Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco
davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. Natanaèle gli domandò: “Come mi
conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto
quand’eri sotto il fico”. Gli replicò Natanaèle: “Rabbì; tu sei il Figlio di
Dio, tu sei il re d’Israele!”. Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti
avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”Poi gli
disse: “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di
Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”».Gv 1 Vs 47-51 Primo
tema.
Titolo: Vedrete i cieli
aperti
Argomenti: Il cielo è presenza di Dio. Dio viene a noi attraverso le cose
più umili. Lasciare per vedere. Natanaele. L’identità tra il nostro
pensiero e il Suo Pensiero ci fa individuare il Messia. Vedere il cielo aperto è vedere la
presenza di Dio. La novità e la tradizione. La lettera e lo spirito. Riconoscere la presenza di Dio
in tutte le cose.
29/Agosto/1976
Dall'esposizione di Luigi Bracco:
Siamo giunti alla
conclusione del primo capitolo del Vangelo di San Giovanni; oggi ci fermeremo
sull’ultima frase: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e
discendere sul Figlio dell’uomo”.
Confrontiamo questa frase
con l’inizio del Prologo: “In principio era il Verbo”. A suo
tempo, commentando questo versetto, abbiamo detto che era la presentazione di
una situazione passata e poi abbandonata, “era” perché è una
situazione vera che gli uomini hanno trascurato.
Attraverso le vicende che
abbiamo incontrato in questo primo capitolo, siamo giunti alla conclusione in
cui vi è questa promessa: “Vedrete il cielo aperto”, siamo cioè
partiti da una visione passata, ma poi, incontrando Gesù, Gesù stesso ci
proietta ora verso una situazione futura.
Prima eravamo rivolti
indietro, incontrando Gesù, attraverso le vicende di Giovanni Battista che
segnalano il Messia, andando dietro Lui, scoprendo “dove” Lui abita, ecco che
Gesù apre la nostra anima verso un futuro, verso un orizzonte che è infinito: “Vedrete
il cielo aperto…”.
Parlare di cielo aperto
fa subito sorgere il pensiero del cielo chiuso. Cosa si intende per cielo
aperto e cosa per cielo chiuso?
Nella situazione
precedente, “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo
era Dio”, in quanto è detto “era”, ci è presentata una situazione di
cielo chiuso in cui il Verbo che parla a noi di Dio, poiché il Figlio fa
conoscere il Padre, dicendo “era” giustifica la situazione in cui tutti
gli uomini vengono a trovarsi: la situazione di un cielo chiuso, di “non più
conoscenza di Dio”. Come mai non c’è più questa conoscenza di Dio? Quel “era”
è la risposta.
In seguito abbiamo
approfondito l’azione di recupero dell’uomo in questa situazione di cielo
chiuso e attraverso questo recupero ci troviamo con Gesù che dice: “Vedrete
il Cielo aperto…” riportando così l’uomo in una situazione di apertura
verso il Cielo, e così termina il primo capitolo.
·Cielo chiuso vuol dire impossibilità di
conoscere Dio,
·Cielo aperto vuol dire possibilità di
conoscere Dio.
Il cielo è presenza di Dio,
quindi quando ci troviamo in una situazione in cui non vediamo la presenza di
Dio, per noi il cielo è chiuso e allora siamo lontani, ci sentiamo soli nella
notte in cui si trova ogni uomo quando non vede Dio.
Essendo l’uomo fatto per
la presenza di Dio, tutte le volte che questa presenza gli viene a mancare, si
trova nella notte, si trova in una situazione di cielo chiuso.
La promessa: “Vedrete
il cielo aperto” è la promessa di Pentecoste.
Questa promessa Gesù la
fa a Natanaèle, il quale è chiamato da Filippo. Nei versetti precedenti abbiamo
meditato su quel passo: “Colui di cui hanno scritto Mosè nella Legge e i
Profeti, noi l’abbiamo trovato: é Gesù figlio di Giuseppe di Nazareth”.
Di fronte a questa informazione di Filippo, Natanaèle risponde: “Da Nazareth,
può mai venire qualcosa di buono?”.
Teniamo presente che
Natanaèle era di Cana; Cana era a sei, sette chilometri da Nazareth, quindi
molto vicina a Nazareth. Evidentemente dicendo “…è Gesù figlio di Giuseppe
di Nazareth” ad uno di Cana, lo informava di un personaggio che conosceva;
forse non conosceva Gesù, ma certamente conosceva Giuseppe di Nazareth che era
il fabbro, il falegname del paese, quindi un uomo conosciuto.
L’affermazione “…Colui
di cui ha parlato Mosè, è Gesù di Nazareth”, suscita il dubbio di Natanaèle
“Da Nazareth può venire qualcosa di buono?”
Intanto questo ci fa
intuire che Dio ci sorprende sempre, perché effettivamente il Salvatore
doveva venire da Betlemme mentre Gesù arriva da Nazareth.
Nazareth era un paese
qualunque, insignificante e questo per insegnarci che attraverso le cose più
umili, attraverso le cose che noi maggiormente trascuriamo, che per noi sono
più insignificanti, Dio viene a noi, la salvezza ci visita (se noi non facciamo
i superbi e la disprezziamo), perché noi siamo portati a prendere a calci le
cose più umili, per noi insignificanti, siamo portati a dire “…può esserci
qualcosa di buono?”.
“Se venisse da Betlemme…”, cioè qualificato con le garanzie della
Scrittura, “ma viene da un paese insignificante!”. È come quando Gesù
entra a Gerusalemme a dorso di un asinello.
Il Signore adopera i
mezzi più poveri, più umili per entrare nella nostra vita, nella nostra anima;
anche quando nasce tra noi, nasce in una notte, senza che nessuno se ne accorga
e ad un certo punto ce lo troviamo lì, tra noi.
Di fronte alla risposta
di Natanaele “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?”, Filippo
dice “Vieni e constata!”, “Vieni e vedi!”. La rettitudine, l’onestà di
Natanaele sta nel fatto che, nonostante lui avesse detto “Da Nazareth può
venire qualcosa di buono?”, va a vedere, non si irrigidisce nel suo
giudizio; va e constata, non ha il preconcetto di dire: “Tu sei di Nazareth”,
così arriva a dire “Tu sei il re d’Israele, sei il Figlio di Dio!”.
Natanaele percorre il
tratto di strada che intercorre tra quel
“Vieni e vedi” e il giungere a vedere. Anche quando Gesù dice “Venite
e vedete!”, rivela l’anima di tutto il nostro cammino perché tra quel “Venite”
e il giungere a vedere, c’è quel tratto di strada nel quale noi ci perdiamo.
Fin dall’inizio della
creazione siamo chiamati da Dio ad andare a vedere, ma l’andare richiede sempre
un distacco da -, altrimenti non si parte.
Abramo è stato chiamato
ad andare: “Lascia la tua terra e vieni e vedi, …vieni là dove io ti
indicherò…”.
Tutta l’anima della
formazione dell’uomo sta in questo “Vieni e vedi”, il vieni
arriva a tutti, perché tutti siamo chiamati dalla Parola di Dio, la quale
giunge a tutti, giunge nella notte di ogni uomo e ad ogni uomo dice “Vieni…”.
Il Signore manda a chiamare
gli invitati alle nozze su tutte le strade del mondo, non tutti però
giungono al pranzo, perché per giungere a questo convito bisogna percorrere un
certo tratto di strada, cioè bisogna distaccarci da tutto il nostro mondo.
Questa azione di
distacco è un’azione continua di tutti i giorni, anche se avessimo già conosciuto Dio, anche se credessimo di essere
nella Verità, c’è sempre questo tratto di strada da percorrere. Tutti i giorni
noi riceviamo dei messaggi da parte di Dio in cui continuamente Lui ci dice: “Vieni e vedi!”
Che ci sia qualcosa di
infinitamente superiore da vedere di quello che attualmente vediamo, è
annunciato in quest’ultima frase “Vedrete il cielo aperto…”.
Il cielo aperto è una
conoscenza aperta all’infinito, che non si esaurisce mai e pertanto richiede
sempre da noi questo superamento.
Si va di conoscenza in
conoscenza verso una conoscenza sempre più infinita e nello stesso tempo sempre
più intima e sempre più personale.
Che sia una conoscenza
sempre più personale ci viene rivelato con il distacco di Natanaele da un suo
preconcetto per ubbidire a Filippo, per
andare dietro alla chiamata; egli ha rispettato la vocazione che gli giungeva come Parola di Dio e andando,
quale fu la sua sorpresa?
La sua sorpresa fu
questa: Gesù, vedendolo disse: “Ecco un vero Israelita in cui non c’è
falsità!”. Natanaele rispose “Da che cosa mi conosci?”. Ad un certo
momento Gesù entrò nell’intimo di Natanaele perché dicendogli “Prima che
Filippo ti chiamasse io ti ho visto quand’eri sotto il fico”, ha rivelato
che lo conosceva personalmente: la situazione è completamente capovolta, cioè Gesù
è entrato di colpo nella sua vita.
Teniamo presente che
il Signore conosce coloro che lo conoscono, infatti di fronte alle vergini
stolte che bussano alla porta chiusa, perché sono arrivate tardi risponde “Non
vi conosco…”, invece qui Gesù risponde “Ti ho visto…” cioè “Ti ho
conosciuto…”.
Il Signore dice, in un
altro versetto: “Coloro che arrossiscono di me, di fronte al mondo, anch’io arrossirò
di loro di fronte al Padre mio…”, cioè mi vergognerò di loro, non li
conoscerò.
Ci rivela che in quel
momento, cioè sotto il fico, Gesù l’ha conosciuto, infatti in quel tempo e in
quei luoghi, quando uno voleva raccogliersi nel silenzio e nella meditazione,
si sedeva sotto un albero. Gesù gli rivela di averlo visto in quella
meditazione solitaria e Natanaele si è visto conosciuto, per cui c’è stata una
identità tra ciò che egli pensava sotto
il fico e Gesù che adesso gli dice “Io ti ho visto…”
“Ti ho visto perché tu
mi hai visto…”,
cioè gli rivela e fa capire a noi, che quando pensiamo Dio, Dio vede noi; cioè non siamo noi a vedere Dio ma è Dio che
vede noi!
Non siamo noi a pensare
Dio ma è Dio che pensa noi, per cui ci dice: “Quel giorno in cui pensavi a
me, Io pensavo a te!”
Noi avremo questa
sorpresa ed avendo questa sorpresa diremo “Ah, tu sei il Signore!”.
L’identità tra il nostro pensiero e il Suo Pensiero ci fa
scoprire, ci fa individuare il Messia. Perché abbiamo detto molte volte che la condizione per
poter scoprire la salvezza di Dio è portare già dentro di noi la sua immagine,
il suo volto. Soltanto quando si forma questa identità tra il nostro pensiero e
il Pensiero di Dio, scatta la sorpresa, la conoscenza, per cui il pensiero che
portiamo in noi è confermato da Colui che incontriamo.
Notiamo però che
Natanaele dice: “Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”
per un fatto veduto, perché “…ti ho visto sotto il fico”; però Gesù fa
una promessa “…vedrai cose più grandi di queste” ed assicura a tutti i
suoi discepoli quello che vedranno “…vedrete
il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.
Quindi Natanaele ha
constatato per un fatto accaduto in passato, in cui ha trovato la conferma;
constatando di essere stato conosciuto, lo conosce, ma questa conoscenza non si
esaurisce lì.
Non è che si conosca e
poi basta, ma si passa attraverso diverse conoscenze:
·la
prima è quella di Giovanni Battista che dice: “Ecco l’Agnello di Dio”,
·la seconda conoscenza è quella dei primi due
discepoli che lo seguono e scoprono “dove” Gesù abita; (conoscenza che deriva
dal luogo in cui Egli abita, cioè dall’amore che Egli porta dentro di Sé, la
conoscenza dall’alto, dal Padre);
·la terza conoscenza che è promessa.
Questi discepoli hanno
già una conoscenza di Gesù: “Tu sei il Messia, tu sei il re d’Israele”
(è già il Signore che lavora con le anime), che a noi sembra già sufficiente,
abbiamo trovato il Messia, stiamo con Lui, invece Lui ci promette un’altra
conoscenza.
Notiamo che di fronte a
questa affermazione Gesù, visto che Lui era il Salvatore d’Israele, avrebbe
dovuto dire a Natanaele: “Va bene, hai constatato la verità, adesso stai con
me ed Io ti farò felice! Vi farò potenti! Vi farò trionfare!”, invece fa
una promessa strana: “…vedrete…”.
Gesù non promette né
felicità, né gioia, né potenza, né liberazione, promette una conoscenza; però se riflettiamo, notiamo che questo è
l’unico vero bisogno che hanno tutti gli uomini, vedere, perché quando l’uomo
vede tutto si risolve.
Gli uomini sono ammalati,
soffrono e si rendono schiavi di tutte le creature perché non vedono Dio,
perché non toccano la Verità e allora restano in balìa degli avvenimenti; per
cui una cosa sembra buona, ma poi bisogna sconfessarlo perché un’altra sembra
migliore e così, a seconda delle impressioni, noi siamo ondeggianti perché non
abbiamo la luce dentro di noi.
Quando non si vede si è
come l’assetato che, non trovando la sorgente, deve dissetarsi a tutte le
pozzanghere, così noi stessi restiamo avvelenati, inquieti, insoddisfatti e in
balìa di tutti gli avvenimenti, schiavi di tutto.
L’uomo quindi si trova in
questa notte, non vede la Verità, come il cieco di Gerico mendicante sulla
strada della vita, e non vedendo è in balìa di tutto, per cui l’unico vero suo
bisogno è: “Signore che io veda!”
Trovando il Messia
troviamo Uno che ci promette ciò di cui maggiormente abbiamo bisogno e che ci
risolverà tutto: “Vedrete il cielo aperto”.
“Vedere il cielo aperto” è tutto dato, si ottiene tutto!
“Vedere il cielo aperto” vuol dire vedere la Presenza di Dio, vedere
cioè questo centro a cui tutto si riferisce; vedere Dio presente in tutte le
cose, vuol dire non avere più la visione delle cose staccate da Dio, per parti,
ma è vedere l’universalità di tutte le cose ed avere la possibilità di
armonizzare tutto in Dio; quindi di non essere più in balìa di un qualche
avvenimento non rapportato a Dio, perché
vedendo il cielo aperto, cioè vedendo la presenza di Dio, vedendo Dio
come centro di tutte le cose, si ha la possibilità di armonizzare tutto con
questo centro, e di essere, di conseguenza, liberati dalla paralisi.
