Tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Gv 1 Vs 3 Primo
tema
Titolo: Adesione,
raccolta, intelligenza.
Argomenti: Accogliere da Dio. Rispettare e capire il Padrone di casa.
Le nostre scelte e il niente.
Dimenticarci di noi stessi.
Tutto è stato fatto per mezzo di Lui. 3.3.76. Fermatevi e riconoscete che Io sono il Signore 10.3.76.
Nemmeno un passero cade in terra 17.3.76.
19/settembre/1975
Luigi: Dio parla
personalmente significandoci ciò che noi abbiamo presente, quindi dice: “è
stato fatto”
Incominciando a vivere,
troviamo un mondo già fatto. Per noi le cose sono fatte. Per noi il mondo è già
fatto. Noi scopriamo solo ciò che è già.
Essendo tutto fatto da Dio,
noi dobbiamo tutto accettare da Dio, collegare tutto a Dio: “ricreare”,
“fare Dio” (generare Dio), se no diventiamo figli di questo distacco da Dio.
Naturalmente questo ricreare e fare Dio (cioè generare Dio) lo si fa per opera
di Dio, perché è solo Dio che genera il suo Verbo. Noi siamo chiamati a
partecipare consapevolmente a questa generazione. È opera di Dio perché non
siamo noi che pensiamo o “facciamo” Dio, ma è Dio che si fa pensare da noi.
Egli infatti esiste indipendentemente da noi.
“Tutto è fatto per mezzo di Lui”, per
cui devo:
·
accettare tutto,
anche se non lo capisco, da Dio (mai riferirlo alle creature, al caso,
alla natura, ecc.)
·
riportare tutto a Dio per cercarne
il significato, il suo Spirito. Devo riferirmi al Padrone, per capire lo
Spirito del Padrone. Siamo in casa d’altri, solo comprendendo
l’intenzione, la volontà del Padrone noi ci comporteremo in mezzo alle cose e
alle sue creature rispettando la sua Volontà.
Quindi ci vuole rispetto di
ciò che troviamo; e per poter rispettare ciò che troviamo dobbiamo cercare di
capirne la finalità.
In tutto c’è Dio, perché è
Lui che parla in tutto, ma noi non ci facciamo caso. “Il bue conosce il suo
padrone, ma l’uomo non conosce il suo Padre” (Is 1,3).
Tutto è già fatto:
ogni giorno, al mattino i fatti ci sorprendono. Ogni avvenimento giunge
a noi attraverso i sei giorni della creazione: noi entriamo in scena solo al
sesto giorno.
Pensieri tratti dalla conversazione
registrata:
Luigi: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui…”, in quanto
tutto è fatto per mezzo di Dio, noi dobbiamo accogliere tutto da Dio, sia
quello che a noi piace, sia quello che a noi non piace, sia quello che capiamo,
sia quello che non capiamo. Dobbiamo accogliere tutto (e mai riferirlo alle
creature, al caso, al destino, alla fortuna) da Dio, perché in ogni cosa c’è
la mano di Dio, c’è l’opera del Creatore, anche se non la intendiamo.
Ogni uomo deve sapere che
in tutto c’è Dio e questo lo deve sapere perché è Dio stesso che parla,
infatti nessuno di noi può ignorare Colui che opera, perché non siamo noi che
facciamo. Nessuno di noi può ignorare il proprio Padre; e chi ignora il proprio
Padre è colpevole. Allora, in quanto non siamo noi che facciamo, dobbiamo
accogliere, rispettare.
Se io entro in casa
d’altri, la prima regola a cui mi debbo adeguare è quella di rispettare i
mobili, di rispettare le cose come sono disposte; quindi non posso entrare in
casa d’altri, e iniziare a prendere a calci le cose dicendo: “questo non va,
quell’altro non va”, solo perché ho delle idee differenti; e questo perché la
casa è d’altri.
Allora, dicendoci che “Tutto
è stato fatto per mezzo di Dio” ci dice: “guardate che voi siete entrati in
casa d’altri”. La casa è di Dio, questo universo è di Dio, tutto ciò che
avviene è opera di Dio, siamo in casa d’altri. Essendo noi in casa d’altri,
quali devono essere le condizioni per non essere degli ospiti indiscreti?
·
Prima di tutto il rispetto;
anche se non capiamo il perché là ci sia un quadro lì ci siano delle luci, o
perché ci sono certi mobili, ecc; quindi la prima condizione è questa: “io
debbo rispettare”.
·
La seconda condizione è questa:
cercare d’intendere il perché il padrone ha disposto le cose in
questo modo; cioè quale sia stata la sua volontà, quale è stata la sua
intenzione. Ma perché abbiamo bisogno d’intendere il perché il Padrone ha
disposto le sue cose? Perché soltanto intendendo la volontà del Padrone, noi ci
comporteremo in mezzo a queste cose rispettando la sua Volontà; in caso diverso
sbagliamo. Ecco perché abbiamo bisogno di arrivare al significato.
Quindi
la condizione è che noi prima di tutto le accogliamo, che aderiamo, le
rispettiamo; nel rispetto poi dobbiamo cercare d’intendere. E per cercare
d’intendere cosa dobbiamo fare? Dobbiamo riferirci al Padrone,
guardare al Padrone, dobbiamo cercare di capire lo Spirito del Padrone.
Non possiamo fermarci ad
osservare la sedia o la luce o il quadro, ma dobbiamo andare dal padrone per
cercare di capire l’intenzione di ogni cosa. Quando abbiamo capito lo
Spirito allora abbiamo capito la finalità che ha nel disporre i mobili; a
questo punto potremo muoverci nella casa secondo lo Spirito del Padrone, senza
urtare il Padrone.
Noi dobbiamo imparare a
convivere con Dio. Dio è il Padrone della nostra casa, e soltanto
intendendo lo Spirito di Dio, la volontà di Dio, cioè la finalità, anche noi
avremmo la possibilità di operare nelle cose, nell’universo con le creature
secondo lo Spirito di Dio.
Attualmente invece il nostro
operare è come chi entra in casa d’altri e per prima cosa prende subito a calci
i mobili; così facendo urtiamo le creature e non rispettiamo la volontà di Dio,
cioè noi non rispettiamo il sacro che c’è nell’universo, perché non intendiamo
lo Spirito del Padrone. Non rispettando Dio noi vogliamo affermare noi stessi,
vogliamo affermare i nostri interessi, vogliamo metterci in vetrina e quindi
naturalmente roviniamo tutto. E questa non è intelligenza di Dio, non è operare
secondo lo Spirito. Ecco perché sono due i passaggi da fare:
·
dobbiamo fare il passaggio
dall’adesione ( …fino a capire la finalità - vedi dispensa n°1137 “L’individuazione
del Figlio di Dio”), alla raccolta in Dio.
·
dalla raccolta in Dio, unificando
tutto in quella finalità, dobbiamo fare il passaggio in Dio per cogliere
l’intelligenza, capirne il significato.
Quindi sono tre i tempi: 1°
adesione,
2° raccolta,
3° intelligenza delle cose.
Ma per arrivare a capire
il significato dobbiamo capire la finalità di Colui che opera. Mi sembra che
l’esempio della casa chiarisca.
Nino:
Bisogna risalire alla psicologia di chi ha operato.
Luigi:
Cioè allo Spirito, perché con lo Spirito poi dopo riusciamo a camminare bene
tra le opere.
Nino:
Siccome chi ha operato, ha operato costruendo anche noi, essendo noi sue
creature arriveremo a capire la finalità della nostra esistenza solo in Lui.
Luigi:
Certo, quindi noi abbiamo la possibilità di essere bene orientati; se teniamo
presente Dio, sia come pensiero, sia come scelte, sia come azioni, in tutte le cose,
possiamo agire secondo il suo Spirito. Mentre invece se non teniamo presente
Dio distruggiamo anche tutto ciò che è stato disposto bene, per cui tutto ciò
che è fatto diventa niente.
Pinuccia B.: Vedo
simultanei i due passaggi.
Luigi:
Guarda che tra il primo e il secondo passaggio, ci passano degli anni; certe
volte può anche essere istantaneo, ma questo avviene magari in anime che vivono
talmente in contemplazione che come raccolgono cose in Dio, le capiscono (in
cielo certamente si intenderanno i segni “a tempo reale”). Quanto più uno è
nell’amicizia con Dio tanto più giunge alla luce rapidamente.
Una persona che da noi è
molto lontana, crea in noi molta fatica per intenderne lo spirito,
l’intenzione, conoscerne l’anima, il carattere, ma una persona con la quale noi
siamo molto vicini è quasi istantaneo il passaggio tra l’avvenimento e
l’intelligenza dell’avvenimento stesso operato da quella persona.
Pinuccia B.: Capisco
la differenza tra il primo e il secondo tempo (cioè tra l’aderire e il raccoglimento
in Dio), ma il secondo e il terzo li vedo più simultanei. Praticamente quando
capisco lo Spirito di Dio capisco anche il “perché” di una cosa.
Luigi:
Certo, ma quando raccogliamo non siamo ancora nel capire, ma siamo nel
riportare in-. C’è un primo procedimento, che è quello dell’adesione,
perché possiamo anche non aderire; infatti quando dico: “che barba, piove” ,
non aderisco; oppure: “quella creatura mi è antipatica” non aderisco. Quindi io
un primo tempo devo aderire, ma l’adesione può non esserci, perché più penso a
me stesso e più prendo a calci le cose. Allora aderire vuol dire rispettare il
sacro che c’è in tutto. In tutto c’è del sacro. S. Francesco non osava nemmeno
strappare una foglia di un alberello perché tutto è opera di Dio. Per cui se noi
siamo senza motivazione, se uno si preoccupa della volontà divina, non dobbiamo
permetterci di muoverci, non dobbiamo fare assolutamente niente. “Il Figlio
non può fare niente se non lo vede fare dal Padre”(Gv5,19). Allora, in
un primo tempo c’è questo rispetto, questa adesione; però l’adesione non è
intelligenza, non è capire il significato; dall’adesione nasce in noi il
desiderio d’intendere; ma non basta che in noi ci sia il desiderio d'intendere
per intendere, non basta che io desideri vedere se tutto è spento: cammino al
buio, non vedo, ho bisogno che scatti una certa luce. Ma dove troverò questa
Luce che s’accende? Cercando Dio. E allora ho bisogno di riportarmi con il mio
problema in Dio, con tutta quella fatica che costituisce un secondo momento del
raccoglimento in Dio; ma non è che raccogliendo la si illumini, perché raccogliendo,
unificando in Dio, la luce mi verrà poi da Dio, quando e come Lui vorrà.
Per cui noi possiamo anche cercare Dio, ma non trovarlo. Il tempo è Lui che
lo determina.
Dio vuole che noi Lo
cerchiamo, la ricerca è necessaria, ma non è sufficiente per trovarlo, perché
l’elemento della conoscenza di Lui viene da Lui, è dono suo,
non è creazione nostra, non è scoperta nostra. Il tempo è Lui che lo fa in noi,
non siamo noi che lo facciamo; noi non possiamo dire: “ti cercherò domani;
domani ti troverò”, in tal caso Lui ci dice: “No! tu mi devi cercare quando
Io ti invito a cercare”.
