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«  Il giorno dopo Giovanni era di nuovo là e con lui due dei suoi discepoli,  e, fermando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’Agnello di Dio!”» Gv 1 Vs 35-36


Titolo: I tre “indomani”: Gesù viene, passa e se ne va


Argomenti: Lo schema teologico di Giovanni – La mattina e la sera – Il tutto di Dio e il niente della creatura – Lo sguardo fisso – Cristo viene annuncia e passa – Il senso del tempo – Il cieco di Gerico – Gesù non condivide le passioni umane – Il messsaggio di salvezza di Cristo – Il fango – Le deformazioni del Cristo – I problemi di Cristo – La vita nuova – La giustizia divina -


1/Agosto/1976


 

Introduzione:

Luigi: Sull’argomento della volta scorsa c’è qualcosa da chiarire?

Pinuccia B.: Volevo chiedere come mai Giovanni Battista ha scoperto la salvezza di Dio solo quando ha battezzato Gesù, dal momento che il battesimo di giustizia che lui predicava era già un riconoscere che tutto è opera di Dio(anche le sofferenze, le malattie, le guerre, le disgrazie, ecc.) per richiamare l’uomo a Sé. Tutto l’Antico Testamento ci insegna che Dio è un Dio che salva e che la salvezza ci viene solo da Lui. Quindi anche Giovanni prima di battezzare Gesù già vedeva la salvezza in Dio, vero?

Luigi: Sì, ma non vedeva “come” Dio salva.

Pinuccia B.: Ma allora come interpretava tutta quest’opera di Dio?

Luigi: Ma non la interpretava! In tante cose noi sappiamo che è Dio che opera, sappiamo che tutto viene da Dio, ma non capiamo. Anche il Battista non poteva capire. Invece battezzando Gesù ha visto un disegno nell’opera di Dio… Ha scoperto “come” Dio salva”. Perché una cosa è sapere che una cosa è fatta da uno e un’altra cosa è capire “come” avviene quella cosa. Lì Giovanni ha visto! È stata un’illuminazione.

Pinuccia B.: Ha visto il “come” o il “perché” dell’opera di Dio?

Luigi: Ha visto il “come”: “come” Dio salva; il perché dell’opera di Dio già lo conosceva: tutti i Profeti credevano in un Dio che opera per salvare e aspettavano da Lui la salvezza (anche molti Salmi sono tutta un’invocazione al Dio che salva e un’attesa della salvezza da Dio solo), ma non vedevano il “come” Dio salva.

Giovanni qui l’ha visto in Gesù, nel Cristo che si sottomette a lui per essere da lui battezzato.

Accettando la sottomissione di Gesù, e quindi battezzandolo anche se per lui era una cosa assurda perché Lo riteneva superiore a sé, in questa obbedienza, ecco che Giovanni ha visto…, ha ricevuto l’illuminazione, grazie alla quale segnala Gesù come “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.

È come succede a noi : a volte facendo una cosa, magari tribolando per farla, abbiamo come un’intuizione…e incominciamo a capire. Perché è la problematica che forma la luce! Tante volte si dice che attraverso la croce, attraverso una sofferenza, attraverso un dolore accettato, l’anima si apre alla luce. Qui il Battista è giunto alla luce attraverso il travaglio dell’obbedienza, accettando ciò che per lui era assurdo.

Si dice che molte volte noi pensiamo a seconda di ciò che facciamo, e che quindi molte volte si fa la luce in noi a seconda di ciò che facciamo. Anche per il Battista avvenne questo, per cui ubbidendo alla Parola di Dio, superando il proprio modo di pensare e battezzando Gesù, egli ha visto un disegno di Dio, ha visto Gesù in modo nuovo, ha ricevuto la luce su come Dio salva.

L’abbiamo visto la volta scorsa: Dio salva l’uomo sottomettendosi all’uomo, prendendo su di Sé il peccato dell’uomo. Per questo segnala Gesù come “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” e dice: “Io non Lo conoscevo”. Cioè non Lo conosceva così.

La conoscenza che Giovanni ha avuto di Gesù in quel momento lì è stata una conoscenza molto più profonda, molto più piena di quella che aveva prima, tanto da cancellare quello che di Lui conosceva prima (o meglio, la conoscenza precedente è stata assorbita da quella nuova).

Certamente Giovanni prima di battezzare Gesù, Lo conosceva e Lo conosceva come Superiore, perché quando Lui si presentò per farsi battezzare, gli disse: “Non sei Tu che devi farti battezzare da me…, ma sono io che devo esser battezzato da Te”.

Ecco, sono proprio queste parole che rivelano che in lui c’era solo un rapporto di giustizia, ma non ancora quella conoscenza che ebbe battezzandolo: cioè non c’era ancora in lui quella visione del “come” Dio salva, visione che ebbe invece quando ha ubbidito e ha battezzato Gesù.

La luce nuova che lì ha ricevuto ha capovolto la sua convinzione di prima: ha capito che Gesù realizza la salvezza sottomettendosi all’uomo indegno, mentre invece lui pensava di dover preparare l’uomo a diventare degno di incontrare il Signore.

Dall'esposizione di Luigi Bracco:

Soffermiamoci sui versetti 35 e 36 in cui si dice: «Il giorno dopo Giovanni era di nuovo là e con lui due dei suoi discepoli e, fermando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’Agnello di Dio!”».

Intanto noi notiamo che nell’ultima parte di questo primo capitolo abbiamo diversi passaggi, diversi “indomani”: qui ci viene detto “il giorno dopo Giovanni…vide Gesù che passava che si collega con quell’ “indomani” in cui Giovanni vide “Gesù che veniva a lui e che avevamo già commentato al v. 29. Ci sarà poi ancora un altro “giorno dopo”, un altro “indomani”: lo troveremo più avanti al v. 43, dove è detto: “l’indomani Gesù decise di partire per la Galilea”.

Quindi noi ci troviamo con tre “indomani.

Come ci eravamo soffermati sul primo“indomani”. ed avevamo visto cosa potesse significare per noi, così partendo sempre dal principio che tutto ciò che è scritto, è scritto per ognuno di noi, come lezione per la nostra vita, anche qui dobbiamo interrogarci su questo secondo “indomani”. Dobbiamo cioè chiederci (visto che Giovanni rappresenta l’uomo in questo cammino di preparazione all’incontro con la Salvezza di Dio) che cosa voglia significare personalmente per ognuno di noi questo secondo “indomani”, in cui Giovanni, fermando il suo sguardo, vede Gesù che passa.

E poi dobbiamo già fin d’ora chiederci il significato anche di quell’altro “indomani” in cui Gesù decide di andarsene e se ne torna in Galilea.

Ecco, è molto importante per la nostra vita personale capire cosa significhino per noi questi tre “indomani”.

·il primo “indomani” dice: “Giovanni vide Gesù che veniva”,

·il secondo “indomani”: “vide Gesù che passava”,

·il terzo “indomani”: “Gesù se ne va”.

Intanto diciamo che questi tre“indomani” non sono, come possiamo intendere noi, espressione di tempo inteso come tre giornate consecutive, perché noi sappiamo da altri evangelisti che, ad esempio, tra il primo e il secondo “indomani” ci sono stati i quaranta giorni di Gesù nel deserto che l’evangelista Giovanni non menziona (egli non parla né del deserto, né delle tentazioni).

Questo già ci fa pensare che qui l’evangelista Giovanni stia tracciando uno schema teologico, per cui questi tre “indomani” indicano tappe del nostro cammino spirituale. Cioè egli ha un suo messaggio da mettere in evidenza, un suo messaggio da comunicare, proprio anche attraverso questi “indomani”, per cui in tante sue pagine lui trascura tante cose, non solo perché le troviamo già in altri evangelisti, ma perché ha una sua preoccupazione: quella di mettere in evidenza certe cose, per cui ne lascia cadere altre.

Allora:

1) Nel primo “indomani”, noi l’abbiamo già visto precedentemente, Giovanni scopre Gesù che viene (“L’indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui) e abbiamo visto che cosa si intenda per questo “venire di Gesù” a noi e quand’è che la nostra anima vede Gesù che viene a noi, cioè quali sono le condizioni per vederlo venire.

Questo vedere Gesù che viene è il mattino che succede alla notte: l’“indomani”, il mattino dopo una sera.

Anche qui, nella formazione dell’uomo (e tutto è opera di Dio per formare l’uomo, nel quale si sintetizza poi tutta l’opera della creazione di Dio), tutto è fatto di periodi di sera e di mattino. Per cui anche questo“indomani”, in cui Giovanni vede Gesù venire, è il mattino che viene dopo una certa sera: quella sera in cui l’uomo, accettando il battesimo di giustizia, ha scoperto, ha capito il “tutto” di Dio e il niente suo.

Questa scoperta è per lui sera: sera, perché è scoperta del proprio niente, della propria povertà, l’annientamento della creatura, il bisogno che ha di Dio.

Questa percezione del proprio niente e del “tutto” di Dio avevamo visto che era la conclusione di tutta l’opera del battesimo di giustizia, di tutto quel cammino le cui tappe ci sono state segnalate da Giovanni Battista:

-          quando testimonia di non essere la luce (“Io non sono la Luce…”);

·e di essere venuto per rendere testimonianza alla Luce (“io sono venuto per rendere testimonianza alla Luce…”);

·quando parla della necessità di superare se stesso per incontrare il Cristo: “Colui che viene dopo di me, cioè Colui che troverò dopo aver superato me stesso, è più grande di me, perché era prima di me…”;

·quando afferma: “Io non sono il Messia, Io non sono la Salvezza, ma io sono semplicemente una voce che vi ammonisce di fare diritte le strade del Signore…”,

·e che vi annuncia che in mezzo a voi sta Uno che voi non conoscete e che sarà questi, Colui che voi non conoscete, che salverà le anime vostre”.

Ecco, a conclusione di tutto questo cammino, c’è la scoperta del “tutto” di Dio, ignoto, eppur presente in noi, e del niente della creatura rappresentata da Giovanni.

Questa conclusione è la sera di quel giorno a cui succede poi quel mattino (l’“indomani”) in cui finalmente si vede l’opera di Dio, la Salvezza di Dio che viene a noi.

Prima non la vediamo, perché crediamo di essere noi a fare: non vediamo l’Altro che viene!

Quindi la condizione per scoprire l’opera di Dio, la Salvezza di Dio che viene a noi, è proprio questo prendere coscienza del nostro niente e del “tutto” di Dio. E questa presa di coscienza appartiene all’Antico Testamento ed è una conseguenza già del fatto di ritenere che tutto viene da Dio.

È proprio sapendo che tutto viene da Dio che a poco per volta prendiamo coscienza del nulla nostro, perché all’inizio, pur credendo che tutto viene da Dio, noi crediamo di essere ancora noi a fare, noi a pensare, ecc. Ma poi a poco per volta, attraverso le lezioni di Dio da noi accolte e riportate in Dio, prendiamo coscienza di questo “tutto” di Dio e niente nostro.

Allora in questa povertà della creatura che dice “Io sono semplicemente una voce, una voce che passa, una voce di Dio” (e tutte le creature - ogni creatura, e quindi anche noi - sono “voce di Dio” che invita a fare diritte le strade del Signore, cioè a prendere tutte le cose dalle mani di Dio e a riferirle tutte a Dio), abbiamo la sera.

Dopo questa sera, dopo questa confessione della creatura, che è una conseguenza coerente del concetto stesso del “tutto di Dio”, ecco che la creatura si apre su questo mattino del Dio che viene.

Giovanni, battezzando Gesù, aveva visto lo Spirito scendere dall’Alto e fermarsi su di Lui. Qui, in questo passo che stiamo commentando, troviamo un altro “fermarsi”: “Giovanni fermando lo sguardo su Gesù che passava…”.

“Fermarsi”, è un verbo su cui l’evangelista Giovanni si sofferma parecchio, come in quel passo in cui Gesù dice: “Sarete veri miei discepoli, se resterete, se vi fermerete nelle mie parole…”, e anche in quello in cui parlando dello Spirito Santo dice: “Chi mi ama, il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo abitazione in lui…”: ecco, abbiamo sempre questo “fermarsi” , questo restare. Vuol dire che è molto importante questo “fermarsi”.

Noi qui troviamo che dopo aver scoperto Gesù che viene a lui, che si sottomette alla creatura, e dopo aver visto lo Spirito che scende e si ferma su di Lui, Giovanni si ferma su Gesù: ferma cioè lo sguardo su Gesù.

Ciò significa che dopo che la nostra anima ha scoperto Gesù, la Salvezza di Dio che viene a noi, cioè dopo aver scoperto l’opera di Dio, l’opera che Dio fa per salvare noi, per portarci nella luce, il passo successivo è quello di fermare noi il nostro sguardo su Gesù, su questa Salvezza di Dio per noi.

Prima il nostro sguardo vagava, passava da una cosa all’altra; ma, scoperto questo, lo sguardo si ferma. Ma fermandosi, c’è un’altra scoperta.

Ecco, come noi ci fermiamo con Colui che viene a noi, si prepara un altro“indomani” con un’altra scoperta.

2) Il secondo “indomani” è questo: si scopre Gesù che passa! “Il giorno dopo (l’indomani) Giovanni … fermando lo sguardo su Gesù che passava…”.

È questa la nuova scoperta: Colui che viene non resta. Ha lo Spirito con Sé, lo Spirito che scende dall’Alto: viene nelle cose del nostro mondo, si sottomette alla creatura (la Parola di Dio si sottomette alla creatura!), però non sta. Non sta nelle cose terrestri: viene, si annuncia sottomettendosi, passa e va. Ecco, Giovanni “vede Gesù che passa”.

Come Giovanni ferma lo sguardo su Gesù, ci si aspetterebbe che l’Altro resti. Invece no: l’Altro passa!

La scoperta di Gesù che viene a noi, che passa e se ne va, fa pensare alla pioggia (ed è un esempio sublime!) che viene dal cielo, viene in terra, penetra nella terra, la feconda e ritorna in cielo: è la funzione della Parola di Dio!

Però il vedere Gesù, (la Parola, il Verbo di Dio) che passa, reca nella creatura un movimento: vedendo Uno che passa, la creatura si trova dinnanzi ad un bivio, cioè:

·o partire ed andare dietro a Lui,

·o restare, ma perdere Lui.