Quando non si vede la
presenza di Dio, siamo portati via da ogni cosa e restiamo paralizzati, perché
restiamo nell’incapacità di unificare i segni, gli avvenimenti, le creature con
il Centro; per cui non avendo questa possibilità, è sufficiente leggere una
parola per restare paralizzati come mente, come anima in quanto manca a noi
questa visione della presenza di Dio.
La grande liberazione si
ha con la scoperta della presenza di Dio, quindi del Centro a cui tutte le cose
si riferiscono e da cui tutte dipendono; qui abbiamo la possibilità della liberazione dalla
paralisi, cioè qui l’uomo diventa signore della sua stessa mente, è libero, non
è più schiavo.
Quando uno ha un problema
o un pensiero superiore a se stesso, resta paralizzato perché non sa come
uscirne, come risolverlo; quando invece vede la possibilità di arrivare alla
soluzione, si sente libero perché vede la strada e anche se ci vorrà del tempo,
è in cammino verso, non è più paralizzato.
L’episodio della
liberazione del paralitico, che rappresenta la situazione dell’uomo, ci
conferma l’effetto dell’incontro di Cristo con la nostra paralisi interiore:
Gesù apre il cielo davanti ai suoi occhi.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Eligio: Com’è possibile per Natanaele il passaggio da
scettico nei confronti di Gesù, alla dichiarazione aperta: “Tu sei il Figlio
di Dio!”?
Luigi: Tieni presente che Gesù dice di Natanaele: “Ecco
un vero israelita in cui non c’è falsità, né artificio alcuno!”. Un vero
israelita in cui non c’è artificio, non c’è ipocrisia, non c’è doppiezza.
Dicendo “…vero israelita…” sottolinea una caratteristica importante
perché Gesù bada molto all’autenticità, infatti griderà contro gli
Israeliti ipocriti: “razza di vipere, sepolcri imbiancati”; Lui che non
ha condannato né l’adultera, né Zaccheo, ecc., ha avuto delle parole durissime
verso questa ricerca della figura, verso l’ipocrisia, la doppiezza, verso questa
esteriorità, questa religiosità apparente.
Dicendo “vero
israelita”, vuol dire uno che non si accontenta, che non cerca
l’esteriorità, la figura, cioè uno che porta in sé il vero problema, perché
Israele rappresenta l’uomo che è impegnato da Dio. Dio cambia il nome a
Giacobbe perché questi ha lottato con Dio, è l’uomo forte con Dio: Is = l’uomo, Ra = forte (che corre, che è
impegnato), El = Dio. Quindi dicendo questo di Natanaele è come se dicesse:
“Ecco un uomo che è veramente impegnato con Dio!”. Intanto lui gli dice: “Da
che cosa mi conosci?”, non sta alla parola! Gesù dicendo: “Ecco un vero
israelita!” ha esaltato Natanaele! Questo ci fa capire che basta che noi
facciamo un piccolo passo verso Gesù, come ha fatto Natanaele (perché lui
sapeva che da Nazareth non poteva venire niente di buono, però è andato a
vedere una cosa per lui assurda: il Messia non doveva arrivare da Nazareth, ma
da Betlemme!) e subito Gesù ci accoglie confortandoci.
Eligio: Però Gesù ha dato risposte più dure a domande
molto più corrette di questa!
Luigi: Ma guarda che Natanaele aveva ragione a dire:
“Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?”, perché il “buono” doveva
venire da Betlemme! È un vero israelita perché segue le Scritture, cerca Dio
nelle Scritture, per cui non si accontenta di quello che possono dire sacerdoti
o autorità, è uno che è personalmente impegnato. È come se dicesse: “Le
promesse sono ben altre, cosa mi venite a raccontare?”
Eppure, nonostante
questo, è andato; è il fatto di andare che è importante, lui ha fatto un
piccolo passo, non si è rifiutato. Anche la gente del suo stesso paese ha
rifiutato Gesù, infatti non ha potuto fare nessun miracolo, ed erano del suo
stesso paese. Perché?
Perché non hanno
accettato la novità che portava Gesù, perché volevano rispettare la loro
tradizione, siamo noi quando ci irrigidiamo nei nostri schemi.
Se c’è una cosa che ci
impedisce di arrivare alla Verità è proprio l’irrigidimento nei nostri schemi,
anche se schemi sacrosanti e religiosi; il conflitto principale tra i sacerdoti
e Gesù, è stato sul campo religioso, il Sabato, sulla Legge istituita da Dio,
che è una cosa sacra.
Noi istituzionalizziamo
le nostre tradizioni, le nostre interpretazioni, la Parola stessa di Dio e ci
fossilizziamo lì; invece la Parola di Dio è un’apertura continua, è un
superamento continuo, tanto continuo che quando Natanaele dice, e penso che
abbia detto il massimo, “Tu sei il re d’Israele, tu sei il Figlio di Dio!”,
Gesù non si accontenta di questa definizione. Avrebbe potuto dire “bene!”, come
quando Pietro gli dice: “Tu sei il Figlio di Dio!” e Gesù risponde “Beato
te Pietro, perché né la carne né
il sangue te lo hanno rivelato…”; Gesù invece qui non si accontenta e dice
“Vedrai ben altro!!!”.
Cioè la Parola di Dio ci
impegna e ci chiede un superamento continuo nella stessa Parola di Dio, per cui
non dobbiamo mai istituzionalizzare, né trasformare in regola. Per cui se io
prendo la Parola di Dio e ne faccio una regola, una regola di vita, esco fuori
da Dio, esco dal cammino della vita, perché proprio la Parola di Dio mi impegna
in questa superamento continuo nello Spirito, a questa ricerca continua di Dio,
e più c’è questa ricerca di Dio e più c’è questa intimità con Dio, c’è questo
entrare nel cielo di Dio.
Bisogna sempre scindere
nella Parola la lettera e lo Spirito, la Parola di Dio è sempre una proposta,
lo Spirito ci sospinge, la lettera invece ci rende statici.
Lo Spirito ci impegna ad
un superamento, è una proposta “Vieni e vedi! Vieni e vedi! Vieni e vedi!
non fossilizzarti in quello che hai conosciuto, in quello che possiedi! Va
oltre!”, ci sospinge continuamente ad andare oltre!
E quando scopri il
Messia, il Messia stesso ti dice ancora “Va oltre! È necessario che Io me ne
vada…”, dovete andare oltre “…altrimenti lo Spirito di Verità non può
venire”!
Tutta l’anima del Vangelo
è questo continuo “Vieni e vedi!” in tutte le parole e se noi vogliamo
restare nello Spirito dobbiamo sentire in ogni parola del Vangelo questo “Vieni
e vedi!”, cioè è sempre questo non fermarti alla lettera ma “Vieni e
vedi!”, c’è qualcosa di più, vai avanti!
Natanaele, che è un vero
israelita, quindi uno che è impegnato con Dio (Israele = che porta in sé la
rivelazione del vero Dio: “Io sono Colui che è”, quindi impegnato con
Dio), viene invitato dal “Vieni e vedi!”, cioè dalla Parola di Dio; fa
il primo passo verso il Signore e viene esaltato dal Signore stesso; però a
Natanaele questa esaltazione non basta.
Se Natanaele avesse avuto
il pensiero del suo io al centro, avrebbe dato una scrollatina di ali vedendosi
confermato, invece Natanaele non si è fa impressionare da questo fatto,
piuttosto chiede: “Ma come fai a conoscermi?”; fino a tal punto
lui si tiene riservato e non si lascia esaltare. Vuole capire come Gesù lo
conosce e qui avviene qualcosa di intimo: “Prima che Filippo ti chiamasse,
io ti ho visto quand’eri sotto il fico!”, non è un fatto esterno, non è che
Gesù l’abbia visto sotto il fico, perché tutti quelli che passavano lo potevano
vedere sotto il fico! Natanaele si è sentito toccato in qualche cosa di intimo,
di personale, per cui immediatamente passa dallo scetticismo alla situazione
opposta. Questo vuol dire che in quella frase che Gesù gli ha detto: “Ti ho
visto sotto il fico..”, lui si è sentito conosciuto, c’è stato un aggancio
personale, si è sentito trattato personalmente. Non c’è niente qui di
esteriore! C’è solo un pensiero che Natanaele portava dentro di sé, che nessuno
conosceva, per cui si è visto conosciuto in quella cosa intima che lui portava
dentro di sé e sulla quale si era soffermato quando era sotto il fico.
Evidentemente era il
problema del Messia, del Cristo, perché Gesù dice: “Io ti ho visto…”;
quindi vuol dire che Natanaele ha visto il Messia nella sua meditazione, qui si
è visto conosciuto.
Per cui abbiamo avuto
l’identità di pensiero e in questa identità di pensiero personale dice: “Tu
sei il Messia!”, è scattata la scintilla.
Dunque non va inteso come
se Gesù l’avesse visto riposare sotto il fico, come un fatto esteriore; è stato
un fatto personale.
Natanaele, come dico, è
un tipo diffidente verso tutte quelle che possono essere le esaltazioni del
momento. Gesù avrebbe potuto considerare Filippo, Andrea, Pietro, coloro che
aveva prescelto, invece sceglie Natanaele proprio per questa sua caratteristica.
Eligio: Quand’è che noi domandiamo al Cristo: “Come
mi conosci?”
Luigi: Avviene quando noi scopriamo che un nostro
pensiero è pensato da Dio, cioè quando ci troviamo pensati da una parola stessa
di Gesù, quando troviamo l’identificazione di un nostro problema nella parola
stessa di Gesù, per cui ci troviamo compresi e conosciuti.
Eligio: E che bisogno abbiamo di trovare la conferma?
Luigi: No, noi qui non troviamo più la conferma; la
conferma la troviamo prima quando Gesù dice: “Ecco un vero israelita…”, questa
è la conferma.
Gesù conferma la nostra
via, per cui ad esempio quando l’anima scopre che siamo stati creati per
conoscere Dio e aprendo il Vangelo trova Gesù che dice che dobbiamo conoscere
Dio prima di tutto, si sente approvata. In questa approvazione ha fatto il
primo passo: “Vieni e vedi…”, ma non c'è ancora un rapporto personale.
Qui sorge l’interrogazione: “come mi conosci?”.
Fintanto che Gesù ci
conferma che il cammino che abbiamo iniziato è un cammino “suo”, vero, giusto,
per cui dice: “Ecco uno che ha scelto bene!”, ci sentiamo approvati ma
non c’è ancora la conoscenza intima; la conoscenza intima scatta quando
scopriamo che quello che noi pensiamo è pensato da Dio. Quand’è che noi
possiamo dire a Cristo: “Tu sei tutto per me!”? Quando scopriamo che Lui
ci conosce in questo rapporto personale.
Eligio: Quand’è che capiamo che abbiamo iniziato un
rapporto nuovo di conoscenza?
Luigi: Quando scopriamo che quel cammino che abbiamo
iniziato, non l’abbiamo iniziato noi, ma è Lui che l’ha iniziato in noi; per
cui Lui dice: “Io ti ho visto…”.
Prima credevamo di essere
noi bravi perché “Dio dal cielo scruta per vedere se c’è un uomo
intelligente che Lo cerchi”, quando vede un’anima che cerca il Signore
dice: “Ecco un vero israelita! Ecco uno che cerca il Signore!”, lo
conferma; ma qui non c’è ancora il rapporto personale, questo scatta
quando scopriamo che questa iniziativa non è stata iniziativa nostra ma è Lui
che ci ha presi. Qui entriamo nell’intimità perché il pensiero non è più
nostro ma suo.
Eligio: Noi avvertiamo che la strada che abbiamo
imboccato è quella buona, come è successo a Natanaele?
Luigi: Sì, perché troviamo la conferma; perché prima
sorge come problema dentro di noi come possesso di vita, come giustizia, come
impegno; poi troviamo l’approvazione da parte del Cristo “Ecco un vero
israelita…”, questa è la strada che dovrai percorrere. Qui siamo sempre in
un rapporto: Lui – io, per cui andiamo alla ricerca “Come mi conosci?”.
In questa ricerca scopriamo
che l’iniziativa non è stata nostra, ma è Lui che ci ha presi: qui entriamo
nell’intimità, il pensiero non è più il nostro ma è il Suo.
Eligio: Di qui inizierebbe un ulteriore e approfondito
processo di conoscenza e di amore con Lui, per il quale Lui dice: “Vedrete
il cielo aperto…”.
Luigi: Qui ci promette un futuro, cioè a questo
punto Lui non ci lascia soddisfatti di quello che abbiamo trovato, ma ci
orienta ad una meta superiore, perché a sua volta dice: “Vieni e vedi…Io ho
qualcosa di più grande da farti vedere! Tu hai visto perché hai ubbidito al
primo “vieni e vedi” che ti ho fatto giungere attraverso Filippo, adesso che
hai incontrato Me, Io ti dico: vieni e vedi!”; ci orienta verso un
orizzonte nuovo con Lui, che è qualcosa di diverso dall’abitazione che hanno
visto i primi due discepoli ascoltando la conversazione di Gesù. Conversando,
Lui li ha portati a vedere dove abitava, qui promette un cielo aperto, promette
quello Spirito di Verità che ci condurrà a vedere tutta la Verità; perché noi
siamo qui in terra con il cielo chiuso, mentre il cielo aperto è questa visione
della presenza di Dio in tutto.
C’è una conoscenza per
fede, alla quale arriviamo ascoltando Lui che ci conduce a vedere, a constatare
la sua Verità, il luogo in cui Egli abita, ma è Lui che ci conduce a vedere,
non siamo ancora entrati, non possediamo ancora la conoscenza.
Quando Gesù ha parlato,
ad esempio dello Spirito di Verità, ha parlato del Padre, non è che i discepoli
fossero entrati; c’è una differenza tra la conoscenza che ha Gesù e la
conoscenza che hanno i discepoli ascoltando. Ascoltando Gesù si sente, si
segue, si capisce fino ad un certo punto, ma non si vedono questi cieli aperti.
Lui promette che si
arriverà a vedere i cieli aperti e gli angeli di Dio salire e scendere sul
Figlio dell’uomo, cioè a vedere la presenza di Dio in tutte le cose.
