: “Il Verbo era con Dio”. Non
disunirla, perché forma una sola cosa con Dio. C’è il rischio di disunirla,
perché la Parola di Dio, essendo segno in me, può essere rivestita del mio io.
La vita viene dalla
Parola che viene dalla bocca di Dio, non dalla tua bocca. Questa Parola va
sempre intesa in Dio, perché Dio non è mai il nostro io. L’intelligenza della
parola di Dio va chiesta a Dio stesso, perché è Dio che illumina ed è Lui che
ci forma l’orecchio. Per cui:
per prima cosa bisogna
chiedere a Lui che ce lo formi,
secondo, bisogna chiedere a Dio che ci faccia
giungere la Parola,
infine chiedergli che ce la
faccia capire.
Ma bisogna sempre
riferire tutto a Dio per capirlo in Lui. Ed è così che si cammina e si diventa
capaci di vedere la Gloria del Verbo.
Prologo Capitolo uno Vangelo di San Giovanni Secondo
Tema
Titolo: Le cinque
scene del prologo.
Argomenti: Recuperare il Principio. L’opera di Dio nel mondo esterno. Invito a passare
dall’esterno all’interno. Il Verbo fatto carne. L’incontro
col Padre. Le voce delle tenebre. Il peccato e
le tenebre. Il peccato è solo interiore.
9/Gennaio/1976
(Appunti della parte introduttiva non registrata).
Riflessioni su una
esperienza di un ritiro Zen con metodo buddista, letta da una rivista, per
scoprire l’importanza del silenzio e imparare ad ascoltare:
Il parlare di Dio è
rivelazione di presenza.
Dio dice un’unica Parola,
suo Figlio.
Ma è necessario che ci
sia l’ascolto.
Bisogna fare il vuoto:
togliendo tutto ciò che non è Dio, lì troviamo Dio.
Nel silenzio si rivela la
sua Presenza, dandoci così la possibilità di pensarlo.
E se Lo pensiamo è lì che
ci suggerisce: fa’ questo o fa’ quello. Più Lo pensiamo e più abbiamo
ispirazioni; per questo Lui ci dice: “Non preoccupatevi di ciò che
risponderete” (Lc 12,11). Ma bisogna avere presente il Padre.
Dall’esposizione di Luigi Bracco.
Possiamo vedere nel
Prologo cinque grandi scene che ci danno una panoramica generale sul
cammino che dobbiamo percorrere per giungere a conoscere Dio: cammino che va
dal recupero del Principio alla contemplazione della Gloria.
·La prima scena è la presentazione di quello che era in
Principio: “In principio era il Verbo”, e si conclude con: “…la Luce
brilla nelle tenebre, ma le tenebre non la compresero” (Gv 1,1-5), …o
meglio: “non comprendono”.
Ciò che era in principio
ci viene annunciato affinché noi lo recuperiamo, perché “In principio il Verbo era presso Dio, il
Verbo era Dio…, in Lui era la vita”. Ci è annunciato che “in principio la vita era nel Verbo di Dio”,
è nella Parola di Dio.
Dio ce lo annuncia perché
evidentemente parla a delle creature che si sono allontanate dalla vita, che si
sono disperse, che si trovano magari a lottare con la morte; e proprio in
questa situazione la voce dice: “In principio la Vita era nel Verbo…”, voi
l’avete dimenticato… e così adesso vi trovate in conflitto con le forze
contrarie, avverse alla vita, vi trovate a lottare con la morte, con le
forze demolitrici (il caos, la confusione, ecc.); ma in principio non era
così.
Però, in quanto ce lo
annuncia, ce lo annuncia perché noi lo recuperiamo.
Ma recuperare “quello
che era in principio”, vuol dire abbandonare e trascurare tutto il resto,
perché il principio della vita sta lì, e in quanto sta lì, bisogna recuperare
la vita lì, quindi lasciare di cercare la nostra vita in altre cose. Se il
principio della vita è lì, bisogna andare “lì” (ma per andare in un posto nuovo è necessario
lasciare quello in cui si è).
Purtroppo la prima scena
si conclude con “le tenebre non comprendono”. Sembra tutto finito. E
invece no: si apre una seconda scena di speranza:
·La seconda scena: “Ci fu un uomo mandato da Dio il cui nome
era Giovanni. Egli venne per rendere testimonianza alla Luce” (Gv 1, 6-8).
In questa seconda scena,
siccome noi ci siamo allontanati dal Verbo di Dio, dalla Luce iniziale, ci
viene presentata l’azione di recupero da parte di Dio. Allontanandoci (“perché
le tenebre non hanno compreso”), ci siamo dispersi nel mondo materiale,
cioè siamo stati presi dalle tenebre esteriori, portati via dalle
tenebre.
Ora, nel mondo
esteriore, che non è luce, Dio opera per rendere testimonianza alla Luce.
In Giovanni c’è la
sintesi di tutta l’opera di Dio nel mondo esterno, nel mondo delle creature,
quindi la sintesi di tutte le lezioni
della vita, le lezioni dell’Antico Testamento (l’Antico Testamento si ripete nella vita di ognuno di noi),
attraverso le quali Dio ci fa toccare con mano che quel mondo per cui noi
viviamo non è vita, che quelle creature per le quali viviamo non sono luce; per
cui attraverso queste esperienze, Dio ci convince a desistere dal cercare la
Vita, la Luce e la Verità nel nostro mondo esterno.
Ecco la testimonianza di
Giovanni Battista: “Io non sono la Luce” (cf Gv 1,20); e l’Evangelista
stesso dice: “Non era lui la luce”;
per cui tutte le creature, raccolte, sintetizzate in Giovanni Battista,
testimoniano anch’esse, in un modo o nell’altro, di non essere luce.
Gesù stesso dice che Giovanni
Battista è il massimo tra tutte le creature, “tra tutti i nati di donna”
(Mt 11,11); quindi è colui che ricapitola
la coscienza dell’uomo e ricapitola tutta l’opera esterna di Dio
nel mondo per far dire dalle creature: “Noi non siamo la Luce”.
Tutte le creature infatti
con il loro mutare e morire, ci dicono:
“Noi non siamo Dio, noi non siamo la Verità, noi non siamo la Vita; cerca
altrove”. Dove? Ce lo dice la terza scena.
·La terza scena ci presenta qual è e dov’è la Luce vera: “Luce vera è quella che
illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1,9).
La Luce vera è quella che
è dentro di te, è la Luce
che illumina ogni uomo. Quindi è necessario, per scoprirla, un processo di
passaggio dal mondo esterno al mondo interno.
Ora, fintanto che noi non
ci convinciamo che dobbiamo desistere dal cercare la vita nelle creature, dal
cercare la Luce nel mondo esterno, dal cercare la pace o dall’aspettarcela dal
mondo esterno, e non ci orientiamo a cercare queste cose dentro di noi, nello
spirito, noi non abbiamo accettato il battesimo di Giovanni Battista, cioè non
abbiamo accettato il battesimo di giustizia.
Questa è la lezione
principale che Dio dà a tutti gli uomini che sono dispersi nel mondo: cioè è
un invito a passare dall’esterno all’interno, perché la Luce vera è dentro
ogni uomo.
Questa è la giustizia: “Cerca
Dio che è dentro di te, metti Dio al centro dei tuoi interessi, ecc”. Per
cui Gesù dice: “Quando vuoi pregare chiudi la porta, entra nel segreto della
tua anima, e lì prega il Padre che ti ascolta nel segreto” (Mt 6,6).
Dio è presente dentro di
te.
È la lezione di s.
Agostino: “Rientra in te stesso, passa dalle cose esterne alle cose interne e
poi supera il tuo stesso mondo interiore e raccogliti nel Pensiero di Dio.” Il
processo non sta nel passare dalle cose esterne alle cose interne per pensare
alle cose nostre, no! Bisogna entrare nel mondo interiore per poi trascendere i
nostri pensieri e inoltrarci nel mondo del Pensiero di Dio.
Questo guardare dentro di
noi naturalmente esige il “distacco da-”, dal mondo esterno. Guardando dentro
di noi, cioè prendendo contatto con questa Luce interna che parla dentro di
noi, cosa succede? Succede che si forma il sogno della vita secondo Dio
e la constatazione dell’impossibilità della sua realizzazione. Allora lì si
forma la fame.
Quindi fintanto che noi
non ci separiamo dal mondo esterno, cioè fintanto che noi cerchiamo la vita o
aspettiamo la pace e la giustizia nel mondo esterno, fintanto che cerchiamo la
comprensione dalle creature, certamente non si forma in noi la fame di Dio, il
desiderio di Dio, che è poi ciò che ci conduce ad individuare il Verbo di Dio
fatto carne. Infatti è la fame che
ci fa scoprire il pane: soltanto in quanto noi abbiamo fame di Dio, possiamo
scoprire il pane di Dio.
In caso diverso andiamo
sempre alla ricerca di quel pane che ci possono dare le creature, il mondo, la
ricchezza, ecc., confondendo la nostra vita, la nostra pace, la nostra
realizzazione con la realizzazione nel mondo esterno di certe carriere, di
certi luoghi, di certi posti, ecc.
Ora, fintanto che noi
siamo in questa situazione, è segno che non abbiamo ancora accettato il
battesimo del Battista, cioè non abbiamo ancora capito la lezione antica che
Dio scrive in tutte le cose. In tal caso noi conosciamo soltanto la nostra
passione, siamo cioè in situazione di peccato; perché il peccato è distrazione
da Dio, ed è conversione alla creatura.
Quindi, fintanto che
siamo lì, non soltanto non possiamo incontrare il Cristo, anche se ci diciamo
cristiani, anche se facciamo la Comunione tutti i giorni, ma siamo ancora
proiettati sul mondo esterno.
D’altronde è il Vangelo stesso
che ci insegna che per incontrare il Cristo bisogna aver ricevuto il battesimo
del Battista (“Tutto il popolo Lo ha ascoltato, anche i pubblicani, ed hanno
reso giustizia a Dio ricevendo il battesimo di Giovanni. Ma i Farisei e i
dottori della legge, rifiutandosi di farsi battezzare da lui, hanno reso vano
il disegno di Dio verso di loro” {Lc 7,29-30}).
La condizione per poter
riconoscere il Pane di Dio, il Verbo di Dio fatto carne, è quella di aver la
fame di Dio. Ma la condizione per aver questa fame di Dio, che è poi
l’attrazione del Padre, è quella di passare dal mondo esterno al mondo interno.
La risposta a questa fame, l’abbiamo nella quarta scena.
·La quarta scena: è il Verbo di Dio fatto carne: “Il Verbo
si è fatto carne…” (Gv 1,14). Questo è il Pane per la fame di Dio.
La creatura che, avendo
ascoltato la Luce vera che illumina questo mondo, ha formato in sé la fame di
Dio, l’attrazione per il Padre, Lo individua, e può dire: “Il Verbo di Dio si è
fatto carne”, quindi Lo riconosce. E riconoscendolo Lo segue.
Seguendolo, si ha quella
trafila di passaggi di cui si è parlato diverse volte e attraverso cui Cristo
ci prepara all’incontro con il Padre, cioè ci porta su quella Vetta da cui si
vede la gloria del Verbo. Cioè su questa Vetta si apre la quinta scena.
·La quinta scena: “...noi abbiamo visto la sua gloria,
gloria che gli viene come Figlio Unigenito del Padre”.
Quando ci conduce alla
Vetta che è l’incontro col Padre, il Cristo, il Verbo di Dio fatto carne, ci
lascia e dice: “Me ne vado” (Gv 16,7), perché questa è la condizione per
ricevere lo Spirito Santo. È necessario il distacco fisico, perché ci deve dare
la possibilità dell’incontro col Padre,
perché la gloria sua viene dal Padre, dall’incontro col Padre. Cristo è il
Maestro che ci conduce alla Sorgente, ce la fa vedere e poi dice: “Adesso
bevi”.
Ma siamo noi che dobbiamo
bere, perché soltanto in quanto direttamente ci impegniamo, arriviamo. È una
scoperta nettamente personale, addirittura incomunicabile; è un nome personale
che ognuno riceve, che ci fa poi fratelli del Cristo, figli del Padre. Ecco
l’adozione! perché noi non siamo figli naturali, ma adottivi: riceviamo lo stesso nome di figlio, ma questo
nome di figlio lo riceviamo dal Padre attraverso il Figlio .
Queste sono le cinque scene
del Prologo. Ogni scena contiene poi diversi elementi (es.: la prima scena: … “In
principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio…; tutto è stato fatto per mezzo di Lui, …in Lui
era la vita ecc.”) sui quali bisogna fermarsi personalmente con Dio per comprendere
bene ogni scena.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Ines: Più si ripetono questi argomenti e meglio si
capiscono. A me però non è tanto chiara la seconda scena.
Luigi: È la presentazione dell’azione di recupero
dell’uomo da parte di Dio: cioè la funzione di Giovanni Battista che ci invita
alla giustizia essenziale, a mettere Dio
al centro dei nostri pensieri, accogliendo tutto da Dio e riportando tutto a
Dio.
Noi oggi però, nel mondo,
non vediamo il Verbo di Dio. Noi vediamo le creature. Per noi sono gli uomini che parlano. Infatti l’articolo
zen che abbiamo letto testimonia tutta la difficoltà di separarci dal mondo, di
far tacere le voci degli uomini, ma non soltanto le voci degli altri, anche le
voci nostre, perché anche noi siamo creature; cioè in noi parla la creatura, ma
la creatura staccata da Dio. Per cui noi ci accorgiamo che queste parole che ci
rintronano dentro, ci distolgono dal Pensiero di Dio, ci confondono, ci creano
dei dubbi, ci lasciano incerti, soprattutto ci impediscono il raccoglimento in
Dio.
Ora, come mai questa
situazione? La situazione è causata dal fatto che fin dall’inizio noi non
siamo rimasti nell’ascolto del Verbo di Dio. Cioè il Verbo di Dio parla in
tutto, perché tutto è opera di Dio. Infatti
in quanto tutto è opera di Dio, Dio parla in tutto. Quindi la
Luce splende. Però è necessario che la creatura raccolga la parola di Dio nel
Pensiero di Dio. Cioè non bisogna staccare la parola che giunge a noi da Colui
che la pronuncia. Per far questo è necessario il superamento del pensiero del
nostro io.
Infatti se noi ascoltiamo
le parole, ma ci fermiamo al pensiero del nostro io, non accogliamo la Luce di
Dio, ci fermiamo al nostro io. Invece è necessario andare oltre, al di là del
nostro io, rapportarlo a Dio, ma questo non avviene naturalmente. Naturalmente
la parola di Dio arriva a noi, ma naturalmente non si collega con Dio.
Per cui è detto che “…in
principio il Verbo era presso Dio”, era con Dio. Questa unione è fatta da
Dio. Ma il Signore ha anche detto: “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”
(Mt 19,6), soprattutto non separi la parola da Colui che la dice; non
separi la parola di Dio da Dio.
Ma per far sì che la
parola di Dio non si separi da Dio, si richiede da noi un certo sforzo,
altrimenti la parola si ferma al nostro io.
Quindi, come riceviamo la
parola, non dobbiamo pensare a noi. Se, per esempio, uno mi pesta un piede, in
quanto mi pesta un piede è parola di Dio, perché è Dio che muove quel tale a
pestarmi il piede. Tutto è voluto da Dio, non si muove foglia senza che
Dio voglia; quindi anche il tale che mi
pesta un piede è Dio che l’ha mandato a pestarmi il piede. Il sentire il piede
schiacciato, l’impressione di dolore, è una cosa naturale: mi arriva. Ciò che
non è più naturale è riferire il mio piede schiacciato al Pensiero di Dio. Se
ciò non avviene, è perché mi sono fermato al mio io offeso, al mio io che
reagisce, al mio io che urla contro quell’altro, proprio perché attribuisco a
quest’altro l’episodio.
Ecco, fermandomi al mio io,
il mio io non fa altro che proliferare tanti altri io attorno a sé, e
allora vede l’altro come iniziatore.
Chi è nel pensiero dell’io, non vede più Dio, ma vede l’altro come un altro
io, come un altro uomo.
Quindi nell’io, se
subisco una pestata di piede, non dico: “È Dio che mi ha pestato il piede”,
perché per poter dire “è Dio”, devo passare al di là, superare l’io.
Quando Gesù ci dice di
rinnegare noi stessi che cosa ci chiede? Non si tratta di fare della ginnastica
ripetendo: “Adesso rinnego me stesso”, come non si tratta nemmeno di lottare
contro i nostri pensieri, come si dice ad esempio nel ritiro Zen; perché in
quanto uno lotta, pensa a se stesso. Ma si tratta di attraversare il pensiero
del nostro io, di andare al di là del pensiero del nostro io, quindi di non
fermarci ad esso, ma dire: “Un momento, questa cosa in quanto avviene non
sono io che l’ho fatta o non è l’altro io che l’ha fatta; è un altro Essere che
l’ha fatta: quindi devo cercare la ragione di questo avvenimento in Colui
che l’ha fatta”, che non è un altro io, un altro uomo, ma che è Dio.
Allora, se io cerco la
ragione di questo fatto, di questo segno (piede pestato), in Dio, ecco che
avviene una modificazione dentro di me.
Fermandoci al nostro io,
noi ci arrabbiamo contro il nostro fratello, oppure ci scontriamo, abbiamo la
giornata sconvolta, con sentimenti contro la società, ecc. Se invece accogliamo
il fatto da Dio, diciamo: “un momento, è Dio che l’ha mandato a pestarmi un
piede; sarà per umiliarmi, ecc.”. Comunque cerchiamo la ragione di questo fatto
presso Dio: allora qui si accende una luce, quella luce che mi libera
prima di tutto dall’offesa verso il fratello; anzi uno è condotto addirittura
ad amarlo, perché è un mezzo attraverso cui Dio opera in noi.
Un esempio toccante è
quello di quell’uomo innocente condannato all’ergastolo, nel libro “Ecco
la notte”, che ad un certo momento piange di gioia perché Dio l’ha condannato
all’ergastolo. Lui non ha visto l’errore del tribunale e non vede negli
aguzzini, nelle guardie, gli uomini, ma vede sempre e soltanto Dio. E lui è
felicissimo, perché ha mancato prima, con colpe che magari il mondo non
conosce, però sentendosi punito da Dio, si sente pensato da Dio: “Dio è
intervenuto nella mia vita, Dio sta operando su di me e anche se mi fa soffrire
poco importa…”.
Sentirsi pensati è la
massima gioia della creatura, perché se essa si sente pensata, si sente amata. Per cui è meglio soffrire, ma amati,
piuttosto che essere nell’agio, ecc., ma non pensati. E allora ecco che si
piange di gioia quando si trova Dio, perché si trova Uno che non smette mai
di pensarci.
Quindi la cosa veramente
importante è non fermarci al nostro io, ma in tutte le cose il Verbo va sempre
mantenuto unito ad esse. Le opere di Dio vanno sempre collegate con Dio, vanno
sempre riferite a Dio, vanno sempre riportate a Dio.
È poi quello che sempre
si dice: “Bisogna accogliere tutto dalla mano di Dio e riportare tutto a Lui” .
Altrimenti noi ci
confondiamo, o meglio ci avvolgiamo in una matassa da cui non usciamo più, perché scambiamo i segni per
sostanze, l’Operatore, che è Dio, con le creature, con le opere e allora ci
allontaniamo dalla Luce, cadendo inevitabilmente nelle tenebre.
Ines: Quindi non solo non entriamo, ma ci
allontaniamo sempre più dal nostro Principio.
Luigi: Ci allontaniamo sempre di
più. Infatti s.Paolo dice che fintanto che noi viviamo nel corpo, cioè secondo
la vita naturale, ci allontaniamo sempre di più da Dio, dalla nostra Salvezza.
Però, in queste
tenebre c’è una lezione, perché Dio opera anche nei nostri errori. Dio si
fa sentire anche nei nostri mali, nei nostri peccati, nelle nostre colpe, nelle
nostre distrazioni. Quindi non è che Dio stia lontano per vederci così. Dio
opera anche nelle nostre confusioni e fa rendere testimonianza alle tenebre
stesse in cui noi siamo avvolti, che
esse non sono la vita, che esse non sono la nostra liberazione, che in
esse non c’è la Luce.
Quindi quella delle
creature è una testimonianza negativa
che ci richiama a quella Sorgente che noi abbiamo trascurato.
Questa è la voce di
Giovanni Battista, il quale dice che viene a rendere testimonianza alla Luce.
Egli dice: “Io non sono la Luce”. Quindi se in Giovanni Battista c’è
la sintesi della voce di tutte le creature, tutte le creature devono dire a
noi: “Io non sono la tua luce, io non sono la tua pace, io non sono la tua
vita.
Eligio: È la voce di tutte le creature, non però in
quanto tenebra.
Luigi: Sì, in quanto tenebra.
Eligio: Ma allora anche le tenebre sono sintetizzate
in Giovanni Battista?
Luigi: Giovanni Battista non è Luce, è tenebra. Lui
stesso dice: “Io non sono la Luce”. È la testimonianza del mondo delle
tenebre.
Eligio: Ma la tenebra non è ciò che si oppone alla
Luce di Dio?
Luigi: No, chiariamolo bene: la tenebra di per sé
non è opposizione alla Luce, ma bisogno di luce, quindi testimonianza alla
luce. Giovanni Battista è la sintesi, quindi è la voce delle tenebre che
dicono: “Io non sono la luce”.
Ines: Perché allora Gesù lo chiama “il più
grande dei Profeti”?
Luigi: Gesù dice di lui: “È il più grande dei
profeti tra i nati di donna, ma il più piccolo nel Regno di Dio è più grande di
lui” (Mt 11,11). Allora dobbiamo chiederci: che differenza passa tra un
figlio di donna e il più piccolo nel Regno di Dio? Il figlio di donna, cioè la
voce di tutti i profeti, è la creatura che testimonia il bisogno di Dio, cioè è
la creatura che sospira, che denuncia la sua povertà, che dichiara la sua
insufficienza, la sua incapacità a vivere, ad attuare la pace, a trovare la
Luce, la Verità: è la testimonianza della nostra morte. L’uomo che muore
testimonia che la vita è altrove.
Quindi questa
testimonianza di “figlio di donna” è la sintesi di tutti i profeti. I
profeti sono coloro che annunciano di non essere la Verità, ma che la Verità
è un Altro; per cui essi invitano: “Preparatevi, andate incontro, cercate
Dio, sospiratelo…”.
Ines: E queste sono tenebre?
Luigi: Questa è voce di tenebre, non è voce di Luce. Al contrario il più piccolo nel Regno di Dio è nella Luce:
allora egli parla di Dio, glorifica Dio, vede Dio, cioè ha incontrato Dio,
perché nel Regno di Dio si gode della presenza di Dio.
Quindi nelle tenebre
si invoca il mattino: è la sentinella che invoca l’alba.
Invece il più piccolo nel Regno di Dio è quello che ha
incontrato il mattino e quindi ha incontrato la Luce; segue la Luce, e
quindi non parla più del bisogno, ma parla della Luce, parla di Dio, perché il
più piccolo nel Regno di Dio è la creatura che vive con Dio, è un figlio di
Dio.
Là invece è la creatura
assente da Dio, che denuncia però l’assenza, soffre nell’assenza, che piange
perché ha perso il suo bene. Abbiamo i Salmi e le profezie antiche che sono
tutto un piangere il bene perduto, sono un invocare, un pregare.
Nelle tenebre si piange
perché non si vede la Luce, ma con questo pianto si testimonia quindi che c’è
la Luce, perché non si
piangerebbe se non ci fosse la Luce.
In quanto uno denuncia
una privazione è positivo: è la testimonianza della notte, è la testimonianza
delle tenebre: nella privazione la creatura testimonia che esiste la Luce, che
esiste il giorno, e lo sospira, lo invoca, però non può fare niente, perché il
giorno dipende da Dio. Se Dio non viene incontro, l’alba non sorge.
Per cui i figli del Regno
nascono da Dio, non nascono più dalla
creatura; e qui abbiamo la creatura nuova. Infatti ad un certo punto nel
Prologo è detto: “Non per opera di sangue, non per opera di carne, ma i
figli di Dio nascono da Dio” : ecco, abbiamo una creatura nuova.
Il giorno, l’alba è opera
di Dio, mentre invece la notte, le tenebre testimoniano la privazione di Dio;
testimoniano, quindi annunciano che la Luce, Dio, esiste, perché in quanto uno
denuncia la privazione di un bene, denuncia che quel bene esiste, lo sospira,
lo invoca, però non può fare niente.
Nella notte non possiamo
fare niente; basta spegnere la luce e ci rendiamo conto: non vediamo più e non
sappiamo più dove andare. Ed è proprio questo non saper dove andare, questo non
poter più né camminare, né leggere, ecc., che denunciano il bisogno della luce.
Però la luce non dipende
da noi.
Pinuccia B.: Gesù però quando dice: “Il più piccolo del Regno di
Dio è più grande di lui”, non è che escluda che il Battista sia entrato nel Regno di Dio, vero?
Luigi: Ah, no! Giovanni Battista aveva una sua funzione.
Qui non giudichiamo le anime, ma le funzioni, i segni, il compito che essi
ebbero. Gesù parlando del Battista, ne parla per la funzione di precursore;
egli è l’ultimo dei profeti, il più grande perché arriva a contatto col Cristo.
Invece tutti gli altri, da lontano, Lo invocano, Lo sospirano. Il Battista Lo
segnala, Lo prepara (= è la sintesi), concludendo la voce di tutte le creature,
dicendo: “Fate penitenza”.
Ora, questa penitenza
vuol dire: “Mettete Dio al centro, al disopra di tutto; spostate il vostro io
dal centro”. E questa è la giustizia essenziale, che è la condizione per poter
incominciare ad intendere la vita secondo Dio e quindi a nutrire la fame, il
bisogno di Dio che ci farà poi individuare il Pane (perché senza questa fame
non si può individuare il Pane). Abbiamo tutta una preparazione determinata da
una situazione negativa, dalla situazione della privazione di Dio, la
situazione della notte, delle tenebre.
Nella notte, nelle
tenebre, ci può essere l’errore della creatura che si appassiona alle tenebre.
Allora qui non abbiamo il profeta, ma abbiamo il peccato.
Eligio: Ma le tenebre non sono l’espressione dell’io
che nega Dio? Non rappresentano sempre il peccato?
Luigi: Il peccato è sempre una cosa personale.
Invece qui, nelle tenebre, abbiamo il volto, la conseguenza del peccato (conseguenza che non è più
personale e che testimonia una privazione di luce). Cioè bisogna
distinguere:
·quando uno si distoglie da Dio e preferisce la
creatura, qui abbiamo la situazione di peccato personale, perché uno si rifiuta
di riconoscere Dio: queste sono le tenebre che non hanno riconosciuto la Luce,
Dio.
·Ma poi nelle tenebre c’è una testimonianza
negativa; cioè colui che rifiuta Dio, ad esempio viene a trovarsi nel dubbio. Il
dubbio è voce delle tenebre. Colui che rifiuta Dio viene a trovarsi nell’inquietudine,
viene a trovarsi nella mancanza di vita, viene a trovarsi a sfiorare la morte,
viene a morire, ma tutte queste cose non sono volute dalla creatura: la creatura le subisce in conseguenza di
un distacco da Dio. E questa è testimonianza negativa delle tenebre.
Quando la creatura dice:
“La mia volontà non conosce ostacoli” (ed è subito smentita), è testimonianza
negativa delle tenebre; ma non che la
creatura voglia positivamente dire: “Voglio glorificare Dio”, però Lo confessa,
Lo testimonia per le conseguenze che subisce e che sono voce delle tenebre.
Giovanni Battista
rappresenta non solo la voce delle tenebre che sospirano e cercano Dio, ma
anche questa voce, la voce di queste tenebre che rifiutano Dio e che
testimoniano anch’esse la privazione di Dio.
Facciamo un esempio:
Niestche diceva: “Dio è morto”, e affermava il super-uomo, l’uomo come centro
di tutto. Ad un certo momento impazzisce e muore pazzo. Abbiamo in lui l’uomo
che dice: “Dio non esiste” (anche se abbiamo testimonianze che l’hanno sentito
dire invece che Dio esiste) e che dice: “L’uomo è il centro di tutto”.
Quindi qui noi dovremmo
vedere la massima espressività dell’uomo grande, del super-uomo, e invece
vediamo l’uomo che impazzisce. La pazzia non è più lui che l’ha voluta, però è
la testimonianza delle tenebre. Quali tenebre? Dell’uomo che dice: “Dio non
esiste”. Le sue tenebre, la sua pazzia glorificano Dio.
Ecco, l’uomo che cerca la
vita, ma non la cerca dove la vita è (cioè non la cerca nel Verbo) e che muore
nonostante non voglia morire, con la sua morte glorifica Dio. L’uomo con il
suo errore glorifica ancora il Signore, perché Dio trae gloria “anche là
dove non ha seminato” (Mt 25,24-26), anche dalle testimonianze negative.
Per cui tutto è positivo
per il Signore. Lui trae gloria da tutto; trae gloria da coloro che Lo
conoscono, da coloro che Lo cercano e da coloro che si rifiutano di conoscerlo.
Per cui chi ha messo Dio al centro, riceve testimonianza non soltanto dai
buoni, ma anche dai cattivi, perché tutti glorificano e testimoniano Dio. In
coloro che Lo conoscono abbiamo la testimonianza positiva; in coloro che Lo
cercano o Lo rifiutano abbiamo la testimonianza negativa.
Allora la voce di
tutta questa parte negativa sia di chi cerca Dio e sia di chi nega Dio è
sintetizzata in Giovanni Battista.
Pinuccia B.: Ma c’è differenza tra la gloria che riceve Dio da uno che
Lo conosce e da uno che Lo cerca o lo nega?
Luigi: Certo, è molto diverso.
Pinuccia B.: Però tanto uno come l’altro, essendo creature, sono
tenebra, per cui anche chi conosce Dio
rende una testimonianza negativa, perché anche lui, come Giovanni Battista
dice: “Io non sono Dio, io non sono la luce”.
Luigi: No, perché il più piccolo del Regno di Dio
parla di Dio e glorifica Dio, non parla di sé. È testimonianza positiva. È la
creatura che è ancora nelle tenebre che dice: “Io non sono Dio” e che è quindi
testimonianza negativa.
Pinuccia B.: Però anche chi afferma Dio, muore o può impazzire.
Luigi: Certo, è come Gesù, Figlio di Dio, che muore
sulla Croce; ma c’è un messaggio tutto particolare di questa innocenza che
soffre, di questo Uomo che si mette nelle mani di coloro che lo mandano a
morte: muore per salvarci, e morendo
glorifica Dio compiendo la sua Volontà. Così è per la creatura che è figlia di
Dio, cioè che nasce da Dio, che appartiene al Regno di Dio: essa parla di Dio, dà la possibilità di conoscere
Dio, glorifica Dio.
La creatura invece che è
figlia di donna, cioè che appartiene al mondo naturale, sospira Dio. Ecco la
diversità: per cui le tenebre sospirano il sole, il giorno; quelle che ormai
appartengono al giorno, parlano del giorno, glorificano il giorno.
Eligio: Chi appartiene al mondo naturale non mi pare
che sospiri Dio, bensì il mondo che ha per centro il suo io.
Luigi: Sì, perché lì abbiamo la situazione di
peccato…. Però in questa creatura che sbaglia, che è presa dal peccato, che
segue il “principe di questo mondo”, si verificano certe situazioni non volute
dalla creatura; la creatura stessa, sbagliando, prende una cantonata, ma la
cantonata glorifica Dio.
Eligio: Pensavo che
la creatura che glorifica Dio nella sua esperienza negativa, non
fosse più la creatura che rifiuta Dio e
mette il suo io al centro, ma quella che, pur volendo mettere Dio al centro,
sbaglia, per cui è il suo stato di
debolezza che conferma la gloria di Dio.
Luigi: Ma anche la creatura che mette il suo io al
centro, che fa il peccato, glorifica Dio. Facendo peccato (cerca, ad esempio,
la sua felicità nella ricchezza), cercando la ricchezza, viene a trovarsi in
una situazione tale di conflittualità, di agitazione, per cui rende gloria a
Dio anche se non lo sa. Non lo sa, perché per vederlo dovrebbe essere nella
Luce.
Eligio: Diversa però è la situazione del Battista,
che tu dici essere nelle tenebre, cosa che stento a capire…
Luigi: Giovanni Battista è nelle tenebre,
perché appartiene all’Antico Testamento e l’Antico Testamento è immerso nelle
tenebre. Egli sospira la Luce e dice: “Io
non sono la Luce”. Egli viene a rendere testimonianza che la Luce è un
Altro. Ora se non è la Luce, vuol dire che è tenebra. In lui però non abbiamo
l’uomo orgoglioso che rifiuta.
Essendo tenebra, Giovanni
Battista raccoglie:
·la voce delle tenebre che sospirano la luce (e dà voce a questa voce)
·e anche la voce delle tenebre che rifiutano
la luce e che rendono anch’esse testimonianza alla luce.
Questa duplice
testimonianza negativa è raccolta dai profeti. Ma i profeti non raccolgono quella positiva, perché quella positiva è
data solo dai figli di Dio, da coloro che hanno trovato Dio.
Pinuccia B.: Ma Giovanni Battista è colui che cerca Dio…
Luigi: Chi cerca Dio è ancora nelle tenebre e quindi
è testimonianza negativa. Chi invece non cerca Dio, non è lui che dà
testimonianza negativa, perché è nel peccato. Cioè qui non abbiamo la creatura
che rende testimonianza negativa, ma abbiamo Dio che prende testimonianza anche
dal peccato, anche dal demonio; perché l’uomo peccatore che viene a trovarsi in
situazione stressante, in situazione di morte o di vuoto interiore, glorifica
Dio; non vuole glorificare Dio, ma Lo glorifica, perché Dio trae gloria da
tutto e da tutti.
Ora, Giovanni Battista,
essendo tenebra e non luce, raccoglie la
voce, la testimonianza di costoro e anche quella di chi sospira Dio (perché è
lui stesso che sospira Dio).
Angelo B.: Quindi tra situazione di tenebre e peccato c’è differenza?
Luigi: La situazione di tenebra di per sé non è
peccato. Diventa peccato quando le tenebre non sospirano più la luce, ma
affermano di vedere, di essere loro stesse la luce.
Il peccato è personale ed
è tenebra perché è opposizione a Dio. Ma le conseguenze di questo (dubbi,
inquietudini, ecc.) sono opera di Dio, per cui abbiamo la testimonianza anche di queste tenebre che
rifiutano Dio, che sono nel peccato.
Cioè, se dico: “Non voglio saperne di Dio”, la mia situazione di tenebra è una situazione di peccato, per cui dicendo
questo, ad esempio, mi rovino; però la mia rovina glorifica Dio, e questa è la
testimonianza delle tenebre che rifiutano Dio: cioè testimoniano che la vita
è solo in Dio.
Un altro esempio: ho
fame, mi si offre un pezzo di pane; rifiuto il pane: muoio di fame. La mia
morte di fame rende testimonianza che quello era il pane che avrei dovuto
mangiare.
Il peccato sta nel
rifiuto. La morte che ne consegue, testimonia la validità del pane. Ecco
la distinzione tra il peccato e la testimonianza che Dio trae dalle conseguenze
del peccato.
La morte è la conseguenza
del peccato. Nelle conseguenze
del peccato Dio opera ancora per cercare di recuperarci alla salvezza (ad
esempio facendoci morire). All’inizio “Dio non creò la morte, la morte entrò
in conseguenza del peccato” (Sap 2,23-24). Noi possiamo dire: “Dio ci ha
puniti”. No! La morte che Dio ha mandato in conseguenza del peccato è atto
di misericordia di Dio per salvare l’uomo attraverso il suo peccato.
Ines: Ma se muore, è finito…
Luigi: Non è finito, perché l’uomo si accorge di
morire. Attraverso il processo della morte Dio, sotto un certo aspetto, fa
violenza sull’uomo per cercare di salvarlo (quindi è un atto di misericordia).
Ora, sotto l’aspetto morte noi mettiamo tante cose: il vuoto dell’anima, i
dubbi, la confusione, le incertezze, i problemi del mondo, la testa che fuma,
ecc.; tutte queste cose assieme sono sotto il segno della morte.
Ines: E queste esperienze denunciano il bisogno di
Dio, quindi testimoniano Dio.
Luigi: Certo, perché il peccato è solo interiore.
Tutto quello che viene in conseguenza di questo peccato è opera di Dio. S.
Agostino chiede perdono al Signore per tutte le colpe non fatte, perché Dio
gliele ha impedite di fare, ma lui è colpevole di tutte. Perché dal
momento in cui ci stacchiamo da Dio, in potenza abbiamo già commesso tutti i
peccati del mondo, tutti i delitti, perché staccandoci da Dio noi diventiamo
delitto, e se Dio ci mette nell’occasione, noi facciamo il delitto.
Staccati da Dio,
implicitamente noi abbiamo già fatto tutti i mali e dobbiamo arrivare a
riconoscerlo. Non possiamo dire: “Io non l’ho fatto”, perché è solo Dio che ti
ha impedito di farlo, se no tu l’avresti fatto.
Quindi non dobbiamo mai
vantarci, perché noi implicitamente, in quanto mettiamo il nostro io al centro
e quindi trascuriamo Dio, immediatamente ci carichiamo di tutti i peccati del
mondo:
·se non li facciamo è solo perché Dio ce lo
impedisce, evitandoci certe occasioni;
·se li facciamo è Dio che ce li fa fare, e ce
li fa fare per atto di misericordia, per farci toccare con mano: “Vedi a che
punto sei?”. A che punto sei interiormente!
Quindi il peccato è
interiore, è il distacco da Dio, ma l’azione esterna è atto di misericordia di
Dio, opera di Dio, quindi parola di Dio. Ad esempio: Mi distacco da Dio, e ad
un certo momento Dio mi fa uccidere una persona. Chi lo avrebbe mai pensato?
Eppure ho ucciso! Questo fatto è parola di Dio per dire a me: “Vedi quello che
portavi dentro e non ti rendevi conto? Adesso hai toccato con mano”. Ecco, questo
farci toccare con mano è un atto di misericordia di Dio. Ed è la sintesi della
crocifissione del Cristo. L’uomo ha già ucciso Dio dentro di sé, ma non lo
sa.
Infatti quando Gesù dice
ai Farisei: “Voi cercate di uccidermi”, essi risposero: “Tu hai un demonio. Chi
cerca di ucciderti?” (Gv 7, 20). E Gesù spiega: “Voi cercate di
uccidermi, perché le mie parole non penetrano in voi” (Gv 8,37); “Voi
avete un altro padre, il demonio, il delitto” (Gv 8,44). All’ultimo chi ha
avuto ragione è stato Gesù: L’hanno ucciso. Ma quando aveva detto: “Voi
cercate di uccidermi”, non lo pensavano nemmeno, inizialmente non era
intenzione loro di ucciderlo; non si rendevano conto che già L’avevano ucciso
dentro di sé.
Ma Gesù che vede il loro
animo, dice: “In quanto non potete sopportare il mio parlare, non accogliete
le mie parole, voi mi avete già ucciso
dentro”. L’uomo però non si rende conto, perché fintanto che il fatto
avviene soltanto spiritualmente l’uomo non lo percepisce; l’uomo non percepisce
i fatti dell’anima. Per percepirli, ha bisogno di esteriorizzarli. Ma l’esteriorizzazione
è opera di Dio, opera della misericordia di Dio che gli fa toccare con mano
questo delitto e gli fa mettere in Croce
suo Figlio (ecco il Figlio dell’uomo!), affinché l’uomo tocchi con mano il
delitto che porta dentro.
Quindi bisogna
distinguere:
·il peccato è dentro;
·la testimonianza delle tenebre, il fatto che
avviene nell’esterno, è la significazione di questo peccato interiore, di
quello che è. E qui allora abbiamo la creatura che, anche a sua insaputa,
testimonia, e quindi glorifica il Signore attraverso le conseguenze esterne.
Pinuccia B.: Hai detto che io non devo giudicare la creatura che
uccide, perché magari è un angelo che Dio adopera per dare una lezione a me. Ma
allora, se è un angelo, posso ancora pensare che Dio gli ha fatto compiere
l’uccisione esterna come opera di misericordia per dirgli: “Guarda, tocca con
mano quello che hai dentro”?
Luigi: Noi non possiamo mai
giudicare, ma dobbiamo solo cercare di capire la lezione che Dio ci vuol dare.
Infatti dobbiamo sempre distinguere
tra quello che si presenta a noi e quello che facciamo noi. SEMPRE! Tutto
quello che si presenta a noi, quindi che non dipende da noi, è opera di Dio; è
opera angelica. Non possiamo giudicare. Anche Giuda può essere un angelo, non
possiamo giudicarlo, ma possiamo e dobbiamo dire: “È opera di Dio, opera
angelica, perché in quanto è avvenuto, non è opera mia, è avvenuto per mano di
Dio”. È scena, è lezione di Dio che Dio ci presenta per dirci: “Guarda che tu
puoi essere un Giuda, tu puoi essere un assassino…”. Quindi non possiamo
giudicare la persona (neppure la Chiesa può dire che Giuda è all’inferno: non
può giudicare! Perché il giudizio è del Signore). Quello è lezione di Dio.
Dobbiamo sempre
distinguere, mai confondere; altrimenti noi vediamo solo più il nostro io, l’io
dell’altro e allora diciamo: “È mio fratello che mi pesta il piede”, non dico
più: “È Dio che mi pesta il piede”. Tutto ciò che non dipende da noi, anche se
noi siamo i più grandi delinquenti di questo mondo, è opera di Dio per noi;
quindi tutto ciò che accade è scena per noi personalmente, e anche se è
avvenuta cinque miliardi di anni fa, non importa. Quindi in quanto mi arriva è
opera di Dio, è scena per me; mi arriva, quindi è Dio che me la fa giungere. In
quanto me la fa giungere, do una risposta.