Però partire vuol dire lasciare il proprio mondo. Ecco, per restare con Lui, siccome Lui passa, bisogna partire e questo vuol dire lasciare la nostra mentalità, il nostro vecchio mondo e quindi superare le nostre conoscenze e i nostri punti di vista, con tutta la difficoltà che ne consegue.

Quante volte Gesù si è trovato contestato e da quelli di Nazareth e da quelli di Cafarnao, perché? “Perché noi Lo conosciamo! Noi sappiamo chi è suo padre, chi è sua madre, chi sono i suoi fratelli: questi è Gesù, il figlio del falegname, e come mai adesso parla così? Da dove gli viene questa dottrina?”.

Lo contestano perché non vogliono partire dietro i suoi annunci di vita nuova.

Lui annuncia qualcosa di nuovo (ecco Gesù che passa! Se non resta e va avanti è per dirci che c’è altro da vedere), ma l’uomo fa resistenza, non vuol partire e allora naturalmente, non volendo partire, dice: “Che novità è mai questa?” e scarta quindi la novità in nome di ciò che sa già.

E allora cosa gli resta? Gli resta la scorza! Gli resta soltanto più la Parola senz’anima. Gli resta il ricordo di Gesù che è venuto, ma che non è più; resta la fotografia, ma non c’è più la persona. Abbiamo il ricordino, ma la persona non c’è più.

Ecco, se noi non partiamo dietro a Colui che passa, resta soltanto il ricordo di quello che è stato, di quello che sarebbe potuto essere, ma che non è stato, perché non siamo partiti.

Quindi Gesù che passa è una sollecitazione, è un richiamo ad andare, a seguire Lui. Nel Gesù che passa abbiamo un po’ il senso del tempo, perché in Gesù abbiamo la sintesi, e quindi anche la rivelazione del senso di tutte le cose, del perché c’è il tempo, del perché tutte le cose passano, ecc.

C’è un bel passo del Vangelo che ci parla del cieco di Gerico. Anche il cieco di Gerico rappresenta ogni uomo, seduto a mendicare ai margini della strada (la strada significa la vita). Ad un certo momento sente un rumore di folla che passa e chiede: “Cos’è tutto questo rumore?”. Gli rispondono: “È Gesù che passa!”, e allora incomincia ad invocare: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù si ferma, gli chiede che cosa vuole che Lui gli faccia e alla risposta del cieco, che è un’invocazione (“Signore, fa’ che io veda!”), Gesù gli ridona la vista.

Il significato dell’episodio di questo cieco di Gerico è validissimo, perché questo cieco rappresenta ogni uomo che elemosina ai margini della vita da tutti i passanti.

Gesù dice: “Come potete aver fede voi che elemosinate la gloria gli uni dagli altri…?”: ecco l’uomo cieco che, non avendo e non vedendo, chiede agli uni e agli altri un po’ di amore, un po’ di comprensione, un po’ di beni, ecc.. Ecco, sta chiedendo l’elemosina, come dice Gesù: “…cercate la gloria gli uni dagli altri”.

Però, ad un certo momento, questo cieco sente un rumore di folla che passa, di gente che va e si chiede cos’è. Anche noi assistiamo a questo passare continuo del tempo, questo passare delle creature… Che cos’è tutto questo passare del tempo, delle persone che vanno, ecc.? Cosa sono tutte queste cose che passano? È Gesù che passa! Perché nel tempo che va, c’è il Verbo di Dio, c’è la Parola di Dio.

Da questo suo passare siamo messi in movimento, perché vedendo Uno passare, se non Lo vogliamo perdere:

·una delle prime cose da fare è quella di capire dove va, di scoprirne la direzione, per andare con Lui;

·quindi, se noi capiamo il senso, la direzione delle cose e partiamo, allora lì abbiamo l’inizio dell’uomo nuovo, dell’uomo che ha lasciato la sua vita vecchia per seguire Gesù, per conoscere

·Dio, impegnandosi su ciò di cui Gesù gli parla, perché è la Parola di Dio che ci rivela Dio.

L’importante, quando si vede Gesù che passa, è incominciare ad andargli dietro. Altrimenti Lo perdiamo, perché in quanto Gesù viene, non viene per ristagnare nelle nostre cose terrestri: le “cose” terrestri” sarebbero poi il nostro vivere, la nostra mentalità, la nostra problematica, i problemi di tutti i giorni, le nostre questioni. Lui non viene per condividere queste cose.

A noi potrebbe sembrare, siccome Lui viene a noi, che resti con noi, per cui ci dica: “Bene! Anch’io condivido con te le tue questioni, i tuoi problemi, le tue ansie; mi affatico con te, lavoro con te, ecc.”. Ed ecco che si parla allora del Cristo operaio che condivide la vita degli operai, che opera per togliere le ingiustizie sociali, ecc.. No, Gesù non condivide questi interessi. Gesù non viene per condividere la nostra vita. Lui ha una sua Vita! Non condivide niente del mondo!

Gesù non riconosce nemmeno sua madre, non riconosce i suoi parenti: “Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? Chiunque fa la volontà del Padre mio, chiunque ascolta la Parola di Dio, ecco, mio fratello, mia sorella e mia madre!”. Appunto perché Lui non condivide niente: viene nel mondo, ma non è del mondo. “Io sono di lassù, voi siete di quaggiù”, Egli dice. In questo è sempre netto. E anche quando parla del Padre dice: “Padre mio e Padre vostro”: non confonde mai. Non dice: “Padre nostro”.

Quindi Lui non entra nelle nostre problematiche (ad esempio, quando quel fratello gli presenta una questione di eredità), perché Lui viene con un suo messaggio di salvezza. Il messaggio è un messaggio “suo”: è “Cielo”! Non si confonde con la terra! Siamo noi che lo confondiamo, perché non lo assimiliamo.

Quando la terra non assimila l’acqua, cosa succede? Si crea il fango. E anche questo ha un significato: quando noi non capiamo il messaggio del Cielo, trasformiamo la Parola stessa di Dio, quindi il Cristo, in fango: nel fango della nostra vita. Ecco allora perché abbiamo poi dopo tutte le deformazioni anche nei riguardi del Cristo e del messaggio del Cristo!

Bisogna allora partire dietro il Cristo, assimilando le sue Parole. Inutile e assurdo volerlo trattenere nel nostro mondo, interpretando il suo messaggio con la nostra mentalità. Facendo così Lo perdiamo. Egli è Uno che guarda al Padre, va al Padre, vuole portarci al Padre e non si lascia strumentalizzare da noi.

Bisogna partire dietro di Lui, perché Lui ha qualche cosa di nuovo da comunicarci: Lui è nuovo, è sempre nuovo e in quanto è nuovo crea novità di vita. Quindi Lui non viene per sollevarci dalle nostre faticose questioni, Lui non viene per approvare i nostri problemi! Lui viene per crearci nuovi problemi: i suoi problemi, per cui addirittura dice: “Non preoccupatevi del mangiare, del vestire, non preoccupatevi delle vostre giustizie! Se qualcuno vuol portarti via l’abito, tu dagli anche il soprabito…! Se uno vuol farti correre per cento, va’ con lui per duecento! Se uno ti dà uno schiaffo, porgigli anche l’altra guancia! Non contestare, né discutere…!”.

Ma perché? Perché devi liberarti la mente da ogni preoccupazione, da tutti gli interessi terrestri e dal pensiero del tuo io, perché c’è tutta una vita nuova da vivere!

Ora Lui porta a noi questa vita nuova, per cui Lui non viene per dirci: “Ah, sei schiavo? Adesso ti difendo io da ogni ingiustizia”. No, niente affatto! Ecco l’errore che noi facciamo!

Noi crediamo che Lui venga per realizzare la nostra giustizia. Lui invece viene per far trascendere tutto il nostro problema di giustizia, perché c’è un’altra giustizia che noi abbiamo dimenticato. Per cui il problema non sta nel pagare le imposte a Cesare. Cesare vuole il vostro denaro? Ma date a Cesare tutto il denaro che vi chiede! Ma “date a Dio quello che è di Dio!”. Ecco quello che Lui è venuto ad annunciare!

Questo è il vero problema: il problema della salvezza, il problema della conoscenza di Dio! Ed è un problema urgente!

Per questo Lui viene, prende contatto con noi e passa.

Se noi riceviamo il suo messaggio, partiamo con Lui.

Ma qual è la condizione per accogliere il messaggio del Cristo e partire con Lui? Abbiamo visto come sia necessaria una preparazione per vedere Gesù che viene a noi.

Ma essa è necessaria anche per essere capaci di accoglierlo e di seguirlo.

Altrimenti quando Lui viene a noi, o non Lo riconosciamo o, se Lo riconosciamo, Lo lasciamo passare invano.

Gesù stesso ha detto: “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre”. Tutte le lezioni dell’Antico Testamento, attraverso le tappe indicate dal Battista e sintetizzate nella giustizia essenziale (Dio al primo posto!), hanno appunto la funzione di prepararci a questo incontro, affinché possiamo riconoscere e seguire il Cristo che viene e passa.

Tale preparazione consiste:

·nella formazione in noi, come abbiamo già detto, della convinzione del Tutto di Dio e del niente nostro,

·e, di conseguenza, nella maturazione in noi di un bisogno specifico, il bisogno di Dio, di una grande attrazione per Lui e di un grande desiderio di conoscerlo,

·e, nello stesso tempo, in una progressiva presa di coscienza del nostro peccato, della nostra schiavitù, e della nostra impossibilità a liberarcene e a conoscere Dio,

·e quindi nella convinzione che la salvezza ci può venire solo da Lui e non dalle creature o cose del mondo,

·e nell’atteggiamento quindi di un’attesa specifica e polarizzata del Cristo.

Non solo i Profeti, ma anche i Salmi richiamano in continuazione le convinzioni che si devono formare o che già si sono formate nell’anima per renderla pronta a seguire il Cristo, e ripetono sovente espressioni come queste:

Il tuo Volto, Signore, io cerco… senza di Te non ho alcun bene…

Sei Tu il Dio della mia salvezza, in Te ho sempre sperato…,

Il Signore è mia luce e mia salvezza,…

Solo in Dio riposa l’anima mia: da Lui la mia salvezza

È questa preparazione interiore, questa attrazione per il Padre (che nasce dalla giustizia essenziale) che disegna in noi il Volto del Cristo, per cui ci dà la possibilità, non solo di vedere il Cristo che viene a noi e di riconoscerlo, ma di afferrarci a Lui, di partire dal nostro mondo e seguirlo, perché finalmente“abbiamo incontrato Colui che aspettavamo! Colui del quale hanno parlato Mosè e i Profeti!”.

Solo con questa preparazione abbiamo la possibilità di accogliere tutte le sue Parole, anche quelle più impegnative che ci preparano alla nostra Pentecoste.

Questa preparazione è urgente, poiché il problema vero della salvezza è un partire.

Se non partiamo, tutto ristagna in noi: non c’è più l’anima, non c’è più lo Spirito! Sì, sì, resta la lettera, resta la regola, resta il sentito dire, resta il ricordo, resta l’immagine, ma non c’è più lo Spirito! Lo Spirito è con Cristo, ma Cristo se n’è andato. È venuto un giorno, ma è passato!

Per questo Sant’Agostino diceva: “Temo il Signore che passa!”: passa! Appunto perché se passa, non sta, per cui, se non Lo seguo quando viene a me, Lo perdo!

Ma ogni Suo “passaggio” (quindi “Pasqua”, che vuol dire “passaggio”) diventa anche un giudizio, perché se noi non partiamo, restiamo giudicati, perché era la Parola della mia salvezza che è arrivata: è venuta, ma io l’ho lasciata passare!

Allora le porte si chiudono e noi incominceremo a bussare ad una porta che non si apre più, perché dice Gesù: “Senza di Me non potete fare niente”, “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”.

Questo “Me” è l’Io del Figlio, la Parola di Dio che viene a noi per farci conoscere il Padre. Ma questa Parola passa, non sta. Quindi non è che noi possiamo dire: “Va bene, Tu sei con me, un giorno o l’altro Ti seguirò…”, no, no! Quella Parola è passata: Lui non si ferma! Per cui se noi crediamo di poter poi dopo bussare alla porta quando la Parola è passata, la porta non si aprirà più, perché la porta è Lui che la apre, non siamo noi che possiamo aprirla.

Per questo Gesù ci ammonisce: “Ancora per poco la Luce è con voi….Camminate fintanto che la Luce è con voi…”: ecco, c’è una scadenza!

Questo è il secondo “indomani”.

3) Poi avremo il terzo “indomani” in cui Gesù se ne va: era venuto dalla Galilea per farsi battezzare da Giovanni: è stato riconosciuto da lui come Agnello di Dio, e ora ritorna in Galilea.

Ecco, questo terzo “indomani” è il segno del Dio che ritorna donde è venuto. Quindi Dio viene e ritorna al Cielo.

Come la pioggia che scende sulla terra e poi ritorna in cielo (viene per fecondare la terra!), così è Gesù che viene e ritorna donde è venuto: è venuto dal Padre e adesso ritorna al Padre (“Sono venuto dal Padre ed ora ritorno al Padre”, Egli dice).

Qui intravediamo quei famosi tre giorni che ricorrono sovente nella Bibbia, i tre giorni in cui Lui resta in terra: ecco, i tre “indomani” sono anche simbolo di questi. Cioè diciamo che questi tre “indomani”, nei quali “Cristo viene, passa e se ne va”, sono i tre giorni della Sua vita tra noi (e significano anche i tre giorni del Dio morto e che poi dopo risorge). Sono i tre giorni attraverso cui Dio ricostruisce l’uomo: viene, passa, va!

L’importante è che l’uomo ne capisca il significato!

A conclusione, facciamo ancora una riflessione sul secondo “indomani”, e precisamente sui versetti di stasera: Giovanni come vede passare Gesù, Lo segnala dicendo: “Ecco l’Agnello di Dio!”. Cioè ripete il messaggio precedente, perché ormai non ha più altro messaggio da dare. Ha visto! E quando uno ha visto, non ha altro da dire! È essenziale, e non fa che ripetere quello che ha visto: “Ecco l’Agnello di Dio!”.