Ritroviamo qui la visione
della scala di Giacobbe che collegava la terra con il cielo e gli angeli di Dio
che salivano e che scendevano su questa scala; direi che è stata una
semplificazione per farci capire l’unificazione tra la terra e il cielo, come
tutto sia opera di Dio, come Dio sia presente in tutto. Questo è un po’ il
problema degli uomini che vedono la frattura tra la terra e il cielo.
Il Signore Gesù promette
questo futuro a colui che ha scoperto la salvezza di Dio in Lui, quindi orienta
l’anima ad altre conoscenze; perché è molto diverso avere un’anima che si sia
stabilizzata in quello che ha conosciuto e un’anima che invece è proiettata
verso una meta futura. Perché quello che dà intelligenza all’uomo è la
proiezione verso il futuro, verso una meta, è il desiderio; ed è quello lo
rende intelligente anche nelle scelte, in tutte le cose, perché sa dove vuole
arrivare.
Lui promettendo, fa
vedere agli uomini ciò verso cui devono andare; per cui in tutto quello che
Gesù dice o fa, nell’ascolto di Lui, devono sempre avere presente quello che
Lui ha loro promesso: “Vi condurrò a vedere i cieli aperti!”.
Eligio: E in quale momento l’anima giunge alla
visione dei cieli aperti?
Luigi: In questo vedere i cieli aperti abbiamo la
promessa dello Spirito Santo cioè la scoperta della presenza del Padre e
del Figlio nell’intimo dell’anima nostra, presenza che diventa poi il centro di
tutto l’universo, per cui Dio non è più fuori di noi, non è più lontano, ma è
dentro di noi che opera, ed abbiamo in noi il Principio, l’inizio della visione
vera.
Allora non siamo più noi
che operiamo, è Dio che opera, non ci sono più i conflitti, perché è Dio che fa
tutto, è Dio che pensa in noi, è Dio che parla in noi, è Dio che opera in noi,
è Dio che opera in tutto l’Universo.
Pinuccia B.: E questo basta crederlo?
Luigi: No, Gesù ci porta a vedere. C’è una diversità
tra fede e vedere: la fede è la condizione per arrivare a vedere, ma non è
vedere! Per cui se io dicessi “A me basta credere!”, perderei la fede,
perché la fede è camminare verso il vedere!
Pinuccia B.: Bisogna abbandonarsi a questa fede!
Luigi: No, la fede è adesione a Colui che mi invita
a vedere. Se aderisco a Colui che mi invita a vedere, vado, e andando arrivo a
vedere. “Vieni e vedi!”, la fede sta lì! La fede sta nell’aderire alla
parola che il Maestro mi dice, e aderisco per arrivare a capire quello che il
Maestro mi dice.
Pinuccia B.: Ma questo non dipende da me…
Luigi: Niente dipende da me, nemmeno la fede
dipende da me, perché se il Maestro non parla io non posso aderire; quindi
la parola che giunge a noi dà a noi la grazia di credere, ma credere vuol dire
camminare. Se io dico: “Ma a me basta credere!”, credendo che basti
sedersi sul gradino che mi hanno offerto, sbaglio tutto e perdo la fede, perché
la fede è camminare verso. La Parola è una strada, la Parola non è uno sgabello
su cui sedersi, è una strada su cui bisogna camminare. La strada è strada in
quanto conduce ad una meta e chi cammina su questa strada vuole arrivare alla
meta.
Pinuccia B.: Camminare vuol dire continuare in questa
adesione…
Luigi: Camminare con la speranza di giungere alla
meta, infatti la fede non può essere disunita dalla speranza, camminare con la
speranza di arrivare là dove la Parola promette di volerci condurre. La Parola
di Gesù ci promette i cieli aperti e se io credo a questa promessa, se
aderisco, incomincio a camminare verso i cieli aperti, desidero i cieli aperti,
non mi accontento della terra, desidero i cieli aperti perché Gesù me l’ha
promesso. Se io cammino ma non ho la speranza, frustro il mio cammino, vado
avanti così come le vergini stolte, senza metterci tutto l’impegno, perché non
ho la speranza.
Invece bisogna aderire
perché è la Parola di Dio che mi dice di
cercare con la speranza di giungere a vedere.
Pinuccia B.: …a vedere la Verità in terra…
Luigi: Ma certo! dove la vuoi vedere? In cielo? In
cielo non c’è più la speranza, in cielo non c’è più né la fede, né la speranza;
in cielo c’è soltanto la visione, la carità, l’amore, la contemplazione. Se non
desideriamo vedere, conoscere, arrivare ad attingere quello che Dio ci
promette, certamente perderemo la fede e la speranza e non arriveremo a vedere
i cieli aperti, perché tutto è una promessa per arrivare là, ma bisogna
arrivare là. Dio ci dà tutti i mezzi: “Venite, tutto è pronto!”, non
devi preoccuparti di niente, tutto è pronto, Dio ha già preparato tutto, c’è la
strada, c’è l’invito, ci sono gli invitati, il pranzo è pronto, tutto è fatto,
non c’è che da andare. Per andare bisogna aderire!
Se Natanaele non avesse
creduto, se non fosse partito al “Vieni e constata…” non sarebbe
arrivato a scoprire il Messia; eppure lui avrebbe potuto giustificarsi e dire: “Ma
io avevo la Scrittura che mi diceva che il Messia non può essere Gesù figlio di
Giuseppe di Nazareth, il Messia deve essere Figlio di Dio, deve nascere a Betlemme”, aveva tutta la Scrittura che
lo convalidava, invece ha creduto ad una cosa assurda!
Pinuccia B.: Sì però ha creduto ad un uomo…
Luigi: Teniamo presente che egli è un vero
israelita, quindi non crede mai agli uomini, un vero israelita crede che in
tutto c’è la Parola di Dio, in quanto Israele vuol dire: “Colui che è
impegnato con Dio”.
Colui che è impegnato con
Dio sa che la guerra è Dio che l’ha mandata, sa che in tutto c’è Dio, quindi se
gli arriva questa voce che lo invita ad andare, non vede l’uomo ma obbedisce a
Dio, anche contro quello che
sapeva dalla Scrittura Sacra. Perché siamo nella situazione del battesimo di
Giovanni il Battista: “Sono io che devo essere battezzato da te e tu vieni a
me?”; siamo nella situazione della lavanda dei piedi di Pietro: “Tu non
mi laverai i piedi in eterno!”
Bisogna sempre rispettare
il sacro che è presente in tutte le cose e che continuamente ci impegna a
questo superamento di noi stessi, a questa liberazione; perché noi tendiamo
sempre a degradare lo Spirito, a fossilizzarlo, a trasformarlo in una regola
scritta su una pietra; invece noi dovremmo accettare, riconoscere l’opera di
Dio in tutte le cose, anche in quelle che noi riteniamo insignificanti, nelle
cose minime, perché il Signore ci osserva proprio nella fedeltà nelle cose
minime: “…perché se non siete fedeli nelle cose piccole, chi vi affiderà
quelle maggiori?”. E fedeltà cosa vuol dire? Riconoscere la Presenza di Dio
in tutte le cose!
Anche se Natanaele avesse
sbagliato ad ubbidire alla creatura e avesse detto: “Ma io sono andato, ho obbedito
alla creatura perché pensavo che ci fosse la Presenza di Dio!”, anche in
questo caso avrebbe avuto ragione.
Dio è presente
dappertutto, “Non muove foglia che Dio non voglia!”, quindi credere in
Dio, in Colui che è, è giusto, poiché in tutto c’è qualcosa di sacro: “Togliti
i calzari, perché la terra su cui tu stai è cosa sacra!”; cosa vuol dire
allora riconoscere il sacro in tutto? Vuol dire rispettare la maestà di Dio in
tutte le cose, poiché è Dio che parla, non c’è la creatura, non c’è Filippo: è
la voce di Dio che arriva! Il rispetto del sacro mi porta a questa fede; aver
fede vuol dire rispettare il sacro in tutto.
Pinuccia B.: Bisogna però esaminare se la proposta mi
viene da Dio o se viene da un altro spirito!
Luigi: Certo! La creatura mi dice cose che hanno un
valore di lettera, ma io devo sempre essere attento allo Spirito.
Apparentemente qui abbiamo Filippo che parla, ma Natanaele lo segue perché
rispetta il sacro che c’è in Filippo. Se noi cogliamo il sacro che c’è nelle
creature, la zavorra la perdiamo per strada, scade, perché la creatura porta
sempre con sé una lezione di Dio e qualcosa della creatura stessa, ma quello
che c’è della creatura è sempre un meno. Se uno tiene presente Dio, lascia
cadere il meno e tiene conto della lezione che Dio gli voleva dare, coglie
l’essenza e lascia cadere la scoria, perché quello che è solo della creatura è
sempre meno dello Spirito e quello si lascia cadere.
Ad esempio, uno viene e
ti parla di politica, tu coglierai la lezione spirituale che ti darà e l’argomento
politico lo lascerai cadere, quello è scoria, veleno.
Se tu cogli lo Spirito da
tutte le cose, anche da una bestemmia, certamente tu hai una testimonianza di
Dio e lì non sbagli perché cade l’aspetto negativo, sbagliato della creatura, e
tu vedi il positivo in quel che dice.
Abbiamo fatto tante volte
l’esempio: noi non possiamo dire “zero” se non confermando il numero che c’era
prima e che è stato sottratto; non possiamo parlare di “nulla”, del “vuoto”
senza affermare la Realtà, la positività.
In tutto il loro parlare
le creature, anche se dicono “zero”, dicono quello che c’è e che non stanno
considerando, e quindi glorificano l’Essere.
Così in tutte le frasi,
in tutte le cose, se noi abbiamo presente Dio, noi cogliamo lo Spirito di Dio e
possiamo dire “Ma guarda che lezione meravigliosa ci sta dando
quell’ubriacone!”, oppure “Che lezione meravigliosa ci sta dando il Signore
attraverso quel delinquente!”; anche in una canzonetta stupida, in cui si parla
di sentimenti, se teniamo presente Dio cogliamo delle parole meravigliose.
Ecco, se noi abbiamo
presente lo Spirito, cogliamo lo Spirito e lasciamo cadere l’aspetto
sentimentale, l’aspetto sciocco, l’aspetto vano, perché quello che vale è
l’aspetto spirituale. Alcuni scienziati hanno fatto un esperimento: hanno
esaminato tonnellate di materiale per giungere a vedere se vi era della
radioattività. Ora, la radioattività c’è in tutto, solo che c’è tanto materiale
da scartare. Così è per lo spirito, se uno ha presente lo Spirito, in tutto
trova lo Spirito e scarta il resto, e lo trova in tutto perché non c’è niente
che avvenga senza Dio.
Cina: “La luce splende nelle tenebre ma le
tenebre non l’hanno compresa…”, Natanaele invece assume un atteggiamento
giusto di fronte alla luce…
Luigi: Evidentemente Natanaele era preoccupato di
Dio, quindi è stato “guardato” da Dio. In Natanaele c’era questa autenticità,
aveva questa passione per Dio “…un vero israelita…”, aveva questo
bisogno, questa ricerca di Dio, era un ricercatore di Dio; questo gli ha dato
la capacità di aderire a quel “Vieni e vedi”, altrimenti si sarebbe
trincerato nella lettera antica.
Giovanni: Quand’è che c’è l’inizio della fede
nell’uomo?
Luigi: È sempre nel Pensiero di Dio, il principio è
sempre Dio: “Io sono il Principio ed Io sono il Fine”, per cui se
noi trascuriamo Dio, non pensiamo a Dio, nessuna fede può venire in noi. La
fede in Dio viene da Dio perché il Principio è Dio. Se non aderiamo a Dio,
non c’è niente che ci possa portare alla fede in Dio. È la fede in Dio che mi
porta a scoprire in tutto l’Universo le testimonianze di Dio, i segni di Dio;
ma se io non credo in Dio, posso ricevere tutti i miracoli di questo mondo,
posso vedere i morti risuscitare, ma tutto questo non mi porta a credere in
Dio; quindi il Principio è Dio, è un fatto intimo, nella nostra coscienza; se
non crediamo in Dio, nessun fatto esterno ci può far credere in Dio.
Giovanni: C’è anche il fatto della fiducia nella
persona che conta…
Luigi: Sì, ma quella fiducia è già il frutto di
tanta conoscenza, è quello che ti ha fatto partire verso-, è quello il motivo
determinante che ti ha avvicinato a
quella persona.
La fiducia in Dio è già
una conseguenza di tanta conoscenza di Dio. Una grande fede deriva dalla
tanta conoscenza di Dio. L’inizio di fede, quello che ti fa partire è
sempre il Pensiero di Dio che portiamo dentro di noi. Se credo in Dio, se ho un
inizio di fede (poiché la fede è dono di Dio, il Principio della fede è in
Dio), allora partendo da Dio, incomincio ad avvicinarmi, a riferire tutto a
quella Persona fino a scoprire che cos’è quella Persona, e si forma la
conoscenza.
Pinuccia B.: che significato può aver dato Natanaele a
questa espressione: “Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re
d’Israele!” ? Natanaele avrà creduto che Gesù era il Figlio di Dio?
Luigi: Non
intendeva Figlio di Dio come Figlio del Padre, intendeva Figlio di Dio
come Messia. Nella Scrittura il concetto di Figlio di Dio era inteso come Santo
di Dio, per cui ogni uomo poteva essere Figlio di Dio. Nemmeno gli apostoli,
dopo tre anni, raggiungono questa conoscenza, perché questa conoscenza soltanto
il Padre ce l’ha e soltanto nel Padre potranno capire che Gesù è il
Figlio di Dio.
Pinuccia B.: Ma Gesù lo dice apertamente prima di morire.
Luigi: Ma non basta dirlo. Se tu trovi un uomo che ti
dice: “Io sono il figlio di Dio”, tu dici che dovrebbe andare al
manicomio! Non basta che te lo dica!
Pinuccia B.: Gesù però l’ha detto apertamente…
Luigi: Sì, l’ha detto in tanti modi, però anche
all’ultimo, con i suoi discepoli dice che soltanto quando verrà lo Spirito di
Verità “…conoscerete chi sono Io!”, perché “Nessuno conosce il Figlio
se non il Padre…”, cioè nessuno conosceva Lui come Figlio di Dio. Qui tutte
le volte che si dice “Figlio”, o lo si dice per una intuizione o per
sentito dire “Beato te Pietro…”, ma non è ancora per conoscenza perché: “Nessuno
conosce il Figlio se non il Padre…”
Pinuccia B.: “…e coloro a cui il Figlio lo avrà voluto
rivelare.”