Anche l’indifferenza è
una risposta, per cui anche se diciamo: “È avvenuta un miliardo di anni fa, non
mi interessa”, abbiamo dato un giudizio e lì diventiamo responsabili: non
abbiamo tenuto conto che era Dio che ce la faceva giungere da distanze
lontanissime, con un suo messaggio “per me”.
Se invece teniamo
presente Dio, diciamo: “Guarda Dio come è grande: da una distanza lontanissima
mi fa giungere questo messaggio: lo devo tenere molto prezioso”.
Quindi se siamo
indifferenti è perché abbiamo già trascurato Dio.
Se teniamo presente Dio
consideriamo seriamente quello che ci giunge, anche se proviene da distanze
immense di tempo e di spazio. In quanto ci giunge, è Dio che ce lo fa giungere
e va considerato seriamente: lì sta la fede, ciò che caratterizza la fede.
Chi ha fede considera
seriamente ciò che Dio gli presenta, gli fa giungere, perché è Dio che parla! (ed è ancora Dio che ci dà la capacità di percepire quel
fatto che arriva a noi). Chi non ha fede invece prende a calci le cose... o
sbuffa e butta via.
Dobbiamo dunque sempre
stare attenti a distinguere tutto quello che non dipende da noi da ciò che
dipende da noi:
-1) Quello che non
dipende da noi reca sempre con sé la mano di Dio, ed è segno “per me” : è opera
di Dio, è opera angelica. Quindi in sé può benissimo essere un angelo. È un
annuncio, una parola di Dio che giunge a noi. Allora noi non dobbiamo mai
giudicare, ma dobbiamo cercare:
·prima di tutto di accogliere il fatto da Dio,
·quindi non attribuirlo al fratello, non urtarci col fratello o entrare in lite,
perché è Dio che ci ha fatto arrivare questo;
·poi desiderare di cercare di capire il significato, la
lezione che Dio ci ha voluto dare in quell’episodio; perché in quanto Dio fa
giungere a noi un messaggio, questo ha un significato personale, sempre! perché
Dio ci tratta personalmente.
Quindi la prima lezione è
accettare da Dio, perché se non accettiamo da Dio l’attribuiamo agli altri, al
caso, alle cause naturali, agli uomini, ecc., e questo naturalmente ci involge
nella matassa e ci porta lontano da Dio.
Quello che non dipende da
noi, anche se provocato da altri, è lezione di Dio per noi. Per esempio, se uno
è condannato ai lavori forzati, in carcere, ecc., non possiamo dire: “È colpa
sua, gli sta bene”. No, ma dobbiamo dire: “È colpa mia, lui sta soffrendo ciò
che merito io”.
Invece in quello che
dipende da noi, dobbiamo stare molto attenti in modo che parta dal Pensiero di
Dio e non dall’io.
Eligio: Mi è più facile capire l’opera di Dio per me
se uno mi pesta un piede che non in ciò che succede lontano da me. Stasera, ad
esempio, ho letto qualcosa sugli atti del processo di Norimberga, ma come si fa
a dire con sincerità: “Sono anch’io colpevole di quello”? Come possiamo
considerarci colpevoli dei grandi delitti lontani, di ciò che leggiamo sui
giornali?
Luigi: Eppure se noi
teniamo presente Dio, lo possiamo dire con sincerità. Anche perché se
stasera leggo una notizia, ad esempio di un omicidio, non sono io che l’ho
letta, ma è Dio che mi ha guidato e mi ha fatto leggere quella notizia, è Lui
che me l’ha messa davanti. E se me l’ha messa davanti, aveva un messaggio
tutto particolare da farmi considerare.
Eligio: Rispetto a ciò che si diceva prima, è proprio
vero che non posso dire che in quelle condizioni io quello non l’avrei fatto.
No, anzi devo dire: io avrei fatto
peggio.
Luigi: Ecco perché Gesù ci dice: “Quand’anche
aveste fatto tutto quanto dovevate, dite sempre: siamo servi inutili. Mettiti
sempre all’ultimo posto. E quando sei invitato a nozze, non metterti mai
al primo posto” (Lc 17,10; Lc 14,10). Quindi la condizione nostra onesta,
giusta, è sempre quella dell’ultimo peccatore: “Signore, io non sono degno”
(Lc 7,7), anche se non hai fatto niente, anche se sei invitato a nozze; perché
il Signore ti può sempre dire: “Guarda che se Io ti avessi messo in
quell’occasione avresti fatto questo e quell’altro…, perché eri nel pensiero
del tuo io”.
Quindi la posizione vera
è quella dell’ultimo posto. Sarà il Signore che magari ti dirà: “Sali più su…”,
ma tu mettiti all’ultimo posto, sempre. Quindi è la posizione del dubbio, come
dicevamo la volta scorsa: non bisogna mai essere troppo sicuri, perché il
giudizio deve essere di Dio.
Eligio: Quello che è difficile è sentirmi colpevole
di questa programmazione di delitti, così come è emersa da quanto ho letto
stasera.
Luigi: Eppure ogni cosa che accade, accade
personalmente per ognuno di noi; chi soffre, soffre per noi, per ognuno di noi.
È Dio che ci sta parlando e che ci vuole
comunicare qualche cosa. Tutta la sofferenza del mondo per capirla bene bisogna
sempre sintetizzarla nella Croce di Cristo. Allora dobbiamo chiederci: perché
Dio ci presenta Cristo in Croce? Per quale motivo? Non è soltanto per
dirci: “ Ti presento la Croce perché tu puoi fare quella fine lì, o sei degno
di fare quella fine lì”, ma: “Lui soffre per te”. Ecco, Lui sta soffrendo per
te! Così ci dice quando ci presenta qualcuno che soffre.
Dio ci presenta la Croce
perché c’è “qualche cosa” da capire, un “qualche cosa” che oltre a rivelarci le
nostre responsabilità, ci propone la soluzione al problema dell’esistenza: il
superamento dell’io per iniziare a vivere per Dio.
Quindi chi ha sofferto e
chi soffre, ha sofferto e soffre per te! La colpa è sempre nostra; in quanto Dio ci presenta una
scena non possiamo mai attribuire la colpa all’attore.
Eligio: Ma potrei astenermi dal giudizio.
Luigi: Ma non basta astenersi dal giudizio, perché
se Dio te lo presenta tu devi intenderlo. Ha una funzione pedagogica.
Eligio: Come dicevo prima: stento enormemente a capire la complicità in un fatto lontano
come spazio e tempo.
Luigi: La complicità passa soltanto attraverso Dio;
perché se Dio mi presenta uno che soffre, proprio in quanto me lo presenta c’è
una relazione di colpa in me: è per me che soffre! perché Dio non mi presenta
uno che soffre per colpe sue, io non posso dirlo, perché alle estreme conseguenze Dio ci presenta
Cristo; certamente Cristo non soffre per colpe sue, questo è certo. Più lontano,
ad esempio, un Hitler che muore, ci
confonde, perché ha delle colpe sue, cioè ha delle apparenze negative: in
lui non si vede quella purezza che si
trova in Cristo. Invece in Cristo si trova quella purezza tale per cui nessuno può dire: “Se lo meritava!”. È qui la
bellezza del Vangelo! Perché il Vangelo è netto, per cui più ci scostiamo dal
Vangelo e più la luce si confonde con le ombre.
Però tutto quello che è
scena noi non possiamo mai giudicarlo, perché ogni creatura è un attore. Quindi in quanto è attore io devo
ricevere la scena su di me, perché è Dio che me la presenta. Ora, in quanto è
Dio che me la presenta, Dio non è colpevole.
Se Dio mi pesta un piede
e io ritengo che sia un uomo ad avermelo pestato, posso inveire contro l’uomo,
perché ritengo sia difettoso e zotico. Ma con Dio no. Per cui se
dico: “Signore, sei Tu che mi hai pestato un piede”, non posso dire: “Tu
sei colpevole”, ma: “La colpa è tutta mia”. Infatti se ritengo sia Dio ad
avermi pestato un piede, sono costretto ad ammettere: “Se Tu mi hai pestato un
piede, certamente una colpa è in me, certamente c’è qualche cosa in me che deve
essere modificato, per cui Tu mi richiami”.
Quindi noi abbiamo:
·Dio che è tutta purezza, tutta Verità, tutta
giustizia, tutta Luce,
·noi che siamo tutta notte
·e poi c’è l’opera di questo Essere tutto
luminoso che sta interferendo con la notte per cercare di liberarci.
Allora, se noi riteniamo
che tutto quello che non dipende da noi è Dio che ce lo fa giungere (perché in
quanto è opera di Dio è Dio che ce la fa giungere), riteniamo che certamente non ce lo fa
giungere per farci giudicare il fatto o la creatura. E allora? Dio è innocente, senz’altro, e allora se ci
presenta una situazione che ci scandalizza, che ci urta, ci sconvolge, è perché
vuol farci capire qualcosa.
Eligio: Può essere un modo per dirci: “Guarda dove
puoi arrivare se sei staccato da Dio”, e fin qui tutto fila liscio.
Luigi: Certo. Però c’è una lezione ulteriore.
È già buono essere convinti di questo, perché in quanto uno accetta la lezione
pedagogica di Dio, fa già un primo passo perché accetta Dio. Altrimenti se uno
non accetta Dio, nel vedere, ad esempio,
uno in carcere, dice: “Gli sta bene” (come mia mamma che dopo aver
ucciso il topo ha detto: “Stavolta l’ho ammazzato! mi mangiava le mele…”. ).
Ma chi dice: “Gli sta bene, è colpa sua”, in fondo si ritiene giusto; però un
giorno scoprirà di essere anche lui colpevole.
Quindi è già un primo
passo accettare l’azione pedagogica di Dio. Ma andiamo più a fondo. Dio ci
dice: “Guarda che tu hai fatto quel delitto”. E il Signore domani
potrebbe dimostrare perfettamente che tutti noi abbiamo fatto ogni genere di
delitto (e nota che la creatura non può dire niente su ciò che Dio dimostra).
Pinuccia B.: Come si può arrivare a dire con sincerità: “Io l’ho
fatto”? È abbastanza facile cogliere la prima lezione e dire: “Guarda dove
posso arrivare se mi stacco da Dio”, oppure: “Se mi fossi trovato nelle stesse
condizioni anch’io avrei fatto lo
stesso..., quindi non devo giudicare”. Ma come si può arrivare a capire con
certezza che io ho fatto quel delitto?
Luigi: È perché l’io staccato da Dio è tutto
delitto. Nota bene: se tu non fai fuori,
è soltanto perché Dio te lo impedisce, ma tu l’hai fatto dentro di te, e
questo Dio te lo può dimostrare, e in quanto te lo può dimostrare, sei servita!
Non possiamo opporre niente alle ragioni di Dio.
Pinuccia B.: Se io non lo faccio è perché Dio…
Luigi: …ti impedisce di farlo. Ora, le occasioni è
Lui che le crea e ce le presenta, per cui
se noi non abbiamo fatto, è soltanto perché Lui ce l’ha impedito. E
quindi, di che cosa ti vanti, o uomo?
Pinuccia B.: Cioè Lui vuole accentrare la nostra attenzione
sull’interno.
Luigi: Abbiamo detto che la giustizia sta nel passaggio
dall’esterno all’interno, per riconoscere che tutto è opera di Dio.
Pinuccia B.: È estremamente liberante questo.
Luigi: Perché l’esterno che noi chiamiamo “male” è
tutto opera di Dio. Ognuno di noi è in dialogo con Dio: è questo ciò che noi
dimentichiamo! Noi siamo sempre di fronte a questo Maestro che continuamente,
tutti i giorni, parla personalmente con noi, e che personalmente, per ognuno di noi, fa tutto
l’universo, tutti gli avvenimenti, per farci giungere quella parolina, quella
notizia di cronaca, quell’episodio particolare, ecc., come lezione di vita, e
questo tutti i giorni sempre per correggere qualche nostro pensiero, una
certa nostra mentalità, ecc.; ma è
sempre Dio che parla personalmente con ognuno di noi. È questo che noi
dimentichiamo!
È quella posizione che
era in principio, per cui tutto è Verbo di Dio, tutto è Parola di Dio; ma
questo Verbo è presso Dio, è con Dio, quindi va sempre collegato con Dio, non
bisogna mai staccarlo da Dio.
Invece noi, anziché
capire le lezioni di Dio, pensiamo a noi stessi, e ci fermiamo al nostro io. E
allora cosa succede? Le conseguenze sono queste: il nostro io è prolifico, per
cui non fa altro che moltiplicarsi in tutti gli esseri, in tutte le creature.
Per cui tutti gli altri sono altrettanti nostri io. Ci siamo fermati lì! Per
cui diciamo: “La verità sono io, la
verità sono gli altri che fanno, mentre Dio è lontanissimo” (se siamo invece
nel Pensiero di Dio vediamo che gli altri sono un riflesso di Dio), ed è finita,
perché ormai siamo nel groviglio di tanti “dèi” che operano, ognuno
autonomamente; per cui diciamo: “Questo è un delinquente, quell’altro è un
ladro, questo è un orgoglioso, ecc.”. Li classifichiamo, ma sono tutti soltanto
volti del nostro io.
Quando saremo di fronte
alla Verità ci sentiremo dire: “Cos’hai fatto tu? Non hai fatto altro che
moltiplicare gli specchi intorno a te! Tu credevi che fossero gli uomini, ma
ero Io…”. E come mai vedevi gli uomini? Perché vedevi te stesso!”. È tutto lì!
Era il nostro io che si rifletteva negli specchi. Ma noi non dobbiamo
riflettere noi stessi sulle creature, noi dobbiamo riflettere Dio! Ecco
l’errore! Per cui noi facciamo un errore madornale credendo che siano gli
uomini, perché invece è Dio che opera. E l’errore madornale deriva dal
fatto che noi riflettiamo il nostro io negli specchi. Succede questo perché
pensiamo a noi.
Pinuccia B.: Tenendo presente che è Dio che opera tutto, allora non
dobbiamo più permetterci neppure una parola di critica, ecc., neppure un
giudizio, neppure interiormente, quindi non dobbiamo più dire niente? …nemmeno
correggere?
Luigi: Gesù dice: “Se uno ti dà uno schiaffo
sulla guancia, tu porgigli l’altra; non litigare per l’abito, cedigli la
tunica…” (Lc 6,29). E come lo giustifica questo? Appunto soltanto perché è
lezione di Dio! Ma guardate che liberazione è quella!
Ti ricordi, Eligio, nel ’48 – ’49, quindi nei primi anni, quando
volevamo iniziare una specie di piccola comunità religiosa? Uno dei voti era il
voto di assenza di critica: perché bisognava accettare tutto dalle mani di Dio.
Pinuccia B.: Ma se si accetta tutto da Dio, allora anche quando uno ci
offende od offende un’altra persona, non si deve dire niente?
Luigi: Soltanto nel caso di un’offesa, ma di “vera offesa”
(l’unica che è considerata da Gesù come offesa: il distogliere dal fine),
allora è contemplato il “riprendere il fratello”.
Infatti Dio può mandarmi
un fratello a scandalizzarmi e a dirmi: “Cosa stai lì a cercare Dio!”. È Dio
che lo manda, ma mandandomelo, se sto attento, mi mette anche in tasca il
consiglio da dare per orientare il fratello al vero fine: questa è la vera e
unica correzione da farsi.
Ma se invece ti offende
nell’orgoglio, questo non è peccato da correggere, anzi, se il fratello ti pesta
un piede, quello è una gioia, è un atto liberatore, perché il vero peccato, la
vera offesa è deviarmi dal fine. Infatti Gesù dice di correggere solo se tuo
fratello ha peccato contro di te (“Se il tuo fratello commette una colpa
contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai
guadagnato il tuo fratello” - Mt 18,15).
Noi in genere intendiamo
il peccato contro noi stessi, per esempio, il furto: se il fratello mi ha
rubato qualcosa. E invece no, perché Gesù dice: “Se tuo fratello vuole
portarti via qualche cosa, tu lasciagli portare via più di quello che egli
vuole; se tuo fratello vuol costringerti
a fare 100 miglia, tu fanne con lui 200; se tuo fratello ti dà uno schiaffo su
una guancia, tu porgigli l’altra”. Quindi non sono queste le offese che Lui
contempla quando dice: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, riprendilo”.
Queste offese non sono peccato contro di te, ma sono grazia che manda il
Signore.
Il peccato contro il
fratello c’è quando lo si vuole deviare dal fine. È lo scandalo perché l’uomo è
stato creato per Dio, la sua vita è Dio. Quindi se un fratello ti dice: “No, la
tua vita sta nei soldi, la tua vita sta nella gloria, ecc., ciò che tu cerchi è
un’illusione, un sogno…”, ecco qui abbiamo il peccato, la deviazione. Se
ubbidisci, ad un certo momento troverai la morte, ti troverai soffocato,
involto nelle crisi, nelle lotte… ti
mancherà Dio, ti mancherà la vita. E allora quando poi ti accorgerai che
l’anima è morta, allora dirai: “Maledetto quell’incontro in cui… perché ho
ubbidito al peccato”.
Ma se non gli ubbidisci, devi però riprenderlo,
perché se non lo riprendi, lo confermi nella sua posizione. Ecco, è in questo
senso che Gesù ci dice: “Se tuo fratello ha peccato contro di te,
riprendilo”.
E invece quando Gesù
dice: “Se tuo fratello ti dà uno schiaffo…”, non dice: “Va’ e riprendilo”, ma dice: “…porgi
l’altra guancia”. E ancora: “Non richiedere il tuo a chi te lo toglie”.
È per dirci che non dobbiamo mettere nella classe dei peccati chi ci toglie
qualcosa, perché anzi, in quanto ce lo toglie, ci libera. Dobbiamo vedere in
lui la mano di Dio che ci porta via
magari qualcosa a cui siamo attaccati, che ci invita a superarci; quindi è
grazia di Dio.
Ma se invece tuo fratello
pecca contro la tua vita, in quanto ti vuol deviare, allora lì aiutalo.
L’importante è intendere
qual è la vera offesa, il vero peccato contro l’uomo, per capire quale deve
essere la nostra risposta.
Se invece uno ti porta
via il portafoglio, e tu inveisci contro di lui dicendogli: “Sei un ladrone”,
questo ti dimostra che sei nel pensiero dell’io e quanto sei lontano dal vero
insegnamento di Dio. Infatti il peccato è uno solo: distoglierci o distogliere
da Dio, perché la vita è Dio.
S. Agostino afferma:
“L’essenza del peccato sta nell’allontanamento da Dio e nella conversione alla
creatura”. Ecco la deviazione dal fine! Quindi il peccato è nettamente
interiore, personale; ed è l’unico caso in cui non solo possiamo, ma dobbiamo
dare un consiglio. È nostro dovere orientare il fratello verso il vero fine,
perché è la vera carità, è un atto d’amore, ma non ci deve essere il nostro io.
Pinuccia B.: Questo modo di vedere le cose rivoluziona veramente la
vita.
Luigi: Magari fosse una rivoluzione!
Angelo B.: Da soli non ce la facciamo. Abbiamo bisogno
della grazia di Dio.
Luigi: Per accogliere la grazia di Dio bisogna farci
piccoli e far conto su di Lui. È la condizione. Il Signore dice: “Se non
diventerete piccoli, non potrete entrare nel Regno dei Cieli” (Mt 18,3). Diventar
piccoli: è lì il punto di entrata; ed entrare nel Regno è entrare in un
mondo nuovo: cieli nuovi e terra nuova.
Pinuccia B.: La porta però è veramente stretta.
Luigi: Se ci costa è perché amiamo il “mondo
antico”, ed è segno che ci sta ancora a cuore il pensiero dell’io.
Angelo B.: Quindi per vivere come ci dice il Signore, se
uno ci deruba noi non dobbiamo reagire.
Luigi: Certo, perché reagendo, confermiamo l’altro,
gli diamo ragione. Infatti se per esempio mi derubano e io reclamo i soldi,
confermo il mio fratello nel suo errore: ritenere che il denaro è una cosa
importante.
Pinuccia B.: Se una persona compie un atto di maleducazione e provoca
un’umiliazione, se io reagisco, non mi sembra di confermarla in qualche errore.
Luigi: Sì, la confermi, per esempio, nell’importanza
del nostro io, del nostro orgoglio. Invece se lo accettiamo da Dio, lo
aiutiamo. Guarda che le più grandi
lezioni di amore verso i fratelli sono proprio quelle di accettare di seguire il Vangelo. È il più
grande atto di amore che possiamo fare per noi e anche per gli altri.
Altrimenti li confermiamo nel loro errore. Infatti il più delle volte, quando riprendiamo il
fratello, crediamo di correggerlo, in realtà noi, reagendo secondo il nostro
io, lo induciamo a pensare a se stesso,
confermando l’importanza dell’io.
Eligio: Proprio perché il suo atto di scortesia viene
fatto nel pensiero del suo io; quindi, io reagendo col mio io, lo confermo nel
suo io. Se discuto o litigo per motivi
banali, non solo devio io, ma esalto
anche la passione sbagliata dell’altro, perché il mio modo di vedere le cose
entra in conflitto con quello dell’altro… e allora…
Luigi: …è finita. Ma per superarsi, tacere e capire
la lezione, bisogna tener presente Dio Creatore, accogliendo la cosa da Lui.
Ines: Ma quando si tratta di figli, se un figlio fa
un atto di maleducazione, un padre o una madre dovrà pur correggerlo, no?
Luigi: Nell’educazione dei figli l’importante è
sempre tener presente Dio e allora se io sono convinto che mi lascio guidare
dall’amore di Dio, allora posso agire come mi suggerisce lo Spirito. Per
esempio: se il figlio risponde male di fronte ad altri, il padre lo deve
correggere, ma con carità; cioè non perché così facendo ha offeso il papà, ma
perché non fa una cosa secondo Dio.
Un padre per non
sbagliare nel correggere il proprio figlio che, per esempio, ha preso di
nascosto del denaro, deve essere ben
convinto che il figlio capisca che parla non perché lui è avido di denaro o
perché è orgoglioso, ma per un atto d’amore.
Infatti se il figlio ruba
del denaro, testimonia che gli sta a cuore il denaro, quindi dietro questo
furto c’è una denuncia di un aspetto deviante da Dio: rivela che non ha messo
Dio prima di tutto e prima del denaro perché se
arriva a rubare del denaro è perché lo ritiene molto importante. Ecco,
qui il padre deve stare molto attento, in modo che non si riveli la passione
per il denaro, ma che si riveli l’amore per Dio. Se uno parla secondo lo
Spirito di Dio può dire tutto quello che vuole, ma deve essere lo Spirito di Dio
che parla. Ecco, se uno parla secondo lo Spirito di Dio, allora aiuta l’altro a
convertirsi. Ci sono stati santi che sotto la minaccia di essere uccisi hanno
convertito il loro assassino abbracciandolo. Se l’altro non vede una resistenza
dovuta al timore di essere ucciso, ma vede l’amore di Dio, da delinquente
diventa un amante, un fratello.
Eligio: Se io vedo il mio io offeso da una cattiva
risposta, se è il mio che reagisce, do una cattiva testimonianza al figlio:
testimonio l’io.
Luigi: In tal caso la reazione del figlio sarà
questa: dirà: “Se mio padre reagisce così, perché è padre ed ha autorità, farò
così anch’io quando sarò grande o quando sarò offeso”.
Pinuccia B.: Ma si può arrivare a fare delle osservazioni senza che ci
sia niente dell’io; se non si è in grado, è doveroso tacere.
Luigi: Certo, se non siamo sicuri che è lo Spirito
di Dio e quindi lo Spirito d’Amore che ci guida, non dobbiamo muoverci. Non
dobbiamo muoverci quando avvertiamo che c’è il nostro io che parla. Dobbiamo tacere,
perché i figli di Dio non possono far niente se non sono mossi da Dio. Per cui,
anche se si ha solo il sospetto che ci sia il proprio io in mezzo, bisogna
tacere. È molto meglio che l’altro comandi…
Eligio: In certi casi
è molto più efficace il silenzio, però non è facile dominare le reazioni
immediate.
Angelo B.: Eh già, come per esempio, quando il
registratore non funziona, non è facile non arrabbiarsi… e possono uscire delle
parolacce…
Luigi: Questo succede se non vedi che è Dio che non
ti fa andare avanti il registratore. Ma
se tutto quello che accade lo accogliamo dalle mani di Dio, sono lezioni
meravigliose… (perfino le bestemmie sono lezioni stupende che Dio ci fa
arrivare se noi le accogliamo nel Suo Spirito; infatti il male non sta nella
parola che uno dice: il male era già dentro, in quanto uno non pensava al
Signore).
Angelo B.: A volte mi capita di dire parole non secondo
lo Spirito…
Luigi: Eppure il male non è nella parola che tu hai
detto, ma il male era già dentro di te, in quanto non pensavi al Signore. Tu
pensa che come ti ha fatto dire quella parola, Lui domani può farti compiere un
delitto. È per questo che noi dobbiamo sempre ritenerci colpevoli di tutti i
delitti…
Ines: È vero che se si accoglie tutto da Dio si
ricevono delle belle lezioni. Ad esempio, mi viene in mente quella bambina che
dice alla mamma che sgridava lei e il fratello perché chiacchieravano in
Chiesa: “Tu, mamma, continui a richiamarci perché la gente dica: guarda che
brava mamma…”. E la mamma ha taciuto e incassato.
Luigi: Certo, chi ha presente Dio ascolta ed impara
la lezione che Dio gli dà attraverso i figli.
Dai bambini escono fuori certe verità… Se abbiamo presente Dio diciamo:
“È Dio che ce li ha mandati a dire questo”. Ecco, qui arriviamo a vedere
l’opera angelica, perché tra i bambini e gli angeli non c’è differenza. Ma
tutto è opera di Dio, opera angelica. Dobbiamo prendere su di noi queste
lezioni e ringraziare ancora il
Signore perché si interessa ancora di noi, perché guai al giorno in cui Lui
non ci mandasse più i suoi richiami! Sarebbe un guaio, perché saremmo
dimenticati.
Prologo Capitolo uno Vangelo di San Giovanni. Terzo Tema.
Titolo: I
primi tre punti fermi del prologo.
Argomenti: Tutto è opera di Dio. La luce rifiuta la Luce. La nientificazione.
Mantenere unita l’opera di Dio con Dio. La nostra vita
è nella Luce. La fede è desiderio.
16/Gennaio/1976
Pensieri del pre – incontro.:
Emma D.: Le tappe del cammino verso Dio, che abbiamo
visto la volta scorsa nelle cinque scene del Prologo, è Dio che ce le fa
percorrere, se siamo attenti a Lui, vero? Altrimenti a noi non sarebbe possibile.
Luigi: Sì,
certo, da soli non possiamo, ma con Dio sì. Tutte queste tappe si percorrono
assimilando le parole del Cristo.
Emma D.: Sì, ma proprio riguardo a questo volevo
chiedere una cosa (anche se forse è una sciocchezza, non so): volevo sapere se
anche le altre religioni possono aiutare a raggiungere la meta e, per chi è già
cristiano, se basta ascoltare il
Sacerdote dal momento che Gesù ha detto: “Chi ascolta voi, ascolta Me”.
Luigi: Tutto è opera di Dio, quindi tutto e tutti
sono di aiuto per portare l’anima a fare
la giustizia essenziale, cioè a mettere Dio al centro dei suoi pensieri (ed è
un po’ l’argomento su cui la volta scorsa ci siamo soffermati in particolare), per cui tutto e tutti ci
convogliano al Cristo, perché solo Lui, il Verbo Incarnato, conosce il Padre e
può quindi farci conoscere il Padre, attraverso le sue parole.
Infatti è assimilando le
parole del Cristo, soprattutto certe sue parole che solo Lui può dire, che si
percorre il cammino fino alla conoscenza di Dio; soltanto se le raccogliamo e le capiamo,
queste parole ci fanno fare quel tratto di strada fino a quel termine che é
caratterizzato da questa luce: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv
10,30).
Tutte le parole del
Cristo, e anche tutti gli avvenimenti, fanno tutta la strada che ci porta alla
Pentecoste, alla vita vera. Tutte! Se ne
raccogliamo poche, facciamo solo un tratto di strada (ciò che noi trascuriamo
resta un tratto di strada saltato e non possiamo più proseguire). È necessario
che le raccogliamo tutte.
Ci sono parole che tanti
altri possono dire e ci sono parole che Lui solo può dire (perché entra in
gioco il suo Io, la coscienza di ciò che Egli è), parole che Lui dice a noi e
che noi dobbiamo raccogliere da Lui e con Lui, perché solo raccogliendole facciamo quel tratto di strada che ci conduce
al Padre.
Quando Gesù dice: "Adesso
vado a prepararvi un posto, ma ci rivedremo di nuovo” (Gv 14,2-3), solo Lui
lo può dire; nessuna creatura può dire questo. Tutte le creature ci possono
dire: “Beati i poveri…” (Mt 5,3), ed entrano nel processo del Cristo e
ci convogliano al Cristo; cioè tutte le creature ci possono invitare alla
semplicità, all'umiltà; ma noi non troveremo nessuna creatura che ad un certo momento dica: “Vi vedrò di
nuovo, …Io vado a prepararvi un posto”, “Io e il Padre siamo una cosa sola”,
e ancora: "Quando ci rivedremo la vostra gioia sarà completa…” (cf
Gv 15,11). Solo Lui può dire queste parole!
Quindi tutte le cose ci
conducono a Lui, però è necessario
che noi troviamo Lui e che troviamo in Lui quella realtà sensibile che ci
sostenga e ci porti a Dio, cioè è necessario che noi ci appoggiamo su di Lui,
su ciò che Egli dice.
Non importa che Lui sia
vissuto duemila anni fa, perché il nostro spirito, la nostra anima, supera i
limiti di spazio e di tempo, non é condizionato. Due persone vicinissime come
tempo e come spazio possono essere lontanissime come spirito; questo ci
dimostra che due persone lontanissime come spazio e come tempo, possono essere
vicinissime quando hanno affinità di pensiero.
Per cui noi e il Cristo
storico possiamo essere vicinissimi, ma solo se c’è in noi lo stesso interesse
che è in Lui.
Quindi l’importante è che
in noi si formi quella sintonia d'onda, quella affinità di pensiero, quello
stesso spirito che c'è nel Cristo, in modo da poter dire anche noi con le
guardie: "Nessun uomo ha mai parlato come Lui" (Gv 7,46),
perché solo se c’è affinità di pensiero si coglie la singolarità del suo
parlare.
Le sue parole sono
caratteristiche al punto tale che non c'è nessuna creatura che le possa
ripetere. Tante parole le possono dire: ma certe parole (ad es.: Io e il
Padre siano Uno) no, solo Lui le può
dire, perché si identifica col Padre.
Ora, non c'è nessuna
creatura che possa usare un certo linguaggio, come ad esempio quando dice: "Io
sono la Verità!" (Gv 14,6). Non
troveremo nessuna creatura, a meno che non sia pazza, che dica: “Io sono la
Verità”; perché il giorno dopo sarebbe subito smentita. Cristo invece non é
smentito, ecco la sua importanza!
Per cui tutte le creature
ci devono aiutare ad avvicinarci a Lui, a scoprire Lui, ecc., ma poi noi ci
dobbiamo appoggiare su di Lui: quella é realtà sensibile che ci sgancia e ci
libera dalle altre presenze e realtà sensibili.
La Sua é una realtà
sensibile per cui dobbiamo sempre,
tutti i giorni, trovare il tempo per raccoglierci in Lui, per meditare
su qualche sua parola, sapendo che ogni sua parola meditata e capita è un
tratto di strada fatto con Lui verso la meta alla quale Lui ci vuole condurre,
e questo avviene perché le sue parole ci purificano, ci liberano da tutti i
condizionamenti del mondo e ci fanno camminare verso la Verità “Sarete veri
miei discepoli, se resterete nelle mie parole; restando nelle mie parole
giungerete alla Verità e la Verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32).
Come vedi c'è un
linguaggio che nessuna creatura può ripetere, o meglio lo può ripetere ma in
nome Suo, precisando: “È Lui che ha detto quello!”. Non si può mettere
sull'altare nessuno al posto di Lui. Infatti Egli dice: “Nessuno può venire
al Padre se non per mezzo di Me”: ecco,
è quel Me al quale noi ci dobbiamo riferire e unire, perché è
per mezzo di Gesù che si può arrivare a conoscere Dio. Nessun’altra
creatura ci può dire queste parole perché in effetti: "Nessuno
conosce il Padre se non il Figlio”(Mt 11,27).
Ecco perché si può andare
al Padre solo per mezzo del Figlio: perché
solo il Figlio ce Lo può rivelare. E noi dobbiamo trovare questo Figlio
che ci conduce a conoscere il Padre.
È vero che Lui ha detto: "Chi ascolta
voi, ascolta Me” (Lc 10,16), ma ci deve essere però sempre la
“tra-duzione”, cioè il trasferimento, per cui ulteriormente Gesù precisa: "Chi ascolta Me, non
ascolta Me, ma ascolta il Padre che mi ha mandato" (Gv 12,49).
Quindi abbiamo sempre questa fedeltà che
va rispettata: si arriva al Padre attraverso il
Figlio. Allora:
-
tutte le creature ci devono convogliare al Figlio;
·il Figlio ci conduce al Padre,
·e ad un certo momento il Figlio ci consegna al
Padre,
·per cui
a questo punto Lui si ritira, affinché noi stessi abbiamo a
diventare figli del Padre, quindi fratelli suoi.
È molto importante
conoscere questi passaggi. Vedi allora che non era una sciocchezza quanto hai
chiesto.
Emma D.: Allora chiedo ancora un’altra cosa: in che
senso dobbiamo passare anche attraverso tutte le prove dell'Antico
Testamento...
Luigi: Non è un dovere passare, come fosse un dovere,
ma ci passiamo, anche se non vogliamo...!
L'Antico Testamento è un insieme di lezioni che ci fanno scoprire quello
che attraversiamo nella nostra vita. Non è che lo dobbiamo passare dicendo:
“Adesso passo attraverso la liberazione degli ebrei dall'Egitto” oppure:
“Adesso vivo la tappa di Mosè sul Monte Sinai, ecc.”. No, sono fatti che
avvengono nella nostra vita e che noi non capiamo e che si illumineranno
leggendo la Bibbia.
Quindi ciò che troviamo
scritto nell’Antico Testamento sono lezioni che ci aiutano ad individuare
questi fatti. Per cui:
·c'è un periodo nella nostra vita in cui
passiamo attraverso il primo peccato, il peccato originale che poi ci domina;
per cui in quella lezione capiamo che il vero peccato sta nel ritenerci autonomi;
·un altro momento della vita di ognuno è quello
in cui pecchiamo fidandoci troppo della legge, delle regole, dei comandamenti e
quindi esperimentiamo tutta la nostra incapacità. Infatti Dio conduce tutti,
prima o dopo, a constatare che non basta la legge, che non bastano le regole
per realizzare la vera vita;
·c'è poi la fase in cui siamo come i profeti
perché invochiamo, sospiriamo il Messia, perché abbiamo toccato con mano che la
nostra buona volontà, né la legge, né i comandamenti ci possono salvare.
Ecco, questo è tutto
Antico Testamento. Fintanto che in noi non si forma la coscienza della nostra
povertà, del nostro nulla, apparteniamo ancora all'Antico Testamento.
Infatti la volta scorsa
abbiamo precisato che il battesimo di Giovanni Battista (che è ancora, anche
questa, una lezione dell’Antico Testamento da capire e attraverso cui passare),
ci prepara al passaggio al Nuovo Testamento, perché consiste nel farci passare
dall'esteriorità all'interiorità, perché si tratta di mettere in noi Dio al
centro. Allora finché non cessiamo di
cercare la nostra pace, la nostra vita nel mondo esterno, noi non abbiamo
ancora accettato il battesimo di Giovanni Battista.
Il non cessare di cercare
la nostra pace, la nostra vita nel mondo esterno, testimonia che non abbiamo ancora
accettato il battesimo di Giovanni Battista: è un test, perché il battesimo di Giovanni Battista
consiste nel cessare di cercare la vita all’esterno, nel convincerci cioè che non dobbiamo più cercare la salvezza
nelle cose esteriori, perché da lì non ci può venire. La salvezza viene
dall'interno, da dentro di noi, perché Dio è in noi.
Eligio: Se Giovanni Battista ci porta a questo
passaggio così positivo, stento ancora a capire quello che hai detto la volta
scorsa, quando ci siamo soffermati ad approfondire la seconda scena, cioè mi è
difficile capire come Giovanni Battista rappresenti la voce delle tenebre. Il
concetto di tenebre nel Vangelo di S. Giovanni lo vedo legato al concetto di
opposizione alla luce.
Luigi: No, le tenebre di per sé non sono opposizione
alla luce ma bisogno di luce. Le tenebre non sono peccato, il peccato è
opposizione alla luce. Le tenebre che si oppongono alla luce, queste sì sono
peccato. Nell’incontro precedente avevamo detto che Giovanni Battista è la voce
delle tenebre, ma avevamo anche precisato che le tenebre possono opporsi alla
luce, ma non necessariamente. Le tenebre sono prima dell’opposizione.
Eligio: Le tenebre non sono un sinonimo di mondo?
Luigi: Giusto, ma del mondo creato da Dio.
Eligio: Ma il mondo non va visto come opposizione a
Dio?
Luigi: No! Il mondo è creato da Dio e il mondo è
tenebra, bisogno di luce e “la Luce
brilla nelle
tenebre …”.
Eligio: “…e le tenebre non l’accolgono” (Gv 1,5):
è un atto di rifiuto, e io non vedo il Battista in questo atto di rifiuto.
Luigi: No! Il Battista non è rifiuto. Le tenebre non
sono necessariamente rifiuto. Giovanni Battista rappresenta la voce delle
tenebre, ma le tenebre sono state create prima del peccato.
Eligio: Ma le tenebre non sono una conseguenza del
peccato?
Luigi: No, le tenebre sono già prima del peccato.
Infatti nel primo giorno della creazione “le tenebre coprivano la faccia
dell'abisso”. Poi Dio disse: “Sia fatta la luce, e la luce fu”(Gen
1,3). Cioè la Luce é Parola di Dio che illumina le tenebre.
Le tenebre sono la
creazione che attende la Parola di Dio, ma che, come attende la parola di Dio,
può anche rifiutarla.
Allora qui capiamo che le
tenebre che rifiutano rappresentano l'uomo in opposizione, ma di per sé le
tenebre sono soltanto tutta la creazione in attesa della parola di Dio. La
parola di Dio è luce che illumina.
La Bibbia dice: “Dio
creò il cielo e la terra, e le tenebre coprivano l'abisso”: lì non c’era
ancora l'uomo, quindi non c'era ancora il peccato, ma le tenebre coprivano la
faccia dell'abisso. Poi Dio disse: “Sia fatta la luce e la luce fu”. E
poi continua tutta l'opera creativa, ecc.
Al sesto giorno fa l’uomo. Evidentemente le tenebre rappresentano il
mondo esteriore, tutta la creazione, tutto l'universo, quindi anche l'uomo,
al quale Dio parla.
L'uomo, come tenebra, ha
la possibilità di accogliere la luce, ma ha anche la possibilità di rifiutarla.
Constatazione: l'uomo ha rifiutato la luce, le tenebre hanno rifiutato
la luce.
Ma è constatazione, cioè un fatto che è avvenuto; ma le tenebre invece sono
prima del rifiuto, l'opposizione é venuta dopo.
Quindi non possiamo
identificare la tenebre con il peccato.
Gesù dice: "Se foste ciechi (quindi tenebre), non sareste
in peccato, non sareste in colpa” (Gv 9,41). La cecità (quindi la tenebra)
di per sé non è colpa. La colpa sta in questo: “Essendo ciechi, dite di
vedere”.
Qui allora veniamo a
capire una cosa: che l'opposizione non è data dal rapporto tenebra-luce, ma l'opposizione
é data dal rapporto luce-luce, cioè due cose uguali si respingono: quindi é la
luce, il credersi luce, che respinge la Luce.
Eligio: Direi allora che l’opposizione è data dal
rapporto tra Luce e presunzione di luce…
Luigi: Certo. Gesù dice: "Io non sono venuto
per i giusti, per i sani" (Mt 9,13). Se Lui é venuto a salvare tutti,
a maggior ragione si dovrebbe dire che è venuto anche per i giusti; ma invece
perché dice: “Io sono venuto per i peccatori; Io non sono venuto per i sani
ma per i malati, per i peccatori”?
Siccome tutti siamo nel
peccato, se, essendo peccatori, diciamo di essere giusti o se essendo ciechi,
diciamo di vedere, ecco allora che abbiamo la luce nostra che respinge la luce
vera. Abbiamo due cose “uguali” che si respingono: la nostra luce che respinge
la Luce di Dio, la nostra giustizia che
respinge la giustizia di Dio. Infatti il Vangelo ci mette bene in evidenza
questo: chi sono coloro che respingono la Luce, chi sono coloro che hanno
rifiutato il Cristo?
Sono tutti coloro che si
ritengono maestri, giusti, che possiedono la luce. Quindi credendoci salvi, noi
rifiutiamo la salvezza. Quindi
l'opposizione viene dal ritenerci uguali a-; mentre invece le tenebre,
la notte, sono di segno contrario, ma proprio perché sono di segno contrario,
sono accessibili, complementari alla Luce.
Eligio: Quindi noi nasciamo in condizione di tenebre,
ma dobbiamo riconoscere di essere in questo stato per poter desiderare la luce.
Luigi: Certo, ed ecco la funzione dell'Antico
Testamento, che si conclude in Giovanni Battista. Ecco perché dico che la voce di Giovanni
Battista sintetizza la voce delle tenebre. Le tenebre di per sé sono ancora
l'opera della luce, sono una mancanza di luce che invoca. Cioè la nostra cecità è ancora opera di Dio, opera della Verità.
L'uomo che è cieco, che è
povero, é un uomo nella Verità, che confessa e riconosce la Verità, quindi è
invocazione, cioè è il vaso aperto ad accogliere la grazia di Dio.
Eligio: Come il cieco di Gerico: "Signore fa’
che Io veda" (Mc 10,51).