Quindi, dice S. Paolo nella
lettere gli Ebrei: “Se oggi voi udite la sua Parola, affrettatevi ad entrare
nella sua pace, affinché non abbiate a subire la condanna nel deserto come era
successo per i vostri padri” (cf Eb 4,1-13). Quindi noi dobbiamo seguire la
Parola di Dio quando Dio ci invita, quando Dio chiama, e non quando fa comodo a
noi, e poi non solo seguirla, ma darle tutto quel tempo che richiede, perché la
Luce viene da Dio
Quindi il tempo del
raccogliere in Dio è il secondo momento, che non avviene senza di noi; infatti
Gesù dice: “chi con me non raccoglie disperde” (Mt 12,30), disperde,
cioè annulla tutta l’opera di Dio.
Dio opera affinché noi ci
muoviamo verso di Lui; la sua opera è tutto un “venite che tutto è pronto”
(Mt 22,4; Ap 22,17). Noi possiamo dire: “No, non ho tempo” (Lc
14,18-20), e non aderire, o possiamo anche andare quando fa comodo a noi, cioè
andare ma senza “l’abito delle nozze” (Mt 22,11); quindi l’andare di
per sé non è già un trovare.
Poi l’illuminazione è in
Dio, è nello Spirito di Dio; per cui abbiamo il terzo tempo, che può
tardare parecchio, perché dipende da Dio.
Dio vuole che noi
constatiamo che questo terzo tempo non dipende da noi, cioè che
non basta cercarlo per trovarlo; infatti se Lui si concedesse subito noi ci
confonderemmo dicendo: “sono io che ho scoperto, sono io che mi sono dato da
fare”. no! anche se tu ti dai da fare non viene da te. Allora verrebbe da dire:
“ma se viene da Lui io non faccio niente, faccio i miei comodi”, ancora peggio,
perché la Luce certamente non ti arriverà, perché è necessario cercare, però
dobbiamo anche sapere che dipende da Lui. Cioè Lui è il Pane, ed è
necessaria la fame, perché senza fame anche se arriva il pane non lo si
assimila, quindi cercare è necessario, però la grazia di trovare il Pane viene
da Dio. Infatti non è la nostra fame che crea il pane. Il terzo momento è
l’incontro col Pane.
Pinuccia B.: Il
secondo momento dipende da noi, è più nostro…
Luigi:
Sì, è nostro per modo di dire, perché la fame è anche grazia di Dio, (tutto ciò
che possediamo è opera di Dio), però è il momento essenziale in cui noi siamo
chiamati a rispondere.
Pinuccia B.: Il
terzo invece non dipende da noi.
Luigi:
Sì, il terzo momento, l’intelligenza delle cose, dipende unicamente da Dio;
per cui ci deve essere il silenzio totale di tutto, di tutto l’universo, di
tutte le creature, della stessa nostra anima, di tutti i nostri pensieri, di
tutto, perché lì la creatura è in attesa; per cui quello che nasce nella
creatura è tutta opera di Dio, è Verbo di Dio. Allora la creatura
scopre l’Intenzione; e quello è il terzo momento.
Angelo B.:
Capita alcune volte di accettare qualche cosa mal volentieri; com’è che a
distanza di tempo, ci si accorge che quell’atto aveva un certo fine? In questo
caso però era mancata l’adesione.
Luigi:
Ma ad un certo momento capiremo che tutto ciò che è avvenuto era bene, anche quello
che abbiamo rifiutato; però in tal caso ci sarà il rimpianto e si dirà:
“guarda, da parte di Dio tutto era per il mio bene, ma io l’ho rifiutato; ho
rifiutato quel dato momento. Quella era la grazia, ma io l’ho rifiutata”.
Altrimenti noi non ci accorgeremmo di avere respinto; per accorgersi di ciò è
necessario che s’illumini il momento.
Noi non Lo rifiutiamo Dio
nel momento della luce, perché quando noi vediamo la Luce non possiamo fare a
meno di amarlo. Noi rifiutiamo Dio prima che scatti la luce.
Se noi vedessimo la Luce non ci sarebbe il rifiuto; noi Lo rifiutiamo prima,
cioè quando Lui ci chiama, quando Lui si presenta. Cioè, noi rifiutiamo Dio
quando noi prendiamo a calci le cose che non sono nostre.
Pensieri tratti dagli incontri del Sabato:
Sabato 17.01.1976: (appunti)
“Tutto è stato fatto per mezzo di
Lui e senza di Lui nulla è fatto di ciò che è fatto”
I due periodi che
costituiscono questo versetto non sono equivalenti.
“Tutto è stato fatto per mezzo di
Lui”:
Noi nasciamo in un mondo
già fatto prima di noi: è un Altro che l’ha fatto. Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui e tutto è carico di significato, perché Dio
opera intenzionalmente. Entriamo in un casa dove tutto è già stato disposto
prima, dove i “mobili” sono stati disposti da un Altro. Tutto è stato fatto per
l’uomo che un giorno dovrebbe venire a prendere coscienza. Quindi scopriamo
che veniamo a trovarci in un “pensato” per noi: la parola viene detta a me
che l’ho udito, l’orecchio per quella parola lì.
Nasciamo in un pensato di
Dio per noi. Tutto esiste già prima di noi, se no, noi ci illuderemo di averlo
fatto noi.
Come non indurre dalla
bontà e dalla bellezza del creato il Creatore?
Sabato 05.06.1976 (appunti)
Tutto è stato fatto e tutto
è ancora fatto per mezzo di Lui": tutto è opera di Dio. Nasciamo in un
mondo "già fatto" da un Altro.
In quanto accade, in quanto
esiste, in quanto si presenta a noi, quella cosa, quel fatto, è voluto da Dio.
Che sia dipeso o no da me: è Dio che l'ha fatto accadere.
Non basta che lo voglia io. Sarà una lezione per me, ma è Lui che lo vuole.
Esempio: posso desiderare di uccidere, ma se Dio non lo vuole, non uccido; se
uccido, è perché Dio lo vuole. Essere convinti di questo, è una premessa
indispensabile, è la base, per iniziare la vita dello Spirito, per poter
dialogare con Dio anche in quegli avvenimenti che ci urtano e che Lui vuole
proprio per urtarci, per scuoterci, per farci entrare in dialogo con Lui. È la
premessa dell'atto di fede: se no, come posso dire: "Credo in Dio Padre
Onnipotente, Creatore del Cielo e della terra"?
Siamo nel Regno del Padre
nostro. Quindi non devo attribuire alle creature l'avvenimento antipatico di
chi, per esempio, mi pesta un piede. Dio adopera un fratello e lo fa diventare
villano per dare una lezione a me. Se lo prendo da Dio, non me la prendo più
con il fratello, anzi lo scuso, perché è Dio che lo ha adoperato per me.
Siamo convinti che tutto è
voluto da Dio? Bisogna distinguere tra convinzione e difetto di coerenza.
L'incoerenza è un'altra cosa. Se so che 2+2=4, se faccio 2+2=5, so che sbaglio.
Se tutto è opera di Dio,
allora tutto è parola di Dio ("in principio era il
Verbo"), per cui tutto va riferito a Dio ("e il Verbo era
presso Dio"): lì scatta la luce (" e il Verbo era Dio").
Il Verbo è Colui che parla, noi la creatura che deve ascoltare. Tutta
l'opera di Dio è un parlare: ci dice qualcosa di Sé. Dio ci parla in tutto, ci
parla attraverso le sue opere. Se dunque fa diventare villana una persona
nei nostri confronti, è per dirci qualcosa. Ma è solo nell'apparenza che la fa
diventare così, ma nella sostanza Lui opera per farla diventare buona e bene.
Per questo Gesù dice: "Non giudicate!" (Mt 7,1).
Sabato 09.04.1983:
Ida: “Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui”: allora quando una persona si affanna, si
preoccupa per le cose, questo dipende dall’ambiente esterno, opera di Dio?
Luigi: Se
una persona si preoccupa è perché dentro di sé è divisa da Dio.
Ida:
Faccio un esempio: se vedo che un lavoro che mi è stato proposto mi dividerà dal
Signore, quindi ne scelgo uno più semplice che non mi occupi tutta la giornata,
posso vederlo come un luogo privilegiato.
Luigi:
Certo, se uno ha la possibilità di scegliere, deve scegliere quei lavori che
meno pesano, che meno preoccupano. Ma questo se ha la possibilità. Quindi se tu
hai la possibilità di andare al cinema oppure di andare in un luogo di
silenzio, anche questa è una scelta, una responsabilità. Infatti se vai al
cinema e poi dici: “io al cinema ho trovato difficoltà ad unirmi a Dio”, non
sei giustificata, perché se rifletti, ti chiedi chi ti ha portato al cinema,
qual è l’intenzione che ti ha portato in quel luogo; avevi la possibilità di
scegliere tra cinema e raccoglimento. Quindi se rifiuti il raccoglimento, il
silenzio per-, è logico che ciò che scegli ti porta via, non puoi resistere.
Allora, se hai la possibilità di scegliere, scegli sempre quello che
maggiormente ti aiuta per la Vita Eterna, per le cose essenziali; e scarti
invece quelle cose che anche se allettano il tuo io (guadagnare di più, fare
bella figura, la carriera, ecc.) non ti danno nulla di eterno.
Ecco, se Dio ti pone in una
determinata situazione, accetta, e dialoga quella situazione; ma se ti trovi
ad un bivio, se hai la possibilità di scelta, stai attento alla tua intenzione,
perché nella scelta noi mettiamo un’intenzione, ed è o l’intenzione di Dio o
l’intenzione del nostro io. Quindi se Dio ti dà la possibilità di scelta
stai attenta a quell’intenzione che ti guida ad essere in un posto piuttosto
che in un altro.
Dal pensiero del nostro io
deriva sempre questo giudizio: “seguo quello che mi fa guadagnare di più,
quello che mi frutta di più, quello che mi fa fare bella figura davanti al
mondo”; e naturalmente ne derivano tutte le conseguenze. Se invece cerchiamo
cosa ci serve di più per conoscere Dio, per poter restare con il nostro
pensiero unito a Dio, allora, se teniamo presente Dio e abbiamo la
possibilità di scelta, naturalmente eliminiamo quella strada o quelle cose che
ci disturbano maggiormente.
Ida: È
possibile credere che tutto viene da Dio, però col sentimento credere altro?
Luigi: Il
sentimento è sempre una cosa che viene dopo, non interessa.
Ida:
Però è possibile che il sentimento riveli quello che io veramente penso?
Luigi:
Cosa intendi dire?
Ida: Ad
esempio: col sentimento credo che le cose belle vengono da Dio e le cose brutte
no; però con la ragione capisco che è assurdo, perché è un ragionamento che non
sta in piedi, però poi alla fin fine credo a cosa mi fa più comodo.
Luigi: E
no, tu non devi lasciarci dominare dal sentimento, non devi premettere
il sentimento a quello che la ragione dice a te, o la fede dice a te. Per cui
tu il sentimento lo avverti, sei tentata di-, però devi superarlo. Cioè, tu
ti accorgerai che la tentazione (perché il sentimento è tentazione) bussa alla
tua porta, ma tu la devi dominare. È logico, se tu passi davanti ad un
negozio, vedi le bignole, sei tentata a portarne via qualcuna, però quello è
sentimento, tentazione. Però le porti via? Perché non le rubi?
Ida:
Perché domino questo mio desiderio.