E come lo dice, due dei suoi discepoli lasciano lui e seguono Gesù: ecco, incomincia il trasferimento da Giovanni a Gesù. Cioè appena si scopre Gesù, e Gesù che passa, dall’uomo vecchio parte tutto ciò che l’uomo vecchio ha e si trasferisce dietro a Gesù e l’uomo vecchio muore: ecco, Giovanni muore.

Però prima di morire, trasferisce a Gesù tutto ciò che ha, perché: “è necessario che Lui cresca e che io diminuisca”.

Quindi ciò che avvenne per Giovanni e i suoi discepoli deve avvenire anche in noi: Gesù venendo a noi e passando tra noi, chiede a noi il trasferimento a Lui di tutto ciò che abbiamo, e questo è significato dai discepoli di Giovanni: inizialmente sono questi due a trasferirsi a Gesù, e poi ce ne saranno altri, fino all’ultimo, cioè fino alla vigilia della sua morte quando Giovanni stesso manderà a nome suo a Gesù ancora alcuni dei suoi discepoli più restii a staccarsi da lui, perché possano constatare essi stessi e convincersi personalmente che Gesù è il Cristo.

Ecco, in questo trasferimento dei suoi discepoli da sé a Gesù da parte di Giovanni è simboleggiato il trasferimento dietro a Gesù di tutto ciò che noi abbiamo.

Cioè prima noi vivevamo per motivi e interessi nostri, per cose nostre; con Gesù dobbiamo trasferire tutto a Lui in modo che le cose siano secondo Lui, siano viste da Lui e fatte secondo Lui: qui abbiamo l’inizio dell’uomo nuovo. Ecco, abbiamo “uomini nuovi”!

Infatti, in questi due discepoli, Giovanni ed Andrea, i primi due discepoli che passano a Gesù e Lo seguono, abbiamo già l’inizio degli uomini nuovi. Qui abbiamo il “Nuovo” Testamento che si apre, ed abbiamo l’uomo “nuovo” che si apre con Gesù.

Giovanni Battista rappresenta la fine dell’uomo vecchio, la fine di tutto l’Antico Testamento, che manda, trasferisce a Gesù tutto ciò che ha, affinché Gesù, poiché la vita e la luce vengono da Gesù, illumini la sua vita. Diciamo quindi che in questo secondo “indomani” abbiamo il seme, l’inizio degli uomini nuovi che, con Gesù arriveranno al compimento a Pentecoste.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Giovanni: Sapere che Gesù viene, ma non resta, perché passa e se ne va, è un richiamo per noi.

Luigi: Certo, è un richiamo a partire.

Giovanni: Partire quando Gesù passa vuol dire impegnarci a conoscere Dio?

Luigi: Vuol dire seguirlo.

Giovanni: Certo, ma con il desiderio di conoscere Dio.

Luigi: Tu Lo segui proprio perché ti interessa conoscere Dio, perché è Lui, la Parola di Dio, che ci rivela chi è Dio.

Quindi partire dietro di Lui vuol dire impegnarci sulle sue Parole, poiché sono esse che ci portano alla conoscenza di Dio.

Ed è un impegno urgente, perché il Cristo passa: “Non sempre avrete Me”, Egli dice.

Emma: Fa molto pensare questa espressione: “Gesù viene, passa, va”.

Luigi: Certamente. Il sapere questo ci responsabilizza.

Emma: È importante quello che hai detto: che cioè per non lasciarlo passare invano ci vuole la preparazione, che è poi il battesimo di giustizia.

Luigi: Sì, perché dalla giustizia nasce l’attrazione per Dio ed è questa attrazione che ci fa riconoscere in Gesù il Mandato dal Padre, l’Agnello di Dio, e…

Emma: …e ci dà la possibilità di seguirlo subito.

Luigi: Sì, perché Lui è Uno che passa, va avanti. Se viene a noi, non viene per fermarsi dove noi siamo, ma per portarci dove Lui è.

Emma: Certo, è l’attrazione per Dio che ci dà la possibilità di seguirlo, perché ci fa trovare molto interessanti le sue parole.

Luigi: Infatti se a noi interessa il Padre, se a noi interessa conoscere Dio, ci rendiamo conto che nessuno ha mai parlato come Lui di Dio, per cui ci impegniamo ad assimilare le sue parole, perché è il porre mente ad esse che forma in noi la capacità di conoscere il Padre.

Eligio: Il Battista vede Gesù che viene, passa e se ne va. Siccome lui rappresenta tutta l’umanità, la stessa esperienza dovrebbe verificarsi per chi vive interiormente la giustizia essenziale da lui predicata, vero?

Luigi: Certo.

Eligio: Lui però ha visto la Persona storica, il che non può ripetersi per noi.

Luigi: Perché no?

Eligio: Ma la Persona come facciamo a vederla? Noi possiamo solo vedere i segni dell’avvicinarsi di Gesù, del suo passaggio…

Luigi: Ma i segni dell’avvicinarsi di Gesù noi lo vediamo anche se non abbiamo questa preparazione del Battista, perché comunque Dio viene, passa e va. Però se noi non abbiamo la preparazione, vedendo questi segni, sentiamo il rumore, il rumore di questi fatti, però non capiamo! Non vediamo la Persona Divina: siamo ciechi come il cieco di Gerico.

Eligio: Ma chiedevo per chi invece è nella condizione del Battista, cioè per chi ha operato dentro di sé questa giustizia essenziale…

Luigi: Vede la Persona! Vede la Persona!

Eligio: Vede la Persona?

Luigi: Vede la Persona! Cioè nei fatti vede la Persona Divina!

Eligio: Vede cioè il Cristo, il Figlio di Dio?

Luigi: Sì. Mentre invece, se non c’è la preparazione, cioè se non c’è la giustizia essenziale, i fatti avvengono lo stesso: Dio viene, il Cristo viene per salvare ogni uomo, ogni giorno Lui viene tra noi, ogni giorno passa e ogni giorno va, il messaggio arriva a noi, però noi non vediamo, non capiamo. Siamo ciechi, abbiamo altri problemi, non riconosciamo il Cristo, come non Lo riconobbero quelli di Nazareth: “Venne tra i suoi, venne nella sua casa, ma i suoi non Lo accolsero”. Come mai non Lo accolsero? L’evangelista stesso ce lo dice: “Tutti coloro che non accolsero il battesimo del Battista, non poterono seguire il Cristo”, non poterono riconoscerlo. Vedevano l’uomo, vedevano che faceva cose straordinarie, ma pensavano che fosse magari il demonio ad operare in Lui, oppure pensavano che fosse un pazzo.

Ecco, anche per noi è così! Perché si avverte ciò che avviene: è il rumore! Ma non capiamo che tutto questo rumore è il “Gesù che passa”! Ecco, noi avvertiamo i rumori, ma per poter intendere, vedere la Persona, è necessario che questa Persona sia già dentro di noi. L’abbiamo già detto tante volte: soltanto se già dentro di noi c’è il Volto di Dio, noi possiamo scoprire Dio fuori di noi. In caso diverso, no!

Eligio: Quindi i due discepoli di Giovanni riconoscono e seguono il Cristo che è stato loro segnalato, perché portavano in sé questa preparazione interiore…

Luigi: Sì, infatti dicono: “Abbiamo trovato Colui di cui parlavano le Scritture!”. Ma perché L’hanno trovato? Perché ce L’avevano già dentro!

Era stata talmente grande l’attesa di Lui che subito Lo seguono e tanto grande era l’interesse per Lui che quando Gesù si gira e chiede loro: “Che cercate?”, gli rispondono: “Dove abiti?” (e anche qui c’è il richiamo al verbo “fermarsi”, poiché l’abitare è un “restare”). Essi si preoccupano di sapere dove Lui abita, perché Gesù è Uno che passa. Ora quando uno passa, c’è il rischio di perderlo, perché va avanti. È perciò importante per loro sapere dove abita, dove si ferma, per poterlo trovare.

Avevamo detto la volta scorsa che uno si ferma nelle cose sue (avevamo detto che lo Spirito scende dall’Alto e resta: ecco lo Spirito scende, ma dove? a casa sua, nelle cose sue: allora lì si ferma). Quando invece noi vediamo uno che corre, uno che passa, uno che va, vuol dire che costui non è a casa sua.

E allora: “Dove abiti?”, gli chiedono. Ma, se glielo chiedono, vuol dire che a loro stava molto a cuore scoprire dove Lui si fermava, perché volevano fermarsi con Lui! Quando uno si interessa dell’indirizzo di un qualcuno è perché ha interesse per questo qualcuno. Ecco, rivela molto amore per questo qualcuno! Per cui gli chiede l’indirizzo di casa per poterlo andare a trovare, per poterlo trovare, perché ha intenzione di restare con lui. Per questo i due discepoli chiedono a Gesù: “Dove abiti?”.

Quindi l’anima per poter scoprire il Cristo, ciò che ci fa scoprire la Persona che c’è dietro ai fatti che avvengono, è la preparazione, cioè l’attesa, l’interesse per Dio che nasce dalla giustizia essenziale predicata dal Battista.

Senza questa giustizia essenziale, noi assistiamo alla venuta del Cristo, perché tutto è parola di Dio che viene a noi per salvarci, però noi non vediamo Lui, non Lo riconosciamo.

Eligio: Allora, se ciò che ci fa scoprire la Persona che c’è dietro ai segni è la preparazione, il Battista avrebbe potuto riconoscerla ugualmente anche se non avesse incontrato la presenza fisica del Cristo?

Pinuccia B.: Mi pare sia più o meno la stessa domanda che avevo posto prima dell’incontro: avevo chiesto cioè se il Battista avrebbe potuto riconoscere la Salvezza di Dio nei fatti, nei segni di Dio, prima di aver incontrato la presenza fisica di Gesù al Giordano per il battesimo.

Luigi: Però la tua domanda mi sembra che fosse diversa da quella di Eligio, perché la tua riguardava la scoperta della salvezza, quella di Eligio la scoperta della Persona che sta dietro ai segni. Cioè tu chiedevi come mai il Battista ha scoperto la salvezza di Dio solo quando ha battezzato Gesù e non prima, anche se, avendo fatto la giustizia essenziale, attendeva la salvezza solo da Dio e vedeva che tutto era opera di Dio per salvare l’uomo.

Ed avevamo detto che Giovanni già vedeva, per giustizia, che tutto era opera di Dio per salvare l’uomo. Però vedere che tutto è opera di Dio per salvare l’uomo, non è ancora vedere “come” avviene questa salvezza da parte di Dio, cioè non è ancora vedere che Dio prende su di sé il nostro peccato.

Anche se il Battista la vedeva come opera salvatrice, non vedeva “come” Dio opera questa salvezza, e la cosa è diversa, perché, come ho già detto prima, noi possiamo ritenere che tutto sia opera Dio, ma non capire quest’opera che Dio sta facendo.

Pinuccia B.: Cioè non capire “come” Lui mi stia salvando?

Luigi: E già! Senza il Cristo, noi non possiamo capire “come” Dio ci salva. Noi possiamo intendere che tutta l’opera di Dio sia magari solo una sollecitazione a cambiare, a diventare giusti, a trasformarci, oppure possiamo intenderla come castigo. Ci sono tanti modi di interpretarla! Intendere invece il “come” Dio salva è molto diverso!

Giovanni Battista vide il “come” avviene la salvezza da parte di Dio e questo “come” l’ha capito battezzando Gesù, non prima.

Luigi: Tu Eligio stavi facendo invece una domanda diversa…

Eligio: Siccome hai detto che ciò che ci fa scoprire la Persona Divina che c’è dietro ai fatti è la preparazione, chiedevo: il Battista, che è la sintesi di tutta la preparazione dell’Antico Testamento, avrebbe potuto riconoscere il Verbo, la Persona operante che sta dietro ai segni, se non avesse incontrato la presenza fisica del Cristo? Lo chiedo perché noi oggi non possiamo incontrare la figura storica di Cristo, e vorrei sapere se anche per noi è possibile, facendo la giustizia essenziale, riconoscere la Persona, il Verbo di Dio, che opera attraverso i segni.

Luigi: Sì, ma dobbiamo mettere Dio al centro dei nostri pensieri, della nostra vita. Mettendo Dio al centro dei nostri pensieri, noi scopriamo il nostro niente, il Tutto di Dio, il nostro bisogno, e così a poco per volta ci prepariamo a riconoscere il Verbo di Dio nei segni e quindi anche nell’ uomo Gesù, riconoscendo in Lui il Cristo, Colui che ci porterà al Padre.

Eligio: Però penso, e forse pecco di materialismo, che la presenza fisica della Persona di Gesù abbia aiutato notevolmente il Battista nel riconoscere il Verbo, la Parola di Dio inviata dal Padre dietro il segno della sua presenza fisica. Mi pare invece che non incontrando la presenza fisica sia per noi molto più difficile risalire dai segni alla Persona stessa.

Luigi: No, non si risale dai segni alla Persona: cioè dalla terra non si arriva al Cielo. La salvezza discende dal Cielo, per cui bisogna guardare al Cielo. È soltanto guardando al Cielo che si vede discendere dal Cielo la Salvezza di Dio.

Se Giovanni Battista vide lo Spirito scendere dal Cielo su Gesù è perché i suoi occhi erano attenti al Cielo e non alla terra, altrimenti non avrebbe visto lo Spirito scendere dal Cielo. Quindi la sua attenzione era al Cielo. L’intelligenza, la luce, viene dall’Alto, non sale dal basso. Dal basso c’è il rumore (ma il rumore va intelletto), mentre l’intelligenza viene dall’Alto.

Per cui se noi crediamo di arrivare al Cielo salendo dalla terra, dai segni, cioè partendo dalla terra, dai segni, noi facciamo la Torre di Babele, ma non arriviamo al Cielo. Bisogna quindi partire dal Cielo, da Dio e questo vuol dire avere gli occhi attenti al Cielo.

La salvezza, la Luce, vengono dall’Alto: per cui soltanto da Dio, partendo da Dio si interpretano i segni di Dio. Invece partendo dai segni di Dio, non si arriva a Dio, non si arriva alla Luce.