Luigi: Ecco, la notte é questo: "Signore,
fa’ che io veda". La notte che invoca la luce é un fatto,
positivo, è opera di Dio. Invece le tenebre diventano opposizione quando
respingono la Luce, quando sono orgogliose, per cui non sanno cosa farsene
dello Spirito.
Pinuccia B.: Ma perché l’invocazione di luce sia autentica e non solo
di parole, che cosa dobbiamo fare?
Luigi: Per conoscere la Volontà di Dio si richiede
sempre un superamento del proprio io, poiché Dio non è mai il nostro io. Anzi
direi: c'è sempre bisogno di una
attualità di superamento di noi stessi, poiché Dio é novità continua. Per poco
che noi ci fermiamo alle nostre abitudini o ai nostri sentimenti,
immediatamente scivoliamo nella schiavitù dell’io.
Cioè la presenza dello
Spirito di Dio richiede sempre un tratto di strada oltre l'impressione che
riceviamo o la reazione che siamo portati a fare, anche quando siamo abituati a
vivere spiritualmente. C’è sempre bisogno poco o tanto di un superamento
dell’io.
Anche parlando noi dovremmo
sempre essere in condizione di ascolto. Come Santa Teresina del Bambino Gesù
che quando é stata nominata maestra delle novizie dichiarò che voleva essere
soltanto trasmettitrice della parola che ascoltava da Dio.
Questo ci insegna a non
essere mai noi autonomi. Ci vuole sempre questa attenzione a Dio, questo
superamento di noi stessi.
E il rinnegamento di noi
stessi è un andare oltre il pensiero di noi stessi; quindi è non fermarci alle
impressioni che riceviamo, ai sentimenti, alle nozioni stesse che abbiamo
acquisito, ma è andare oltre per cercare di rapportare a Dio quell’avvenimento,
quella richiesta, quel fatto che sollecita un nostro intervento, e quindi di
riportarlo a Dio, per vederlo secondo Dio.
E c’è sempre una
differenza tra come lo vediamo noi e come lo vede Dio. Fossimo anche sulla vetta della santità c’è sempre una
differenza tra come lo vediamo noi e come lo vede Dio.
Pinuccia B.: Ma noi abbiamo la luce per vederlo come lo vede Dio?
Luigi: Può darsi che noi non abbiamo luce sufficiente
per vedere le cose come le vede Dio, però lo sforzo che dobbiamo fare per
chiedere di vedere le cose come le vede Dio,
è già un apporto di umiltà,
un’espressione di umiltà che ci prepara a ricevere la luce, per cui possiamo agire così: "Signore,
non capisco niente, ma attendo la Tua Luce”. Possiamo anche sbagliare, ma se abbiamo fatto quello sforzo di capire qual
è la volontà di Dio, di vedere la cosa in Dio, di riferirla a Dio, siamo in
buona fede.
È possibile che Dio ci
lasci nelle tenebre, che non ci faccia vedere la luce del suo Spirito e allora
andiamo a tentoni; però é Lui che ci lascia andare a tentoni perché vede che
per noi é necessaria anche questa prova; da parte nostra però dobbiamo sempre
interrogarlo, perché é sempre molto
utile, spiritualmente utile e necessario, questo superamento del nostro punto
di vista, impressioni, sentimenti, ecc.
Non dobbiamo perciò mai
affidarci all'intuizione, all'impressione, alla reazione nostra, del nostro io,
altrimenti ci è precluso il cammino verso la Luce.
16/Gennaio/1976
Dall’esposizione di Luigi Bracco e dalla conversazione.
Le cinque scene del
Prologo, su cui ci siamo
soffermati la volta scorsa, ci hanno
offerto una visione d’insieme di tutta l’opera svolta da Dio per la nostra
salvezza e del cammino che dobbiamo percorrere per giungere a conoscerlo,
perché è nel conoscere il nostro Creatore che sta la nostra salvezza, la vera
nostra vita, la vita eterna.
Abbiamo visto che la
funzione del Prologo è appunto quella di presentarci tutto il cammino verso la
Vita Eterna dall’inizio alla fine: dal recupero del Principio all’incontro col
Cristo, fino alla contemplazione della sua Gloria. Vi sono indicate, cioè, in
sintesi, tutte le tappe per farci passare dalle tenebre alla Luce.
È necessario però un
ulteriore approfondimento di tutto questo cammino, evidenziandone ora non tanto
le tappe, quanto i “punti fermi”, cioè le convinzioni che ci debbono
sostenere in esso, per poterlo percorrere fino alla fine.
Ne possiamo individuare
dieci. Stasera ci soffermeremo sui primi tre che costituiscono il fondamento,
la base, della vera fede e che costituiscono quindi il principio del nostro
ordine interiore:
-1°) “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”: cioè
tutto è opera di Dio.
-2°) “Senza di Lui niente è fatto di tutto ciò che è
fatto”: cioè senza di Lui tutto è
ridotto
a niente.
-3°) “In Lui era la vita e la vita era la luce degli
uomini”: cioè la vita sta nella Luce.
1° punto: “Tutto é stato fatto per
mezzo di Lui”, cioè: tutto è opera di Dio. Tutto.
Questo lo troviamo confermato parecchie volte nei Vangeli: “Anche i
vostri capelli sono tutti contati…, nemmeno un passero cade senza che il Padre
lo voglia” (Mt 10,29-30)… E nel “Credo” diciamo: “Credo in Dio Padre Onnipotente,
Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili…”. Ma noi ne siamo convinti?
Perché qui si dice: “Tutto è stato
fatto per mezzo di Lui”, ma perché questo sia per noi veramente uno dei primi punti fermi non ci devono
essere dei dubbi. Quindi dobbiamo chiederci: noi siamo veramente convinti
che tutto é opera di Dio? Questo è un punto fermo per noi o abbiamo dei dubbi?
Luigi: Tu, Emma, cosa ne dici? Sei convinta che
tutto è fatto per mezzo di Dio? Che tutto quello che accade è per opera di Dio?
Emma: Non so, penso di sì, ma ci possono essere dei
momenti in cui...
Luigi: Per debolezza ci possono essere dei momenti
in cui uno dubita, però, in tutto quello che accade, anche se non lo capisce,
ritiene che ci sia la mano di Dio che opera.
Angelo B.: Anche il “male”?!
Luigi: Tutto, anche quello che esteriormente è male
(la guerra, i delitti), ma non il male interiore. Il male inteso come
distacco da Dio, quello non é opera di Dio, perché Dio non lo vuole. La volontà di Dio e che noi pensiamo Lui, che
raccogliamo tutto in Lui, perché Lui é la Verità. Se noi diciamo: “Io sono la
Verità”, operiamo un distacco interiore da Dio e questo è il vero male, il
peccato, ma tutto quello che accade o
che facciamo in conseguenza di questo errore, è Dio che ce lo fa fare. Tutto
quello che accade intorno a noi, in quanto accade, in quanto esiste, è opera di
Dio.
Ne sei convinto tu
Angelo?
Angelo B.: Sì, sì, ma non sempre uno è attento...
Luigi: Allora lì abbiamo la debolezza; infatti può
capitare che ad un certo momento uno ti pesta un piede e di conseguenza
inveisci, ma dopo pensi e ti ravvedi. Tempo fa hanno spaccato i vetri di casa
ad un nostro amico; egli in un primo tempo ha inveito, ma poi, senza che
nessuno gli dicesse niente, ha capito
che in quanto era accaduto era Dio che l'aveva voluto e che quindi doveva
accettarlo. Quindi in un primo tempo c’è stata la debolezza, ma poi riflettendo
ha ammesso: “No, è Dio che…”.
Se c'è effettivamente la
fede (e per fede s'intende: “Credo che in tutto c'è la mano di Dio che opera”),
allora ci può essere la debolezza nelle nostre reazioni, ma poi dopo
riflettendo ci si ricrede, perché la
riflessione ci porta sempre a dire: “No, un momento, io qui sto sbagliando,
perché la verità è un'altra”.
È permesso l'errore; noi
possiamo sapere che 2 + 2 fa 4, e lo
crediamo fermamente, però possiamo sbagliare, ed é una debolezza; ma abbiamo la
possibilità di riconoscere l’errore perché sappiamo che la verità è quella. Ma
anche in questo nostro sbaglio dobbiamo vedere la mano di Dio.
Emma D.: Anche ad esempio la sofferenza della
settimana scorsa, per non aver potuto partecipare all’incontro …
Luigi: Anche quello devi accettarlo dalle mani di
Dio …
Emma D.: Sì, ma ho sofferto molto...
Luigi: Se c’è la sofferenza non vuol dire che ci sia
il rifiuto. Ci sono tante sofferenze, perché la volontà di Dio non é sempre una
carezza, la volontà di Dio non è sempre un cioccolatino, anzi Dio ci sospinge
su dei cammini che Lui stesso definisce impegnativi: "La mia strada é
stretta”. La porta é stretta: richiede quindi della fatica, Lui
richiede sempre alla creatura un certo superamento e questo superamento molte
volte richiede fatica.
Gesù sulla Croce non
ride! Ora, questa Croce c’è, non bisogna dimenticarlo.
Emma D.: Accetto la sofferenza, ma sono stata
costretta per motivi di salute a
rinunciare a questo...!
Luigi: Anche nella nostra debolezza dobbiamo vedere
la mano di Dio! Per cui non dobbiamo tendere troppo la corda, pretendere troppo
dal nostro corpo. Ad un certo momento dobbiamo dire: “Vado a dormire perché non
ce la faccio!”. Non dobbiamo insistere e pretendere. Così anche per il digiuno:
il digiuno se posso lo faccio, ma se non posso non lo faccio. Così è per la
povertà, perché la vita non sta né nell'essere poveri, né nel digiunare, né nel
fare dei sacrifici. Sono dei mezzi che possono aiutare, ma guai se noi
facessimo consistere la vita in queste cose! Allora diventerebbero “virtù”,
esposizione, vanagloria, e sarebbe un errore gravissimo.
Bisogna anche essere
disposti ad accettare la debolezza, le rinunce, e vedere la mano di Dio anche
in questo. È Dio che ci fa toccare con mano la nostra debolezza, la nostra
incapacità.
Emma: È talmente intenso il desiderio di capire, di
conoscere che mi sembrava impossibile dover rinunciarvi! Tutto lì!
Eligio: Anche le pause sono volute da Dio e hanno la
loro utilità.
Luigi: Pensa all'importanza delle pause nella
musica; se non ci fossero le pause sentiremmo solo rumore …; oppure pensa
all'importanza delle pause nella parola: a uno che parlasse sempre, gli
diresti: “Per favore, un attimo di sosta!". E questo perché è proprio
attraverso la pausa che le cose si assimilano.
Allora su questo primo
punto siamo tutti d’accordo?
Pinuccia B.: È facile scivolare! Anche se uno è convinto, può avvenire
una frattura tra la convinzione e la pratica. Soprattutto quando la forza
dell'abitudine nel considerare le cose dal punto di vista umano o delle leggi
naturali ci fa errare. Certo, se
qualcuno ce lo fa notare, ci accorgiamo di essere incoerenti...
Luigi: Bisogna vedere la mano di Dio in tutte le
cose. Se noi non la vediamo, vuol dire che non siamo convinti, oppure non la
vediamo per debolezza. Tutto va riportato in Dio, perché soltanto in Dio si
illumina la cosa.
Pinuccia B.: Allora anche i determinismi visti nella luce di Dio non
sono più tali.
Luigi: Si capisce! Anzi sono carichi di significato.
Eligio: Mons. Borra in un suo libro sottolinea la capacità del popolo
ebreo di riferire tutte le cose a Dio, anche gli avvenimenti naturali. Anche
quello, ad esempio, che per noi sarebbe diplomazia, politica o passione di
Salomone lo si attribuisce a Dio, il quale magari fa succedere delle catastrofi
legate a trame impercettibili, partite da non so dove nel campo politico, per
cui il popolo di Israele viene bastonato, viene portato in esilio. Poi quando
il popolo è pentito e si apre nuovamente a Dio ecco che avviene il ritorno
nella propria terra: tutto questo viene riferito a Dio. La storia, la
psicologia, la diplomazia, la politica, tutto viene letto dalla Bibbia alla
luce di Dio.
Luigi: Sì, gli Ebrei avevano molto presente Dio;
anche, per esempio, nell'attribuire i
nomi alle persone sempre lo riferivano a Dio: “Dio sorride”, “Dio è buono”,
“Dio è misericordioso”, “Dio è compassionevole”. Cioè quello che per noi sono nomi, per loro
erano sempre attributi di Dio. Quindi in
tutto per loro c'è sempre il rapporto con Dio.
Eligio: Vedevano la mano di Dio nel re della Siria
che tramava con il re egiziano, per dare
una legnata al regno di Giuda … I profeti coglievano la lezione di Dio anche in
questi fatti.
Luigi: Se uno è molto abituato a pensare a Dio,
allora gli viene molto facile riferire tutto a Dio. Se uno non é abituato,
soprattutto in un primo tempo, farà molta fatica e sbaglierà molto. Ma
l'importante è prima di tutto convincerci, attraverso la riflessione, che Dio è
il Creatore di tutto; perché quando uno si é convinto, incomincia pian piano a
riferire tutte le cose a Dio.
All'inizio incomincerà
male, andando adagio e sbaglierà molte volte, poi andrà sempre adagio e
comincerà a fare qualcosa di giusto, poi comincerà magari a fare in
fretta, sbagliando ancora ma sempre
meno; infine andrà in fretta e farà bene. Ecco, è tutto un processo di maturazione attraverso
cui poco per volta impariamo a riferire tutte le cose a Dio. Ho fatto questo
esempio perché ricordo che quando ero militare, l'istruttore nelle prime
lezioni di tiro diceva che all’inizio si va adagio e si sbaglia, poi si va
adagio e si fa centro, poi si va in fretta e si sbaglia; infine si va in fretta
e si fa centro! Così in tutto: si impara sempre lentamente.
Quindi uno prima si
convince; allora, convinto, incomincia: va adagio e sbaglia; poi va adagio e
incomincia a centrare; allora incomincia ad andare in fretta e sbaglia, ad un
certo momento va in fretta e fa centro!
A questo punto è lo Spirito che guida in tutto.
In ogni cosa (tutto è
segno), quindi anche nello Spirito, c’è una fatica iniziale; il Signore dice: “Sforzatevi
di entrare!” (Lc 13,24), perché c'è tutta la fatica, e dice anche: “Attraverso
la pazienza arriverete a possedere le vostre anime!” (Lc 21,19).
Quando noi siamo convinti
di una cosa, così come in qualsiasi lavoro, in un primo tempo sbagliamo,
stentiamo, poi poco per volta siamo velocissimi e facciamo bene. È così in tutte
le cose, perché tutto è significazione. Per cui anche quello che avviene
nel campo materiale (come, per esempio,
nello scrivere a macchina o nel suonare il pianoforte), uno va adagio e
sbaglia, poi va adagio e fa bene, va in fretta e sbaglia e poi va in fretta e
fa bene. Ecco tutto è sempre significazione del campo dello spirito.
“Dovete sforzarvi di
entrare, e con la pazienza giungerete a possedere l'anima”: possedere l'anima vuol proprio dire poter
riferire tutte le cose a Dio capendo cosa Egli vuole dirci; perché attualmente
la nostra anima è in balìa del mondo, degli avvenimenti, degli errori, delle
debolezze. Quanto più ci affatichiamo nel riferire le cose al Signore, tanto
più a poco a poco acquistiamo possesso della nostra anima; per cui possedendo
la nostra anima, quando vogliamo pensare solo a Dio, ci accorgiamo di poter
pensare a Dio, non siamo più portati via da nulla, non siamo più distratti
dalle cose. Ecco, qui l'anima comincia ad essere in possesso delle nostre mani,
prima invece no. Infatti possedere l’anima è non lasciarla più in balìa del
mondo.
Comunque l’importante è
essere convinti che tutto è opera di Dio, perché solo così l’anima raccoglie
tutto in Dio e si raccoglie.
Eligio: Non bisogna lasciarci impressionare dalle
emozioni o dai sentimenti, anche perché
quello che esteriormente è male viene usato da Dio per il nostro bene;
bisogna fare sempre questo esercizio di fede.
Luigi: Quindi
anche il re Siro è un mezzo per bastonare, un mezzo che il Signore muove. Il Signore muove la sua
superbia, oppure lo fa diventare superbo per bastonare il suo popolo che si è
dimenticato di Lui.
Pinuccia B.: Farlo diventare superbo no...
Luigi: Il Signore fa diventare anche superbo!!!
Pinuccia B.: Ma la superbia non è un distacco interiore?! Dio non vuole questo distacco.
Luigi: Certo, Dio non vuole quello, ma può benissimo prendere e usare l'uomo
superbo per dare delle lezioni; oppure Lui stesso lo costruisce superbo a tal punto da poter avere
certe passioni per poi fargli fare ciò che è necessario che accada per salvare
altre anime.
Pinuccia B.: Non capisco …
Luigi: Tu devi pensare sempre che tutti sono angeli
di Dio!!! Per cui non puoi mai giudicare, perché sono lezioni da capire: è necessario che avvenga questo!
Pinuccia B.: Questo lo posso solo credere per fede, perché non so
smentirlo.
Luigi: Non bisogna crederlo soltanto per fede!
Bisogna esserne convinti. Un momento fa tu hai detto di credere che tutto
quello che accade è voluto da Dio. Quindi anche un Hitler, un Mussolini, un
Napoleone, senza volerli approvare, però va detto che sono bastoni che Egli usa
per noi, sono lezioni di Dio per
castigare la nostra durezza di cuore, il nostro distacco da Lui.
Poiché viviamo come se
Lui non ci fosse, ecco allora é necessario che Dio ci muova, che prenda un
bastone. Ma dice ancora: “Quando però questo bastone qui si insuperbirà
della funzione che gli ho dato, sarò io il bastone su quel bastone lì”.
Ecco, è Dio che opera.
Eligio: Perché in Dio non può esserci frattura, in
Dio non ci sono determinismi, in Dio c'è una trama tessuta sapientemente, tutta
legata, tutta ben finalizzata...
Luigi: Soprattutto
tutta finalizzata, perché Dio essendo pura intelligenza non fa niente di non
finalizzato. Infatti in che cosa si caratterizza l’intelligenza? L'intelligenza
si caratterizza in questo: tutto predispone per il fine. Invece quand'è che
noi sbagliamo? Quando non ci lasciamo guidare dall'intelligenza; allora non
predisponiamo le cose per il fine, ma le ordiniamo a casaccio: ecco l'errore!!
Eligio: È questo uno dei primi argomenti di cui mi
hai parlato quando ci siamo conosciuti nel 1948 e che mi ha molto convinto:
Dio, essendo Somma Intelligenza, non può operare senza una finalità. Ecco
perché è assurdo e stona parlare di determinismi in una visione religiosa della
vita.
Luigi: Certo, perché Egli adopera tutto, anche le
leggi naturali da Lui fatte, per il suo fine.
Eligio: Perfino i nostri sbagli. A distanza di tempo
posso constatare come anche le sciocchezze, anche le “gavade” si sono poi volte
in bene.
Luigi: Certo, è Dio che ci conduce e fa maturare
l’anima attraverso ogni cosa. L'importante è che ci sia da parte nostra
questo continuo dialogo con Dio e non con le cause seconde: "Signore,
io non capisco, ma so che c'è la tua mano". Bisogna avere sempre questo
punto di riferimento, questa attenzione a riferire tutto a Lui; bisogna cioè
sempre dire: “Qui c'è la mano di Dio, questo é opera di Dio”.
Eligio: Per tanti la guerra, i campi di
concentramento, sono stati motivo di salvezza! Nel libro "Il Cuore di Gesù
al mondo", Gesù dice a Suor Consolata Betrone durante la seconda guerra
mondiale: “La guerra sono Io che la mando e salvo più anime quando c’è la
guerra che quando c’è la pace”.
Luigi: Certo, per quanti queste calamità sono state
motivo di salvezza!.
Passiamo ora a un altro
punto fermo che vediamo subito dopo nello stesso versetto 3:
2° punto: “Senza di Lui niente è
fatto di tutto ciò che è fatto”.
Una cosa è ritenere che
tutto è opera di Dio, una cosa
ancora è ritenere che senza di Lui tutto
ciò che esiste diventa niente.
Cioè Dio non è soltanto il Creatore,
l'Operatore, ma é anche il Mantenitore: Colui che mantiene l'esistenza. Per
cui senza di Lui le cose che sono, diventano niente. Ora, ovviamente il
diventare niente non va inteso oggettivamente, ma diventano niente nella
persona umana, nell'uomo. Perché siccome tutto é opera sua, il “senza di
Lui” si verifica soltanto nel cuore dell'uomo. Quindi é solo in seno
all'uomo, nel cuore dell'uomo che si verifica la vanifìcazione, la
nientificazione di tutte le opere di Dio.
Per cui non solo
dobbiamo accogliere tutto dalle mani di Dio, ma dobbiamo sempre tenere presente
Dio, cioè riferire a Lui, dialogare con Lui, perché altrimenti le cose che
arrivano a noi si annientano, diventano niente.
Possiamo anche accogliere
da Lui tutte le cose e poi vivere senza riferirle a Lui, senza mantenerle unite
a Lui, allora ci accorgiamo che le cose che facciamo ad un certo momento
servono a niente, diventano niente. Il niente si verifica in noi, nella nostra
vita, ed é l'annullamento dei valori; ma questo annullamento avviene in quanto
non teniamo presente Dio.
Quindi per mantenere
valida l'opera di Dio in noi, dobbiamo sempre riferirla a Dio, cioè
mantenerla presente a Dio; senza Dio le cose si perdono, si annullano,
diventano niente nell'animo dell'uomo.
Ma questo niente è una
realtà nell'anima dell'uomo; non é che posso dire: “Beh, è solo un fatto
soggettivo, ma la cosa di per sé c’è!” No! quello che avviene per te, realmente
per te, é questa vanificazione. Per cui il danno l'uomo lo subisce realmente.
Cioè l'uomo che vive senza tener conto di Dio, senza mantenersi unito a Dio,
effettivamente fa niente, cioè riduce a niente tutto ciò che fa! “Senza di
Me non potete fare niente” (Gv 15,5). Per cui alla fine della vita si
accorge di restare con un pugno di mosche, di aver lavorato per niente; e tutto
coopera per dimostrargli che lui ha fatto niente.
Eligio: Cioè distrugge la creazione…
Luigi: Sì, in se stesso. L’uomo trascurando Dio,
distrugge in se stesso, la creazione, annulla tutto; in termini estremi
annulla anche il sacrificio del Cristo, rende vana la morte del Cristo.
Eligio: Ecco quindi la funzione esteriore della
Crocifissione e della morte del Cristo: è per farci vedere come interiormente
senza di Lui abbiamo ridotto a niente l’espressione massima dell’opera di Dio.
Luigi: Sì, per farci toccare con mano che senza di
Lui riduciamo tutto a niente.
Per cui tutta l'opera di
Dio che è finalizzata,
perché è opera di un Essere intelligente (e il fine sta nel portare la creatura
alla salvezza, cioè alla conoscenza di Dio come vero Dio e quindi alla
vita eterna), può essere dalla creatura stessa annientata, annullata.
Dio ha incominciato a
creare l'universo quindici miliardi di anni fa, ha creato la luna, le stelle,
il sole, tutti i fatti storici, l’Antico Testamento, il Cristo, ecc., ma tutta
quest'opera immensa che Dio ha fatto e fa per ognuno di noi, se non viene
mantenuta unita a Lui, viene da noi completamente annullata, perché senza
di Lui tutto diventa niente: tutto! Tutto ciò che è fatto diventa niente senza
di Lui.
Ora però il “senza di
Lui” non c'è mai in realtà, perché tutto é opera sua; quindi il “senza di Lui”
é soltanto nel cuore dell'uomo; allora se il cuore dell'uomo non considera Dio,
non si mantiene unito a Dio, tutta l'opera di Dio in lui si annulla, serve a
niente, e l'uomo tocca con mano il niente: il niente di tutto, che è poi la
tragedia dell'uomo che si accorge ad un certo momento che tutto é servito a niente,
tutto é valso a niente.
Quindi questo é il
secondo punto fermo che mi sembra molto importante: “Senza di Lui tutto
diventa niente”.
Angelo B.: Ma con Lui invece tutto è valido.
Luigi: Certo, ma con Lui, poiché
tutto è opera di Dio. Tutta l'opera di Dio è buona, quindi è valida. Infatti
Dio dopo aver creato, considerando tutta l'opera che aveva fatto, riconobbe al
sesto giorno che “tutto era fatto
molto bene” (Gen 1,31). Cosa vuol dire quel “bene”? Bene é bene in
quanto serve per una cosa; quindi tutta l’opera di Dio, Dio stesso la riconosce
molto buona per quale fine? Il fine della creazione è quello di portare l’uomo
alla conoscenza della Verità, alla Vita Eterna, a renderlo partecipe della vita
con Dio.
Quindi tutto è buono, non
c’è niente di male nell’opera di Dio, però questa opera di Dio va mantenuta
unita a Dio nell’uomo, perché se l’uomo non tiene conto di Dio, tutto si
annulla.
Ecco perché dico che in
noi c’è sempre un lavoro da fare! Perché l’unione con Dio non è una cosa
naturale. Le cose arrivano a noi, e questa è tutta opera di Dio, magari da
miliardi di anni luce, da distanze enormi, ma come arrivano a noi, chiedono
a noi un’opera supplementare, che è l’opera di unione a Dio.
Non dobbiamo quindi
fermarci al nostro io, non dobbiamo dire: “Questa cosa l’ho conosciuta”,
“Questa cosa mi piace”, ma bisogna andare oltre la nostra impressione. Devi
cioè tenere le cose unite a Dio in quanto sono opere di Dio, perché senza
l’unione con Dio (cioè se non tieni conto di Dio) questa cosa si annulla,
ti crea la vanità, ti esalta, fino a portarti ad un certo momento ad accorgerti
che tutto è valso a niente, è servito a niente.
L’opera, dunque, va
sempre mantenuta unita a Dio perché “…in principio il Verbo era presso Dio,
e il Verbo era con Dio”. L’annuncio di ciò che era in principio è un invito
a recuperare il Principio e a mantenere sempre l’unione con-, per valorizzare
le cose, altrimenti i valori decadono, da soli non stanno su. Non basta che io
mangi un pezzo di pane tutti i giorni per mantenermi in vita, perché ad un
certo momento il pane non mi dà più vita; per cui il pane è buono, ma mi deve
aiutare a collegarmi con Dio.
Non basta che uno si
rassegni ad una vita naturale per il fatto che attualmente sta bene, perché
domani non starà bene.
Quindi la vita di oggi è
soltanto una sollecitazione a raccoglierti, a camminare in fretta verso Dio, a
cercare Dio. Allora, se tu cerchi Dio, anche il pane di oggi, anche la vita
naturale di oggi, è servita a qualche cosa, perché è stata la predella di lancio
per portarti a Dio. Per cui, quando
raggiungerai il fine, costaterai che tutto è stato valido. Quindi anche le
“gavade” che hai fatto un tempo sono
valide, perché ti hanno sospinto. È come s. Agostino e s.Paolo che ringraziano
il Signore anche per i nemici, perché tutti sono serviti a compiere l'opera di
Dio (Rm 8,28).
Effettivamente, siccome
tutto è opera di Dio, tutto ci sollecita a camminare verso Dio, Quindi tutto è buono e valido, ma solo se noi camminiamo verso Dio; ma se noi non
camminiamo verso Dio, tutto viene frustrato, tutto si annulla.
Quindi tutta l'opera di
Dio arriva a noi, non perché noi godiamo di essa, ma perché noi proseguiamo il
cammino che l'opera stessa ha
iniziato in noi: quindi per farci fare un ulteriore tratto di strada, un tratto
di strada che non si fa senza di noi. Per cui tutte le cose ci sollecitano a
cercare il Signore.
Se noi cerchiamo il
Signore, allora tutte le creature godono con noi, perché tutte quante hanno
collaborato, sono servite a farci raggiungere la meta, ma se noi non
raggiungiamo la meta, tutte le creature piangono in noi il nostro fallimento,
perché, in effetti, senza tener presente Dio, tutto fallisce, non è servito.
Non é servito, perché tutta l'opera di Dio serviva per portarci là, ma se là
non si arriva, tutto finisce!
Magari noi rinunciamo a
cercare il Signore per godere di una creatura, o delle creature, o del
benessere materiale o della ricchezza, ma ad un certo momento noi perderemo
quello e perderemo queste creature, perché queste ci erano state date per
sollecitarci ad arrivare là! Per cui noi, in nome della creatura, falliamo
il fine, ma perdiamo anche la creatura stessa, perché la creatura ci era stata
data per quel motivo lì. Ecco perché
il Signore dice: “Sarà tolto a voi il Regno” e quindi anche le
creature!
Angelo B.: Quindi perdiamo Dio e anche le creature.
Luigi: Sì, perché tutte le creature, se la nostra
anima cerca Dio, servono la nostra anima e non le perdiamo, poiché in Dio
si ritroverà tutto ciò che passa. S. Agostino dice che tutto l'universo, tutta
la creazione è stata data a servizio nostro affinché noi cerchiamo Dio. Se noi
cerchiamo Dio, tutto è valorizzato e tutto quindi gioisce e tutto diventa bene
in noi; ma se noi non cerchiamo Dio, tutto fallisce.
Eligio: Siccome tutti siamo responsabili della morte
di Cristo, questa distruzione totale dell'opera di Dio avviene da parte di
tutti?
Luigi: Sì, di tutti! Quante volte si sente dire:
"La mia vita é servita a niente!": all'ultimo se ne constata
l’inutilità!
Eligio: Mi sembra impossibile che anche i santi non
siano esenti dal vanificare l'opera di Dio!
Luigi: Non c'è nessuno senza peccato! “Se qualcuno dicesse che é senza peccato è
menzognero!” (1 Gv 1,7). Un peccato ognuno ce l'ha, se lo porta dentro.
Meno la Madonna!
Ognuno di noi porta un
peccato, per cui ne subisce le conseguenze. Ma
anche questa vanificazione, questo pensare, questo sapere che tutto si
annulla in noi se noi non raccogliamo in Dio, è opera di misericordia di Dio per
salvarci! Perché ci fa vedere che annulliamo tutto senza di Lui, ci convince
della grande importanza di accogliere sempre tutto da Dio e di riportare tutto
a Dio! Perché soltanto riportando in Dio la cosa, essa si mantiene in vita,
non si perde.
Non si perde niente
riportando in Dio! Tutto é un cammino positivo, tutto si recupera in Dio, mentre invece senza Dio, se noi possedessimo
anche tutto l'universo, se avessimo tutto l'universo in possesso nelle mani
nostre, noi renderemmo vano, inutile, tutto quanto! Perderemmo tutto!
Pinuccia B.: Questa vanificazione in noi dell’opera di Dio è
rappresentata dalla morte di Cristo?
Luigi: Sì, dalla sua morte.
Pinuccia B.: Perché pensavo che la morte di Cristo in Croce
rappresentasse l’uccisione di Dio in noi, ma non ancora la distruzione di
tutto.
Luigi: È la
stessa cosa! Perché è proprio l’uccisione di Dio in noi che priva di
significato le cose, per cui noi assistiamo alla distruzione di tutto in noi.
In quanto noi non
raccogliamo in Dio, riveliamo che noi non teniamo conto di Dio e quindi
facciamo fuori Dio, per cui l’opera resta vanificata in noi.
L’opera è “parola” e la
parola di Dio va sempre riportata a Dio, vista in Dio; se non la raccogliamo in
Dio, ciò vuol dire che noi non teniamo conto di Dio.
Non basta accogliere
tutto da Dio: dobbiamo tener conto della Sua intenzione! Per cui se noi accogliamo da Dio un fatto, ma non
lo riportiamo a Dio, ciò significa che non teniamo conto di Dio! In questo
fatto non ne teniamo conto perché non ci interessa conoscere il pensiero,
l’intenzione di Dio su di esso. Non tener conto spiritualmente, è mettere
fuori, quindi è uccidere.
La morte del Cristo è
quindi la sintesi di tutta la vanificazione nostra dell'opera di Dio. Cristo é la pienezza dei tempi, in Cristo si
ricapitola tutta l'opera di Dio.
Cristo è la sintesi di
tutta l'opera di salvezza di Dio, l'opera di salvezza per l’uomo che inizia dal
primo giorno della creazione, per cui nell'uomo non si annulla solo la sua
vita fatta di pochi anni, ma si annulla tutta l'opera creatrice di Dio che
raccoglie un universo immenso. E tutte le creature ci accusano se noi non
corriamo verso il Signore; ci accusano perché noi le rendiamo inutili in
noi con tutti i loro sacrifici e tutto quello che hanno sopportato.
Quante creature soffrono
per noi, per colpa nostra, e tutte queste creature che soffrono per noi (i
poveri che piangono lungo la nostra strada), che sopportano tutto per noi, un
giorno ci accuseranno dicendoci: “Io ho sofferto la fame, il freddo, la
solitudine, l’ingiustizia, per te,
perché tu cercassi il Signore (Mt 23,35); io ho sofferto la croce per te perché
tu camminassi verso il Signore! Io sono stato un mendicante, io sono stato
vestito di stracci per te, perché tu corressi verso il Signore e tu hai reso
inutili tutti i nostri sacrifici, tutta la nostra fame!”.
E per questo Gesù dice: “Vi
sarà richiesto conto di tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal
sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che
avete ucciso tra il santuario e l’altare. In verità vi dico: di tutte queste
cose sarà richiesto conto a questa generazione” (Lc 12,50-51).
Tutto quello che é
avvenuto, anche i delinquenti, anche i delitti, ecc., tutto, in quanto é
avvenuto, in quanto si presenta ai nostri occhi, è opera di Dio, è messaggio di Dio, per quale fine? Perché noi
corriamo verso Dio, per sollecitarci a correre verso Dio.
Se noi non corriamo verso
Dio, cioè se non intendiamo l'anima, il significato dell'opera di Dio, noi
rendiamo inutile tutta l'opera di Dio. Per cui tutti coloro che hanno sofferto
per noi, e in cima a tutti c'è il Cristo, nel giudizio saranno contro di noi e
ci diranno: "Io ho sofferto questo per te, e tu non ne hai tenuto conto;
io ho patito questo per te e tu non ne hai tenuto conto! Io davanti al mondo
sono stato il più grosso delinquente e tu non ne hai tenuto conto!".
Ecco, tutta la creazione
si leverà contro di noi, anche i delinquenti, ed è logico, perché tutto è opera
di Dio per la nostra salvezza.
Allora lì capiremo e piangeremo
perché capiremo che tutto era per il bene nostro, per darci vita e noi non ne
abbiamo tenuto conto.
Siamo convinti di questo?
Eligio: Certo, anche perché questo secondo punto
fermo è ben collegato al primo punto fermo.
Luigi: Passiamo ora ad un altro punto che bisogna
fermare bene.
3° punto:
“In Lui era la vita e la
vita era la Luce degli uomini”:
cioè la vita degli uomini è nella Luce. Se noi ci convinciamo che la
nostra vita é nella luce, noi cerchiamo la luce prima di tutto; e noi viviamo
in quanto cerchiamo la luce.
Se noi ne siamo veramente
convinti, questo ci evita di cercare la vita nel mondo, di cercare la vita
nelle creature, nelle ricchezze, ecc.
Questa convinzione ci libera da questi errori. Ma dobbiamo averla ben
presente: “La vita é nella luce”; quindi non nel denaro, non nelle creature,
non nella gloria, non nel mondo ecc..
Ci viene detto questo
perché noi cerchiamo la vita in tante altre cose e valorizziamo la nostra giornata dicendo: “Oggi ho
vissuto perché ho guadagnato molto, perché ho trovato della gente che mi ha
battuto le mani”. No! La vita non sta lì! La vita sta nella Luce, nel cercare
la Luce.
In principio la vita era
nella luce, nella luce del Verbo di Dio. Se noi teniamo presente questo, allora
confermiamo che tutte le cose (proprio perché non sono luce) arrivano
a noi per sollecitarci a cercare la luce
di Dio, cioè per farci camminare verso Dio (ed è ciò che dicevamo prima),
per unirci a Dio. In Dio, unite a Dio, mandano luce.
Quindi la luce deriva dal
nostro raccoglimento in Dio.
Allora:
·se tutta la creazione (le cose, i fatti che
avvengono), nel nostro animo, è tenuta disunita da Dio, resta nelle tenebre e
diventa niente;
·se invece le cose sono, nel nostro animo,
unite a Dio, danno luce. La luce sorge da una unione, cioè dall’avvicinamento
dei poli, e dall’avvicinamento dei poli scatta la scintilla!
Per cui la parola di Dio,
l'opera stessa di Dio, ricevuta, giunta a noi, rapportata, raccolta in Dio
viene illuminata, si illumina. Ma si illumina soltanto in quanto é unita a Dio,
nel momento in cui è unita allo Spirito di Dio.
Eligio: Direi che questo è il risvolto positivo di
quanto abbiamo visto nel punto precedente, quasi una conseguenza logica per non
ridurre al nulla quello che dovrebbe essere accolto come segno di Dio.
Luigi: E già! Ma direi che è di più: questo
è un approfondimento ulteriore in
questo senso: perché non basta riconoscere che tutto è segno di Dio, non basta
accogliere tutto da Lui per evitare la vanificazione delle cose. Non basta,
perché la vita sta nella luce.
Cioè noi possiamo
ritenere che questo tratto di raccoglimento in Dio per non annullare le cose
sia quello di offrirle (alcune volte si dice: “Offrilo al Signore!”), cioè di
collegarle semplicemente con Dio, anziché quello di riportarle a Dio per
capirne il pensiero, l’intenzione, cioè per avere questa luce.
Il riportare a Dio può
essere frainteso in molti modi, anche magari come un fatto di sentimento, un
fatto di sacrificio; oppure come ritenere che basti pensare le cose in Dio (ci si può accontentare: “lo penso questa
cosa in ”Dio") e credere con questo che
c'è la luce. No! La luce va cercata, desiderata, perché è da essa che
ricevi vita. La vita sta nella luce, quindi cerca la luce! E la luce é in
Dio!
Però la luce in Dio
non scatta, non si accende fintanto che non si è arrivati a questa vicinanza, a
quest'unione dell'opera con il Creatore.
Eligio: Questo salto dall'opera al
Creatore può essere fatto per fede?
Luigi: No, non basta la fede. Bisogna
arrivare alla luce. La fede è quella che ci sollecita a fare questo
cammino, perché se noi crediamo, raccogliamo in Dio. La fede quindi ci
sollecita a raccogliere in Dio, ma la fede si deve trasformare in luce, si deve
trasformare in conoscenza, quindi in carità.
Eligio: Intendevo chiedere questo: se mi trovo di
fronte a del male morale (ad esempio, un omicidio), come faccio a fare questa
operazione che dici tu? Posso vederlo in Dio e accettarlo da Dio, per fede,
anche se non ne capisco la ragione. Ma qui c’è solo la fede.
Luigi: Sì, tu per fede accetti, in quanto tu dici
che credi fermamente che tutto é voluto da Dio, anche se non capisci. Questo è
fede. Però questa fede qui ti sollecita a cercarne il significato, perché in
quanto Dio te lo presenta ha una lezione da darti.
Soltanto quando arriverai
al significato nello Spirito di Dio, quello diventa luce, prima non é luce! La
fede non é luce. La fede,
certo, bisogna averla, ma la fede é
quella che ti mantiene presente i due poli distanti: credo in Dio e quindi
accetto questo. Perché senza fede non posso accettare questi mali da Dio, ma li
attribuisco alla creatura, all’uomo malvagio, e quindi prendo a calci l’opera
di Dio, per cui da quel momento io esco dalla fede ed entro nel peccato, perché
non tengo conto di Dio.
Quindi la fede é quella
che mi fa tenere presente i due estremi e mi sollecita ad avvicinarli, ma
soltanto quando si sono avvicinati, scatta la scintilla, la luce che diventa
carità, che diventa conoscenza, che diventa amore!
Quindi prima accolgo per
fede, ma la fede non basta; non dev'essere solo un dire: “Io credo e accetto,
Signore!”, perché se tu credi veramente, devi desiderare la luce. La fede é
desiderio con la speranza di arrivarci!
Eligio: La fede è sostanza. S. Paolo dice che la fede
è sostanza di cose sperate.
Luigi: Appunto, perché la fede é desiderio e il desiderio è sostanza.
Eligio: La sostanza però è una realtà. Invece il
desiderio non è realtà.
Luigi: Ma la Realtà è sperata, per cui il desiderio in noi è la sostanza, è ciò che ci
muove verso una realtà sperata. Cioè: “Spero
di arrivare a vedere il Volto del Signore, a conoscerlo in questo fatto, in
questo avvenimento che mi ha fatto arrivare”.
Allora la fede è quella
che mi mantiene orientato con la speranza di poter arrivare, perché se io non
ho la speranza non cerco.
Eligio: La fede però mi assicura che c’è questa
Realtà che non vedo.
Luigi: Se io non credo che ci sia questa Realtà,
perdo un estremo e non mi preoccupo di collegare l’altro estremo. Perché in
quanto io dico: “Un momento, qui c'è Dio, questo avvenimento è per opera di
Dio”, se non Lo vedo, ma credo che ci sia, questa fede mi sollecita a cercare,
non mi lascia indifferente. Se invece mi lascia indifferente, vuol dire che la
mia fede è fasulla, anche se dico di credere, perché credo solo per sentito
dire, ma la cosa non mi tocca, per cui non faccio difficoltà a credere.
C'è dunque il rischio di
credere per sentito dire, senza preoccuparci di capire.
Noi non facciamo
difficoltà a credere fintanto che la cosa non ci tocca, e rimaniamo nella fede
per sentito dire, ma se la cosa ci tocca da vicino, rimaniamo bruciati dalla
cosa stessa e quindi desideriamo, abbiamo bisogno di vedere: allora lì scatta
la vera fede!
La caratteristica della
vera fede è che ci sollecita a cercare; quante volte nella contraddizione diciamo: “Ma
perché?”, tanto che certe volte si crea uno stato angosciante, ma è sempre la
fede che ci fa interrogare, perché è
sufficiente che io molli un estremo e non mi pongo più il “perché?” e dico: “È
il destino, è una fatalità!”. Chiuso!
