L’indomani Gesù decise di partire per la
Galilea, e incontrò Filippo. E Gesù gli disse: “Seguimi”. Filippo era di Betsaida, città di Andrea e
Pietro. Filippo incontrò Natanaele e gli
disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i
Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth”.
Natanaele esclamò: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?”
Filippo gli rispose: “Vieni e vedi”.Gv 1 Vs 43-46
Titolo: Colui di cui hanno scritto Mosè e i Profeti
Argomenti: Il Signore viene nella nostra
terra, Antico Testamento, si fa riconoscere e poi se ne va in un luogo adatto,
lontano dalla folla. Per poter trovare una cosa dobbiamo portarne in noi il
desiderio. Come si forma in noi il desiderio di Dio. Il principio d’intelligenza sta
nell’avere in noi lo spirito di Dio. Il principio della stoltezza. Le 3 presenze dell’uomo. L’abitazione di Dio in noi.
22/Agosto/1976
Dall'esposizione di Luigi Bracco:
Ricordiamoci sempre che
ogni fatto, ogni parola, ogni frase del Vangelo è una lezione per la nostra
vita spirituale e quindi una lezione personale per ognuno di noi, per cui
dobbiamo sempre cercare di trarne un significato che valga personalmente per
noi.
Questa sera,
possibilmente, fermiamoci su questa frase che Filippo dice a Natanaele: “Abbiamo
trovato Colui di cui hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti”.
Intanto c’è da notare che
l’indomani Gesù decise di partire per la Galilea e noi abbiamo già visto i tre “indomani”
(premetto che ognuno è carico di significato), cioè le tre giornate:
·nella
prima giornata abbiamo visto Gesù che viene, cioè “Giovanni Battista vide
Gesù che veniva”;
·il secondo indomani: “Giovanni
Battista vide Gesù che passava”;
·il terzo indomani Gesù se ne va, si allontana.
Abbiamo tre passaggi:
Gesù viene, Gesù passa e Gesù si allontana!
Questo ci fa già
intendere che Gesù non è uno che sta, cioè Gesù non viene nel mondo per
stare con noi: viene nel mondo, passa e va.
Lui non abita nel mondo
perché non è del mondo, infatti dice: “Il mio regno non è di questo mondo!”.
E abbiamo visto la volta scorsa che quando i primi due discepoli scoprirono
dove Lui abitava, dove Lui stava, fecero una scoperta strabiliante,
meravigliosa, una scoperta nuova.
D’altronde con Dio noi
camminiamo di novità in novità; è soltanto nel pensiero del nostro io che
diventiamo vecchi, perché le cose diventano abituali, vengono a noia, tutto si
appiattisce: è il principio di pianificazione del nostro io. Invece nel
Pensiero di Dio abbiamo un principio di differenziazione, che è un principio di
novità continua in cui si va di novità in novità, si va di luce in luce.
Allora Gesù viene in
questo mondo, fa sentire la sua voce; perché se Lui non venisse, ci sarebbe il
distacco, la separazione: Lui in cielo e noi in terra. “Io sono di lassù,
voi di quaggiù”, “Dove sono io voi non potete venire”. Quindi se Lui non
venisse tra noi ci sarebbe una frattura; senza di Lui noi non potremmo
minimamente pensare Dio; Dio appartiene ad un altro mondo, quindi non potremmo
nemmeno desiderare di andare dove Egli è e di conoscerlo.
Dio viene tra noi, viene
sulla nostra terra, in questo mondo, sulle nostre strade, cioè viene là dove
noi ci troviamo; infatti anche l’Antico Testamento promette “Anche gli
estremi confini della terra vedranno la salvezza di Dio”, per dirci che la
salvezza di Dio giunge ovunque. Ma non sta ovunque, per cui Dio non si
confonde con le creature, non si confonde con tutte le cose; però si fa sentire
in tutte le cose e in tutte le creature, e tutte le cose, tutte le creature e
anche tutti i tempi ci segnalano Dio e ci sollecitano a cercarlo.
Quindi il Verbo di Dio,
la parola di Dio che parla tra noi, non sta con noi; non è in mano nostra il
tempo della sua venuta, il tempo della sua visitazione, per cui non possiamo
andare da Lui quando ci fa comodo. Noi dobbiamo stare attenti, perché Lui
viene, passa e va; e se va senza di noi si apre la frattura, Lui va là e noi
restiamo qua. Restiamo giudicati dal suo passaggio: “Le mie parole, quelle
vi giudicheranno!”, perché l’offerta
ci è stata fatta!
Venendo Gesù ci offre la
possibilità di andare con Lui e
se noi andiamo con Lui partiamo da– per arrivare a–, quindi c’è il distacco dal
nostro mondo. In quanto si parte da un mondo per andare in un altro,
evidentemente c’è il distacco da quel mondo in cui siamo stati visitati e c’è
la partenza “Parti dalla tua terra
…”, per andare in un luogo che ancora non conosciamo “…e va nella terra che
Io ti segnalerò!”, che ci farà
vedere Dio, che è il luogo in cui Egli abita.
Ecco, Gesù parte da
quella regione in cui c’era Giovanni Battista, dopo essere stato riconosciuto
da Giovanni Battista; dopo aver ricevuto i primi discepoli, Lui parte e va. Dove
va? Va nella Galilea. Cosa significa questo? Va nel luogo in cui potrà
insegnare ai suoi discepoli, potrà far scuola ai suoi discepoli. Ormai li ha
presi con sé; li ha presi e se ne va.
Quasi a dire Gesù viene
tra noi, prende di noi ciò che gli diamo, ciò per cui lo riconosciamo, e se ne
va portando con sé i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre offerte, ciò
che noi gli abbiamo dato. E lo porta là dove lo farà crescere, lo farà maturare
fino alla pienezza della Pentecoste.
Quando risusciterà Lui
farà dire dagli angeli di andare in Galilea, di ricordarsi di ciò che aveva
detto in Galilea, perché la scuola Lui la fa in Galilea. Il passaggio da
Giovanni Battista alla Galilea, significa che:
·il Signore viene nella nostra terra, Antico
Testamento, nel nostro mondo, nella nostra natura; viene…
·…si fa riconoscere (la preparazione di cui
abbiamo parlato molte volte, la centralità su Dio, l’interesse per Dio, la
giustizia principale, ecc.);
·e poi se ne va in un luogo adatto, come fa
Gesù con un sordomuto: lo prese, lo
portò in disparte, lontano dalla folla e là poi lo curò; lo fece udire,
lo fece parlare, ma lontano dalla folla.
