“Vi fu un uomo mandato da Dio, il
cui nome era Giovanni” Gv 1 Vs 6
Titolo: L’opera
esterna di Dio.
Argomenti: La luce che risplende tra
le tenebre è l’annuncio di Dio nel mondo. Soggettivismo.
Formiamo tutti una sola cosa. Battesimo
di giustizia. Sentire la nostra povertà.
Vi fu un uomo mandato da Dio (la Fedeltà).
3/Ottobre/1975
Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti):
Questo annunzio sembra segnare apparentemente
un vuoto con ciò che è detto nel versetto precedente, poiché ci porta a
contatto con un fatto storico, tangibile. Va invece inserito proprio nel quadro
precedente che si è concluso con questa affermazione: “La luce splende
fra le tenebre, ma le tenebre non la compresero”. La conclusione,
cioè sembrerebbe questa: non c’è più niente da fare, perché la vita sta
nella Luce e la Luce è stata rifiutata. Invece è proprio su questo sfondo
che inizia un’opera di recupero da parte di Dio. Dio cerca di recuperare l’uomo attraverso
le tenebre, cioè attraverso la sua opera esterna; lo recupera attraverso
Giovanni, inviato da Lui, che è l’ultimo dei Profeti, “…il più grande fra i
nati di donna” (Lc 7,28), nel quale si sintetizza tutta l’opera dell’Antico
Testamento, che comprende la creazione, il peccato, i comandamenti, la Legge,
l’esperienza di schiavitù, l’esperienza del deserto, il Profetismo. Giovanni è
la sintesi di tutte queste voci dell’Antico Testamento e l’Antico Testamento
rappresenta tutta l’opera di Dio che cerca di recuperare l’uomo.
Pensieri tratti dagli incontri del Sabato: Sabato 24.01.1976 (appunti)
“Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome
era Giovanni”:
Le
tenebre, avendo rifiutato la luce ed essendosi fermate al pensiero dell'io,
sono rimaste tenebre. Ma Dio cerca ugualmente
di ricuperare le creature. Non
potendole ricuperare attraverso la luce (che è stata rifiutata), cerca di
ricuperarle attraverso la testimonianza delle stesse tenebre, cioè attraverso
l'esterno (tutta l'opera esterna di Dio è rappresentata da Giovanni, il cui
significato etimologico è “misericordia di Dio”). Ciò che non è Dio (le tenebre, l'opera
esterna, la legge, ecc., tutta la negatività) fa sentire il bisogno di Dio,
quindi ricupera l'uomo all'attenzione a Dio. Anche la legge è un mezzo di ricupero
perché ci fa sentire la nostra miseria e la nostra incapacità.
L'uomo, avendo rifiutato la Luce, è esaltato
dalla creatura e dal pensiero di sé, per cui
è tutto proiettato fuori: si ferma alle cose "buone in sé",
dimenticando Dio e si preoccupa di immagazzinare e possedere. Tutte le creature
sono belle e buone e hanno un certo grado di Verità, perché sono parole di Dio,
sono significazione di Dio. Però ci fanno correre un rischio, se trascuriamo
Dio. Gustando qualche cosa di esse (cibo, ricchezza, bellezza), se ci fermiamo
al pensiero del nostro io, scatta il desiderio del possesso e quindi il rifiuto
della luce; non si cerca più la volontà del Signore, ma si afferma la propria
volontà che è il possesso. Il rifiuto è
il “senza Dio” che avviene nel cuore dell'uomo. In questo amore possessivo la
creatura afferma se stessa e diventa luce a se stessa, stabilisce lei le regole
di vita, diventa autonoma, staccata da Dio.
Qui nasce il peccato.
L'uomo invece deve sempre tutto rapportare a Dio, prendere tutto da Dio,
perché altrimenti, per poco che
dimentica Dio, proietta nelle cose create il suo bisogno di assoluto. Per questo Gesù dice: "Pregate
sempre" (Lc 21,36). Pregare è rapportare tutto a Dio, per capire tutto
in Dio.
Lontani dalla luce non sappiamo di essere
peccatori. La creatura deve sempre rapportarsi a Dio. Se non ha questo termine fisso a cui
rapportarsi, non può evitare di rapportarsi con gli altri e quindi di
esaltarsi.
Se si rapporta con Dio, la creatura scopre la
sua dimensione. Se si rapporta con le creature, esse la gonfiano.
Più noi pensiamo a Dio, più si crea la fame di
Lui e più scopriamo la nostra miseria. Ma se invece guardiamo a noi stessi, ci
gonfiamo e non possiamo più accogliere la Luce di Dio. "Le tenebre non
hanno accolto la luce" (Gv 1,5): in conseguenza di questo rifiuto, la
creatura è tutta proiettata nel mondo, solo nel mondo e la preoccupazione di
piacere al mondo la distoglie sempre più da Dio. Ma Dio ci ricupera proprio dall'esterno stesso
per riportarci a Sé.
L'uomo, proiettato nel mondo, ha ancora nel
mondo la parola di Dio, che tenta di ricuperarlo: Dio cerca di ricuperare
l'uomo attraverso Giovanni, l'ultimo dei Profeti, nel quale è sintetizzata
tutta l'opera di Dio dell'Antico Testamento: "Vi fu un uomo, mandato da
Dio, il cui nome era Giovanni".
In Giovanni Battista, mandato da Dio, abbiamo
la sintesi di tutta l'opera esterna di Dio (“tutto è mandato da Dio”), che
cerca di ricuperare l'uomo proprio per mezzo dell’esterno verso cui l’uomo è
tutto proiettato.
Sabato 23.04.1983
Pinuccia B.: “Vi
fu un uomo mandato da Dio….”: in questo versetto è proprio un girare
pagina… Infatti nei versetti precedenti il Vangelo ci ha presentato quello che
era nella mente di Dio, nel progetto di Dio riguardo all’uomo…
Luigi: …e ci ha presentato anche la situazione dell’uomo.
Infatti rivelandoci l’origine, quello che “era”, ci fa capire bene la
situazione attuale. Se tu, in qualunque situazione vuoi capire bene una cosa,
devi sempre considerare la situazione iniziale, poi allora vedi tutti i
cambiamenti che sono successi dopo. Così pure chi studia un fenomeno, un fatto,
deve sempre partire dall’origine. Qui è lo stesso, ci presenta come era la
“cosa” all’origine e conclude dicendo: “La Luce risplende nelle tenebre e le
tenebre non l’hanno accolta”; questa è la situazione di ogni uomo, perché
la luce continua a risplendere tra le tenebre.
Abbiamo detto che la “luce che risplende tra le tenebre” è
l’annuncio di Dio nel mondo, nell’universo, nella vita di ogni uomo.
Ogni uomo non può smentire questa luce, perché Dio si annuncia a tutti. Dio è
Colui che si annuncia a tutti, Dio è Colui che nessuno può ignorare,
però “…le tenebre non l’hanno compresa”, cioè le “tenebre” non sono
arrivate a conoscere quello che è annunciato.
Pinuccia B.: Quindi
sembra un fallimento, una situazione inconclusa; tutto questo susseguirsi di “era”
ci rivela che le “tenebre” non hanno
capito niente, che hanno rifiutato tutto. Qui però, ci avevi detto che si apre un nuova parte: “Vi fu un uomo
mandato da Dio il cui nome era Giovanni”, cioè qui c’è l’intervento di Dio
per salvare l’uomo, per ricuperare la situazione perduta.
Luigi: Infatti in conseguenza di questo rifiuto della luce,
l’uomo si chiude in un campo di soggettivismo in cui proietta il suo io su tutto;
è in un cerchio chiuso da cui lui assolutamente non può uscire.
Pinuccia B.: Non
si rende neppur conto che il cerchio è chiuso.