Invece in quanto ho questo tormento è perché ho i due estremi che non
riesco a collegare.
Allora la fede sollecita
il nostro animo a cercare la luce e ci lascia inquieti fintanto che non
giungiamo a questa luce. Ecco la fede! La fede vera ci fa sospirare il Volto
del Signore.
La vera fede è fede che
cerca, che cerca e mantiene la speranza di poter arrivare, non per opera
nostra, ma per opera di Dio, perché Dio stesso ci fa sentire il bisogno (quindi
questo bisogno é una promessa) e Dio stesso ci porterà al compimento
dell'opera.
Quindi Colui che ci ha
dato una caparra con la fede, ci vorrà anche dare il compimento di tutta
l'opera, se noi ci manteniamo uniti a Lui. Però noi dobbiamo mantenerci in
questa tensione sapendo che dobbiamo arrivare là, perché la nostra vita sta lì.
Ecco allora: la nostra
vita sta in questa luce sospirata, desiderata, invocata, amata, cercata,
sapendo che fintanto che non scatta questa Luce non siamo giunti al compimento,
cioè alla vita eterna, perché la vita eterna è conoscenza, e la conoscenza è
luce! La vita sta lì!
Eligio: Come potrebbe operarsi la saldatura tra la
fede, che per noi, per la nostra condizione umana, è indispensabile, e la
Realtà di Dio, la Luce nella quale noi troviamo la vita? Perché la prima
adesione é per fede, la scoperta della luce come vita mi pare sia un ulteriore
passo…
Luigi: La saldatura avviene attraverso quello che
Gesù chiama: “raccoglimento con Lui”: “Chi con Me raccoglie riceve mercede
di vita eterna” (Mt 12,30). Ecco, è importante quel “con Me”.
Eligio: Allora il primo atto di fede lo faccio con il
Cristo, il quale mi invita a raccogliere?
Luigi: Il primo atto di fede lo faccio verso Dio che
opera in tutto: questo é l'elemento fondamentale! Tutto è opera di Dio; nella
creazione è Dio che opera, non sono io che opero: questo riconoscimento é
l'atto fondamentale che é chiesto ad ogni creatura. “Non sei tu che hai creato
il filo d'erba: un Altro l’ha fatto! Accogli l'Altro!”
È l'Altro che ci presenta
le cose; noi nasciamo in un “già fatto”. Ci viene detto: “Tutto è stato
fatto”, quindi noi nasciamo in un già fatto, meglio: noi nasciamo in
un “pensato”, ma non in quanto é stato pensato e fatto da un Altro, senza
di noi, ma in quanto è stato fatto in vista di noi, quindi per noi. Quindi noi siamo
in un “pensato per noi”.
Quindi quando Dio
all'inizio della creazione dice: “Sia fatta la luce”, oppure: “Facciamo
il sole, le stelle, la luna”, Lui
aveva già presente noi, perché tutto è stato fatto per noi. Quindi da
miliardi di anni Dio ha creato tutte le cose e continua a crearle per noi.
Quindi noi nasciamo in un "pensato per noi" precedentemente! Pensato
per noi!
Allora l'elemento
fondamentale innanzi tutto é questo: “Io entro in casa d'altri”; è doveroso
allora riconoscere il Proprietario. Questo
è l'atto di fede fondamentale, basilare. Ed è su questo atto fondamentale
che s'innesta la problematica dell'incontro col Cristo che presuppone in noi la
fame di Dio, il toccare con mano la nostra miseria, la nostra incapacità, e
quindi il bisogno di incontrare un dato sensibile che ci dia una mano. Perché
noi siamo convinti di Dio, siamo convinti della vita come dovrebbe essere
secondo Dio, ma non siamo capaci a realizzarla perché c'è un mondo diverso che
ci porta via, che ci distoglie.
Ecco allora che
invochiamo l'incontro col Cristo, una Realtà sensibile che ci prenda, che ci
unifichi a Sé, che ci incentri su di Sé, che ci faccia suoi discepoli, che ci
guidi , che ci raccolga da tutte le nostre dispersioni e ci conduca al Padre.
Gesù viene per raccoglierci
nel Padre, cioè nel punto estremo in cui c'è la Luce. “Il Padre della Luce
vuol dare la Luce a tutti coloro che la cercano, che la domandano”,
dice S. Giacomo.
Egli dice: "Chi
con Me raccoglie, riceve mercede di vita eterna" (cf Gv 4,36), riceve
la luce, perché la Vita Eterna é conoscenza. “Chi con Me…”: allora i
problemi arrivano a noi, qui noi dobbiamo con Cristo raccoglierli nel Padre, ma
con Cristo! Infatti Egli dice: “Senza
di Me non potete fare niente”, “Nessuno può venire al Padre (Padre
della luce) senza di Me” (Gv 14,6); “Nessuno può salire al Cielo se
non Colui che discende dal Cielo” (Gv 3,13). Quindi é “con Lui”,
con Cristo che i problemi vanno visti; ogni cosa va unita alle lezioni del
Cristo. Ecco l'importanza di conoscere le sue Parole!
Eligio: Prima di vederli da Dio, per fede li
accettiamo da Dio, no?
Luigi: Sì, per fede li accetti da Dio: sempre per
fede desideri arrivare a vedere la luce
di Dio, a conoscere la Verità, sapendo che la vita nostra sta lì.
Dobbiamo convincerci che
la vita sta nella luce,
perché fintanto che riteniamo che la ricerca di Dio è una cosa bella, ma che è
roba da salotto, che è una distensione dello spirito, ma intanto viviamo per
guadagnare denaro, o per altro da Dio, ciò significa che in realtà non abbiamo
la vera fede. Noi dobbiamo convincerci che la nostra vita sta nella luce.
Allora se noi siamo
convinti di questo, noi cerchiamo la luce di Dio con quella stessa fame con cui
cercavamo il denaro, anzi più ancora. Ho letto di un maestro indiano che per
far capire ai suoi discepoli come dovevano sentire il bisogno della luce, come
dovevano desiderarla, ne prese uno per il collo e lo immerse nell'acqua...;
questi incominciò ad urlare perché gli mancava il respiro. Quando lo tirò su
gli disse: “Soltanto quando tu incomincerai a sentire il bisogno di Dio come
senti il bisogno dell'ossigeno quando ti immergo la testa nell'acqua, soltanto
allora incomincerai ad essere vero discepolo della Verità”. Diversamente
no! Perché noi molte volte la ricerca di Dio la riteniamo un lusso.
Allora se io so che la
mia vita sta lì, ad un certo momento la devo cercare con quella stessa
intensità come chi cerca l'ossigeno quando non riesce più a respirare! Ecco, la
fede ci deve portare lì!
È questa fede che ci fa
valorizzare terribilmente il Cristo. Senza questa fede non si arriva al Cristo e rimaniamo
nell'Antico Testamento.
Eligio: Il passaggio successivo, cioè dopo la
ricerca della vita nella luce, é
l’entrata nel Nuovo Testamento: cioè l’incontro con Cristo, e quindi l’inserimento
nel Padre.
Luigi: "Con Cristo", ed avviene tutto
interiormente e progressivamente, perché anche con Cristo i problemi li
assimiliamo in un primo tempo adagio e male, poi adagio e bene, poi in fretta e
male, e poi in fretta e bene; è tutto un lavoro lento, che richiede pazienza,
poiché tutti i problemi che portiamo in noi, Cristo li raccoglie nel Padre; ed
è essenziale che Lui ce li raccolga nel Padre, perché senza di Lui noi siamo
soltanto questa accolta, questa somma di tanti avvenimenti (di tutto un mondo,
di tutto un ambiente intorno a noi), che portiamo in noi sospesi e che ci
portano via se noi non li raccogliamo in Dio.
Tutti gli avvenimenti
arrivano a noi e costituiscono noi; costituiscono quindi una fame, un bisogno,
ma se non troviamo il Verbo, la Parola di Dio, il Cristo che li raccoglie, noi
rimaniamo dispersi.
Quindi dobbiamo trovare
questi nostri argomenti, questa vita nostra, questi nostri problemi, raccolti
da Lui nel Padre. Allora Lui diventa la funzione complementare di quello che
difetta a noi; per cui i problemi sono in noi con un punto interrogativo,
bisognosi di una risposta.
Eligio: Perché dici che diventa una funzione
complementare? Direi essenziale…
Luigi: Sì, ma Cristo è complementare in quanto
complementa un cammino che in noi si è fermato ad un certo livello. Facciamo un
esempio: io ho un problema; questo problema si é trasformato in me in un punto
interrogativo non risolto. Cristo viene, prende questo punto interrogativo e lo
porta al Padre e lo risolve nel Padre: quindi completa il cammino che è
iniziato in me con l’interrogazione. Quindi Cristo è complementare in questo
senso.
Si capisce che Egli è
essenziale, perché senza di Lui non si fa nulla, ma Cristo è complementare nel
senso che completa tutto ciò che in noi è a metà strada. Senza Cristo tutto
resta a metà strada, non soddisfatto, tutto in noi diventa mistero...
Eligio: Tutto però si presenta a noi per essere
giudicato, cioè valutato.
Luigi: Sì, si
presenta a noi per essere giudicato. Però noi non possiamo, da soli non
sappiamo giudicare, valutare…
Eligio: Ecco, noi possiamo vanificarlo o raccoglierlo
in Cristo..
Luigi: Ecco, se lo raccogliamo in Cristo, con
Cristo, Lui ce lo porta a vedere nel Padre.
Eligio: Raccoglierlo con Cristo e in Cristo vuol dire
riconoscere tutto come opera del Padre?!
Luigi: Si capisce, però questa è solo la premessa;
invece Cristo ci porta a vedere il
significato, ci porta nella luce, ci porta a capire nel Padre il
significato del segno; lì la cosa si illumina e diventa vita. Ecco perché dice:
“Chi raccoglie con Me riceve mercede di vita eterna”. Dicendo “vita
eterna”, dice che riceve una ricompensa, una mercede, di luce e quindi di vita
vera, di vita che non viene più meno, che non cambia più.
Per cui quella luce che
Lui ci ha condotto a vedere nel Padre, diventa in noi una luce vera che non é
più soggetta a mutazioni, proprio perché é vera. Lui la chiama eterna, perché
ciò che è vero, non si modifica più; e questa Luce eterna diventa vita eterna.
Eligio: Mi sembra che questi primi tre punti siano
ben collegati tra loro.
Luigi: Certo, e costituiscono il fondamento della
vera fede. Ed è poi su questo atto fondamentale di fede che si innesta la
problematica dell’incontro con Cristo; il quale poi raccoglie tutti gli
avvenimenti e noi stessi nel Padre.
Prologo Capitolo uno Vangelo di San Giovanni. Quarto tema.
Titolo: Raccogliere verbo essenziale della vita.
Argomenti: Dio parla
personalmente. Raccogliere è il verbo della Vita. Dio è l’essere che
ha in Sé la ragione di tutto. Toccare con mano il nostro nulla e il
nostro Tutto. Il destino dell’uomo. Intendere il
significato nella persona che parla. Il vero male è interiore. Figli delle nostre
opere.
18/Gennaio/1976
Dall’esposizione di Luigi Bracco:
(Dagli
appunti): Abbiamo considerato come
i primi tre punti fermi del Prologo abbiano un’importanza determinante,
poiché ci evidenziano il fondamento della fede (Dio è il Creatore e
senza di Lui nulla è fatto) e la meta a cui la fede, se è fede vera, deve tendere: la Luce (perché la vita
vera sta nella Luce). Siamo stati infatti creati per la Luce, per conoscere la
Verità, Dio.
Il primo punto fermo: “Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui” e il secondo punto fermo: “e senza di
Lui nulla è fatto di ciò che è fatto”, formano dunque i capisaldi della
fede vera: quella che riconosce che Dio è il Creatore di tutto, per cui tutto
va attribuito a Lui, pena l’esperienza di annullamento di tutto e di morte.
Costruire su questo
fondamento è costruire sulla Realtà, perché la Realtà è Dio Creatore ed è
quindi costruire nella Luce, poiché
cercando la giustificazione di ogni cosa in Lui, si cerca la vita nella Luce
(ed è il terzo punto fermo: “la vita sta nella luce”). Infatti la
vera fede in Dio Creatore ci porta a raccogliere tutto in Dio per capire tutto
in Dio e da Dio, ricevendo così la luce e quindi mercede di vita eterna,
come dice Gesù: “Chi con Me raccoglie, riceve mercede di vita eterna”.
La nostra fede, se non ci porta ad interrogare, a cercare il significato
in Dio delle cose, non è vera fede, per cui, pur credendo in Dio, si arriva a fare
esperienza del niente, poiché la vita sta solo nella Luce.
Ma anche dall’esperienza
della vanificazione di tutto ciò che noi facciamo quando trascuriamo di
raccogliere in Dio, Dio trae una lezione positiva per la nostra anima, perché anche
questa esperienza negativa contribuisce a rafforzare in noi la convinzione che
la vita sta nella Luce. A chi trascurando Dio, e quindi trascurando la
ricerca della Luce, fa esperienza di morte, Dio dice: “Non lo sapevi? La vita era
quella! La vita stava nella luce, cioè nel raccogliere in Dio”.
Da questo comprendiamo
come il raccogliere ogni cosa in Dio sia il vero lavoro che Dio ci chiede,
perché Egli vuole che noi viviamo. Raccogliere è dunque il verbo della vita,
perché è il verbo che ci porta nella Luce e quindi nella vita, perché : “la
vita sta nella Luce”.
Raccogliere è perciò il
primo dovere dell’uomo e lo deduciamo appunto dai primi tre punti fermi del
Prologo, sui quali, data la loro importanza, dobbiamo ancora soffermarci.
Poiché tutto è stato
fatto per mezzo del Verbo, del Pensiero di Dio, tutto va accolto, visto e
contemplato in questo Pensiero.
Questo è raccogliere e questa è la vera vita interiore. Fintanto che non siamo
ben convinti di questo e non facciamo questo lavoro di raccolta, troveremo
sempre la strada interrotta verso la Luce, per quanti sforzi facciamo, e non
potremo mai giungere alla meta, anzi, faremo esperienza di vuoto e di morte.
È essenziale quindi,
innanzitutto, convincerci che veramente “tutto è stato fatto, ed è ancora
fatto, per mezzo di Lui”, perché Dio solo è il Creatore di tutto. Ci fosse
anche solo un piccolo granello di sabbia non fatto da Lui, o un piccolissimo
avvenimento non voluto da Lui, Dio non sarebbe più Dio. Dio è Dio proprio
perché è il Principio Creatore di tutte le cose visibili e invisibili. Dio è
Dio perché è l’Essere che ha in Sé la ragione di tutto ciò che esiste e di
tutto ciò che accade, ed è proprio per questo che dobbiamo non solo
accogliere ogni cosa da Lui, ma dobbiamo anche riportarla, raccoglierla in Lui
perché ce ne riveli Lui la ragione.
(Dalla
registrazione): C’è da precisare una cosa molto importante:
non solo “tutto è stato fatto per mezzo di Lui”, ma anche “tutto è
stato fatto ed è ancora fatto personalmente per ciascuno di noi. Tutto Dio
lo ha voluto per noi ed in vista di noi. Anche le cose che ci giungono da
distanze infinite, e che sono state create molto prima di noi, sono state fatte personalmente per ognuno di
noi, perché noi ora le vedessimo: sono state quindi volute per noi, in
vista di noi. Ognuno di noi può con certezza affermare: “La prima stella
che il Signore ha creato miliardi di anni fa, l’ha creata per me. Quella
luce che arriva a me, è partita miliardi di anni fa per il mio occhio che,
adesso, doveva accoglierla”.
Questo perché accade? Perché avviene senza di me? Perché questo
universo immenso?
·innanzitutto per farci toccare con mano il
nostro nulla, perché ci fa capire che quel fatto lontanissimo nello spazio
e nel tempo è avvenuto senza di noi;
·e poi per farci toccare con mano anche il
nostro tutto, cioè la nostra
preziosità, poiché quel raggio è partito tanti anni fa da distanze immense con
il nostro nome e indirizzo, personalmente: come una lettera chiusa che arriva
al nostro indirizzo.
Ecco allora, è questo che
va sottolineato: tutto ciò che è fatto prima che noi nascessimo è stato fatto
in vista di noi, per ognuno di noi personalmente, perché Dio parlando a tutti,
parla a ciascuno in particolare. Noi invece quando parliamo ad un gruppo,
parliamo in modo impersonale. Ma il parlare impersonale, alla massa, è effetto
di grossolanità, perché noi non riusciamo a tenere presente tutto di ognuno.
Invece Dio, che è intelligenza infinita, quando opera e parla, riesce a
tener presente tutto di ciascuno di noi, quindi anche le cose minime di
noi, anche un minimo pensiero, uno stato d’animo. E questo tener presente tutto
di ognuno di noi vuol dire parlare
personalmente a ciascuno di noi. Ognuno di noi allora si sente compreso, si
sente tenuto presente, perché non c’è nulla che sfugga a Lui. Quando invece
qualcuno parla a noi, ma parla anonimamente, come se fossimo uno qualunque, noi
ci sentiamo non compresi, ma considerati grossolanamente. D’altronde la
creatura non può tener presente tutto di
noi perché non ci conosce in tutto e non può conoscerci in tutto (solo Dio ci
conosce in tutto), per cui da lei non possiamo sentirci compresi. Dunque,
soltanto Dio, che conosce tutto di noi e che quindi tiene presente tutto di
noi, in tutte le sue opere parla personalmente a ciascuno di noi, per cui anche
le cose create in un tempo lontanissimo, che ci giungono da distanze infinite,
e che quindi sono state create infinitamente prima di noi, sono state fatte per
ciascuno di noi in particolare.
Allora:
·sono state fatte molto prima di noi
innanzitutto perché noi potessimo toccare con mano che certamente non siamo noi
che le abbiamo fatte.
Ecco perché abbiamo delle distanze enormi, nello spazio e nel tempo, di fatti che sono totalmente
indipendenti da noi: appunto, come dicevo prima, per farci toccare con mano
il nostro niente e non ritenerci noi capaci di fare..;
·Però, dicevo, nello stesso tempo Dio ci fa capire che quel fatto
lontanissimo che è avvenuto senza di noi, è avvenuto per noi, per ciascuno di
noi, e questo ci fa capire anche la preziosità del nostro destino e di
quello che noi riceviamo; per cui io non posso trascurare
quell'avvenimento, quella notizia, quel raggio di luce che mi arriva da
lontano, poiché porta un messaggio per me; è una lettera sigillata che arriva a casa mia a me, col mio
nome e indirizzo, e va letta. Solo se la raccolgo in Dio ne potrò leggere il
contenuto e riceverne una carica di vita. Ma se la trascuro o la metto sotto i
piedi, sono superbo e ne subirò le conseguenze.
Ogni cosa quindi che ci
arriva e che è stata creata senza di noi (e questo ce lo dimostra la lontananza
da noi di spazio e tempo) è molto
preziosa per noi, perché ci arriva con scritto il nostro nome e porta un messaggio
personale per noi.
Quindi ci invita a
raccoglierlo in Dio per intenderne il
significato: che cosa Dio mi vuole dire in questa lettera?
Per imparare a
raccogliere è molto importante quindi mantenere in noi questo atteggiamento di fondo:
tutto ciò che arriva a noi è una lettera personale con il nostro nome scritto;
va quindi accolta, aperta, letta, riportata a Dio, per poter intendere ciò che
Dio vuole dirci. Questa è l’opera di raccolta che dobbiamo fare.
Se non la facciamo, vanifichiamo
ogni cosa perché “senza di Lui tutto è ridotto a niente”. Se la facciamo,
avanziamo di luce in luce e aumenta in noi la vita, perché “la vita sta nella
Luce”.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Eligio: Sì, in questi primi tre punti fermi ai quali
hai accennato vediamo il dovere che la creatura ha di raccogliere tutto in Dio
(se vuole giungere alla Luce e vivere) poiché tutto è opera di Dio che va
capita, e come sia indispensabile per la creatura questo lavoro di raccogliere
se non vuole esperimentare la morte.
Luigi: Tutto però parte dal primo punto: “Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui” ed è fatto per ciascuno di noi.
Eligio: Hai detto che tutto ciò che è fatto senza di
noi, prima di noi, è una lettera per ciascuno di noi. Volevo chiederti se dobbiamo
considerare come “lettera personale” anche ciò che è stato fatto dalle persone
vissute prima di noi?
Luigi: Certo, tutto ciò che è fatto senza di noi è
Dio che l’ha fatto. Tutto viene da Dio: è Dio che lo fa.
Eligio: Quindi anche quello che facciamo noi vale per
quelli che ci seguiranno.
Luigi: Si capisce.
Eligio: Ecco quindi
la responsabilità del male che io faccio adesso.
Luigi: Certo. Comunque è lezione di Dio, tutto,
non solo per quelli che seguiranno, ma anche per quelli di adesso. Infatti noi
siamo ricevitori di tutto ciò che non dipende da noi, e quindi siamo
spettatori. In tutto ciò che non dipende da noi, è tutto lezione di Dio, personale, per ciascuno di
noi, per cui Dio ci chiede di interrogare Lui per sapere e per capire.
Dio un giorno ci dirà:
“Ero Io che parlavo con te, e tu credevi fossero gli uomini, la natura, il caso. Perché ti sei interessato
più degli uomini o delle notizie degli
uomini che di Me?”.
Eligio: Però la creatura mi parla a nome suo.
Luigi: Certo, ma in qualunque modo la creatura
parli, non è la creatura che parla, ma è Dio: è Dio che parla! La lezione è
sua. La creatura è un mezzo attraverso cui Dio si fa pensare mandandomi
un messaggio; è la busta, la carta attraverso cui mi fa giungere il suo
messaggio. Noi non dobbiamo attribuire alla carta il messaggio, ma a Dio che ha
usato la carta (la creatura) per farmelo giungere.
Noi dobbiamo tenere
presente non la creatura, ma il Creatore: e questa è la condizione per
intendere il significato, perché solo tenendo presente la persona che parla
(quindi Dio e non la creatura) noi abbiamo la possibilità di intendere il
significato, se no attribuiamo quello che abbiamo dentro di noi alla parola
(al segno), e quindi la travisiamo, perché noi la parola abbiamo bisogno
di rivestirla di un significato. Se
teniamo presente chi parla, cerchiamo l’intenzione con cui ha detto una
cosa. Ma se non teniamo presente chi parla, allora non cerchiamo l’intenzione
con cui ha detto quella parola, per cui la rivestiamo con quello che già
portiamo dentro di noi, e quindi la
travisiamo. Ciascuno di noi interpreta i
fatti a seconda di ciò che porta nel cuore.
Dio ci chiederà conto:
“Era il tuo Dio che ti parlava. La creatura era solo la carta, la busta e tu ti
sei fermato ad essa”.
Ines: E questo anche quando la creatura faceva il
male?
Luigi: Il male lo facciamo noi quando non riferiamo
le cose a Dio. Il nostro male è proprio quello: trascurare questa verità; ed
allora ecco che si verifica quanto ci è annunciato nel secondo punto fermo: “Senza
di Lui tutto ciò che è fatto diventa niente”. E questa vanificazione di
tutto, questo “male” che esperimentiamo è opera di misericordia di Dio per
richiamarci al lavoro essenziale che abbiamo trascurato: raccogliere tutto in
Dio.
Ines: Quindi è anche Dio che fa quello che noi
riteniamo male.
Luigi: Il
male vero è solo interiore: è non riferire a Dio ciò che è di Dio, è
non riferire a Dio la lettera che ricevo da Dio. Questo è il peccato. È
l’unico peccato che origina tutti gli altri mali. È il distacco da Dio,
è l’attenzione, la conversione alla creatura. È il non tener conto di Dio per
tener conto della creatura: lì è il peccato; quindi è un fatto intimo,
un’intenzione, per cui non riferisco a Dio quello che è di Dio. Tutto è di Dio;
non riferendolo a Dio, faccio peccato. Se non tengo conto di Dio, non posso
attribuire a Dio ciò che è di Dio, per cui faccio peccato.
In conseguenza di questo
errore di attribuzione, determino un comportamento che è deviante dalla vita, che mi porta molto lontano dalla vita; mi
porta a morire molto lontano da Dio, perché incomincia ad involvermi nella
schiavitù, nelle creature, nei compromessi, ecc. E qui non vedo più Dio, ma
incomincio a ragionare solo più con le creature, perché divento figlio della
mia opera sbagliata, di un distacco. Il mio distacco da Dio infatti dà
conseguenza ad una certa opera che è sbagliata.
Noi siamo figli delle
nostre opere, perché essendo stati creati per diventare figli di Dio, se
facciamo le opere di Dio, cioè se raccogliamo in Dio, diventiamo figli di Dio,
ma se facciamo le altre opere vedendo le cose dal punto di vista del nostro io
o di altri, diventiamo figli di altre opere, perché siamo destinati a diventare
figli. Comunque sia noi diventiamo figli di ciò che facciamo: se
“facciamo” Dio, cioè se facciamo trionfare lo Spirito di Dio su ogni cosa,
raccogliendola in Dio, diventiamo figli di Dio; ma se “facciamo” il nostro io,
diventiamo figli del nostro io staccato da Dio, e non c'è più nessuna creatura
che ci possa tirar fuori perché
diventiamo figli delle nostre opere.
Da questo comprendiamo
l’importanza del raccogliere in Dio. Non raccogliere significa diventare
schiavi, dipendenti, figli di questa omissione. Lo dice Gesù: “ Chi fa il
peccato resta schiavo di esso” (Gv 3,20); ma dice anche: “Chi fa la
Verità (cioè chi raccoglie in Dio) giunge alla Luce” (Gv 3,21).
Ines: Se noi curiamo questa attenzione a Dio
Creatore, incominciamo poi a dialogare con Lui.
Luigi: Il dialogo con Dio è una conseguenza della
convinzione che tutto è opera sua. Cioè noi entriamo in dialogo con Colui che
sappiamo che sta parlando con noi. Solo se sono convinto che Dio parla con
me dialogo con Lui, se no non entro in dialogo.
Ines: Se tengo conto di Dio, rispetto l’iniziativa
di Dio, per cui non faccio partire più nulla da me.
Luigi: Certo, però c’è questo fatto: che comunque
sia le cose partono da te, anche se tieni conto di Dio, perché comunque noi
diamo sempre una risposta all’iniziativa di Dio. Ma la nostra risposta all'iniziativa di Dio è molto
diversa a seconda se teniamo presente Lui o no. Se qualcuno mi pesta un piede,
parte sempre da me una certa reazione, sia che tenga conto di Dio, sia che non ne tenga conto: se
tengo conto di Dio, parte una certa reazione che è motivata dallo Spirito di
Dio, e che quindi, sostanzialmente parte da Dio; se non tengo conto di Dio, ne parte un'altra che è
motivata dal mio io o dall’io di altri; ma a seconda della reazione che
parte, divento figlio di essa.
Quante conseguenze ci cadono
addosso a seconda della risposta che diamo! Da una risposta che non avremmo
dovuto dare se avessimo tenuto presente Dio, quante conseguenze negative! Se
avessimo tenuto presente Dio e quindi se non avessimo data quella rispostaccia,
tutto un mondo magari sarebbe cambiato attorno a noi.
Quindi è determinante il
fatto di tener presente Dio o di non tenerlo presente. L’elemento fondamentale
è sempre quello di essere convinti che tutto è opera di Dio. Se siamo convinti
di questo, allora tutto ci sollecita a dialogare con Dio, e il dialogo con
Dio inizia noi alla vita spirituale, alla vita vera, che è una continua novità
di vita, un continuo cambiare la nostra mentalità, un continuo modificare
la nostra coscienza, le nostre conoscenze, un continuo superamento, una
continua revisione.
Il dialogo con Dio ci
porta ad un continuo superamento di ciò
che abbiamo conosciuto, di quello di cui siamo convinti, perché Dio ci
supera sempre e, attraverso i suoi messaggi, Lui ci invita ad andare
oltre, a una revisione continua.
Quindi la vita spirituale
è una novità continua ed è un impegno sempre personale perché noi per natura
non ci colleghiamo con Dio, né
colleghiamo a Dio i fatti che ci arrivano (ad es. il piede pestato). Per
collegarci con Dio bisogna sempre fare un certo sforzo.
Infatti ci arrivano
naturalmente e li riceviamo naturalmente, anche se non li vogliamo, ma non naturalmente li colleghiamo con il Pensiero
di Dio: per collegarli è richiesto l’impegno personale e si richiede sempre
uno sforzo: "Affaticatevi, sforzatevi di entrare", dice Gesù (Lc 13,24). Se
personalmente non ci impegniamo a farlo, ogni cosa rimane in noi staccata da
Dio, e allora la attribuiamo ad altre
cause, e qui cominciano tutti gli errori.
Ad esempio: uno che mi
pesta un piede lo ricevo naturalmente, ma non naturalmente io riferisco il mio
piede pestato a Dio; quindi se personalmente non mi impegno a collegare il
piede pestato con il Pensiero di Dio, questo fatto resta in me staccato da Dio,
per cui lo attribuisco alla creatura, con tutte le conseguenze sbagliate che ne
derivano.
Raccogliere in Dio è
quindi sempre un lavoro personale, perché c’è sempre un tratto di strada da
percorrere tra i fatti che arrivano e Dio; e solo noi possiamo percorrerlo,
unendo il fatto che ci arriva con il Pensiero di Dio, per cercarne presso Dio
il significato.
Ines: Nessuno può sostituirci a fare questo
lavoro di raccogliere le cose in Dio.
Luigi: E già! Ecco dove comincia la nostra vita
personale! per cui, se non lo facciamo, se personalmente non ci impegniamo in
questo lavoro di raccogliere in Dio, non viviamo; il nostro vivere diventa un
vivere anonimo, di reazione, un vivere animale sotto un certo aspetto, perché
la parte spirituale non interviene.
Pinuccia B.: Come è possibile collegare sempre tutto con Dio, per
raccogliere tutto in Lui?
Luigi: Ci dice Gesù: “Con la pazienza
guadagnerete, arriverete al possesso della vostra anima” (Lc 21,19):
·In un primo tempo si fa adagio e si sbaglia,
·poi si va adagio e si fa centro,
·poi in fretta e si sbaglia,
·poi in fretta e si fa centro.
Sono le quattro tappe, i
quattro tempi per apprendere un lavoro o un’arte.
Quindi in un primo
momento Gesù dice: “Sforzatevi di entrare”. Noi ci sforziamo e sbagliamo
ed è logico, perché Dio è infinitamente grande e ci trascende. Ma a
forza di sbagliare e ritentando sempre, poco per volta cominciamo a intendere
come Dio parla, a capire il significato delle cose (adagio e si fa centro). Poi
si arriva ad intendere non appena Dio ci parla, fino a giungere al punto in cui
lo Spirito che è in noi addirittura precede l'avvenimento, poiché è lo Spirito
che illumina dato che è lo Spirito che opera. Infatti Gesù dice: "Parlo
prima che i fatti avvengano, affinché quando avverranno intendiate"
(Gv 16,4). Cioè uno ha in sé lo Spirito che precede l'avvenimento perché, in
realtà, è lo Spirito che determina l'avvenimento.
Ma generalmente, in un
primo tempo, ci vuole tanto tempo, magari degli anni, per arrivare a
capire cosa voleva dirci quella “lettera” (così come ci vuol tempo per imparare
una lingua straniera). Ecco: lo faccio adagio e sbaglio; adagio e poi
capisco…per imparare poi a farlo in tempo reale… anzi addirittura in anticipo,
ma l’importante è sempre tener presente il Creatore e le parole di Cristo.
Eligio: È legittimo porci la domanda: che risposta io
debbo dare?
Luigi: La risposta ad un fatto dipende
dall’intelligenza del fatto; comunque anche se sbagliamo l’importante è essere
in buona fede.
Eligio: E quando non sappiamo la risposta da dare?
Luigi: Ci sono degli elementi chiari: prima cosa
l'adesione e poi interrogare Dio. È Dio che mi fa capire la risposta che devo
dare. Ma la prima risposta che Dio chiede a noi è quella di accettare tutto
dalle Sue mani, anche se non capiamo (l'intelligenza del significato non
dipende da noi, ma dipende da Dio), e poi di riportare in Dio perché Lui ci
riveli il suo Pensiero: questo vuol dire raccogliere in Dio.
Accettare è già
difficilissimo per la creatura, perché la creatura è abituata a reagire
naturalmente, ma è il primo passo necessario, senza il quale non si può
riportare a Dio, per giungere all’intelligenza del fatto. Questa accettazione e
questa attesa della Luce già cambia il nostro comportamento.
Quindi devo accettare
perché quando una cosa non dipende da me, dipende da Dio: “Signore, non ci
capisco niente, ma so che c’è la mano tua: siccome è opera tua, io l’accetto.
Non mi fa comodo, mi è antipatico, è una disgrazia, è un dolore, mi fa male
(anche se viene da Te), non capisco, ma accetto; è opera tua. Quando capirò, Ti
ringrazierò”.
La condizione
fondamentale (per adesso che non
capisco) per entrare in dialogo con Dio è accettare tutto come opera di
Dio. Quindi la prima risposta, quando ancora non c’è l’intelligenza del
fatto, è accettare. Ma non dobbiamo fermarci all’accettazione, se
vogliamo giungere al significato: bisogna riportare la cosa in Dio. La cosa
raccolta in Dio ci raccoglie.
Pinuccia B.: Questa è la risposta interiore, ma esteriormente posso
dare una risposta o un’altra, dire quella parola o dirne un’altra. E allora?
Luigi: Le nostre risposte sono determinate
dall'accettazione o dalla non accettazione delle cose da Dio. Se il piede
pestato lo accolgo dalla mano di Dio, questo determina già un certo
comportamento. Non posso più prendermela
con il fratello, come non posso prendermela con Dio che mi pesta un piede
(posso però chiedere a Dio: “Perché mi hai pestato un piede?”).
Se credo in Dio Creatore
capisco che il fratello é il pezzo di carta
usato da Dio per mandarmi un messaggio, è il bastone usato da Dio per
bastonarmi. Ecco perché se accetto (prima risposta) da Dio ogni avvenimento, questa
prima risposta interiore determina la mia risposta esterna, il mio
comportamento. Non posso prendermela col fratello. Tutt'al più posso avere
riconoscenza e amore verso di lui; anzi devo avere amore, perché Dio lo ha
usato per fare una parte sgradita a favore mio. Quindi in quanto è stato usato
per fare una parte sgradita per comunicarmi qualcosa, deve avere da parte mia
tutta la riconoscenza.
Pinuccia B.: E questo anche nei confronti di un Hitler, ad esempio?
Luigi: Certamente, noi non possiamo mica giudicare!
Dio usa Assur per bastonare il suo popolo. Così Hitler... È il Signore che lo
ha costruito così, non per lui ma perché noi abbiamo abbandonato e dimenticato
Lui. Quindi la lezione dobbiamo prenderla sempre su di noi. Dio ci ha mandato
un Hitler non perché giudicassimo un Hitler, ma perché giudicassimo noi stessi.
Così ci ha dato i
Comandamenti, non perché noi sedessimo in tribunale per giudicare le azioni
degli altri, ma perché giudicassimo noi stessi. Tutti gli altri sono soltanto dei mezzi attraverso cui Dio ci continua a dire: "Giudica te
stesso, cambia te stesso”.
Dio opera per cambiare
noi, non per darci in mano un'arma per giudicare gli altri e considerarci migliori (guarda, quel tale è
un delinquente, io per lo meno non sono un delinquente; guarda quell’Hitler, io
non sono un Hitler; guarda Mussolini, io non faccio come Mussolini, ecc.), perché
se così facciamo, certamente sfasiamo tutta l’opera di Dio. Cioè, noi rivestiamo
le opere di Dio delle nostre intenzioni, delle nostre vanità, ma non
leggiamo l’intenzione di Dio, cioè non teniamo presente la Persona di Dio.
Allora è come sentire una
parola di uno riferita da un altro e attribuire a quella parola una nostra
intenzione. Però quando andiamo da quella persona, capiamo che abbiamo
sbagliato tutto, perché scopriamo che lei aveva un’altra intenzione, per cui
voleva dire tutt’altro. E noi magari ci siamo costruiti un castello, ci siamo
chiusi dentro, siamo entrati in guerra col fratello, e poi scopriamo che lui
non aveva affatto quell'intenzione, neppure nell'anticamera del cervello. Ecco
l'errore che facciamo tutte le volte che non ci colleghiamo con Dio! Per
cui attribuiamo alle opere di Dio, o meglio, a Dio stesso, delle intenzioni che
Lui non aveva nemmeno lontanamente.
Quelle intenzioni sono
dentro di noi. Siamo noi che rivestiamo con esse tutto. Gli avvenimenti, le
parole, non sono altro che dei corpi nudi che noi rivestiamo con i nostri
abiti. E Dio ci dice: “No, mettici i miei abiti e non i tuoi”.
Eligio: Pur cercando di raccogliere le cose in Dio,
non è detto che capiamo l’intenzione di Dio, per cui è facile che sbagliamo
nelle nostre risposte.
Luigi: Certo, non sempre comprendiamo l'intenzione
di Dio e quindi nemmeno la risposta che dobbiamo dare, per cui sbagliamo; però
è facile capire la prima risposta che dobbiamo dare: l’accettazione; ma ci sono
altre risposte da dare che richiedono l’intelligenza: l’intelligenza del
significato e alcune richiedono degli anni di attesa. Ma finché la creatura
è cieca, è nelle tenebre, è nel disegno
di Dio, per cui c'è la buona fede e
Lui la corregge. È quando, nelle tenebre, incomincia a dire: “Io sono luce… io
capisco… io vedo”, che esce dal disegno di Dio.
Eligio: Ci
vuole però umiltà.
Luigi: Certo, bisogna riconoscerci ciechi e avere
desiderio di conoscere l’intenzione di Dio. Le tenebre non possono credersi
luce. Un cieco non può dire: "Io vedo". La creatura ha sempre
bisogno per avere la luce, di interrogare Dio, di dialogare con Dio, perché è
sempre povera, è sempre cieca. Ha sempre bisogno, per vivere, di vivere in unione con Dio, perché la Luce è
Dio. Per questo Dio dice: "Restate sempre uniti a Me" (Gv
15,4), perché “Senza di Me non potete fare niente”. Quindi bisogna
cercare sempre questa unione con Dio.
Però l'unione con Dio
non sta nel dire: “Adesso penso a Dio”; ma sta nel riferire tutto a Dio,
nel dialogare con Dio, nel cercare di capire in Dio, nel tenere presente
Dio, in una parola: nel raccogliere in Dio.
Eligio: Quindi l’unione con Dio richiede anche un atteggiamento attivo, non solo passivo.
Luigi: Certo, anzi questo lavoro di raccogliere in
Dio è la massima attività. Nella nostra
vita di ogni giorno noi diamo molte
risposte nelle quali non facciamo nemmeno intervenire il pensiero, ma agiamo o
reagiamo per istinto così, automaticamente.
Ma invece là dove dobbiamo applicarci facciamo intervenire il pensiero.
Tanto più nel dialogo con Dio: infatti il collegare con Dio, richiede il
massimo sforzo della nostra persona; la parte spirituale nostra è tutta
impegnata perché senza di noi questo lavoro non si compie e in noi c’è
un distacco da sanare: le cose tutte arrivano a noi e dicono a noi: “Portaci
a Dio”.
Ma senza di noi
certamente non arrivano a Dio in noi e in noi restano staccate da Dio. Cioè il
distacco avviene e rimane in noi, non nelle cose, e questo perché portiamo
in noi due cose staccate: il Pensiero di Dio (che non se ne va, e, anche se
Lo bestemmiamo, resta sempre in noi) e la cosa non collegata con Dio dentro
di noi, per cui non unendo le cose a Dio seminiamo in noi una frattura.
È un principio di
schizofrenia, è proprio una divisione interiore che si instaura in noi. Per cui
quella insoddisfazione di fondo che portiamo in noi, è sempre una divisione che
portiamo in noi. Ne consegue tutto il problema di una mancanza di identità, ecc.: perché siamo divisi,
portiamo una frattura in noi: il nostro io è diviso tra il Pensiero di Dio
(cosciente o no, perché anche se Lo bestemmiamo o non crediamo, non Lo possiamo
cancellare né cacciare) e gli avvenimenti e i fatti che arrivano a noi.
Tutte le cose, tutti i
fatti chiedono a noi di essere collegati, uniti al Pensiero di Dio. Se li
colleghiamo restiamo uniti a Dio e possiamo essere illuminati. Ma se invece
tali fatti (cose o persone) restano in noi disuniti da Dio, noi stessi restiamo
disuniti da Dio, cioè seminiamo la frattura. Gesù infatti dice: “Chi con Me
non raccoglie, disperde” e rimane disperso. Ora, se noi teniamo presente
che la morte è divisione, noi seminiamo
la morte così dentro di noi: non unendo le cose a Dio che è Vita. Infatti il terzo punto fermo del Prologo
è: "In Lui era la vita: la vita è In Lui".
Dimenticando Lui, noi
seminiamo la morte dentro di noi.
Per cui quando non uniamo le cose a Dio, noi diventiamo delitto, noi seminiamo
in noi il delitto, anzi facciamo già il delitto, per cui se Dio non ci impedisce
di farlo, noi facciamo tutti i delitti di questo mondo, perché già noi stessi
siamo delitto, quindi li abbiamo già fatti in noi; abbiamo già la morte in noi,
per cui non possiamo far altro che la morte.
Ed ecco allora che siamo
passati già al secondo punto fermo che
ci presenta il risvolto negativo del primo, cioè le conseguenze del non
raccogliere in Dio: “Senza di Lui è fatto niente tutto ciò che è fatto”,
cioè “senza di Lui diventa niente tutto ciò che è fatto”: diventa
niente in noi. Il “senza" è in noi, non fuori, perché fuori
di noi tutto è opera di Dio: "Tutto ciò che è fatto, è fatto per
mezzo di Lui”, il “senza di Lui”
è solo in noi, perché il collegamento di tutta l’opera con Dio non
avviene senza di noi. Per cui il “senza”, cioè il distacco, è
soltanto dentro di noi che avviene. Infatti noi possiamo pensare a noi stessi e
trascurare Dio, non attribuendo le cose a Lui. Quindi questo “senza” è
solo un'opera intima, interiore: è il peccato.