Ecco, Gesù viene tra noi,
si fa riconoscere e poi ci prende e ci porta lontano, in un luogo lontano dalla
folla, dai mercati del mondo, in modo che il nostro orecchio possa aprirsi.
Perché se il nostro
orecchio è disturbato dalle cose del mondo non può udire, infatti Gesù dice: “Chi
vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua…”.
Qui incontriamo una cosa
nuova: in Galilea Gesù incontra Filippo e dice: “Seguimi!”.
Ora, prima era Giovanni
che segnalava Gesù, e su segnalazione di Giovanni abbiamo i primi due discepoli
che vanno da Lui, e poi vengono chiamati da Gesù. Infatti prima Gesù ha voluto
sentire cosa volevano e una volta espresso il desiderio li ha chiamati
personalmente.
Ci sono questi passaggi
perché il Signore vuole farci prendere coscienza di ciò che vogliamo, perché se
non prendiamo coscienza di ciò che vogliamo anche se andiamo dietro al Signore
non serve. Ecco, quando negli apostoli c’è la coscienza di ciò che
vogliono Gesù li chiama personalmente,
e poi l’un con l’altro si trasmettono la novità: “Abbiamo trovato!”.
Qui invece, ed è questa
la novità, in terra di Galilea, Gesù stesso chiama, per dirci che è il Verbo
stesso di Dio che fa sentire la sua voce; ma c’è una cosa da notare (…visto
che tutto è carico di significato per la nostra vita personale): qui ci dice
che Filippo era di Betsaida, città di Andrea e di Pietro, cioè erano tutti dello
stesso paese.
L’essere dello stesso
paese, nel Vangelo di San Giovanni, è carico di significato, perché Gesù stesso
dice: “Chi è da Dio (…del paese di Dio), ascolta le parole di Dio, per
questo voi non ascoltate, perché non siete da Dio”.
Quindi essere dello
stesso paese vuol dire avere la stessa affinità, avere lo stesso animo, la
stessa mentalità, lo stesso pensiero. Allora, quando dice che Filippo,
nonostante il Vangelo non dica che fosse con Giovanni Battista, era dello
stesso paese di Andrea e di Pietro, va inteso che Filippo aveva lo stesso animo
di Andrea e di Pietro e che quindi apparteneva a quella stessa generazione di
anime che avevano un certo interesse, una certa spiritualità, un certo
desiderio di incontrare il Messia. Tant’è vero che poi ci dirà: “Abbiamo
trovato Colui…”. Infatti Filippo, che è stato chiamato da Gesù e non
mandato da Giovanni, incontrando Natanaele dice: “Abbiamo trovato
Colui di cui hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti…”; quindi lui non
avrebbe potuto dire: “Abbiamo trovato Colui di cui hanno scritto Mosè nella
Legge e i Profeti…” se non fosse appartenuto a quello stesso culto di Mosè
e dei Profeti di cui Giovanni Battista sintetizzava tutta la voce. Giovanni era
il più grande dei Profeti, quindi la sintesi di tutto l’Antico Testamento;
quindi anche Filippo apparteneva all’Antico Testamento, alla profezia di
Giovanni il Battista.
Ora, Filippo e gli altri
per dire: “Abbiamo trovato…”, evidentemente (…ed è qui che volevamo
fermarci questa sera), dovevano già portarlo nel loro cuore; perché abbiamo
detto diverse volte che noi per poter trovare una cosa dobbiamo portare in noi
la fame, il desiderio, la ricerca di quella cosa; altrimenti passiamo cinquanta
volte di fronte alla stessa cosa e non la vediamo. Quindi il trovare,
indubbiamente, richiede una certa presenza, però richiede anche un certo
desiderio. Il trovare è la sintesi tra presenza e desiderio, è
l’incontro di due strade, o meglio, di due rette:
·una è il desiderio,
·e l’altra, che è grazia, è rivelazione di una presenza.
E allora abbiamo la
scoperta, l’incontro; ma senza questo desiderio dentro…
Ora, come si è formato
questo desiderio dentro di loro?
Per dire: “Abbiamo
trovato colui…”, vuol dire che desideravano costui!
Ma questo desiderio deve
essersi formato nei loro cuori. Ma chi l’ha formato questo desiderio? Che cos’è
che ha formato questo desiderio in loro?
Ecco, torniamo nella
Genesi dell’Antico Testamento, cioè di Giovanni Battista: come si forma in noi
la fame, il desiderio di Dio?
Abbiamo visto che per formare
la fame, il desiderio di Dio, bisogna prima di tutto fare il battesimo di
giustizia: l’acqua, il lavaggio interiore che deriva dal mettere Dio al suo
posto, mettere Dio al centro di noi, al centro della nostra vita.
Quindi partire da:
·tutto è opera di Dio,
·accogliere tutto da Dio; ma non basta
accogliere tutto da Dio,
·bisogna riportare tutto a Dio, riferire tutto
a Dio; perché noi possiamo anche accogliere tutto da Dio, ma poi riferirlo al
nostro io; in tal caso se Dio mi da tanta ricchezza, io la prendo dalle mani di
Dio, perché è Dio che me l’ha data, ma guai a chi la tocca! Ecco, l’accolgo da
Dio, ma non la riferisco a Dio, per cui non la uso secondo Dio, la uso secondo
il pensiero del mio io, anche se dico: “È Dio che me l’ha data!”; in questo modo
strumentalizzo Dio in funzione del mio io.
Invece la giustizia
sta nel riportare tutto a Dio, nel riferire tutto a Dio per usare le cose
secondo lo Spirito di Dio, secondo la volontà di Dio. È proprio questo
riferire le cose a Dio che ci porta a cercare il significato, ad intendere il
significato delle parole di Dio, delle opere di Dio.
A questo punto ricordiamo
la frase che dice Gesù ai Farisei e agli Scribi quando gli denunciano la loro
impossibilità a credere in Lui, perché loro credono in Mosè. Egli dice: “Scrutate
le Scritture, esse parlano di Me”.
Ecco: “Scrutate le Scritture…”, lo scrutare richiede
intelligenza, richiede interesse.
Ora, noi possiamo leggere
le Scritture, e quanti lessero le Scritture, tra l’altro ricordiamo che per
Scritture si intende l’opera di Dio, la Parola di Dio, che non è soltanto la
Scrittura Sacra, ma è tutto l’Universo.
Storia Sacra è tutta la
storia dell’umanità, ed è Storia Sacra anche la vita di ogni uomo, perché tutto
è opera di Dio, solo che nella Sacra Scrittura noi abbiamo una chiave di
interpretazione di tutta la scrittura di Dio e di tutte le parole di Dio,
perché lì è rapportata a Dio.