Luigi: Non si rende conto di essere in un campo soggettivo,
anzi ritiene che la realtà sia quella che lui vede e tocca; non solo, ma ritiene anche che i suoi doveri siano
ciò che fa e che Dio voglia ciò che lui fa. Per cui non ne esce
assolutamente; e anche il Pensiero di Dio lo vede in funzione del pensiero del
suo io; quindi prega Dio per soddisfare qualche sua esigenza, al punto che
anche le festività religiose le vede solo più in funzione del suo io. Ecco, la
festa è al servizio del lavoro: “dobbiamo riposarci per recuperare le forze,
per poi poter di nuovo lavorare”; al centro del lavoro c’è il pensiero dell’io,
quindi il fine è il nostro io e il
guadagnare nel mondo.
Quindi nel campo del soggettivismo tutto viene
capovolto. Allora, siccome Gesù dice: “chi fa il male resta schiavo di esso”
(Gv 8,34), cioè non può uscire da questo cerchio chiuso, ecco che è necessario
che Dio entri in questo cerchio chiuso. Egli vi entra attraverso l’uomo,
l’umanità: Cristo stesso è il Verbo di Dio che si fa uomo, cioè si fa
figlio dell’uomo, entra nel campo del soggettivo per salvare l’uomo.
Pinuccia B.: Cioè
per far giungere la Parola di Dio, questo Verbo che l’uomo ha eliminato.
Luigi: Sì, perché l’uomo nel suo soggettivismo non ha più la possibilità di capire altro.
Pinuccia B.: Questa
situazione di peccato di un uomo si comunica a tutti, perché il peccato
originale è trasmissibile nel senso che le sue conseguenze influiscono
negativamente sugli altri. Cioè, basta
che un uomo pecchi che….
Luigi: Sì, formiamo tutti una cosa sola, quindi anche in buona fede l’uomo riceve
la segnalazione dei valori dall’altro; infatti si perde la vita in buona fede,
però si perde la vita. Per cui arriviamo a dire: “questo è importante perché
l’ha detto il tale; questo è importante perché mio padre e mia madre dicono che
è importante; questo è importante perché tutta la società è impostata così”.
Quindi, quando incominciamo a dire:
“questo è importantissimo, ecc.”, noi siamo condizionati e non ne possiamo
uscire.
Nino: Non ho capito cosa intendi dire con “siamo tutti una
cosa sola”.
Pinuccia B.: Siamo
chiamati ad esserlo o lo siamo già?
Luigi: Siamo, cioè formiamo un corpo unico.
Pinuccia B.: Ma
cosa vuol dire formare un corpo unico? È ciò che dice S. Paolo (Cor 10,17)?
Luigi: Tutto l’universo è un sistema, per cui c’è
un’interferenza; noi diciamo “il mio corpo”, ma se noi potessimo percepire in
profondità le cose, ci renderemmo conto che il nostro corpo si prolunga in
tutto l’universo.
Pinuccia B.: Anche
nel passato?
Luigi: In tutto, perché noi riceviamo da tutto e
partecipiamo di tutto. E quindi, quando entra in questo corpo qualcosa che
rompe, che macchia, che inquina (cioè il peccato), l’inquinamento è generale.
Pinuccia B.: Quindi
basta un uomo che pecchi per inquinare tutta l’umanità.
Luigi: Certo, come è entrato il peccato nel mondo, tutta la
terra è stata sconvolta (terra intesa come tutto l’universo); tutto
l’universo è specchio dei nostri rapporti con Dio; quindi se nei nostri
rapporti con Dio si crea una rottura, questa rottura si riflette nell’universo,
per opera di Dio, sia chiaro, per darci lo specchio della nostra rottura
interiore, in modo da recuperarci in qualche modo. Quindi Dio scrive il
nostro mondo interiore attorno a noi, in tutto; c’è questa unità tra tutto
l’universo e la nostra anima. E allora, se c’è questa unità, cioè se quello
che è fuori di noi è in relazione a quello che è dentro di noi, anche i
corpi degli altri sono in relazione a quello che è dentro di noi. Quindi
formiamo tutti una cosa sola in questo senso.
Pinuccia B.: Tutti
sono una parola per ognuno.
Nino: Capisco il concetto, però mi sembra un po’ in contrasto
con quel rapporto personale che ognuno ha con Dio.
Luigi: Ma questo avviene proprio per questo rapporto
personale…; siccome Dio è il Creatore di tutto, se in questo rapporto
personale tra noi e Lui si crea una rottura, Dio scrive attorno a noi, in tutta
la sua creazione, la lezione di questa rottura, per recuperarci. Perché
tutto l’universo è in funzione dell’uomo. L’uomo continua ad essere sempre alla
conclusione dell’universo, cioè sempre al “sesto giorno”; la creazione è
continua, quindi da questa profondità dei sei giorni, sul vertice, nasce
l’uomo, Dio forma l’uomo. Allora, tutto l’universo dei “sei giorni” è in
prospettiva di questo uomo; l’uomo è la sintesi di tutta l’opera che Dio fa. Ora, l’uomo è la sintesi, ma l’uomo non è
Dio; quindi tutta l’opera che Dio fa, la fa perché l’uomo viva in armonia
con il suo Signore, in modo che conosca Dio. Per cui abbiamo Dio, abbiamo
la creazione di Dio e abbiamo l’uomo. Ora, se nei rapporti tra uomo e Dio si
forma qualche macchia, qualche rottura, Dio scrive in tutta la sua opera, per
la formazione dell’uomo, questo rapporto sbagliato. E questo perché Dio sta
dialogando con l’uomo, e Dio dialoga per salvare l’uomo.
Quindi, se ad un certo momento nel rapporto
tra la nostra anima e Dio si forma una frattura, Dio, siccome opera per salvare
l’uomo, scrive questa frattura all’esterno, in modo che l’uomo possa rinsavire.
Ma tolto l’esterno non c’è poi più niente. Allora, tutta la salvezza dell’uomo,
dal momento che l’uomo ha avuto una frattura con Dio, può avvenire soltanto
attraverso l’esterno, cioè attraverso i segni. E nei segni la sintesi l’abbiamo
in Cristo; tutto l’esterno si sintetizza in Cristo, nel Verbo di Dio che si
fa uomo davanti a noi per salvarci.
Ora, in quanto ad un certo momento in questo
universo viene fuori il Cristo, il Figlio di Dio che si fa uomo, questo ci fa capire che tutto l’universo, che
si ricapitola in Cristo, è tutto in relazione con i nostri rapporti con Dio. Cristo
è Figlio dell’uomo. Ma perché il Figlio di Dio è venuto a farsi Figlio
dell’uomo?
Evidentemente perché nei rapporti tra l’anima
nostra e Dio si è creato qualche cosa di sbagliato; per cui adesso abbiamo
bisogno di questa lezione dall’esterno per rinsavire.
Pinuccia B.: Hai
detto che la sintesi di tutta l’opera di Dio è l’uomo, e hai pure detto che
Cristo è la sintesi di tutti i segni; anche S. Paolo dice: “tutto è fatto
per mezzo di Lui e in vista di Lui” (Col 1,16).
Luigi: Difatti tutta la sintesi dell’universo è l’uomo, ma dal
momento che l’uomo ha sbagliato adesso tutta la sintesi dell’universo è in
Cristo.