Allora se noi non
colleghiamo con Dio le opere di Dio, i fatti che avvengono, in noi tutto viene
vanificato, tutto diventa inutile. Quindi tutta quell'opera immensa fatta da
Dio, tutto l'universo, tutti i fatti che avvengono, tutte le creature che
il Signore ci mette attorno e, in conclusione, anche la vita del Cristo, la
sua morte, ecc., tutto diventa inutile: sangue sparso per niente, sparso
invano. Per cui “verrà chiesto conto a questa generazione” di tutto
quello che è stato sprecato; perché: “Tutto è stato fatto per te; guarda che
opera immensa! E tu cosa ne hai fatto?”. Tutto quell'immenso lavoro di Dio
per portare noi alla salvezza, alla conoscenza della Verità, è stato da
noi sciupato, è diventato niente.
Per cui avessimo anche
tutto il mondo già nelle mani, avessimo le più grandi virtù, la più
grande intelligenza, possedessimo anche la fede, la speranza e la carità, tutto
ciò che possiamo immaginare, se noi non viviamo con Dio, non colleghiamo con
Dio, tutto resta sprecato, perdiamo tutto, tutto diventa inutile.
Non c'è nulla che noi
possiamo possedere nel vero senso, è solo in Dio che possediamo, perché è solo
in Dio che le cose valgono. Altrimenti, siccome tutte le cose sono state fatte
da Dio perché noi si vada a Lui, affinché noi ci si ritrovi in Lui, se noi non
ci ritroviamo in Lui, tutta l'opera di Dio diventa inutile per noi, solo in
noi.
Ecco: "senza di
Lui, tutto ciò che è fatto diventa niente", è niente tutto ciò che è
fatto. Ecco perché Gesù ha detto: “Chi
non raccoglie con Me, disperde”!
Noi abbiamo in noi questa
potenza terribile: di annientare in noi tutta l’opera di Dio e il Pensiero
stesso di Dio. Abbiamo il potere di
fare la nostra dannazione.
Nel pensiero del nostro
io noi possiamo tenere disunite le opere di Dio da Dio. Per questo il
Signore ci ammonisce: “Date a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21);
questa è la giustizia fondamentale. “Voi vi preoccupate di tante giustizia,
anche nel mondo, nella società, ecc. e non vi accorgete che ingoiate un
cammello di ben altre dimensioni” (cf Mt 23,23-24).
Quindi non basta
accettare da Dio, ma bisogna dare a Dio ciò che è di Dio. Quindi: riportate a
Dio quello che è di Dio, perché tutto è di Dio. Riferite tutto a Lui.
È soltanto riferendo a
Lui che la cosa si illumina, rimane raccolta in Lui.
Pinuccia B.: Quindi il "senza
di Lui" vuol dire non riportare a Lui tutte le cose, non raccogliere;
quindi è un fatto interiore, di pensiero.
Luigi: Ed è il vero peccato. Il lavoro di
riportare a Lui è un lavoro di pensiero e quindi di scelta (nelle nostre risposte
ad ogni pestata di piede). Questa è la giustizia fondamentale che presuppone
questa convinzione: “tutto è opera di Dio”. Se sei convinto che tutto è fatto
da Dio, riporta tutto a Lui. L’Autore di quella cosa o creatura è Dio, quindi
non appropriartene. Il pensiero è di Dio, l'opera è di Dio, quindi non attribuirlo alla creatura o a
te stesso, ma a lui. Rispetta l'autore. È di Dio! Se noi rispettiamo
l’Autore, allora la cosa si illumina in noi, diventa luce per cui aumenta
in noi la vita, poiché “la vita sta nella Luce”.
E sfociamo così nel 3°
punto fermo del Prologo: “In Lui era la vita e la vita era la luce degli
uomini”: cioè gli uomini vivono
nella misura in cui raccolgono tutto in Lui, perché solo la cosa raccolta in
Dio diventa luce e quindi vita.
La luce non sorge prima, cioè non sorge quando le cose arrivano a noi
e nemmeno quando le accettiamo da Dio, ma sorge solo nel momento in cui noi
riportiamo le cose a Dio. Ciò che non riportiamo a Lui resta tenebre in
noi. Ciò che riportiamo a Lui, Lui che è la Luce, resta illuminato e capiamo:
"Ah, volevi dire quello!”, per cui diventa dono di Vita Eterna. Infatti
Gesù dice: “Chi con Me raccoglie riceve mercede di Vita Eterna ”, perché
avviene una conoscenza vera in noi. E in quanto è vera, è eterna, non muta
più. Quindi la mercede, cioè la ricompensa, è una conseguenza di quest’opera di
unione a Dio, di quest’opera di raccolta in Dio. Per cui:
·le cose arrivano a noi,
·chiedono a noi di essere riportate a Dio;
·se noi le riportiamo a Dio, unite a Dio, si
illuminano e noi riceviamo la
conoscenza.
·questa conoscenza è la mercede di vita eterna.
Quando noi avremo
raccolto tutto in Dio, noi saremo nella vita eterna. Se noi raccogliamo poco, entriamo poco nella vita
eterna. Se non raccogliamo niente, non entriamo nella vita eterna e siamo
lacerati da tutto il mondo esterno: “Legatelo e gettatelo nelle
tenebre esteriori” (Mt 22,13). Allora il nostro mondo interiore è
invaso solo dalle cose esteriori che non sono luce, ma tenebre.
Ecco, il mondo, se noi
non lo uniamo a Dio, entra dentro di noi e ci porta via, per cui non siamo più
padroni di niente, perché chi diventa padrone della nostra anima è il mondo
esterno, che non è Verità, non è Luce, per cui siamo lacerati continuamente da
tutti i fatti esterni, da tutte le creature:
chiunque arrivi può portare via
qualcosa da noi. A questo punto noi siamo in balia degli altri. Abbiamo messo
il banco in piazza: tutti passano, prendono e portano via, e noi non
possiamo resistere (questa è la caratteristica di chi è nelle tenebre
esteriori). Non possiamo opporci al
latrocinio, perché non siamo con Dio.
Ines: Non possiamo, perché fintanto che continuiamo
in quell’andazzo lì accumuliamo rovina su rovina.
Luigi: Sì, per cui si è alla mercè di tutti. Qui si
arriva a toccare con mano il niente. Ecco: “senza di Lui tutto è ridotto a
niente”.
Ines: A questo punto solo il Signore ci può
liberare.
Luigi: Ma non senza di noi. È la strada: chiunque
passa, pesta, ruba e porta via. È la prostituzione. Siamo a disposizione degli altri.
La creatura che non è unita a Dio necessariamente si prostituisce. Se
noi uniamo tutto a Dio, rimaniamo uniti a Dio, allora Dio ci libera da tutte le
cose che diversamente ci lacerano.
Dio è il liberatore, ma
ci libera in quanto noi facciano conto su di Lui, e quindi riferiamo a Lui.
Eligio: È la conoscenza della Verità che ci libera.
Ora però quando riferiamo le cose a Dio e le raccogliamo in Lui possiamo
giungere a cogliere una verità, ma non la Verità Assoluta e tanto sospirata, la
quale però per noi resta un miraggio. Ora vorrei chiederti: quando e come la
creatura giunge a coglierla? In che relazione sta il “raccogliere” e la
conoscenza vera di cui hai parlato?
Luigi: Il collegare le cose a Dio, il
raccoglierle in Lui ci porta alla conoscenza vera del significato di esse,
cioè della volontà di Dio su di noi, ad esempio dopo il pestaggio del piede. Ma
questa non è ancora la conoscenza della Verità Assoluta. La conoscenza
della Verità Assoluta è la conclusione del processo della nostra vita con Cristo,
di tutto questo riferimento a Dio; raccogliendo le sue parole, perché sono
queste che ci conducono (perché preparano in noi la capacità di riceverla) alla
conoscenza di questa Verità Assoluta: Verità personale, conoscenza intima, che
si caratterizza nella conoscenza della
Trinità di Dio e quindi nella
scoperta della sua Presenza in noi.
Eligio: È possibile stabilire un rapporto tra questa
conoscenza vera e la conoscenza della sua volontà?
Luigi: Una cosa è la conoscenza della Volontà di
Dio su di noi, ad esempio la conoscenza del significato che Dio ha messo
nel farmi pestare il piede, e una cosa è la conoscenza delle Persone Divine
e della loro Presenza in noi. Là abbiamo un'azione esterna, pedagogica di
Dio per convertire noi. Ad esempio, quando Dio dice: “Se non diventerete
come bambini” (Mt 18,3): è un'azione esterna, pedagogica. Così pure quando
dice: "Non appassionatevi delle cose del mondo. Cercate prima di tutto
il Regno di Dio…” (Mt 6,31-33): questa è un’azione esterna di Dio verso di noi.
Se noi accogliamo queste
parole, se le intendiamo, cosa facciamo? Non ci appassioniamo più per le cose
del mondo, ma per le cose di Dio. Ma con ciò non abbiamo ancora una conoscenza
personale di Dio.
Eligio: Quindi non è sufficiente staccarsi dal mondo
e rinnegare noi stessi.
Luigi: No, perché la conoscenza personale di Dio non
ci viene automaticamente dal rinnegamento del nostro io (perché questo
rinnegamento è ancora un fatto esterno), ma dall’impegnarci con Dio,
raccogliendo le parole del Cristo, perché la conoscenza di Dio ci viene da Dio:
“Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me” (Gv 14,6).
Raccogliendo le sue
Parole (anche e specialmente
quelle che ci parlano della sua vita intima con il Padre, dei rapporti tra il
Padre e il Figlio e queste parole sono molto diverse da quelle che hanno una
funzione pedagogica esterna), siamo condotti da Cristo al Padre. È il
Figlio che parlando, ci conduce a vedere il Padre, forma in noi questa
capacità. Sono parole che magari non capiamo, ma che vanno tenute preziose,
vanno custodite, raccolte tutte, perché alla conoscenza di Dio arriviamo in
quanto raccogliamo tutte le sue parole.
In Cristo diventiamo
dei raccoglitori delle Sue parole nella misura in cui siamo sensibili a
Dio, in cui accogliamo tutto da Dio. Se ne rifiutiamo qualcuna perché magari
non ci fa comodo, diventiamo incapaci di raccogliere le altre. Solo Cristo,
nella misura in cui raccolgo tutte le sue Parole, mi porta alla conoscenza
intima di Dio: è la Pentecoste.
È una conoscenza intima
che "nessuno vi potrà portare via" (cf Gv 14,16; Gv 10,29).
Lui parla di questa conoscenza intima per cui gli Apostoli, che pensano ad una
manifestazione esterna, gli chiedono: “Cosa succede che ti manifesti a noi e
non al mondo?”. E Gesù dice: “Chi mi ama, osserva le mie parole, allora
il Padre mio lo amerà e noi verremo in lui e prenderemo in lui la nostra
dimora” (Gv 14,22-23). Quindi è una conoscenza nettamente personale,
intima ma reale, più reale e più vera di ogni altra.
È una Verità talmente
pesante in noi che non c'è nessuna verità esterna che la possa infirmare. Anzi,
tutte le cose del mondo ce la confermano sempre più. Ed essa, naturalmente, interessa il pensiero, l’anima,
la coscienza. È più realtà di questi corpi con cui noi siamo presenti
qui tra noi, come dice s. Agostino, il quale era più convinto dell'esistenza e
della presenza di Dio che della sua propria esistenza. Infatti il corpo arriva
a noi per mezzo della testimonianza dei sensi, Dio no, perché se così fosse, ci
sarebbe da dubitare (infatti le visioni, le apparizioni, suscitano ad un certo
momento dei dubbi, mettono in crisi).
La conoscenza dei corpi è
una conoscenza mediata,
perché avviene attraverso i sensi, mentre la conoscenza di Dio è una
conoscenza immediata, senza nessuna creatura in mezzo.
Eligio: Quindi quando si è formata in noi la capacità
di ricevere la conoscenza di Dio, Dio comunica Se stesso a noi senza interposta
nessuna creatura.
Luigi: Certo, ed è solo Dio che può comunicarsi con questa
“immediatezza”, direttamente e questa conoscenza non è modificabile da niente e
da nessuno. Per quel che riguarda la conoscenza di Dio siamo nel campo della
singolarità: qui i sentimenti, l’intelletto,
ecc., non possono né dare, né modificare questa conoscenza.
La conoscenza di Dio è il
dono che Dio ci fa di Sé e della sua Presenza. Tale conoscenza è singolare
perché è immediata e immutabile. Ecco la singolarità del dono di Dio che si
distingue nettamente da tutti gli altri doni delle creature! Non c’è
nessuna creatura che può fare questo dono della presenza nel modo con cui Dio
si dona. Egli si dona in una immediatezza con cui nessuna creatura si può
donare a noi. Le creature per arrivare a noi, devono spostarsi, fare un tratto
di strada, cercare la nostra casa, ecc. Tutte le creature non possono donarsi
reciprocamente come si dona Dio, cioè nell’immediatezza. Per cui tutte le
creature possono passare solo attraverso Dio nel dono di sé.
Eligio: Però questo dono di Sé Dio lo fa solo quando
la creatura è capace di riceverlo, perché prima la creatura non è capace a
restare con Dio.
Luigi: Lui si dona a noi fin dall’inizio, anche se
la creatura non è ancora capace di conoscere questa sua Presenza e non è capace
di stare presente a Lui.
Qui sta la differenza e
qui si rivela l'onnipotenza di Dio: Dio è presente nella creatura anche se la creatura non è presente a Lui; noi invece
non possiamo essere presenti a Lui senza di Lui. È solo pensando Dio e
quindi solo con Dio che noi percepiamo la presenza di Dio, solo con Dio,
non pensando a noi, ma guardando a Lui. Lui non ha bisogno di noi per essere
presente a noi, perché è presente a noi anche senza di noi. Noi invece, per
essergli presenti, abbiamo bisogno di Lui.
Ines: Comunque allora abbiamo bisogno di Lui: sia
per essere presente a Lui e sia per scoprire la sua presenza in noi.
Luigi: Certamente, perché tutto è dono Suo.
Se scopriamo
I’immediatezza della sua presenza in noi è grazia sua, è dono suo, non è opera nostra. Ma se non ci arriviamo
la colpa è nostra.
Per cui quand'anche
fossimo all'apice della conoscenza, della santità, ecc., dobbiamo avere la
consapevolezza che noi siamo sempre
niente, perché tutto è opera e dono di Dio (ma nello stesso tempo godiamo di
tutto). Per cui la creatura deve sempre
essere all’ultimo posto, ed è questo il suo vero posto, perché nell’ultimo
posto gode di tutto.
Più invece ci riteniamo
qualcosa, più ci priviamo, cioè diventiamo incapaci di contenere.
Ma più noi ci riteniamo
niente, più stiamo cioè al nostro posto, più diventiamo capaci di ricevere
l’Infinito, di contenere tutto; e questo è bellissimo!
Ma anche la capacità di
stare al nostro posto, cioè all’ultimo posto, deriva da Dio, dall’essere uniti
a Dio.
Per poco che noi
dimentichiamo Dio, usciamo immediatamente dal nostro posto senza rendercene
conto.
Solo con Dio le cose
stanno al loro posto, perché è solo Dio
che le mantiene a posto.
Pinuccia B.: Quindi è necessario il pensiero costante a Dio per non
andare fuori posto.
Luigi: Certamente. È Gesù che lo dice: “È
necessario pregare sempre” (Lc 18,1). Pregare è elevare il pensiero a
Dio, è raccogliere le cose, i fatti, le creature in Lui, per vederle illuminate
in Lui e da Lui.
Eligio: Però anche se uno lo desidera è molto difficile restare in questo pensiero,
in questa presenza.
Luigi: La nostra fedeltà viene da Lui. Restare è una
conseguenza infatti del raccogliere in Lui.
In un primo tempo bisogna
imparare a collegare tutto con Dio, poi collegando si resta. Noi abbiamo il
dovere della giustizia fondamentale, il dovere di raccogliere in Dio: nella
misura in cui raccogliamo, abbiamo la capacità di restare raccolti.
Quindi la capacità di
restare raccolti deriva da quanto abbiamo raccolto in Dio. Per cui se noi non
raccogliamo niente in Dio, possiamo fare tutti gli atti di buona volontà di
questo mondo senza però restare un attimo in Dio. Quindi se noi siamo molto
inquieti e dispersi è perché abbiamo raccolto poco.
Stiamo attenti allora
alla fedeltà alle cose piccole! (“Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel
molto”, dice Gesù). Quindi quando hai cinque minuti a disposizione, Dio ti osserva lì, perché in quei cinque minuti
liberi tu puoi raccogliere.
Se lo fai, avrai la
possibilità di restare raccolto per quei cinque minuti lì, quindi avrai un
raccoglimento successivo per quel che raccogli in quei cinque minuti. Allora
il tempo si allarga, per cui più uno raccoglie e più può restare.
Eligio: Il problema è sempre quello di trovare il
tempo e il luogo adatto al raccoglimento.
Luigi: No, non è questione del tempo e dello
spazio esteriori, ma di tempo e disponibilità interiori. Gesù dice: “Vi
diranno: “Eccolo qui, eccolo là”. No, non credeteci: non crediate che andando
qui o là, mi possiate trovare perché il Figlio dell’uomo verrà come il lampo
che guizza da oriente a occidente…”. Non si tratta né di andare in un
luogo, né di trovare del tempo. Sarebbe un’illusione nostra proporci di trovare
noi del tempo o di sforzarci per andare là, e credere con ciò di trovare Dio,
perché non è questione di tempo e non è spostandoti di luogo che tu puoi
restare in Dio, perché la capacità di permanere è grazia di Dio, che deriva dal
raccoglimento interiore in Dio. Per questo Gesù dice: “Chi raccoglie
riceve mercede”, cioè riceve capacità di raccoglimento. Quindi la
possibilità di restare è una conseguenza del raccoglimento in Dio.
Pinuccia B.: Però chi raccoglie non è ancora capace di vedere tutto in
un solo Pensiero, per cui è ancora portato via da tante cose.
Luigi: Raccogliere vuol dire unificare tutto in un
solo Pensiero e più uno raccoglie, più rimane raccolto.
Eligio: Mentre ne parliamo ci sembra facile, ma nella
realtà di ogni giorno non lo è più.
Luigi: Dio però considera la nostra buona volontà di
raccoglierci. Per esempio, potevamo andare altrove invece di raccoglierci qui
oggi per considerare queste cose: però qui non siamo ancora in un lavoro
personale. Dio considera molto il lavoro personale quando siamo soli.
Cosa pensi quando sei solo? Perché è lì, quando siamo soli, liberi e
disponibili, che si rivela il nostro cuore, ciò che amiamo di più. Se noi
amiamo veramente Dio, quando siamo soli pensiamo a queste cose se veramente ci
interessano.
Dio ci guarda in particolare
nel segreto della nostra stanza, nel tempo libero, perché è qui che riveliamo
il nostro cuore, quello che ci sta veramente a cuore: nel tempo libero! Perché
nell’altro tempo non possiamo disporre del nostro pensiero.
Magari noi attendiamo di
poterci liberare da tanti nostri impegni, ma Dio non ci aspetta lì, perché
intanto se Dio mi blocca o mi chiude, posso fare tutti i salti di questo mondo,
ma non mi muovo da quegli impegni, perché è solo Lui che me ne può liberare. Ma
Lui potrà dirti: “Ti ho bloccato per ventitré ore, ma per un’ora ti ho lasciato
libero e tu, in quell’ora libera, che cosa hai pensato?
È lì il tuo cuore, è lì
il tuo amore principale, è lì la tua fede.
Allora, se a noi
interessa veramente Dio, appena abbiamo del tempo per noi, ci raccogliamo molto
con Lui, per raccogliere con Lui, perché
quello ci sta veramente a cuore; altrimenti noi facciamo altro.
Ines: Raccogliere vuol dire pensare le cose in Dio?
Luigi: Raccogliere vuol dire unificare, come
facciamo adesso, quella parola, quell’avvenimento, quello che mi arriva, ecc.,
con il Pensiero di Dio. Vuol dire fare questo tratto di strada per non
tenere disunita questa cosa da Dio.
Eligio: Cioè non tener disunito da Dio tutto ciò che
non dipende da me.
Luigi: Nulla va disunito da Dio, perché in realtà è
tutto opera di Dio. Quindi tutto va collegato a Dio.
Collego a Dio ciò che mi
arriva in quanto lo attribuisco a Lui: “Mi è arrivato, quindi è opera Tua, o
Signore: per questo lo accetto”. Poi possibilmente cerco di
capire quale lezione mi ha voluto dare, cerco di intenderne il significato,
ricordando qualche frase del Vangelo, qualche spiegazione di Gesù, perché
Lui è il Maestro che mi aiuta a capire. Infatti, siccome tutto è opera di Dio,
quello che Dio ha fatto e detto nel Vangelo (e me lo ha spiegato, ad esempio
con una parabola), me lo ripete continuamente negli avvenimenti di cronaca,
negli avvenimenti della mia vita, perché è sempre lo stesso Spirito che opera.
Quello Spirito che
parlava in Cristo, è quello Spirito che parla adesso, per cui oggi le parabole sono sempre quelle: si capisce
che allora c'erano tanti greggi, invece delle automobili, però il significato è
sempre lo stesso, per cui la parabola è sempre uguale. Ecco l'importanza di rapportare la nostra
vita al Vangelo: perché è sempre lo stesso Spirito che parla.
Per questo noi possiamo
sentirci vicino a un s. Agostino, se abbiamo lo stesso spirito, perché lo
stesso spirito parla sempre uno stesso linguaggio, fa sempre le stesse opere,
perciò diventa facile intendere se noi
abbiamo presente lo Spirito.
Per cui, se noi per
esempio abbiamo assimilato molto il Vangelo, ad un certo momento vediamo le
parole di Gesù ripetute attorno a noi, negli avvenimenti, nei fatti, nelle cose
magari più insignificanti e banali delle nostra giornata; in ogni cosa possiamo
vedere una lezione del Vangelo, una parabola, quel fatto, una determinata frase
che ha detto Gesù, perché il Vangelo assimilato ci fa cogliere l’anima di tutto; e anche se si riveste
con parole moderne, noi ne cogliamo l'anima, perché l’anima di ogni cosa è
quella del Vangelo .
Lo Spirito di Dio è fuori
del tempo e quello che Gesù disse
duemila anni fa, lo dice ancora adesso; quello che disse agli Apostoli o agli
uomini di allora, lo dice agli uomini di adesso che siamo noi: oggi siamo noi
sulla scena, allora erano gli altri.
Dio parla uguale a tutti:
“Le mie parole non passeranno” (Mt 24,35). Quindi non dire: “È vero che
ci parla di Dio, però quella parola là era legata a quell’ambiente là e
quindi per noi non serve più”. No,
perché in realtà siamo noi che dobbiamo modificare, perché lo Spirito è sempre
uguale: dobbiamo cogliere il significato degli avvenimenti del Vangelo per
poterlo cogliere negli avvenimenti di
oggi e quindi cogliere i fatti di oggi in quelli di allora, perché lo spirito è
uguale, parla le stesse cose, insegna le stesse cose.
Quindi la responsabilità
nostra è uguale a quella degli apostoli di allora, perché lo stesso Verbo che
parlava allora è lo stesso Verbo che parla adesso, è presente adesso come era
presente allora; la difficoltà di
riconoscerlo che ebbero quelli è ancora la difficoltà che abbiamo noi: infatti
non bastò loro averlo fisicamente visto così com’era, con quella barba e
capelli, per identificare il Cristo. La possibilità o la difficoltà
nell’individuarlo non sta lì, ma sta nello spirito, cioè nell’aver o non aver
interiorizzato in noi lo Spirito perché solo lo Spirito vede lo Spirito.
Pinuccia B.: Vorrei riprendere la domanda che Eligio ha fatto prima.
Se collego con Dio, arrivo ad una conoscenza vera della Volontà di Dio, ma
questo non è ancora la conoscenza della Verità. Come si rapportano queste
due conoscenze?
Luigi: Nella prima, come avevo detto prima, abbiamo
la pedagogia di Dio: abbiamo Dio che si abbassa al livello della creatura e
le dice: “Non fare così, fa’ così”, per esempio: “Se non diventerete come
bambini non entrerete”. Cioè ti dice che per entrare, devi fare così, cioè
ti spiega la condizione per entrare, per poter poi conoscere Dio. Se ho
la passione per il denaro o lotto per la politica, ecc., non sono disponibile
per accogliere la Verità, allora il Signore viene e mi dice: "Fa’
penitenza, distaccati, cambia vita, ecc. perché questa è la condizione per
ascoltare la lezione di Dio; non attribuire le cose a te o ad altri, ma a Dio”:
la giustizia fondamentale implica questo rinnegamento dell'io.
Qui abbiamo una lettera
imperativa: se io accolgo queste lezioni dalle mani di Dio, ubbidisco, e
quindi mi comporto secondo il suo
volere; e comportandomi così mi preparo, divento allievo. Quando sono
diventato allievo, c’è ancora una distanza enorme per arrivare a conoscere
quello che Lui mi vuole comunicare. Però siamo entrati in scuola, quindi
incomincia il processo di istruzione. Prima siamo fuori dalla scuola. Finché siamo
fuori dalla scuola, il Signore ci dice: “Finché rimani fuori, non puoi sentire
il maestro. Entra!”. Entrando noi cominciamo ad essere disponibili,
incominciamo a raccogliere. Essendo disponibili, Lui ci parla di Sé. Parlandoci
di Sé, Lui ci porta a poco a poco a scoprire la sua Presenza in noi.
La maggior parte della
nostra vita purtroppo noi la passiamo a giocare fuori classe, la sprechiamo in
cose che non sono di Dio, prendendo a calci tutte quelle cose con cui Lui ci
invita ad entrare in classe. Se noi invece ubbidiamo ed entriamo in classe,
cominciamo a partecipare alla Sua vita.
La condizione per entrare
in classe è unificare l’avvenimento, la creatura, il fatto, ecc., con
Dio. Questa è la volontà di Dio. Se unifico tutto in Dio, entro in
classe e mi rendo disponibile all’ascolto e quindi a raccogliere. Perché
unificare vuol dire distogliermi da tutto ciò che non è Dio.
Per cui, per esempio, se
mi pestano il piede, non mi irrito con il fratello, se no, non lo prendo da
Dio. Siamo ancora nelle lezioni dell’Antico Testamento, fuori classe, con il
Maestro che ci manda il bidello (ecco la funzione di Giovanni Battista!) per
farci entrare. Comunque è già la voce della Verità: la Verità che manda le sue
ancelle sulle piazze, sulle vie (le opere, i suoi servi) per chiamare tutti noi
ad entrare e a dirci di non appassionarci per le cose del mondo perché fintanto
che siamo fuori non possiamo ascoltare e non abbiamo quindi la possibilità di
conoscere Dio.
Pinuccia B.: Ora mi è più chiaro: accettare le cose da Dio,
attribuirle a Dio, ha la funzione di creare in me la condizione per l’ascolto.
Luigi: Certamente. E l’ascolto è la condizione per
giungere a conoscere Dio. Ma fintanto che non unifichi, fintanto che non ti
impegni a raccogliere, non sei in ascolto e quindi non puoi giungere a
conoscere la Verità Assoluta.
Prologo Capitolo uno Vangelo di San Giovanni. Quinto Tema.
Titolo: I dieci punti fermi del prologo.
Argomenti: Tutto è opera di Dio
– Senza la Luce di Dio tutto è tenebra – La vita dell’uomo
è nella Parola di Dio – La vita viene dal capire – La risposta dell’uomo alla Luce – La testimonianza di
Giovanni Battista – La voce delle creature – La possibilità di
diventare figli di Dio – La Luce tra di noi – Siamo chiamati a
contemplare la Luce - Breviario di vita interiore -
23/Gennaio/1976
Dall’esposizione di Luigi Bracco e dalla conversazione:
(appunti): Le volte scorse abbiamo visto come il Prologo
ci presenti una visione completa dell’opera di Dio, “il quale vuole che tutti si salvino e
giungano a conoscere la Verità” (1 Tm 2,4). Versetto per versetto abbiamo osservato che gli argomenti
di esso si aprono in cinque grandi scene che ci offrono una visione
dinamica del cammino della nostra salvezza nelle sue tappe principali
fino alla nostra Pentecoste, cioè fino alla visione della Gloria del Verbo.
·La prima
scena è la presentazione di quello che “era” in Principio e che
si conclude con il rifiuto dell’uomo (versetti 1-5).
·La seconda scena è la presentazione
dell’inizio dell’opera di recupero svolta da Dio nel mondo esterno, in cui
tutte le creature ci testimoniano di non essere loro la Luce, invitandoci a
cercarla altrove (giustizia essenziale) (versetti 6-8).
·La terza scena è la presentazione della Luce
vera, quella che illumina ogni uomo e che è dentro di noi: se l’accogliamo si
forma in noi la fame di Dio (versetti
9-13).
·La quarta scena è la presentazione del Pane
che risponde alla nostra fame: il Verbo fatto carne (versetto 14 - 1° parte).
·La quinta scena è la presentazione della
Meta: vedere la Gloria del Verbo
(versetto 14 - 2° parte).
All’interno di queste cinque
scene, stiamo cercando di stabilire dei punti fermi per il
nostro pensiero, cioè quei punti–luce che debbono diventare delle ferme
convinzioni in noi: convinzioni basilari che ci sostengono nel nostro cammino e ci sollecitano ad
avanzare verso la Meta.
Le volte scorse abbiamo già osservati i primi tre, ma in tutto ne possiamo evidenziare dieci:
I primi quattro punti
fermi tendono a formare in noi la convinzione di “ciò
che è”:
·1°) Tutto è opera di Dio (versetto 3 - 1°
parte);
·2°) senza di Lui tutto è ridotto a niente
(versetto 3 - 2° parte);
·3°) in Lui è la Vita (versetto 4 – 1° parte),
·4°) la vita degli uomini sta nella Luce
(versetto 4 – 2° parte).
C’è da far notare che le
volte scorse il 3° e il 4° punto li abbiamo unificati in un punto solo. La
conclusione che abbiamo tratto da questi primi quattro versetti, e che è poi la
sintesi di essi, è la necessità di
adeguarci a “ciò che è” e quindi di imparare a “raccogliere” le cose in Dio per partecipare della vera
Vita ed evitare la morte.
Nel 5° punto fermo (versetto 5), che ora vedremo, ci è
annunciato che “la Luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non La
compresero”. “Ciò che è”
risplende davanti a noi, nessuno lo può ignorare, ma per comprenderlo bisogna
riconoscere che siamo tenebre, cioè bisogno di luce; ed è importante che si
formi in noi questa convinzione.
In conseguenza del
rifiuto dell’uomo, vedremo ora negli
altri cinque punti fermi del Prologo l’annuncio e la proposta di tutta
la grandiosa opera che Dio ha fatto e fa per recuperare l’uomo, formando in
lui queste convinzioni:
·6°) le creature e tutto il mondo esterno non
sono luce, ed è ciò che dice Giovanni Battista (versetti 6-8);
·7°) la Luce vera è dentro di noi, ed è qui che
va cercata e scoperta (versetto 9);
·8°) è essenziale mettere in alto questa Luce
per avere la possibilità di incontrare il Cristo e quindi di diventare figli di
Dio (versetti 10-13);
·9°) è necessario incontrare, riconoscere e seguire il Verbo che si è fatto carne e che
abita tra noi (versetto 14 – l° parte);
·10°) siamo chiamati tutti a contemplare la
Gloria del Figlio Unigenito (versetto 14 – 2° parte).
(parte registrata):
Allora, adesso, ci soffermeremo su
ciascuno di questi dieci punti fermi.
1° PUNTO: tutto è opera di Dio. Questo lo traiamo dal
versetto che dice: “Tutto è fatto per mezzo di
Lui”: credere in Dio Creatore di tutto è il primo punto luce.
Ci siamo allora
interrogati se siamo realmente convinti che tutto ciò che esiste e tutto ciò
che accade sia opera di Dio. Tutti coloro che erano presenti, hanno dichiarato
di esserne convinti, meno uno che ha
detto di non esserlo ancora…. Vero, Pinuccia?
Pinuccia B.: No io non ho detto questo; ho detto che ho sempre paura
di dire: sì ne sono convinta. Perché è facile essere convinti in teoria, però
mi spaventa la mia incoerenza nella pratica. Allora come faccio a dire che sono
convinta quando vedo che sono molto lontana dal vivere coerentemente a questa
convinzione? Perché se questo è vero come è vero, allora devono cambiare tutte
le mie risposte ad ogni situazione...
Nino: Anch’io tante volte, pur essendo convinto di
questa verità, mi pongo il problema del perché delle mie incoerenze…
Luigi: Noi non abbiamo chiesto la situazione di
responsabilità o di moralità di ognuno: questo è un problema personale e a noi
non interessa. Noi abbiamo chiesto se
uno è convinto. Che poi dopo uno sia coerente o incoerente, quello è affare
suo, è un problema personale e a noi non deve interessare! E nessuno di noi si
deve preoccupare di sapere se l’altro è coerente o no!
Il problema
dell'incoerenza non è il problema che adesso interessa. Non stiamo facendo
un problema di coerenza, ma di convinzione, di adesione dello spirito nostro,
poi di coerenza se ne potrà eventualmente parlare, per cercare quali sono
i mezzi più' efficaci per realizzare
l'adesione della nostra vita pratica a questi principi che ci hanno convinto.
Però adesso desideriamo vedere se siamo convinti, perché possiamo anche non
essere convinti. Infatti quante volte
parlando delle guerre, dei mali esteriori, dei delitti veniva fuori che
non si era convinti che tutto fosse opera di Dio, che tutto fosse voluto da
Dio. E allora rimaneva l’interrogativo:
è voluto da Dio tutto quello che accade?
Ecco è questo che vorrei
sapere: se siamo veramente convinti di questo, perché questa é la base
fondamentale sulla quale poi si può edificare per la vita dello spirito. Se
invece noi non siamo convinti di questo, non si può edificare perché dobbiamo
sempre distruggere continuamente e ricadiamo sempre nello stesso punto.
Pinuccia B.: Allora per verificare se ne siamo veramente convinti bisogna vedere se sappiamo accettare
con pace e con comprensione certe affermazioni, certe verità, che se invece ci
urtano, possono farci venire il dubbio se siamo convinti o no che tutto è
voluto da Dio. Ad esempio, frasi come questa: “Dio ha fatto un Hitler
appositamente per me!”, le posso accettare tutte con serenità, con convinzione?
Se mi urtano ancora è perché non sono
ancora convinta che tutto quanto accade è voluto da Dio.
Luigi: No, non ci siamo! Quello che ti urta è
sentimento! E noi non stiamo adesso facendo un problema di sentimento,
perché tu puoi essere urtata per il fatto che sei abituata ancora a pensare in
un certo modo. Adesso stiamo soltanto osservando se, intellettualmente, noi
siamo veramente convinti che tutto ciò che accade è opera di Dio.
Intanto è frase del
Vangelo, non solo, ma è anche frase della Bibbia, dell’Antico Testamento che
già fin dall’inizio, nella Genesi afferma che
tutta la creazione è stata fatta per mezzo della Parola di Dio: “...e
Dio disse...; ... e Dio Disse...; e Dio disse…”: tutto è Parola di Dio. Poi
abbiamo l'Ecclesiastico e Isaia che quasi ad ogni pagina sostanzialmente
dicono: “C'è forse qualche cosa che
può accadere che non sia voluta da Me?” (es.: Is 22,5). E abbiamo Giobbe
che dice: “Lo so bene che tutto ciò che mi è accaduto è stato voluto dal
Signore”, ed é proprio per questo che lui discute col Signore: perché sa
che è stato voluto dal Signore! Tutta la problematica di Giobbe non ci sarebbe
se lui dimenticasse che ciò che gli é accaduto gli è stato mandato dal Signore,
é stato voluto dal Signore! Ma è proprio perché gli è stato mandato dal Signore
che lui vuole sapere perché il Signore gli ha mandato questo, in quanto lui si
reputa innocente. Nasce la conflittualità perché non riesce a capire. Il capire
è un'altra cosa, però accetta, riconosce che tutto ciò che esiste, in quanto
esiste é voluto da Dio.
Tutti gli avvenimenti in
quanto accadono, sono voluti da Dio. È il Signore che suscita Assur come bastone tra le Sue mani per bastonare il suo
popolo, come suscita un Hitler, un Mussolini, uno Stalin ecc.: non vedo nessuna
differenza tra questi; è il Signore che suscita queste persone per bastonare,
ed è il Signore l’Autore del piede pestato: sono lezioni di Dio per ciascuno di
noi.
Tutto ciò che accade “…
é stato fatto per mezzo di Lui”.
Ora noi abbiamo visto che
quel “...è stato fatto...”, va inteso come “tutto è ancora fatto”,
non solo perché Dio è fuori del tempo, ma anche perché, siccome ci annuncia una
cosa in cui noi veniamo a trovarci (noi nasciamo, noi esistiamo in casa
d'altri, per cui ci troviamo in un “già fatto”), ci fa capire che anche tutto
ciò che accade oggi “ è fatto per mezzo di Lui”.
Adesso noi ci chiediamo
se siamo convinti su questo primo punto, cioè che tutto sia opera di Dio, che
tutto ciò che accade, accada per opera Sua. Questa convinzione è la
condizione per entrare in dialogo con Dio, perché se io non riconosco che
tutto ciò che accade è voluto da Dio, la parte che io ritengo non voluta da Dio, la escludo dal dialogo con
Dio, per cui quella non m'interessa e non mi mette in dialogo con Dio; ma forse,
o senza forse, è proprio quella la parte attraverso cui Dio maggiormente apporterebbe in me una trasformazione di vita, un superamento,
un rinnegamento di me stesso se io
l’accogliessi da Lui.
Noi siamo portati ad
escludere dal “voluto da Dio” quello che non ci aggrada, quello che non ci fa
piacere, per cui quando Dio ci dà la caramella diciamo: "Oh, Dio com’è
buono!”; ma il pestaggio del piede lo vediamo da parte della creatura e non più
da parte del Signore, per cui diciamo: “Questo è avvenuto perché è la creatura
che é malvagia!”.
Dal momento in cui io
dico che il pestaggio del piede è avvenuto perché è l'uomo che è cattivo,
volgare, disattento, già mi metto fuori dal dialogo con Dio, lo attribuisco
all'uomo e non a Dio. Se invece dico: “Sei Tu, Signore, che hai mandato uno a
pestarmi un piede”, questo mi fa entrare in discussione con Dio, cioè mi fa
entrare nel problema di Giobbe: “Perché Dio mi ha mandato uno a pestarmi un
piede?”. Dio certamente non Lo possiamo accusare di difetto o di cattiveria, come
possiamo accusare un uomo; e allora? Evidentemente l'azione da parte di Dio é
sempre giustificata ed é buona,
positiva; quindi evidentemente la
trasformazione è in noi che deve avvenire: ecco allora che l'opera diventa positiva per me! Per
questo dico: é importantissimo riconoscere, vedere se effettivamente siamo
convinti che tutto ciò che accade é voluto da Dio.
Questo è un annuncio, un
messaggio, perché la Parola di Dio non è cultura. Quando io so che nel Vangelo
di s. Giovanni cap. 1,3 é scritto: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui…”,
questo é un messaggio personale che giunge a me per chiedere a me un atto di
adesione: è Parola di Dio!
Pinuccia B.: La convinzione può esserci anche se uno non capisce?
Luigi: No, devi capire! Devi capire quello che Dio
ti dice. Tu non puoi convincerti di una
cosa che non capisci!
Pinuccia: Tu prima hai detto che non era una questione
di capire (ad esempio, perché Dio fa quella cosa per me), ma di essere convinti
che tutto è voluto da Dio.
Luigi: Questa è un’altra cosa. Pensavo che tu mi
ponessi un altro problema, cioè se uno può essere convinto di ciò che gli è
annunciato, anche se non lo capisce, e allora ti ho risposto di no, perché la
Parola di Dio che ci dice che tutto è opera sua, è un annuncio che è
comprensibile. L'uomo deve capire quello che gli viene annunciato, cioè
deve capire che questa frase: “tutto é stato fatto per mezzo di Lui”,
vuol dire che tutto è opera di Dio.
Capire poi il significato
di quello che accade è invece un'altra cosa e possiamo anche non capirlo per molto tempo.
Nino: Il significato può essere capito anche dopo
dieci anni...
Angelo B.: Il problema piuttosto è il fatto che noi
crediamo, sì, ma crediamo superficialmente.
Se noi forse avessimo una fede profonda saremmo coerenti. Invece…
Nino: Per essere coerenti dovremmo essere
perfetti, invece non lo siamo e ci
modifichiamo pian pianino.
Pinuccia B.: Se però siamo veramente convinti di una Verità, essa deve
prendere tutto di noi.
Nino: Deve!? È una parola!
Luigi: A volte ci vuole tutta una vita per “entrare”
in ciò di cui noi siamo convinti. Il problema è che siamo convinti, ma non
entriamo! Ad esempio, tu sei convinta che Dio esiste?
Pinuccia B.: Sì.
Luigi:
Convintissima?
Pinuccia B.: Certo, è la prima Verità di cui dobbiamo essere convinti…
Luigi: Eppure guarda lungo la giornata tutte le cose
che tu dici e fai senza tenere presente che Dio esiste. Vedi che per entrare
in ciò di cui si è convinti non basta la convinzione: ci vuole sforzo e
attenzione per tenere presente ciò di cui si è convinti. Pensa a tutta la
fatica che bisogna fare per “entrare” nella convinzione che Dio esiste! Per cui uno è convinto ma…
Comunque l’importante è essere convinti, perché se uno è convinto di una cosa,
ha la possibilità di accorgersi della propria incoerenza e correggersi.