Luigi:
Ecco, domini; quindi il sentimento ti dice: portale via, invece con la ragione
dici: no! non debbo farlo; e allora domini il sentimento.
Quindi evidentemente noi
non dobbiamo lasciarci guidare dai sentimenti, perché il sentimento è
soltanto una provocazione per la nostra fede, per far trionfare lo Spirito.
Se noi facciamo trionfare lo Spirito, allora lo Spirito ci libera sempre di
più; e ad un certo momento siamo liberi dai sentimenti. Se invece diamo
retta ai sentimenti, ad un certo momento i sentimenti diventano pesanti, e ne
restiamo dominati e non possiamo più resistere. Allora avvertiamo che sarebbe
bello essere giusti, sarebbe bello seguire la ragione, però non possiamo fare
in un modo diverso. Ma vuol dire che abbiamo fatto delle scelte secondo i
sentimenti.
Quelle scelte che hai fatto
secondo i sentimenti ti pesano, ti condizionano; quindi se tu rubi una bignola, domani sei costretta a rubarne un’altra, e ad un certo
momento rubi sempre bignole, e non puoi farne a meno. E anche se ti vien da
dire: “Dio mi ha fatto male, perché io non posso resistere”, in realtà non è
così, perché quando Dio ti ha messo alla prova, ti ha messo per liberarti;
ma tu non hai fatto trionfare lo Spirito. Ed è qui che abbiamo la difficoltà,
che abbiamo la penitenza per cercare di ricuperare la situazione che era
all’inizio.
All’inizio c’era questa
situazione che diciamo ragione, ma che è fede, che è ricevere tutto dallo
Spirito di Dio; in questa situazione bisogna testimoniare,
affermare lo Spirito di Dio, e non lasciarci guidare da altro, perché l’altro è
soltanto la prova che Dio ci presenta, sulla quale dobbiamo affermare lo
Spirito. Se noi affermiamo lo Spirito, allora cresciamo in libertà.
Altrimenti ribadiamo le catene.
Piero: “Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui”; “tutto” , ogni parola di Dio viene portata
a compimento in Dio con il suo Pensiero, oggi. Cioè, era così all’inizio, ma se
ci impegniamo con Dio tocchiamo con mano che tuttora è così.
Luigi: Noi
viviamo in un già fatto; tutte le cose sono già fatte; noi quando nasciamo,
nasciamo in un mondo già fatto. E giorno per giorno le cose arrivano a noi
fatte, anche gli avvenimenti non siamo noi a farli, ma sono fatti. Quindi ci
sorprendono.
Ora, gli avvenimenti
sono fatti nel Verbo di Dio, e sono fatti per mezzo del Verbo di Dio, cioè
è Dio che te li fa, è Dio che te li presenta. Quindi tutto l’universo, tutta la
tua vita, tutte le cose, sono fatte per mezzo di Lui; è Dio cioè che opera in
tutto, è Dio che è presente in tutto. Però adesso, dicendoti “Tutto è stato
fatto per mezzo di Lui” ti annuncia: “stai attento, perché essendo tutte le
cose fatte per mezzo di Lui, tu non devi fare senza di Lui”, perché se tu fai
senza di Lui, disfai, perdi tutto quello che è stato fatto, cioè tutto quello
che è fatto ritorna niente in te.
Infatti c’è tutto un mondo
che arriva a noi, e c’è tutto un mondo che parte da noi per concludere in Dio;
infatti abbiamo detto che siamo noi uomini i veri sacerdoti dell’universo, e
quindi c’è tutto un mondo di cose che arrivano a noi, e sono segni di Dio fatti
da Dio (“per cui tutto quello che arriva a te senza di te, ricevilo da Dio;
tutto è Dio che te lo presenta, e tutto Dio che lo fa”), però adesso stiamo
attenti a quello che parte da noi.
È quello che dicevo con Ida: stai attento alle scelte che Dio ti presenta, stai
attento a quello che parte da te, perché se adesso tu fai partire delle scelte
non guidate dallo Spirito di Dio, quindi non con Dio, questo che parte da te ti
riduce a niente e ti annulla tutto quello che è fatto. Per cui quando ciò
che parte da noi non è guidato dallo Spirito, perdiamo anche tutto quello che
abbiamo ricevuto: perdiamo la fede, perdiamo l’intelligenza, perdiamo la
volontà, perdiamo la vita, perdiamo il tempo, perdiamo tutto, tutto si annulla,
e il più delle volte si arriva al termine della vita a dire: “la mia vita è
servita a niente”.
Ma cosa vuol dire che non è
servita a niente? Vuol dire che tutto è diventato niente, cioè tutte le cose si
suono svuotate di valore, si sono annullate. E in questa situazione iniziamo a
dire: “io credevo che quello fosse molto importante, sono vissuto per quello,
ma adesso tocco con mano che la mia vita è servita a niente”. Ecco, la nostra
vita può servire a niente.
Ma questo quando accade? Accade
quando quello che è partito da noi non è partito da Dio; in tutte le cose che
partivano da noi: parole, scelte, pensieri, ecc., dovevamo stare attenti che
partissero dallo Spirito di Dio. Infatti ciò che non parte dallo Spirito di Dio
ci annulla di valore tutto quello che è arrivato a noi; e allora si arriva ad
esperimentare che tutta la vita è servita a niente, che la nostra giornata è
stata sprecata in niente. E questo perché non ci siamo lasciati guidare dallo
Spirito di Dio.
Flavio:
Il nostro pensiero come deve essere impiegato? Perché abbiamo detto tante volte
che se noi non guardiamo a Dio, rivestiamo le cose del pensiero del nostro io,
quindi rivolgiamo il pensiero attivo a noi, alla nostra persona; mentre invece
nel rapporto con Dio che crea nel suo Pensiero, noi abbiamo un pensiero perché
Lui ha un Pensiero. Quindi: qual è il rapporto che deve esserci tra il nostro
pensiero e il suo Pensiero?
Luigi:
Il nostro pensiero deve guardare il Pensiero di Dio, cioè dobbiamo avere il
Pensiero di Dio come punto fisso di riferimento. Quindi non dobbiamo guardare
dal nostro pensiero, ma dobbiamo guardare dal Pensiero di Dio. Il nostro
pensiero è la possibilità di unirsi al Pensiero di Dio. Se si unisce al
Pensiero di Dio, guarda dal Pensiero di Dio e considera ogni cosa con il
Pensiero di Dio, cioè dal punto di vista di Dio. Infatti il nostro pensiero
può guardare autonomamente; in tal caso abbiamo il nostro io come punto fisso
di riferimento, cioè guardiamo dal pensiero del nostro io. Oppure possiamo
unirci al Pensiero di Dio.
Il nostro pensiero
praticamente è una facoltà di unione al pensiero di un altro;
è poi quello che noi diciamo amore, perché amare vuol dire guardare dal
punto di vista dell’altro.
Flavio:
Allora se io dico: “ma io penso che…”, è già sbagliato?!
Luigi:
Certo.
Flavio:
Cioè tutto quello che io ho come idee, è tutto sbagliato, è tutto da togliere.
Luigi:
Certamente, è tutto da togliere, e devi imparare a guardare dal punto di vista
di Dio, col Pensiero di Dio.
Flavio: Quindi
il superamento dell’io vuol dire togliere questo?!
Luigi:
Si capisce; cioè non devi più ragionare dicendo: “io, io, io,…” , ma devi
iniziare a ragionare dicendo Dio.
Noi siamo stati creati per
diventare Pensiero di Dio; ma il Pensiero di Dio glorifica
il Padre; il Cristo è Colui che tra noi glorifica il Padre, parla del
Padre. Ora, se noi andiamo a fondo di tutte le parole del Cristo, noi
troviamo questo: “la glorificazione del Padre”. Gesù dice: “Io ho
glorificato il tuo nome” (Gv 17,4; Gv 17,26). Noi viviamo non in quanto
parliamo di noi, perché più parliamo di noi e più ci sporchiamo, ci versiamo
tutto addosso, ma viviamo e ci dimentichiamo in quanto parliamo dell’Altro. Noi
viviamo nella misura in cui glorifichiamo un Altro. Più noi glorifichiamo
Dio, parliamo di Dio, lodiamo Dio, conosciamo Dio, e più noi viviamo; invece
più noi pensiamo a noi, parliamo di noi credendo di vivere (“se io non penso a
me stesso chi è che pensa a me; penso io a difendermi, penso io a glorificarmi,
a mettermi in vetrina”) e più ci diminuiamo e ci annulliamo; ecco la legge del
contrappasso: se noi pensiamo a noi stessi per affermarci ci distruggiamo;
invece se dimentichiamo noi stessi per glorificare Dio, ci affermiamo, viviamo.
Glorificando Dio affermiamo
noi stessi.
Flavio:
Quindi è sbagliato anche pensare alla situazione nostra per sapere come siamo
riguardo Dio.
Luigi:
Certo.
Flavio:
Cioè è già una distorsione di tutto.
Luigi:
Si capisce, noi dobbiamo pensare a Dio, ci pensa Dio alla situazione nostra. E anche
la situazione nostra noi la dobbiamo accettare da Dio. Per cui noi dobbiamo
anche avere pazienza con noi stessi.
Flavio:
Questo è motivo di una grossa serenità.
Luigi: È
logico, deve essere un motivo di pace, di armonia.
Piero:
Anche nel cammino con Dio non dobbiamo essere noi a forzare i tempi.
Luigi:
Certo, anche perché Dio conosce noi, noi invece non ci
conosciamo. Ma direi che ad un certo momento a noi non deve interessare di
conoscerci, ma ci deve interessare Dio; S. Paolo dice: “Io non so chi sono,
a me quello che interessa è Dio”. Noi viviamo nella misura in cui ci
dimentichiamo; i giorni migliori sono proprio quelli in cui siamo
maggiormente tesi verso qualche cosa, tesi per raggiungere una meta. Ecco se
noi ci ignoriamo la vita diventa veramente entusiasmante. Più invece noi
pensiamo a noi e più ad un certo momento ci aggrovigliamo e finiamo per
distruggerci, di rattristarci, ecc. Quindi anche quello che noi siamo lo
dobbiamo ricevere da Dio; Dio sa. Quindi ricevendolo da Dio dobbiamo essere
pazienti con noi stessi, anche con le nostre debolezze, con le nostre colpe,
con le nostre incapacità. Ecco, dobbiamo accettarci da Dio, perché anche noi
stessi siamo creature di Dio. Come dobbiamo accettare le altre creature, perché
sono volute da Dio, così dobbiamo accettare noi stessi, perché siamo voluti da
Dio: …così come siamo.
Più noi ci accettiamo da
Dio e più Dio lavora bene su di noi. Perché siamo noi che ci deformiamo
pensando a noi stessi, infatti più pensiamo a noi, e più ci deformiamo; ma più
pensiamo a Dio, e più l’opera diventa bella, diventa buona, perché è fatta da
Dio.
Amalia:
Questo versetto mi fa capire meglio questa affermazione: “Cristo è il Centro”,
come compimento di tutto.
Luigi:
Certo, perché è il Pensiero di Dio il compimento di tutto, è il centro di
tutto. Infatti Gesù morendo dice: “Tutto è compiuto”(Gv 19,30); “Quando
i tempi furono compiuti venne il Verbo…”, perché essendo tutto fatto nel
e per il Pensiero di Dio, il Pensiero di Dio è il fine, quindi diventa il centro
di tutta la creazione.