Pinuccia B.: Ecco,
volevo capire questo: se tutto è fatto in vista dell’uomo, perché Paolo dice
che tutto è fatto in vista di Cristo?…
Luigi: Tu devi tener presente che tutto l’universo è dialogo di
Dio, è parola di Dio. Supponi di essere in conversazione con qualcuno, e che ad
un certo momento in questa comunione-conversazione avviene una frattura tra te
e questo qualcuno: ecco allora che il parlare di questo qualcuno adesso si modifica nei tuoi riguardi; cioè l’altro
modifica il suo linguaggio perché c’è stata una frattura, c’è stata
un’incomprensione; qui l’altro modifica il suo linguaggio per cercare di farti
capire dove hai sbagliato, dove si è interrotto il dialogo.
Ora, tutto l’universo è linguaggio di Dio per
noi; e lo scopo è proprio questo dialogo tra la nostra anima e Dio. Se adesso
noi nei riguardi di Dio commettiamo qualche cosa di sbagliato, è logico che Dio
per ricuperarci deve modificare tutto il suo parlare (fino a mandare a noi suo
Figlio, il Cristo) per farci capire il punto in cui noi abbiamo sbagliato, per
poi recuperarci. Noi da soli certamente non recuperiamo assolutamente
niente. Il recupero avviene sempre attraverso il Signore, attraverso Dio.
Noi da soli non possiamo recuperare niente. Quindi visto che le tenebre hanno
rifiutato la luce, lì inizia l’opera di recupero; l’opera di recupero inizia
con Giovanni, colui che prepara l’incontro con Cristo. Infatti in Giovanni
abbiamo già il Cristo.
Pinuccia B.: In
Giovanni abbiamo la sintesi di tutto l’Antico Testamento, la conclusione.
Luigi: Certo, è l’ultimo dei Profeti.
Pinuccia B.: Quindi
sintetizza tutta l’opera che Dio ha fatto per recuperare l’uomo.
Luigi: Che Dio ha fatto e che Dio fa, perché anche noi oggi
possiamo ancora essere nell’Antico Testamento.
Nino: Direi che Giovanni sintetizza tutta l’opera che Dio fa
per preparare l’uomo all’incontro col Cristo, non per recuperare l’uomo, perché
l’uomo è Cristo che lo recupera.
Pinuccia B.: Giovanni
però recupera l’uomo all’attenzione a Cristo.
Luigi: Certo, Giovanni rappresenta l’opera che Dio fa per
riportare l’uomo al battesimo di giustizia, che è la giustizia essenziale: “Tu,
uomo, devi mettere Dio al centro della tua vita”, perché Dio è il Creatore,
quindi tutto va rapportato a Lui e questa è la condizione essenziale per poter
riconoscere il Cristo e seguirlo fino alla Croce. Ed è necessaria la Croce,
perché siccome l’errore dell’uomo è quello di mettersi al centro, perché nel
campo soggettivo vediamo tutto dal punto di vista dell’io, ed è l’errore che ci
porta all’inferno, allora prima di farci cadere nell’inferno, Dio praticamente
distrugge tutta la sua opera. Quindi tutta quella meravigliosa opera della
creazione fatta in funzione dell’amicizia dell’uomo con Dio, proprio a causa
della frattura tra noi e Lui, viene distrutta da Dio stesso per evitarci di
sprofondare nell’inferno. Quindi Dio per salvarci distrugge tutto
l’universo, cioè lo macchia.
Pinuccia B.: Ma
di che cosa lo macchia?
Luigi: Lo macchia della nostra macchia; infatti Cristo
muore in Croce. Cristo morendo in Croce prende su di Sé la nostra colpa, e
quindi, praticamente Dio macchia e distrugge tutto l’universo; addirittura
manda a morte suo Figlio. E tutto questo per recuperare la nostra anima, per
impedire che la nostra anima precipiti nell’inferno; perché nel campo del
soggettivo la nostra anima è finita, non c’è niente da fare!
Pinuccia B.: Però,
l’opera di Giovanni è quella di riportarci alla giustizia essenziale, cioè di
mettere Dio al centro. Ma questo mettere Dio al centro non ci fa uscire dal
soggettivismo.
Luigi: No, sarà Cristo che ci farà uscire dal soggettivismo; ma
la giustizia essenziale ci prepara all’incontro con Cristo. Perché soltanto se
noi abbiamo fatto questa giustizia essenziale, cioè se riconosciamo che noi non
siamo i creatori dell’universo (noi nel campo dell’io arriviamo infatti al
punto da ritenere: “sono io che penso Dio”) ed è, questa, una giustizia intellettuale (perché poi,
praticamente, continuiamo a essere delinquenti), quindi se almeno nel
nostro spirito riconosciamo che non siamo i creatori, ammesso questo, nasce una
certa attrazione per Dio; prima no. Ecco, facendo la giustizia capiamo di
essere dei delinquenti; cioè, dopo aver riconosciuto il primato di Dio ogni
qual volta che ci gloriamo da noi stessi, incominciamo a capire di essere
delinquenti. “Delinquo”, cioè mi allontano da quello che intellettualmente
so.
Pinuccia B.: Però,
pur riconoscendo che non è giusto gloriarci, continuiamo a farlo. Chi ci libera
allora da questo nostro gloriarci (“chi mi libererà da questo corpo votato
alla morte?” Rm 7,24)?
Luigi: Soltanto il Cristo.
Pinuccia B.: Perché?
Cristo cosa ci fa vedere?
Luigi: Allora, Giovanni stabilisce questa giustizia essenziale dentro
di noi, diciamo “intellettuale”; comprendendo questo, scopriamo la nostra
incoerenza, e così siamo aperti al Cristo che è la coerenza di questa
giustizia. Cristo è Colui che realizza per me questa giustizia che io so
che dovrei fare, ma che non faccio perché mi trovo nell’impotenza, in quanto la
realtà che io vivo è diversa.
Nino: Non penso che sia Giovanni a farmi capire che sono un
delinquente. Giovanni ci fa semplicemente capire che siamo creature.
Luigi: Sì, ma in quanto riconosco che Dio è il Creatore,
capisco che glorificando me stesso sono un delinquente.
Nino: Si, ma da lì a vedere che io ammazzo, che sono deicida,
ce n’è di strada da fare…
Pinuccia B.: Quello
sarà il Cristo che ce lo farà capire, però la giustizia di Giovanni Battista ci
porta già a capire la nostra miseria e il nostro peccato. La fame del Cristo
viene proprio da questa constatazione di povertà, che avviene attraverso il
battesimo di giustizia.
Luigi: Certo.
Nino: La fame del Cristo viene dal bisogno di conoscere quel
Dio che ci ha creato, di conoscere cioè la Verità.
Luigi: Sì, ma la condizione è proprio questa povertà. Infatti
Cristo entra nel mondo dicendo: “Beati i poveri, beati coloro che piangono…”(Mt
5,3 s). Ora, coloro che sono poveri, coloro che piangono, coloro che soffrono
della loro situazione, perché sanno di non essere giusti, sono coloro che hanno
accettato il battesimo di Giovanni il Battista. Infatti, si dirà più avanti che
“quanti non avevano ricevuto il battesimo di Giovanni il Battista, non
potevano seguire Gesù, non potevano intendere Gesù” (Lc 7,29-30);
quindi evidentemente il battesimo di
Giovanni il Battista è la premessa all’incontro con Gesù. Gesù stesso
quando dice: “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre” (Gv
6,44), è per sottolineare queste condizioni.
Nino: Mi sembra strano, perché se io prendo già prima
coscienza del mio peccato, allora non vedo più la necessità di Cristo.
Luigi: Il bisogno e la necessità del Cristo nascono proprio da
questa consapevolezza del nostro peccato, perché la giustizia essenziale non ce
ne libera. Quindi: senza Cristo tu prendi coscienza del tuo peccato, ma non
ti liberi del tuo peccato; non basta la tua coscienza per liberarti dal
peccato. È come per il drogato che prende coscienza che la droga lo uccide,
ma non basta questo per liberarlo dalla
droga.