Luigi: No! “Nessuno conosce il Figlio se non il
Padre…”, qui abbiamo l’esclusione completa: “Dove Io sono voi non potete
venire”, qui non fa complimenti ma dice: “Nessuno conosce il Figlio se
non il Padre”. Poi dice: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e
colui al quale il Figlio lo avrà voluto rivelare”, qui è
l’essenziale! Il Figlio nessuno lo può conoscere se non il Padre, il che
vuol dire che fintanto che noi non siamo nel Padre, con il Padre, non
possiamo vedere chi è il Figlio; ma “Nessuno conosce il Padre se non il
Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo”, quindi il Figlio
rivela il Padre, fa conoscere il Padre, conoscendo il Padre vedremo il Figlio “…
alla destra del Padre”. “Vedo i cieli aperti”, dice Stefano “…
e Gesù alla destra del Padre”. Per cui abbiamo Gesù che ci rivela e ci
parla del Padre, libero di parlarcene o di non parlarcene, perché dice: “Colui
al quale avrà voluto…”, quindi il Figlio è libero.
Pinuccia B.: Perché dice: “…avrà voluto”?
Luigi: Perché Gesù è libero! Non è tenuto a farci
conoscere il Padre! È dono gratuito, per cui se lo riceviamo, ricordiamoci che
è dono gratuito, il Figlio non è obbligato a farcelo conoscere “... avrà
voluto!”, Dio è libero.
Eligio: La salvezza sta nella conoscenza del Padre e
Dio dà la possibilità della salvezza a tutti, tutti dovrebbero avere la possibilità
di conoscere il Padre.
Luigi: La conoscenza è sempre: “in Cristo, con
Cristo, per mezzo di Cristo”.
Pinuccia B.: Sempre perché Lui è libero di volercela dare.
Luigi: Dobbiamo sempre tenerlo presente perché se
noi vantiamo un diritto, una pretesa, ci portiamo nell’impossibilità di poter
ricevere la conoscenza di Dio.
Eligio: Non è tanto nel senso di pretesa, ma nel
senso di discriminazione da parte di Dio verso le sue creature.
Luigi: Dio vuole solo quello, farsi conoscere, però
bisogna sempre tenere presente che quando si parla del Figlio di Dio (“…che
solo il Padre conosce il Figlio…”) tutte le conoscenze che noi abbiamo,
sono conoscenze di riporto, non è una conoscenza posseduta; sarà una conoscenza
posseduta solo quando conosceremo il Padre, solo nella conoscenza del Padre,
perché solo nel Padre si conosce il Figlio.
Pinuccia B.: È una conoscenza simultanea quella del Padre
e del Figlio?
Luigi: No, non è simultanea! È in successione.
XXX: Cosa vuol dire simultaneo?
Luigi: Vuol dire immediato.
Pinuccia B.: Perché come si conosce il Padre, si conosce
il Figlio…
Luigi: Sì, però c’è un tratto, per cui è un
lavoro che avviene nell’anima; Gesù ci porta a vedere il Padre, nel Padre
scopriamo questa identità del Figlio di Dio col Cristo: è una scoperta nuova, nel Padre, nel Pensiero del Padre.
Ma per prima cosa
seguendo il Cristo, si scopre il Padre;
scoprendo il Padre, nel Padre, c’è un momento successivo, chiamiamolo
così, un momento di contemplazione in cui si scopre che Gesù è il Figlio di
Dio. Per cui diremo: “Ah! Non sapevo! Lo dicevo così per sentito dire, lo
ascoltavo da Lui, ma adesso vedo, adesso capisco chi è il Figlio di Dio!” È
anche lì che poi lo Spirito Santo dimostrerà la presenza del Padre e del
Figlio. “Solo il Padre conosce il Figlio, solo il Figlio conosce il Padre…”,
e poi qui abbiamo l’apertura.
Altrimenti ci sarebbe la
chiusura perché se:
·solo il Padre conosce il Figlio e
·solo il Figlio conosce il Padre,
il cerchio è chiuso, noi siamo
completamente staccati, non c’è niente da fare.
Invece l’apertura sta lì:
il Padre lo possono conoscere anche “coloro ai quali il Figlio avrà
voluto rivelarlo”.
Allora coloro che
conosceranno il Padre, siccome “…solo il Padre conosce il Figlio”, nel Padre,
vedranno suo Figlio; infatti Gesù (Giovanni è profondissimo in questo)
all’ultimo dice: “…finora non mi avete conosciuto, in quel giorno capirete
chi sono Io”.
Ed è logico, nel giorno
in cui il Padre e il Figlio verranno ad abitare in noi, a Pentecoste, “in
quel giorno voi capirete”. Qui abbiamo una conoscenza di cielo aperto; vi
sono conoscenze diverse, si va di conoscenza in conoscenza fino a Pentecoste.
Pinuccia B.: Il fatto che la conoscenza del Figlio
dell’uomo ci conduce alla conoscenza del Padre, ci deve portare ad identificare
il Figlio di Dio con il Cristo?
Luigi: Sì, è un pensiero successivo perché il
pensiero del Padre non è il pensiero del Figlio (la luce sul Padre non è la
luce sul Figlio).
Pinuccia B.: Però per fare questo tratto di strada, dal
Padre al Figlio, per identificare il Figlio con il Cristo, bisogna scoprire
subito quello che ci dice il Figlio.
Luigi: Ma è il Padre che genera il Figlio. Quando il
Signore ci conduce a conoscere il Padre, il Padre non è un essere statico, non
è una statua! Il Padre genera il Figlio in noi, è per quello che si scopre,
ma in un momento successivo.
Pinuccia B.: Necessariamente identifichiamo il Figlio con
il Cristo…
Luigi: Certo, è logico! Come certamente scopriamo
che non siamo noi che pensiamo Dio ma è Dio che pensa a noi, così ad un certo
momento si scopre che Colui che faceva da Maestro, che mi parlava del Padre era
il Figlio. È la conoscenza che deriva dal Padre; prima conosciamo per
induzione, cioè dal basso verso l’alto e andiamo avanti così, perché c’è Uno
che ci trascina, c’è Qualcuno che ci dà il pane, che ce lo spezza, poi
conosceremo per deduzione, dall’Alto verso il basso. Nella prima fase di
conoscenza noi non ci rendiamo conto e diciamo “Ho scoperto!”, ma
l’abbiamo scoperto perché l’Altro ci ha spezzato il pane. “Abbiamo visto
dove abitava!”, è Lui che parlando li ha condotti dove abitava, non sono
loro che hanno scoperto. Il fatto è che noi non ce ne rendiamo conto. Gesù
dice: “Non c’è nessuno che può salire al cielo, se non Colui che discende
dal cielo”, bisogna sempre tenere presente le sue parole, tutte le sue
parole, perché le sue parole ci significano tutto quanto. Se noi saliamo verso
il cielo, non siamo noi che saliamo verso il cielo, ma è Colui che discende dal
cielo che ci porta su, per cui Colui che discende ha la possibilità di
ritornare al cielo, ma noi da soli, dalla terra, non possiamo salire al cielo;
possiamo costruire la torre di Babele, ma non possiamo salire al cielo! Ecco
perché Gesù dice: “Dove sono Io voi non potete venire!”, perché è Colui
che discende dal cielo che ci porta al cielo, ed ecco perché dice: “…colui
al quale avrò voluto rivelarlo…”, perché discende, ma la discesa è sua. Noi
crediamo di salire, ma è Lui che discende! Scopriremo che non siamo noi che chiamiamo
Dio ma è Lui che chiama noi, cioè non siamo noi che invochiamo la luce ma è la
luce che invoca noi, non siamo noi che pensiamo Dio ma è Lui che pensa in
noi! Ma questa è una questione di deduzione, da Pentecoste in poi; di
deduzione, cioè dall’alto, da Dio.
Appendice:
L’incontro continua con la lettura del
commento di martedì 24 agosto a Vigna.
La Madonna ha cantato il
Magnificat anche nel dolore: cantava ciò che vedeva.
Dio regna così; Lei l’ha
sperimentato, quindi lo può dire: “Ha rovesciato i potenti e ha innalzato
gli umili”. Poteva scegliere la figlia del re di Roma per diventare la
Madre del Redentore! No! Ha scelto un umile fanciulla di quindici anni.
Noi invece “recitiamo” il
Magnificat perché non vediamo nella nostra vita Dio che opera, non
sperimentiamo ciò che diciamo in questo canto di lode.
Ciò che la Madonna dice
si è avverato nella sua vita, lo vede e lo dice; ciò che Dio ha compiuto nella
Madonna, lo vuole compiere anche in noi.
Ciò che la Madonna dice
nel Magnificat è ciò che dobbiamo arrivare a vedere anche noi: il Regno di Dio,
cioè come Dio regna.
Il vedere il Regno di Dio
ci libera dalla paura (canto del Benedictus). Chi è preso da questa visione
appare strano agli altri perché si muove solo in questa visione:
“Siedi alla mia
destra finché io ponga i tuoi nemici a
sgabello dei tuoi piedi”, cioè:
“Sta alla mia destra, appeso a me, finché non li hai come sgabello”.
Bisogna aggrapparsi al
Pensiero di Dio, se si vuole rimanere con Lui.
Luigi: Se non erro eravamo partiti da una richiesta
di Cina riguardo alla liturgia delle letture del giorno, che parlavano della
Città di Dio; tu prova a ripetere, a parole senza leggere, quello che ricordi,
e spiegalo alla signora, anche se si tratta di un pensiero solo, un concetto
che riguarda Gesù.
Cina: Ho presente il pensiero di Giovanni, di
Zaccaria che ha perso la parola perché non ha creduto allo straordinario, cioè
che sua moglie poteva avere un bambino anche se era anziana, anche se non c’era
più speranza, non ha creduto che il Signore può operare straordinariamente, non
ha creduto e ha perso la parola; l’ha poi riacquistata quando ha creduto
all’angelo che gli ha detto: “Al bambino metterai il nome Giovanni”,
quando tutti i parenti si aspettavano che gli desse il nome Zaccaria.
Eligio: La lezione è che noi dobbiamo aspettarci che
Dio opera infrangendo le regole naturali, come l’esempio di Elisabetta, che
aspetta un bambino in età avanzata. Quindi tutte le volte che facciamo affidamento
sulle leggi naturali, non tenendo conto di Dio, siamo fuori strada.
Cina: Volevo dire che possiamo credere allo
straordinario.
Luigi; Non dobbiamo
renderci schiavi delle leggi della natura, dobbiamo sempre mantenerci aperti,
non è che dobbiamo escludere le leggi della natura, ma non dobbiamo neanche
escludere la possibilità che Dio operi straordinariamente.
Perché soltanto in quanto
crediamo che presso Dio tutto sia possibile, anche la resurrezione dai morti,
soltanto così noi ci manteniamo liberi, in caso diverso noi ci sottomettiamo
alle leggi naturali che per noi diventano motivo di schiavitù.
Quindi è necessario il
superamento del pensiero dell’io, perché il contatto, la fede, come dicevamo, “Vieni
e vedi”, cioè il superamento continuo, quindi la fede in Dio ci impegna ad
un superamento continuo, per cui più siamo lontani da Dio e più cadiamo nella
schiavitù degli elementi del mondo; S. Paolo dice: “…Vi è dato un tempo
senza Dio, schiavi degli elementi del mondo…”, schiavi di tutto,
delle leggi naturali, leggi economiche, leggi sociali, leggi politiche,
restiamo sottomessi perché “…vi è dato un tempo senza Dio ma
adesso avete trovato il Dio delle anime vostre”.
Trovato il Dio delle
anime nostre, non siamo più sottomessi; magari continuiamo a vivere sottomessi
alle leggi della natura, ad esempio non possiamo vincere la legge di gravità, o
camminare sulle acque, non possiamo volare perché siamo attratti dalla terra…,
ma ora sappiamo che a Dio tutto è possibile.
Eligio: C’è proprio una legge nella terra che attira
a sé le cose…
Luigi: Comunque presso Dio tutto è possibile e noi
dobbiamo credere che tutto in Dio sia possibile; magari continuiamo a vivere
sottomessi al mondo, però mantenendo sempre questa apertura in modo che se
domani Dio vuole operare un fatto straordinario, noi crediamo. È l’esempio
della cotoletta: se uno mangia la carne ma incomincia a dire “Senza la carne
non si può vivere!” si rende schiavo. Con Dio assolutamente non posso dire:
“Senza carne non posso vivere! Senza denaro non si tira avanti!”, magari
uno è senza denaro ma guai se dice: “Senza denaro non si tira avanti!”. Per cui
uno usa le cose secondo lo Spirito, sapendo che con Dio si può fare a meno e
della carne e del denaro. Certamente se il Signore ordina a Mosè di andare nel deserto,
non si può dire che nel deserto non c’è l’oasi; S. Paolo dice: “Dio può anche
mantenermi in vita ________?_______ ”.
Magari non succederà mai,
forse perché Dio non te lo chiederà mai, però bisogna mantenere questa
apertura. È questa apertura alla libertà dei figli di Dio che rende l’anima
libera ovunque vada; un anima può anche essere senza casa, su una strada, e non
sentirne il bisogno, cantando la sua libertà, perché Dio le chiede così. L’importante
è non dire: “Ah, ma io ho bisogno di quello!”, ma devo dire: “Io ho bisogno di
Dio! “Ho bisogno di potermi fermare con Dio!”. E se Dio poi mi costringe,
vuole che io sia figlio della montagna, allora questa è tutta un’altra
faccenda…
Quello di cui ho bisogno
è di poter restare con Dio, di poter cercare Dio; può darsi che io domani mi
trovi in un palazzo d’oro senza averne bisogno, ma se mi sottomesso al bisogno
del palazzo d’oro è finita, perché è un legame intimo, mi impedisce quella
disponibilità, quella libertà con Dio.
Noi incominciamo a far
conto sulle cose quando diciamo: “Ah, senza quello non posso vivere!”. Qui è
finita, perché non facciamo più conto su Dio, non c’è più il riferimento a Dio,
non serve più pregare Dio; e se si prega Dio, se ci si trova con Dio tutti i
giorni, c’è una frattura, non c’è più l’amicizia.
Il prezzo che noi
paghiamo per una cosa ci lega a quella cosa. Per cui se per un amicizia devo
soffrire tanto, pago tanto, il prezzo alto che ho pagato mi unisce molto
all’altro. Se poi per l’altro non metto nessun limite, dunque non arrivo a
dire: “Ah, senza quello non posso vivere!”, ecco che si crea un legame
fortissimo.