Tutte le cose convergono
verso questo Pensiero di Dio; ecco perché tutta la creazione, tutto
l’universo, tutta la storia e anche tutta la nostra vita è conversazione di Dio
verso la rivelazione del suo Pensiero. Per cui il suo Pensiero è il Centro
di questa conversazione. Ora, la luce ci viene dal Fine: quando noi
arriviamo al Fine capiamo tutto il discorso; infatti quando arriviamo a capire
il pensiero di una persona capiamo anche tutte le sue manifestazioni. Così è lo
stesso, nel fine tutto si illumina; noi stiamo andando verso questo fine. In
questo Fine tutto s’illuminerà; e allora capiremo tutto, cioè capiremo la
ragione di tutti gli avvenimenti, dei fatti, perché nel Fine s’illuminano.
Quindi se noi ci fermiamo a riflettere, a meditare su Cristo, che è il
centro di tutta l’opera di Dio, noi abbiamo la luce su tutto.
Piero:
Già oggi.
Luigi:
Certo, non domani, perché l’oggi è Cristo. Noi nel pensiero del nostro
io viviamo nel passato, è per questo che noi perdiamo tutto. Noi non possiamo
vivere nel presente, perché il presente è Cristo; soltanto raggiungendo
Cristo noi troviamo il Presente. Infatti se guardiamo una persona anziana
vediamo che è tutta voltata indietro, il che vuol dire che noi nel pensiero del
nostro io viviamo di passato, di ricordo.
Silvana:
Se uno è giovane vive anche di futuro.
Luigi:
Sì, perché il giovane è fatto bene, e quindi è tutto proiettato nel futuro,
perché la vita viene davanti a noi, la vita è futuro. Quindi se viviamo per
Dio, affermiamo Dio, siamo sempre proiettati in avanti, all’infinito; se
altrimenti pensiamo a noi incominciamo a voltarci indietro, e ad un certo
momento il futuro scompare, non c’è più, non dà più niente. La persona vecchia
non ha più niente davanti a sé, è tutta voltata indietro (“camminavo in avanti,
e ad un certo momento cammino guardando indietro…”); come mai? È perché durante
la sua vita ha sempre pensato a se stessa; il pensiero del suo io le ha fatto
girare completamente la faccia dall’altra parte, e adesso vive cercando di
ricuperare ciò che sta perdendo, ma più pensa a recuperare più lo perde. Più
uno cerca di recuperare e più distrugge, perché conferma l’errore in cui è
stato. Ecco, se noi vogliamo ricuperare qualche cosa, dobbiamo guardare
avanti, perché in Dio noi recuperiamo tutto, cercando Dio; la vita è
davanti a noi, “la vita è in Dio” (cf Col 3,3).
Ora, il bambino è tutto
proiettato in avanti perché Dio l’ha creato verso la vita; e non l’ha creato
proiettato verso la morte. Però man mano che vive incomincia ad affermare se
stesso, a pensare a sé, e più pensa a sé, e più incomincia a voltarsi indietro
e più si volta indietro e più cerca di recuperare quello che ha perso, e più
cerca di recuperare e più naturalmente disfa tutto. Ecco, le cose si annullano
per un processo di rifiuto del Regno di Dio da parte di colui che sta pensando
a se stesso.
C’è un’azione di rigetto
anche nel Regno di Dio; pensando a noi stessi diventiamo dei corpi estranei,
perché nel Regno di Dio tutto conferma e glorifica Dio, perché Dio è il
centro, Dio è la Verità, Dio è il Creatore, e allora nel Regno di Dio tutto
glorifica e conferma la Verità di Dio, ma se invece noi nel Regno di Dio
incominciamo ad affermare il pensiero del nostro io e dire: “sono io che
faccio”, lì incomincia l’azione di rigetto, e questa azione di rigetto ci fa
voltare indietro, ma più ci voltiamo indietro e più siamo cacciati fuori, nelle
tenebre.
Pinuccia B.: “Tutto è
stato fatto per mezzo di Lui”, è un invito al rispetto dell’opera di Dio.
Luigi:
Questa è Parola di Dio, e dice a noi: “Tutto è fatto per mezzo del Pensiero
di Dio”; quindi tutto è sacro, tutto appartiene al tempio di Dio, tutto è
di Dio, quindi tutto riportalo a Dio. Tu sei amministratore, tu sei un invitato
in casa d’altri, rispetta tutte le cose, stai attento al pensiero del Padrone.
Le cose sono di Dio.
Pinuccia B.: Se
pensiamo a Dio non possiamo non raccogliere in Dio e allora l’opera è sua.
Luigi:
Sì, però possiamo ancora correre un rischio, quello di ritenere di essere noi a
pensare Dio. Ecco noi, col pensiero del nostro io, possiamo anche macchiare il
Pensiero di Dio. Bisogna appunto non partire dal nostro io: “sono io che
penso”, perché è Dio che si fa pensare; infatti se raccogliamo in Dio noi
ubbidiamo alla volontà di Dio, quindi è per fare la volontà di Dio che
raccogliamo in Dio, e non è per iniziativa nostra; invece se diciamo “sono
io che penso” abbiamo come punto fisso di riferimento il nostro io, e ad un
certo momento diciamo: “sono io che penso Dio”, ed è finito, perché restiamo
col dubbio.
Non sei tu che pensi Dio,
ma è Dio che ti fa pensare; non sei tu l’iniziatore delle cose, ma tu sei
creatura; e come creatura tu sei sempre un effetto, allora
riconosci l’effetto in tutto. Non è difficile per noi riconoscere che il filo
d’erba non l’abbiamo fatto noi; a maggior ragione non dovrebbe essere difficile
ammettere che il pensiero che è in noi non l’abbiamo fatto noi. E allora non
dobbiamo dire: “sono io che penso”; perché implicitamente noi facciamo l’errore
di dire che siamo noi che abbiamo fatto il filo d’erba. E se noi diciamo: “sono
io che ho fatto il filo d’erba” ci portano subito in manicomio; basta provare a
farne uno e vediamo la nostra impotenza. Ora, tra il filo d’erba e il pensiero
c’è un salto di qualità; il pensiero è infinito, tanto è vero che il pensiero
riesce a capire il filo d’erba, ma il filo d’erba non riesce a capire il mio
pensiero. Quindi il nostro pensiero evidentemente è d’un infinito maggiore
dell’infinito che c’è nel filo d’erba. Allora, se noi non siamo stati capaci, e
non siamo capaci, a fare il filo d’erba, a molto maggior ragione non siamo noi
che facciamo il pensiero.
Il pensiero non è tuo; ma
allora non sei tu che pensi, ma è Dio che ti fa pensare. Quindi
sei sicura che Dio ha creato il filo d’erba? Se la risposta è “sì”, allora devi
essere molto più sicura che Dio ha creato il tuo pensiero, quindi è Dio che
ti fa pensare e che si fa pensare. Allora riconosci l’iniziativa di Dio.
Flavio:
Volevo collegarmi a ciò che hai detto sabato scorso: “noi non ci rendiamo
conto che profondità ha il verbo essere; infatti il solo Essere è Dio”;
allora noi non siamo?!
Luigi:
Noi non siamo, Dio solo è; noi siamo per partecipazione; l’abbiamo detto prima:
noi siamo in quanto glorifichiamo l’Essere, cioè in quanto pensiamo Dio e
parliamo di Dio. Noi siamo una possibilità di essere; possibilità che
possiamo perdere, perché noi abbiamo la possibilità di essere nella misura
in cui parliamo l’Essere, pensiamo l’Essere, e glorifichiamo l’Essere,
conosciamo l’Essere.
Flavio:
…in pratica l’Essere è questo “era” (per noi).
Luigi:
Certo. Dio è “Colui che è” (Ap 1,8); noi dobbiamo imparare in tutto a
glorificare Dio, Colui che è. Dio è l’Essere, più noi pensiamo a Lui più
diventiamo pensiero di Lui; e portato alle estreme conseguenze pensando Dio,
noi diventiamo figli di Dio; “per adozione”, ma figli (cf Ef 1,5; Rm
8,15), perché abbiamo una possibilità. Il Figlio di Dio, il Verbo di Dio,
naturalmente glorifica sempre il Padre, e non può pensare ad altro; noi
invece possiamo pensare ad altro; è lì la possibilità: noi possiamo pensare
all’albero, possiamo pensare alla creatura, possiamo pensare ad altro da Dio.
Tu non sei il Pensiero di Dio, ognuno di noi non è Pensiero di Dio; invece il
Figlio di Dio è Pensiero di Dio; però noi non essendo il Pensiero di Dio,
e lo constatiamo con la difficoltà che abbiamo a pensare Dio, siamo vocati,
chiamati, a diventare figli di Dio, cioè a diventare Pensiero di Dio, a fare
una cosa sola con il Figlio di Dio, con il Verbo. Ecco, questo è il nostro
destino; ma come lo realizziamo questo nostro destino?
Glorificando Dio, perché la
realizzazione la riceviamo dall’Essere.
Quindi Il Figlio di Dio
nasce da Dio; ma noi nasciamo in quanto pensiamo a-; pensando a-, nasciamo da-.
Soltanto che noi corriamo un rischio tremendo: se pensiamo alla creatura,
nasciamo dalla creatura.
Flavio:
Però mi verrebbe da pensare al fatto che fino a quando io sono nell’“era”, fino
a quando io non sono, non sono niente.
Luigi: Certo,
logico, infatti stiamo toccando con mano che siamo niente. Infatti senza Dio
noi scopriamo il nostro niente; ma proprio scoprendo il nostro niente,
scopriamo il suo Tutto, perché gli estremi si toccano. Infatti noi per arrivare
a scoprire il tutto di Dio, noi dobbiamo passare attraverso il nostro niente.
Allora se noi siamo niente, il pensiero che è in noi è di Dio. E allora
arriviamo al tutto di Dio attraverso il nostro niente.
Pinuccia B.: Il
poter parlare, il poter pensare è un miracolo.
Luigi: È
tutto grazia di Dio; però arriva un momento in cui non possiamo più pensare,
non possiamo più capire. Noi siamo su questa terra che sta girando attorno al
sole a 100.000 km all’ora, siamo su un veicolo che sta “volando” a questa
velocità, mentre i nostri mezzi vanno ai 1000 o 2000km all’ora. I calcoli sono
presto fatti: 100. 000 Km all’ora e siamo qui tranquilli, nessuno si accorge di
niente, niente si muove, guardate che ordine stupendo c’è attorno a noi; e non
soltanto: possiamo stare qui e pensare Dio, conversare su Dio. Poi arriva un
certo momento in cui diventiamo scemi, e non siamo più capaci né a pensare, né
a parlare, né a volere, ecc. .