Nino: Allora non capisco bene, perché uomini giusti ce n’erano già prima e non avevano avuto la
rivelazione del Cristo…
Luigi: Il giusto nell’Antico Testamento è colui che aspetta
la Salvezza da Dio, perché patisce la sua delinquenza. Perché c’è chi è
delinquente e si gloria della sua delinquenza, e questi non hanno incontrato
Giovanni il Battista; invece c’è chi è delinquente e patisce la sua
delinquenza, e piange. È come chi fa la prostituta ma piange di essere
prostituta; c’è invece chi fa la prostituta e si gloria di essere prostituta.
Ora, cosa c’è di diverso in quella prostituta che piange di essere prostituta e
che pure non può farne a meno? che cosa c’è nel suo animo rispetto all’altra
che non piange?
Osserviamo la differenza che c’è tra due
situazioni apparentemente uguali: tutte e due sono prostitute, però una si
gloria e si vanta di essere tale, l’altra invece piange e sospira la
liberazione. Lei sospira però non può. Ora, Cristo viene per coloro che
piangono, per coloro che sospirano; ma chi li ha preparati a questo pianto e
quindi ad incontrare Lui?
Ecco la funzione dell’Antico Testamento che si
sintetizza in Giovanni il Battista.
Nino: Abbiamo detto tante volte che l’uomo ad un certo momento
riceve l’annuncio di Dio, e questo è l’inizio di fede che Dio dà a tutti; Dio è
Colui che nessuno può ignorare. Allora, chi si apre a Dio ad un certo punto
dice: “io sono stato creato da Lui; certamente Lui aveva un’intenzione su di
me, non mi ha creato tanto per fare qualcosa. Quindi io devo conoscere quella
che è la sua intenzione”. Ecco perché prenderò realmente coscienza del mio
peccato solo con Cristo. Perché prima, siccome non so niente di Dio come faccio
a dire: “io sono cattivo, faccio il male, ecc.”?
Pinuccia B.: Però
posso riconoscere di non riuscire a mettere Dio al centro.
Nino: No, perché nel momento in cui tu sei attratta dal Padre
è perché tu hai messo Dio al centro.
Luigi: Sì, ma non è sufficiente essere attratti dal Padre: si
rimane nel sogno: “sarebbe bello se…”; cioè non è sufficiente il battesimo di
Giovanni Battista per la salvezza: non ci salva! Però è sufficiente per farci
capire il peccato e la nostra impotenza a liberarcene, per farci incontrare il
Cristo.
Pinuccia B.: Ma
Cristo mi darà una consapevolezza maggiore del mio peccato.
Luigi: Il problema non è la consapevolezza…; stai tranquilla
che l’uomo ce l’ha la consapevolezza. La consapevolezza viene dalla presenza di
Dio in noi.
Pinuccia B.: Intendo
dire che è Cristo che ci rivela che abbiamo ucciso Dio in noi.
Luigi: Questa è un'altra cosa. Ciò che ci fa piangere
e sospirare il Salvatore è l’ingiustizia che portiamo dentro di noi, perché
è un problema di coerenza o di incoerenza: cioè, quando noi riconosciamo che Dio è il
Creatore, allora non possiamo più vantarci, e se ci vantiamo capiamo di far
male. Ecco, qui abbiamo scoperto qualche cosa. Ma chi me l’ha fatto
scoprire? Questa giustizia essenziale predicata dalla bocca di tutti
i profeti, di cui Giovanni il Battista ne è la sintesi. Infatti, perché Cristo
è venuto dopo tanti anni? Perché Dio ha lasciato l’umanità per migliaia e
migliaia di anni in questo peccato originale, a crogiolarsi in questa colpa,
attraverso tante vicende?
Appunto perché tutto è segno; anche nella
nostra vita, perché il Signore si è manifestato tardi? (S. Agostino dice:
“tardi ti amai”). Noi diciamo tardi, ma Dio non è che faccia tardi, ma se
aspetta a manifestarsi è perché noi abbiamo bisogno di esperimentare la nostra
povertà, di esperimentare la nostra miseria: e a questa esperienza si arriva
attraverso la giustizia essenziale. Infatti,
come esperimenteremmo la nostra povertà se non potessimo confrontarci?
Come faremmo a renderci conto di essere incapaci di salire su una montagna se
non guardiamo la vetta? Dobbiamo avere dentro di noi la possibilità di guardare
la vetta. Quindi noi abbiamo bisogno di uno che ci dica: “tu devi salire sulla
cima del Monte Bianco”; ecco, lì possiamo dire: “ma io non arriverò mai sulla
cima del Monte Bianco con le mie sole forze, come faccio? Non conosco niente”.
Ecco come esperimentiamo la nostra povertà! Se invece nessuno ci dice che dobbiamo arrivare sulla cima del Monte
Bianco, noi ci crediamo di essere sulla più grande cima di questo mondo.
Osserviamo i bambini…: un bambino la prima volta che riesce a camminare o a
fare qualcosa, crede già di essere il padrone del mondo, e poi poco per volta
si ridimensiona. Ma perché questo?
Perché ha la possibilità di confrontarsi. Ora,
come avviene questo confronto?
È perché
c’è una dimensione che entrando in noi
si raffronta con la nostra situazione, e nel raffronto, che è un
rapporto, noi scopriamo la nostra miseria, il nostro delitto, il nostro male,
il nostro peccato. È qui che
la creatura incomincia a sospirare; e sospirando si prepara, arriva l’Avvento,
il tempo del Cristo.
Pinuccia B.: Questo
sospiro in che cosa consiste?
Luigi: È l’invocazione dell’uomo di essere liberato dal suo
male. Invoca Dio perché venga Lui stesso a liberarlo: “Abramo
desiderò vedere il mio giorno e lo vide e ne gioì” (Gv 8,56). Come mai?
Abramo rappresenta la fede; quindi ha creduto in Dio, ha messo Dio al centro e
ha scoperto la sua miseria, la sua paura.
Teniamo presente che egli vendeva la sua donna in tutti i luoghi dove
andava per paura di essere ucciso, quindi possiamo dire che era un delinquente!
Abramo che è padre di tutti coloro che credono, scusate il termine, lì era un
delinquente: vendeva la moglie per salvare se stesso. Ecco, altri hanno altre
debolezze, e lui aveva quella debolezza, aveva paura, eppure aveva la fede.
Quindi, ecco perché Gesù dice: “desiderò vedere il mio giorno”. Se
fosse stato giusto, secondo la fede, se fosse stato a posto, quindi salvo, non
avrebbe desiderato di vedere la salvezza del Cristo. Quand’è che si
desidera, che si sospira?
Si desidera e si sospira quando ci si trova
nella “bagna”. Gesù significa “Salvezza di Dio”. Infatti è venuto per
salvare, ma chi salva?
Salva chi sta naufragando. Infatti se noi
fossimo a posto, tranquilli, non avremmo bisogno di nessun Salvatore.
Quindi noi dobbiamo sperimentare la situazione
di perdizione in cui ci troviamo; ma per sperimentare la situazione di
perdizione in cui ci troviamo, ci
dobbiamo confrontare. Infatti un Abramo si sarà reso conto della sua situazione:
“credo in Dio, e io sto vendendo mia moglie per paura; e se ho paura, vuol
dire che non ho fiducia in Dio, pur credendo in Dio. Ma allora come mai c’è
questa frattura in me?”. E qui abbiamo la creatura che piange, che sospira, che
invoca Dio: “Signore, io proprio da solo non ce la faccio, non so come fare
per liberarmi dal mio peccato”.
Pinuccia B.: E
capisce che solo Dio la può liberare.
Luigi: Certamente, perché lui avrà fatto di tutto per
liberarsi, ma non è riuscito.