I limiti noi li
incontriamo dentro di noi, nella nostra
stessa anima.
Quando noi incominceremo
a dire: “Signore, anche in un ghiacciaio, ma con Te!”, anche se ci trovassimo
in un palazzo d’oro continueremo a pensare all’Amato; perché per quante cose
belle uno veda, per quante creature meravigliose uno incontri, c’è sempre il
pensiero: “Per me Tu, Signore, sei tutto!”; c’è questa amicizia, questa unione,
questo dialogo con Dio. Se uno parla sempre con Dio allora non c’è nessun altro
che possa portare via a questo dialogo dell’anima con Dio; perché l’anima non
ha fatto opposizione, e non facendo opposizione, Dio, non gli mette nessuna
condizione.
Eligio: In Gesù c’è un superamento delle leggi
naturali costante (come è nato, quaranta giorni nel deserto, ecc.)
Luigi: Non è che uno debba porsi il problema del
superamento, cioè uno sbaglia se decide di vivere senza mangiare carne,
oppure se decide che vuole volare o digiunare.
Gesù è vissuto quaranta giorni senza mangiare, però a noi non é richiesto
questo, il problema non sta lì, il problema sta nel cercare Dio.
Gesù è nato da una
Vergine ma se io mi preoccupo di imparare a nascere da un vergine, sbaglio; il problema
non sta lì, bisogna capire la lezione. Tutte le lezioni del Vangelo hanno
sempre una carica spirituale, cioè Gesù è nato da una Vergine, perché? Vuole
significare che si nasce da Dio senza far conto sugli uomini, fintanto che io
faccio conto sugli uomini, non posso nascere da una Vergine. Perché la salvezza
di Dio in me nasce soltanto per intervento di Dio e la verginità vuol dire non
far conto sull’uomo, sul mondo, sui mezzi, sulla mia stessa volontà, ma far
conto su Dio.
Così come quando si parla
di digiuno, si intende il digiuno dal mondo. Quando Gesù incontra la
samaritana, ad un certo momento Lui stesso spezzando il pane alla samaritana ha
mangiato il cibo, per cui dopo non ha più mangiato; quando infatti i discepoli
gli dicono: “Mangia Maestro…” Lui risponde: “Ho da mangiare un cibo che voi
non conoscete”, perché aveva già mangiato, ecco il significato del vero
cibo. “Voi mi cercate per il pane che passa, io ho da darvi un cibo che non
passa…”. Tutti questi superamenti Lui li faceva non per dirci: “Anche tu
devi camminare sulle acque!”, non per dirci che lo scopo della nostra vita è
camminare sulle acque. O ancora “Se il tuo braccio ti è di scandalo,
taglialo”, non è che risolva il problema amputandomi un braccio, perché
anche con il braccio tagliato posso essere schiavo delle passioni del mondo,
posso diventare orgoglioso. Dobbiamo sempre prendere la lezione spirituale, non
farci un proposito altrimenti diventiamo schiavi di elementi materiali; la
vita dello spirito non sta nel superare le leggi naturali.
S. Paolo dice che il
Regno di Dio non sta né nel mangiar carne, né nel non mangiare carne, non sta
né nel digiunare, né nel mangiare. Il Regno di Dio è il cielo aperto, il
cielo in cui si vede la Presenza di Dio in tutto: è Dio che è presente in tutto
e che dialoga in tutto personalmente con ognuno di noi, perché Dio parla
personalmente ad ognuno di noi. Parlando ci impegna all’ascolto, ed è
attraverso l’ascolto che noi impariamo a vivere nella vita eterna, a vivere con
Lui. Perché la vita eterna è fatta essenzialmente di ascolto di Dio, di
conoscenza di Dio. Ora Dio, in tutte le cose, opera per condurci a questo
ascolto, infatti chi è il puro di cuore? La purezza sta in questo ascolto puro
di Dio, non più invischiato nelle creature. Noi attualmente magari ascoltiamo
Dio ma ascoltiamo anche le creature, le parole umane e le parole divine,
facciamo confusione, per cui non riusciamo mai a scindere bene dove c’è l’umano
e dove c’è il divino, se è la creatura che parla o se è Dio, e non sappiamo mai
se sono io che penso o se è Dio che pensa, se questa è la volontà di Dio o se è
la mia, se devo piacere alle creature o se devo piacere a Dio, c’è tutta questa
frangia, questa confusione, ecco perché non vediamo il Regno di Dio!
XXX: Se però noi prendiamo le creature come parola
di Dio riusciamo a vedere il Regno di Dio?
Luigi: Il fondamento della fede è quello di
accogliere tutto da Dio, questo è il principio della fede, sapendo che Dio
opera in tutto: “Credo in Dio, Padre onnipotente creatore del cielo e della
terra, di tutte le cose visibili e invisibili..”; credo in Dio vuol dire
che accolgo tutto da Dio, perché Dio è Colui che opera in tutto, tutto, quello
che piace e quello che non piace; questa è la condizione per restare nella fede
perché se io escludo qualche cosa e attribuisco a cause seconde, perdo la fede.
Per rimanere nella fede devo accettare tutto da Dio, devo riportare tutto a
Dio, per vederlo da Dio, per intenderlo da Dio, perché soltanto riportandolo a
Dio, Dio me lo illumina. Perché io posso accogliere tutto ma non intenderlo;
raccogliendo in Dio, unificando in Dio,
riportando in Dio intendo con la luce di Dio, mi si illumina e allora posso
vedere l’opera di Dio, incomincio a vedere il Regno di Dio, a vedere come Dio
regna. Man mano che questo Regno si espande in noi, diventiamo capaci
di vedere la Presenza dello Spirito di
Dio in tutte le cose, ne capiamo il significato.
Pinuccia B.: Allora quando si è con Dio non si hanno più
dubbi circa il fare la volontà di Dio.
Luigi: La nostra vita man mano si allarga e
trascende e, a seconda della crescita che abbiamo in noi, ci sono ancora delle
debolezze, delle abitudini. Più è grande la conoscenza e più c’è sicurezza; la
massima sicurezza si ha nel cielo di Dio, cioè tutto Dio, quando lo Spirito
ti porterà a vedere la Verità completa. Si incomincia con poco, in quel
poco è la sicurezza e nel resto c’è ancora il dubbio; man mano che noi
raccogliamo questa visione del Regno di Dio in noi si espande e più si espande
e più aumenta la sicurezza: “Conoscerete la Verità e la Verità vi farà
liberi”.
Pinuccia B.: Dobbiamo ancora spiegare che la Città di Dio,
la nuova Gerusalemme è vestita a nuovo e rappresenta proprio la visione del
Regno di Dio che si ha da Dio. Per unire tutti i pensieri sarebbe il Magnificat
della Madonna; la città che discende da Dio è la creatura nuova che nasce da
Dio, che vede il Regno di Dio in tutto. La necessità dell’ascolto: la nostra
anima si forma nell’ascolto “Sia fatto di me secondo la tua parola”.
Luigi: Ma nella Madonna “come” si è formata la città
di Dio?
Pinuccia B.: “Non conosco uomo”, nel vedere la
Presenza di Dio in tutto, lei vedeva Dio che regnava in tutto.
Luigi: Sì, ma nel Magnificat, la Madonna canta: Il
Signore ha esaltato gli umili e ha abbassato i potenti dai troni, ha mandato a
mani vuote i ricchi.
Pinuccia B.: Dio ha scelto una povera ragazza di Nazareth
per essere la madre di suo figlio mentre poteva scegliere un’imperatrice.
Luigi: E scegliendo lei cosa è successo?
Pinuccia: Ha sperimentato che Dio rovescia i potenti dai troni e innalza
gli umili: lo può dire.
Luigi: Lo può dire perché lo ha sperimentato, l’ha
visto! La vera ricchezza dell’uomo sta nel vedere la presenza di Dio in
tutto, nel portare Dio con sé. Quando una creatura è portata a questa ricchezza,
allora vede che tutta la ricchezza che conta, nel mondo, per cui noi diciamo:
“Quello che conta veramente nel mondo è il denaro, la forza, la potenza, ecc.”,
tutta quella ricchezza lì è terra, è fango! Ma se la creatura pensa che Dio
ha esaltato gli umili per umiliare i potenti e vede i potenti di questo mondo
che si aggirano affamati per le strade del mondo dietro a delle cose che non
valgono niente, ha fatto esperienza di Dio. La creatura che pensa Dio vede
il Regno di Dio, sperimenta il Regno di Dio,
cresce in lei questa coscienza. Maria ha visto che ogni anima che si apre alla
disponibilità di Dio sperimenta, vede il Regno di Dio che opera in tutte le
cose, per cui: “Beati i poveri in spirito, beati coloro che piangono, beati
i puri di cuore…”, vedono, perché è l’esaltazione di Dio. Quindi non è una
speranza per cui Dio mi premierà perché sono un puro di cuore, perché piango,
ecc.
Pinuccia B.: È proprio il passaggio che bisogna fare dal
mondo esteriore al mondo interiore: credere che la vera dimensione è l’interno.
Luigi: “Nessuno può vedere il Regno di Dio se non
nasce da Dio”, dice Gesù, per cui bisogna partire da Dio. Dio è in noi,
bisogna trovarlo, metterlo in alto, nel posto che gli spetta e partire di lì.
“Nessuno può vedere se non rinasce da-”; il vedere è dopo. Fintanto che
noi nasciamo da altro, siamo figli di altro, non possiamo vedere. Dio c’è, è
annunciato, ma non possiamo vederlo. Sentiamo il rumore ma non possiamo
vederlo, per cui siamo nell’incertezza: “Dio c’è o non c’è?”, non pretendere
di vedere prima di partire, bisogna partire per vedere, bisogna portarci in
alto per vedere dall’alto. Il Signore ci porta in alto in quanto abbiamo già
capito; Lui ci fa conoscere il Padre in quanto noi siamo già attratti dal
Padre.
Pinuccia B.: Quando si arriva a conoscere il Padre c’è ancora un
tratto di strada, cioè identifichiamo il Figlio con Cristo.
Luigi: Ma è il Padre, non siamo noi, è il Padre che genera
il Figlio.
Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco
davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. Natanaèle gli domandò: “Come mi
conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto
quand’eri sotto il fico”. Gli replicò Natanaèle: “Rabbì; tu sei il Figlio di
Dio, tu sei il re d’Israele!”. Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti
avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”Poi gli
disse: “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di
Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”».Gv 1 Vs 47-51 Secondo
Tema.
Titolo: Cielo chiuso e
cielo aperto.
Argomenti: La notte del giusto e
dell’ingiusto – L’amore unico per Dio – Dio solo rivela Sé – Lo Spirito di Dio
scruta i misteri di Dio – La notte è assenza – Illuminazione e tentazione – Il capitale da
spendere per giungere alla meta – La veglia – Cristo interno e
Cristo esterno – La Pentecoste è presenza stabile – Giovanni Battista e la
sottomissione di Dio -
2/Settembre/1976
Cielo chiuso e cielo aperto - Approfondimento
argomento precedente:
Luigi: Ci soffermiamo ancora sull’argomento di
domenica scorsa, precisamente sulla promessa di Gesù: “Vedrete i cieli
aperti …”. Se Gesù ci fa questa promessa, evidentemente è perché
l’esperienza che ogni uomo fa è l’esperienza di cielo chiuso, cioè
inaccessibile (cfr. Genesi: Dio dopo il peccato di Adamo, dopo averlo cacciato
dal Paradiso Terrestre, mise un angelo con lo spirito di fuoco perché
custodisse l’ingresso e vietasse all’uomo di entrare, e la porta del Paradiso è
rimasta chiusa, il cielo è chiuso).
Da qui nasce la
necessità dell’incarnazione del Verbo, perché è solo il Cristo, il Verbo
incarnato che potrà aprire il Cielo.
XXX: Come mai, anche dopo il Cristo, ci sono dei
santi come S. Teresina del Bambin Gesù, che hanno fatto un’esperienza terribile
di buio, di aridità, di dubbio, di cielo chiuso?
Luigi: Tale esperienza fa parte del cammino verso la
luce e la fa non solo chi è ateo, ma anche chi mette Dio al centro.
Indubbiamente però S. Teresina, come altri santi, essendo con Dio, in questa
esperienza di cielo chiuso, dialoga con Dio, parla con Dio, per cui in lei c’è
la certezza della Parola di Dio, quindi la speranza che il Cielo si aprirà.
Quello che vorrei che
fosse chiaro è il concetto di cielo chiuso, che è tutto Antico Testamento,
perché solo l’incontro col Figlio, l’incontro con il Verbo Incarnato, ci
conduce a poco a poco, a trovare il Padre, a scoprire questa Presenza in noi
che ci fa vedere Dio in tutto. Che l’uomo creda o che l’uomo non creda, che
metta Dio al centro, o che non lo metta, ci troviamo in questa situazione di
cielo chiuso perché “Chi fa il male resta schiavo di esso” e non può
liberarsi, perché noi diventiamo figli delle nostre opere. Quindi, pur
credendo, pur invocando, pur piangendo, pur sospirando Dio (e se lo sospiro, se
lo piango è perché lo credo, lo amo, lo prediligo) non posso vederlo. “Quanti re e profeti desiderarono vedere
il mio giorno e non lo videro!”, dice Gesù, “Mi cercherete e non
mi troverete”, per dire che il vederlo, il trovarlo non dipende dall'uomo.
Questo perché l’uomo deve capire che il giorno in cui Dio rivelerà il Suo
volto, sarà per opera di Dio. L’uomo deve sperimentare la sua incapacità,
che non può, solo allora sarà liberato dalle mani di Dio.
È necessario questo,
perché l’uomo è stato incolpato, si è trovato chiuso da questo posto di blocco,
da cui non può uscirne.
Ci sono tanti tipi di
notte: c’è la notte dell’uomo ingiusto e c’è la notte dell’uomo giusto, c’è la
notte del mistico e c’è la notte dell’uomo che bestemmia.
Eligio: Direi che l’atteggiamento dell’anima tra i
due è molto diverso: la notte del mistico è Dio che la provoca per provare la
fede, per far passare l’anima ad un livello successivo...
Luigi: …anche la notte del bestemmiatore è voluta da
Dio.
Eligio: Ma è il bestemmiatore stesso che si chiude
alla luce.