Però tutto è opera di
Dio, tutto è Libro di Dio, quindi tutto è Parola di Dio.
Quindi dicendo: “Scrutate
le Scritture…”, dice: “Scrutate tutte le mie opere…”, quindi “scrutate
anche i fatti della vostra vita, parlano di Me”. Parlano di Colui che deve
venire, parlano del Messia. Però dice: “Scrutate….”,
cioè applicatevi con intelligenza.
A questo punto viene
fuori quale deve essere in noi il principio di intelligenza e anche quale è il
principio della stoltezza, della superficialità. Cioè, il principio di
intelligenza è quello che ci dà la capacità di intendere ciò di cui si parla: “Scrutate
le Scritture, parlano di Me…”; ma noi possiamo scrutare le Scritture,
l’Universo, la natura, le opere del mondo, la storia e non capire che ci
parlano di Cristo.
Cristo viene annunciato
come la pienezza dei tempi, Colui in cui tutto converge: la sintesi di tutto.
Tutto parla di Lui, tutto ci segnala Lui, tutto ci porta a Lui, tutto ci
conduce a Lui: scrutiamo!
Ma noi possiamo anche
osservare le cose e non capire! Ecco perché è necessario intendere quale sia il
principio dell’intelligenza, e quale sia invece il principio che ci impedisce
di capire il principio della stoltezza.
Ora, se abbiamo detto che
l’anima di tutto, il battesimo di acqua, il battesimo di giustizia sta nel
mettere Dio al centro, sta nel riferire tutto a Dio, possiamo anche dire che il
principio di intelligenza è Dio in noi, è questo avere la presenza di Dio
in noi, questo riferire al Dio in noi. Per cui
se noi riferiamo le cose a Dio, le parole a Dio, le parole della Sacra
Scrittura, Mosè e i Profeti (che sintetizza tutta la creazione, la Legge, la
morale, che preannuncia, che profetizza Colui che deve venire, cioè il futuro -
l’arca di Noè-), abbiamo l’intelligenza su tutto quanto. È questa centralità di
Dio, è questo riferire a Dio, che ci dà l’intelligenza delle parole di Dio.
Per cui non basta che noi osserviamo le parole di Dio,
perché le parole sono segni, e i segni li possiamo rivestire dei nostri abiti,
gli possiamo far dire quello che vogliamo.
Ogni segno per essere
inteso ha bisogno di uno spirito e noi a seconda dello spirito che abbiamo intendiamo le cose o le fraintendiamo.
Per cui se io guardo
l’albero con lo spirito di un economista o di un avaro, lo guardo sotto il
punto di vista del denaro, cioè dal guadagno che posso ottenere dal taglio di
quell’albero; invece se lo guardo sotto il punto di vista spirituale cerco di
capire cosa Dio mi vuol significare in quell’albero; e così avviene in tutte le
cose. Tutto dipende dallo spirito che abbiamo in noi per osservare una cosa:
·se noi abbiamo lo Spirito di Dio intendiamo
rettamente le opere di Dio; perché per intendere le opere di uno bisogna avere
lo spirito di quel uno, cioè bisogna avere il pensiero di quel uno, il fine di
quel uno; allora possiamo intendere cosa vuol fare o vuol dire operando in quel
modo, facendo quel segno;
·ma se non ho presente lo spirito di Dio, vedendo
soltanto il segno, attribuisco a Dio la mia mentalità, gli attribuisco il mio
pensiero.
Quante volte noi abbiamo
frainteso le opere di uomini attribuendo loro delle intenzioni che essi non
hanno avuto nemmeno lontanamente; siamo noi che attribuiamo, perché abbiamo in
noi un altro fine. Soltanto se noi conosciamo lo spirito dell’altro, quindi
siamo nell’altro, siamo in un rapporto d’amore, possiamo capire.
Ecco, chi ci dà
l’intelligenza è il rapporto d’amore, l’essere nell’altro. Dunque, soltanto se noi
siamo in Dio, siccome Dio è Colui che opera
in tutto, soltanto se abbiamo lo Spirito di Dio, questa presenza di Dio
in noi, noi abbiamo l’intelligenza per capire il significato delle opere di Dio
e vediamo che “…le Scritture parlano di Me”.
Noi possiamo leggere
Mosè, ma quand’è che capiamo, leggendo il Decalogo, che ci parla di Cristo? O
leggendo qualche altro libro della Bibbia, quando intendiamo che ci parla del
Cristo? Eppure Cristo dice: “Parlano di Me”.
E tutti i messaggi dei
Profeti. Quand’è che noi intendiamo? Il libro della Sapienza, quand’è che noi
intendiamo che parla del Cristo? Noi magari ne traiamo fuori delle lezioni di
morale, delle regole, delle norme, delle nozioni storiche, eppure Cristo dice:
“Parlano di Me!”.
E qui ci accorgiamo quanto
siamo lontani dal capire!
Ad esempio, quando nel
decalogo dice: “Non rubare, non fornicare, non desiderare la roba degli
altri”, eppure Gesù dice: “Parlano di Me”.
Noi notiamo che c’è una
frattura tra questa lezioni e il “Parlare di Me”; come mai?
Perché noi ci fermiamo
soltanto alla regola esterna e ci manca lo spirito. Tutte le cose sono dei
tratti di strada, ma non ci fanno vedere tutta la strada; lo Spirito invece ci
fa vedere tutta la strada e noi vediamo tutta la strada quando vediamo dove
conduce la strada.
Quindi noi intendiamo
veramente le Scritture quando vediamo dove ci conducono queste Scritture,
dove ci conducono questi comandamenti, dove ci conducono le lezioni della
creazione, le lezioni della Storia Sacra. Dove e a che cosa ci conducono?
Il Signore ci dice: “Vi
conducono a Me! Parlano di Me!”.
Invece il principio della
stoltezza, il principio del fraintendimento, che ci rende ciechi di fronte alle
opere di Dio è il pensiero del nostro io. Se il principio d’intelligenza è il
Pensiero di Dio, il principio di stoltezza è il pensiero del nostro io, perché?
Perché il pensiero del
nostro io, di fronte a tutte le opere di Dio, non ci impegna a cercare il
significato in Dio, cioè il pensiero del nostro io ci impedisce di entrare in
rapporto con l’Essere, con Dio, perché l’essere nel pensiero del nostro io è
il nostro io. Allora tutte le lezioni che riceviamo, vengono trasformate da
noi in un rapporto di avere, cioè passiamo dal pensiero dell’Essere, che ci
rende intelligenti, al pensiero dell’avere che ci rende egoisti, violenti,
ambiziosi, perché la centralità è sul nostro io; ma questo è un principio di
stoltezza.