Allora, non è partendo dalla presenza fisica di Gesù che si arriva a vedere la Persona Divina, il Verbo di Dio, in Lui. Quanti hanno visto la sua presenza fisica e non L’hanno riconosciuto e quindi non L’hanno seguito! Bisogna partire da Dio! Essere attratti da Dio, porre attenzione a Dio, altrimenti non si vede in Lui il “mandato da Dio”, la Parola di Dio, e allora cosa succede? Lui viene a noi, passa e va, ma noi Lo lasciamo passare e non Lo seguiamo.

È dunque con Dio, è con la Luce che si vede la luce; è con lo Spirito che si vedono le opere dello Spirito: ma se uno non ha lo Spirito, non può intendere i segni dello Spirito. È una scrittura di cui manca l’anima; noi possiamo trovarci di fronte ad una scrittura, ma non intendere la scrittura. Che cos’è necessario per arrivare ad intendere la scrittura? Ecco, ci vuole qualcosa: l’anima che mi fa interpretare i segni. Ma se io non ho quest’anima, posso leggere tutti i segni di questo mondo e non capire niente.

Eligio: Ma allora qual è la funzione dei segni?

Luigi: Direi, il segno è il rumore: quel rumore di folla, che richiama l’attenzione del cieco di Gerico: “È Gesù che passa!”.

Eligio: Quindi i segni hanno pur una loro funzione, no?

Luigi: Certo, altrimenti Dio non li farebbe, è logico.

Eligio: È pur sempre quella di richiamarci a Dio, vero?

Luigi: Certo.

Eligio: Ma se tu dici che dai segni non possiamo andare a Dio, non mi è più chiara la loro funzione…

Luigi: In questo momento ho presente la chiamata notturna di Samuele, perché fa capire quale deve essere la funzione dei segni, cioè delle creature. Samuele non sapeva che Dio parlasse. Si sente chiamare di notte: “Samuele! Samuele!”, per cui va dal suo maestro Eli e gli dice: “Mi hai chiamato?”. Il maestro risponde: “No, non ti ho chiamato, torna a dormire!”. Una seconda volta nella notte si sente chiamare: “Samuele! Samuele!” e corre da Eli: “Mi hai chiamato?”. Ma Eli risponde: “No, non ti ho chiamato, torna a dormire!”. Ancora una terza volta, sentendosi di nuovo chiamato, va dal suo maestro: “Mi hai chiamato?”. Allora Eli capisce che è il Signore che sta chiamando il giovane Samuele e gli dice: «Se ti senti ancora chiamare di’: “Signore, parla che il tuo servo Ti ascolta!”».

Ecco, Samuele non sapeva ancora che Dio parlasse. Sente il “rumore”, ma il rumore lo attribuisce alla creatura, per cui si rivolge al suo maestro: “Mi hai chiamato?”. Così anche noi: ci troviamo tra i segni di Dio, ma li attribuiamo alle creature (il famoso esempio del “piede pestato”: anziché dialogarlo con Dio per capire il motivo per cui ci ha mandato una creatura a pestarci il piede, noi ce la prendiamo con la creatura dicendo che è villana, ecc.); noi attribuiamo i segni alla natura, alle leggi, al caso, perché non sappiamo ancora che Dio parla. Ci sentiamo chiamare, ma andiamo dalle creature e tutti i nostri problemi crediamo di risolverli con le creature.

Però colui che sa che è Dio che parla (ma se lo sa è perché discende già dal Cielo e quindi ha lo Spirito), ci dice: “Se ti senti ancora chiamare, non venire più da me, rivolgiti a Dio! E di’: “Signore, parla che il tuo servo ascolta!”.

Ecco, allora che qui, in questa preghiera a Dio, abbiamo l’apertura di Samuele e la sua attenzione alla voce che discende dal Cielo. Allora, attento al Cielo, viene illuminato dal Cielo e c’è la “vocazione”. Ma bisogna che l’anima sia attenta al Cielo.

Quindi certamente i segni (le creature, i fatti, ecc.) hanno una loro funzione.

Quindi:

·la funzione dei segni è quella di richiamarci all’attenzione a Dio;

·con l’attenzione a Dio poi allora arriva da Dio la luce;

·ed è la luce che mi fa poi intendere l’anima, il significato dei segni.

Pinuccia B.: La funzione dei segni è quindi quella di renderci attenti a Colui che li manda, perché solo da Dio ci arriva la luce per interpretarli.

Luigi: Certamente! Lo dirà Giovanni Battista più avanti: “Nessuno può salire al Cielo, se non Colui che discende dal Cielo”, come d’altronde Gesù dice: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio Lo avrà voluto rivelare”. Quindi tutta l’opera salvatrice, e quindi illuminatrice, dei segni, e delle opere di Dio viene dall’Alto, nella misura però in cui noi siamo attenti all’Alto e pendiamo dall’Alto!

“I figli di Dio ascoltano le parole di Dio”, dice Gesù. Ma dice anche: “Chi non è da Dio non ascolta parole di Dio”, e questo è molto più profondo di quanto apparentemente non sembri, in questo senso: quando Gesù dice: “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio”, vuol dire che chi è da Dio non ascolta soltanto le parole di Dio, ma… “ascolta in tutto parole di Dio”, cioè tutto per lui è Parola di Dio.

Allora: “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio”; ma: “Chi non è da Dio non ascolta le parole di Dio”. Per cui:

·chi è da Dio in tutto vede le parole di Dio, ascolta in tutto le parole di Dio. Direi meglio (togliendo l’articolo): in tutto vede e ascolta parole di Dio, per cui per lui non ci sono più parole di uomini (ecco allora la Vergine Maria che dice: “Io non conosco uomo!”: la Vergine Maria non ascolta parole di uomini, cioè per lei tutto è parola di Dio); quindi chi è da Dio ascolta parole di Dio;

·ma chi non è da Dio ascolta in tutto parole di uomini! Chi non è da Dio, anche se ci fosse Dio presente, non ascolta parole di Dio: per lui sono tutte parole di uomini, parole di creature.

Giovanni: Per cui anche se Gesù desse un segno a colui che non è da Dio, questo segno non lo porterebbe a Dio…

Luigi: Infatti quando i Farisei chiedono: “Dacci un segno!”, Gesù risponde che nessun segno verrà dato: non si possono dare dei segni, perché tutto è già segno di Dio. Ma se tu non vedi i segni che Dio ti dà, Dio non ti può dare nessun segno che tu gli chiedi.

Giovanni: Perché non lo vedremmo!

Luigi: È l’anima che illumina le cose, non sono le cose che illuminano l’anima. Bisogna aver presente l’anima, lo Spirito, perché è la Persona che fa intendere le sue opere, non sono le opere che fanno intendere la Persona. Ma la Persona bisogna tenerla presente.

Allora qual è la funzione dei segni? È quella di richiamarci la Persona Divina. Ma qui siamo ancora nella notte. Richiamati alla Persona, la Persona poi allora mi fa intendere, se io sono attento alla Persona.

Quindi quello che mi illumina, mi fa capire, è sempre la Persona.

Eligio: Quindi anche la funzione della presenza fisica di Gesù, come quella di ogni altro segno, è di rendermi attento alla Persona Divina, dalla quale poi riceverò la luce anche sul segno stesso.

Luigi: Certamente. Se non si è attratti da Dio, non si vede in Gesù il Cristo, l’Inviato dal Padre. Non Lo vediamo venire a noi, né Lo vediamo passare, né abbiamo la capacità di seguirlo.

Eligio: Quand’è che come il Battista anche noi nella nostra vita possiamo dire: Ecco l’Agnello di Dio?

Luigi: È una scoperta essenzialmente personale che non si fa in gruppo. Cioè tu solo puoi fare quella scoperta.

Eligio: Ma quando?

Luigi: Quando si compie in te la preparazione predicata dal Battista, caratterizzata da quelle tappe che già abbiamo richiamato.

Eligio: Il Battista però rappresenta ogni uomo giusto che riconosce il Cristo, ma non rappresenta l’uomo che, preso contatto con Cristo, con l’Agnello di Dio, Lo segue…Come mai?

Luigi: Ma il Battista rappresenta solo una tappa del nostro cammino spirituale. Lui è venuto per prepararci a riconoscere l’Agnello di Dio, il Cristo. Ce Lo segnala e poi si ritira dalla scena. Vedi, nelle diverse funzioni e lezioni dell’Antico e del Nuovo Testamento noi abbiamo la significazione di quello che deve avvenire nella nostra vita “con noi”. Allora, ecco, noi abbiamo un Giovanni Battista fino al punto in cui segnala il Cristo: qui la sua funzione si ferma e poi lui scompare. Scompare per dire quello che deve avvenire in noi, cioè per dirci che una nuova tappa si apre davanti a noi.

Infatti, come abbiamo capito la funzione del Battista, compiuto la preparazione e incontrato Colui che lui ci ha segnalato, noi non scompariamo come è scomparso Giovanni il Battista, ma passiamo alla lezione successiva, cioè diventiamo discepoli di Gesù.

Però lo stesso fatto che lui sparisca dalla scena proprio a questo punto, ha un significato, perché in effetti c’è qualcosa di noi che scompare e muore: è l’uomo vecchio, ed inizia l’uomo nuovo, cioè l’uomo secondo il Cristo.

Quindi abbiamo una nascita e c’è qualcosa di noi che muore. Ora, quel qualcosa di noi che muore, o che deve morire, è rappresentato da una persona sulla scena del mondo, appunto per farci prendere consapevolezza di ciò che deve avvenire in noi.

Ecco, per indicarci le diverse tappe o momenti del cammino della vita spirituale ci vengono presentati diversi personaggi: più avanti troveremo, ad esempio, un Giuda, troveremo un Pilato, troveremo un Pietro, ecc., i quali magari rappresentano diversi stati d’animo o tappe della nostra vita, appunto per farcene prendere coscienza.

Infatti tutto quello che viene rappresentato sulla scena davanti ai nostri occhi, è per farci prendere coscienza di fatti che avvengono o che debbono avvenire con noi, dentro di noi.

Ma sono momenti per farci maturare, non per farci perire in quella funzione o in quello stato d’animo. Però sono momenti attraverso cui si passa, ed essendo “momenti” sono da superarsi fino ad arrivare al compimento del cammino, in modo che si costruisca progressivamente in noi questo uomo nuovo che è in rapporto personale con Dio, poiché il rapporto con Dio è essenzialmente personale, come anche le scoperte sono personali.

E anche la preparazione è personale. Tutta la preparazione è una preparazione che avviene attraverso tappe che si percorrono interiormente, quindi personalmente.

Noi parliamo di preparazione, così…, significandola con parole, però niente avviene se personalmente non ci preoccupiamo, ad esempio, di questo battesimo di giustizia da fare nella nostra anima, di questo spostamento di centro del pensiero del nostro io per mettere al centro il Pensiero di Dio, e quindi se non ci preoccupiamo di questo riferire tutte le cose a Dio.

La preparazione cioè si realizza in noi solo se ci preoccupiamo di percorrere le varie tappe indicateci dal Battista, a conclusione delle quali egli giunse ad individuare il Messia, dicendo: "Ecco, l’Agnello di Dio!".

Tali tappe abbiamo visto che si percorrono maturando delle convinzioni a cui abbiamo già accennato prima, e precisamente:

- 1) la convinzione che non siamo noi la luce, né lo sono le creature (“Non era lui la luce…”), quindi la consapevolezza di essere ciechi, perché è la Parola di Dio la Luce;

- 2) la convinzione che noi e tutte le creature, comunque siamo e comunque viviamo, siamo testimonianze della Luce e che però dobbiamo cercare di diventarlo consapevolmente (“…venne per rendere testimonianza alla Luce…”), per cui non dobbiamo parlare di noi stessi, ma rendere gloria a Dio in tutto;

- 3) inoltre la convinzione della necessità di superare il pensiero del nostro io per trovare il Messia: “Colui che viene dopo di me (cioè Colui che troverò solo dopo aver superato il pensiero del mio io), è più grande di me, perché esisteva prima di me”“È necessario che Lui cresca ed io diminuisca”;

- 4) e quindi la consapevolezza di essere solo una voce (“Io sono la voce di colui che grida nel deserto”) e quindi di non essere noi Colui che tutti attendono (poiché le creature attendono la Luce). Ecco, questo ritenerci delle semplici “voci” che vanno e che vengono (e che domani non sono più, poiché tutto passa) per recare però questo messaggio: “raddrizzate le vie del Signore!”.

Per cui, essendo voci, dobbiamo essere fedeli (ciò che si richiede ad una voce è di essere fedele allo Spirito di cui è voce), e per essere fedeli allo Spirito dobbiamo annunciare a noi e agli altri la necessità di fare diritta la strada verso Dio, di farla diretta superando le cause seconde, di stabilire cioè questo rapporto diretto con Dio, con Colui che è la Luce.

E quindi sapere che tutte le creature sono solo voci che ci invitano:

- ad accogliere tutto direttamente da Dio,  scavalcando le cause seconde,

- a riportare a Dio tutte le cose per vederle da Lui,

- ad entrare quindi in rapporto diretto con Lui, perché la salvezza sta in Lui;

- 5) da qui l’importanza di scoprire “dove” la creatura può trovare Dio per mettersi in contatto diretto con Lui: Dio è in noi, non nei cieli lontani. Il Battista ce lo annuncia: "Io battezzo (battezzare vuol dire illuminare) per dirvi che tra voi, dentro di voi vi è Uno che voi non conoscete" : quest’Uno che portiamo dentro di noi, che gli altri portano dentro di sé e che non conosciamo è la nostra salvezza!

Quindi, dopo aver ricevuto la segnalazione che Dio va cercato dentro di noi e dopo averla capita, la nostra anima è disposta, è aperta a riconoscere il Cristo, personalmente e quindi a dire: “Ecco l’Agnello di Dio!” Ma è un fatto personale.