Tutto è grazia, tutto è
miracolo; noi pensiamo di aver deciso di trovarci a conversare, no! È Dio che
ci fa trovare in quest’ordine meraviglioso. Infatti è un illusione pensare
che su di un veicolo che corre ai 100.000 km all’ora, noi possiamo decidere di
incontrarci; è un sogno. Noi non possiamo muovere un dito autonomamente; per
muovere un dito noi abbiamo bisogno di tutto l’universo; è tutto un gioco
di pressioni; basta una variazione e siamo schiacciati. Siamo inseriti in un
contesto perfettissimo, e ancora ci illudiamo di fare noi; no! noi siamo
condotti. Quindi se abbiamo la possibilità di conversare, di parlare, di
pensare Dio, è tutto grazia; ma facciamo attenzione perché domani questa grazia
possiamo non averla più. Quindi non dobbiamo vantarci e dire: “sono io che
penso, sono io che sono intelligente, sono io che sono capace di volere, sono
io che…” Chissà se domani mattina ci siamo ancora…; quindi non vantiamoci di
niente e riconosciamo che tutto è opera di questo Essere Creatore Infinito che
ci ama, che ha creato tutte le stelle, tutto l’universo in questa perfezione
per dare a noi la possibilità di partecipare a ciò che Egli è.
Pinuccia B.: E
come fare per entrare e stare in questo Pensiero? Perché sentiamo che è la
Verità…
Luigi:
Conoscendo Dio; è la tanta conoscenza di Dio che ci dà la possibilità di
restare tanto con Dio. Più uno conosce Dio e più resta con Dio; non è uno
sforzo di volontà, non è questione di allenamento, di ginnastica, ma è
questione di conoscenza. Più tu conosci e più rimani con-, perché la tanta
conoscenza e la tanta amicizia con una persona ti rende capace di essere con
lei in tutto, perché intuisci tutto, capisci i suoi gesti.
Noi siamo portati via
perché: “quell’albero lì chissà che cosa vuol dire; quell’avvenimento non lo
capisco…”, e allora ci porta via. Quindi quello che non capiamo nello Spirito
di Dio ci porta via Dio, quello che invece capiamo in Dio ci aiuta a restare
con Dio. Infatti se in tutto sappiamo che è Lui che parla con noi, tutto ci
aiuta a pregare, tutto ci aiuta a restare.
Il restare con Dio è una
conseguenza della tanta amicizia con Dio, della tanta conoscenza di Dio;
per cui ogni minimo gesto, ogni minimo segno nella creazione è un motivo di
preghiera, è un motivo di conversazione con Dio, è un motivo di partecipazione
a ciò che Dio è.
Se invece tu non conosci
Dio, ogni cosa che ti arriva è un punto interrogativo, ti mette i dubbi, ti
lascia incerta. E allora c’è tutta la tribolazione. E inizi a dire: “come
fare?”. No! Cerca Dio prima di tutto, perché è Dio che ti rende capace di
comunione con Lui e non sei tu.
È Dio che ci rende capaci
di comunione.
Alcuni pensieri conclusivi:
Silvana: È
importante non sciupare la possibilità che Dio oggi mi dà per cercarlo.
Amalia:
La conoscenza è la possibilità di restare con Dio.
Luigi:
Quanto più conosciamo Dio, tanto più abbiamo la possibilità di restare con Lui.
Paolo:
Non sono io che penso Dio, ma è il Pensiero di Dio in me che si fa pensare; se
mi unisco a Lui, mi dà la capacità di pensarlo.
Luigi:
Certo, tutto è grazia.
Flavio:
Posso vivere o morire a seconda dell’uso che faccio del mio pensiero; e
soltanto attraverso l’unione del mio pensiero al Pensiero di Dio che posso
superare il mio io.
Luigi: Per
cui se vivo, l’opera e la grazia è tutta di Dio; se muoio, la causa è mia,
soltanto mia, perché mi sono disunito e quindi non posso attribuire a Dio.
Piero: È
importante sgombrare il pensiero dal mio io e lasciare agire il Pensiero di
Dio.
Ida: È
importante riportare le cose a Dio senza lasciarci prendere dal sentimento.
Luigi: Il
sentimento non è sbagliato, però va mantenuto al suo posto; prima c’è il
pensiero, c’è la fede e poi c’è il sentimento; perché anche vivendo nello
Spirito, nella fede c’è il sentimento, ma è sempre come una conseguenza. Cioè
se vai in montagna provi certe cose, ma queste esperienze, queste sensazioni
che ricevi sono date dal sentiero che fai sulla montagna, ma se ti fermi ad
esse non arrivi alla vetta. Così è lo stesso; a volte lasciandoci guidare dallo
Spirito di Dio esperimentiamo certe “cose”, quindi proviamo certe “cose”, però
non dobbiamo lasciarci dominare da queste cose. Altrimenti è come l’esempio
della bignola: assaggiandone una, dico: “mi piace”, e me ne faccio una
fabbrica. Se sostituiamo il sentimento all’intelligenza combiniamo dei
grandi pasticci.
Pinuccia B.: “Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui”, cioè del suo Pensiero, quindi
tutto va inteso nel suo Pensiero, se no riduciamo a niente tutto.
Luigi:
Certo, tutto viene, tutto ancora è fatto, quindi tutto quello che oggi si
presenta, è fatto nel Pensiero di Dio; quindi se è fatto nel Pensiero di Dio,
non vederlo in un altro pensiero.
Tutto essendo creazione di
Dio, va inteso nel Pensiero di Dio.
Cerca il Pensiero di Dio;
quindi non attribuire il tuo pensiero, non attribuire le tue intenzioni, non
attribuire le intenzioni di altri, ma cerca il Pensiero di Dio.
E se uno ti pesta un piede,
cerca il Pensiero di Dio.
Pinuccia B.: Ed
è poi quello che si diceva nei primi versetti: “In principio era il Verbo e
il Verbo era presso Dio…”, quindi cerca in Dio.
Luigi: Certamente.
Se tutto è fatto da Dio tutto è sacro, tutto è adorabile. Quindi bisogna:
·
adorare, cioè accogliere tutto da
Dio,
·
meditare cioè riportare in Dio,
·
e contemplare, guardare da-, cioè
quando si giunge al Pensiero.
Sabato 04.02.1989
Luigi: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui
è fatto niente tutto ciò che è fatto”
Nino:
Tutto è fatto per mezzo di Lui, anche adesso.
Luigi:
Anche in questo momento tutti gli avvenimenti sono fatti per mezzo di Lui,
guerre, terremoti, nascite, morti, gioie, dolori, tutto è fatto per mezzo di
Lui.
Delfina:
Fuori della verità di Dio non c’è assolutamente nulla, in quanto è destinato
tutto a scomparire.
Luigi:
Dio solo è, fuori di Dio c’è niente; infatti la meraviglia sta lì: perché
Dio è Luce?
Perché Lui solo è.
Il che vuol dire: in tutte le cose che fa, Dio non fa altro che significare
Se stesso; ci convince per questo: Lui, in tutto le cose che significa Se
stesso, perché è Luce. All’infuori di Lui c’è niente, perché Lui solo è. Quindi
soltanto tenendo presente Lui, noi abbiamo l’intelligenza per capire tutte le
cose; perché tutte le cose mi significano qualche cosa di Lui, mi parlano
di Lui.
Ora, soltanto che se noi
trascuriamo Lui succede che facciamo esperienza del niente, perché senza di Lui
tutto si riduce a niente, infatti tutto è niente senza di Lui. E tutta la
nostra vita, le nostre preoccupazioni, i nostri dolori, i nostri affanni, tutto
il nostro agitarsi si conclude in niente. Basta guardare il mondo intorno a
noi: tutta l’agitazione, tutto il movimento che si fa, tutto si conclude sempre
in: rumore e niente, rumore e niente, rumore e niente. Ma perché questo? E già,
perché senza di Dio tutto diventa niente. E Dio ci fa toccare con mano, che
tutto il nostro tanto agitarsi si conclude in niente. Allora siamo proprio
scemi.
Delfina:
Se Dio non avesse pensato alla creazione, il suo Verbo non sarebbe stato
necessario?!
Luigi: E
come se tu mi dicessi: se Dio non avesse creato, Dio non esisterebbe. Il Verbo
di Dio è il Pensiero di Dio. Ora, il Pensiero di Dio esiste in Dio
indipendentemente dalla creazione; e noi fintanto che diciamo: “io credo in
Dio perché c’è la creazione attorno a me”, non conosciamo Dio. Dio non si
conosce perché c’è la creazione, Dio non si conosce perché “io esisto”, non
bisogna dire: “io esisto quindi c’è Dio”, è sbagliato, così dicendo non puoi
arrivare; la creazione è un segno.
Se vuoi arrivare a
conoscere Dio devi arrivare a conoscerlo indipendentemente dalla creazione, al
di sopra della creazione. Dio esiste sia che parli e sia che non parli, sia che
crei sia che non crei. Soltanto quando tu lo conoscerai per quello che Lui è
in Sé indipendentemente dalla creazione allora lì avrai la conoscenza di Dio;
ma fintanto che noi diciamo: “io conosco Dio perché esiste la creazione, perché
vedo le cose del mondo”, ci illudiamo, perché questa è “conoscenza” per fede,
non è conoscenza di Dio; proprio perché lo conosci in conseguenza della
creazione. Questo conoscere Dio in conseguenza della creazione non è vera
conoscenza. La vera conoscenza è conoscere Dio per quello che Lui è;
quindi non per i regali che ti fa. Se tu conosci una creatura solo per i regali
che ti fa, in realtà non conosci quella creatura; e se ami una creatura solo
per i doni che ti fa, in realtà tu non ami quella creatura, anzi ami te stessa;
certo, la ringrazi, ma solo per i regali che ti fa.
Ora, Dio va conosciuto
per quello che Egli è in Sé; la Verità va cercata e va amata per quello
che è in Sé e non per quello che dà a noi; soltanto “lì” noi approdiamo alla
conoscenza.
Delfina:
Tu una volta hai detto che Dio può fare a meno della creazione.
Luigi:
Certo, Dio non ha bisogno della creazione, Dio non ha bisogno degli uomini;
siamo noi che abbiamo bisogno di Dio, ed è logico che noi abbiamo bisogno di
Dio, perché senza Dio noi diventiamo niente; e infatti noi tocchiamo con mano
il niente. Senza di Lui, che è Vita (Gv 14,6), noi moriamo; ma con la nostra
morte non facciamo altro che gridare a tutti che noi non siamo la vita, che la
vita è un Altro. Quindi Dio non ha bisogno di noi, siamo noi che abbiamo
bisogno di Dio; Dio non ha bisogno della creazione, quindi questo ci fa capire
che quando Uno non ha bisogno di una cosa e fa ugualmente quella cosa, la fa
esclusivamente per amore di un altro. Quindi tutta la creazione è tutta fatta
nell’Amore; ma l’Amore per noi, per dare a noi la possibilità di partecipare a
quello che Lui è. Quindi Dio non ha bisogno di creare, non ha bisogno di noi. Se
Gesù è venuto a morire, è venuto a morire soltanto per amore, perché noi non
ci smarrissimo nella nostra confusione; Gesù si è incarnato per dare a noi
la possibilità di ricuperare il Principio.
La vita vera sta nella
partecipazione a quello che Lui è; infatti Gesù nella preghiera Sacerdotale
prega il Padre: “…affinché mi ritorni quella gloria che avevo prima che il
mondo fosse” (Gv 17,5), perché il mondo, che è parola di Dio per dare a noi
la possibilità di conoscerlo, ad un certo momento è diventato per noi
confusione; è in questa confusione che non capiamo più, che non conosciamo più
niente di Dio, e questo perché ci siamo abbarbicati al mondo, vivendo solo più
per le cose del mondo.
Giovanna: Già
il credere che Dio è il Creatore di tutto mi evita di annullare le cose.