Quindi il vedere le cose
dal punto di vista dell’avere è motivo di fraintendimento di tutte le lezioni
di Dio; ecco perché la condizione essenziale per capire è il superamento, il
passaggio dal pensiero dell’io al Pensiero di Dio. Solo così si incomincia a
stabilire un punto fermo di intelligenza.
Le vergini sagge e le
vergini stolte sono la lezione fondamentale: noi possiamo anche impegnarci
molto nelle cose sacre, come le vergini stolte, ma essere stolti, cioè non
avere questo interesse per Dio che ci rende intelligenti, che ci fa la
provvista dell’olio per poterci preparare all’incontro con Colui che viene in
modo da poterlo individuare: “Abbiamo trovato…”.
Il trovare è conseguenza
di un incontro con una presenza; possiamo dire che abbiamo tre tipi di presenze
nel nostro mondo, nella nostra vita:
·Una presenza che si impone, la presenza
naturale; noi senza presenze non stiamo
su, per cui già nascendo in questo mondo il Signore ci mette vicino delle
presenze fisiche, padre madre, famiglia, presenze che sono rapportate al nostro
io, che s’impongono su di noi, ma che non sono vere presenze.
·Una presenza che presuppone un’elezione,
un’affinità, per cui noi scopriamo
certe presenze in quanto abbiamo delle affinità di interesse, di pensiero, di
desideri; questo tipo di presenza presuppone già un dato soggettivo, un
desiderio. Ad esempio il Signore creando l’uomo e la donna dice all’uomo: “Lascerai
padre e madre….”, ecco abbiamo una elezione, il passaggio ad una presenza
diversa da quella che è naturale.
·Una presenza interiore che è difficilissima da scoprire, che è la
presenza che Cristo è venuto a farci scoprire, che presuppone il superamento
del pensiero del nostro io.
·Quindi abbiamo una presenza che si impone su
di noi e che va d’accordo col pensiero del nostro io, quindi una persona che
m’incontra per la strada e che mi dice: “Ciao!” è una presenza che conferma il
mio io. Il Signore non mi dice: ”Ciao!”.
·Poi abbiamo una seconda presenza che è
conseguenza del desiderio: ”Lascerai padre e madre...”, quell’ambiente
in cui ti è stato dato l’essere, la presenza naturale.
·E poi abbiamo la presenza, alla quale tutti
quanti siamo stati chiamati, che è la presenza interiore, la presenza
spirituale.
La presenza del Cristo
appartiene al secondo momento, alla presenza di elezione, perché presuppone il
desiderio; qui c’è il passaggio dalla presenza naturale a quella di elezione.
Con Cristo si passerà
alla presenza Spirituale, alla scoperta della presenza interiore di Dio in noi,
ed è la Pentecoste: “Verremo e faremo abitazione…”.
È per questo che Colui
che abita nel Padre viene nel nostro mondo di presenze fisiche: se diventa il
nostro maestro farà di noi l’abitazione del Padre e di se stesso. Farà di noi
un’abitazione, un luogo suo, perché ognuno di noi abita in ciò che è suo. Ora,
fintanto che noi non siamo di Dio e c’è qualcosa in noi che non è suo, che è
del mondo o che appartiene al nostro io, Lui non abita in noi, ma va e viene.
Egli viene per chiamarci
a farci fare il superamento, però non sta. È lo Spirito, lo senti che soffia
nel mondo, siccome tutto è opera di Dio e quindi anche nel mondo lo Spirito va
e viene, soffia: “Tu odi il soffio ma non sai né donde venga né dove vada”.
Così, fintanto che in noi
c’è qualcosa che non è di Dio, la nostra casa non è un luogo di abitazione per
Lui e quindi va e viene; se non andasse e non venisse, non ci sarebbe la
possibilità di trasformarsi in casa sua, perché senza di Lui noi non facciamo
niente.
Quindi va e viene per
darci questa possibilità, e tutti i giorni Lui viene e va però non sta; se noi
ascoltiamo, Lui allora a poco a poco trasforma tutto di noi in casa sua. Qui
Lui viene e resta, diventiamo sua abitazione: “Noi verremo e faremo la
nostra abitazione in lui”, resteremo con lui, faremo la nostra dimora in
lui.
S. Paolo dice: “Non
sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”, allora non siamo più noi
che pensiamo, ma è Dio che pensa in noi, non siamo più noi che vogliamo, ma è
Lui che vuole, non siamo noi a parlare, ma è Lui che parla, non siamo noi che
operiamo ma è Lui che opera; così siamo casa sua, dimora di Dio. In caso
diverso no.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Giovanni: Nel brano della bibbia in cui Ezechiele ha la
visione del campo di ossa, Dio a chi dice “parla”?
Luigi: Si rivolge al profeta, il profeta rappresenta
il Cristo, infatti Cristo, parlando di sé, si definisce Figlio dell’uomo. Il “Campo
di ossa…” siamo noi; siamo ossari dispersi, incapaci di vita. C’è da
disperare. “Parla… fa sentire la Parola di Dio”, la Parola di Dio
ricostruisce tutto. Anche se fossi nell’abisso più nero, apriti all’ascolto
della Parola di Dio, lascia fare a Dio, Dio ricostruisce tutto. Quindi le ossa
incominciano a raccogliersi, poi si mettono su i nervi, poi la carne, poi un
esercito forte e maestoso: ecco l’uomo forte, fatto da Dio, se ascolta Dio.
È per dire a noi che se
non ascoltiamo Dio, diventiamo un campo di ossa, un camposanto, un campo di
morti; l’ascolto della parola di Dio invece ricostruisce.
Gesù dice: “Verrà il
tempo in cui anche nei sepolcri si udirà la parola di Dio, e quanti avranno
ascoltato la parola di Dio risusciteranno”, quindi Dio viene non
soltanto per dare la vita, ma anche per risuscitare. Anche se fossimo morti non
dobbiamo disperare perché Dio può far risorgere i morti: “Tutto è possibile
presso Dio”; quindi lascia parlare la Parola di Dio.
La Parola di Dio è
creatrice. La parola di Dio ricostruisce anche ciò che è stato abbattuto, ma è
sempre la parola di Dio.