Pinuccia B.: Quindi
si desidera che Dio si incarni, che venga Lui stesso a liberarci?
Luigi: Si capisce, è logico. In fondo tutto ciò che opprime
l’anima dell’uomo è come una droga; e l’uomo drogato, che scopre che si sta
suicidando, non riesce a liberarsi, non può liberarsi. Invoca che qualcuno lo
liberi, però è più forte di sé. Il peccato in noi è più forte di noi. Noi non
siamo liberi verso i nostri pensieri,
perché i nostri pensieri ci dominano, sono più forti di noi. Infatti S. Paolo
stesso dice: “noi non lottiamo con la carne o con il sangue, ma lottiamo con
gli spiriti” (Ef 6,12). Ecco, la creatura esperimenta di non potersi
liberare pur essendo giusta, cioè pur credendo in Dio. Mentre invece, dalla
parte opposta, noi abbiamo la creatura che si vanta del suo io, del suo
orgoglio; infatti ci sono delle prostitute che si vantano di essere tali.
Pinuccia B.: Ma
che non sanno di essere prostitute.
Luigi: Anche se lo sanno.
Pinuccia B.: Ma
i Farisei si vantano, ma non sanno di essere delle prostitute…
Luigi: Il Fariseo che si vanta della Legge è come la prostituta
che si vanta di essere prostituta. Per alcune prostitute, essere tali, è aver
raggiunto un vertice, una certa indipendenza, una certa autonomia, magari
perché si sono liberate da tanti tabù, ecc. Quindi abbiamo la creatura che si
vanta della sua ingiustizia (senza però capire che è un’ingiustizia). Al giorno
d’oggi le donne si vantano di essere prostitute; cioè si vantano di atti di
prostituzione; e se ne vedono una che cerca di essere scrupolosa secondo l’Antica
Legge la prendono in giro, perché loro si credono superiori in quanto si sono
liberate da certi tabù. Quindi abbiamo queste due posizioni: abbiamo la
creatura che si crede giusta, si vanta quindi del suo delitto (anche se,
logicamente, lei non lo chiama delitto), e abbiamo invece la creatura che
esperimenta il suo delitto e piange.
Ora, è il Signore che ha fatto delle creature
diverse? No! E dove sta la diversità?
Una ha ricevuto il battesimo di giustizia, di
Giovanni il Battista, l’ha accettato, l’altra non l’ha ancora accettato; quindi
quest’altra per essere salvata ha ancora bisogno che Dio operi con le sue
lezioni severe della vita in modo da essere ricondotta a questo battesimo di
penitenza. Ma fintanto che Dio non la conduce a questo battesimo di penitenza,
lei si vanterà di essersi liberata da regole e tabù e anche da Dio.
Pinuccia B.: Quindi
Giovanni rappresenta tutte quelle lezioni che Dio manda per ricondurci al
battesimo di giustizia.
Luigi: Giovanni il Battista è l’ultimo dei profeti, quindi rappresenta
la sintesi di tutte le lezioni dell’Antico Testamento in cui ognuno di noi si
trova prima di trovare il Cristo. Quindi ci fa capire quali sono le
condizioni perché noi possiamo incontrare il Cristo; altrimenti noi Lo
incontriamo malamente.
La condizione per poter veramente incontrare
Cristo è il battesimo di Giovanni Battista. Lo dice apertamente il Vangelo: “quanti non avevano
ricevuto il battesimo di Giovanni il Battista non potevano seguire Gesù”.
Pinuccia B.: Che
corrisponde a: “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre”.
Luigi: Sì, però per chi ancora non identifica l’attrazione del
Padre con il battesimo di giustizia c’è la lezione precisa della Parola di Dio
che dice: “quanti non avevano ricevuto il battesimo di Giovanni…”.
Pinuccia B.: Quindi
questo battesimo forma la consapevolezza del nostro peccato e quindi il bisogno
del Messia, cioè di Uno che ci venga a salvare liberandoci dalla schiavitù al
nostro io e facendoci conoscere Dio.
Nino: Noi siamo bisogno di Assoluto; ad un certo momento il
Battista ci orienta questo bisogno di assoluto verso Dio facendoci fare la
giustizia essenziale. Dopo la giustizia essenziale, quindi dopo aver
riconosciuto che è giusto mettere Dio al primo posto, perché la creatura ha
bisogno del Cristo?
Luigi: Quante volte abbiamo parlato del “come sarebbe bello
se…”. Vediamo gli ideali: “sarebbe bello se tutti gli uomini si volessero bene;
sarebbe bello se…” però la realtà è diversa; e noi siamo vinti da questa
realtà. Per cui l’Altro resta nel Cielo, lontano, come un ideale: “…però io
devo vivere qui, e quindi io mi trovo in mezzo a dei delinquenti e quindi mi
devo adeguare, perché altrimenti mi mangiano vivo”. Ad un certo momento
dobbiamo reagire, dobbiamo adeguarci a-, ed è finita. Quando incomincia a dire:
“Sì, Dio è giusto, è bello, Lo vedremo poi dall’altra, però qui all’atto
pratico noi ci troviamo con una società delinquente e quindi ad un certo
momento io mi debbo armare fino ai denti altrimenti mi divorano; non posso fare
un vaso di terracotta in mezzo a degli elefanti, resterei stritolato, quindi mi
devo adeguare”, è finita. La giustizia essenziale ti fa scoprire questa
incoerenza e quindi forma in te il desiderio, il bisogno di un Liberatore.
Pinuccia B.: S.
Paolo dice che “la Legge è pedagogo al Cristo” (Gal 3,24), perché ci fa
prendere consapevolezza del nostro peccato. Quindi l’anima della Legge (“Ama
Dio con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore…”) e la giustizia essenziale
(“metti Dio al centro”) sono la stessa cosa!
Luigi: Certamente.
Piero: Sono due i tempi dell’uomo: nel primo si forma la
consapevolezza del peccato, e quindi la
necessità, l’esigenza di approfondire la cosa. Il secondo tempo è proprio
l’incontro del pensiero impuro dell’uomo con il pensiero puro di Dio, che è
Gesù. Ed è un salto di qualità.
Luigi: Però io non posso incontrare il Cristo se non sento il
bisogno di Lui.
Piero: Sì, ci vuole quell’invocare. È diverso dal credere
andando a Messa la domenica e dal credere invocando un Salvatore.
Luigi: Certo, è molto diverso; dobbiamo sentire la nostra povertà, dobbiamo sentire la
nostra miseria. Cristo stesso dice che “Sono venuto per rendere ciechi
coloro che credono di vedere”(Gv 9,39). Perché fintanto che tu credi di
vedere, non puoi essere illuminato; e fintanto che tu ti credi ricco, non puoi
ricevere la ricchezza di Dio; fintanto che ti credi giusto, non puoi
essere salvato. “Io non sono
venuto per i giusti, non sono venuto per coloro che stanno bene; Io sono venuto
per i malati, per i peccatori, per coloro che piangono su se stessi, per
coloro che subiscono la tribolazione” (cf Mt 9,12; Mc 2,17; Lc 5,31). Si
capisce che colui che si vanta dei propri peccati, che si crede giusto, che si
crede un uomo libero, non è preparato e allora dovrà aspettare…; ecco, attraverso
le lezioni della vita, opera di Dio, ognuno prima o dopo sarà portato ad
invocare. Infatti quando Gesù manda i suoi discepoli dice loro: “andate
soltanto in terra di Israele” e non li
manda altrove, perché bisogna aspettare che Dio attraverso le lezioni della
vita, poiché Lui è il Creatore, prepari le anime. Per cui noi non possiamo
suscitare la fame là dove Dio non ha ancora operato; Lui stesso dice: “non
date le perle ai cani perché non le calpestino e non si rivoltino contro di
voi” (Mt 7,6); bisogna aspettare che Dio trasformi i lupi in pecore, i cani
in uomini, cioè li trasformi in creature che hanno fame di Dio. Quando Dio avrà
trasformato questi cani in anime bisognose di Dio ( e “Dio può trasformare
anche le pietre in figli di Abramo” (Lc 3,8) ), allora è il momento per dare il pane. Quindi
la creatura non deve iniziare l’opera, ma deve rispondere all’opera che il
Padre fa. Infatti Cristo stesso dice: “Il Figlio non fa niente se non lo
vede fare dal Padre” (Gv 5,19), Egli è venuto a portare a compimento
l’opera che il Padre inizia. Ora, qual è
quest’opera che il Padre inizia?