Luigi:
No, il sapere che Dio è il Creatore di tutte le cose ti sollecita a cercare il
Pensiero di Dio. È come dire: se tu ricevessi una lettera e sai che quella
lettera ti è mandata da una persona a cui vuoi bene, il saperlo ti fa aprire
più velocemente la lettera e ti fa desiderare di conoscere il suo pensiero che
ti vuole comunicare attraverso la lettera.
Noi corriamo il rischio di
dire: “Dio non è il Creatore di tutte le cose; le cose esistono di per sé”; e
questo è autonomia da Dio, per cui: “io esisto …così, le cose esistono per
caso”; quindi se pensiamo in questo modo non cerchiamo più il Pensiero di Dio,
non cerchiamo più il significato, e le cose non ci dicono più niente; “per me
l’albero è un albero, la stella è una stella, il sole è il sole, un uomo è un
uomo”, e così via senza cercare il Pensiero, il Significato. Ma questa è una
conseguenza del fatto che abbiamo separato la creazione di Dio da Dio.
Ora, Dio dice: “tutto è
di Dio, e allora ridà tutto a Dio, riporta tutto a Dio”; quindi se tu
ritieni che Dio sia Creatore di tutte le cose, incominci in tutte le cose a
cercare: “perché Signore mi presenti questo? Perché fai questo? Perché oggi mi
fai leggere questa parola, perché mi fai incontrare quella persona?”.
Se in tutte le cose tu
cerchi il significato, il “perché”, è una conseguenza del fatto che hai
presente Dio Creatore. Quindi se tu non hai presente Dio Creatore non
t’interroghi sul perché delle cose; in tal caso le cose per te sono così come
le vedi e le tocchi, e quello che tu non vedi e tocchi non esiste, cioè per te
esiste soltanto ciò che vedi e tocchi, e conta soltanto quello che tu vedi e
tocchi, e di cui puoi fare esperienza.
Invece se tu credi in Dio
Creatore, in tutte le cose non ti accontenti di vederle così come sono, ma
cerchi il significato, cerchi il Pensiero, perché attraverso le cose Dio ti
dice qualche cosa. E allora vai a cercare, alzi gli occhi, e non ti fermi
alle cose. E questo è inizio di vita; cioè l’inizio di vita sta
nell’interrogare il Signore, in questo alzare la mente a Dio e stare in
questo pregare.
La vera preghiera è un
inizio di vita; la preghiera non è dire delle parole (Cf Lc 20,46), ma è
elevazione della mente. Tu elevi la mente per cercare il significato di una
cosa, per cercare il pensiero racchiuso in una cosa; ed è questo il vero
pregare.
Silvana:
Nel terzo versetto il Signore mi ha fatto capire che Dio ha creato tutto…
Luigi: :
Diciamo meglio: “Dio crea tutto”, perché Dio è fuori del tempo, quindi quello
che ha creato è soltanto un segno per dirci che Dio crea, perché quello che
è stato fatto allora è fatto ancora adesso. Tutto quello che accade adesso è
creazione di Dio, quindi Dio crea. La creazione continua, la creazione non
è stata, e poi dopo, come il motore è avviato, la “macchina” va; no! La
creazione è ancora oggi.
Silvana: …per
manifestare e comunicare la sua perfezione; Egli mediante i beni che elargisce
alle sue creature richiama l’attenzione su di Sé; ma non per acquistare o
aggiungere qualche cosa alla propria beatitudine.
Luigi:
Dio crea per manifestare quello che Lui è; Dio ci ha creati per dare a noi la
possibilità di conoscere quello che Lui è, perché soltanto conoscendo
partecipiamo. Perché tu partecipi di uno in quanto lo conosci. È il Pensiero
che ti rende capace di partecipare dall’Altro.
Marisa:
Noi siamo fatti a “immagine e somiglianza” di Dio…
Luigi:
Un momento: noi non siamo fatti, infatti Dio non ha detto “sia fatto l’uomo”,
ma ha detto: “facciamo l’uomo” (Gen 1,26), c’è diversità. Noi non siamo
fatti, noi siamo in formazione, siamo in gestazione, stiamo diventando. E in
quanto dice “facciamo” vuol dire che stiamo diventando; cioè noi stiamo
diventando ad immagine e somiglianza di Dio. Ecco, Dio ci ha creati per
diventare ad immagine e somiglianza sua, ma proprio perché siamo fatti per
diventare a Sua immagine e somiglianza noi corriamo il rischio di diventare
immagine e somiglianza di ciò in cui ci specchiamo. Cioè, se io mi specchio
in un animale, proprio perché sono fatto per crescere ad immagine e somiglianza
di un originale, io divento animale. Se invece mi specchio in Dio, cioè se
guardo a Dio come originale, allora cresco ad immagine e somiglianza di Dio;
infatti Dio ha detto: “facciamo”, plurale, perché ci vuole la nostra
partecipazione. Allora se mi specchio in Dio e guardo Dio, cresco ad immagine e
somiglianza di Dio, ma se guardo un animale o guardo me stesso, cresco ad
immagine e somiglianza di ciò cui guardo. Sovente dico questo: se guardiamo
il cielo ci crescono le ali, se guardiamo la terra ci crescono i piedi, e
diventiamo pesanti.
Franca:
Che cos’è la creatività del pensiero dell’uomo?
Luigi:
Chi ti fa dire queste cose? Che cosa interessa cosa dicono gli uomini, cerca la
Parola di Dio; non ti preoccupare….; Dio ha parlato della creatività dell’uomo?
Franca:
Ma è Dio che mi ha fatto venire questo pensiero sulla creatività.
Luigi:
Sì, ma valutalo presso Dio; tutte le cose che Dio ti presenta, te le presenta
affinché tu le abbia a valutare con Lui. Dio dice: “Io solo sono il
Creatore, non c’è altro Dio fuori di me”(Is45,5), chiuso; quindi “non
avere altro Dio fuori di Me” (cf Es 34,14). Non attribuire niente all’uomo;
anche se l’uomo ti pesta un piede, non dire: “è un villano che mi pesta un
piede”; non dirlo, perché è Dio che ti ha pestato un piede, e penso che tu non
voglia dire a Dio che Lui è un villano.
Ecco, se Dio ti ha mandato
un tuo fratello a pestarti un piede tu incomincia a dire: “Signore, perché mi
hai mandato un fratello a pestarmi un piede?”, perché c’è un motivo, e intanto
preghi. Se invece tu dici che il principio creatore è l’uomo, allora è l’uomo
che ti pesta il piede, quindi inizi a dire che l’uomo è un villano e perdi Dio,
e allora non capisci più niente.
Dio solo è il Creatore, “non
avere altro Dio”, perché non c’è nessun altro. Uno solo è il Creatore. Dio
regna in cielo, in terra e anche nell’inferno, da tutte le parti. Anche il
demonio ubbidisce a Dio; anche il demonio non fa assolutamente niente se Dio
non lo vuole. Quindi tutto è voluto da Dio, e allora se tutto è voluto da
Dio tu ragiona tutte le cose con Dio, non avere altri maestri, non cercare
altro, riferisci tutto a Dio, ragiona tutto con Dio, parla tutto con Dio,
interroga in tutto Dio; perché è questo ciò che conta.
Franca: “Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui”, non solo tutta la creazione, ma anche le
cose spirituali.
Luigi:
Tutto è fatto, non dire: “è stato fatto”, tutto è fatto. Tutto quello
che accade, tutto è opera di Dio Creatore, perché non c’è altro Dio fuori di
Lui. Quindi tutto ricevilo dalle mani di Dio perché tutto ti viene da Dio, e
tutto riportalo a Dio; perché non basta accettarlo da Dio, ma bisogna
riportarlo a Dio, perché Dio te lo illumini.
Rita:
Tutto è fatto, siamo noi che non siamo fatti, siamo in formazione. Se uno legge
attentamente questo versetto e ci crede fino in fondo arriva a scoprire che lo
dice chiaramente, c’è una rivelazione completa: tutto è fatto per mezzo suo…
Luigi:
Si capisce, perché quando dice “Tutto”, niente è escluso. Anche noi.
Pinuccia B.: Di
fronte a questa affermazione, che tutto è fatto per mezzo di Lui, in noi e fuori
di noi, negli uomini, vien da chiederci: qual è il compito dell’uomo?
Il compito dell’uomo è solo
quello di capire.
Luigi: L’uomo
è fatto per essere spettatore; chi opera è Dio l’uomo è spettatore. Il
compito dello spettatore è quello di stare molto attento e di capire.
Quindi, tu uomo, stai attento perché Dio sta parlando con te, e cerca di
capire.
Pinuccia B.: Ed
è un lavoro molto impegnativo; però il fatto che ci venga detto: “Tutto è
fatto per mezzo di Lui” è molto liberante, perché se ci crediamo ci libera
dal pensiero del nostro io; cioè vi è qui un principio di liberazione, perché
se incominciamo poco alla volta ad attribuire le cose a Dio, e interroghiamo
Dio per capire qual è il suo Pensiero, veniamo liberati dal pensiero del nostro
io.
Luigi:
Questo è il Principio; se lo trascuri precipiti nella notte.
“Tutto è stato fatto per mezzo di Lui” (Gv 1,3)
L’informazione che giunge a
noi dal Vangelo di S. Giovanni, ci annuncia, contro le apparenze dei nostri
sensi che attribuiscono tutto a ciò che si vede, la presenza operante di Dio
nell’universo, in quell’universo grande, immenso, fatto di stelle, di soli, di
nebulose e di galassie, e in quell’universo apparentemente meno grande della
nostra terra, fatto di acque e di monti, di erbe e di piante, di pesci e di
uccelli, di insetti e di animali, di uomini, e in quell’universo apparentemente
piccolo di ogni singolo uomo.
“Tutto è stato fatto per mezzo di
Lui”; tutto, sia nella storia grande dell’umanità, sia nella
storia piccola, apparentemente piccola, di ogni singolo uomo.
Dio è presente in tutto:
ecco quello che ci dichiara la Parola di Dio. Dicendo “tutto”, s’intende niente
escluso.
La mano di Dio è in tutto;
la presenza di Dio è in tutto; tutto è opera di Dio. “L’insensato non vi
pensa; lo stolto non capisce” si legge in un salmo (Sal 92,7). L’insensato
non vi pensa, lo stolto non capisce, ma Dio è in tutto.
Insensato è l’uomo che si
non preoccupa di cercare Dio; egli crede che la vita debba servire a guadagnare
denaro, a compiere affari, a costruire case.
Stolto è l’uomo che si fida
dei suoi sensi, dei suoi sentimenti, della sua ragione e della sua scienza, e
si lascia guidare da essi.
Dio supera le nostre
parole, le nostre ragioni, le nostre scienze, le nostre filosofie, e anche le
nostre teologie, vecchie e nuove che siano.
Dio è trascendente ogni
creatura e ogni espressione di creatura. “Voi siete di quaggiù; Io sono di
lassù” (Gv 8,23), dice il Verbo, la Parola di Dio. Ed è questa stessa
Parola di Dio che ad ogni uomo dice: tutto ciò che vedi, tutto ciò che accade,
è stato fatto per mezzo del Verbo di Dio. E dice ancora: “…senza di me non
potete fare niente” (Gv 15,5), costringendoci a non abbandonarci, a non
lasciarci guidare dalle apparenze dei nostri sensi, ma a cercare più in alto,
presso Dio, la luce per la nostra vita. “Lampada per i miei passi, luce sul
mio cammino, è la tua Parola, Signore” (Sal 119,105), dice l’uomo giusto;
perché l’uomo giusto vive di fede, di quella fede che vince il mondo e supera tutti
gli argomenti e le conoscenze del mondo, perché fa conto su Dio, che è
trascendente ogni creatura.