Quando cioè tutte le lezioni dell’Antico Testamento ci hanno portato a desiderare di prendere diretto contatto con Dio e ci hanno fatto prendere coscienza:

- di quello che dobbiamo veramente volere (e a questo punto noi vogliamo Lui, poiché avendo scoperto il nostro peccato e la nostra impotenza ad uscirne, capiamo che la salvezza ci può venire solo da Lui),

- e della sua abitazione in noi, per cui sappiamo “dove” dobbiamo cercare quello che cerchiamo,

allora a questo punto si è formato nella nostra anima il bisogno specifico del Cristo, di Uno cioè che venga a rispondere alla nostra fame di conoscere Dio e a liberarci dalle nostre schiavitù prendendo su di Sé il nostro peccato: qui arriviamo finalmente alla conclusione di tutta questa preparazione, perché si è formata nell’anima la capacità di individuare il Cristo come "sua” salvezza. Per cui anche per noi, come avvenne per il Battista, ad un certo momento nella nostra vita avviene questo fatto, questa scoperta: “Ah, ma la mia salvezza sta lì!”, cioè scopriamo in Gesù il Cristo.

E allora anche noi possiamo segnalare a tutti i nostri pensieri e sentimenti, a tutto il nostro mondo interiore: “Ecco l'Agnello di Dio, Colui che toglie il peccato del mondo!”.

A questo punto anche per noi, come lo fu per il Battista, si apre un secondo “indomani” , in cui, fermando lo sguardo su Gesù, scopriamo che Lui è Uno che passa, per cui come i discepoli che gli chiedono dove abita, anche noi non Lo vogliamo perdere, ma seguire. Qui scatta il rapporto personale con Gesù e incomincia la vita personale con Lui, perché ormai in Lui abbiamo trovato Colui che risponde alle nostre attese: "Ecco! È Colui che io aspettavo!": è il Cristo, Persona Divina tra noi, l’unico che può rispondere alla nostra fame di Dio e liberarci dalle nostre schiavitù.

Eligio: Quand’è che si realizza con Cristo quell’unione personale di cui parlano i mistici? Il dire: “Ecco l’Agnello di Dio”, il riconoscere in Gesù il Figlio di Dio è ancora una cosa diversa dal vivere unito a Lui?

Luigi: Sì, perché tu capisci che quando uno scopre il Cristo può anche non seguirlo.

Eligio: La scoperta, come hai detto, è personale, soggettiva, ma penso che oggettivamente è identica per tutti, nel senso che tutti vediamo il Cristo come espressione di Verità, come Figlio di Dio, no?

Luigi: Però ognuno riconosce il Cristo nella misura in cui Lo porta già dentro di sé. La conoscenza di Lui, poi, cresce nella misura in cui uno si impegna e approfondisce con Dio le sue parole.

È tutto un cammino progressivo di conoscenza. Infatti quando incontriamo il Cristo, dapprima Lo conosciamo come Colui che risponde alle nostre attese; poi…

Eligio: Però possiamo vederlo tutti come Figlio di Dio?

Luigi: Possiamo, ma non tutti Lo vedono, perché il vederlo è un fatto personale, che presuppone quella preparazione interiore di cui si è parlato e quella fedeltà nel seguirlo fino alla meta.

Ma nemmeno tutti Lo incontrano, perché non tutti fanno questa preparazione. Solo se si fa questa preparazione si scopre in Gesù il Cristo.

Scoperto il Cristo, non è detto che Lo seguiamo. Ma, se Lo seguiamo fino al Padre, dal Padre vedremo in Lui il Figlio di Dio.

Ora, quando Giovanni Battista segnala: “Ecco l’Agnello di Dio!”, non tutti passano all’Agnello di Dio: lui stesso non passa (infatti viene subito dopo incarcerato da Erode), non tutti i suoi discepoli passano, noi possiamo non passare, per cui non tutti iniziano la vita nuova.

Coloro che passano al Cristo, segnalato dal Battista, hanno la possibilità di seguirlo fino alla Pentecoste, e quindi di conoscerlo dal Padre come Figlio di Dio.

Ed è qui che si realizzerà la vera unione con Lui.

Però non tutti coloro che sono passati a Lui sono arrivati a Pentecoste: anzi, alcuni L’hanno tradito, L’hanno consegnato, L’hanno crocifisso anche se erano dei suoi.

Quindi non è detto che l’andare dietro di Lui, cioè l’essere passati da Giovanni Battista al seguito di Gesù, sia già aver realizzato quell’unione stabile con Lui.

Fintanto che non conosciamo Gesù dal Padre, l’unione con Lui è oscillante. Gesù ancora all’ultimo dirà: “Dopo tre anni che siete con me, non avete mai pregato in nome mio, ancora non mi conoscete!”. Se Lui dice: “ancora non mi conoscete!”, vuol dire che ancora non Lo conoscevano, e se non Lo conoscevano vuol dire che non potevano rimanere uniti a Lui, poiché l’unione stabile deriva dalla conoscenza. Infatti Lui parla di un’unione che avverrà poi per opera del Padre, dal Padre, nel Padre! Per cui prima di lasciare questo mondo prega il Padre affinché essi siano una cosa sola con Lui, e questo pregare il Padre è lezione per ognuno di noi, per indicarci che è nel Padre che avviene questa unione e questa conoscenza vera, per cui: “Sarò sempre con voi!”…”Nessuno più vi porterà via da Me..”, Egli dice. Lì, in questa vera conoscenza, si realizzerà allora la vera unione e sarà la nostra Pentecoste.

Infatti è la conoscenza che crea l’unione, non è la volontà che crea l’unione (non è dicendo: “Io voglio unirmi!”, che posso unirmi). È la tanta conoscenza che ho dell’altro che mi mantiene unito all’altro, per cui anche se io volessi disunirmi, non posso.

Non ci si può disunire da colui che si conosce; ma non possiamo unirci a colui che non conosciamo, perché abbiamo pensieri e interessi diversi, in direzioni diverse.

Quindi è tutto un lungo cammino che dobbiamo percorrere con Cristo per poter giungere alla meta della Pentecoste.

Qui noi abbiamo visto tre giorni, questi tre indomani: tre mattini (Gesù viene, passa e va), ma che sono solo tre mattini di introduzione al Cristo, non è mica tutta la vita, non è mica tutto il cammino! È soltanto l’inizio! Sono soltanto tre giornate!

Eligio: Quindi questi tre “indomani” propongono e realizzano solo un inizio di conoscenza.

Luigi: Certo, sono solo un inizio…

Eligio: Che però è necessario per giungere a stabilire un rapporto personale con Lui…

Luigi: Certamente! Infatti tutte le parole della Scrittura, tutti questi fatti che qui sono presentati, quindi anche questi tre “indomani”, significano tappe che avvengono o che debbono avvenire nella nostra vita, ma che non avvengono senza di noi. E quindi si richiede questa partecipazione personale.

Ma sono “momenti” della nostra vita: tappe che ci sono annunciate affinché ognuno di noi prenda coscienza del punto in cui si trova, conosca qual è la tappa successiva e si renda conto delle tappe attraverso cui deve ancora passare (“Ah, io devo passare attraverso questo momento!”), e quindi ognuno di noi, interrogandosi, scopra la situazione in cui si trova (“Sono arrivato a questo momento o non sono arrivato?”).

Dio attraverso ogni cosa mi interroga per aiutarmi a prendere consapevolezza dello situazione della mia anima e del mio rapporto con Lui. Quando, ad esempio, mi si dice che l’anima è fame di Dio, desiderio di Dio, mi devo chiedere: “Ma io la curo questa fame o la trascuro? Curo la mia anima o no?”, e allora subito mi accorgo, prendo coscienza della situazione della mia anima, proprio perché mi è stato detto: “Guarda che l’anima è desiderio di Dio; se tu trascuri il desiderio di Dio, trascuri la tua anima”. Quindi capisco: “Ah, la mia anima sta morendo di fame, perché non la nutro, non coltivo il desiderio di Dio, trascuro la Parola di Dio!”.

Quando mi si dice, ad esempio, che anche la fede è fame di Dio, è ricerca di Dio, allora mi chiedo: “Ma, io ho fede o non ho fede?”, e ho un criterio su cui misurarmi: se personalmente cerco Dio, allora ho fede, ma se non cerco Dio, anche se vado in Chiesa tutti i giorni non ho fede! La mia fede è soltanto un’etichetta, ma non è fede, perché fede è fame, fede è ricerca di Dio; se non è ricerca, la mia fede è senza sostanza, quindi non è fede. Allora, misurandomi su questa parola, posso riscontrare se ho fede o no.

Quindi noi dobbiamo misurarci anche su questi tre “indomani” che il Vangelo ci ha presentato, per capire se si sono realizzati o no nella nostra vita.

Per cui, se ora mi si dice: “Guarda che nella tua vita c’è un momento in cui vedi Gesù venire a te e senti l’annuncio: “Ecco l’Agnello di Dio! Ecco Colui che salva! Ecco la tua salvezza!”, mi devo chiedere: “Ma io l’ho trovata personalmente la mia salvezza? Ho detto a me stesso: «Ecco la mia salvezza!»? La mia coscienza, l’ha detto questo?” No! Allora è segno che non sono ancora arrivato all’incontro con Cristo!

E come mai non sono arrivato? Ma per arrivare ci vuole il battesimo di giustizia!

Ed io l’ho fatto questo battesimo di giustizia?

Ecco, la Parola di Dio è uno specchio davanti al quale ognuno di noi può prendere coscienza del suo tempo, come ci ammonisce Gesù: “Voi siete capaci a capire i segni dei tempi per i vostri interessi! E come mai non capite il “vostro” tempo?”.

Ora il nostro tempo è questo, di fronte a questo cammino della vita che Dio ci presenta, dicendoci: “Queste sono le tappe del tuo cammino! Tu a che punto sei? Misurati!”.

Quindi te le fa vedere, perché sono tappe che non avvengono in te senza di te, poiché avvengono solo personalmente. Te le presenta appunto per renderti consapevole del cammino che devi percorrere.

Eligio: Hai detto che in questo secondo “indomani” Giovanni, fermando lo sguardo su Gesù, scopre che Lui è Uno che passa…Ecco, Cristo viene, ma passa, per cui se non Lo seguiamo, non Lo vedremo più… Però altrove Lui dice che resterà sempre con noi.

Come si conciliano queste due affermazioni apparentemente contrastanti? Non mi è chiaro il concetto e la ragione di questo suo passare (“passaggio”) irreversibile. Forse che Lui non passa un’altra volta? Forse che Lui non vuole sempre restare con noi? Forse che non basta invocare e chiedergli che si fermi?

Luigi: Gesù dice: Ancora per poco la Luce è con voi. Fintanto che Io sono nel mondo, sono Luce per il mondo. Camminate fintanto che la Luce è con voi, affinché le tenebre non vi sorprendano”. Questo “ancora per poco…” e questo “fintanto…” fanno pensare che c’è una scadenza

Eligio: Questo però lo dice a quelli che Lo seguono. Ma per quelli che sono nella situazione del Battista e che non sono ancora passati a Gesù, non c’è forse bisogno che Lui resti?

Luigi: Lui non resta!

Eligio: Eppure è necessario per la creatura che Lui resti…

Luigi: Lui viene, ma…

Eligio: Viene, ma deve restare. Noi Lo invochiamo, dicendogli di restare…

Luigi: Lo invochiamo, sì, ma noi diciamo tante cose…

Eligio: Ma l’invocazione esprime l’esigenza di una realtà che oggettivamente non possiamo disconoscere. È vero, diciamo tante cose, ma sono mica favole! Ad esempio, quando diciamo: “Signore, resta con noi, perché si fa sera!”….

Luigi: Sì, sì, glielo dicono anche i discepoli di Emmaus…

Eligio: E invece Lui passa…

Luigi: …e scompare!

Eligio: Ma come si può mettere assieme la sua promessa di restare sempre con noi e il suo invito a noi di restare sempre con Lui con questo suo “passare”? Per quale ragione Lui passa?

Luigi: Perché Lui non è di questo mondo…

Eligio: Che Lui non sia di questo mondo è evidente, però….

Luigi: Lui trascende. Lui è trascendente la creatura. Viene per prendere contatto con la creatura, ma…

Eligio: …ma passa per invitarla a trascendere?

Luigi: Certo! Vuole portare la creatura nel Suo mondo!

La promessa di Gesù di restare sempre con noi si realizzerà quando, superando il pensiero del nostro io per seguirlo, giungeremo alla conoscenza del Padre, poiché solo lì si realizzerà l’unione stabile con Lui.

È per questo che viene e passa! Passa per invitarci a superare il pensiero del nostro io: tale superamento è la condizione per seguirlo e giungere a conoscere Dio, ed è logico, poiché Dio è trascendente la creatura.

Quindi se c’è una cosa certa è questa: nel pensiero del nostro io noi non possiamo conoscere la Verità.

La Verità si annuncia nel nostro io, ma non si confonde mai col nostro io: “I miei pensieri non sono i vostri”, Egli dice.

Quindi i pensieri di Dio si annunciano nei nostri pensieri. Dio è vicino a noi, più vicino dei nostri stessi pensieri, dei nostri stessi desideri, per cui si fa sentire nei nostri pensieri, ma non si confonde con i nostri pensieri: “I miei pensieri non sono i vostri! La mia volontà non è la vostra!”. Perché Lui è trascendente!

In quanto Lui è trascendente si fa sentire nell’inferiore, sì, però non si confonde con l’inferiore, ma sollecita l’inferiore a superarsi per guardare a Lui.

Quindi il passaggio di Dio è continuo, in quanto si annuncia in tutto.

Ma non è “sempre” passaggio: Ancora per poco la Luce è con voi”, dice Gesù.

Il passare delle cose è Lui che passa per invitare la creatura a superarsi e a seguirlo. Per cui arriva il momento in cui attraverso le sue lezioni (che sono lezioni dell’Antico Testamento, che si sintetizzano poi nel battesimo del Battista), Dio conduce la creatura a scoprire il proprio niente e il “tutto” di Dio, proponendole la giustizia.

Infatti il battesimo del Battista avviene in noi anche attraverso tutte le vicende e le lezioni della nostra vita. Noi constatiamo che è attraverso le prove della nostra vita che Dio ci conduce a questo battesimo di giustizia: cioè ci conduce, non fosse altro che nell’agonia, a toccare con mano il nostro niente per darci la possibilità di aprirci al Tutto di Dio.

Cos’è la nostra agonia? Cos’è la morte? È il nostro niente! Non l’abbiamo capito prima! Se l’avessimo capito, intelligentemente, dalle lezioni di Dio prima, avremmo risparmiato di essere ridotti al niente con la morte. Ciò che non abbiamo capito prima per intelligenza, lo capiamo dopo per esperienza.