Il brano dice: “…un
esercito forte…”, rappresenta l’uomo forte, capace di superare il mondo,
capace di trionfare sul mondo. Questo sottolinea l’importanza della Parola di
Dio, il fatto che bisogna sempre tenere presente la Parola di Dio, perché è
quella che conta. Anche nella tua giornata che si sta risolvendo in un campo
di morte, o di tristezza, mantieni il collegamento con la parola di Dio, essa
farà rifiorire il tuo deserto, lo trasformerà in giardino; la tua giornata
che sta passando stoltamente, umanamente, Dio te la renderà fruttuosa. Ma è
sempre la parola di Dio, quindi non staccarti dalla parola di Dio, lascia
parlare nella tua anima, nel tuo cuore, dà spazio alla parola di Dio ed essa
ricostruirà le cose.
Eligio: All’inizio hai parlato dei tre elementi
attraverso i quali Cristo ci offre la possibilità di farsi conoscere e di
seguirlo: viene, passa e va. Va, perché Cristo appartiene ad un altro mondo.
Come possiamo affermare che Dio appartiene ad un altro mondo o che noi non
apparteniamo al mondo di Dio, sapendo che il principio di intelligenza è la
scoperta del Pensiero di Dio in noi, quindi che c’è Dio in noi?
Luigi: Prima di tutto non sono io che lo dico ma è
il Cristo: “Io sono di lassù, voi siete di quaggiù”. Quando il Signore
stesso dice: “Noi verremo e faremo la nostra abitazione”, non è che
avvenga uno spostamento in Dio, lo spostamento avviene in noi, cioè noi
prendiamo coscienza di una presenza che già è. Dio è presente anche quando noi
non ci siamo, cioè anche quando noi spegniamo la luce e andiamo a dormire
Dio c’è.
Eligio: Se noi non lo portassimo in noi non avremmo
l’inferno.
Luigi: Certo! Senza l’opera di Cristo noi non siamo tutto
di Dio, casa di Dio; allora Egli viene per trasformare questa nostra casa in
casa di Dio.
Perché Lui è con noi, ma
noi non siamo capaci a restare con Lui?
Perché noi apparteniamo
ad un altro mondo: noi siamo instabilità!
Nel pensiero del nostro
io noi essenzialmente siamo instabili, per questo non siamo del suo mondo. Dio
è stabilità, Dio è fedeltà, siamo noi gli infedeli. Lui viene a recuperare
questo mondo.
Dio abita in noi,
altrimenti la nostra infedeltà non sarebbe peccato, pena, tormento. Se Lui non
abitasse in noi saremmo soddisfatti di quello che siamo. Ad esempio il cane, la
pecora sono soddisfatti della loro natura e non cercano altro, quando hanno
mangiato, riposato, non cercano altro, come mai? Invece noi abbiamo bisogno di
un altro “pascolo” e fintanto che non
troviamo questo “pascolo” siamo inquieti, insoddisfatti.
Tutti i beni di questo
mondo, tutte le creature di questo mondo non ci possono soddisfare; perché?
Appunto perché è presente in noi un Altro. Noi abbiamo bisogno di scoprire, di
trovarci con “ciò che è presente”.
Tutte le presenze fisiche
non ci soddisfano, perché è un’altra la presenza che abbiamo bisogno di
scoprire, e che già c’è. Quindi la nostra anima, sostanzialmente è desiderio di
Dio, “Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”; noi siamo desiderio
di Dio in quanto Dio è già presente nella nostra anima. Il desiderio è
movimento.
Ora, il movimento, in
quanto è movimento, è già presenza di ciò che l’attrae: perché se ci fosse
una frattura, un vuoto tra ciò che è in movimento e ciò che l’attrae, non ci
sarebbe il movimento. Questo vuol dire che c’è Colui che attrae, che si fa
desiderare, e che è presente, ma noi non siamo capaci di restare con Lui.
Sostanzialmente i due
mondi, quello di Dio e il nostro, non corrispondono in quanto Dio è presente ma
noi siamo incapaci a restare con Lui! Noi continuamente scappiamo, Gesù infatti
dice: “Quante volte ho cercato di raccogliervi, e fintanto che io ero con
loro li mantenevo io nel tuo nome”; vuol dire che loro continuamente
scivolavano, tutto li distraeva! E anche noi notiamo come tutto ci distrae,
tutto ci disperde; ecco, sentiamo il bisogno di fermarci perché continuamente
scappiamo. E questo è il nostro mondo, che non è il Suo.
Il nostro mondo è un
mondo di instabilità, di volubilità, quindi è un mondo continuamente infedele.
Dio invece è essenzialmente un mondo di fedeltà, di raccoglimento: Dio è
l’espressione essenziale della fedeltà. Quindi Lui nel Pensiero di Sé
raccoglie tutto, noi nel pensiero del nostro io disperdiamo tutto: abbiamo i
due poli opposti.
Allora Dio si fa sentire
in questo nostro mondo di dispersione, di instabilità, di frattura, per
chiamarci a quel Suo mondo, però in quel Suo mondo noi non possiamo andarci
senza di Lui. Solo con Lui, perché è Lui che ci dà la capacità di raccogliere: “Chi
con Me non raccoglie, disperde”. Il nostro mondo è dispersione, il Suo
mondo è raccoglimento.
La stabilità è data dal
raccoglimento.
Eligio: Abbiamo visto che Gesù viene, passa e va;
questo andare è irreversibile, cioè la creatura ha ancora la possibilità di
rivederlo?
Luigi: Tu stesso l’hai detto. La sua Presenza in noi
può diventare inferno se non è ricevuta. Due amori hanno fatto due città:
l’amore di Dio ha fatto la Città di Dio, l’amore del nostro io ha fatto l’inferno,
la città di satana.
Eligio: Però finché non arrivo alla costruzione della
città di satana, l’andare di Dio non è senza ritorno, Dio continua a venire,
continua a raccogliere….
Luigi: I tempi non siamo noi che li determiniamo,
infatti la sua presenza può anche essere una frattura. Dio è presente
nell’inferno, la sua presenza però diventa una frattura.
La parola di Dio, lo dice
Simeone, è motivo di salvezza ma anche motivo di rovina. Come la parola di Dio
arriva a noi, non ci lascia indifferenti, ci costringe ad una scelta; e in
quanto ci costringe ad una scelta ci costringe a prendere una posizione: o da
una parte o dall’altra. “Se io non fossi venuto e non avessi parlato non
sarebbero in colpa, ma dal momento che venuto ed ho parlato…”, l’uomo è reso
responsabile da ciò che ascolta. Gesù dicendo “Cerca prima di tutto il Regno
di Dio…”, ci rende responsabili sui valori che vanno eletti. E come sento
questa parola debbo, in un modo o nell’altro, anche se non dico niente, fare
una scelta, non sono più come prima!