Il mondo e tutti gli
argomenti del mondo e tutte le scienze del mondo, non possono dare un senso
alla nostra vita, né salvare le nostre anime. Solo la Parola di Dio può salvare
le nostre anime, la quale Parola ci annuncia che ogni uomo vive in un “tutto
fatto da Dio”.
Nasciamo in un mondo “già
fatto”; incominciamo a vivere in casa d’altri: la casa di Dio. “Mio è il
Cielo e mia è la terra” (Is 66,1) dice il Signore. E dopo miliardi e
miliardi di anni dal sorgere del primo atomo, Egli ripete ancora ad ogni uomo: “Il
mio braccio non si è indebolito, e la mia testa non è invecchiata: mio è il
cielo e mia è la terra”. E la fede dell’uomo giusto riconosce ancora oggi e
confessa: “al Signore appartengono i cardini della terra, il Signore fa
morire e fa vivere, fa scendere agli inferi e fa risalire, il Signore rende
povero ed arricchisce, abbassa ed esalta, perché tutto, Signore, nei cieli e
sulla terra, è tuo” (1 Sam 2,6-8). Tutto è opera di Dio. Le opere di
una persona vanno intese nell’intenzione della persona stessa e non nelle
nostre intenzioni; altrimenti facciamo un errore di cui resteremo poi schiavi.
Tutto è fatto da Dio; tutto
è opera di Dio; questo ci dice la Parola di Dio di fronte ad ogni avvenimento
che si presenti ai nostri occhi o ad ogni fatto la cui notizia giunga ai nostri
orecchi o ad ogni evento che accada nella nostra vita: “una lezione di Dio per
te”.
Tutto viene a noi da Dio. “Beni
e mali, vita e morte, povertà e ricchezza vengono da Dio” (Sir 11,14) dice
la Sacra Scrittura, che non può essere smentita dagli uomini, perché gli uomini
non hanno alcun potere contro la Verità. Essi hanno solo il potere di aderire
ad essa, di testimoniare a favore di essa: ed è grazia di Dio per loro.
Niente giunge a noi che non
venga da Dio. “Chi non sa che la mano del Signore fece tutte queste cose?” (Gb
12,9) dice la Parola di Dio nel libro di Giobbe.
La Parola scritta non fa
altro che confermare quella incancellabile che ogni uomo porta nella sua
coscienza.
Tutto ciò che è fatto, è
fatto da Dio e va riconosciuto di Dio. È di Dio. In quanto è di Dio, è
necessario evitare l’errore di attribuirlo ad altri, o a noi stessi, o al caso.
“Date a Dio ciò che è di Dio; riconoscete che Egli regna in tutto” (cf
Mt 12,17): è la prima, fondamentale giustizia che ogni uomo deve compiere tra i
suoi stessi pensieri e tra le sue ragioni.
“La vera giustizia sta nel
conoscere Dio” (Sap 15,3) dice la Sapienza che non muta. Ma
gli uomini non se ne preoccupano, non ci fanno caso. “Ho nutrito dei figli e
li ho esaltati, ed essi mi hanno disprezzato. Il bue conosce il suo padrone e
l’asino la greppia del suo signore; ma il mio popolo non mi conosce, non
capisce” (Is 1,2-3): così Dio detta e fa scrivere al Profeta Isaia per ogni
uomo; poiché ogni uomo è “questo mio popolo che non mi conosce, non capisce”.
(I – 03.03.1976)
“Fermatevi e riconoscete che io sono il
Signore” (Sal 46,11; Sal 100,3) dice Dio.
Fermatevi! Ad uomini che
non sanno più riposare perché si sono legati a ciò che sempre li inquieta e li
agita, che sono sempre in corsa per ogni cosa, per gli affari, per il lavoro,
per la società, per il divertimento, per l’onore; sempre in corsa, sempre
inquieti sia quando corrono, sia quando sono fermi, sia nel fare il bene, sia
nel fare il male, sia nel fare niente, Dio fa giungere il suo ammonimento., il
suo invito a fermarsi e ad ascoltare l’anima delle cose, il senso dei tempi e
della vita, la voce della loro anima, ed a riconoscere che l’importanza della
loro vita non dipende dal loro fare, dal loro agitarsi, ma dal loro
raccoglimento, dal loro pensare e dal loro pregare, perché non sono gli uomini
che regnano nel mondo o lo governano, ma Dio. “Se il Signore non edifica la
casa, invano si affaticano i costruttori; se il Signore non custodisce la
città, invano vigila chi la custodisce”, dice il Salmo (Sal 127,1).
Ma nonostante gli
ammonimenti che in molte e svariate maniere Dio fa giungere loro ogni giorno
per convincerli a non esaltarsi, a non credere che il mondo dipenda da loro,
perché essi sono come fili d’erba che un breve alito di calore può bruciare
nello spazio di un’ora, e che tutto il loro agitarsi è solo rumore che passa
senza lasciare traccia, perché chi opera veramente in tutto è Dio, gli uomini
accrescono ogni giorno le loro agitazioni.
Hanno fondato la loro vita
sull’agitazione.
“Fermatevi!”
dice Dio. Ma essi a correre.
“Chi crede non abbia fretta”
ammonisce lo Spirito per mezzo del Profeta Isaia. Ma essi a dire: “Il tempo è denaro,
e il mondo è di chi corre più velocemente”.
“A che vale possedere il mondo se
perdete la vostra anima?” (Mt 16,26) minaccia il Signore.
Ma essi a dire: “È necessario che ci diamo da fare”.
“Senza di Me non potete fare
niente!” risponde il Signore.
Egli è Colui al quale
ubbidiscono i venti e le tempeste, gli astri e i tempi, il cielo e la terra e
tutte le creature e tutti gli uomini, buoni o cattivi che siano.
Egli è Colui che regna in
tutto, anche se noi non lo sappiamo, anche se noi non lo vediamo.
Dio per regnare non ha
bisogno che noi lo sappiamo o ne siamo informati. Piuttosto siamo noi che
abbiamo bisogno di sapere che Dio regna se vogliamo evitare di renderci schiavi
di altri o di altro.
Soltanto chi conosce la
Verità del Regno di Dio può essere libero. Ma non siamo noi che facciamo o
possiamo fare il Regno di Dio, poiché esso è fin da principio e la sua gloria
risplende in tutto, domina tutto, si testimonia in tutto, raccoglie frutto in
tutto, anche dove altri hanno seminato, opera in tutto ed è la ragione di
tutto.
È solo la nostra
superficialità che non sa vederlo, perché non sa vedere al di là di ciò che
appare; e il Regno di Dio non appartiene a ciò che appare, perché esso è Realtà
sostanziale.
La nostra superficialità
vede solo le cose che mutano; e il Regno di Dio non appartiene alle cose che
mutano, perché esso è Verità, e come tale non muta. Fa mutare tutte le cose, ma
non appartiene alle cose che mutano.
Il Regno di Dio per essere veduto
richiede occhi capaci di vedere al di là delle apparenze e di tutto ciò che è
sottoposto ai nostri sensi. Richiede cioè un superamento di noi stessi e di
tutte le nostre conoscenze. Per questo Gesù, il Verbo di Dio fatto carne per
darci questi occhi capaci di vedere il Regno di Dio in tutta la sua estensione
e profondità, ci ammonisce dicendo: “Non giudicate secondo le apparenze, ma
cercate il vero giudizio” (Gv 7,24).
Giudicando secondo le
apparenze, facciamo scelte errate e seminiamo in noi inquietudini e passioni
che ci portano molto lontano da Dio e dalla vita. Allora non vediamo più né
Dio, né la sua mano, ma tutto attribuiamo alle creature, alla natura, al
destino, al caso.
In realtà noi nasciamo e
viviamo in un “tutto fatto da Dio”. Ogni giorno, ogni mattino, il “tutto fatto
da Dio” giunge a noi, e noi siamo sorpresi da ciò che è fatto e viviamo di ciò
che è fatto.
Noi superficialmente,
attribuiamo i fatti alle creature o al caso; in realtà, ogni avvenimento, ogni
fatto, giunge a noi da distanze lontanissime, abissali, di cui noi non
scorgiamo il fondo. Ogni fatto che vediamo è solo la punta di un iceberg che
sprofonda nel mare nascondendo la sua parte più imponente.
Noi vediamo solo la
superficie delle cose, e tutte le nostre conoscenze sono soltanto in relazione
alle nostre impressioni epidermiche. Ma per poco che cerchiamo di scrutarle,
subito ci accorgiamo di sprofondare in un abisso di tenebre che ci fa paura.
L’abisso copre ogni cosa,
nasconde ogni cosa. Solo superficialmente le cose sembrano chiare. E ogni
avvenimento non appena giunge a noi subito fugge verso distanze lontanissime di
cui non scorgiamo il termine. Non possiamo trattenere niente.
Veramente, di ogni cosa, di
ogni fatto, piccolo o grande che sia: “Non sai donde venga, non sai dove
vada”, come del vento dello Spirito di cui parlava Gesù a Nicodemo una
notte a Gerusalemme.
In ogni avvenimento, in
ogni fatto c’è lo Spirito di Dio.
(II – 10.03.1976)
“Nemmeno un passero cade in terra senza il volere del
Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati” (Lc 12,6-7) dice Gesù.
Ogni fatto, anche il più
banale ed apparentemente più insignificante che incontriamo sul nostro cammino
in una giornata qualunque, giunge a noi da Dio, giunge a noi attraverso i sei
giorni della creazione di Dio (la sua opera creatrice è continua); giorni che
però sfuggono alla percezione dei nostri sensi, i quali avvertono il “fatto”
soltanto quando esso giunge nel campo epidermico di essi.
Ma questo è soltanto l’ultimo
atto di una lunga opera. Noi infatti entriamo in scena, per ogni “fatto da Dio”
soltanto al sesto “atto”, quando cioè la maggior parte dell’opera è compiuta: “Altri
ha seminato, Altri ha fatto crescere, Altri ha portato a compimento” (cf Gv
4,37). Noi entriamo cioè in scena quando “tutto è stato fatto”.
L’errore nostro sta qui:
credere che tutto inizi solo allora con noi, con ciò che “noi” vediamo, con ciò
che “noi” tocchiamo, con ciò che “noi” sappiamo.
Noi entriamo in scena per
ogni fatto, solo al sesto “giorno” e crediamo che tutto inizi solo allora e non
ci accorgiamo, non ci rendiamo conto, che tutte le cose quando giungono a
contatto con noi, giungono “fatte” attraverso cinque lunghissimi “atti” di
opera creatrice di Dio.
Come l’acqua che affiora
cristallina dalle sorgenti tra le rocce delle nostre montagne arriva alla luce
da chissà quale lunga strada al buio nel sottosuolo e dopo aver faticosamente
filtrato attraverso chissà quanti e quali strati di rocce per i quali si è
formata, purificata, raccolta, acquistando quella purezza cristallina che la fa
una delle più belle cose create dal buon Dio nell’universo, così i fatti che
giungono sulla scena dei nostri occhi: sono proprio come l’apparire dell’acqua
di una sorgente. Essi rappresentano soltanto l’ultimo atto di un lungo lavoro
svoltosi nel buio, all’insaputa nostra, senza di noi.