Ma, diciamo, la morte è questo battesimo di giustizia del Battista (il primo tempo della manifestazione di Dio: come Creatore) che si impone: infatti la fine di tutto ciò che non è Dio, ad un certo momento s’impone all’uomo.

Per cui il passaggio di Dio non è “sempre” passaggio di Dio!

Ecco perché io non posso rinviare sempre, all’infinito (“Beh, un giorno o l’altro Ti seguirò…”): Lui passa, non si ferma e torna al Padre!

Quindi ad un certo momento s’impone la fine di tutti i segni, cioè Lui se ne va: non passa più, perché è tornato al Padre!

Tutti gli annunci, tutte le proposte che ci arrivano sono sintetizzate e illuminate nel “Cristo che viene, passa e se ne va”.

Ogni passaggio di Dio, diciamo, mi compromette: per cui o mi butto da una parte o mi trascina dall’altra! Dopo ogni passaggio io non sono più come prima, poiché divento figlio delle mie opere, cioè delle mie risposte, per cui la capacità in me di aderire alla proposta di Dio o cresce o diminuisce fino a sparire: infatti quando si impone la fine dei segni, non abbiamo più la possibilità di superare il pensiero dell’io.

Quindi c’è una scadenza: io non posso rinviare all’infinito la mia adesione a Lui, proprio perché ad un certo momento finiscono i segni… non fosse altro che con la morte! (non posso rinviare la scadenza della “cambiale” all’infinito: certamente arriva un momento in cui la mia cambiale scade e devo pagare).

Ma la morte, abbiamo detto, è il battesimo di giustizia che si impone.

E come s’impone questo, mi si presenta l’Agnello che salva, il Dio che perdona e che mi offre la sua salvezza, il suo perdono.

Ora però questa imposizione del battesimo di giustizia da parte di Dio non determina mai automaticamente l’accettazione di esso da parte della creatura, perché la creatura può ancora rifiutare.

Ora, la creatura dovrebbe sempre operare con l’intelligenza: conta l’anticipo.

E quindi prima che Dio imponga la sua Verità, la creatura deve conoscere la Verità per i segni (fede!).

Prima che Dio imponga la morte, la creatura deve morire a se stessa. Per cui la morte ci deve trovare già morti al nostro io: allora lì, noi vediamo nella morte un segno di Dio, per cui c’è l’apertura, e quindi c’è la salvezza!

Allora quanto prima noi accettiamo personalmente questo battesimo di giustizia, cioè facciamo questa giustizia interiore, tanto prima noi incontriamo Colui che viene, perché Colui che viene, “con-viene”, cioè viene attraverso tutti gli avvenimenti, attraverso tutti i fatti. Lui viene “con”!

Noi possiamo “passare” a Cristo, cioè alla vita vera, all’uomo nuovo, proprio attraverso quei segni che Dio ci dà e attraverso i quali Lui si significa, si manifesta.

Invece se noi non abbiamo fatto questo battesimo di giustizia, non vediamo nei segni Colui che viene, non riconosciamo in Gesù l’Agnello di Dio.

In quanto ha occupato una pagina della storia, un punto del nostro mondo, Cristo ci ha dato la possibilità di un aggancio, se però si è formata in noi questa giustizia interiore, per cui possiamo riconoscere: " Ah, ecco! Tutta la mia vita sta lì! Il mio pane di vita è quello! Il campo dove c’è il tesoro è quello!”.

Per cui, individuato il campo in cui c’è il tesoro, uno incomincia a vendere tutto quello che ha per possedere quel campo lì, perché in quella Parola, in quel Verbo, sta la mia salvezza! Sta il mio tesoro di vita!

Ma bisogna che l’anima personalmente scopra questo! Allora incomincia a liberarsi da tutto ciò che ha per poter comprare questa disponibilità interiore (ecco il campo!) a questa Parola in cui c’è la sua salvezza (il tesoro!), ma lo fa perché ha capito! Ma che cos’è che gliel’ha fatto capire? Questo battesimo di giustizia! È questo che gli ha fatto capire che la sua salvezza sta li!

Però aver individuato che il suo tesoro, la sua salvezza sta li, in quel determinato campo, non vuol dire che automaticamente l’anima possegga il campo e il tesoro, perché di automatico non avviene niente. Occorre la dedizione (per cui “va’, vendi tutto!”, dice Gesù), poiché il campo in cui c’è il tesoro, la salvezza, è la disponibilità interiore a Dio.

Per cui Dio continuamente viene, continuamente passa, continuamente se ne va, in tutte le cose, perché tutto è parola di Dio e tutto ci sollecita a cercarlo, a dedicarci per conoscerlo.

Però man mano che passa, i fatti si impongono. Cioè il tempo passa e noi passiamo, per cui non possiamo rinviare all’infinito la nostra adesione e dedizione.

Eligio: L’incontro con Cristo è davvero un momento molto personale.

Luigi: È essenzialmente personale!

Eligio: Hai detto che Egli “viene, passa e va”, per cui se rifiutiamo questa Luce, questa Realtà, quando la vediamo passare, non la ritroviamo più.

Luigi: Per questo abbiamo il pianto di Gesù su Gerusalemme. È quel momento in cui Lui dice: “Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho cercato (cioè sono venuto a te)…ho cercato di raccogliere i tuoi abitanti come la gallina fa con i suoi pulcini e tu non hai voluto (ecco, tu non hai voluto!)…Ma adesso non ti è più dato scoprire quello che ci vuole per la tua pace!”. Sapessi quello che ci vuole per la tua pace! Ma adesso non puoi più! Perché l’uomo non può stabilire lui i tempi, non è l’uomo che determina i tempi! Guai se fossimo noi a determinare i tempi! Non entreremmo mai nel Regno di Dio! Perché per poter entrare nel Regno di Dio la condizione essenziale è quella di poter dire: “Tutto è stata opera tua, Signore!”, quindi “il tempo sei Tu che l’hai determinato: il tempo della mia salvezza, il tempo dell’ incontro, sei Tu che l’hai fissato”.

Ora soltanto se noi possiamo dire: “Il tempo è stato tuo!”, noi entriamo. Ma se io invece dovessi dire: “Ah, sono io che ho scelto, sono io che ho determinato il tempo!”, io sono fuori e non entrerò mai più. Per cui il tempo è Lui che lo stabilisce.

Ma se il tempo è Lui che me lo impone, che me lo condiziona, succede anche questo: che ognuno di noi corre il rischio di non riconoscere il tempo dell’incontro, per cui può sentirsi dire: “Non hai riconosciuto l’ora in cui sei stata visitato!”, come Gesù disse a Gerusalemme, e Gerusalemme anche qui rappresenta ogni anima.

E se Gesù dice a Gerusalemme: “Non hai conosciuto l’ora in cui sei stata visitata”, vuol dire che può dire ad ognuno di noi: “Non hai conosciuto l’ora in cui sei stato visitato!”.

Ma quando Gesù dice a Gerusalemme: Non hai conosciuto l’ora in cui sei stata visitata, non è che Gerusalemme sia morta: sì, è morta spiritualmente, ma non è ancora finita! Infatti Verranno i nemici e vi circonderanno…”, per cui la creatura ormai è in balìa delle forze del mondo e saranno le forze del mondo che la distruggeranno.

Quando l’anima trascura Dio, trascura la Vita, e allora si scatenano le forze del mondo: incominciano i necrofori ad operare la distruzione della creatura. La creatura non può mica resistere: è solo questione di tempo, ma non può resistere, perché per resistere ci vuole lo Spirito; ma per avere lo Spirito bisogna riconoscere “l’ora in cui uno è visitato da Dio”: quindi, se Gesù parla di quest’ora, è proprio vero che Dio ci visita.

Ed è per questo che Gesù ci dice: “Vegliate perché non sapete né il giorno, né l’ora..”. Gesù insiste su questa necessità di vegliare, perché noi dobbiamo avere questa coscienza: siamo visitati da Dio!

E in quel giorno nel quale capiamo che una luce si fa in noi, che la presenza di Dio ci visita, noi dobbiamo essere disponibili a “passare” ad Essa, per seguirla, poiché ci viene detto: “Ecco l’Agnello!”. Quindi parti! Seguilo!

I discepoli di Giovanni a questa segnalazione partirono per incontrare e seguire il Cristo che veniva e passava. Così i “miei discepoli”, cioè i miei pensieri, con tutto quello che ho, a questa segnalazione debbono partire per andare incontro alla Luce che viene a me e seguirla.

Quindi c’è il momento in cui la Luce viene, ed è in quel momento lì che io devo essere disposto a riconoscere questa Luce e a partire, e a rinnovare la vita, a fare la vita secondo questa luce nuova che si è presentata.

Se invece quando sono visitato dalla Luce io sono occupato e dico: “Domani ti seguirò…”, è finito! Se rinvio, la cena non la gusterò più!

Giovanni: È come le vergini stolte…

Luigi: Certamente! Dobbiamo vegliare con la lampada accesa, altrimenti finiamo di trovarci a bussare ad una porta chiusa. È necessario l’anticipo.

Cina: Anche Geremia, in una delle letture della Messa di questa settimana ci ha parlato di come Dio ci visita: «Disse il Signore: “Va’ nell’atrio del Tempio del Signore e riferisci a tutte le città di Giuda che vengono per adorare nel Tempio del Signore tutte le parole che Io ti ho comandato di annunziare loro. Non tralasciare neppure una parola: forse ti ascolteranno ed ognuno abbandonerà la propria condotta perversa; in tal caso disdirò tutto il male che pensavo di fare loro a causa della malvagità delle loro azioni. Tu dirai dunque loro: Dice il Signore: se non mi ascolterete, se non camminerete secondo la legge che ho posto davanti a voi, e se non ascolterete le parole dei Profeti miei servi che ho inviato a voi con costante premura ma che voi non avete ascoltato, distruggerò questo Tempio come quello di Silo, farò di questa città un esempio di maledizione per tutti i popoli della terra”» (Ger 26, 2-6). Ecco, Dio ci visita, mandandoci i Profeti…

Luigi: Prima manda i Profeti e poi viene Lui stesso, ma noi possiamo non conoscerlo: “Non hai conosciuto l’ora in cui sei stata visitata…”. Per cui, Lui è venuto, ma se ne va…senza di noi.

Cina: Infatti qui non riconoscono in Geremia il Profeta e gli dicono che deve morire perché ha predetto nel nome del Signore che il Tempio deve essere distrutto. Dice così: «I sacerdoti, i profeti e tutto il popolo udirono Geremia che diceva queste parole nel Tempio del Signore. Ora, quando Geremia finì di riferire quanto il Signore gli aveva comandato di dire a tutto il popolo, i sacerdoti e i profeti lo arrestarono dicendo: “Devi morire, perché hai predetto nel nome del Signore: Questo tempio diventerà come Silo e questa città sarà devastata, disabitata”. Tutto il popolo si radunò contro Geremia nel Tempio del Signore».

Luigi: Ecco, il Tempio, che rappresenta la nostra anima, se rifiuta la Parola di Dio viene distrutto.

Eligio: Dove hai preso questa lettura?

Cina: Dal libro “A Messa” è la prima lettura della Messa di venerdì scorso. Sono veramente bellissime le letture di questa settimana. Che voce forte quella dei Profeti! E questa lettura l’ho vista in sintonia con quello che si diceva sulla necessità di vegliare perché siamo visitati da Dio.

Emma: Sì, occorre vegliare...

Luigi: …perché Lui viene, ci visita, ma passa e se ne va.

Pinuccia B.: Il Signore ci visita in modo continuativo o solo di tanto in tanto?

Luigi: Abbiamo detto prima che il suo passaggio è continuo, poiché si annuncia in tutto. Il problema è che Lui quando ci visita, può trovarci non preparati…

Pinuccia B.: Ma anche se ci trova preparati, Egli continua a visitarci.

Luigi: Si capisce, però se ci trova preparati il suo venire non è un ripetersi, ma un rinnovamento continuo: viene e crea un essere nuovo, un uomo nuovo, ma è una vita crescente!

Infatti Gesù parla di una sorgente interiore che cresce fino alla vita eterna.

Pinuccia B.: Quindi il suo venire è continuo, ma in una maniera crescente.

Luigi: E diventa vita eterna! Se Lo accogliamo, diventa vita eterna, perché è una nascita il suo venire!

Il suo venire in noi è veramente una nascita: nascita dell’uomo nuovo che incomincia a crescere e si espande fino alla vita eterna, fino all’infinito.

Ma se noi non Lo riconosciamo o ci stanchiamo di seguirlo, c’è l’aborto: cioè quella creatura che doveva nascere non nasce più: avviene l’aborto!

Emma: Noi corriamo questo rischio.

Giovanni: Bisogna allora vegliare…

Luigi: E vegliare sempre, come dice il Signore.

Pinuccia B.: Volevo ancora chiedere questo: il Battista vedendo Gesù passare ce lo segnala come l’“Agnello di Dio”, perché ubbidendo alla sua richiesta di battezzarlo ha scoperto “come” Dio salva e quindi ha conosciuto Gesù in modo nuovo: ha visto in Lui l’Agnello di Dio. Quand’è che questo avviene anche per noi personalmente?

Luigi: L’hai detto tu stessa: quando ubbidiamo a Dio! Giovanni ha ubbidito a Dio. Ubbidendo a Dio si scopre la luce.

Pinuccia B.: Però Giovanni Battista ubbidiva già a Dio anche prima di battezzare Gesù, poiché fare la giustizia è già un ubbidire a Dio. E come mai non L’ha scoperto prima?…

Luigi: Perché Gesù non era ancora venuto. Bisogna che Gesù si presenti: non siamo noi che scopriamo!

Però non basta che Lui si presenti: ci deve essere in noi una situazione di attesa, e questa attesa deve essere nella giustizia. Per questo Gesù ci dice: “Vigilate!”. Che cosa è questa veglia, questo vegliare? È un vegliare nella giustizia, cioè un mettere Dio al primo posto nei nostri pensieri. È sapere che il padrone può venire da un momento all’altro e che il servo deve essere vigilante, in attesa.