Ritorniamo ora al primo
punto fermo del Prologo: “Tutto è opera di Dio”. Ne siamo tutti convinti? Tu,
Nino, cosa dici? Sei convinto che tutto ciò che accade è voluto da Dio?
Nino: Sì, ne sono convinto anche se anch’io nella
pratica…, però ne sono convinto.
Luigi: Intendo chiedere solo quello. E tu, Ines, sei
convinta che tutto è voluto da Dio? Tutto?
Ines: Mi sta aiutando il libro: “Ecco la notte!”
Certo che arrivare a convincerci che tutto, proprio tutto è voluto da Dio… non
è facile.
Luigi: Ma bisogna arrivarci, poiché in realtà tutto
ciò che accade, in quanto accade è voluto da Dio. Tutto!
Anche i delitti, le
guerre, anche le cose più infamanti…
Pinuccia B.: Anche i bambini che muoiono di fame…, tutte le
ingiustizie sociali…
Nino: Ma se non ci fossero queste cose, noi ci
riterremmo giusti! E non penseremmo di doverci convertire…
Luigi: E già! Ma invece Dio proprio attraverso
questi fatti che ci scandalizzano, ci dà delle lezioni di conversione, ci fa
riflettere, ci urta e apporta nella nostra vita una maturazione della fede in
Lui. Infatti in un primo tempo crediamo che siano gli uomini ad operare, oppure
il caso, il destino…; poi poco per
volta, man mano che il tempo passa, attraverso questa riflessione che Dio crea dentro di noi, per mezzo di notizie di
cronaca, fatti politici, storia, avvenimenti spiccioli o gravi della nostra
giornata, provoca dentro di noi un’interrogazione. Infatti tutto entra nella nostra anima, nella nostra
coscienza e lì senza che noi ce ne
accorgiamo, i fatti poco per volta
entrano in discussione con Dio! Perché noi siamo abitati da Dio. S.Paolo dice: “La
nostra conversazione è nei Cieli! È con Dio!”. Noi senza rendercene conto,
discutiamo sempre con Dio. Noi non siamo coscienti della sua Presenza in noi,
ma tutti i fatti che entrano in noi, li portiamo a confronto col Signore, con
la fede; e la discussione é sempre su quel punto lì: “Ma se Dio esiste, perché
succede questo? Perché Dio mi ha mandato
questa disgrazia? Io non ho mai fatto niente di male!”. Anche l'ateo ad un certo momento salta fuori
con questo problema: “Ma se il Signore ci fosse...non succederebbe questo…” Ma
come mai? È perché noi siamo sempre in dialogo con Dio, anche senza rendercene
conto.
Nino: Noi purtroppo, quando non accettiamo da Dio
le cose, cerchiamo sempre delle ragioni per giustificarci...
Luigi: Noi crediamo di mettere a tacere il Signore,
ma inganniamo noi stessi, truffiamo noi stessi. Sappiamo benissimo che non
possiamo ingannare il Signore, poiché “Egli scruta i cuori e i desideri”.
Nino: Eppure si cerca di mettere a tacere la
coscienza; lo si fa per un po’, ma poi…
Luigi: È perché
il Signore aspetta magari degli anni, ma poi ci riconduce davanti a problemi non
limpidamente risolti per farceli risolvere con Lui. Noi crediamo di scantonare,
facciamo un lungo giro, ma poi Lui attraverso il tempo ci riconduce lì.
Cina, sei convinta che
tutto ciò che accade è voluto dal Signore?
Cina: Sono lì, lì… Se prendo la Parola di Dio…
Luigi: La Parola di Dio dice: “Tutto è fatto per
mezzo di Lui”.
Cina: E allora in quel momento che leggo la Parola
di Dio, dico di sì, ma il momento dopo non arrivo già più… E non riesco a restare
sempre su quella parola.
Luigi: Ma non si tratta di restare sempre su quella
parola; si tratta di essere convinti di quello che essa ci dice.
Non si tratta nemmeno di
riuscire a capire il significato di quello che accade, ma di essere convinti
che tutto ciò che accade è voluto dal Signore. Secondo te, quello che accade è
voluto dal Signore o dagli uomini?
Cina: Non arrivo ancora a capirlo bene in certe
cose.
Nino: Vediamo nei giornali quali pasticci e
confusione sanno fare gli uomini…!
Luigi: Anche queste sono lezioni di Dio e ci
confermano il secondo punto fermo del Prologo: “Senza di Lui nulla è fatto
ciò che è fatto”.
Pinuccia B.: Capire che tutto è voluto da Dio e che quindi tutto è
lezione di Dio è scoprire un principio di liberazione enorme ed é la base
fondamentale per iniziare e proseguire il cammino. La difficoltà di Cina io
l’ho provata moltissimo, ed è data forse anche dal fatto che non
si è mai sentito dire così esplicitamente che tutto é opera di Dio. Anzi
sempre ci è stato detto che di fronte a certe situazioni di povertà e di
bisogno, dobbiamo darci da fare per aiutare Dio...
Luigi: In quanto queste situazioni sono volute
dal Signore, con questo non vuol dire che noi ci dobbiamo tirare indietro,
perché è Dio che le ha fatte. Le ha fatte Lui, ma Dio le ha fatte per me,
in quanto le presenta a me! E quindi m'impegna personalmente in quel
fatto.
Come quel tale che di
fronte ad uno che è stato condannato,
dice: “Sta subendo quello che dovrei subire io; lui é stato condannato al posto
mio!”: il ragionamento giusto è sempre
questo, perché quello che accade fuori é sempre una lezione personale per
ognuno di noi. Infatti in quanto mi arriva, mi arriva da Dio. Dio parla
personalmente con noi, quindi quella lezione la dobbiamo prendere su di noi.
Presa su di noi, dobbiamo
cercare di interpretarla in Dio, secondo lo Spirito di Dio: “Cosa Dio mi chiede
presentandomi questo?”. Può darsi che Lui mi chieda un atto d'amore verso il
fratello, magari per farmi uscire dal mio pensiero egoistico. Può darsi invece
che Lui mi impegni in un atto di umiliazione, nel farmi scoprire che io sono
quello che Lui mi sta rappresentando esteriormente attraverso quel fratello,
quindi per farmi prendere coscienza della mia miseria, della mia povertà, della
mia ubriacatura, della mia schiavitù.
Comunque sono lezioni di
Dio, e in quanto sono lezioni di Dio, siccome Dio parla personalmente per
ognuno di noi, dobbiamo assumerci personalmente la responsabilità e mai
scaricarle su altri, mai scaricarle sulla società, sugli uomini, sul caso,
sulla natura ecc. No! Perché queste sarebbero evasioni con cui noi facciamo
scivolare le lezioni al di fuori della
nostra vita. Invece le lezioni dobbiamo prenderle su di noi: Dio“Dio sta
parlando personalmente a me, per me!”.
Noi dobbiamo sempre
tenerci in questo pensiero: quando saremo di fronte a Lui, Lui potrà sempre
dirci: “In quel fatto, in quell'avvenimento ero Io che ti parlavo”.
Se non abbiamo tenuto
conto che era Lui che ci parlava, che era una lezione sua per noi, noi, di fronte
a Lui che ci dirà: “ero Io”, non
potremo dire assolutamente niente! Lui ha ragione! Lui potrà sempre dire: “In
quel fatto, in quella persona, ero Io”. Noi cosa avremo da obiettare?
Allora, se noi, pensando
a quel rapporto diretto con Lui in cui ci verremo a trovare, capiamo già fin
d’ora che non avremo niente da obiettare; anche adesso non dobbiamo aver
niente da obiettare, perché in tutte le cose Lui può e potrà dirci: "Ero
Io!". Se ce lo potrà dire, ce lo
dice perché Dio è fuori del tempo!
Quindi se noi, pensando al momento
dell’incontro con Dio, trasferendoci a tu per tu con Lui, capiamo che se
Lui ci dirà: “Ero Io!”, noi non potremo dire niente, ecco che allora anche
adesso, onestamente, in coscienza non possiamo dire niente. Quindi dobbiamo
essere convinti che tutto quanto accade è opera di Dio.
Tu, Emma, sei convinta
che tutto quello che accade è opera di Dio?
Emma D.: Certo, anche se purtroppo nella pratica…
Luigi: Non chiedo se uno è coerente o no, la
coerenza è un problema di coscienza, personale.
Emma D.: Io ci credo, perché la Parola di Dio, anche
se non la capisco, non la discuto e l’accetto.
Luigi: Accettare la Parola è una cosa, ma anche
tutti gli avvenimenti sono parole di Dio; questi li accetti come parola di Dio?
Emma D.: Certo! E se non li accettassi, che cosa
risolvo?
Luigi: Quindi sei convinta che tutti gli avvenimenti
sono voluti da Dio?
Emma D.: Sì, penso proprio di sì.
Luigi: E tu, Angelo, ne sei convinto?
Angelo B.: Quando ci penso, sì, ma quando mi distraggo,
me lo dimentico.
Luigi: Ma vedi, noi
siamo convinti che 2+2=4; ma se tu dici che 2+2=5, questo é affar tuo!
Sbaglierai mille volte, ma un bel giorno ti accorgerai che inganni solo te
stesso, sbagli solo su di te, cioè l'errore ricade solo su di te. Allora ad un
certo momento sarà tua preoccupazione cercare di non sbagliare, ma questa
possibilità ce l’hai perché sei convinto che 2+2=4. L'importante è questo,
perché quando noi siamo convinti, abbiamo in noi la possibilità di scoprire
l'errore, la devianza e correggerci.
Quindi “tutto è voluto da
Dio”: se ne siamo convinti, abbiamo un punto di riferimento in noi per
scoprire le nostre deviazioni, per cui possiamo dire: “Qui sto deviando… perché
tutto è voluto da Dio: non posso allora comportarmi così”. Se invece non siamo convinti,
non abbiamo in noi la possibilità, un punto di riferimento, la bussola per
individuare quando deviamo.
Concludendo, l’insegnamento
che deriva da questo 1° punto è: tutto ciò che arriva a me senza di me devo
accettarlo da Dio, perché viene da Dio.
2° PUNTO: "Senza di Lui nulla è fatto tutto ciò che é fatto”. Senza la luce di
Dio Creatore tutto è tenebra.
La volta scorsa abbiamo
detto che questo: “senza di Lui…”, in realtà, oggettivamente, non esiste
perché: “tutto é fatto per mezzo di Lui”. Quindi questa affermazione non
è la contrapposizione, non è una ripetizione che conferma l’affermazione
precedente, no! ma ci annuncia qualcosa di nuovo. Questo “senza”
avviene e può avvenire soltanto nel cuore dell'uomo. È soltanto nel cuore
dell'uomo che avviene il “senza di Lui...”, perché se noi escludiamo
l'uomo, escludiamo il nostro io, tutto é “con Lui”. Quindi
obiettivamente il “senza” non esiste, il “senza” esiste
soltanto nel cuore dell'uomo, il quale proprio perché pensa a se stesso, si
può fermare al suo io e quindi escludere nel suo pensare, nel suo parlare,
nelle sue scelte e decisioni, il Pensiero di Dio, cioè può non tener conto di
Dio.
Qui ci é detto che tutto
ciò che noi facciamo senza tener conto di Dio si riduce a niente, per cui anche tutto il nostro vivere
diventa niente: cioè abbiamo l'annullamento dei valori. Per valori intendo
anche fede, speranza, carità, l'intelligenza, la volontà, tutti i doni di Dio.
Ora, tutto ciò che è fatto da Dio non
si mantiene senza di Lui.
Siccome però noi possiamo
pensare, ragionare, agire, scegliere senza di Lui, facendo così perdiamo tutto,
o per lo meno, svalutiamo tutto e arriviamo al termine della vita con niente di
fatto e diciamo: “Tutta la mia vita è servita a niente”.
Come mai c'è questo
annullamento? Magari in tutta la mia
vita ho faticato, ho lavorato ecc., ed è servito a niente. Come mai il
risultato è niente? Questo processo di vanificazione, di azzeramento, noi lo
esperimentiamo: giornate che sono servite a niente, passate a vuoto! Abbiamo
incontrato tanti semafori rossi, per cui abbiamo girato a vuoto, non riusciamo,
non possiamo andare avanti.
E come mai giriamo a
vuoto? Attraverso questi semafori rossi, il Signore dice: “Fermati!
Riconosci che Io sono il Signore!” (Sal 46,11). L'errore sta tutto lì: noi
giriamo a vuoto perché stiamo agendo di iniziativa nostra senza di Lui, per
cui il Signore ci fa toccare con mano la verità di questa affermazione: “senza
di Me non potete fare niente!”. E noi facciamo niente!
A proposito di questo
Gesù ha narrato la parabola dei lavoratori dell’ultima ora, e proprio a
questi viene chiesto: “Come mai state
tutto il giorno a fare niente?”. Possiamo arrivare magari all'ultima sera
della nostra vita e sentirci dire: “Come mai tu stai passando tutta la vita a
fare niente?". Magari lavoriamo, sudiamo e ci affatichiamo da mattina a
sera, eppure il Signore ci può dire: “Stai facendo niente!”. Noi magari gli
diremo: “Ma come mai? Ma io, Signore, ho faticato tanto!” e Lui: “Ma Io te lo
avevo detto: senza di Me tutto ciò che hai fatto diventa niente!”.
Allora, anche su
questo punto dobbiamo chiederci se siamo convinti. Abbiamo capito cosa vuol
dire pensare, parlare, agire senza di Lui? E cosa vuol dire pensare, parlare,
agire con Lui? Abbiamo capito cosa vuol dire “con Lui” e “senza di Lui”?
Cioè, noi possiamo pensare senza di Lui, cioè senza tener conto di Dio, come
invece possiamo pensare con Dio.
Allora se noi pensiamo
“con Dio”, le cose sono ispirate da Dio, è Lui che guida, è Lui che opera, per
cui le cose che facciamo sono valide.
Se noi Invece pensiamo,
parliamo o facciamo “senza di Lui” le cose valgono niente; non solo, ma ci
rendono schiavi di esse e ci riducono a niente, e Dio ce lo fa toccare
con mano!
Ora chiedo: di questo
siamo convinti?
(Ognuno dei presenti
interpellato personalmente, risponde di sì).
Nino: Mi sto chiedendo come mai l’accettazione di
questo 2° punto è stato più facile che non quella del 1°. Forse perché è più
normale constatare il niente che facciamo senza Dio, che non constatare che
tutto è opera di Dio.
Luigi: A me sembra tanto normale che tutto sia
voluto da Dio!
Angelo B.: Forse è l’espressione “è voluto” che ci
scandalizza…
Pinuccia B.: Invece il dire “tutto è parola di Dio, lezione di Dio” non
ci scandalizza e ci urta di meno; eppure si dice la stessa cosa.
Nino: Ma per capire che si dice la stessa cosa,
bisogna sviscerare, andare a fondo di ciò che si afferma.
Luigi: Bisogna arrivare alla convinzione.
Comunque, concludendo,
l’insegnamento che ci viene da questo 2° punto è questo: tutto ciò che parte da
me deve partire da Dio: cioè l’intenzione, la motivazione deve essere
Dio.
3° PUNTO: “In Lui era la vita”. Questo versetto
ci afferma che la vita dell'uomo è nella Parola di Dio: è la Parola di
Dio che ci dà vita! Gesù lo conferma nel momento della tentazione, quando
risponde al demonio, dicendo: “L'uomo vive di ogni parola che procede dalla
bocca di Dio” (Mt 4,4): l'uomo vive di questo!
Dicendoci però che in Lui
“era” la vita, usando cioè il tempo passato, ci fa capire che noi ci
siamo scostati e abbiamo cercato la vita altrove: Egli parla a delle creature
che ormai vivono per altro.
Allora naturalmente, siccome
vivendo per altro ci si trova a toccare con mano l'angoscia, la privazione,
la mancanza di vita, ecco che Dio ci dice: “Avete sbagliato strada, in Lui
era la vita; voi l’avete cercata altrove!”. E ce lo dice per invitarci a
recuperare il principio della nostra vita, a rimetterci sulla strada che
abbiamo smarrito, a imparare che la vita è nel Verbo, nella Parola di Dio.
Quindi l'annuncio è questo: “In Lui è la vita”; quindi non cercare più la tua
vita altrove.
Ecco, tu hai sbagliato
strada, ad un certo punto ti arriva il messaggio: “Guarda che la strada giusta
é quell'altra; torna indietro, recupera il principio e impara che la tua
vita é in Lui”.
Se noi allora siamo
convinti che la nostra vita é nella Parola di Dio, noi dobbiamo far consistere
la sostanza della nostra giornata, la sostanza del nostro vivere
nell’approfondire la Parola di Dio, perché più avanziamo nella Parola di Dio, più avanziamo nella vita.
Come chi è convinto che
la sua vita stia nel guadagnare denaro, riterrà che la sua giornata è tanto più
valida quanto più sarà riuscito a guadagnare denaro, poiché la sua vita consiste
in questo, così chi è convinto che la vita stia nella Parola di Dio, riterrà la
sua giornata tanto più valida quanto più sarà riuscito ad approfondire, a
raccogliere in Dio, a camminare nella Parola di Dio.
Il Vangelo ci annuncia
che la nostra vita sta nella Parola di Dio. Ne siamo convinti?
4° PUNTO: “E la vita era la Luce degli uomini”.
Qui precisa che la vita ci viene dal capire, cioè dalla Luce.
Quante volte diciamo che siamo
convinti che la vita sta nella Parola di Dio; ma bisogna intendere bene cosa il
Signore intende per “Parola di Dio”. Gesù stesso dice che “l'uomo vive di
ogni parola”, ma non dice soltanto “di ogni parola”, ma dice “di
ogni parola che procede dalla bocca di Dio”! Quindi ci fa pensare che la
parola che dà vita a noi, non è soltanto la parola ascoltata, ma la parola
raccolta in Dio. Infatti noi possiamo ascoltare parole di Vangelo, ma non
raccoglierle in Dio, possiamo fare del Vangelo un motivo di cultura, possiamo
ricordare il Vangelo come registrato su nastro, possiamo ripeterlo mille volte
a memoria: non serve, perché la Parola va presa dalla bocca di Dio, cioè la
Parola va mantenuta unita al Pensiero di Dio!
Non basta soltanto
ricordare le parole del Vangelo, perché noi
possiamo ricordare le parole come
un disco, e allora siamo noi che non facciamo altro che registrare le nostre
parole, siamo noi che registriamo sul registratore. E anche se diciamo: “Mi
sento da mattina a sera il registratore”: questo non serve se non
raccogliamo in Dio ciò che ascoltiamo.
Possiamo correre da
mattina a sera, sentire adunanze, sentir parlare del Vangelo: non serve! Invece
basta sentire una sola parola, ma questa parola raccoglierla nel Pensiero di
Dio per ricevere vita! Cioè la Parola va unita a Colui che la dice.
Ecco perché dice che la Vita è la Luce degli uomini!
Perché soltanto se la Parola è unita a Colui che la dice diventa Luce!
Noi abbiamo due poli:
·abbiamo Colui che parla (il Pensiero di Dio in
noi, il Verbo)
·e la sua parola.
Allora, a noi giunge la
sua parola, e in noi c'è anche il Pensiero di Dio.
Se noi uniamo i due poli,
dall'avvicinarsi dei due poli, scatta la scintilla e diventa Luce e
quindi Vita.
Se noi li manteniamo
disuniti, non scatta la Luce. Allora
noi facciamo esercitare la nostra memoria, le nostre regole, i nostri impegni,
ecc.: però siamo sempre noi!
La Parola va unita a
Colui che la dice, altrimenti l’iniziativa ricade in mano nostra, per cui
non percepiamo più l’Altro che parla, e allora le parole che udiamo
rimangono tenebre e non ci danno vita.
Ora, noi questo lo
possiamo capire abbastanza bene tenendo presente questo fatto: tutte le parole
che giungono a noi, generalmente, anche se le accettiamo da Dio, vengono da noi rivestite della nostra
intenzione, per cui ci troviamo sempre di fronte al nostro io, per cui
esperimentiamo le tenebre e la solitudine.
Cioè le parole sono
creature nude che arrivano a noi e che noi
possiamo rivestire con gli abiti nostri. Ma fintanto che noi rivestiamo
delle nostre intenzioni tutti i fatti o tutte le parole che giungono a noi,
anche se sono le Parole del Vangelo, queste non sono luce. Perché? Perché
per intendere la vera intenzione di un
essere, noi dobbiamo sempre raccogliere la parola che egli dice, alla presenza
di quell'essere, altrimenti travisiamo la parola. Es.: mi giunge la parola di
un amico, ed io penso: “Ah, voleva dire quello!”. Io non me ne accorgo, ma rivesto la parola della mia intenzione e
quindi la traviso.
Soltanto se vado da
quella persona che mi ha detto quello, soltanto se mantengo unita la parola
alla presenza di quella persona, scoprirò quello che mi voleva dire, quello
che mi voleva comunicare. Perché altrimenti quando magari arriverò alla sua
presenza, lei mi dirà: “Io avevo detto quella parola, ma avevo tutta un'altra
intenzione!”.
Così anche nei riguardi
del Vangelo: soltanto se noi uniamo le Parole di Dio a Dio che le dice (ecco,
devono uscire dalla bocca di Dio), in noi si forma quella luce che è poi la
nostra vita. Ma se noi non le uniamo a Dio, le rivestiamo del pensiero del
nostro io, dell'intenzione nostra, e attribuiamo magari a Dio questa
intenzione, ma non entriamo in quello che é lo Spirito di Dio!
Ecco perché noi restiamo
sempre staccati! Ricordiamo magari tante Parole di Dio, facciamo fatica, lo
sforzo per ripetere, e ci sentiamo sempre alla stessa distanza da Dio! Come
mai? Perché non uniamo le parole di Dio a Dio.
Cina: Possiamo unirle senza che ce ne accorgiamo?
Luigi: No, non possiamo unire senza accorgerci! Questo
lavoro, questa unione non avviene mai automaticamente, senza di noi.
Tutte le cose arrivano a noi anche senza di noi: chi ci pesta un piede ce lo
pesta anche senza di noi, e noi lo sentiamo. Ecco, questo arriva a noi
naturalmente: ci troviamo il piede pestato senza di noi. Però questo fatto si
ferma al nostro io: magari provoca una reazione: rabbia, dolore, ecc. Ma il
fatto che é avvenuto e che giunge a noi senza di noi, non è collegato con Dio senza di noi.
Quindi il fatto avviene
su di noi, giunge a noi senza di noi, ma non arriva a Dio senza di noi! Per cui
noi non possiamo unire la parola al Pensiero di Dio, se noi personalmente
non ci impegniamo a raccoglierla in Dio.
Tutte le cose arrivano a
noi nelle nostre mani e ci dicono: “Siamo parole, raccoglici in Colui che ci ha
dette”. Raccogliendole in Lui, noi raccogliamo noi stessi. Ma se noi non le
raccogliamo, restano soltanto parole staccate da Lui, e anche il nostro io
resta staccato: è il “senza” che si provoca in noi; per cui senza di noi
questo raccoglimento non avviene.
Dio crea tutte le cose,
opera tutte le cose senza di noi, le fa giungere a noi e poi aspetta da noi che
le raccogliamo in Lui. Per questo Gesù dice: “Date a Dio quello che è di
Dio” (Mt 22,21); questa è la giustizia fondamentale: quella di riportare a Dio ciò che è Suo, perché
soltanto riportandolo in Lui, s'illumina. In caso diverso resta tenebra in noi:
allora noi nelle nostre risposte ai segni agiamo per istinto, agiamo per
abitudine, agiamo perché tutti gli altri fanno così, ma non agiamo secondo lo
Spirito di Dio.
Per questo il Signore
dice: “Chi con Me raccoglie, riceve mercede di vita eterna” (Mt 12,30,
Gv 4,36): cioè se noi raccogliamo nel Padre, in Colui che parla, riceviamo
luce, riceviamo vita eterna, riceviamo la conoscenza della Verità dello Spirito
di Dio. E questa conoscenza diventa vita
in noi: ecco perché la vita “è”
nella luce, perché nella luce diventa vita vera.
Ma la vita vera viene in
noi nella misura in cui raccogliamo le cose in Dio. E questo raccoglimento non
avviene senza di noi. Tutto ci stimola, tutto ci invita a raccogliere in Dio,
ma senza di noi tutto resta non raccolto e in quanto non é raccolto, ci
disperde, diventa motivo di dispersione, per cui tutto si vanifica e quindi ci diminuisce la
vita.
Ines: Quindi tutto ci invita a dialogare con il
Signore.
Luigi: Con questo dialogo alla Presenza del
Signore noi cerchiamo di raccogliere in
Lui. Noi teniamo presente che una parola detta anche da una persona, se ci
viene riferita, questa parola in quanto giunge a noi, viene rivestita da una
nostra intenzione; ma noi non sappiamo se veramente quella sia l'intenzione
della parola. Il pericolo è lì, perché noi rivestiamo le cose della nostra
intenzione!
Quand’è che noi capiremo
veramente qual è stata l'intenzione di colui che ha detto quella parola? Quando
noi andremo da chi ha detto quella parola, e per “parola” intendiamo anche i
fatti, e ce la faremo spiegare da lui.
In caso diverso vi proiettiamo
la nostra intenzione, e allora se ci viene detto che un tale ha detto o ha
fatto una cosa, noi immediatamente diciamo: "Aveva quella
intenzione!", cioè noi rivestiamo, attribuiamo un’intenzione a seconda di
quello che portiamo dentro di noi.
Soltanto quando andremo
dal tale e gli diremo: “Tu hai detto questo. Qual é la tua intenzione?”, ecco
allora capiremo, perché lui ce la dice, qual’era la sua intenzione. Così anche
nei fatti, nelle opere: “Tu hai fatto questo. Qual’era la tua intenzione?”.
Così dobbiamo fare con il
Signore. Ecco perché tutte le opere del Signore vanno intese nello Spirito del
Signore! Ma senza lo Spirito del Signore anche tutte le parole della Bibbia
vengono da noi fraintese, non possono essere intese.
Soltanto raccogliendole
nello Spirito, possiamo coglierne lo Spirito. Ed è un lavoro personale; nessuno
può farlo al posto nostro; tutti ci possono ammonire, tutti ci possono invitare
a farlo, ma se noi personalmente non lo facciamo, non approdiamo a niente,
perché é un problema interiore. E quando scatta la luce, quando la scintilla
parte, noi personalmente ce ne accorgiamo perché la cosa si illumina, diventa
chiara nella nostra anima e noi capiamo.
Ines: Quindi bisogna sempre avere la disposizione a
chiedere “perché?”.
Luigi: Certo, perché ogni cosa è parola di Dio e
dobbiamo quindi cercare di vederla in Dio, perché senza Dio noi fraintendiamo.
Quindi ogni cosa va sempre riportata in Dio.
C'è perciò un tratto di
strada nella nostra vita con Dio che nessuno può fare al posto nostro e che non
si compie senza di noi.
E siccome non si compie senza di noi, non avviene automaticamente.
Noi possiamo anche far
pregare tutto l'universo, tutte le creature possono pregare per noi, ma se noi
non facciamo questo, non serve: questo tratto di strada non si compie! “Chi con Me non raccoglie disperde, chi
invece raccoglie riceve mercede di vita…”.
Per cui il verbo
essenziale della vita è questo: “raccogliere”! Questo é il verbo principale. Se
io dovessi esprimere in che cosa consiste la vita direi che la vita è
raccogliere in Dio! Raccogliere è vivere.
Su questo punto dobbiamo
essere ben convinti, perché se non si raccoglie in Dio, non si fa un passo
nella vita dello spirito, anzi… Infatti Gesù dice: “Chi non è con Me, è
contro di Me; e chi non raccoglie con Me disperde” (Lc 11,23).
Convinti?
Ines: Non si può dire in un altro modo la parola
“raccogliere”?
Luigi: È parola di Gesù, è Lui che usa questa parola
quando dice: “Chi con Me raccoglie riceve mercede di vita eterna”. Comunque la si può ritradurre con “unificare”.
Angelo B.: Non è molto chiaro...
Nino: Non si potrebbe ritradurre in questo modo,
cioè che su ogni cosa che mi arriva devo chiedere a Dio che me ne spieghi il
significato?
Luigi: È un qualcosa di più: la parola
(l’avvenimento, la creatura, la stessa
Parola di Dio) va unita a Colui che la dice, ed è un fatto determinante
che avviene in noi, dentro di noi; non è soltanto un interrogare Dio, un
chiedere luce a Dio, ma è qualcosa di
più profondo: ecco perché si usa la parola raccogliere! Perché noi possiamo
chiedere al Signore, ma con parole, così: “Guarda, Signore, che io Ti chiedo
questo...”. Noi chiediamo a Lui, ma il Signore ci dice: “lo ti chiedo questo:
che tu faccia questo raccoglimento!”. È Dio che ci chiede di fare questo
lavoro, questo raccoglimento, questa unificazione delle cose in Lui. E
questa è la vera preghiera. Molte volte noi preghiamo e crediamo di pregare
perché chiediamo qualcosa a Dio, ma parliamo sempre noi e parliamo di noi: il
vero pregare deve essere un ascolto!
Nino: A volte, se resti nel suo Pensiero, Dio ti
lascia parlare nella preghiera, ma ti fa dire le cose che vuole lui!
Luigi: Certo, é il Suo Pensiero che te le
suggerisce; come nei Salmi il Signore mette in bocca nostra quello che Lui
stesso dice e vuole.
Nino: Quindi non si tratta di cercare un metodo per
raccogliere, ma di cercare un rapporto sincero con Dio.
Luigi: Comunque il metro per capire se
raccogliamo é questo: quando la cosa è raccolta s'illumina, e si illumina di
vita eterna, di luce eterna! E poi, non si tratta di cercare un metodo, ma
certamente c’è sempre da tener presente questo: tutte le cose che arrivano, in
quanto arrivano, e possono arrivare anche da distanze lontanissime, in quanto
si presentano a noi sono mandate da Dio a noi personalmente con l’indirizzo preciso: nome – cognome
– città - codice postale. Tutto
arriva personalmente per noi come una lettera
e arriva in busta chiusa. Ma tutto quello che arriva a noi, cioè
ogni lettera che arriva a noi, chiede
a noi di essere aperta. Noi possiamo anche non aprirla, perché “prima di
tutto mangio, faccio questo e quest’altro...”, poi magari quando andiamo a
cercare la lettera non la troviamo più. Però abbiamo fatto una scelta! E una
scelta la facciamo sempre di fronte ad ogni cosa che ci arriva, proprio
perché tutto quello che arriva è una lettera che arriva a noi personalmente in
busta chiusa: noi possiamo aprirla e possiamo non aprirla, giustificandoci con
il fatto che abbiamo altro da fare: “Non posso, ci sono i buoi, la campagna,
la moglie, i figli…” e allora quando andremo a cercare la lettera per
aprirla, ci sentiremo dire: “Non assaggeranno la mia cena” (Lc 19,24).
Se invece noi la apriamo
subito, aprendola troviamo il Signore che dice: “Portala a Me, perché soltanto
Io te la posso spiegare!”, perché in essa ci sono le parole, ma sono parole in
codice che soltanto Lui te le può spiegare. Quindi quello che noi troviamo scritto è un
invito a cercare Lui!
Tutte le cose che
arrivano a noi, se sono da noi aperte e ascoltate, ci dicono una parola
sola: “portaci a Lui, raccoglici in Lui!” . Tutte le cose!
Direi che questo è il
linguaggio universale; poi c'è anche
quello dei significati più personali. Però il linguaggio universale in
tutti gli avvenimenti è questo: “pensa a Me!”; per cui il comune
denominatore di tutti gli avvenimenti è questo messaggio: “pensa a Me”. Noi
non sbagliamo se in tutti gli avvenimenti diciamo: “devo pensare al Signore!”,
“devo cercare presso il Signore!”.
Tutto mi invita a questo,
ad elevare la mia vita a Lui, la mia mente a Lui, per cui beni, mali, rovine,
disgrazie, gioie, ecc., tutto quanto è una sollecitazione a pensare Dio, a
unificare in Dio, a cercare il Pensiero di Dio. Ne siamo convinti?
Questo messaggio delle
cose è “la luce che splende nelle tenebre”. Da qui il 5° punto.
5° PUNTO: “La Luce
splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’accolsero”.
In tutte le cose Dio ci
dice: “Io sono il Creatore di tutto: pensa a Me, cerca Me, raccogli tutto in
Me”. Questa è la Luce che splende nelle nostre tenebre. È una Luce che
splende per tutti, poiché nessuno può ignorare il Creatore.
Ma in questo versetto ci
viene annunciata anche la risposta dell’uomo: “ma le tenebre non
L’accolsero”. Ci viene rivelato questo rifiuto da parte di tutti gli
uomini, per invitarci a non più rifiutare questa Luce. Dopo il rifiuto
dell’uomo inizia l’opera di recupero da parte di Dio e anche questa parola, in
quanto ci arriva, è per recuperarci, per invitarci ad accogliere questa Luce.
Se noi pensiamo a Lui, se
noi andiamo a Lui, allora accogliamo la luce e le nostre tenebre spariscono; ma
se noi non pensiamo a Lui, se noi non andiamo a Lui, allora rifiutiamo questa
Luce e le nostre tenebre rimangono.
Abbiamo visto che le tenebre
di per sé non sono opposizione alla luce, ma sono bisogno della luce. Le
tenebre sono create da Dio: tutto ciò che è uomo, natura, è tenebra che ha
bisogno di Dio, che ha fame di Dio!
“La luce splende nelle
tenebre, ma le tenebre non L'hanno accolta”. Ci sono invece le tenebre che accolgono in tutto il
messaggio, cioè la parola che dice: “portami a Colui che mi ha creata, a Colui
che mi ha mandato a te”; in tal caso le tenebre accolgono la luce che splende
nelle tenebre.
Pinuccia B.: Questa luce che
splende nelle tenebre è il Verbo o è il messaggio che arriva a me in ogni
cosa, dicendomi di portarla a Dio?
Luigi: È la Parola di Dio che giunge a noi: essa
splende nelle tenebre.
Pinuccia B.: Ma allora ogni cosa, essendo parola, è luce?
Luigi: Ogni cosa arriva a noi come luce in quanto
arriva con un messaggio: chiede a noi, che siamo tenebre, di essere portata a
Dio, per essere illuminata da Lui.
Pinuccia B.: Allora diventa luce solo quando é portata a Lui; quindi
quando arriva a me non è quella luce che splende nelle tenebre!
Luigi: No, è luce in questo senso: in quanto ci
invita a portarla a Lui, ad andare a Lui.
Pinuccia B.: Io pensavo che è il Verbo la Luce che splende nelle
tenebre, ma non ogni avvenimento, ogni cosa…
Luigi: Certo, è il Verbo la Luce che splende, ma il Verbo é in ogni avvenimento, perché Lui
parla in tutto; quindi è Lui la Luce che splende nelle nostre tenebre
attraverso ogni avvenimento, perché è Lui che ci dice in ogni avvenimento,
in ogni cosa: “Pensa a Me”.
Quindi l'avvenimento di
per sé non è luce: è il Verbo di Dio che parla in tutto che é luce! È il
Verbo di Dio che in ogni avvenimento chiede a noi di portare a Lui l’avvenimento! Noi siamo le
tenebre, noi siamo la notte, cioè noi siamo bisogno di Dio. Se noi accogliamo
l’invito, la segnalazione di Dio ad andare a Dio, allora le tenebre
accolgono la luce; se invece non accogliamo l’invito, le tenebre rifiutano la
luce. Allora diventano opposizione, peccato.
La tenebra di per sé non
è peccato, perché Gesù stesso dice: “Se foste ciechi non sareste in
colpa, ma dato che, essendo ciechi, dite di vedere, lì sta la colpa” (Gv
9,41). Quindi il non capire, il non conoscere, di per sé non é colpa; la colpa
è quando, essendo cieco, credo di vedere, dico di vedere, pretendo di vedere.
Allora mi oppongo: sono due cose uguali (due luci) che entrano in conflitto:
è la luce che rifiuta la Luce. Se mi
ritengo maestro, rifiuto l'Altro Maestro, e allora c’è opposizione. Ma se io mi
considero allievo, attendo il Maestro e godo se Lo incontro: “Ah, meno male che
mi arriva il Maestro!”. Ecco, la tenebra é l'allievo che cerca il Maestro.
Quindi il peccato sta
nella tenebra che pretende di essere luce: difatti sono i maestri di
Israele che hanno crocifisso Cristo, perché non sopportavano il suo parlare.
Invece i poveri, i
ciechi, questi Lo hanno accolto. Gesù
infatti dice: “Sono venuto per i ciechi, i poveri, i malati, ecc.,
non sono venuto per i giusti, per chi si ritiene giusto, perché chi si ritiene
giusto non ha bisogno di essere salvato, chi si ritiene sano non ha bisogno di
essere guarito; è il malato che ha bisogno del medico” (Cfr. Mt 9,12-13).
Ma tutti siamo malati; quindi tutti abbiamo bisogno del Medico; tutti siamo
ciechi e quindi tutti abbiamo bisogno della Luce.
Pinuccia B.: Quindi la Luce che splende nelle tenebre è il Verbo.
Luigi: Certo: “…Lui era la Luce”.
Ines: Come mai c’è tutta una sequenza di “era”,
fino a “la vita era la luce…” e poi invece usa il presente “la luce
splende”?
Luigi: Perché la Luce splende sempre indipendentemente
dalla risposta degli uomini; invece nelle prime espressioni usa l’“era”,
perché ora, per gli uomini che hanno rifiutato la Luce non è più così.
Quando il Signore ci dice
“era” ci annuncia come le cose erano stabilite da Lui in principio per
noi, ma che ora non lo sono più, avendo noi smarrito il nostro Principio e lo annuncia ad ognuno di noi affinché noi le
abbiamo a recuperare; tutti dobbiamo recuperare le cose come le aveva stabilite
Lui in principio. per cui ci dice: “Guarda, la vita sta in questo, quindi non
cercarla altrove! La vita è nel Verbo, cercala nel Verbo, lì troverai la
vita! Se ti senti morire è perché hai cercato la vita altrove; cercala nel
Verbo, troverai la vera vita, perché in principio era così”.
Quindi annunciandoci la
cosa come era in principio, cioè come era stata stabilita da Lui, ci
annuncia la cosa veramente come è, affinché abbiamo a recuperarla; perché
quando uno mi dice: “Il principio di questo sta lì”, è come se mi dicesse: “Se tu vuoi trovare
questo, guarda che il principio è lì”. Quando si dice: “Il principio di questa scienza sta lì”, è come
dire: “Se vuoi acquisire questa scienza, guarda che il principio é lì…”, mi
invita a-… Quindi l’indicazione del principio di- è un invito a-. Quando ti
si dice: “Il principio della vita é lì!”, se tu vuoi trovare la vita, ecco che
sai dove trovarla, ti viene indicata
la strada della salvezza. Il messaggio c’è, l'avviso c’è: “il principio della
vita è lì, cercala lì e troverai la vita!”, ma è necessario accogliere il messaggio.
Se invece noi non accogliamo questa parola, allora abbiamo le tenebre che
rifiutano.
Quindi la parola che ci
giunge, ci annuncia dove possiamo trovare la vita, ci indica cioè la
strada della salvezza, ma è necessario accogliere questo messaggio.
Noi però possiamo anche
rifiutare, non tenerne conto, ma allora questo diventa peccato, perché il Signore ci dice: “Se non avessi parlato
non sareste in colpa, ma siccome ho parlato (ecco la luce che splende nelle
tenebre!), qui nasce la vostra colpa!”.
Quindi la Parola é
vita, giunge a noi come vita, non giunge a noi per metterci in colpa. La
Parola giunge a noi per salvarci, per sovrabbondare di vita verso di noi, per
colmarci di gioia; quindi da parte di Dio il proposito è questo. Se invece noi
rifiutiamo, allora qui siamo in colpa.
È come se uno ti dicesse:
“Perché tu vai a Torino mentre devi andare a Cuneo?”. Ti sorprenderebbe e tu
risponderesti: “Ah, non sapevo! Credevo di andare a Cuneo invece andavo a
Torino! Ho sbagliato strada e non me ne accorgevo!”. Ma ora, anche se ti è
stato detto: “No, guarda che la strada giusta é questa!”, tu puoi continuare a
percorrere la strada sbagliata, ma allora sei in colpa, perché sei stata
avvisata.
Così è nel cammino dello
spirito: noi possiamo sbagliare, ma ad un certo momento arriva la Parola che ti
sorprende: “Guarda che tu sei stato creato per conoscere Dio, per cercare Lui,
occupati di Lui, la vita sta lì! Dove stai andando? Cosa stai facendo?”. La
Parola é arrivata e la luce è scattata: da quel momento lì noi siamo
responsabili.
Quindi é la Parola che ci
costituisce in responsabilità. Se Dio non parla, noi non viviamo nemmeno perché
non scegliamo. Chi ci fa scegliere, ci rende responsabili, ma chi ci rende
responsabili ci fa persone. È Dio che parlando costruisce la nostra vita,
costruisce la nostra personalità, se noi aderiamo: ma é la Sua Parola!
È la Sua Parola che ci fa
uomini, perché ci fa essere, ci impegna
responsabilmente ad una scelta. Così pure ci impegna ad una scelta questa
parola: “In principio la vita é lì”, che ci insegna quello che noi
dobbiamo recuperare: cercare la vita nel nostro Principio.
Ines: Però dice “era”…
Luigi: Dice “era” perché lo dice a noi che
stiamo cercando la vita altrove e allora ci dice: “la strada era quella!”. Quando
volendo andare a Cuneo, tu sbagli strada, se
uno ti arriva accanto e ti chiede: “Ma dove stai andando?”, tu
rispondi: “Sto andando a Cuneo”; ma lui
ti dirà: “Guarda che tu stai sbagliando strada! La strada giusta era quella!”.
Perché dice: “era”? Perché era quella che dovevi infilare!