L’opera che il Padre inizia è quella di
portare tutti gli uomini alla fame.
Pinuccia B.: “Altri seminano, altri raccolgono…” (cf Gv 4,37-38).
Luigi: Ecco, la seminagione di Dio è quella di portare l’uomo a
questa fame. Dio manda la fame sulla terra; adesso, per essere figlio di
Dio, devi rispondere alla fame che il Padre ti presenta nelle creature. Ma
devi rispondere alla fame, cioè devi raccogliere la fame; e non devi imporre il
cibo, altrimenti sbagli tutto. Allora, stai attento a raccogliere quella
fame che Dio ti presenta e non volere tu andare a predicare là dove Dio non
fa vedere la fame, perché altrimenti ti fa toccare con mano che sbagli tutto. Dobbiamo
quindi imparare ad operare nei quadri divini, nei quadri di Dio; là dove Dio fa
sentire la fame, allora tu rispondi a quella fame.
Nino: Dio ricorre al fango per curare gli occhi, ricorre alle
cose materiali per sfamare, per guarire, ecc.; qui manda un segno a rendere testimonianza a un
altro segno.
Luigi: Sì, perché l’uomo avendo rifiutato la luce è chiuso in
prigione; può essere salvato soltanto dalla prigione stessa. Ora, questa
prigione è la creazione esterna. Quindi l’uomo essendo tutto proiettato solo
nella creazione esterna, può essere salvato soltanto attraverso questa
creazione esterna. In questa creazione esterna ad un certo momento verrà il
Cristo.
Nino: E poi il Cristo dirà che Lui non ha bisogno di
questa testimonianza, ma che siamo noi che ne abbiamo bisogno (“Giovanni
ha reso testimonianza alla Verità. Quanto a Me invero non mi prevalgo della
testimonianza di un uomo, ma questo vi dico per la vostra salvezza” Gv
5,33-34).
Luigi: Certamente. Siamo noi che ne abbiamo bisogno. La Parola
di Dio ha in se stessa la garanzia della Verità, però la creatura dev’essere in
grado di accoglierla, cioè bisogna che abbia fame, che sia attratta; altrimenti
no.
Sabato 11.02.1989
Nino: “Vi fu un uomo mandato da Dio il cui nome era
Giovanni”. Egli era “mandato” in tutto da Dio, cioè motivato da Dio…. anche
quando mangiava.
Delfina: Dio manda il Figlio per farsi conoscere, il Figlio manda
Giovanni perché ci prepari la via perché possiamo essere disponibili ad
accogliere la sua Parola.
Luigi: Certo, Dio tutto opera per prepararci ad individuare il
Figlio di Dio.
Giovanna: Prima ci dice: “La luce risplende nelle tenebre”
e poi ci presenta Giovanni.
Luigi: Sì, perché “le tenebre l’hanno rifiutata”:
partita chiusa! A questo punto possiamo fermare il mondo e scendere, perché non
c’è niente da fare. Dio invece non ferma il mondo. Dio ora interviene nel
peccato dell’uomo, cioè nelle tenebre che hanno rifiutato la luce. Ecco,
forse c’è qualche cosa da salvare…; Dio ora lavora su queste tenebre che hanno
rifiutato. Adesso non c’è più direttamente Dio, ma c’è l’uomo: Dio manderà
Giovanni, manderà Cristo…; cioè “tenebre” che lavorano con le “tenebre”.
Giovanna: Questo sarebbe ciò che si diceva domenica, cioè che
prima Dio parla attraverso le creature e
poi manda suo Figlio. Allora questo Giovanni sarebbe…
Luigi: …tutto l’Antico Testamento, tutte le lezioni della vita;
per cui nonostante tu bestemmi Dio, rifiuti Dio, Dio non ti abbandona, anzi
opera per cercare di salvarti. Dio non abbandona
nessuno; fino all’ultimo, fino al punto estremo; perché ad un certo momento il
conflitto diventa soltanto più: “io-Dio”. Ma prima ci sono i buoi, ci sono i
campi, c’è la moglie, ci sono tutti i nostri affari, i nostri doveri. Ecco, tu
rifiuti la luce, però Dio non rifiuta te. Allora Egli interviene e poco per
volta ti fa capire che al centro dei buoi, dei campi e della moglie c’è il tuo
io e che in fondo tu preferisci il tuo io a Dio. Ecco, Dio opera per cercare
di selezionare il motivo vero per cui tu scarti Dio e darti la possibilità di
ravvederti.
Cris: Veniamo tutti mandati da Dio, vero? (Luigi: Certo!)
Ognuno di noi è mandato e ognuno di noi ha anche un suo nome. “Ci fu un uomo
mandato da Dio e il suo nome era Giovanni” .
Luigi: Certo, tutti sono mandati da Dio, tutte le creature sono
opera di Dio, però non tutte le creature parlano come Giovanni; c’è parola e
parola.
Cris: Infatti poi dice: “Egli venne come testimone…”
Luigi: …per preparare.
Fabiola: Ma se noi possiamo parlare di Dio, è perché è venuto
Gesù?
Luigi: Certo.
Fabiola: Quindi le tenebre sono “il vedere solo le presenze
materiali”; ed è per questo che abbiamo avuto bisogno della presenza fisica di
Dio.
Luigi: Sì, perché se io capisco soltanto l’italiano, posso
essere salvato soltanto da uno che mi parla in italiano; fintanto che trovo
altri che mi parlano di Dio, ma in inglese, in russo, in ebraico, ecc, non
capisco niente. Ora, in conseguenza del peccato, cioè del rifiuto della luce
che risplende nelle tenebre, il nostro linguaggio è soltanto più un linguaggio
dei corpi. Infatti il più delle volte nel mondo senti dire che bisogna avere i
piedi per terra. Dopo il peccato possiamo essere salvati soltanto attraverso
un corpo; Cristo è questo Corpo, però il suo parlare è il parlare di Dio;
non parla come parlano i nostri corpi. Per cui nel mio corpo dico: “la salute è
tutto”, ma non troverò sicuramente Cristo che mi dice: “la salute è tutto”;
magari nel pensiero del mio corpo dico: “devo far valere i miei diritti”, ma
Cristo non viene a dire che devi difenderti o lottare per far valere i tuoi
diritti.
Quindi in Cristo noi abbiamo un corpo umano,
perché noi capiamo soltanto quel linguaggio, ma in questo corpo umano parla
il Figlio di Dio, cioè abbiamo Dio che ci parla attraverso questa presenza
fisica. Ma allora affrettati a passare dalla presenza fisica alla presenza
dello spirito, cioè alle parole che Gesù dice, perché questa presenza fisica
dura quello che dura!
Franca: Questo “uomo mandato da Dio” è motivato da Dio;
tutti siamo mandati, ma qui ne ha trovato uno solo motivato da Dio.