Però l’incontro da che cosa è dato? Mica dall’attesa! L’attesa è necessaria, ma non è sufficiente: bisogna che ci sia l’Altro che viene. Ho detto molte volte che noi possiamo avere la fame, ma possiamo anche morire di fame se non incontriamo il pane: incontrare il pane è una grazia.

Quindi noi possiamo aspettare Dio, ma se Dio non si fa vedere….

Pinuccia B.: Certo, ma siccome il battesimo di giustizia, cioè il mettere Dio al centro è già ubbidienza a Dio, non capisco perché…

Luigi: Ma noi non possiamo dire: “Adesso faccio il battesimo di giustizia, metto Dio al centro e domani mattina incontro Cristo”, perché il tempo è Lui che lo determina.

Pinuccia B.: Certo, ma volevo dire che non ho capito perché ci hai evidenziato due tempi distinti e successivi: la giustizia e poi l’obbedienza grazie alla quale è avvenuta la scoperta del Battista. La cosa non mi è chiara, perché l’obbedienza a Dio il Battista l’aveva già fatta prima, poiché faceva la giustizia. Anzi, direi che la giustizia è già obbedienza.

Luigi: Sì, ma potremmo dire che lì, nell’incontro col Cristo, nell’accettare di battezzarlo, ci fu in Giovanni un’ubbidienza nuova. Ed è lì,  in questa ubbidienza nuova, che è scattata in lui la luce sull’Agnello di Dio.

Pinuccia B.: B.: Quindi per scoprire “come” Dio salva non fu sufficiente per Giovanni l’ubbidienza che, per giustizia, aveva già prima di battezzare Gesù.

Luigi: No, e neanche per noi, perché intanto, come ho già detto, l’incontro con Cristo è Cristo stesso che lo determina: infatti è Gesù che viene al Battista, non è il Battista che dice: “Oggi vado a trovare Gesù”. Quindi il tempo dell’incontro è determinato da Gesù.

Se oggi noi incontriamo la Parola di Dio, è la Parola di Dio che è venuta a noi, non siamo noi che siamo andati ad essa o che l’abbiamo fatta venire. Per cui noi dobbiamo essere molto riconoscenti al Signore che è venuto incontro alla nostra fame e ci ha fatto trovare la sua Parola, il suo Verbo. Ma la grazia è di Dio: non è stata opera nostra.

È stato tutto opera Sua, però non senza di noi: infatti abbiamo riconosciuto il Cristo in quanto c’era in noi la preparazione, cioè la giustizia essenziale (la prima obbedienza) e l’attesa.

E poi, in secondo luogo, come abbiamo detto, incontrando Gesù, il Battista ha fatto un’obbedienza nuova, perché l’ubbidienza secondo il battesimo di giustizia sarebbe stata questa: “Sei tu che devi battezzare me! Non io che devo battezzare te!”. Invece ha accettato la richiesta di Gesù, ha ubbidito e L’ha battezzato.

Pinuccia B.: Ma per noi, in concreto, questa ubbidienza nuova in che cosa consiste?

Luigi: Nell’imparare ad ubbidire anche noi, come il Battista, a ciò che a noi sembra assurdo, accettandolo.

Lo vediamo anche con Pietro che non voleva lasciarsi lavare i piedi dal suo Maestro. Avevamo detto, commentando questo episodio, che il non lasciarsi servire dal Superiore, il non lasciarsi servire da Dio può anche essere un’espressione di superbia. Pietro rifiuta, non vuole lasciarsi lavare i piedi da Gesù, ma Gesù gli dice: “Non avrai parte con Me, se non ti lasci lavare, se non ti lasci servire”. Ecco, questo lavarci i piedi è un servizio che Dio fa a noi, per renderci capaci di partecipare della Sua vita (altrimenti “non avrai parte con Me”).

Pinuccia B.: Quindi per noi accettare di battezzare Gesù vuol dire accettare questa sottomissione di Dio a noi, questo servizio

Luigi: Sì, accettare questo servizio che a noi può anche sembrare assurdo, perché abbiamo il Superiore che si abbassa all’inferiore. Ecco, il momento concreto che tu mi chiedi, il momento in cui anche noi siamo chiamati a battezzare Gesù, penso stia lì, in questo punto in cui Dio scende a servirci e ci chiede di accettare questo servizio.

Pinuccia B.: Accettare che Dio scenda a servirci vuol dire, in concreto, accettare anche i dolori, la croce…

Luigi: Certo, il dolore, ma accettare anche ciò che a noi sembra assurdo, per cui diciamo: “È impossibile che Dio voglia questo!”, che voglia (quante volte l’abbiamo detto!) quello che noi riteniamo scandalo, peccato, delitto, guerra o altro…

Pinuccia B.: Però l’attribuire questo a Dio, il riconoscere che tutto questo è opera di Dio e accettarlo è un atto di giustizia, quindi obbedienza a Dio. Ma l’“obbedienza nuova” che incontrando il Cristo ci è richiesta è un qualcosa di più? E in che cosa consiste?

Luigi: L’obbedienza nuova” sta appunto nel fatto di accettare tutto questo come opera che Dio fa per servire noi.

È qui che scatta la luce e capiamo che è Dio che prende su di Sé il nostro peccato. Perché noi non capiamo che Dio prende su di Sé il nostro peccato! Capire questo, è capire “come” Dio ci salva!

Pinuccia B.: Quindi una cosa è riconoscere e accettare che ciò che a noi sembra assurdo è opera di Dio (e l’accettarlo questo è già una prima ubbidienza, anche se, a questo livello, come avevi detto, possiamo intendere l’opera di Dio solo come un invito a cambiare, oppure come un castigo) e altra cosa è accettarlo come un servizio, come una sottomissione di Dio a noi: è questa seconda obbedienza che ci fa capire che è Dio che prende su di Sé il nostro peccato?

Luigi: Certo! Infatti noi possiamo intendere che tutto questo sia opera di Dio, ma non possiamo intendere, se non accettiamo la sottomissione di Cristo, che Dio prenda su di Sé il nostro peccato.

Lo capiamo soltanto se, ubbidendo, ci lasciamo servire.

Perché Lui ci salva servendoci, cioè prendendo su di Sé il nostro peccato: ma questo va capito! È questa la scoperta che ha fatto il Battista quando ha accettato la sottomissione di Gesù! Per cui L’ha segnalato: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie, che porta su di Sé, il peccato del mondo!”.

Teniamo sempre presente che Gesù ci salva non in quanto ci viene a dire delle parole, a trasmetterci un messaggio o a narrarci le parabole o facendoci il discorso delle Beatitudini: non ci salva con quello! Ci salva morendo in Croce, cioè prendendo su di Sé il nostro delitto.

Ma se io dico: “No! Io non L’ho messo in croce!”, non ho allora quell’ubbidienza attraverso la quale riconosco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo! Cioè non ho quell’“obbedienza nuova” che mi fa accettare che Dio si sottometta a me. Non faccio cioè questa ubbidienza del Battista, capisci? Mi metto fuori: “No, io non ho fatto quello!”.

In sostanza, dicendo questo, non accetto che Dio mi serva fino al punto da mettersi nelle mie mani e prendere su di Sé il mio peccato.

Infatti il riconoscere di essere stato io a metterlo in Croce significa riconoscere e accettare che Dio sia sceso a servirmi, lasciandosi uccidere, prendendo su di Sé il mio peccato.

Ma se non c’è questa accettazione, non posso giungere a capire che Lui mi salva prendendo su di Sé il mio peccato.

Il Battista facendo questa scoperta ha già intuito la Croce di Gesù. In effetti la grande luce, la grande conferma, su “come” Dio ci salva l’abbiamo nella Morte di Gesù in Croce: qui è evidente il “come”. La sua Morte determina un vero capovolgimento, una rivoluzione nel nostro pensiero, nella nostra fede.  Il “come” Dio ci salva è “il mistero nascosto nei secoli e rivelato ora in Cristo Gesù”: una novità folgorante che ci libera e ci salva. Ma bisogna impegnarci in essa, porre mente, per approfondirla, se vogliamo che trasformi la nostra vita.

La scoperta che Dio ci salva attraverso la Croce, prendendo su di Sé le nostre colpe, è la grande novità da cui fu abbagliato s. Paolo e che fu il punto centrale della sua predicazione: “Mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo Crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1 Cor 1, 22-25).

E sempre nella stessa lettera s. Paolo scrive ancora: “…Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi Crocifisso” (1 Cor 2, 2), e parla sulla necessità della luce dello Spirito per poter capire il mistero della Croce di Cristo, e parla quindi sulla necessità della preghiera, dello sguardo verso l’Alto, per ottenere questa luce dall’Alto.

Infatti questa luce sul “come” Dio ci salva abbiamo visto che il Battista la ricevette dall’Alto (“Vidi lo Spirito discendere dal Cielo…”), dopo però aver ubbidito a ciò che gli sembrava assurdo.

Allora ecco qui delineato il nostro cammino spirituale:

·la giustizia essenziale ci apre al primo “indomani”, in cui vediamo Gesù venire a noi;

·ubbidendo a ciò che per noi è assurdo, accettando la sottomissione di Gesù, scopriamo “come” Dio salva e vediamo in Lui “l’Agnello di Dio che prende su di Sé il peccato del mondo”;

·questa scoperta ci apre al secondo “indomani”, in cui finalmente il nostro sguardo può fermarsi su Gesù e scoprire che Egli, anche se è venuto tra noi e si è sottomesso a noi per salvarci, è Uno che non resta: passa e va e che noi dobbiamo seguirlo per non perderlo e giungere dove Lui ci vuole portare.

·Quindi la sua sottomissione a noi ha una direzionalità ben precisa: viene, passa e ci prepara al terzo “indomani”, in cui Lui ritorna là donde è venuto: dopo averci agganciati a Sé, dopo averci fatto capire il perché della sua sottomissione, ci conduce a sottomettere noi stessi a Dio, offrendoci con la sua Morte in Croce la possibilità di superare il nostro io e di impegnarci nel Cielo di Dio per ritrovarlo alla destra del Padre.

Rivelandoci “come” Dio salva, Cristo ci offre la possibilità di superare il pensiero del nostro io che è la condizione per giungere a conoscere Dio. Ma è necessario accettare e cercare di capire questa sua sottomissione, attendendo la luce dall’Alto. Dalla sua Croce Gesù ci dice:“Sono morto per te! Capisci quello che ti ho fatto?”.

San Paolo, affascinato dalla scoperta del “come” Dio ci salva, da questo mistero nascosto nei secoli e rivelato da Cristo Crocifisso, ha capito che è necessario morire all’io vecchio, affinché la Croce di Cristo non sia vana per noi e scrive ai Romani: “Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con Lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato” (Rom 6, 6).

E ai Gàlati scrive: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato Se stesso per me. Non annulliamo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano” (Gal 2, 20-21). E aggiunge: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella Croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6, 14). Ecco qui, San Paolo vuol far capire che la morte di Cristo in Croce è il mistero centrale della nostra vita, perché ci rivela “il corpo del peccato” offrendoci la possibilità di distruggerlo. Infatti se ci soffermiamo a contemplare da Dio la Morte di Cristo in croce, essa ci rivela che il nostro io autonomo è deicida, perché uccide in noi il Pensiero di Dio, per cui la sua Morte in noi è la nostra morte, perché “Avete ucciso l’autore della vostra vita!”, dice s. Pietro. È a questa luce quindi che va fatta la diagnosi di certi stati d’animo di angoscia, di ansia e di vuoto che l’anima esperimenta quando trascura Dio e mette l’io al centro.

Noi questo deicidio lo ignoriamo. Ma Egli morendo ci esteriorizza il delitto che portiamo dentro di noi per farcene prendere coscienza e ci convince di esso se però contempliamo “Lui morto per causa mia”.

Rivelandoci il “corpo del peccato”, che è l’io al centro, ci segnala anche il passaggio alla vera vita: ci fa capire che bisogna passare attraverso il superamento del pensiero dell’io, e ce lo rende possibile.

Infatti la convinzione che il nostro io autonomo è deicida è una grazia enorme che, se abbiamo Dio prima di tutto e non ci stacchiamo dal Tu del Cristo (che anche se morto, è sempre Dio!), ci offre quel supplemento di luce che fa scattare in noi la decisione di non voler più pensare a noi stessi per risorgere con Cristo a vita nuova.

La morte a noi stessi è un passaggio obbligato per iniziare a vivere, poiché è necessario il superamento dell’io per giungere alla conoscenza di Dio, che è vita vera.

Da qui l’importanza di incontrare il Cristo e di seguirlo in tutto ciò che fa e dice, fino al Calvario e oltre: fino alla conoscenza del Padre.

Ora possiamo capire perché Egli non si ferma, non indugia sui nostri problemi, sui nostri argomenti, ma passa, va avanti: perché Egli ha da proporci il suo problema, i suoi argomenti per condurci alla conoscenza della Verità.

Eligio: Hai detto che per giungere a scoprire “come” Dio salva, dobbiamo ubbidire, anche a ciò che a noi sembra assurdo, come ha fatto il Battista, accettando di battezzare Gesù. E hai precisato che ubbidire, accettare di battezzare Gesù per noi vuol dire riconoscere e accettare la sottomissione di Dio che si abbassa fino a noi.

Invece la volta scorsa, si era detto che accettare di battezzare Gesù significa dargli un nome, dirgli quanto Lo valutiamo...

Luigi: È la stessa cosa, perché chiedendoci di dargli un nome, Cristo si sottomette a noi.

Eligio: Quindi dargli un nome è l’obbedienza che Cristo, sottomettendosi, chiede ad ognuno di noi…, per cui ubbidire a questa sua richiesta, dargli un nome, vuol dire in sostanza accettare questa sua sottomissione.

Luigi: Certo! Occorre però precisare che noi comunque diamo sempre un nome a Dio, poiché ogni giorno Lui si sottomette a noi chiedendoci: “Che nome mi dai?”, anche quando ci sembra assurdo che Lui si abbassi a servirci.

Eligio: Solo se in noi c’è la giustizia, riconosciamo e accettiamo questa sottomissione di Dio, e quindi in ogni cosa, avvenimento o situazione, gli diamo il “vero” nome, il valore che gli spetta.