Eligio: Dio però ci pone la domanda su un piano
assoluto, cioè di scelta assoluta di valori. Ora la risposta della creatura non
viene fatta sullo stesso livello in cui viene fatta la domanda, ci sono spinte
emotive, di interesse momentaneo…
Luigi: Sì, però il Signore opera selezionando i
nostri motivi, per cui magari le prime scelte ce le fa sul mangiare e poi, poco
per volta, arriva all’anima.
Noi seminiamo
nell’eternità senza rendercene conto, ma seminiamo già adesso; S: Paolo dice: “La nostra conversazione è nei
cieli”, noi crediamo di parlare con le creature, invece tutti i giorni
facciamo una scelta tra Dio e il nostro io.
Cioè i poli di scelta,
anche quando noi crediamo siano motivi umani, sostanzialmente sono motivi tra
l’io e Dio. Ricordiamoci sempre la parabola dell’invito al pranzo di nozze,
quando il Signore manda a chiamare gli invitati: “Io avevo i campi, io avevo
i buoi, io la moglie, io il lavoro… - motivi umani: al centro c’era l’io - Abbimi
per giustificato!”.
“Questi non assaggeranno
la mia cena!” dirà il Signore a coloro che rifiutano l’invito. Questo
insegna che noi quotidianamente seminiamo nell’eternità, cioè seminiamo nel
rapporto tra l’io e Dio; le nostre scelte sono tra l’io e Dio, e non tra l’io e
le creature.
A chi dirà “ah, ma io ho
respinto la creatura!”, il Signore risponderà “Ero io”, e non si potrà
obbiettare niente! “Ero io in quella creatura, ero io in quel malato, in
quel povero, in quel mendicante, in quel carcerato. Ero io!”. Questo ci fa
capire che le scelte che noi compiamo avvengono nel cielo di Dio, cioè tra noi
e Dio, e se avvengono tra noi e Dio noi scendiamo nell’eternità.
Eligio: È chiaro questo concetto che scendiamo
nell’eternità, della quale però non abbiamo coscienza; pensiamo di operare nel
tempo invece…
Luigi: Esatto, ecco perché diventa tremendamente
difficile il cammino con Dio: senza rendercene conto (se fossimo capaci di
vedere…), noi continuamente facciamo delle scelte d’amore, tra l’amore di Dio e
l’amore del nostro io. Il problema centrale è lì! Ora, l’amore di Dio e l’amore
del nostro io sono fuori dal tempo.
Eligio: Cosa rappresenta per noi la Galilea?
Luigi: Spiritualmente rappresenta un passaggio,
perché il Signore ci prende e ci porta via da questo mondo per coltivarci nel
silenzio; ad esempio, quando guarisce il sordomuto lo porta lontano dalla
gente: questo portare lontano dalla gente è il “passaggio in Galilea”, è
portarci via dal nostro mondo di interessi, dal nostro mondo di vanità, in cui
c’è il nostro io; perché il mondo del Battista, che è Antico Testamento, è il
mondo dell’io, il mondo della notte, il mondo delle tenebre che però vuole la
giustizia, che mette Dio al centro.
Giovanni Battista andò a
battezzare sulla strada carovaniera, sul luogo di passaggi, sul luogo dei
commerci: ecco il mondo. E in questo luogo di commerci, di affari, di
interessi, con il Tempio in mano ai mercanti (il Tempio è la nostra anima
quando la nostra anima è invasa dai problemi del mondo, dalla mentalità del
mondo), in questo mondo arriva la voce dello Spirito: “Non è giusto quello che
fai, metti Dio al centro!”. Se noi ascoltiamo questa voce, questa voce ci dà la
capacità di individuare, di riconoscere il Messia, perché ce lo segnala.
Il Messia ci prende da
questo mondo e ci porta in un altro mondo, un mondo di silenzio e di
raccoglimento, un mondo di distacco da-, non c’è più interesse per-, in modo da
poter coltivare l’interesse per Dio; poiché quello con Dio è un grande
impegno per l’uomo, quindi una grande scuola: “Ama il Signore Dio tuo
con tutta la tua mente, con tutte le tue forze…”, quindi richiede tanto.
L’incontro col Cristo
provoca un passaggio da pescatori di pesci a pescatori di uomini, c’è un salto
di qualità; la nostra mente prima era occupata nel mondo degli uomini, adesso
trova un impegno grandissimo nel seguire Dio, perché Dio istruendola sul Regno
di Dio la conduce a vedere il Regno di Dio in tutto.
Le grandi lezioni delle
parabole del Regno di Dio dove avvengono? In Galilea! È lì che Gesù forma i
suoi discepoli.
Non basta che i suoi discepoli
gli vadano dietro, bisogna che Lui li formi. Poi, quando li avrà formati, a
missione compiuta, si consegnerà alla morte. Ma era necessario che Lui prima li
formasse.
Dunque anche questo
andare in Galilea ha un gran valore, vi è un profondo significato per ognuno di
noi. Per cui, c’è un tempo in cui il Signore ci porta via idealmente da un
certo campo di interessi, qui non abbiamo più interesse per-; ed è il passaggio
da una riva all’altra. “Passiamo all’altra riva”, su quella riva, luogo
di deserto, dove non c’è più l’interesse del mondo, però non c’è ancora la
conoscenza piena di Dio: è un luogo di formazione, quindi è un luogo in cui
l’anima è disponibile per occuparsi di Dio. La Galilea rappresenta questo.
Pinuccia B.: Che cosa significa il passaggio da pescatori
di pesci a pescatori di uomini?
Luigi: È un passaggio di qualità; siccome l’uomo è
fame di Dio, sospira Dio, coloro che portano con sé lo Spirito di Dio, che sono
con Dio, diventano pescatori di uomini. Ognuno è pescato dai propri interessi,
cioè è nel nostro cuore che si determina ciò da cui io sarò pescato. Se
in me porto una certa passione, certamente sarò pescato da quella passione.
Perché ogni uomo sospira la salvezza? Perché sono tutti alla ricerca di Dio, anche
quelli che lo bestemmiano? Non c’è nessuno che sia felice nelle cose del mondo;
sono tutti delusi, sono tutti stanchi, annoiati, disperati, angosciati. Perché?