Luigi: Era nel deserto e l’ha mandato…; l’ha fatto “ad hoc”…; Giovanni
è la misericordia di Dio che viene incontro, è la concessione che viene
incontro alle tenebre che hanno rifiutato la luce, perché non restino sempre
tenebre. Quindi vuol dire che c’è
ancora una possibilità di salvezza. Dopo il peccato di Adamo il mondo non è
finito, ma c’è una possibilità; ci vorranno migliaia di anni, ma c’è una
possibilità. Ad un certo momento da Adamo e da Eva nasce Maria: ecco la
possibilità che c’era! Per cui c’era un punto solo, un solo punto
immacolato, in Adamo: il pensiero di Dio; e Dio ha fatto leva su quel punto, e
attraverso migliaia e migliaia di anni, forse milioni, Dio ha trasformato
questo punto verginale che era rimasto in Adamo ed in Eva nonostante il loro
peccato, e l’ha fatto diventare una persona, e il nome di questa persona è
Maria. Da Maria è nato Gesù.
Franca: E per noi , personalmente Giovanni che cosa è?
Luigi: È questa misericordia di Dio che viene a noi e che ci
invita a fare la giustizia, cioè a dirci: “vedi, tu hai rifiutato la luce
perché pensavi a te stesso; togli il tuo io dal centro perché non è giusto che
il tuo io sia al centro della tua vita e né al centro della vita degli altri. È
giusto che sia Dio al centro. Allora metti Dio al suo posto, perché questa è la
condizione per poter accogliere Cristo, il Cristo che sta per venire”.
Rita: Qui il versetto dicendo: “Vi fu un uomo mandato da
Dio il cui nome era Giovanni”, usa il tempo passato; però per ogni creatura oggi
questo Giovanni continua ad esserci.
Luigi: Certo, questa è rivelazione di quello che avviene nella
nostra vita.
Rita: Per cui ogni creatura che cerca Dio, prima di
incontrarlo, sicuramente ha avuto un Giovanni che gliel’ha testimoniato.
Luigi: Certo, tutto quello che avviene nel Vangelo, nella vita
del Cristo, è tutto rivelazione di quello che avviene in noi; affinché noi ci
rendiamo conto che nella nostra vita c’è Dio che sta operando, non sono gli
uomini, non siamo noi.
Pinuccia B.: Con
Giovanni Battista abbiamo l’azione di ricupero da parte di Dio: è un fatto
storico che rappresenta l’opera di ricupero che Dio fa nella nostra vita ogni
volta che Lo trascuriamo.
Luigi: Certo.
Pinuccia B.: Però
possiamo essere ricuperati soltanto attraverso le tenebre.
Luigi: Non possiamo essere ricuperati in modo diverso, perché
prima eravamo formati attraverso la Luce; rifiutando la Luce, possiamo essere
ricuperati solo attraverso le tenebre. Non c’è altra soluzione, perché noi
siamo tenebre. La tenebra è dentro di noi quando noi consideriamo le creature
staccate da Dio. Ma questo peccato non è fuori, ma dentro. Il male non è fuori:
è dentro!
Pinuccia B.: Se
tutte le creature sono luce e le tenebre sono solo dentro di noi, quali sono le
tenebre attraverso cui siamo ricuperati?
Luigi: Le presenze fisiche. Anche il Cristo è presenza fisica.
Pensieri conclusivi:
Nino: Siamo più disposti a credere ad un uomo che a Dio.
Luigi: È lì il guaio.
Franco: Dio ci recupera dai nostri errori.
Luigi: Dio fa di tutto per recuperarci, addirittura muore. Ora,
la morte di Cristo è rivelazione della morte di Dio in noi. Addirittura
Dio stesso viene a morire in noi per ricuperarci, per salvarci.
Domenico: “Io come Luce sono venuto nel mondo, affinché chiunque
crede in Me non rimanga nelle tenebre” (Gv 12,46).
Delfina: Col Pensiero di Dio ogni azione è una testimonianza di
Dio.
Tiziana: Il Signore ci ha fatti per capire, quindi ci ha fatti
per la luce.
Roberto: L’importante è non pensare a se stessi, ma pensare a
Dio. Però per me è difficile.
Luigi: Non solo per te, ma per tutti è difficile.
Giovanna: Ciò che mi impedisce di accogliere la luce è proprio il
pensiero del mio io al centro.
Luigi: Sì, perché non puoi avere due centri: o Lui o il tuo io.
Cris: Siamo nelle tenebre, ma abbiamo speranza nella Luce.
Luigi: Certo, abbiamo speranza,
perché Dio opera anche nelle nostre tenebre.
Fabiola: Non separare nulla da Dio.
Silvana: In ogni cosa c’è la Misericordia di Dio che cerca di
recuperarci.
Pinuccia A.: La vita dell’uomo sta nella conoscenza della
Verità.
Luigi: Certo, lì sta la
luce e nella luce sta la vita.
Franca: Gesù dice: “Le mie parole sono spirito e vita”
(Gv 6,63).
Rita: La luce di Dio che risplende nelle mie tenebre è
talmente grande che se io non la voglio accogliere il difetto è tutto mio.
Pinuccia B.: Se
voglio vivere mi è stato segnalato dov’è la vita: nel verbo “raccogliere” che
significa accogliere tutto da Dio e riportarlo in Dio per capirlo da Lui.
“Vi fu un uomo mandato da Dio”
Nella voce di tutte le creature c'è la voce di
Dio; nelle parole degli uomini c’è la Parola di Dio. Dio parla nelle parole degli uomini e fa
sentire la sua voce nella voce delle creature; pure la Sua voce non si confonde
mai con la voce delle creature e la sua
Parola non si identifica mai con le parole degli uomini.
Nella Parola di Dio è la ragione e la
spiegazione dei tanti problemi della vita, poiché Dio è Luce e presso di Lui non
vi sono le tenebre. La luce si testimonia da sé, perché illumina ogni altra
cosa e non ha bisogno di essere testimoniata.
La Parola di Dio ci rivela il senso del mondo
e dell'uomo, risponde cioè al nostro problema principale. In essa è il senso
della vita e l'annuncio di ciò che dobbiamo mettere prima di tutto per evitare
di vivere invano. Si può infatti vivere invano, e si vive realmente invano
quando non si tiene conto della Parola di Dio.
Essa è parola di vita che l'uomo deve
raccogliere con cura e meditare e intendere personalmente per sé, poiché Dio
parla personalmente ad ogni uomo e per ogni uomo, e solo quando l'uomo applica
personalmente a sé la Parola di Dio,
solo allora incomincia a vivere ed a liberarsi dalla vita vana del
mondo.
È la Parola di Dio che libera; essa raccoglie,
pulisce, orienta, illumina, unisce, fa vivere.
La Parola di Dio è acqua, luce, fuoco, spirito, vita.
“La Tua Parola, Signore, è lampada ai miei
passi", ci insegnano i Salmi
(Sal 119,105). L'uomo da solo non è luce ai suoi occhi, né ha luce per
camminare. L'uomo da solo non può né
liberarsi né liberare dalla schiavitù alle cose vane che rendono triste e vuota
ogni vita.
La Parola di Dio ascoltata e capita ci fa
prendere coscienza di quello che Dio è e di quello che noi siamo (solo
conoscendo Dio possiamo conoscere l'uomo) e di quello che dobbiamo volere per
giungere anche noi a vedere la Verità. In realtà l'uomo non vede la Verità e
tutto il suo parlare è scritto sulla sabbia, prontamente cancellato dall'ondata
successiva. La Verità nell'uomo è a livello di promessa e di progetto,
subordinato a certe precise condizioni.
Se poi siamo attenti e approfondiamo le
lezioni contenute nelle Parole di Dio, scopriamo che tanto le sue Parole quanto
il linguaggio delle lezioni della vita, degli avvenimenti, dell'universo,
dicono la stessa cosa, per cui l'universo, la vita e la Parola di Dio rivelano
l'opera di Uno solo.