Luigi: Altrimenti chissà che nome gli diamo e dove Lo collochiamo! Comunque sia, Gesù che viene e si presenta a noi, chiedendoci che nome gli diamo, che posto gli diamo, è chiaro che si sottomette al nostro giudizio.

Eligio: E sì, perché dare un “nome” nel senso ebraico vuol dire dove Lo collochiamo, che valore gli diamo, che cosa significa per noi, che valore ha Lui per noi…

Luigi: E non è un assurdo questo? Lui che è il nostro Creatore si offre ad essere valutato da noi?!!

Eligio: Quindi noi dobbiamo riconoscere e accettare questa sua sottomissione, dandogli il “vero” nome.

Luigi: Sì, perché questa obbedienza è la condizione per giungere a conoscerlo in modo nuovo come il Battista che, dopo aver obbedito, vide lo Spirito scendere dall’Alto su Gesù e Lo conobbe come “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (che è appunto il nome nuovo con cui Lo ha segnalato).

Ecco, accettare questa sua sottomissione è, come dicevo, quell’obbedienza “nuova” che Cristo ha chiesto al Battista e che l’ha portato a quella grande scoperta del “come” Dio ci salva.

Pinuccia B.: È vero, non ci pensavo: la richiesta di dargli un nome è una grande sottomissione da parte di Gesù a noi

Eligio: … perché in sostanza, ci chiede di dargli un valore, di dire che cosa Lui significa per noi.

Luigi: Ci invita cioè a testimoniare che cosa Lui vale per noi, come Lo valutiamo, che posto gli diamo nella nostra vita, a che posto lo mettiamo.

Ecco la sottomissione di Dio: si mette nelle nostre mani! Per cui noi, nella nostra mente e nelle nostre scelte, Lo possiamo mettere in alto o in basso, prima di tutto o addirittura fuori della nostra vita. Faranno di Me tutto quello che vorranno”, dice Gesù, il Verbo incarnato.

Eligio: Intesa così, la richiesta che Gesù ci fa di battezzarlo, ha un significato più ampio e personalizzante.

Luigi: E ci responsabilizza molto.

Pinuccia B.: In concreto, per noi battezzare il Cristo, come hai detto, significa riconoscere e accettare questa sua sottomissione, e quindi dargli un nome, dirgli cioè che cosa Lui è per noi. Quindi accettiamo la sua sottomissione dandogli un nome.

Luigi: Certo, però il nome deve essere, per giustizia, quello vero, quello che gli spetta, perché questa è la condizione per giungere a conoscerlo, come il Battista, in modo nuovo, come “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.

Pinuccia B.: Quindi fare la scoperta che ha fatto il Battista dipende dal nome che diamo a Gesù, perché non è detto che il nostro battezzare Gesù, il nome che noi diamo a Lui, ci porti comunque a tale scoperta.

Luigi: Ah, no! Non è detto, perché va’ a sapere che nome gli diamo e in che posto Lo collochiamo! Infatti noi, comunque viviamo, diamo sempre a Gesù un nome, e quindi un posto nella nostra vita, a seconda della giustizia che abbiamo fatto o non fatto, cioè a seconda se abbiamo o no messo Dio al primo posto.

Eligio: Il Battista aveva operato la giustizia “piena”…, noi invece…

Luigi: Ma sia che facciamo o no la giustizia, in un modo o nell’altro Gesù viene sempre a noi chiedendoci di battezzarlo, e ogni giorno noi diamo un nome a Lui, cioè lo stimiamo. Per cui quando, ad esempio, di fronte alla proposta di approfondire la Sua parola, noi diciamo: “Per questo io non ho tempo”, noi diamo una stima a Gesù, perché preferiamo altro a Lui. Ma noi continuamente in tutte le nostre scelte, nei nostri pensieri e nel nostro parlare, noi continuamente giudichiamo Lui: diciamo quello che Lui è per noi.

Eligio: Sì, perché Lui si offre al nostro giudizio.

Luigi: Si offre al nostro giudizio! Perché se Lui non si offrisse al nostro giudizio, noi non ne potremmo parlare minimamente, non potremmo fare nessuna scelta.

Ma tutti i giorni Lui si offre al nostro giudizio! Tutto quello che noi facciamo tutti i momenti, tutti i giorni è sempre un giudizio che noi facciamo su Dio, perché in ogni atto che noi facciamo, noi in realtà esprimiamo un giudizio, un giudizio di valori, una stima, e, stimando, noi praticamente classifichiamo Dio a seconda del posto che gli diamo.

È vero o no che in ogni atto noi facciamo una scelta? Ma la scelta su che cosa avviene? Tra qualche cosa di creato e Dio: ma sempre! Tra qualcosa di mio e Dio; tra quella creatura e Dio: ma sempre! Quindi il giudizio è sempre lì: “Che posto mi dai?”, dice Dio.

In tutte le cose che si presentano a noi c’è sempre Dio che viene a noi e dice a noi: “Che posto mi dai? Che nome mi dai?”. E siccome Lui passa e se ne va, dobbiamo affrettarci a dargli il vero nome, il valore, il posto che gli spetta.

Cina: Si è detto all’inizio che il Gesù che viene, è come la pioggia che viene dal cielo. Ma allora Gesù dovrebbe restare sulla nostra terra come la pioggia, ma invece Gesù passa e se ne va…

Luigi: Ma anche la pioggia non si ferma, non ristagna, ma penetra nella terra, perché se l’acqua che scende dal cielo non penetrasse nella terra, farebbe fango. Ecco, quando non penetra giù, ma si ferma e ristagna in superficie, ci resta il fango. Se invece penetra giù, la terra diventa feconda…(ed è segno di ciò che fa la Parola di Dio). Ma dopo aver fecondato la terra torna in cielo!

Pinuccia B.: Ma in che modo?

Luigi: C’è l’ evaporazione…

Pinuccia B.: Ma se è penetrata dentro la terra non può più uscire.

Luigi: Certo che sì, e risale al cielo attraverso le piante dopo averle prima irrorate e fecondate, ed è un segno bellissimo, perché le piante significano l’anima contemplativa: dopo aver accolto e assimilato la Parola che scende e si incarna nella nostra terra, l’anima attraverso la contemplazione riporta la stessa Parola là da dove essa è venuta, per capirla nella sua Sorgente.

Pinuccia B.: Quindi se l’anima accoglie il Cristo che viene (rappresentato dalla pioggia) e se, attraverso l’ascolto e l’assimilazione della sua Parola, Lo segue fin dove Lui va, succede che attraverso la contemplazione viene portata anch’essa…in cielo.

Luigi: Certamente.

Cina: Ci viene sempre detto che bisogna fermarci e restare…, eppure qui si dice che bisogna andare, camminare dietro Gesù. Non sono due cose diverse?

Luigi: Ci si ferma soltanto in quanto si va!

Cina: Ci si ferma soltanto in quanto si va?… Ah, ecco, in quanto si segue il Cristo

Luigi: Certo, perché il Cristo è Uno che cammina, che va avanti. Viene, ma passa e se ne va! Se tu non vai con Lui, non ti fermi con Lui!

Cina: Eppure è anche attraverso le nostre cose di tutti i giorni, che ci impegnano da mattino a sera, che ci viene chiesta questa corrispondenza al Gesù che viene…

Luigi: Infatti è attraverso le cose di tutti i giorni che dobbiamo dare il nome, il valore giusto a Gesù che viene a noi e Lo seguiamo dove Egli va

Cina: Ma come si fa? Perché la vita non è solo preghiera…, cioè non è preghiera continua…

Luigi: È preghiera continua! O meglio, deve essere preghiera continua! “È necessario pregare sempre”, dice Gesù.

Solo se uno è in continua preghiera resta con Dio. Solo se è in continua preghiera! Ma tutto deve essere preghiera! Come colui che è da Dio. L’abbiamo detto prima: colui che è da Dio ascolta Dio in tutto. Colui che è da Dio, ovunque sia, ascolta solo parole di Dio, non ascolta parole di uomini. Colui che è da Dio ascolta in tutto parole di Dio!

Cina: Ma questo è già diverso. Ma invece come è possibile pregare sempre?

Luigi: Ma colui che è da Dio è sempre in preghiera, ovunque sia! Che peli le patate o che scopi la stanza o che sia inginocchiato in un banco, lui è sempre in preghiera.

Cina: Ah, ecco! Perché è sempre in ascolto.

Luigi: Sì, perché chi è da Dio ascolta Dio in tutto.

Emma: Quindi pregare, cioè restare sempre con il Cristo è possibile facendo qualsiasi cosa…? Ma come è possibile se Lui è Uno che passa e se ne va?

Luigi: Pregare vuol dire essere in ascolto di Dio, di Colui che parla con me. Allora, quando uno è in ascolto di Colui che parla, Lo segue fino alla fine del suo discorso, e quindi va dove Lui va. Quindi la condizione è rimanere in ascolto, cercando il significato di Dio in tutte le cose, sempre, perché in tutte le cose è Dio che parla! L’anima deve essere in ascolto di Dio, come ho detto, anche quando pela le patate, quando scopa, quando parla, quando è in silenzio. Ma l’anima deve sempre essere in questo silenzio, in questa attenzione a Dio.

E solo così si riconosce allora il Dio che viene e si dà il vero nome a Dio in tutte le cose! Solo così! In caso diverso non si dà mica il vero nome!

Emma: Sì, la preghiera è stare uniti al Signore e quindi non si è in preghiera soltanto quando ci si inginocchia e ci si ferma, ma anche quando tutto quello che si fa lo si fa per amore di Dio, mossi da Dio.

Luigi: Sì, però bisogna anche dire che questo è possibile solo nella misura in cui si è formata in noi tanta profondità di pensiero. È quando si fa silenzio che si forma in noi questa profondità (come dice la preghiera di Isaia: “si apra la terra, cioè la profondità dell’anima e produca la salvezza!”: cf. Is. 45, 8).

Ed è poi questa profondità che ci dà la capacità di seguire il Cristo quando passa fino a dove Lui va, cioè di restare ovunque in preghiera e di ascoltare in tutto Dio. Perché noi possiamo ascoltare le parole di Dio solo nella misura in cui siamo da Dio. Per cui in tutte le cose (anche se sentissimo una bestemmia) sentiamo la parola di Dio, in tutte le cose o avvenimenti vediamo ciò che essi ci significano di Dio, per cui se in una cosa vediamo ciò che ci significa di Dio, quella cosa non ci stacca da Dio. Non c’è più niente che ci separi da Dio!

Ma questo dipende dalla misura in cui c’è in noi questa profondità di pensiero che si è formata nel silenzio, nel pensare a Dio, nel dialogare con Dio, nell’ascoltare Dio. E allora ovunque uno vada porta in sé questo raccoglimento.

Emma: Per me personalmente ciò che mi aiuta molto a pregare è l’essere a contatto con la natura, ad esempio in un bosco, nel silenzio o tra i monti… Infatti si dice che il primo grande libro di Dio è la natura, no? A me è di grande aiuto…

Luigi: Se il Signore ti offre questa possibilità, bene; ma se non te la offre si può e si deve pregare in qualsiasi angolo, nel segreto della nostra stanza. L’importante è tener presente questo: quando uno ama, trova sempre il modo di arrivare là dove vuole. Quando uno ama! Quando non c’è amore, avesse anche tutto a disposizione, tutte le comodità di questo mondo, non realizza niente. Perché le difficoltà non vengono mai dall’ambiente, credilo pure, ma vengono dall’amore o non amore.

Cina: Saper pregare è la cosa più bella, perché la preghiera ci fa stare con Gesù e ci aiuta a seguirlo dove Lui va. La preghiera è una cosa che dà vita perché ci fa restare con Dio in ogni cosa.

Luigi: Infatti ad un certo momento, i discepoli vedendo come Gesù pregava, gli dissero: “Maestro, insegna anche a noi a pregare!”. Perché chiedono questo? Perché hanno capito l’importanza della preghiera! Noi chiediamo una cosa quando capiamo l’importanza di quella. Per questo dicono: “Insegna anche a noi a pregare!”. Perché ne hanno capito l’importanza! È il cibo dell’anima.

Quando abbiamo capito che la nostra vita viene dalla bocca di Dio, allora cerchiamo solo più questo: la Parola che viene dalla bocca di Dio! Questo è ascoltare Dio! Per cui questa è per noi la cosa più importante.

Perché uno trascura magari il denaro, le carriere, i lavori del mondo, la figura, ecc.? Ma perché trascura tutto questo? Ma perché ha trovato qualcos’altro di molto più valido, molto più importante! Altrimenti sarebbe sciocco se trascurasse quello per quest’altro. Ha trovato qualcosa di migliore! Ha capito che c’è qualcosa di migliore che gli riempie l’anima!

Tant’è vero che né il denaro, né la carriera, né le cose del mondo, ecc., non ci fanno felici, né danno pace, né danno vita. Anzi, tutte le carriere di questo mondo, anziché creare pace, non fanno che creare tensioni, rivalità, rancori, affogando gli animi sempre più nella confusione, nel disordine e negli affanni.

Emma: Però se uno prega, quand’anche venisse a trovarsi in queste situazioni, Dio lo aiuta a uscirne e a superare le tentazioni che gli vengono dal mondo esterno, vero? Ho letto in qualche posto che Dio non ci dà mai le prove superiori alle nostre forze.

Luigi: Sì, le prove sono dosate per ogni persona, perché tutto è opera di Dio. L’importante è dialogare tutto con Lui e far conto su di Lui, cercando la sua Presenza.

Emma: Quindi tutte le prove sono sempre prove superabili.

Luigi: Con Lui!

Emma: Con Lui, certamente, ma anche perché le prove che Lui ci manda non supereranno mai la misura della nostra capacità di sopportazione.

Luigi: L’importante è afferrarci al Cristo. È la sua Presenza infatti che dà senso ad ogni cosa e ad ogni momento della nostra vita, ed è questo che ci fa superare le prove facendoci camminare sulle… acque del mondo.

Sapendo che in ogni cosa è Cristo che viene a noi, dobbiamo essere attenti ad accoglierlo e a seguirlo quando Lui viene a noi, per non perdere la sua Presenza, dato che Lui non si ferma a noi, ma passa e va.