Luigi: Sì, però è Dio…
Eligio: Se siamo noi a sottrarci a Dio, finiamo in
una notte dalla quale è molto più difficile uscirne, mentre la notte del
mistico, nella notte di chi invoca, di chi sospira la luce…
Luigi: Nella notte il mistico, proprio perché è
notte, deve superare qualche cosa che ancora non ha superato; quindi si
trova in questo groviglio di opere che lui non riesce a superare, nel quale la
luce non riesce a penetrare, per cui invoca, sospira; la notte del mistico è la
notte di uno che è orientato verso oriente perché sa che il sole sorgerà da
quella parte. Può essere che ci sia uno orientato verso occidente o verso il
meridione in attesa che il sole sorga da quella parte, ma è notte sia per uno
che per l’altro: è sempre la stessa notte! Uno guarda verso oriente perché sa
che il sole sorgerà da lì, l’altro guarda ad occidente e non vedrà il sole
sorgere da lì, però la notte è la stessa!
Eligio: La notte del giusto, di chi pur non vedendo
la luce, porta in sé la certezza che il Cristo arriva, è ben diversa dalla
notte per chi rifiuta Dio…
Luigi: Più che altro perché aspetta le cose da
un’altra parte, però è sempre la stessa notte! Il punto centrale consiste
nell'impossibilità di cogliere questa Presenza, che è una Presenza liberatrice;
per cui colui che crede, sa che la sua vita dipende da questa Presenza e soffre
per questa privazione, l’altro invece non soffre per questa privazione, soffre,
magari, per un altro accidenti, attribuendo agli uomini l’ingiustizia, però
soffre anche lui, con un altro nome. La notte è assenza, è non vedere; non è
che Dio sia assente, Dio è presente però non lo vediamo. Il cielo è
aperto quando abbiamo la grazia di poter vedere la Presenza di Dio.
Eligio: Il cielo aperto è solo per i puri ?
Luigi: Certo, perché i puri di cuore hanno questo amore
unico; però non è l’amore unico che dà la possibilità all’uomo di vedere Dio!
L’amore unico deve essere in sintonia con Dio, per cui si riceve tutto da Dio
perché l’amore unico è colui che rifiuta di ricevere altro da altri, riceve
solo da Dio. Quindi non è l’amore unico che fa scoprire Dio, sia chiaro! Chi
rivela il suo volto è solo Dio, non è l’amore puro che rivela Dio, ma è
Dio che rivela Dio. Io potrei avere tutto l’amore di questo mondo per Dio,
ma questo non mi basta per vedere Dio; non posso vedere Dio, non dipende da me
vedere Dio; la rivelazione del volto di Dio dipende da Dio che parla.
L’accoglimento di queste
parole richiede questo superamento però non è questo che mi fa, è la condizione
ma non basta. S. Paolo dice che “Il segreto dell’uomo soltanto l’uomo lo
conosce”, a maggior ragione lo Spirito di Dio scruta i misteri di Dio: “Noi
abbiamo ricevuto questo Spirito che scruta i misteri di Dio”, quindi
è lo Spirito di Dio che fa conoscere, ma chi è che ci fa desiderare di
conoscere? Se non abbiamo lo Spirito di Dio in noi, non desideriamo conoscere
Dio, desideriamo altro; invece se in noi abbiamo lo Spirito d’amore, è lo
Spirito d’amore che ci fa conoscere tutto dell’essere amato. Chi ha lo Spirito
di Dio, desidera tanto conoscere Dio, perché lo Spirito soffia, conduce e fa
desiderare: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre….”, chi
rivela il Figlio è il Padre e chi rivela il Padre è il Figlio. Il denominatore
comune della notte è l’incapacità dell’uomo di conoscere Dio, sia per l’uomo
giusto sia per l’ingiusto. Siccome il giorno dipende da Dio, è Dio che fa
sorgere il suo sole.
Eligio: Quindi tutto dipende da Dio, anche la notte?
Luigi: Anche la
notte dipende da Lui! Diciamo che il giusto aspetta la luce da Dio, anche
se non vede niente, è fisso lì, guarda a Dio perché tanto sa che gli arriverà
dall’alto, quindi l’aspetta dall’alto. L’altro che invece non ha messo Dio al
centro della sua vita, non crede in Dio, si aspetta la sua luce da altro!
Eligio: Quindi il cielo chiuso per tutti. Cielo
aperto, come possibilità, è solo per il giusto o anche per chi non ha messo Dio
al centro?
Luigi: I "cieli aperti" è la
promessa che il Signore fa:
·A coloro che lo hanno scoperto,
·ma per scoprirlo bisogna fare la giustizia,
·e per fare la giustizia bisogna aver messo Dio
al centro.
Il Signore la promessa la
fa solo a coloro che l’hanno scoperto, non la fa a tutti, “Abbiamo trovato
Colui che avevamo dentro…”. Non hanno visto ancora il cielo aperto, ma
hanno visto la promessa, hanno trovato la promessa: “Vedrete…”, Gesù non
ha detto: “Vedete il cielo aperto
…”, perché è Lui che condurrà a vedere il cielo aperto, lo vedremo in
seguito. Infatti Gesù dice: “Vi sono alcuni tra voi che vedranno il Regno di
Dio venire con potenza…”, vedranno, quindi è una promessa, è futuro.
Prende uomini che erano rivolti a recuperare un passato e li orienta
all’oriente da cui sorgerà il sole: ed è Lui che li condurrà poi a vedere il
sole. Per cui possiamo dire che ci sono diverse albe nella vita dell’uomo:
·La prima è quella di incontrare il profeta che
gli dice: “Guarda che Dio ti ha dato la vita per conoscerlo”, e noi dobbiamo
riconoscere che è giusto…; e qui siamo nella condizione di poter incontrare il
Messia.
·Incontrare il Messia è un’alba; però vedere
dove Lui abita, non è ancora Cielo aperto, non si possiede ancora il cielo
aperto.
·Il cielo aperto è la conclusione, la
Pentecoste.
Dopo Pentecoste gli
apostoli non hanno più bisogno di sentire il Cristo, perché il Cristo ormai ce
l’hanno dentro.
Eligio: “Cielo aperto” significa il possesso…
Luigi: …della presenza del Padre e del Figlio; la
presenza del Figlio conosciuta in quel rapporto personale, per cui chi la
possiede non va più dal Cristo nella carne. E nemmeno si arriva a dire: “Abbiamo
conosciuto il Cristo nella carne, ma adesso non Lo conosciamo più”, perché
nella Presenza spirituale si conosce Cristo molto più che nella carne. Avendolo
conosciuto non si va più a cercare il Cristo nella carne, perché ormai lo si
porta dentro. Quando uno porta dentro il Cristo riconosce che quella
Presenza è molto più vera del Cristo che trova fuori, del Cristo esterno.
“Dentro” si ha molto di più: “Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal seno di
coloro che credono in Me!”, dice Gesù; e Giovanni sottolinea: “…Questo
Egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui:
infatti non c’era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora
glorificato”.
Eligio: Invece la notte è l’assenza di Dio, la
privazione; che io speri o che io non speri, mi trovo sempre nella bagna in cui
si trovano tutti!
Eligio: Sì però se io spero con la certezza, accetto
molto di più…
Luigi: La speranza cerca di eliminare la notte con
altre luci; è una cosa talmente intima che uno non va più ad elemosinare da
altri.
Eligio: La notte del giusto non elimina l’elemento
fede che è “Sostanza di cose sperate” mentre la notte del disperato non
ha la certezza delle cose sperate.
Luigi: La sostanza della notte è la mancanza di
una visione di Colui che è presente; questa mancanza di visione, per coloro
che non cercano Dio, è motivo di ricorso ad altre presenze, invece per coloro
che cercano Dio è motivo di pianto: “preferiscono morire sulla soglia di questa
baita sapendo che Lui è dentro, piuttosto che andare di casa in casa”. Però la
notte è costituita da questa assenza. Oggettivamente è uguale, soggettivamente
è diversa. Cos’è questa notte?
Le situazioni diverse in
cui uno si può trovare, di cielo chiuso o di cielo aperto, sono un’altra cosa.
Invece nella notte posso trovarmi su un monte oppure in una metropoli, però è
la stessa notte. La nostra notte è costituita da questo: il sole che è
tramontato; soggettivamente la situazione è diversa, oggettivamente è uguale!
Il concetto di notte è
assenza di un esistente; questo causa sofferenza. Tutta l’opera del Signore è
quella di portarci a questa promessa “Vedrete il cielo aperto…”, e noi
dobbiamo poter dire “io sono sicuro che il sole sorgerà, quindi aspetto!”
“Veglia, il
sole sorgerà!”.
La promessa è per chi ha capito che tutta la sua vita, tutta la sua gioia,
tutta la sua pace, tutta la sua libertà, dipendono da Uno solo!
Non è come chi aspetta la
liberazione, la vita, la gioia da altre cose o da altri soli, costoro non possono sostenere questo argomento. Lo
sosterranno quando dopo il travaglio maturerà anche in loro, e finalmente si
convinceranno, magari in agonia, che la soluzione della loro pena è in Dio,
perché Dio vuole salvare tutti. Quando il buon ladrone dice: “Ricordati di
me…..”, vuol dire che affida tutta la sua vita all’Altro, a quel Sole; e
come si affida si sente dire “Vedrai il cielo aperto…”. Questa promessa
del Figlio è garanzia, perché solo il Figlio ci può promettere questo, l’uomo
non lo può fare.
Pinuccia B.: Si vede il Verbo fatto carne quando lo si accoglie,
ma che differenza c’è tra il Verbo incarnato e la conoscenza del Figlio dal
Padre?
Luigi: Non sono io che lo dico, ma è Gesù: “In
quel giorno capirete chi Io sono”. È un po’ la visione che ha avuto Giovanni
il Battista vedendo lo Spirito scendere dall’alto nel battesimo di Gesù. Anche
lì abbiamo diverse interpretazioni, perché se il Signore non illumina con la
sua luce la nostra anima non può nemmeno desiderare. Noi possiamo desiderare in
quanto abbiamo visto qualcosa, ma ciò che abbiamo visto prima di possedere non
è completo.
Il Signore ci fa vedere
una cosa e ci chiede se ci sta bene quella cosa; poi ci dice di farla dandoci
un capitale in mano. Il più delle volte noi abbiamo visto la meta ma non vogliamo spendere il capitale che Dio ci ha
dato per giungere a quella meta. Ecco che allora abbiamo delle intuizioni,
delle folgorazioni che però non possediamo. È Dio che ce le propone, ma se
non spendiamo non le possediamo, e come queste spariscono, rimane il pensiero
d’amore, la nostalgia; ci ritroviamo con le tasche piene di denaro da spendere
e con quella nostalgia.
Tutto il nostro errore
sta in questo: noi ci arrabattiamo per avere una cosa e non ci accorgiamo di
avere in mano il mezzo per arrivare a costruire quello che Dio ci ha fatto
vedere. Il prezzo per comprare ciò che Dio ci ha fatto vedere è tutto quello
che abbiamo a disposizione, ed è soprattutto il pensiero dell’io, il pensiero
di tutte le cose che non sono Dio, dalle quali dobbiamo staccarci. “Vendi
tutto quello che hai per comprare questo campo; perché questo è il campo della
tua vita!”, “Vendi tutti gli altri campi, vendi tutte le altre terre per
comprare quel campo!”. Bisogna avere il coraggio di distaccarci da tutto
quello che abbiamo, perché quello è il mezzo attraverso il quale noi posiamo
comperare tutto; tutto ma non la luce, perché la luce è dono di Dio. Tutto
ciò che possiamo comprare vendendo ciò che abbiamo è il campo in cui c’è il
tesoro, in cui c’è la Luce di Dio. Perché chi ci fa vedere il cielo aperto è
Dio, ed è Dio che ci dà tutti quei mezzi che sono necessari. “Hai la
possibilità di pensare a tante cose, spendi la tua mente per pensare a Dio con
tutto il tuo cuore! Spendi il tuo cuore per pensare a Dio! Spendi tutta la tua
vita! Spendi tutto quello di cui tu puoi disporre per Dio!”, perché nella
misura in cui noi spendiamo di quel che dipende da noi, noi possederemo, Dio ci
darà il possesso: “Che cosa mi manca?” “Quello che hai dallo ai poveri”,
più difendi e meno sei capace di dare via, perché la nostra paura aumenta, se
noi non spendiamo.
Eligio: Ogni illuminazione…
Luigi: Ogni illuminazione è seguita da una
tentazione specifica riguardante quella prova. Chi mette alla prova è Dio,
per dare il possesso di quella luce; perché quando la luce arriva è solo una
promessa, ed è Dio che ha parlato. Se un professore mi parla, cerca di farmi
capire qualche cosa, ma io non posseggo ancora ciò di cui mi parla. Quella luce
che mi arriva da parte di Dio, mi mette subito alla prova, ma mettendomi alla
prova, io devo affermare la Verità di Colui che mi ha parlato. Dunque per
superare la prova devo far trionfare la Verità sulla tentazione; se non la
faccio trionfare, divento figlio della divisione, per cui ho ceduto, la luce se
ne va e a me resta solo il ricordo, come una fotografia di una persona che
amavo e che se n’è andata. La fotografia di una persona che è morta cosa mi può
dare? Mi ricorda la persona, ma non mi dà la persona.
La tentazione è il mezzo
che Dio ci offre per farci avanzare in quella luce; la luce è un atto d’amore
che Dio ci ha concesso e poi ci mette alla prova per darci la possibilità di
possedere quell’amore, per diventare degni di quell’amore. Il giorno in cui non
siamo più esposti alla tentazione, l’amore è finito; uno può provare l’amore
soltanto quando ha la possibilità di tradirlo, il giorno in cui non può più
tradire l’amore è bloccato, non si può più crescere nell’amore. La cosa è
personale, perché magari, nel campo umano, l’altro non sa nemmeno lontanamente
che l’altro l’ha tradito, ma la persona che ha tradito rigetta la vita, perché
se ne è privata, anche se l’altro non sa niente, perché noi diventiamo figli
delle nostre opere. Queste sono semplificazioni di quello che avviene nel
grande campo dell’anima, del rapporto tra l'anima e Dio.
Pinuccia B.: Quindi Dio ci svela la sua intenzione prima
di farci sapere che Lui è il Verbo di Dio.