Quindi questo “era”
equivale a dire: Hai sbagliato strada” e lo si dice a delle persone che hanno
già camminato su una strada sbagliata! Infatti
Dio parla a delle persone che stanno ascoltando parole di uomini: “Ma no!
Guarda che devi ascoltare Parole di Dio se vuoi vivere!”; parla a delle persone
che stanno cercando la vita nel denaro, nel mondo, nella carriera, negli
affari, nella scienza: “Ma no, guarda che la vita era là!”. Ecco sta parlando a
delle persone che stanno camminando sulla via sbagliata. Per questo dice “era”!
Nino: Guai se non ci fosse la Parola di Dio che ci
indica la strada giusta! Senza di essa niente resterebbe su e tutto ci
deluderebbe.
Luigi: Infatti senza di Lui tutto diventa niente.
Perché ci sono i suicidi? È il senso di vanità, è il senso di vuoto (che
troviamo ad esempio nelle poesie del Leopardi)…: basta guardarci attorno!
Ecco, “La luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non L’accolgono!”.
Angelo B.: Oggi giorno c’è tanta gente che rifiuta Dio e
la pratica religiosa, e sembra che questo avvenga più oggi che nel passato!
Nino: Ma è perché la gente di oggi non ha ancora
maturato la capacità di ascoltare la Parola di Dio.
Luigi: No, guarda che il rifiuto è molto a monte,
non nel momento attuale; non si vedeva, ma era precedente. Noi il più
delle volte abbiamo fatto consistere la vita con Dio, la vita religiosa, in
funzioni, regole, processioni, ma ognuno di noi credeva nello stesso tempo nel
denaro, amava il denaro, viveva per la carriera, pensava a se stesso, ai propri
affari.
E noi chiamiamo tutto
questo vita religiosa?! Ora Dio sta buttando all'aria tutta un'impalcatura,
perché sta mettendo in evidenza l'essenziale, dicendo: “La vita é lì! Voi invece
avete creato tante di quelle sovrastrutture: quindi avete confuso l'essenziale.
L'essenziale è cercare Dio prima di tutto!”. Ma chi è che cerca l’essenziale?
Rifiutando “la Luce che splende nelle tenebre”, di conseguenza non si
può accettare nemmeno il Vangelo, o per lo meno certe parole di Cristo, anche
se ci si crede religiosi. Infatti se noi a tanta gente che va in Chiesa
dicessimo che nel Vangelo c’è scritto: “Non preoccuparti del mangiare e del
vestire, cerca prima di tutto il Regno di Dio” (Mt 6,33), risponderebbe:
“Ah, ma quelle parole bisogna prenderle con buon senso! quelle sono tutte
storie!”, e sono persone religiosissime, famiglie religiosissime, ma che si
scandalizzano davanti a queste parole! Come mai?
Ho sentito venti o
venticinque anni fa un Sacerdote che
diceva: “Ma quelle parole non si possono più dire ormai!”. Ma come non si
possono più dire? Sono parole del Vangelo! e non si possono più dire?
Considerava che si potesse predicare i
comandamenti, ecc. ma non quelle parole lì! Trovava talmente assurdo predicare,
come ha detto Gesù: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire: cerca
prima di tutto il Regno di Dio e tutto il resto ti sarà dato in soprappiù;
lo trovava talmente lontano e non più adatto ai nostri tempi, da concludere che
ormai la ricerca di Dio nel superamento del problema del mangiare e del vestire
non si potesse più predicare. Eppure la vita sta lì!
Nino: Anch’io ho sentito dire che chi si propone di
vivere queste parole fa del
perfezionismo, esagera!
Luigi: Eppure Gesù quella parola, “non
preoccuparti del mangiare…”, l'ha detta a tutti e all'inizio della sua vita
pubblica; non alla fine! Accettare “la Luce che splende” e cercarla
prima di tutto è solo l’attacco del cammino. È quando Gesù dice: “Padre, Io
non prego per il mondo...”: che siamo nel
perfezionismo! Quando porta i suoi sulla cima della montagna e li affida
al Padre e dice: “Adesso Io me ne vado”, lì sì, siamo nel perfezionismo,
perché siamo con creature che sono ormai alla vigilia della Pentecoste! Ma quando
invece Gesù dice: “Non preoccupatevi del mangiare e vestire, ma cercate
prima di tutto il Regno di Dio”, lo dice nel discorso della montagna che è
il primo messaggio che Cristo lancia a tutti: è una lezione universale!
Per cui se noi non
mettiamo nella nostra vita questa ricerca di Dio prima di tutto, siamo
lontanissimi dal Cristo! Se non cerchiamo Dio prima di tutto, anche se
facessimo penitenza e sacrifici da mattina a sera, ma noi siamo lontanissimi
dall’essenziale, dal rapporto essenziale con Dio! Stiamo rifiutando la luce che
splende nelle nostre tenebre, e allora di conseguenza non possiamo ascoltare il
Cristo. Il problema del rapporto con Dio, cioè l'anima di tutto sta in questo:
metti Dio prima di tutto, tu sei stato creato per conoscere Dio. Cerca prima di
tutto il Regno di Dio, anche a costo
(diceva S. Agostino) di morire di fame! Solo se abbiamo questo coraggio, Lo
possiamo trovare. Così come diceva un maestro indù (di cui già abbiamo parlato
la volta scorsa) ad un suo discepolo dopo avergli immerso la testa nell’acqua:
“Soltanto quando tu cercherai il Signore con la stessa intensità con cui tu
adesso cerchi l’ossigeno per non soffocare, potrai cominciare la vita dello
spirito”.
Ecco, solo quando sentiremo il bisogno di Dio come
dell'aria che respiriamo mentre stiamo annegando, potremo incominciare la vita
dello Spirito! Solo quando Lo cerchiamo con questa intensità qui! Qui allora
abbiamo le tenebre che accolgono “la Luce che risplende…”
Angelo B.: Penso che abbiamo anche noi una responsabilità
enorme sull'incredulità degli altri e sui mali sociali.
Luigi: Infatti la responsabilità dei fatti sociali è
sempre personale, di ognuno di noi, tanto nel bene come nel male.
Infatti uno dei principi
affermato nella vita dello spirito, è: “Chi eleva sé, eleva il mondo”. Quindi
il mondo si trasforma quanto più personalmente noi cerchiamo Dio. Per cui se tu
elevi te stesso verso Dio e ti superi ecc., non solo apporti del beneficio alla
tua famiglia, ma anche se tu non vedi nulla, anche se tu non lo sai, quanto
bene quest’onda può apportare all’intera umanità!
Questo però vale anche
nel male! Per cui se io penso male, a causa di questo pensiero magari un tale compie un delitto a IOO Km di
distanza da me; per cui Dio mi dirà: “Ho fatto fare questo a quel tale perché
tu portavi quel pensiero là staccato da Me”, e non potremo dire niente! Per
questo sta scritto: “Piangeranno davanti a Lui tutte le genti!” (Ap
15,4).
Pinuccia B.: È perché Dio ci ha legati gli uni agli altri e ci ha
messo in comunione che accade questo?
Luigi: È perché Dio fa tutte le cose per salvare
ognuno di noi, e allora muove tutte le cose per questo fine.
Pinuccia B.: Allora lì c'è la così detta “comunione dei santi”...?
Luigi: Certo! Cioè formiamo tutti una cosa sola.
Pinuccia B.: Sarebbe “tutti per uno, uno per tutti?”
Luigi: No, la cosa è diversa. Tale frase può essere
ambigua. Invece il problema è sempre di “Dio che parla”.
Pinuccia B.: È Dio che parla a ciascuno attraverso tutti, ed è questo
che fa l’unità tra di noi.
Luigi: Sì, Dio è Dio che unisce. Se noi ci teniamo
uniti a Dio, siamo uniti a tutto e a tutti, perché tutto è Parola di Dio. Dio
parla a ciascuno attraverso tutti. Tutto è fatto da Dio per ciascuno di noi
ed è questa la comunione tra noi, per cui a nostra volta saremo attori
verso altri: ma questo a noi non interessa perché è Dio che fa, e gli altri devono vedere l’opera
di Dio attraverso di noi. Ciò che invece ci deve interessare è questo: dobbiamo vedere in tutto la mano di Dio e non
vedere l'uomo perché è poi da questo mio rapporto o con Dio o con gli uomini
che dipende la parte di attore che Dio mi farà fare per gli altri.
Quindi in tutto dobbiamo
vedere Dio, non l’uomo. L'uomo é la carta che Dio adopera per farci arrivare
la sua lettera, ma noi non dobbiamo fermarci alla carta: noi dobbiamo
leggere le parole! Il messaggio, le parole di Dio sono molto più importanti
della carta; gli uomini sono la carta attraverso cui Dio fa giungere a noi le
Sue parole, le Sue opere, la Sua lettera. La lettera non consiste nella carta, la
lettera consiste nelle parole... Ma noi ci fermiamo alla carta, mentre invece quello
che importa é il pensiero che Dio ci vuole comunicare.
Ines: Se è Dio che fa tutto; allora non c’è da
preoccuparci di fare noi.
Luigi: Certo, dobbiamo solo preoccuparci di pensare
a Lui (ecco, accogliere “la luce che splende nelle tenebre”). È la
lezione di S. Francesco che dice a Frate
Leone: “Andiamo a predicare”. Vanno, fanno un lungo giro e poi tornano al
convento. Frate Leone chiede: “Non dovevamo fare la predica?” “L’abbiamo fatta
- risponde Francesco - : camminando e parlando del Signore e pensando al
Signore, abbiamo predicato a tutti”.
Ecco se uno vive nel Pensiero
di Dio, sia che dorma, sia che mangi, sia che corra, sia che faccia niente,
predica sempre, testimonia sempre il Signore. Perché ognuno di noi testimonia
ciò che ha nel cuore. Se noi abbiamo nel cuore Dio e pensiamo Dio, qualunque cosa che noi facciamo, anche se non
diciamo assolutamente niente, glorifichiamo il Signore, testimoniamo il
Signore. Ma se noi parlassimo da mattina
a sera di Dio, ma non Lo avessimo dentro di noi, tutte le nostre parole
servirebbero proprio a niente, sarebbero soltanto rumore e recitazione; per cui
le nostre tenebre restano tenebre e comunicano tenebre e non luce.
Angelo B.: Anzi è
proprio quando vogliamo dare il buon esempio che… allontaniamo gli altri.
Luigi: Sì, perché recitiamo! Il vero esempio lo
diamo vivendo per qualcosa; ma allora non ci accorgiamo nemmeno di darlo!
Così come la vera preghiera in noi avviene quando non ci accorgiamo di pregare;
perché noi quando ci accorgiamo di pregare, in fondo in fondo, recitiamo.
Veramente preghiamo quando non ci accorgiamo di pregare, perché siamo talmente
presi da un pensiero forte che abbiamo tutto l'animo teso lì. È come quando
siamo talmente presi da un lavoro che non ci ricordiamo nemmeno di mangiare,
proprio perché siamo tutti presi da-.
La vera testimonianza noi
la diamo in quello che più ci appassiona, dove noi abbiamo il nostro vero
interesse. Ora, se il nostro interesse è il denaro, anche se noi parlassimo
tutto il giorno di Dio, testimoniamo il denaro, non altro! Là dove manca
l’impegno a pensare a Dio, cioè là dove si rifiuta “la luce che splende”,
le tenebre restano tenebre e non comunicano luce.
Quindi il vero esempio
che diamo è effettivamente quello che noi cerchiamo. Per questo Gesù dice:
“Cercate prima di tutto il Regno di Dio”, perché se onestamente, sinceramente
noi ci occupiamo di Dio, questo è ciò che testimoniamo senza bisogno di
parlare.
S.Paolo dice: “Noi
siamo spettacolo al mondo” (1 Cor 4,9): spettacolo di che cosa? Ma di ciò
che amiamo prima di tutto! Questa è la vera fede! Perché ognuno di noi si occupa
di ciò in cui veramente crede.
Per cui solo se noi
crediamo veramente in Dio, cerchiamo Dio. Se noi siamo veramente convinti che
la vita é Lui, allora ci appassioniamo molto per conoscere tanto di Lui, per
realizzare la vita con Lui. Ora tutto questo lavoro che si fa per avvicinarci a
Lui, per cercare Lui, per occuparci di Lui, per lasciarci guidare dal suo
Spirito, questo è l'esempio che si dà,
perché é la testimonianza di ciò per cui si vive! Se invece uno dicesse:
“Adesso io parto per dare il buon esempio...”, farebbe un buco nell’acqua.
Ecco, “la luce che
splende nelle tenebre” va accolta, pensata, cercata appassionatamente. Solo
così la si testimonia. La condizione è riconoscerci tenebre che hanno
bisogno della Luce, altrimenti rimaniamo nel rifiuto (“…le tenebre non
l’accolsero o non la compresero”).
Anche su questo punto,
siamo convinti?
6° PUNTO: è la testimonianza di Giovanni il Battista:
“Non sono io la luce, un’altra è la
Luce!”
Attraverso tale
testimonianza Dio inizia l’opera di recupero dell’uomo che non ha accolto “la
luce che splende nelle tenebre”, invitandolo a fare la giustizia
essenziale: cercare Dio prima di tutto, cercandolo dove è.
Giovanni è la voce delle
tenebre. Lui stesso dice: “Io non sono la luce, la Luce è un'altra”. Ora, siccome la Luce è un'altra, lui “venne
per rendere testimonianza alla vera Luce”.
Siccome siamo creature
che hanno fatto un tratto di strada sbagliata, allora Dio opera nelle nostre
strade sbagliate,Dio nei nostri errori, per ammonirci, per renderci testimonianza
di dove é la vera luce: “Tu stai cercando la luce tra le creature esterne,
ebbene attraverso le stesse creature esterne,
io ti dico, anzi ti faccio dire da loro: non siamo noi la vita, non
siamo noi la luce; la luce è un'altra; noi siamo soltanto qui per renderti
testimonianza che la luce è un'altra, che non siamo noi: cercala dov’è”. Questo
è quello che ci dice Giovanni il Battista che riassume la voce di tutte le
creature.
Giovanni, che in sostanza
ci predica il battesimo di giustizia, ci
invita a passare dall'amore per il
mondo, dalla vita vissuta per le cose
esteriori alla vita vissuta per le cose interiori: la luce é dentro di noi!
Soltanto se noi passiamo
dalle cose esteriori alle cose interiori, accettiamo il battesimo di giustizia, il battesimo di Giovanni Battista. Cioè lo
accettiamo se facciamo questa conversione. Infatti il messaggio di Giovanni
Battista è un invito alla conversione e il suo “battesimo di giustizia” viene
anche chiamato “battesimo di penitenza!”: “Convertitevi, fate
penitenza!”. Cioè: “Cessa di cercare la vita, la Verità, la Luce, la
gioia, la pace nel mondo esteriore (che non te le può dare, e non te le darà
mai!) e incomincia a cercare la Luce, la Verità, la Vita, ecc., nelle cose
interne, perché Dio abita dentro di te. Metti Dio prima di tutto!”.
Questa è la voce, la
testimonianza di Giovanni Battista, che raccoglie, sintetizza la voce di tutto
l'universo, di tutte le creature che sono fuori di noi, che sono esterne. Ne
siamo convinti o ancora non abbiamo captato questa voce delle cose? Siamo
convinti della necessità della giustizia essenziale?
Se noi non mettiamo Dio
prima dì tutto, tutto il mondo è tenebra; ma in queste tenebre abbiamo ancora
una testimonianza, che è la testimonianza di Dio che cerca di recuperarci
attraverso il nostro errore. Noi che cerchiamo la vita, la nostra gioia, la
nostra pace nelle creature, troviamo le creature stesse che ci dicono (e ce lo
dicono in mille modi: anche con il loro morire, con il loro mutare, con il loro
deluderci): "Noi non siamo quello che tu cerchi; tu cerchi in noi la vita,
noi non siamo la vita; tu cerchi in noi la Verità, noi non siamo la Verità; tu
cerchi in noi la gioia, noi non siamo la gioia; tu cerchi in noi l’Assoluto, noi non siamo l’Assoluto; noi
moriamo! Oggi ci siamo, domani non ci siamo più. Noi siamo solo qui per dirti:
Cerca queste cose altrove! Ma dove? Ecco, allora che arriviamo al punto successivo che dice:
7° PUNTO: "Luce vera è quella che illumina
ogni uomo”.
Quindi tutte le creature
ci dicono: “Noi non siamo la Luce vera, ma testimoniamo la luce vera!”.
Ecco dicendo: “Noi non
siamo la Luce vera”, abbiamo la voce di Giovanni Battista!
Quindi tutto il mondo
esterno, la cui voce è sintetizzata appunto da Giovanni Battista, ammonisce noi a non cercare la luce, la vita,
la gioia, la pace, la giustizia nelle cose esteriori, a non aspettarcele dalle
cose esterne, e ci ammonisce invece a
cercarle nelle cose interiori, dentro di noi, in Dio che è in noi. Ecco perché
ci vien detto: “la Luce Vera è quella
che illumina ogni uomo”.
Quindi se noi facciamo
questo passaggio (che è un po’ l'anima dell’insegnamento di S. Agostino: “Passa dalle cose esterne,
rientra in te stesso, perché la Verità, Dio abita dentro di te!”), allora
scopriamo in noi il Verbo interiore, la Luce vera.
Il Verbo interiore parla
dentro di noi, e soltanto se ascoltiamo questo Verbo interiore noi avremo la
possibilità di incontrare il Verbo esteriore, il Cristo, Colui che viene a
rispondere alla nostra fame; ma se noi non ascoltiamo questo Verbo interiore,
anche vedessimo tutti i giorni il Cristo intorno a noi, fuori di noi, non Lo
riconosceremmo, anzi Lo fraintenderemmo, Lo crocifiggeremmo, ma assolutamente
noi non Lo riconosceremmo, perché soltanto chi ha ascoltato il Verbo interiore,
la Luce Vera che illumina ogni uomo dentro di noi, solo chi L’ha ascoltato é
rimasto attratto da Dio ed ha quindi la possibilità di riconoscerlo. È questa
attrazione che ci porta ad individuare
in Cristo, Colui che attendevamo: "Ah, era questo che aspettavo, il
Maestro, il Cristo!” e a riconoscere in Lui il Verbo che si è fatto carne.
Ora, siamo convinti su
questo punto? cioè che il messaggio di Giovanni Battista conclude in questo
passaggio dall'esterno all’interno per scoprire ed ascoltare il Verbo interiore,
la Luce che illumina ogni uomo?
Si tratta cioè di essere
convinti che il problema della giustizia (che sostanzialmente sta nel cercare Dio prima di tutto, nel dare a
Dio quello che è di Dio) consiste poi praticamente nel passare dalla ricerca della nostra vita
nelle cose esteriori, alla ricerca della nostra vita in Dio che abita dentro di
noi e quindi all’ascolto di Lui.
Quindi, se sei convinto
di questo, rientra in te stesso e lì, in questo silenzio ascolta il Verbo
interiore. Gesù dice: “Quando
vuoi pregare entra nella tua stanza e lì chiudi l'uscio, e nel nascondimento
rivolgiti al Padre” (Mt 6,6). Gesù
si collega con Giovanni Battista, assume il suo messaggio.
Infatti Gesù si
sottomette al battesimo di Giovanni Battista. E perché si sottomette? Perché lo
conferma: è valido. Non si ferma lì, ma lo conferma: “Questo è valido, è
necessario”, Perché? Perché tale battesimo ci invita a passare dall’esterno
all’interno. Ed è per questo che Gesù, collegandosi con questo messaggio del
Battista, dice: "Quando vuoi pregare... (e in un altro punto dice: “È
necessario pregare sempre...” (Lc 18,1), perché l'uomo si forma attraverso
la preghiera) … entra nella tua stanza interiore, chiudi l’uscio, dimentica
tutto e lì, in quel silenzio, prega il Padre tuo”: cioè cessa di guardare fuori, perché tutte le cose ormai
non fanno che ripeterti: “non siamo noi quello che tu cerchi”. E cos’è che noi
cerchiamo?
Ecco, noi cerchiamo la
vita, la Verità, l'Assoluto; ma se noi le cose le interrogassimo anche per
tutta l'eternità (e potrebbe essere l'inferno), tutte le creature non farebbero
che ripeterci: “noi non siamo il tuo Dio, non siamo noi quello che tu cerchi”.
Quindi ci deluderebbero sempre! Ecco
perché c'è la delusione! Ecco perché siamo delusi! Siamo delusi perché tutte le
creature ci dicono, ci testimoniano: “Non siamo noi la luce che tu cerchi,
quindi cerca altrove”.
Quando noi ci lamentiamo
che la creatura ci delude: “speravo che...”, è segno che non abbiamo capito il messaggio
delle creature. Quando esse ci deludono, hanno fatto la loro parte. Loro non
fanno altro che ripetere quello che devono dire! Anche se a parole la creatura ci dice: "Io sono tutto per
te!… io sono questo… io sono quello…", oppure: "la mia volontà non
conosce ostacoli", in realtà invece ci dice tutt’altro, perché magari il
giorno dopo muore: questa è la realtà. Quando una creatura dice: “Io
sono Dio, sono io che faccio tutte le cose; Dio non esiste...” e il giorno dopo muore, che cosa ci sta dicendo
e testimoniando in realtà?
Questa è la voce delle
creature! Questo è quello che dicono le
creature! La volubilità stessa delle creature ci testimonia questo, per cui non
conta quello che dicono le creature a parole. Quando esse ci deludono, non
fanno che la loro parte, non fanno altro che dirci e ridirci quello che devono
dire. Per cui tutta la creazione ti dice: “No, tu non puoi fondare la tua
vita su quella creatura, perché oggi c'è e domani è mutata; quindi la tua vita
deve essere fondata altrove”. E dove? Ecco allora il Vangelo che ci dice: “Non
era lui (Giovanni Battista, la creatura, ecc.) la luce…Luce vera è
quella che illumina ogni uomo”: Luce che ogni uomo porta dentro di sé e
che ogni uomo deve ascoltare.
Convinti? Questa luce è
il Maestro interiore, per cui l’uomo deve dare spazio, tempo, disponibilità per
quest’ascolto. L’uomo quindi deve pregare sempre, perché la Luce illumina e le
tenebre, che siamo noi, devono accoglierla.
E allora ecco un altro
punto:
8° PUNTO: “Quanti accolgono la Luce vera, ricevono la possibilità, di diventare figli
di Dio”.
Ecco che a quanti
accolgono la Luce vera, quella che illumina ogni uomo, viene data la
possibilità, la potenza, di diventare figli di Dio, cioè vengono attratti da
Dio.
Avevamo visto che
accogliere vuol dire “mettere in alto” e sottomettere tutto a questa Luce,
altrimenti ci illudiamo di accoglierla, o L’accogliamo solo per un momento e
poi ricadiamo nelle tenebre esteriori. Ed è proprio questo continuo mettere in
alto, cioè questo continuo ascolto del Verbo interiore che forma in noi il
desiderio di conoscere Dio e ci fa esperimentare la nostra incapacità e
povertà, per cui nasce il bisogno di un Aiuto dal Cielo per realizzare il
nostro sogno.
Questo bisogno, questa
fame di Dio, è possibilità di diventare figli di Dio. Infatti diventare “figli
di-” vuol dire sentire la fame, il
bisogno di-, essere attratti da-.
Pinuccia B.: Ma non siamo già attratti prima?
Luigi: L’attrazione è una conseguenza della
giustizia essenziale e di questo mettere in alto la Luce che è in noi.
L’attrazione è fame per-.
Coloro che rientrano nella propria interiorità e si
pongono in ascolto del Verbo interiore, della voce del Padre che parla dentro di loro, allora hanno
la possibilità di diventare figli; non
sono fatti figli, ricevono la possibilità di diventare figli di Dio.
Ora, questa possibilità
è la possibilità di mangiare il Pane
divino. Ma qual è la possibilità di
mangiare il Pane divino? È di aver fame di esso! cioè, essere attratti da-.
Soltanto quando uno ha appetito per-, può mangiare.
Allora, ascoltando
Dio, si forma in noi l'appetito per il Pane divino; allora quando il Pane
divino verrà: ah, ma io ho tanta fame! Avendone la fame, avremo la possibilità
di mangiarlo e di assimilarlo. Ecco la preparazione!
E anche su questo punto, sulla
necessità di questa preparazione, cioè della formazione in noi di questa fame,
dobbiamo essere ben convinti, perché è la condizione per riconoscere e
seguire il Cristo, il Verbo incarnato. Convinti?
Pinuccia B.: Pensavo che per accogliere, cioè mettere in alto questa
Luce, fosse necessario essere già attratti da essa.
Luigi: No, prima si è distratti! Tu metti in alto
questa Luce per giustizia e l’attrazione, la fame, è una conseguenza. Prima
non sei attratta, ma distratta. Quando l'uomo è proiettato fuori, è distratto.
Infatti il Prologo é tutto uno sviluppo: perché le tenebre hanno rifiutato la
luce, allora c'è tutta l'opera esterna di Giovanni Battista che riassume
tutta l'opera esterna di Dio (per cui c'è l'opera di Dio interna e c'è
l'opera di Dio esterna), la quale ci delude (ecco la testimonianza che un’altra
è la Luce!) e ci ammonisce: “Rientra in te, perché la Luce vera è dentro di
te”. Se noi rientriamo in noi e ascoltiamo il Verbo interiore, cioè la voce
del Padre (perché dentro di noi è il Padre che parla, è il Padre che dice
il Verbo, la Parola), allora siamo attratti da Lui.
Gesù dice: “Chi ha
ascoltato il Padre viene a Me” e dice anche: “Nessuno può venire a
Me se non è attratto dal Padre” (Gv 6,45.44). Quindi ascoltando il Padre si
è attratti e quando si è attratti, cioè quando si ha fame di Dio, si desidera
conoscere Dio, si desidera sentir parlare di Dio, ecc..
Per cui la nostra anima
incomincia a supplicare: “Parlateci di Dio, abbiamo bisogno di incontrare
Qualcuno che ci faccia conoscere Dio!”. E allora quando la nostra anima
incontra il Cristo Lo può identificare, proprio grazie alla fame che abbiamo di
Dio: riconosciamo che Lui è il Pane che risponde alla nostra fame. Infatti non
tutti quelli che incontrarono il Cristo riconobbero in Lui Colui che parlava a
loro; non tutti riconobbero in Lui che Lui era il Pane che rispondeva alla loro
fame! Non tutti! Come mai? Alcuni invece L'hanno crocifisso.
Lo poterono riconoscere
soltanto coloro che erano attratti dal Padre. E come mai erano attratti dal
Padre questi e non gli altri? Ecco l’importanza della preparazione interiore,
della formazione di questa fame! Fame di- è attrazione per-. Ecco la fame!
Pinuccia B.: Quindi ci vuole l'ascolto per essere attratti!
Luigi: Certo, ci vuole l’ascolto del Verbo
interiore per essere attratti; bisogna metterlo in alto dentro di noi.
Coloro che hanno ascoltato il Padre, quindi coloro che hanno fatto la giustizia
principale dentro il loro cuore, dentro la loro anima, che hanno messo Dio
prima di tutto, vengono a Gesù e possono seguirlo. “Quanti hanno ascoltato
il Padre, vengono a Me e Io non respingo nessuno di coloro che il Padre mi
manda” (Gv 6,37). Non respinge nessuno, perché Lui è venuto per
raccogliere!
Se siamo convinti della
necessità di questa preparazione interiore, possiamo allora capire gli ultimi due punti.
9° PUNTO: "E il Verbo si è fatto carne”: ecco
la Luce tra noi!
Quando c'è la fame, Dio
manda il Pane; il Verbo Dio si è fatto carne, é venuto tra noi. È il Padre che
ci dà il Verbo. Quando siamo attratti da Dio, abbiamo la possibilità di
riconoscere il Verbo di Dio fatto carne: la salvezza di Dio, la Via per
giungere a conoscere il Padre. Infatti Egli stesso dice: “Nessuno viene al
Padre se non per mezzo di Me”. E anche di questo dobbiamo essere ben
convinti, per non girare a vuoto! Solo Lui ci può far conoscere il Padre e
quindi condurci alla Meta. E giungiamo allora all’ultimo punto:
10° PUNTO: "E noi abbiamo contemplato la sua
gloria”. Siamo chiamati a contemplare la Luce.
Tutti siamo chiamati a
contemplare la Gloria del Verbo: “…e il Verbo si fatto carne e abitò fra
noi”, proprio per condurci a questa Meta. È Lui che ci conduce a vedere la
Sua Gloria di Unigenito del Padre. È Lui che ci conduce, cioè, alla nostra
Pentecoste, a ricevere lo Spirito Santo, Spirito di Presenza del Padre e del
Figlio, conoscenza del loro rapporto.
È solo Cristo, il Verbo
Incarnato che ci conduce a questa Meta. Come? Facendoci conoscere il Padre,
perché é solo nel Padre e dal Padre che la possiamo vedere.
Vedere la Gloria di Gesù
è conoscere chi è Gesù: “la Gloria che Io ebbi presso di Te prima che il
mondo fosse” (Gv 17,5).
Siamo tutti convinti
della Meta a cui siamo chiamati?
È la convinzione sulla
Meta che sostiene e sprona il nostro cammino, soprattutto nei momenti più
difficili. Ma questa convinzione è Cristo che ce la forma nella misura in cui
noi ci fermiamo con Lui per assimilare le sue Parole.
E così, partendo
dall’annuncio della prima luce (Dio Creatore di tutto) fino all’annuncio della
nostra chiamata a contemplare la Luce eterna (contemplazione della Gloria del
Verbo) questi 10 punti fermi del Prologo ci hanno evidenziato le tappe
essenziali per il pensiero che cerca Dio, cioè le convinzioni che Dio vuole formare nell'anima che vuole conoscere
la Verità.
Sono punti luce che
compendiano in modo incisivo tutto il messaggio del Prologo, offrendocene una
visione d’insieme. Debbono però diventare delle ferme convinzioni in noi, di
modo che il Principio diventi nostro Fine, perché solo così ci sarà dato dal
Signore di sintetizzarle e unificarle a poco a poco in una sola, che diventerà
in noi desiderio consapevole di ciò che vuole: ricevere lo Spirito Santo!
Cristo è risorto: questo
annuncio che ogni anno si ripete nel mondo per noi fino all'ultimo giorno della
nostra vita, vuole dirci che vi è una Pasqua attraverso la quale ognuno di noi
deve passare, poiché quello che avvenne allora, quello che nella nostra vita è
annunciato ogni anno, avviene ogni giorno, è sempre avvenuto dal primo giorno
della creazione. Né può essere altrimenti, perché tutto è opera di Dio.
In Cristo, primogenito
fra tutte le creature, si rivela ciò che è scritto in tutte le cose affinché
ogni uomo intenda il mistero nascosto nel mondo.
Così in tutte le cose che
furono, che sono e che saranno, essendo scritta la nostra Pasqua, è scritta la
Sua risurrezione.
Che Cristo sia risorto,
ce lo dicono non solo coloro che Lo videro e Gli parlarono e Lo toccarono (e la
loro testimonianza è vincolante per la nostra coscienza perché nel regno della
Verità la testimonianza di uno vale la testimonianza di tutti), ma ce lo dice
la sua tomba vuota; un vuoto che nessuno più è riuscito a colmare, che anzi si
dilata sempre più col passare della nostra vita; ce lo dicono tutte le cose:
anche la stessa nostra anima. Da ultimo, riservata per il nostro secolo così
pieno di terra, ce lo dice la Sua Sindone.
Ma gli uomini non credono
a ciò che si dice: vorrebbero toccare con le loro mani, misurare con i loro
metri, scrutare con le loro lanterne le opere di Dio. Non è possibile. Non
siamo noi la misura della Verità; piuttosto siamo noi che dobbiamo sottoporci
alla Verità.
E perché dovremmo
rifiutare ciò che non entra nei nostri schemi? Perché rifiutare ciò che non
comprendiamo? È solo accogliendo ciò che non si comprende che si può giungere a
comprendere ciò che non si comprende. «Per ora lascia fare, accetta; capirai
poi dopo».
O forse perché Dio ha
sottoposto a noi qualcosa, per darci la possibilità di fare qualche passo, il
nostro orgoglio vorrebbe ora estrapolare su tutto sottoponendo tutto a sé e
rifiutando ciò che non può sottoporsi? In questo modo non è possibile giungere
alla Verità; non possiamo nemmeno capire il mistero di Pasqua.
Se prima di Pasqua la
Realtà si è sottoposta all’uomo, fu per salvare l'uomo; ma dopo Pasqua è l'uomo
che si deve sottoporre alla Realtà.
Se prima di Pasqua la
Verità di Dio si offriva all'uomo, dopo è l'uomo che si deve offrire alla
Verità di Dio: condizione questa essenziale per giungere a vederla.
Con Pasqua avviene quindi
un capovolgimento: ma il cammino della nostra vita non è ancora concluso. Esso
giunge infatti con Pasqua sugli estremi orizzonti del mondo materiale e si lancia
al di là di porte invisibili: si disancora dal mondo che non è vita per
orientare la ricerca delle nostre anime a ciò che è vita vera; per dirci: “Non
cercate più la vostra vita fra cose che sono morte, perché la vostra vita è
presso Dio e dovete cercarla là se volete trovarla”.
Così la strada che
conduce alla sorgente della Vita ed alla Verità, con Pasqua prosegue al di là
delle cose che si vedono; e quando crediamo che tutto sia finito, concluso,
proprio allora scopriamo con sorpresa che un nuovo e più meraviglioso tratto di
strada si offre ai nostri occhi e ci impegna a camminare ancora dietro una
Presenza che il mondo non può più vedere, ma ogni uomo sì.
Il cammino diventa cioè
personale: una strada d'amore; un colloquio sempre più intimo e diretto.
Se la Verità di Dio è
annunciata a tutti, ad essa però non si giunge se non attraverso questo impegno
personale su questa strada che va dalle cose della vita alle parole di Dio,
dalle parole di Dio a Cristo e da Cristo al Padre: né ci si deve fermare fino a
tanto che non si sia giunti qui.
L'uomo è fatto per
camminare su tali sentieri e solo su di questi la sua vita acquista senso,
valore, gioia.
Nessuno dica che per lui
ormai è troppo tardi, perché l'amore, quando c'è, sa fare miracoli. Ce l'ha
confermato Cristo stesso nell'ultimo atto della sua vita terrena, facendo
entrare nel suo Cielo quel pover’uomo ch'era crocifisso con Lui sul Calvario e
che all'ultimo L'aveva guardato affidandosi a Lui: “Ricordati di me quando
sarai nel tuo Regno!”. Oh! è sufficiente uno sguardo per cancellare abissi di
tenebre e di colpe e trasformarli in un mare di luce e d'amore che tutto
abbraccia.
Ma non si può giungere
alla Verità di Dio se non attraverso questo sguardo di fede, questa dedizione,
questo amore; un amore che la croce del mondo rende maturo e forte tanto da
comprendere l'Amore di Dio. Così il linguaggio del Dio che si rivela (il tempo
della nostra vita è l'avvicinarsi della Sua Verità che scende in noi giorno per
giorno) diventa il linguaggio dell'amore e Dio è amore. Un amore esigente,
implacabile, perché è Verità.
Il linguaggio dell'amore
è un linguaggio di un'esigenza crescente e lo intende solo chi ama. Chi non ama
non può intenderlo e lo scambia per dovere, sacrificio, umiliazione e peso
sempre più insopportabile, mentre è costretto a vagare tra una cosa e l'altra
sempre alla ricerca di un amore facile, sempre più sospinto e sempre più
respinto da una contraddizione all'altra, perché Dio non è dovere, non è legge:
è amore. L'insopportabilità è il segno che Dio ci dà per dirci che siamo fuori
dell'amore.
Dopo Pasqua si vive qui,
in queste esigenze, in cui intendono qualcosa solo coloro che hanno imparato
con Cristo ad amare Dio più di se stessi e dei loro interessi e del loro mondo:
uomini giunti ad un amore maturo, coscienti del loro destino ed impegnati a
viverlo pienamente. Per tutti gli altri il mistero di Cristo nel mondo si ferma
alla sua morte, cosa che essi tendono e si sforzano di far rientrare nella loro
scienza, nella loro mentalità, nella loro psicologia.
Ma il mistero di Dio non
può entrare nella mentalità del mondo, come il mare non può entrare nel
secchiello di un bambino che giochi sulla spiaggia.
Per questo il Verbo di
Dio incarnandosi ha rivelato tra noi l'amore di Dio prima della Sua Verità, ed
era necessario. Ma dopo la sua Risurrezione incomincia a rivelare la Sua Verità
e quindi ad affermare le esigenze del suo amore: ed è necessario, per salvare
l'uomo.
Ora quanti seguono Cristo
con tutta la loro attenzione anche e soprattutto al di là delle cose che
comprendono, vengono da Lui strappati al ciclo della morte eterna, che è
schiavitù alle cose esteriori del mondo ed alla mentalità che ivi regna, e
liberi se ne vanno, seguendo il loro amore, verso il Regno della luce che non
conosce tramonto.
Il tempo dopo Pasqua
incentra tutti i nostri pensieri sulla grande meta per la quale la vita ci è
stata data e nella quale tutti i nostri problemi si sciolgono in luce: lo Spirito
Santo di Dio; Spirito di Verità, Spirito d'Amore, il quale è principio di un
uomo nuovo in noi, il vero. Un uomo, questo, che nasce dallo Spirito, Lo
intende, Lo vede e Lo conosce e cammina nella sua luce.
Lo Spirito Santo di Dio,
è questa la grande promessa, è conoscenza di Dio come Verità: una conoscenza
che il mondo non può dare né intendere (ed è per questo che è necessario un
certo distacco dal mondo, il passaggio); una conoscenza che è amore ed è fonte
di quella gioia e di quella pace tanto sospirate da tutti gli uomini e che
invano sono cercate altrove.
Non è in mano degli
uomini ciò che è in mano di Dio e invano si parla di pace, di unione, di gioia
se non si cerca Dio.
Non sono le molte parole
od il rumore che possono cambiare il mondo; ma chi sinceramente ama il mondo
deve portarsi in alto presso il Padre della luce, perché è solo salendo in alto
e facendo luce in noi che possiamo recare doni di pace agli uomini.
Sorgente di pace e
d'amore è lo Spirito di Verità, questo Regno di luce che non tramonta; dono
riserbato da Dio per coloro che Lo cercano e che nessuno al mondo potrà
togliere a chi l'ha ricevuto; principio di bellezza eterna.
Quando c'è il sole
nell’anima, tutto dentro e fuori di noi diventa bello: anche i vecchi ruderi ed
i cocci inutili mandano luce.
Grandi cose quindi Dio ha
riserbato agli uomini e non dobbiamo stupirci se talvolta sembra ch'Egli forzi
un po’ troppo la mano su di noi e ci stringa troppo da vicino.
Il tempo della nostra
vita passa molto in fretta e le nostre azioni secondo lo spirito del mondo
aumentano rapidamente in progressione geometrica il loro peso ed erigono muri
di prigione attorno alla nostra anima, sì che presto essa non potrà più vedere
il cielo, né respirare.
Proprio per questo Dio
talvolta forza la sua mano e fa pesante il suo richiamo: ha molto a cuore la
nostra vita, e vuole la nostra salvezza Egli che vede la marea di pietre e di
tenebre che sale verso di noi, ignari del rischio grave in cui ci troviamo, e
sa come il vento del tempo scavi nel nostro cuore solchi profondi tra la
materia e lo spirito.
Ogni uomo infatti è posto
tra due attrazioni: Dio e il mondo. Quanto più seguiamo il mondo, tanto più
questo aumenta il peso della sua attrazione fino al punto in cui Dio non attrae
più. L'anima resta soffocata e l'uomo diventa una pura espressione del mondo
materiale. A forza di guardare la terra, perde l'uso delle ali e da aquila
ch'era, fatto per contemplare le azzurre distese dei cieli e le nevi eterne di
monti altissimi, diventa una gallina da cortile.
È per sfuggire a questo
declassamento che apre abissi in cui sprofonda sempre più, che l'uomo deve far
tesoro di Cristo e del suo Vangelo: lezioni che insegnano a camminare fino alla
Verità di Dio.
Ma il dubbio ch'è in
ognuno di noi dice: e non poteva Dio crearci nella sola sua attrazione?
Le due attrazioni in cui
Dio ha posto l'uomo sono la condizione necessaria per dare a questi la
possibilità di essere preso dall'amore di Dio e conoscerlo.
Fintanto che l'uomo ha
qualcosa da sacrificare, ha possibilità di unirsi e fintanto che prova
l'attrazione del mondo, ha un dono posto da Dio stesso nelle sue mani per
entrare nell'amore, testimoniarlo e conoscere Dio.
Verrà un giorno in cui
dappertutto, dentro e fuori di noi, vi sarà una sola attrazione; ma allora non
potremo più accrescere la nostra conoscenza di Dio.
Fintanto quindi che in
noi sentiamo le due attrazioni, il mondo e Dio, abbiamo la possibilità di
aumentare il nostro amore e la nostra conoscenza. Esse sono una cosa molto
buona, ma rappresentano anche un grave rischio: quello cui abbiamo accennato.
Gesù disse: «Io me ne
vado». Se ne andava al Padre.
Era la sua ultima tappa
di viandante nel mondo per raccogliere i figli della luce nell'unità di Dio, affinché
potessero essere tutti una cosa sola.
Se ne andava oltre i
confini del comprensibile, là dove le luci eterne assorbono, trasformano,
trasfigurano le luci terrene.
Se ne andava affinché lo
Spirito di Verità potesse venire in coloro che avevano creduto in Lui,
L'avevano accolto e seguito, e portare a compimento l'opera di Dio.
«È necessario che Io
me ne vada». Tale necessità non è riferita a Lui, ma a noi. «Se non
vado, non può venire in voi lo Spirito di Verità».
E poneva così una
condizione di necessità per giungere alla Verità, quella Verità senza la quale
l'uomo non può essere uomo.
Se Cristo ha posto tale
condizione, dobbiamo fare molta attenzione noi a non sopprimerla con tanta
facilità, come si tende a fare oggi dicendo non essere necessario il distacco,
il silenzio, il raccoglimento nella preghiera e nella contemplazione di Dio,
perché potremmo precluderci l'accesso alla Luce e precluderlo ad altri.