Perché hanno bisogno di
qualcosa, forse senza saperlo. Nel mondo c’è questa “malattia essenziale” che è
il bisogno di incontrare Dio, tutti gli uomini sono malati perché non
toccano niente di Dio; sono come la donna che perde sangue: “Soltanto
che io riesca a toccare un lembo del suo vestito e sarò guarita”. Questa è
la voce di tutta l’umanità, il che vuol dire che tutta l’umanità sta perdendo
sangue perché non tocca niente di Dio, e non toccando niente di Dio resta in
balìa di tutte le ambizioni, di tutte le passioni. Gli uomini sono come chi sta
morendo di sete e non trovando la sorgente va ad abbeverarsi ad una pozzanghera
infetta.
L’essenziale è questo: “Purché
io possa toccare qualche cosa di Lui!”, tutti quanti sospirano Dio anche se
non lo sanno! Allora coloro che sono chiamati ad incontrare Dio diventano
pescatori di uomini, perché rispondono alla fame essenziale di ogni uomo. È un
salto di qualità.
Pinuccia B.: Però non è il fine diventare pescatori di
uomini…
Luigi: No! È per dire che l’incontro col Cristo ci
fa fare un salto di qualità, ci trasferisce da-, a-, ma il verbo resta quello:
pescare. Come d’altronde nel mondo ognuno raccoglie, ma il Signore dice: “Non
raccogliete tesori in terra, ma raccogliete tesori in cielo”, ecco, il
verbo della vita è sempre raccogliere. Ognuno di noi, che lavori per un motivo
o per un altro, è un raccoglitore, può essere un raccoglitore di denaro, un
raccoglitore di ricchezza, di case, di campi, ognuno raccoglie! Ma il Signore
dice: “Non raccogliere tesori in terra, ma raccogli tesori in cielo”,
quando si è con Lui si fa un salto di qualità: si raccoglie sempre, ma si
raccoglie in cielo! Raccogliendo nel cielo la conoscenza è un effetto, una
conseguenza del raccoglimento. Come conseguenza, chi raccoglie in cielo
diventerà pescatore di uomini.
Pinuccia B.: Se Dio è sempre presente in noi, non capisco
questo andare e venire da parte sua.
Luigi: No, Lui non va e viene, ma lo Spirito di Dio
va e viene: “Lo Spirito soffia dove vuole…”. Dio rimane, Egli rimane
anche nel peccato, anche nella colpa. Dio è sempre presente.
Pinuccia B.: Siamo noi che andiamo e veniamo…
Luigi: Per capire questo tieni presente che per
l’uomo la sua Presenza può trasformarsi in inferno! La sua Presenza c’è sempre,
ma questa sua Presenza può diventare un inferno o un Paradiso. Ma è sempre la
sua Presenza. Capisci?
Se è la Presenza di Dio
che costituisce il Paradiso o l’Inferno non basta che Lui sia presente!
Pinuccia B.: Bisogna che noi siamo presenti!
Luigi: Sì, però non dipende da noi l’essere presenti
a Lui! È Lui che ci offre questa possibilità.
Pinuccia B.: Non siamo noi che ci siamo offerti?
Luigi: No, ecco perché Lui va e viene! Non c’è un
offerta eterna! Non c’è mai niente di uguale con Dio; noi stiamo aggravando
o migliorando la nostra situazione, ma non siamo mai fermi!
Eligio: Anche per me resta difficile…
Luigi: Tu non puoi fermare il tempo!
Pinuccia B.: Però non è irreversibile, perché Lui in un
momento può farci recuperare tutti i passaggi che sono rimasti frustrati…
Luigi: Lui in un momento può farci recuperare tutto,
perché abbiamo l’esempio del buon ladrone che in cinque minuti viene tutto
recuperato. Perché quello che conta con Dio è l’intensità di un atto d’amore,
quindi l’intensità del superamento, del rinnegamento di noi stessi.
Ogni giorno noi facciamo
delle scelte e questa scelte edificano una casa. Noi diciamo “Il buon ladrone
ha recuperato tutto in cinque minuti, anche io in cinque minuti recupero tutto
il cielo…”. Però guardiamo quella lepre che nella corsa con la lumaca che le ha
dato tanto vantaggio pensando di recuperare il distacco in due minuti, quando è
stato il momento di recuperare, non ha più potuto! Anche questa è lezione di
Dio per noi.
Ora, forse noi siamo un
po’ superficiali a credere che il buon ladrone in cinque minuti ha recuperato
il Paradiso, perché non sappiamo cosa ci fosse nel suo animo per arrivare a
questo suo “Ricordati di me quando sarai nel tuo regno!”.
Noi non sappiamo! Magari,
in tutta la sua vita chissà quanto avrà lottato, sofferto…; prima di tutto non
sappiamo quali doni il Signore gli ha dato o non gli ha dato, quanto avrà
tribolato nello sforzo di essere giusto… Non possiamo dire!
Ritengo che se uno
approda ad una certa salvezza, certamente c’è stato in tutta la sua vita un
lavorio con la grazia. Poiché noi, tutti i giorni, aumentiamo o perdiamo
nei riguardi del Signore, perché in ogni istante il Signore passa; però il suo
passaggio può diventare un continuo rifiuto di noi, cioè è Lui che ci respinge,
la sua parola ci respinge. Perché noi diventiamo figli delle nostre opere.
Come ho detto prima, la
nostra discussione è con Dio, quindi siamo su un campo di eternità. In fondo in
fondo gli elementi più determinanti sono in noi: o il Pensiero di Dio o il
pensiero del nostro io.
E se vogliamo essere
onesti, noi ci accorgiamo che pur dicendo la famiglia, il lavoro, gli amici, la
società, la figura, in fondo o c’è il Pensiero di Dio oppure c’è il pensiero
dell’io. Quindi siamo in un campo di eternità.
Se noi diventiamo figli
delle nostre opere, ogni nostra scelta fatta tra l’io e Dio ci porta o giù o
su. Ora, dobbiamo sapere che ogni giorno dicendo “no” a Dio noi aggraviamo la
nostra situazione, perché ogni rifiuto di Dio, ci porta a rifiutare Dio.
Pinuccia B.: Si dice che lo Spirito va e viene nel senso
che ogni volta si presenta nuovo, diverso…
Luigi: Certo, però noi dobbiamo sempre tener
presente che tutta la nostra salvezza passa attraverso il Cristo. Quindi
noi abbiamo, nell’arco della nostra giornata, dei richiami di Dio. Tutti questi
richiami ci devono condurre al Cristo, ad individuarlo e poter dire: “Ah,
questa è la mia salvezza!”. Noi dobbiamo arrivare a questa scoperta personale
del Cristo storico, perché tutto converge su di Lui. Ed è attraverso di Lui che
poi diventiamo discepoli suoi, che lo seguiamo e che siamo condotti a quella
scoperta personale in cui Dio è ovunque. Cioè, attraverso Lui saremo condotti
alla Pentecoste, quindi a fare questa scoperta universale di Dio in tutte le
cose, in cui si realizzano queste parole “Sarete sempre dove sono Io” e “Dove
sono Io siano anche loro”. E Lui è dappertutto.