Luigi: Sì, certo, perché noi non le possediamo
quelle cose. Noi non possiamo convincerci da soli che Lui è il Figlio di Dio,
al tempo stesso dobbiamo essere convinti che Lui è il Figlio di Dio; la
convinzione è possesso, ma questa ci viene soltanto dal Padre, dalla presenza
del Padre, che è poi una cosa diversa.
Anche Pietro, ad esempio,
l’ha riconosciuto come Figlio di Dio, ma perché è il Padre che glielo ha detto:
“Tu sei il Figlio di Dio”, cinque minuti dopo è già un demonio: era
un’intuizione. È tutto dono del Padre, perché i doni di luce vengono dal Padre;
sono intuizioni che percepiamo come un lampo. La Pentecoste è la scoperta della presenza del
Padre, ed è questa scoperta che ci fa capire in un modo stabile, che ci dà
l’argomento grazie al quale comprendiamo che Cristo è il Figlio di Dio. Con
la Pentecoste, con il Padre, uno ha l’argomento in sé che non è esperienza.
Eligio: L’intuizione è una forma di conoscenza.
Luigi: Non si può spiegare a parole, oltre che a
conoscere una cosa bisogna avere l’argomento di questa conoscenza, non so se
capite! La conoscenza del Figlio dipende dal Padre.
Eligio: Però noi qualcosa dobbiamo fare…
Luigi: Logico, noi dobbiamo raccogliere tutte le sue
parole con attenzione, perché è quello
che ci prepara. Gesù dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo
di Me”, non dice: “Nessuno può andare…”, perché Lui c’è, Lui è nel
seno del Padre.
Eligio: Il cielo aperto è nel momento della
Pentecoste.
Luigi: Sì, nel Padre, perché alla venuta dello
Spirito Santo si realizzano le parole“Noi verremo e faremo dimora…”;
prima della venuta dello Spirito della presenza noi sperimentiamo l’effetto
della Presenza.
Eligio: Prima di conoscerlo noi lo sperimentiamo?
Luigi: Sì, prima di conoscere Dio noi sperimentiamo
l’effetto della presenza di Dio, sperimentiamo l’amore per Dio. L’esperienza
dell’amore di Dio verso di noi avviene prima di Pentecoste, perché noi non
potremmo avere amore per Dio se Dio non ci avesse amato per primi, anche prima
dell’incontro con Cristo. Tutta la creazione è avvenuta in uno spirito d’amore.
Eligio:: Noi, prima di conoscerlo
sperimentiamo l’effetto del suo operare.
Luigi: Infatti, quando uno ama veramente, desidera
la presenza dell’Altro. “Lo Spirito di Dio scruta i segreti di Dio”,
dice la Sapienza. E cosa vuol dire questo scrutare? Cercare la sua Presenza!
Quando uno ama una persona, trascura tutte le altre, tanto è il bene che
sperimenta.
Pinuccia B.: Giovanni Battista quando ha battezzato Gesù
che ha visto lo Spirito Santo scendere su di Lui ha avuto l’intuizione che Lui
era il Verbo?
Luigi: L’ha riconosciuto come Messia. Anche “Figlio
di Dio” è un concetto abbastanza vago, ed è inteso come “l’eletto di Dio”.
Ha visto come Dio è presente nel mondo.
Pinuccia B.: Credeva che Gesù è Dio?
Luigi: L’ha riconosciuto come opera di Dio. Giovanni
Battista si trova ancora nell’Antico Testamento è il più grande tra i nati di
donna, ma è il più piccolo del Regno dei cieli.
Il concetto di piccolezza e di grandezza è determinato da questa
conoscenza. Gesù dice: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete e
beati gli orecchi che odono ciò che voi udite poiché re e sapienti avrebbero voluto
vedere quello che voi vedete ma non lo
videro”. Quello che è grande presso Dio è insignificante per gli uomini e
quello che è grande per gli uomini è
insignificante presso Dio. Giovanni Battista vide questa opera attraverso la
quale Dio salva gli uomini.
Pinuccia B.: Ma lui non sapeva che Gesù era Dio.
Luigi: Ma non è questo il problema. Giovanni
Battista ha visto la sottomissione di Dio in quel momento in cui ha battezzato
Gesù. La Bibbia riporta solo che lui è testimone che è il Figlio di Dio, ma
il concetto di “Agnello di Dio” si attribuiva all’uomo giusto, quindi
non possiamo dire che il Giovanni Battista sia arrivato a Pentecoste. E non lo
possiamo dire perché Gesù stesso ce lo dice: “Giovanni Battista è il più
piccolo del Regno dei cieli…”. Quindi sulla parola di Gesù noi dobbiamo
dire che c’è una diversità tra il Battista, che è il più grande dei profeti, e
quanti videro questa salvezza di Dio e incominciarono ad andare dietro al
Cristo. E anche costoro non videro il Figlio di Dio, ma videro l’opera
attraverso la quale Dio li salvava. Quando, attraverso quest’opera con cui Dio
li salvava, arrivarono a questa coscienza, a questa Presenza del Padre,
scoprirono che proprio quell’opera nella veste del loro Maestro, era il Figlio
del Padre.
Noi crediamo che sia
tutto opera di Dio, e che attraverso tutto il suo operare, se noi aderiamo, Dio
ci salva, però non è che l’opera di Dio sia il Figlio di Dio. Ora, come Dio ci
salva? Sottomettendosi a noi. Dio ci serve, si sottomette a noi, addirittura
prende i nostri mali, si prende la responsabilità di una guerra, di un delitto,
di un male che portiamo dentro di noi, quando invece potrebbe fare tutte cose
meravigliose, tutto “amore”. Dio addirittura si veste dei nostri peccati per
salvarci. Ecco, Giovanni vide l’opera di Dio in questo modo, vide come Dio è
presente nel nostro mondo: sottomesso a noi. Ecco il lampo che ha avuto, che ha
coinciso tra il battesimo del Cristo e lo Spirito che lo ha illuminato, direi,
data l’esperienza che stava facendo.
Dall'esposizione di Luigi Bracco:
Ci soffermiamo ancora
sull’argomento di domenica scorsa, precisamente sulla promessa di Gesù: “Vedrete
i cieli aperti …”. Se Gesù ci fa questa promessa, evidentemente è perché
l’esperienza che ogni uomo fa, è l’esperienza di cielo chiuso cioè
inaccessibile (cfr. Genesi: Dio dopo il peccato di Adamo, dopo averlo cacciato
dal Paradiso Terrestre, mise un angelo con lo spirito di fuoco perché
custodisse l’ingresso e vietasse all’uomo di entrare e la porta del Paradiso è
rimasta chiusa, il cielo è chiuso).
Da qui nasce la necessità
dell’incarnazione del Verbo, perché è solo il Cristo, il Verbo incarnato che la
potrà aprire.
Eligio: Come mai, anche dopo il Cristo, ci sono dei
santi come S. Teresina del Bambino Gesù, che hanno fatto un’esperienza
terribile di buio, di aridità, di dubbio, di cielo chiuso?
Luigi: Tale esperienza fa parte del cammino verso la
luce e la fa non solo chi è ateo, ma anche chi mette Dio al centro:
indubbiamente però S. Teresina, come altri santi, essendo con Dio, in questa
esperienza di cielo chiuso, dialoga con Dio, parla con Dio, per cui in lei c’è
la certezza della Parola di Dio, quindi la speranza che il cielo si aprirà.
Quello che vorrei che
fosse chiaro è il concetto di cielo chiuso: che è tutto Antico Testamento,
perché solo l’incontro col Figlio, l’incontro con il Verbo Incarnato, mi
conduce a poco a poco, a trovare il Padre, a scoprire questa Presenza in noi
che ci fa vedere Dio in tutto, che l’uomo creda o che l’uomo non creda, che
metta Dio al centro, o che non lo metta, ci troviamo in questa situazione di
cielo chiuso perché “Chi fa il male resta schiavo di esso” e non può
liberarsi perché noi diventiamo figli delle nostre opere. Quindi, pur credendo,
pur invocando, pur piangendo, pur sospirando Dio, quindi se lo sospiro, se lo
piango è perché lo credo, lo amo, lo prediligo, però non posso vederlo. “Quanti
re e profeti desiderarono vedere il mio giorno e non lo videro!”, dice
Gesù, “Mi cercherete e non mi troverete”, cioè questo non è in
mano dell’uomo. Tutto questo è perché l’uomo deve capire che il giorno in cui
Dio rivelerà il Suo volto, sarà per opera di Dio. L’uomo deve sperimentare la
sua capacità, che non può, allora sperimenta la liberazione dalle mani di Dio.
È necessario questo
perché l’uomo è stato incolpato, si è trovato chiuso da questo posto di blocco
da cui non esce.
Ci sono tanti tipi di
notte: c’è la notte dell’uomo ingiusto e c’è la notte dell’uomo giusto, c’è la
notte del mistico e c’è la notte dell’uomo che bestemmia, ma l’argomento e che
uno crede o uno non crede, ma entrambi si trovano nella notte.
Eligio: Direi che
l’atteggiamento dell’anima è molto
diverso: la notte del mistico è Dio che la provoca per provare la fede, per far
passare l’anima ad un livello successivo.
Luigi: Ma anche la notte del bestemmiatore…..
Eligio: Ma è il bestemmiatore stesso che si chiude
alla luce…
Luigi: Sì, però è Dio…
Eligio: Siamo noi che sottraiamo a Dio! È in questo
senso è una notte dalla quale è molto più difficile uscire, mentre la notte del
mistico, la notte di chi invoca, di chi sospira la luce…………
Luigi: Nella notte il mistico, proprio perché è
notte, deve superare qualche cosa che ancora non ha superato; quindi si trova
in questo groviglio di opere che lui non riesce a superare, nel quale la luce
non riesce a penetrare, per cui invoca, sospira: la notte del mistico è la
notte di uno che è orientato verso oriente perché sa che il sole sorgerà da
quella parte; può essere che ci sia uno orientato verso occidente o verso il
meridione e aspetta che il sole sorga da quella parte ma è notte sia per uno
che per l’altro: è sempre la stessa notte! Uno guarda verso oriente perché sa
che il sole sorgerà da lì, l’altro che guarda ad occidente non vedrà il sole sorgere da lì però la notte
è la stessa!
Eligio: È la notte del giusto, pur non vedendo la
luce, porta in sé la certezza che il Cristo arriva, ben diversa è la notte per
chi rifiuta Dio…
Luigi: Più che altro è perché aspetta le cose da
un’altra parte: però è sempre la stessa notte! Il fatto è che non si coglie
questa Presenza, che è una Presenza liberatrice per cui colui che crede, sa che
la sua vita dipende da questa presenza e soffre per questa privazione. L’altro
magari non soffre per questa privazione, soffre per un altro accidenti,
attribuendo agli uomini l’ingiustizia, però soffre anche lui, con un altro
nome. La notte è assenza, è il non vedere; non è che Dio sia assente, Dio è
presente però non lo vediamo. Il cielo è aperto invece quando abbiamo la grazia
di poter vedere la Presenza di Dio.
Eligio: Il cielo aperto è solo per i puri ?
Luigi: Certo, perché i puri di cuore hanno questo
amore unico, però non è l’amore unico che dà la possibilità all’uomo di vedere
Dio! L’amore unico deve essere in sintonia con Dio, per cui si riceve tutto da
Dio perché l’amore unico è colui che rifiuta di ricevere altro da altri, riceve
solo da Dio: quindi non è l’amore unico che fa scoprire Dio, sia chiaro! Chi
rivela il suo volto è solo Dio, non è l’amore puro che rivela Dio, ma è Dio che
rivela Dio. Io potrei avere tutto l’amore di questo mondo per Dio ma questo non
mi basta per vedere Dio; non posso vedere Dio, non dipende da me vedere Dio; la
rivelazione del volto di Dio dipende da Dio che parla. L’accoglimento di queste
parole richiede questo superamento però non è questo che mi fa, è la condizione
ma non basta. S. Paolo dice che “Il segreto dell’uomo soltanto l’uomo lo
conosce”, a maggior ragione lo Spirito di Dio scruta i misteri di Dio: “Noi
abbiamo ricevuto questo Spirito che scruta i misteri di Dio”, quindi
è lo Spirito di Dio che fa conoscere, ma chi è che ci fa desiderare di
conoscere? Perché se non abbiamo lo Spirito di Dio in noi non desideriamo
conoscere Dio, desideriamo altro, invece se noi abbiamo lo Spirito d’amore, è lo
spirito d’amore che ci fa conoscere tutto dell’essere amato. Chi ha lo Spirito
di Dio, desidera tanto conoscere Dio, perché lo Spirito soffia, conduce e fa
desiderare: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre….”, chi
rivela il Figlio è il Padre e chi rivela il Padre è il Figlio. Il denominatore
comune della notte è questo sia per l’uomo giusto sia per l’ingiusto, siccome
il giorno dipende da Dio, è Dio.
Eligio: Quindi tutto dipende da Dio, anche la notte?
Luigi: Anche la
notte dipende da Lui! Diciamo che il giusto la luce la aspetta da Dio,
anche se non vede niente, è fisso lì, guarda a Dio perché tanto sa che gli
arriverà dall’alto, quindi l’aspetta dall’alto. L’altro che invece non ha messo
Dio al centro della sua vita, non crede in Dio, si aspetta la sua luce da
altro!
Eligio: Quindi il cielo chiuso di cui tu parli è il
cielo chiuso solo per il giusto o anche per chi non ha messo Dio al centro?
Luigi: I cieli aperti è la promessa che il Signore
fa a chi? A coloro che lo hanno scoperto, ma per scoprirlo bisogna fare la
giustizia, e per fare la giustizia bisogna aver messo Dio al centro. Il Signore
la promessa la fa solo a coloro che l’hanno scoperto, non la fa a tutti, lo
promette a coloro che, facendo la giustizia, hanno scoperto il Messia: “Abbiamo
trovato Colui che avevamo dentro…”. Non hanno visto ancora il cielo
aperto, ma hanno visto la promessa, hanno trovato la promessa: “Vedrete…”,
Gesù non ha detto: “Vedete il cielo
aperto …”, perché è Lui che condurrà a vedere il cielo aperto, lo vedremo
in seguito. Infatti Gesù dice: “Vi sono alcuni tra voi che vedranno il Regno
di Dio venire con potenza…”, vedranno, quindi è una promessa, è
futuro. Prende uomini che erano rivolti a recuperare un passato che incontrando
Lui vengono orientati all’oriente da cui sorgerà il sole: ed è Lui che li
condurrà poi a vedere il sole. Per cui possiamo dire che ci sono diverse albe
nella vita dell’uomo:
·la prima è quella di incontrare il profeta che
gli dice: “Guarda che Dio la tua vita te l’ha data per conoscerlo”, e noi
dobbiamo riconoscere che è giusto……, qui siamo nella condizione di poter
incontrare il Messia
·il fatto di incontrare il Messia è un’alba, ma
il vedere dove Lui abita, non e ancora cielo aperto, perché è la conversazione
con uno che possiede, ma l’altro non possiede ancora, quando vede il cielo
aperto, il cielo aperto è la conclusione……
dopo Pentecoste non hanno
più bisogno di sentire il Cristo, perché il Cristo ormai ce l’hanno dentro:
sono loro che partono, non invocano più.