In realtà Uno solo è Colui che parla ed Uno
solo è Colui che opera in tutto. Per
questo in tutto, sia nelle parole di Dio che nelle sue opere, si rivela uno stesso Spirito, che è
nello stesso tempo sapienza e bontà, bontà e severità, giustizia e
Misericordia, esigenza e pazienza, amore e autorità, libertà e disciplina,
semplicità e profondità, universalità e singolarità, presenza e assenza,
immanenza e trascendenza, interiorità ed
esteriorità.
L'universo è un'aula in cui Dio tiene le sue
lezioni per gli uomini, e per ogni uomo personalmente. Se siamo attenti ad
ascoltare, a meditare e ad approfondire le sue lezioni, Egli ci conduce a
vedere la sua Verità sempre più vicina, sempre più presente, sempre più intima,
fino a darcene il possesso, ché Dio opera per donarsi all’uomo.
Giungiamo così a scoprire che Uno stesso
Essere parla in tutto e opera in tutto per dialogare con i nostri pensieri, i
nostri desideri, con i nostri errori, con le nostre dispersioni e confusioni, e
anche con i nostri atti superbi e stolti che facciamo ogni volta di fronte a
tutto questo universo immenso quando ci crediamo di essere il centro delle cose
e i padroni della vita, ed è una stoltezza, come se dicessimo di essere noi i
padroni delle stelle e delle galassie.
Chi non è padrone delle galassie non è nemmeno
padrone di un sassolino, né di un filo d'erba, né della vita sua o degli altri:
non è padrone di niente, ed a vantarsi di essere padrone ci fa una ben magra
figura, come quella lucciola della favola, che, superba del suo barlume
intermittente, invitava il sole a spegnersi: intanto ci sarebbe stata lei a provvedere. Per essa
il sole era una sovrastruttura di cui si poteva fare a meno.
Qualcuno si stupisce del silenzio di Dio di
fronte a tante parole superbe e vane degli uomini; ma il sole non ha bisogno di
parlare per confutare le parole della lucciola. E gli uomini sono soltanto
lucciole, chiamate a osservare umilmente e possibilmente a riconoscere, con
l'aiuto del Maestro, il senso e il
valore dell'opera di Dio, il vero Signore e padrone delle galassie, delle
stelle, della terra, degli uomini, della vita, di tutto.
(I – 10.11.1976)
Il Regno di Dio è annunciato a tutti gli
uomini; annunciato, non manifestato; quindi è proposto a tutti. Se il Regno di
Dio è proposto, ognuno deve sforzarsi di capirlo e di entrarvi: è una realtà
spirituale più vera delle cose materiali del mondo che vediamo.
Il più grave errore che l'uomo possa fare è di
non tener conto di Dio in tutti i suoi problemi. È autocondannarsi al fallimento totale, sia
come vita, sia come conoscenza.
Di fronte ai nostri programmi senza Dio, alle
tante nostre parole, ai nostri discorsi, ai nostri progetti come se tutto
dipendesse dalle iniziative degli uomini, c'è tutta la platea dell'universo che
trattiene a stento le risa per la nostra stoltezza. Facciamo infatti la figura di allievi tonti,
che non solo non hanno capito niente della lezione principale del Maestro, ma
si ritengono essi i maestri.
Due sono le azioni del Maestro in quest’aula
in cui ogni uomo viene a nascere ed a vivere, ed in cui Colui che insegna è Dio
stesso. C'è l'azione di insegnamento
vero e proprio con la quale il Maestro annuncia, rivela e spiega i misteri del
suo Regno per rendere gli allievi partecipi della Verità e della Vita. E c'è
l'azione con cui il Maestro richiama, rimprovera, minaccia, urla, castiga gli
allievi per riportarli all'attenzione della sua Parola (il suo Verbo), per
farli tacere dal loro vociare vano e disordinato, per farli scendere dagli
sgabelli su cui salgono per darsi importanza, per ricondurli nel silenzio che
ascolta.
Quando l'uomo rifiuta l'attenzione e
l'ascolto, rifiuta la Luce, rifiuta il Maestro.
Questo accade quando in tutto ciò che l'uomo pensa, dice, opera, non
tiene conto di Dio. Di qui la necessità di un'azione per riportarlo
nell'ascolto, poiché è solo qui ch'egli si forma e impara a vivere nella
Verità. Se fosse lasciato nelle sue chiacchiere o nelle chiacchiere degli
altri, morirebbe in pochissimo tempo. Ma
Dio opera ogni cosa per richiamarlo all'essenziale.
C'è dunque la Verità che parla di Sé, ed è
Vita, e c'è la Verità che parla ed opera per richiamare l'attenzione a Sé, per
ricondurre gli uomini dalle dispersioni nelle loro chiacchiere alle condizioni
di ascolto. C'è la Verità che parla, e c'è la Verità che educa all'ascolto di
ciò che Essa dice.
L'ascolto infatti ha le sue condizioni. La
principale è il silenzio, che deriva dal superamento del pensiero di noi
stessi, dei nostri interessi, delle nostre ambizioni, del nostro mondo;
silenzio che è umiltà, povertà, coscienza del proprio niente. Chi non ha
superato il pensiero di sé, è sempre un chiacchierone.
Ciò che Dio fa per richiamare l'attenzione e
per riportare l'uomo nella sua dimensione di allievo e non di maestro, e quindi
di attenzione e di silenzio, non è ancora la lezione vera, ma è l'introduzione
ad essa: è la condizione per l'accoglimento e l'intelligenza del Verbo.
Il Maestro che svolge la lezione è il Verbo di
Dio che parla agli uomini per rivelare loro il Padre. Il Maestro che richiama
al silenzio ed all'attenzione è tutta l'opera di Dio significata nell'Antico
Testamento: è la Legge, sono i Profeti, è la coscienza dell'uomo, sono le
lezioni e le tempeste della vita, è la situazione esistenziale dell'uomo, sono
tutte quelle forze contrarie che si scatenano contro l'uomo facendogli scendere
la notte nell'anima non appena si distrae dall'ascolto di Dio, non appena si
allontana dalla sua vita essenziale.
Dio ha posto i suoi segnali di allarme e di
richiamo su tutte le strade sbagliate sulle quali gli uomini si avviano quando
deviano dalla strada vera.
Tutta quest'opera di richiamo e di ricupero
dell'uomo all'attenzione essenziale, è sintetizzata nella figura di Giovanni il
Battezzatore, l'ultimo e più grande dei profeti, di cui è detto: "Vi fu
un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere
testimonianza alla Luce, affinché per mezzo di lui tutti credessero. Non era lui la Luce, ma venne per rendere
testimonianza alla Luce". La
Luce manda le sue testimonianze e i suoi richiami: è una informazione che
troviamo nel mondo della nostra esistenza e che pertanto va osservata con
attenzione. È pericoloso non leggere o non saper leggere i segnali posti sulla
strada.
Quella informazione la leggiamo nel prologo
del Vangelo di S. Giovanni, subito dopo la prima parte conclusasi con un
fallimento: la Luce in cui era la vita degli uomini e per la quale tutto è
stato fatto affinché gli uomini potessero riconoscerla, amarla, accoglierla,
seguirla e così vivere, questa Luce non è stata compresa: "La Luce
risplende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno compresa". Accade nella vita di ogni uomo.
È su questo sfondo di rifiuto che si inserisce
la figura di Giovanni Battista, per ricuperare le tenebre che hanno rifiutato
la Luce.
(II - 17.11.1976 - continua)
(articoli pubblicati da “La Fedeltà” , scritti
da Luigi Bracco)