Con lo Spirito Santo
vedremo questa opera di Dio in tutte le cose, in tutte le creature, in tutti
gli istanti.
Noi arriviamo alla
scoperta personale, che è un restare sempre con Dio, attraverso il Cristo
storico; Gesù Cristo è il campo che chi lo trova scopre il tesoro. Io vado alla
ricerca del tesoro proprio perché mi manca il tesoro. Infatti se in me già ci
fosse la presenza di un altro tesoro non andrei alla ricerca del tesoro di Dio.
Se invece ho capito che
il mio tesoro sta in Dio, allora non appena scopro il campo in cui c’è quel
tesoro, il Cristo, allora vado, vendo con gioia quello che ho (ecco il
trasferimento dalla Giudea alla Galilea) per comperare quel campo.
Cosa vuol dire comperare
il campo? Vuol dire rendersi disponibile per la scuola di Cristo, per diventare
suo discepolo; perché a questa scuola di Cristo, l’uomo viene condotto alla
scoperta della Presenza universale.
“Saremo sempre con Lui…”,
“Faremo abitazione…”,
però abbiamo dei passaggi da fare. Ora, dicendo “passaggi” intendiamo dire che
deve maturare in noi qualche cosa; e se noi non cogliamo questi passaggi, non
potremo dire: “Oggi ho rifiutato questo, però lo aspetterò domani…”. Teniamo
sempre presente che diventiamo figli delle nostre opere.
Se noi diciamo: “No!”,
diventiamo figli di questo “no”, e questo “no” ci condiziona e ci condiziona
molto! D’altronde il Signore dice: “Vegliate e pregate!”, e poi: “Quello
che dico a voi, lo dico a tutti!”, questa è la parola essenziale! Se lo dice
vuol dire che il rischio c’è, altrimenti non lo direbbe.
Il giudizio sta in questo
(…e ci fa capire che il giudizio è oggi) “La luce è venuta nel mondo e gli
uomini hanno preferito le tenebre”, e come mai hanno preferito le tenebre?
“Perché le loro opere
erano malvagie!” Vedi che
diventiamo figli delle nostre opere!?
E come mai la luce brilla
nelle tenebre e le tenebre la rifiutano? Come è possibile?
È questa figliolanza che
ci impedisce di passare alla luce; vediamo la luce, ma non possiamo aderire alla
luce, perché siamo figli di queste nostre opere.
Allora bisogna essere
attenti nelle scelte, perché ogni opera che noi facciamo non secondo lo
Spirito, ci condiziona nei riguardi della luce.
Pinuccia B.: E poi una volta che siamo condizionati, c’è
la possibilità di liberarci dal condizionamento?
Luigi: Sì, ma la possibilità è la morte del
Cristo! Lui opera chiamando, chiamando, chiamando, chiamando, chiamando,
fino a lasciarsi uccidere.
Pinuccia B.: Se noi glielo chiediamo Lui ci libera dal condizionamento?
Se vuole, può!
Luigi: Ma, vedi, non è “se vuole può!”. Lui vuole
salvarci, Lui vuole che tutti si salvino, tutti! “Dio vuole che tutti si
salvino”, ma tutti sono salvi? La nostra salvezza dipendesse solo dalla
volontà di Dio non ci sarebbe stato bisogno del Cristo, della sua Passione e
della Sua Morte. Ecco, se c’è il problema della Passione e Morte del Cristo,
vuol dire che c’è il rischio di questa non–salvezza. Per cui Dio vuole, ma non
basta la volontà di Dio.
Pinuccia B.: Ma se noi vogliamo…
Luigi: Ah! Certo, logico, se noi vogliamo siamo a
posto! possiamo anche essere nell’abisso più nero, e Lui trova il modo di
liberarci. Abbiamo visto il campo di ossa di Ezechiele: la parola di Dio
ricostruisce tutto, basta che Dio parli e che chi invoca ascolti.
Si dice che con Dio tutti
i mali e anche tutte le colpe diventano positive; con Dio tutto si trasforma in
positivo. S. Agostino ringrazia di tutto, anche di tutte le colpe, di tutti i
peccati, di tutti i mali, perché se Dio non gli avesse tenuto la mano…
Perché se noi ci
orientiamo a Dio, tutto quello che abbiamo fatto, anche di male, comprese tutte
le omissioni, dobbiamo vederlo come motivo di maggior legame, di un più stretto
legame con Dio; perché abbiamo esperimentato cosa vuol dire essere senza Dio.
Quando uno ha
esperimentato la pena, la tristezza di essere lontano da una creatura che per
lui è tutto, nel momento in cui la incontra, questa sua esperienza, questa sua
tristezza diventa un motivo maggiore di
unione, perché ha capito la pena dell’essere lontano, dell’essere distaccato.
L’importante è arrivare a
questo orientamento. In Dio allora tutto diventa positivo.
Il Signore ha questa
potenza: il male diventa bene, perché tutto diventa opera sua; per cui anche la schiavitù, anche l’Egitto,
la lontananza, anche il deserto, l’esilio è stato opera di Dio.
In Dio vediamo che è
stato opera di Dio, allora: “Sei tu Signore che mi hai fatto soffrire le pene
della lontananza, dell’esilio, perché volevi legarmi con quel vincolo così
forte, così tenace!”
In Dio tutto diventa
positivo, in cielo non c’è l’ombra del male; la bellezza del Signore sta in
questo: Lui cancella le colpe, ma le cancella veramente! Cancellare veramente
le colpe significa trasformarle in opera di bene, in motivo di maggior unione.
Cina: “La luce splende nelle tenebre ma le
tenebre non l’hanno accolta”, perché? Perché le loro opere erano malvagie.
Luigi: Gv. cap. III v.18: “Chi crede in Lui non è
giudicato, ma chi non crede è già giudicato perché non ha creduto nel nome del
Figlio Unigenito di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e
gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano
malvagie.”
Eligio: È vero che se noi abbiamo presente dei brani
delle parole del Signore staccati tra loro, ci manca la visione unitaria del
Cristo, manca la sintesi.
Luigi: È l’amore che sintetizza. È il tanto
amore che raccoglie. L’amore unisce, sintetizza e porta alla luce.
La notte è fatta dalla
dispersione. La luce è fatta dal raccoglimento, dall’unificazione.