Eligio: Il cielo aperto significa il possesso ……
Luigi: della presenza del Padre e del Figlio, per
cui la presenza del Figlio da quel rapporto personale per cui uno non va più da
Lui….; per cui uno dice: “Abbiamo conosciuto il Cristo nella carne, adesso non
lo conosciamo più”, non è che non lo conoscano, lo conoscono molto di più il
Cristo, ma non nella carne, cioè uno non va più a cercare il Cristo nella carne
perché ormai lo porta dentro: Quando uno lo porta dentro il Cristo, è molto più
vero, del Cristo che trova fuori, del Cristo esterno, per cui dentro trova
molto di più: “Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal seno di coloro che
…”………………………………………………………….
La notte consiste in
questa assenza di Dio, questa privazione: che io speri o che io non speri, mi
trovo sempre nella stessa bagna in cui si trovano tutti!
Eligio: Sì però se io spero con la certezza, accetto
molto di più…
Luigi: La speranza cerca di eliminare la notte con
altre luci; è una cosa talmente intima che uno non va più ad elemosinare da
altri. Però la notte consiste in questa assenza di Dio.
Eligio: La notte del giusto non elimina l’elemento
fede che è “Sostanza di cose sperate” mentre la notte del disperato non ha la
certezza delle cose sperate.
Luigi: La sostanza della notte è la mancanza di una
visione di Colui che è presente: in questa mancanza di visione ha motivo di
ricorrere ad altre presenze per gli altri, per coloro che cercano Dio è motivo
per piangere, preferiscono morire sulla soglia di questa baita sapendo che Lui
è dentro, piuttosto che andare di casa in casa. Però la notte è costituita da
questa assenza. Oggettivamente è uguale,
soggettivamente è diversa. Cos’è questa notte? Le situazioni diverse in cui uno
si può trovare, nel cielo chiuso o nel cielo aperto, quella è un’altra cosa. Io
nella notte posso trovarmi su un monte oppure in una metropoli, però è la
stessa notte. La nostra notte è costituita da questo: è sole che è tramontato:
soggettivamente la situazione diversa,
oggettivamente è uguale! Concetto di notte: assenza di un esistente, questo
causa sofferenza. Tutta l’opera del
Signore è quella di portarci a questa promessa “Vedrete il cielo aperto…”, io
sono sicuro che il sole sorgerà, quindi aspetto! “Veglia, il sole sorgerà!”. La
promessa è per chi ha capito che tutta la sua vita, tutta la sua gioia, tutta
la sua pace, tutta la sua libertà, dipendono da Uno solo! La sua vita è questo,
non è come gli altri che aspettano la loro liberazione, la loro vita, la loro
gioia da altre cose o da altri soli, questi non possono sostenere questo
argomento. Lo sosterranno quando dopo il travaglio maturerà anche in loro e
finalmente si convinceranno, magari in agonia che la soluzione della loro pena
è in Dio, perché Dio vuole salvare tutti. Quando il buon ladrone dice:
“Ricordati di me…..”, vuol dire che affida tutta la sua vita all’Altro, a quel
Sole lì e come si affida: “Vedrai il cielo aperto…”. Questa promessa del Figlio
è garanzia perché solo il Figlio ci può promettere questo, l’uomo non lo può
fare.
Pinuccia: Si vede il Verbo fatto carne quando lo si
accoglie, ma che differenza c’è tra …………
Luigi: Non sono io che lo dico ma è Gesù: “In
quel giorno capirete chi io sono”. È un po’ la visione che ha avuto
Giovanni il Battista vedendo lo Spirito scendere dall’alto nel battesimo di
Gesù. Anche lì abbiamo diverse interpretazioni perché se il Signore non
illumina con la sua luce prima che la nostra anima sia capace di possedere
questa luce, la nostra anima non potrebbe nemmeno desiderare, rimarrebbe
ferita: noi possiamo desiderare già in quanto abbiamo visto qualcosa, ma se
abbiamo visto prima di possederlo…………… il Signore ci fa vedere una cosa e ci
dice se ci sta bene quella cosa; poi ci dice di farla e ci dà un capitale in
mano: il più delle volte noi abbiamo visto la meta ma non vogliamo spendere il capitale che Dio ci ha dato per comperare quella cosa. Ecco
allora abbiamo delle intuizioni, delle folgorazioni che però non possediamo. È
Dio ma noi non le possediamo, come queste spariscono, rimane il pensiero d’amore, la nostalgia,
invece noi abbiamo soltanto le tasche piene di denaro da spendere e con quella
nostalgia. Tutto il nostro errore sta lì: noi ci arrabattiamo per avere una
cosa e non ci accorgiamo di avere in mano il mezzo per arrivare a costruire
quello che Dio ci ha fatto vedere. Il prezzo per comprare quella cosa è tutto
quello che abbiamo a disposizione, è soprattutto il pensiero dell’io, il
pensiero di tutte le cose che non sono Dio per cui dobbiamo staccarci. “Vendi
tutto quello che hai per comprare questo campo; perché questo è il campo della
tua vita!”, “Vendi tutti gli altri campi, vendi tutte le altre terre per
comprare quel campo!”. Bisogna avere il coraggio di distaccarci da tutto
quello, perché quello è il mezzo attraverso il quale noi posiamo comperare
tutto, non la luce perché la luce è dono di Dio, ma il campo in cui c’è quel
tesoro, perché chi ci fa vedere il cielo aperto è Dio; e poi dà a noi tutti
quei mezzi che sono necessari perché noi dobbiamo spendere per quello: “Spendi
la tua mente! Hai la possibilità di pensare a tante cose, spendi la tua mente
per pensare a Dio, con tutto il tuo cuore! Spendi il tuo cuore per pensare a
Dio! Spendi tutta la tua vita! Spendi tutto quello di cui tu puoi disporre per
Dio!” perché nella misura in cui noi spendiamo di noi, di quel che dipende da
noi, noi possederemo, Dio ci darà il possesso: “Che cosa mi manca?” “Quello che
hai dallo ai poveri”, più difendi e meno sei capace di dare via, perché la
nostra paura aumenta, se noi non spendiamo.
Eligio: Ogni illuminazione segna …………….
Luigi: Ogni illuminazione è seguita da una
tentazione specifica riguardante quella prova. Chi mette alla prova è Dio per
darti il possesso si quella luce, perché quando la luce arriva è solo una
promessa, è Dio che ha parlato. Se un professore mi parla, cerca di farmi
capire qualche cosa, ma io non la possiedo. Quella luce che mi arriva così da
parte di Dio, mi mette subito alla prova, ma mettendomi alla prova, io debbo
affermare la Verità di Colui che mi ha parlato. Ma per fare quello devo far
trionfare la Verità sulla tentazione, se non la faccio trionfare, divento
figlio della divisione per cui ho ceduto, quella se ne va e a me resta solo il
ricordo; come una fotografia di una persona che amavo e che se n’è andata. La
fotografia dice più niente, dice, ma senza la persona, ad esempio la persona
che è morta.
La tentazione è il mezzo
che Dio ci offre per possedere quella luce, per farci avanzare in quella luce;
è un atto d’amore che Dio ci ha concesso e poi ci mette alla prova per darci la
possibilità di possedere quell’amore, per diventare degni di quell’amore. Il
giorno in cui non siamo più esposti alla tentazione, l’amore è finito; uno può
provare l’amore soltanto quando ha la possibilità di tradirlo, il giorno in cui
non può più tradire l’amore è bloccato, non aumenta più. La cosa è personale
perché magari, nel campo umano, l’altro non sa nemmeno lontanamente che l’altro
l’ha tradito, non viene nemmeno a saperlo, ma la persona che ha tradito rigetta
la vita, perché si è privata, anche se l’altro non sa niente, perché noi
diventiamo figli delle nostre opere. Queste sono semplificazioni di quello che
avviene nel grande campo dell’anima nel rapporto con Dio.
Pinuccia: Quindi Dio ci svela la sua intenzione prima
di sapere che Lui è il Verbo di Dio.
Luigi: Sì, certo perché noi non le possediamo quelle
cose. Noi non possiamo convincerci che Lui è il Figlio di Dio, dobbiamo essere
convinti che Lui è il Figlio di Dio; la convinzione è possesso, ma questa ci
viene soltanto dal Padre. Ma dalla
presenza del Padre che è poi una cosa diversa. Anche Pietro, ad esempio, l’ha
riconosciuto come Figlio di Dio, ma perché è il Padre che glielo dice: “Tu sei
il Figlio di Dio”, cinque minuti dopo è già un demonio: era un’intuizione. È
tutto dono del Padre perché i doni di luce vengono dal Padre; sono intuizioni
che percepiamo come un lampo. La
Pentecoste è la scoperta della presenza del Padre, ed è questa scoperta
che ci fa capire, ma ci fa capire in un modo stabile, ci dà l’argomento per cui
Cristo è il Figlio di Dio. Con la Pentecoste, con il Padre, uno ha l’argomento
in sé che non è esperienza.
Eligio: L’intuizione è una forma di conoscenza.
Luigi: Non si può spiegare a parole, oltre che a
conoscere una cosa bisogna avere l’argomento di questa conoscenza, non so se
capite! La conoscenza del Figlio dipende dal Padre.
Eligio: Però noi qualcosa dobbiamo fare….
Luigi: Logico, noi dobbiamo raccogliere tutte le sue
parole con attenzione, perché è quello
che ci prepara. Gesù dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di
Me”, non dice: “Nessuno può andare…”, perché Lui c’è, Lui è nel seno del Padre.
Eligio: Il cielo aperto è nel momento della
Pentecoste.
Luigi: Sì, nel Padre, perché alla venuta dello
Spirito Santo “Noi verremo e faremo dimora…”, prima della venuta dello Spirito
della presenza noi sperimentiamo.
Eligio: Prima di conoscerlo noi lo sperimentiamo.
Luigi: Noi sperimentiamo l’effetto della presenza,
l’amore per Dio, sperimentare l’amore di Dio verso di noi è la Pentecoste
perché noi non potremmo avere amore per Dio se Dio non ci avesse amati per
primi, anche prima dell’incontro con Cristo, tuta la creazione è avvenuta in uno spirito d’amore.
Eligio: Noi prima di conoscerlo sperimentiamo
l’effetto del suo operare.
Luigi: Infatti quando uno ama veramente, desidera la
presenza dell’Altro, lo Spirito di Dio scruta i segreti di Dio, dice la
Sapienza. E cosa vuol dire questo ascoltare? Cercare la sua presenza.. quando
uno ama una persona, trascura tutte le altre, tanto il bene che uno sperimenta.
Pinuccia: Giovanni Battista quando ha battezzato Gesù
che ha visto lo Spirito Santo scendere su di Lui ha avuto questa intuizione:
che Lui era il Verbo.
Luigi: L’ha riconosciuto come Messia. Anche Figlio
di Dio è un concetto abbastanza vago, è inteso come l’eletto di Dio. Ha visto
come Dio è presente nel mondo.
Pinuccia: Credeva che Gesù è Dio?
Luigi: L’ha
riconosciuto come opera di Dio. Giovanni Battista si trova ancora nell’Antico
Testamento è il più grande tra i nati di donna ma è il più piccolo del Regno
dei cieli. Il concetto di piccolezza è
di grandezza è determinata da questa conoscenza. Gesù dice: “Beati gli occhi
che vedono ciò che voi vedete e beati gli orecchi che odono ciò che voi udite
poiché re e sapienti avrebbero voluto vedere
quello che voi vedete ma non lo videro”. Poi quello che è grande presso
Dio è insignificante per gli uomini e quello che è grande per gli uomini è insignificante presso Dio. Giovanni
Battista vide questa opera attraverso la quale Dio salva gli uomini.
Pinuccia: Ma lui non sapeva che Gesù era Dio.
Luigi: Ma questo non è il problema, Giovanni
Battista ha visto la sottomissione di Dio in quel momento in cui ha battezzato
Gesù. La Bibbia riporta solo che lui è testimone che è il Figlio di Dio, ma il
concetto di “Agnello di Dio” si attribuiva all’uomo giusto, quindi non possiamo
dire che il Giovanni Battista sia arrivato a Pentecoste e non lo possiamo dire
perché Gesù stesso ce lo dice: “Giovanni Battista è il più piccolo del Regno
dei cieli…”. Quindi sulla parola di Gesù noi dobbiamo dire che c’è una diversità
tra il Battista che è il più grande dei profeti e quanti videro questa salvezza
di Dio e incominciarono ad andare dietro al Cristo, ma non è che videro il
Figlio di Dio, ma videro l’opera attraverso la quale Dio li salvava. Quando
attraverso quest’opera, attraverso la quale Dio li salvava, arrivarono a questa
coscienza, a questa presenza del Padre, scoprirono che quell’opera che gli era
arrivata attraverso il Maestro, quegli era il Figlio del Padre. Noi crediamo
che sia tutto opera di Dio, e che attraverso tutto il suo operare Dio ci salva,
se noi aderiamo, però non è che l’opera di Dio sia il Figlio di Dio. Ora Dio ci
salva? Sottomettendosi a noi, Dio ci serve, si sottomette a noi, addirittura
prende i nostri mali. Addirittura si prende la responsabilità di una guerra, di
un delitto, di un male che portiamo dentro di noi, mentre invece potrebbe fare
tutte cose pure, meravigliose, tutto – amore, tutto – Dio, addirittura si veste
dei nostri peccati per salvarci. Giovanni vide l’opera di Dio in questo modo,
questa presenza di Dio, come Dio è presente
nel nostro mondo, sottomesso a noi, ecco il lampo che ha avuto che ha
coinciso tra il battesimo del Cristo e lo Spirito che lo ha illuminato.