Non c'è né azione
sociale, né azione nel mondo, né scienza della materia che possano supplire
alla ricerca di Dio cui ogni uomo è tenuto.
Il mondo dello spirito
non è curvo come il mondo materiale e non dobbiamo illuderci ed illudere di
giungere all'Oriente camminando verso Occidente.
Gesù se ne andava affinché
noi ce ne andassimo dagli schemi e dalla mentalità di questo nostro vecchio
mondo fatto di esteriorità, mode, egoismi, interessi, ambizioni, culto del
benessere e della figura, un mondo che purtroppo i nostri padri ci hanno
presentato come degno di ogni rispetto e che i giovani oggi stanno buttando in
aria perché, entrati in esso, hanno scoperto che non c'era niente.
Si allontanava dal nostro
mondo, affinché noi ci allontanassimo con Lui da quel luogo in cui Egli non è,
e non può esserci, e Lo cercassimo là dove veramente è: presso il Padre.
Preparava a noi un posto: «Vado a prepararvi un posto».
L'uomo si forma «uomo»
cercando Dio là dove Dio è, e Cristo si allontanava per trasformare tutto
l'uomo in questa ricerca, per farlo più uomo.
Preparava a noi un posto,
«affinché dove sono Io siate anche voi» e «possiate essere tutti una
cosa sola con Dio e tra voi».
Il Signore sta operando
con noi un immenso lavoro di amore, di sapienza e di pazienza di cui noi non
riusciamo a vedere che minime tracce (un lavoro ben più importante e faticoso
della sua creazione dal nulla), per portarci a partecipare alla vera vita.
Noi di tutta la sua opera
intendiamo niente, né vi facciamo caso; continuiamo a discutere tra noi sugli
andamenti delle Borse Valori o sul crescente numero del parco macchine che
restringe sempre più il parco umano (a forza di mettere benessere nelle nostre
case non è rimasto spazio nemmeno più per i vecchi genitori!) e non ci
accorgiamo che lo scenario dell’universo si sta aprendo e nella nostra vita sta
per apparire Dio.
Dio, questo Essere che ci
ha dato l'esistenza e tutto perché imparassimo a vivere da uomini liberi e ad
amare; questo Essere che ci ha amati e continua ad amarci nonostante tutto;
questo Dio che è nostro Padre anche se da noi volutamente ignorato e calpestato
per avere quattro soldi in più, questo Dio sta per apparire nella nostra vita e
farci vedere la sua Verità totale che convincerà il nostro mondo di errore e di
peccato.
Ma prima che la notte
termini e giunga quest'ora di luce che può essere un'ora di addio, insegnaci ad
amare, Signore!
Insegnaci a partire
portando un dono, oh! anche un semplice povero dono qualunque, tra le nostre
mani, per Te.
Insegnaci a non
ripiegarci su noi stessi, sul nostro dolore, sulla nostra paura, sulle nostre
cose passate, ma a guardare avanti verso di Te che stai venendo.
Già il Cielo della nostra
anima accenna alle luci di Pentecoste, e Tu, Signore, ci inviti a seguirti con
la nostra stessa povertà là dove incomincia la Vita.
«Venni dal Padre, disse Gesù, e sono sceso nel mondo; adesso
lascio il mondo e vado al Padre».
Perché venire per poi
lasciare?
Perché nascere se poi si
deve morire?
Perché tanti incontri se
poi ci si deve dire addio?
Le cose vengono a noi per
annunciarci Dio, per ricordarcelo, per parlarci di Lui, per aiutarci a
conoscerlo. Le cose visibili si presentano a noi per suscitare in noi il
desiderio e la ricerca di quelle invisibili.
Così Gesù venne tra noi
per parlarci del Padre che non vediamo, che non possiamo vedere da soli, ma che
pur è l'unica cosa necessaria vedere perché è la vera fonte dell'unità e della
conoscenza, la Sorgente di ogni luce.
Dapprima ci parlò di Lui
per mezzo di parabole: infatti i nostri orecchi non erano capaci d'intendere
altro linguaggio ed i nostri occhi erano malati tanto da non poter vedere altro
che le cose materiali e corporee.
Ma parlandoci in parabole
curava i nostri occhi e guariva i nostri orecchi e li preparava a vedere e ad
intendere apertamente il Padre.
Per questo, quando i suoi
apostoli, in cui è rappresentata tutta l'umanità e quindi ognuno di noi, furono
maturi per intendere, disse: «Viene l'ora in cui vi parlerò apertamente del
Padre».
Terminava così la sua
missione terrestre ed iniziava quella celeste, interiore. Era giunta la sua ora
di salire al Cielo, non per Lui, ma per noi.
Salendo in alto portava
con Sé il cuore del mondo e nella sua Ascensione vi era già la nostra.
Aveva lasciato nei cuori
una promessa e seminato una speranza: «Mi vedrete di nuovo. Vedrete Dio!».
Una promessa ed una
speranza che sono scritte in tutte le cose e anche dentro di noi stessi, perché
il Verbo di Dio che si è rivelato in Cristo, è lo stesso che opera in tutto.
Per cui rifiutare Cristo è non solo rifiutare Lui, ma tutte le creature, tutto
l'universo e la nostra stessa vita.
Tutto ci annuncia con
Cristo che viene un'ora nella nostra vita in cui Dio si manifesta. Quella è
un'ora in cui tutto in noi fa silenzio; più nessuno parla e noi siamo, soli, di
fronte a Dio. Oh! Non è necessario morire per giungere a questo! È un'ora che
dobbiamo aspettare e preparare in noi.
Così la vita si svela
come ascensione di cosa in cosa, di parabola in parabola, fino a quell'estremo
orizzonte oltre il quale c'è solo più il Pensiero puro di Dio. Vi è una
Pentecoste interiore che attende ognuno di noi. «Viene l'ora - dice Gesù
- in cui non vi parlerò più in parabole, ma apertamente vi parlerò del Padre
e ve Lo farò conoscere».
Dio ha fatto e fa ogni cosa
per farci giungere qui, in questo luogo, e creandoci ha predisposto ogni cosa,
anche il nostro cuore e la nostra mente, per tale ascensione.
Così salendo in alto
portiamo in tutto l'universo la gioia dell'incontro in noi con Dio e il
compimento dell'aspirazione di tutte le cose.
È solo salendo in alto
che percorriamo tutte le regioni della terra, questa opera di Dio disposta per
i nostri passi verso di Lui, questa scala di Giacobbe che sale verso il Cielo e
che noi dobbiamo imparare a salire se vogliamo giungere al nostro fine.
Salendo di gradino in
gradino su questa, facciamo progredire in noi tutte le cose fino al loro
compimento in Dio; per cui nella nostra ascensione vi è il canto di gioia di
tutte le creature, e della nostra stessa vita, che vengono condotte in noi al
loro fine.
Più saliamo in alto
presso Dio e più l'universo con tutte le sue creature canta in noi la gioia di
esistere e di vivere.
(Dal libro “PENSIERI SU
Dio” -
Ed. T.E.C. - di Luigi Bracco,
dalla pag. 112 alla pag. 126)
LA CAPACITA’ DI RACCOGLIERE DIPENDE DA CIO’ CHE SI È
RACCOLTO
Vivere è avere la
possibilità di assimilare. La possibilità di assimilare viene dall'essere
dentro. Si è dentro in quanto si è trovato il Principio che giustifica ciò che
siamo.
Tutto viene a noi da Dio
e tutto quindi giunge a noi per darci la possibilità di raccogliere in Dio, di
comunicare con Lui e di vivere. Per questo dobbiamo cercare in tutto il
Pensiero di Dio. Questo Pensiero è in noi, ma non raccoglie in noi senza di
noi: richiede la nostra partecipazione personale. Non è opera nostra, ma non si
rivela a noi senza di noi.
Il cercare in tutto ciò
che giunge a noi il Pensiero di Dio, il Verbo, è vita interiore. Questo è
interiorizzare, è pregare, è partecipare a ciò che Dio è. È un fiume di vita.
Un fiume, quanto più ha acqua, tanto più feconda le regioni; così, quanto più
abbiamo raccolto nel Pensiero di Dio, tanto più la nostra vita diventa feconda,
cioè noi diventiamo capaci di assimilare.
«Dal seno dì chi crede in
Me - dice Gesù – scaturiranno
fiumi di acqua viva»
Come pensare è collegare
ogni cosa con un principio, una causa, così vivere interiormente è collegare
ogni cosa con il Principio, con il Verbo, il Pensiero di Dio. «In principio
era il Verbo». Senza questo collegamento non vi è interiorizzazione di ciò
che giunge a noi; e senza questa interiorizzazione si perde il contatto con la
Sorgente: allora tutto in noi necessariamente va verso l'inaridimento,
l'esaurimento. Nessun fiume può mantenere le sue acque se viene separato dalla
sua sorgente. Anche la nostra vita è un fiume.
I fiumi dello Spirito
sgorgano dal «seno di chi crede», cioè dalla vita interiore. Questa sta
nel rapportare ogni cosa, ogni Parola al Pensiero di Dio presente in noi; sta
nel sottomettere tutto al Pensiero di Dio.
Ciò che noi non
riportiamo a Dio, ci disunisce da Dio: ciò che nascondiamo a Dio, nasconde Dio
a noi e rimaniamo soli: per questo esperimentiamo la solitudine. È un effetto
di ciò che in noi è rimasto incompiuto rispetto a Dio.
Si vive interiormente in
quanto si cerca il Pensiero di Dio in tutto ciò che arriva a noi. È qui che si
glorifica Dio.
«Vi lascio la pace, vi dò
la mia pace, non come la dà il mondo», dice Gesù, il quale oppone la sua pace alla pace del mondo. La sua pace
sta nella grazia di poter vedere la mano del Padre in tutti gli avvenimenti,
anche nei più sconcertanti, e nel non essere costretti dai nostri sentimenti e
dalla povertà delle nostre conoscenze a vedere in tutto l'opera del caso, della
natura, degli uomini, attribuendo a questi ciò che invece è di Dio. In realtà
Dio è il Creatore di tutte le cose, quindi è il Protagonista di tutto ciò che
esiste e di tutto ciò che accade.
Trovare Dio è trovare la
Verità, e trovare la Verità è trovare la sicurezza, la libertà, la pace. Mentre
nella vita esteriore si glorifica l'uomo, poiché l’uomo è posto come centro e
tutto si riferisce a lui, nella vita interiore si glorifica Dio in modo
autentico in quanto si riporta tutto a Dio come al suo vero principio. L'autenticità
si trova solo nella vita interiore.
Vivendo interiormente
avviene quindi un capovolgimento, una ritraduzione: riportando tutto a Dio come
centro, si annullano in noi tutti i valori del mondo che hanno l'uomo come
centro: si capovolge la nostra mentalità. Qui si evidenzia ciò cui dobbiamo
rivolgere tutto il nostro impegno.
Nella vita c'è una cosa
sola in cui bisogna avere fretta e per cui bisogna trovare tempo,
disponibilità, sottomettendo ogni cosa: conoscere Dio. Tutto il resto si può
lasciar correre. «Ancora per poco la luce è con voi. - dice Gesù - Camminate
fintanto che la luce è con voi, affinché le tenebre non vi sorprendano». Vi
è questa transitorietà, vi è questo rischio, e vi è questa urgenza. È l'urgenza
di dare una certezza e una stabilità interiori ai nostri pensieri e quindi alla
nostra vita. Ogni giorno che passa senza vita interiore, senza glorificare Dio
dentro di noi, aggrava in noi il peso della notte.
L'uomo ha bisogno della
luce dello Spirito per pensare, per parlare, per vivere. «Chi cammina nella
notte inciampa e cade», dice Gesù.
L'uomo ha bisogno della conoscenza della Verità. Tutto in lui, la stessa
libertà di pensiero e di scelta, è condizionato dalla conoscenza. Non gli basta
l'istinto, il sentimento, l'intuizione.
È un gran giorno per noi
quando scopriamo che Dio è veramente presente in noi, poiché questo segna
l'inizio della vita interiore, quella vera.
La conoscenza della
Verità viene dalla glorificazione di Dio in noi, e quindi non avviene senza di
noi. Essa è promessa a tutti, ma richiede dedizione, impegno. «Sforzatevi di
entrare», dice Gesù.
Vi sono cose che arrivano
a noi senza di noi, e vi sono cose che non arrivano a noi senza di noi. L'annuncio
di Dio e del suo Regno è per tutti e giunge a tutti, buoni e cattivi, umili e
superbi, poveri e ricchi, ignoranti e scienziati, poiché Dio fa splendere il
suo sole sui buoni e sui cattivi e manda la sua pioggia sui giusti e sugli
ingiusti. L'annuncio di Dio arriva a noi
senza di noi; e in quanto arriva a noi senza di noi non può essere smentito da
noi.
Ma ciò che è annunciato,
viene dato solo a chi lo sa apprezzare per ciò che esso vale. Agli altri rimane
il segno, la lettera, il velo, non lo Spirito.
Tutto è opera di Dio
perché uno solo è il Creatore che opera tutto in tutti, e tutto è misericordia
e amore perché l'opera di Dio è rivolta pazientemente a salvare ogni uomo ed a
condurlo a cercare ed a conoscere la Verità.
Ma se l'annuncio della Verità
arriva a noi senza di noi, ed è opera della creazione di Dio, la conoscenza
della Verità non viene in noi senza di noi, senza la dedizione da parte nostra
a conoscere quel Dio che si annuncia a noi in tutto.
Qui, in questa dedizione
personale a ciò che ci viene annunciato perché venga inteso nel suo Principio,
sta la vita interiore.
IL SENSO IN NOI DELLA IRREVERSIBILITA’ DEL TEMPO
Si cammina a senso unico:
il tempo passa a senso unico, la vita passa a senso unico e non si può tornare
indietro; anche gli annunci e le proposte di Dio che giungono a noi, giungono a
senso unico. Tutto ciò che giunge a noi è soggetto al tempo, e il tempo è
irreversibile. Come ogni cosa giunge a
noi, subito è già passata e non può essere trattenuta. Non si può trattenere l'istante
che passa.
Eppure proprio in
quell'istante in cui una parola, una cosa giunge a noi e passa, succede un
fatto di una portata immensa per noi: il nostro giudizio, la nostra
valutazione. Tutto viene da noi stimato, valutato, pesato. Succede comunque e
per qualunque cosa.
Questo è un fatto di una
portata enorme poiché saremo giudicati dai nostri giudizi, saremo valutati
dalle valutazioni che avremo fatto di ciò che giungeva a noi. Già oggi siamo
giudicati dai nostri giudizi, siamo valutati dalle valutazioni e dalle scelte
che facciamo. Diventiamo infatti figli delle nostre opere. Gesù dice: «Sarete
giudicati secondo lo stesso giudizio col quale avrete giudicato; sarete
misurati con la stessa misura con la quale avrete misurato».
Poiché ciò che giunge a
noi giunge a senso unico, niente è indifferente, niente è rinviabile. Tutto ciò
che giunge a noi provoca comunque da noi e in noi una valutazione e una scelta:
ci chiede un posto nella nostra vita. Noi scegliamo anche quando rifiutiamo di
scegliere.
Creato per nutrirsi della
Verità, l'uomo invece rivolge tutto il suo interesse e le sue scelte ai cibi
terreni e trascura di occuparsi di Dio: per questo è profondamente infelice:
non trova il cibo per la sua vita e la sua vita ne soffre. La sua infelicità rivela
il suo errore nella valutazione di ciò che gli è stato proposto per essere
felice.
Tutto giunge a noi per
sollecitarci a dare a Dio ciò che è di Dio, a conoscere la sua Verità e quindi
a glorificarlo.
Riconoscere la Verità di
Dio, cercare il suo Pensiero, il suo Verbo in tutto, cercare di conoscere Dio
perché questa è la sua volontà e perché questo è un atto di giustizia, è
glorificare Dio nei nostri cuori. E
siccome tutto dipende dalla valutazione che diamo in noi a ciò che giunge a
noi, ne deriva che ogni giorno segna o un nostro avvicinamento alla Verità di
Dio o un nostro allontanamento, e questo avviene anche se non ne siamo
consapevoli.
Ciò che non è da noi
raccolto in Dio - e non può essere raccolto senza di noi, senza la dedizione
del nostro pensiero a Dio - diventa in noi e per noi motivo di allontanamento
da Dio. Ciò che non è raccolto, ci disperde. Niente di ciò che arriva a noi
lascia indifferente la nostra anima: o la aggrava o la alleggerisce, o l'aiuta
a guarire o peggiora la sua malattia, o la libera o la rende più schiava. Si va
verso situazioni di irreversibilità: o tutta luce o tutta notte, o tutta
inquietudine o tutta pace, o diventa in noi eterno Colui che è, o diventa in
noi eterno solo ciò che è stato e che non è più. Ogni giorno che passa ci fa
crescere in questa eternità in un senso o nell'altro. Di qui l'urgenza di
glorificare Dio in noi.
Nella transitorietà delle
cose a senso unico vi è la grazia per glorificare Dio nei nostri cuori, ma vi è
anche l'urgenza di tale glorificazione, poiché se non glorifichiamo Dio,
necessariamente glorifichiamo il mondo, gli uomini, il nostro io. «Affrettatevi
a conoscere il Signore!». È l'urgenza di glorificare Dio dentro di noi, di
raccogliere ogni cosa con il Pensiero di Dio, nel Pensiero di Dio, di conoscere
Dio. «Gesù, - pregava suor Faustina Kowalska, l'apostola polacca della Divina
Misericordia - dammi intelligenza e intelligenza grande, unicamente perché
possa meglio conoscerti, perché più Ti conoscerò e più ardentemente Ti amerò.
Ti chiedo un'intelligenza capace di comprendere le cose di Dio, anche quelle
più sublimi. Dammi un'intelligenza grande per mezzo della quale possa conoscere
la tua Essenza Divina e tua Triplice Vita».
La ricerca e la
conoscenza di Dio è un fatto che non si può rinviare senza un danno attuale per
noi. «Chi con Me non raccoglie, disperde», dice Gesù, quel Verbo di Dio
che è con noi per raccoglierci in Dio.
Ciò che non raccogliamo, ci disperde. Ciò che non portiamo in Dio, ci
porta lontano da Dio, molto lontano, poiché ci priva sempre più della capacità
di portare le cose di Dio: ci priva della fede, dell'amore, della disponibilità
di tempo interiore per Dio, della memoria di Dio. Allora, al posto della fede
in Dio subentra crescente la fede negli uomini, nella natura, nella cultura,
fino alla delusione finale.
Ma ciò che non raccolto
in Dio è di ostacolo, raccolto nella luce di Dio diventa trampolino e sostegno.
Se tutto ciò che giunge a noi viene in noi riportato in Dio, nessuna cosa
esteriore impedisce di vivere con Dio. Allora tutto, anche le cose passate,
diventa motivo di dialogo in noi con Dio, motivo di preghiera, e ci sollecita
ad una più profonda conoscenza della Verità. Qui possiamo capire come il
perdono di Dio sia più grande dei nostri peccati.
(Dal libro “BREVIARIO DI
VITA INTERIORE” ed Gribaudi, di Luigi Bracco dalla pag. 34 a pag. 42)
Riassunto incontro 19, Gv 1,1-14-II
(Domenica 17.10.1999) Le cinque scene
del Prologo
Nel Prologo di Giovanni
ci viene presentato il cammino da percorrere, se vogliamo giungere a conoscere
Dio. Possiamo suddividere il Prologo in cinque grandi scene:
- Prima scena: vv. 1-5: “In principio era il Verbo… In
Lui era la vita e la vita era la Luce degli uomini. La luce risplende nelle
tenebre, ma le tenebre non la compresero”. Qui abbiamo la
presentazione di ciò che era in
Principio: il Verbo. Ci viene annunciato che in Lui è tutta la nostra vita
affinché recuperiamo quel Principio che è a fondamento del nostro esistere,
quel Principio che parlando con noi in tutto fa essere il nostro io e ci fa
prendere coscienza di esistere (infatti noi siamo fatti in coppia con Dio).
L’autonomia da Dio è effetto di ignoranza del Principio creatore e generatore
del suo Pensiero in noi.
Dio parla a creature che
si sono allontanate dal loro Principio, per cui esperimentano la morte. È per
questo dice “era”, perché per noi il Principio non è più il Verbo. Il
nostro principio è ciò per cui viviamo, e quindi è ciò che determina il nostro
pensare, il nostro parlare, il nostro vivere; sicuramente oggi per noi non è
più Dio, per cui se la vera vita è in Dio, è normale che i fini per cui viviamo
ci conducano a morire; ma in principio non era così. Ci viene annunciato il
principio di vita (“in Lui era la
Vita…”) affinché lo recuperiamo. Se la nostra vita sta lì, bisogna
trascurare tutto il resto e smettere di cercare la vita altrove. Ecco
l’annuncio di questa prima scena del Prologo ci invita a far ritorno alla Luce
che splende nelle nostre tenebre.
Evidentemente a noi
creature non fu sufficiente che la Verità si annunciasse. Infatti successe che:
“le tenebre non compresero”. Sarà necessario quindi una lunga opera di
recupero da parte di Dio, opera che si concluderà con il Cristo che ci recupererà là dove ci siamo
dispersi.
- Seconda scena: vv. 6-8: “Vi fu un uomo mandato da Dio,
il cui nome era Giovanni. Non era Lui la Luce… ma venne per rendere
testimonianza alla Luce”. Incomincia così l’azione di recupero da parte di
Dio: Dio opera nel mondo esteriore per rendere testimonianza alla Luce: in
Giovanni Battista che dice: “io non sono la Luce”, ed è la testimonianza
di ogni creatura, c’è la sintesi di tutte le lezioni attraverso cui Dio ci fa
toccare con mano che il mondo esterno per il quale noi viviamo non ci può dare vita, non soddisfa
il nostro bisogno di Assoluto.
Attraverso le esperienze
della vita, Dio ci convince a desistere dal cercare la vita, la luce, la verità
nel mondo esterno. Infatti tutte le creature in un modo o nell’altro, con il
loro mutare e morire ci dicono: “Noi non siamo Dio, un Altro è Dio e quindi
è giusto cercarlo e metterlo al centro della tua vita, dei tuoi pensieri e
interessi”.
- Terza scena: vv. 9-13: “Luce vera è quella che illumina ogni uomo
che viene in questo mondo. A tutti quelli che L’accolgono diede potere di
divenire figli di Dio…”. Qui ci viene detto dov’è e qual è la Luce vera: è
dentro di te. Ma per scoprirla, è necessario ascoltare il messaggio delle cose
che, passando, ti sollecitano a mettere al centro Colui che non passa, a fare
cioè la giustizia essenziale e quindi a fare il passaggio dal mondo esterno al
mondo interno. Dio è presente dentro di te, ma nel suo Pensiero. Quindi non
basta entrare nel campo del pensiero e pensare alle cose nostre; bisogna
entrare nel mondo interiore, trascendere i nostri pensieri ed inoltrarci nel
mondo del Pensiero di Dio. Tutto questo esige il distacco dal mondo esterno per
prendere contatto con questa Luce di Dio, il Verbo interiore, il Pensiero di
Dio che parla dentro di noi. Dio dice un’unica Parola: Suo Figlio, rivelazione
del Padre.
Quindi fintanto che non
abbiamo capito la lezione del Battista, noi non ci separiamo dal mondo esterno
e cerchiamo la vita e la comprensione dalle creature, per cui non possiamo
scoprire ed accogliere la Luce vera che splende in noi. Sarà poi questa Luce
che, se è da noi accolta, formerà in noi l’attrazione per Dio, la convinzione
che i figli di Dio nascono solo da Dio e quindi il bisogno di un Aiuto dal
Cielo, e sarà questa dimensione interiore che ci farà riconoscere il Verbo
incarnato che ci darà la possibilità di diventare figli di Dio.
- Quarta scena: v. 14/a: “Il Verbo si è fatto carne, e
abitò tra noi”. È il Pane, la risposta alla fame che si è formata in noi.
La condizione per riconoscerlo è quella di aver fame; ma la fame è conseguenza di aver fatto la giustizia
essenziale e di aver accolto la Luce vera che splende in noi, passando cioè dal
mondo esterno al mondo interno. La creatura che, avendo ascoltato questa Luce,
ha formato in sé la fame di Dio, può individuare il Verbo di Dio fatto carne e
quindi può seguirlo. Seguendolo siamo condotti da Lui all’incontro con il
Padre, cioè su quella Vetta da cui si vede la gloria di Dio.
E si apre così la quinta
ed ultima scena.
- Quinta scena: v. 14/b: “e noi abbiamo contemplato la
sua gloria, gloria che un tale Figlio riceve da un tale Padre…”.Seguendo il
Verbo incarnato siamo condotti a contemplare la Verità del Padre presente in
noi come Principio, Principio che ci era annunciato già all’inizio del Prologo ma che noi non
vedevamo più, avendo in noi altri principi. Per condurci a questa Meta è
necessario che Cristo formi in noi la capacità di sostare nel Pensiero del
Padre, poiché è il Padre che ci rivela la Gloria del Figlio.
Cristo è il Maestro che ci
conduce alla Sorgente e poi se ne va, affinché possiamo bere direttamente alla
Fonte da cui anche il Figlio beve. Ci porta cioè ad un rapporto personale con
il Padre, perché soltanto se ci
impegniamo personalmente in esso possiamo ricevere quello che il Figlio riceve
dal Padre: l’Essere del Padre. È una scoperta personale ed incomunicabile,
tant’è vero che nemmeno Cristo ce la può dare, anzi è necessario che la sua
presenza fisica se ne vada, altrimenti non possiamo ricevere lo Spirito, non
possiamo giungere a vedere la sua Gloria. Questa scoperta è un nome personale
che ci fa fratelli del Cristo, figli del Padre: figli adottivi, perché il Figlio naturale è Uno solo. Noi siamo
creature chiamate a ricevere il nome di figli dal Padre, attraverso il Figlio.
Queste sono le cinque
scene del Prologo che rappresentano le tappe di un lungo cammino che non si
realizza senza di noi. Siamo chiamati
alla Vita eterna, a fare una cosa sola con il Figlio, a diventare figli
del Padre come il Figlio, a contemplare cioè la sua Gloria. Ma noi in che cosa ci
impegniamo, a cosa ci dedichiamo?
Riassunto incontro 20, Gv 1,1-14-III (Domenica
31.10.1998) I primi 3 punti fermi del Prologo
Dopo aver visto le tappe
del cammino verso la conoscenza di Dio, tappe rappresentate in quelle cinque grandi scene di cui si è parlato la
volta scorsa, vediamo ora i “punti fermi” cioè le convinzioni che ci debbono
sostenere per camminare fino alla meta.
Ne individuiamo dieci, ma
per ora ne vediamo i primi tre che
costituiscono il fondamento e la verifica della vera fede:
·“Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”.
·“Senza di Lui è fatto niente tutto ciò che è
fatto”.
·“In Lui era la vita e la vita era la luce
degli uomini”.
1° punto: “Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui”: la prima convinzione sulla quale deve
poggiare il nostro cammino spirituale è che tutto è opera di Dio. Per essere un
punto fermo su cui sostenerci dobbiamo esserne convinti, senza ombra di dubbio.
Tutto ciò che esiste e
tutto ciò che accade è opera di Dio: Egli è il Creatore di tutto, fuori e
dentro di noi, ieri, oggi, sempre. È opera Sua anche quello che esteriormente è
male (delitti, la guerra, terremoti, ecc.),
ma non il male interiore, cioè il distacco da Dio: questo Dio non lo
vuole; anzi, tutti gli altri mali esteriori
sono opera Sua per
recuperarci e liberarci dal vero male.
Nella creazione è Dio che
opera, non siamo noi: “Il filo d’erba è un Altro che l’ha fatto! Accogli
l’Altro!”. Noi nasciamo in un “già fatto”, in un “pensato per noi”, in quanto
tutto è stato fatto in vista di noi. Noi siamo in casa d’altri: dobbiamo allora
riconoscere il Proprietario. Questo è l’atto di fede fondamentale, basilare. Se
siamo convinti di questo, allora anche se per debolezza avviene una frattura
tra la convinzione e la pratica, si ha la possibilità, riflettendo, di
ricrederci. Ma anche nella nostra debolezza dobbiamo vedere la mano di Dio,
perché anche questa ha un significato
per la nostra formazione spirituale. Il popolo ebreo riferiva sempre tutto a
Dio, anche le catastrofi legate a fatti naturali, politici, ecc.: e vedevano
queste come richiami di Dio alla conversione.
Se tutto è opera di Dio, la prima conseguenza
logica è questa: tutto va riportato in Dio, perché soltanto in Dio la cosa si illumina.
Se non facciamo questo
lavoro di riferire tutto a Dio, la nostra anima rimane in balìa del mondo,
degli avvenimenti, degli errori o debolezze nostre e degli altri; invece quanto
più ci sforziamo nel riferire le cose a Dio, tanto più acquistiamo possesso del
nostro pensiero, della nostra anima: ci
accorgiamo di poter pensare a Dio e che il nostro pensiero non è più portato
via dalle cose che succedono intorno a noi, perché raccogliendo tutto in Dio,
la nostra anima resta raccolta. Come in tutte le cose, anche nello spirito c’è
una fatica iniziale, perché non si è abituati a riferire tutto a Dio. Ma se uno
è convinto, incomincia andando adagio e
sbagliando fino a riuscire ad andare in fretta senza più sbagliare.
Da parte nostra deve
esserci questo continuo dialogo con Dio e non con le cause seconde, sapendo che
tutto, essendo Dio pura intelligenza,
è finalizzato da Lui alla
maturazione e alla salvezza della nostra anima,
cioè alla conoscenza di Lui, e quindi alla vita eterna.
2° punto:
“Senza di Lui è fatto niente tutto ciò che è fatto”. Una cosa è essere convinti che tutto è opera di Dio, una cosa ancora è
essere convinti che senza di Lui la sua opera diventa niente in noi.
Infatti Dio non è soltanto il Creatore,
ma è anche il Mantenitore, Colui che
mantiene l’esistenza, per cui senza di Lui tutto è ridotto a niente e noi
esperimentiamo la vanificazione di tutto.
Ma siccome tutto è opera Sua, il “senza di Lui” non si verifica
oggettivamente, ma soltanto dentro di noi quando non teniamo conto di Lui;
quindi è solo in noi che riduciamo tutto a niente ed è in noi che si verifica
l’annullamento dei valori.
Per evitare questa
nientificazione in noi di tutte le opere di Dio, non basta accogliere ogni cosa
da Lui come Creatore, ma dobbiamo anche riferire tutto a Lui, per cercare il
suo pensiero e quindi per imparare a pensare,
a parlare, a fare ogni cosa con Lui, poiché è Dio che mantiene valida e
ricca di significato la Sua opera in noi; altrimenti alla fine della vita ci si
accorge di aver lavorato per niente e tutto coopera per dimostrarci che abbiamo
fatto niente.
L’uomo che trascura Dio,
distrugge in se stesso la creazione, annulla e vanifica tutto, anche le
sofferenza dei poveri, dei malati, e, in
termini estremi, annulla anche il sacrificio del Cristo, rende vana la Sua morte.
Poiché Cristo è la sintesi di tutta l’opera di salvezza di Dio, la Sua morte è
la sintesi di tutta la vanificazione che
noi facciamo dell’opera di Dio. La Sua morte ci rivela che è proprio
l’uccisione di Dio in noi che priva di significato le cose, per cui noi
assistiamo alla distruzione di tutto in noi. Quindi tutta l’opera immensa che
Dio ha fatto e fa per ognuno di noi (la creazione dell’universo iniziata
quindici miliardi di anni fa, tutti i fatti storici, l’Antico Testamento, il
Cristo, ecc.), che è finalizzata alla nostra salvezza, se non viene mantenuta
unita a Lui, cioè se il nostro cuore non
si mantiene unito a Lui, viene da noi completamente annullata, perché senza di
Lui tutto ciò che è fatto diventa niente., e noi tocchiamo con mano il niente,
ci accorgiamo che tutto è servito a niente.
È il Pensiero di Dio che
dà significato ad ogni cosa, perché tutto è fatto nel suo Pensiero, per
comunicare a noi il suo Pensiero, ma solo Dio può rivelarci il suo Pensiero se
ogni cosa la leggiamo con Lui, in Lui e da Lui; altrimenti il nostro pensiero
disunito da Dio ha la capacità di annullare
tutta l’opera di Dio, perché se ciò che è fatto non è mantenuto unito a
Dio diventa niente, viene da noi vanificato.
Se la Parola di Dio ci
annuncia questa Verità è per formare in noi la convinzione che è necessario non
disunire niente da Lui, per evitare l’annullamento e la vanificazione di tutto
e quindi la morte. Anche Gesù lo dice: “Senza di Me non potete fare niente”.
Perciò in noi c’è sempre
un lavoro da fare, perché l’unione con Dio non è una cosa naturale. Le cose
arrivano a noi senza di noi, ma richiedono da noi un’opera supplementare che è
l’opera di unione a Dio; quindi non dobbiamo mai fermarle al nostro io, alle
nostre impressioni o sentimenti, ma riportarle sempre a Dio, mantenerle
unite a Dio, perché “…in principio il
Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Bisogna cioè recuperare sempre il
Principio, se è che vogliamo valorizzare le cose e mantenerle valide; altrimenti
i valori decadono, da soli non stanno su.
Siccome tutto è opera di
Dio, tutto ci sollecita a camminare verso Dio. Quindi tutto è buono e valido,
se camminiamo verso Dio, addirittura
anche gli sbagli servono a sospingerci a cercare il Signore, a fare cioè
quel tratto di strada che non si fa senza di noi.
Quindi se la nostra anima
cerca Dio, tutte le creature servono la nostra anima e non le perdiamo, poiché
in Dio si ritroverà tutto ciò che passa, e tutte godono con noi; ma se noi non
raggiungiamo la meta, tutte le creature, che dovevano servire per portarci là,
piangono in noi il nostro fallimento. Allora, se noi non cerchiamo il Signore,
tutte le creature che hanno sofferto per noi, per colpa nostra, e in cima a
tutti c’è il Cristo, nel giudizio ci accuseranno, perché noi le abbiamo reso
inutili in noi con tutti i loro sacrifici
Allora lì capiremo e piangeremo, perché capiremo che tutto era per il
bene nostro, per darci vita e noi, non raccogliendolo in Dio, non ne abbiamo
tenuto conto e l’abbiamo vanificato.
3° punto: “In
Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”: cioè la nostra vita è nella Luce, perché in principio la
vita era nella luce del Verbo di Dio.. Se si forma in noi questa convinzione,
allora noi cerchiamo la Luce prima di tutto e noi esperimentiamo che viviamo in
quanto e per quanto cerchiamo la Luce. Se ne siamo veramente convinti, questo
ci evita di cercare la vita nel mondo, nel denaro, nelle creature, perché
sappiamo che la vita sta nella luce.
Tutte le cose, proprio perché non sono luce, ci sollecitano a cercare la
luce di Dio, il suo Pensiero. Unite a Dio, mandano luce. La luce quindi scatta
nell’avvicinamento dei due poli: il
segno (la parola) e Dio; la parola di Dio va unita a Dio, altrimenti la cosa
resta nelle tenebre e diventa niente in noi. Solo se la cosa è raccolta in Dio
viene illuminata,
Questo punto non è solo
il risvolto positivo di quello precedente, ma è un approfondimento ulteriore,
perché ci fa capire che per evitare l’annullamento delle cose non basta
accogliere da Dio, ma, poiché la vita sta nella luce, bisogna cercare la luce, e la luce è in Dio.
Però la luce non scatta fintanto che non si è arrivati a questa unione
dell’opera con il Creatore.
Soltanto quando arriviamo
al significato della cosa nello Spirito di Dio, giungiamo alla luce; prima no!
La fede non è luce, ma se è vera ci porta a desiderare la luce e quindi a
tenere presenti i due poli, il segno e Dio, e mi sollecita ad avvicinarli; ma
soltanto quando si sono avvicinati scatta la scintilla, cioè la luce che
diventa conoscenza, carità, amore.
Allora la fede vera ci mantiene orientati alla luce, ma con la speranza
di poter arrivare (non per opera nostra, ma per opera di Dio), perché se non
abbiamo la speranza, non cerchiamo la luce. La fede vera ci fa sospirare di
vedere il Volto del Signore. È Dio stesso che ci fa sentire il bisogno (quindi
questo bisogno è una promessa) e Dio stesso ci porterà al compimento
dell’opera.
La nostra vita sta in
questa Luce sospirata, desiderata, invocata, amata, cercata (con la stessa
intensità con cui cerca l’ossigeno chi ha la testa sott’acqua), perché la vita eterna è conoscenza. Ecco
perché Gesù dice: “Chi raccoglie con Me riceve mercede di vita eterna”:
per farci capire che solo raccogliendo con Lui le cose nel Padre riceviamo la
vita che è luce. Cristo è venuto a portare a compimento ciò che in noi è a metà
strada, ma il primo atto di fede, basilare lo dobbiamo fare verso Dio che opera
in tutto. Egli ci porta a capire nel
Padre il significato di ogni cosa, di ogni nostro problema: lì la cosa si
illumina e diventa vita e vita eterna. Ogni cosa perciò va unita ad una parola,
ad una lezione del Cristo, se vogliamo
che sia illuminata dal Pensiero di Dio. Ecco l’importanza di conoscere le sue
Parole! È il desiderio di conoscere Dio che ci fa valorizzare terribilmente il
Cristo, perché Egli viene appunto per raccoglierci nel Padre, cioè nel punto
estremo in cui c’è la pienezza di Luce.
Approfondimento della seconda scena
Ci siamo fermati in
particolare sulla seconda scena, perché senza la giustizia essenziale non si
inizia il cammino spirituale, né lo si può proseguire. In questa seconda
scena vediamo l’opera di recupero da
parte di Dio che, attraverso le lezioni della vita, tende a convincerci che è
giusto mettere Lui al centro e riferire tutto a Lui, facendoci così passare
dall’esterno all’interno. Tutte queste lezioni, che sono voci delle tenebre, si
sintetizzano nel messaggio di Giovanni Battista: sono tenebre che invocano un mattino.
Tutti i Salmi, l’Antico Testamento, le profezie antiche sono un piangere un
bene perduto, un invocare; è la testimonianza delle tenebre. Ogni creatura
denuncia la sua povertà, la sua incapacità a vivere, a capire, a trovare la sua
felicità perché si trova di fronte al muro della morte. L’uomo morendo
testimonia la sua impotenza e che la vita non è a sua disposizione: gli è data,
ma gli viene tolta anche molto presto.
Nelle tenebre si piange perché non si vede la luce, ma l’invocazione
della luce testimonia che esiste la Luce.
Il Battista è il più
grande di tutti i profeti perché arriva a contatto con Cristo che è la Luce del
mondo immerso nelle tenebre (invece il più piccolo nel Regno di Dio è più
grande del Battista perché avendo incontrato il mattino, non parla più del suo
bisogno, ma parla di Dio, vive con Dio, è nato da Dio). Giovanni Battista
rappresenta la voce delle tenebre. Le
tenebre non sono peccato.
Il peccato c’è quando le
tenebre ritengono di essere luce e
quindi rifiutano di seguire la Luce cercando di
possedere la creatura anziché cercare in essa il pensiero in Dio. Ma
anche in questa situazione di peccato, c’è ancora una testimonianza alla Luce,
perché colui che rifiuta la Luce viene a
fare esperienza di morte e quindi testimonia che la vita è nella Luce. Giovanni
Battista rappresenta anche questa testimonianza, poiché tutto è testimonianza
alla Verità, perché Dio trae gloria da tutto e da tutti: da quelli che non
conoscendolo, confessano: “io non sono Dio” e cercano Dio e da coloro che si rifiutano di conoscerlo.
Quindi Giovanni Battista
raccoglie la duplice testimonianza negativa delle tenebre (non raccoglie la
testimonianza positiva, perché questa è data solo dai figli di Dio, da coloro
cioè che hanno conosciuto e trovato Dio):
- quella delle tenebre che cercano Dio
- e quella delle tenebre
che non cercano Dio e che pertanto, venendosi a trovare nel caos e nella morte,
testimoniano che la vita sta nella Luce.
Le due testimonianze
negative che le tenebre ci danno, ci indicano dove sta la Luce vera,
sollecitandoci a metterla al centro. Se compiamo questa giustizia essenziale,
accogliendo tutto da Dio e riportando tutto a Dio, si forma in noi l’attrazione per Dio,
scopriamo in noi la Luce vera la quale, se è messa da noi in alto, ci dà la
capacità di riconoscere il Cristo.
Dobbiamo accogliere e
riportare in Dio anche ciò che noi chiamiamo “male”, come la morte e i delitti,
poiché tutto è opera di misericordia di Dio che esteriorizza le colpe dell’uomo
per recuperarlo a Sé. Per questo non bisogna giudicare nessuno, ma bisogna
cercare di capire qual è il peccato che sta a fondamento di tutti i delitti:
l’autonomia da Dio. L’uomo staccato da Dio ha già commesso interiormente tutti
i mali del mondo: basta che Dio lo metta nella situazione di compierli e lui li
farà anche esteriormente.
Comunque tutta la
sofferenza, tutti i delitti del mondo, per capirli bene, bisogna vederli nella
luce della croce di Cristo innocente che
ha preso su di Sé il nostro peccato. La Croce è il punto luce per tutto ciò che
di ingiusto avviene nel mondo, perché ci fa capire che l’io staccato da Dio
uccide, è delitto, è deicida.
Punto di partenza per
giungere a capire questa grande lezione del Cristo in Croce in cui si
sintetizzano e si illuminano tutte le lezioni della vita è l’aver messo Dio al
centro, è aver fatto la giustizia essenziale. E se restiamo in questa
giustizia, allora tutta la creazione rientra in quel messaggio del Battista che
sulla vetta dell’Antico Testamento ci indica l’Agnello di Dio affinché possiamo
seguirlo ed essere condotti a trovare la Vita.