È come la nascita di un
bambino: un bambino non è fatto nel momento in cui viene alla luce e si
presenta sulla scena dei nostri occhi; ma il momento della nascita non è altro
che l’ultimo atto di un lungo elaboratissimo e complicatissimo “lavoro” che si
svolge tutto all’insaputa nostra. Noi vediamo il “capolavoro” quando “finito”,
calato il velo che ce lo nascondeva, ci viene presentato davanti ai nostri
occhi; ma sarebbe enormemente sciocco se ritenessimo di essere stati noi a fare
tale capolavoro soltanto perché Qualcuno ce ne fa un regalo.
Così di ogni “fatto”:
giunge a noi attraverso una lunga notte di impegnatissimo ed elaboratissimo
“travaglio” svoltosi tutto a nostra insaputa, senza di noi, di cui noi non
capiamo proprio niente. Poi un bel mattino affacciandoci su di una zolla erbosa
notiamo qualcosa di nuovo e diciamo: è sbocciata una primula!
Così tutte le cose. È solo
la nostra ignoranza e superficialità che le fa essere nel momento in cui noi le
percepiamo. Ma esse per giungere davanti ai nostri occhi in quell’attimo
presente in cui noi ci accorgiamo di esse, sono passate attraverso
un’elaborazione nella quale tutto l’universo, stelle, nebulose, galassie, è stato
interessato sotto la regìa del Verbo divino.
Camminiamo su degli abissi
e non ce ne accorgiamo. Anzi ci vantiamo delle nostre sicurezze, e non ci
rendiamo conto che le nostre sicurezze sono espressioni della nostra ignoranza
e superficialità.
Per noi un fiore, una
foglia, un filo d’erba, una pietra… sono cose semplici, comuni, facili a farsi;
tanto facili che non ci facciamo caso. E non ci accorgiamo nemmeno da quali
profondità essi giungano a noi e quali immense opere siano necessarie per il
loro farsi, fino a richiedere la partecipazione di tutto l’universo con i suoi
immensi laboratori stellari dislocati a distanze vertiginose.
Nessuno di noi si rende
conto che il semplice sbocciare di una primula a marzo, o una goccia di rugiada
sospesa ad un filo d’erba, richiedano la partecipazione delle stelle!
Se sapessimo quello che si
richiede perché un fatto si presenti ai nostri occhi o perché una parola giunga
ai nostri orecchi, noi cadremmo in ginocchio davanti ad ogni fatto, ad ogni
parola, perché vedremmo lì l’opera meravigliosa di Dio che pensa a noi e che
per noi piega continuamente tutte le forze e le potenze dell’universo per farci
giungere una parola, un segno di Sé. Allora riconosceremmo che tutto è
adorabile, che tutto è sacro, che tutto è Parola di Dio per noi.
(III – 17.03.1976)
Dio è veramente
dappertutto. Non c’è luogo, non c’è fatto, non c’è uomo in cui Dio non ci sia. “Potremmo
dire molte cose, e le parole non ci basterebbero; ma la conclusione è una sola:
Dio è in tutto” è detto nell’Ecclesiastico, un libro della Bibbia.
Non tener conto di questa
sua Presenza, è seminare in noi un seme gravido di infinite tristi conseguenze
per la nostra vita. Il più grave errore infatti che possa fare l’uomo è non
tener conto di Dio.
Se tutto è fatto da Dio, tutto
parla a noi di Dio. Dio ha fatto e fa tutte le cose perché l’uomo si fermi a
guardare, ad ascoltare pensoso, ad intendere il suo Verbo e ad imparare da Lui
la vita. Lui infatti è il vero Maestro di ogni uomo.
Dietro lo scenario dei
tempi, dei luoghi, delle stagioni, degli avvenimenti e delle creature, c’è la
perenne presenza di Dio che in tutto ci parla della sua Verità., in cui è la
nostra vita.
Chi potrà mai leggere tutto
ciò che Dio scrive per noi nelle pagine dell’universo? Chi potrà mai dire tutto
l’amore con cui Dio ci ama?
“Noi siamo circondati, avvolti
dalle opere divine; noi abbiamo tutto quello che è necessario per iniziare già
fin da oggi una sublime esistenza di intimità con Dio”, così scrive un padre
certosino della grande Chartreuse. Noi abbiamo, e ogni uomo ha, tutto quello
che è necessario per iniziare la vita con Dio. “Tutto è pronto, venite”
(Mt 22,4) dice Gesù nella sua parabola degli invitati.
Dio ha fatto tutto, Dio ci
ha dato tutto quello di cui abbiamo bisogno per conoscere la sua esistenza, per
capirne l’importanza per noi e il bisogno di cercarla e di conoscerla. Tutto
ciò che giunge a noi è carico di significato per noi, per la nostra vita, per
la nostra anima, perché tutta l’opera di Dio è per noi, per ognuno di noi,
nome, cognome e indirizzo, personalmente.
Chi può intendere le
lezioni meravigliose che in tutte le cose, in tutti i fatti, Dio parla ad ogni
uomo per renderlo saggio e liberarlo dalle stoltezze della mentalità del mondo?
Beato l’uomo che si mantiene in rapporto con Dio, che in ogni cosa cerca il
Pensiero di Dio, e non si rassegna ai soli rapporti tra cosa e cosa, tra uomini
e uomini.
Beato l’uomo che ha in Dio
la sua forza, il suo punto fisso di riferimento. Egli ha disposto nel suo cuore
le ascensioni: non è cioè paralizzato nei suoi pensieri, sentimenti,
conoscenze, ma ha la possibilità da tutti i luoghi di superarsi per venire a
Dio, per ascendere fino alla sua verità.
Tutto ciò che è “stato
fatto”, è avvenuto prima di noi: quindi è avvenuto senza di noi e non dipende
da noi. Ma non per questo è avvenuto senza tener conto di noi, poiché ciò che è
avvenuto prima di noi, e quindi senza di noi, è avvenuto in vista di noi.
Già nel primo giorno
dell’universo il primo raggio di luce fu in vista dell’uomo che l’avrebbe ricevuto
miliardi di anni dopo. Le grandi distanze di spazio e di tempo non annullano
niente di tutto ciò che è fatto, ma rivelano il niente che noi siamo e il tutto
che portiamo in noi; mentre umiliano le nostre opere di cui ci vantiamo e i
nostri pensieri ambiziosi e vani, esaltano l’opera di Dio per noi.
“Miseria e grandezza dell’uomo”,
scriveva Pascal nei suoi Pensieri.
Tutto è opera di Dio, tutto
è parola di Dio per noi. Questo ci rende responsabili di fronte a tutto, poiché
tutto è per noi, per invitarci alla vita con Dio.
Dio parla a noi in tutto.
Quando si sa questa verità, molte cose cambiano dentro di noi, poiché
incominciamo a pensare, a ragionare, a guardare in modo molto diverso da come
si ragiona e si guarda nel mondo, che non vedendo Dio, non tiene conto di Lui.
Il mondo vede uomini,
denaro e cose, e tutto attribuisce agli uomini, al denaro e alle cose, al caso,
al destino, alla natura. Chi ha ascoltato Dio, vede Dio in tutto che opera per
liberare gli uomini dal posto di blocco del pensiero del loro io e portarli
alla luce del Pensiero di Dio a vivere con la sua Presenza in tutto e in tutti,
“affinché dove sono io siate anche voi” (Gv 14,3) dice il Signore.
Allora tutto si assume come lezione di Dio per noi. Allora non si giudicano più
gli altri, ma in essi si vede il nostro volto, ciò che noi stessi siamo dentro,
e non lo sappiamo.
Il tener presente Dio crea
un capovolgimento nei nostri pensieri e nei nostri ragionamenti, in tutto il
nostro modo di vivere. È novità di vita.
Tutto è stato fatto, tutto
ancora è fatto (la creazione di Dio è continua) per mezzo di Lui, con Lui e in
Lui, affinché ogni uomo alzi gli occhi dalle cose fatte a Colui che le ha fatte
e intenda il fine al quale è chiamato e cammini verso di esso.
Intenda e cammini verso la
conoscenza di Dio giorno dopo giorno, mantenendo la speranza di giungervi,
perché Dio stesso lo chiama, Dio gli dà la sua grazia. Dio lo guida, lo
sostiene, lo esorta, Dio è con Lui. Dio è sempre con la creatura che crede in
Lui e spera in Lui.
Credere in Dio vuol dire
far conto in tutto su Dio, vuol dire considerare seriamente le parole di Dio.
Quanti credono in Dio ascoltano attentamente ciò che si dice di Dio, perché
sanno che è lezione di vita per loro, è pane, è strada per i loro passi, è
pensiero per i loro pensieri.
Ma se Dio non ci fa
pensare, sono niente tutti i nostri pensieri (con tutto il nostro pensare non
possiamo trattenere dal cadere nemmeno uno dei nostri capelli); se Dio non apre
la nostra bocca, sono niente e servono a niente tutte le nostre parole; e se
Dio non ci muove, valgono a niente tutte le nostre agitazioni. Sono soltanto
rumore. Rumore che passa.
(IV fine - 24.03.1976)
(articoli pubblicati da “La
fedeltà” scritti da Luigi Bracco)
E senza di Lui nulla è fatto di ciò che è
fatto. Gv 1 Vs 3 Secondo tema
Titolo: Il niente
dell’uomo
Argomenti: Pensiero di Dio oggettivo in noi.
Soggettività dell’io.
Il potere distruttivo dell’io.
Vanificare la creazione. La scoperta del Pensiero oggettivo di Dio. Senza di Lui è fatto
niente. 31.3.76
19/settembre/1975
Luigi: “Senza di Lui nulla è fatto di ciò
che è fatto”: cioè, ciò che è fatto è ridotto
al nulla, è fatto niente. Senza di Lui annulliamo tutto ciò che è fatto.
“Senza di Lui”: cioè
quando riferiamo le cose a noi.
Quindi
tutto ciò che è fatto realmente, è fatto da Dio. Se non lo colleghiamo con Dio, annulliamo tutto.
Pensieri tratti dagli incontri del Sabato:
Sabato 17.01.1976: (appunti)
“Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla
è fatto di ciò che è fatto”
I
due periodi che costituiscono questo versetto non sono equivalenti.
“E senza di Lui nulla è fatto di ciò che è fatto”: senza di Lui ritorna a niente ciò che è fatto.
Il
“senza di Lui” non esiste oggettivamente perché tutto è opera di Dio;
solo in noi può avvenire. Se non riportiamo tutto il creato al Creatore,
vanifichiamo la creazione stessa, tutto ciò che è stato fatto per noi, l’opera
di miliardi di anni e l’opera stessa del Cristo, se viviamo senza di Lui, senza
rapportare tutto a Lui.
Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui, ma senza di Lui, tutto ciò che è fatto è
ridotto in noi a senza valore: perché anche se possedessimo tutto il mondo, ma
vivessimo senza di Lui, scopriremmo che la vita è svanita in niente (nube che
sfuma), se non arriviamo alla Meta.
Se
stacchiamo la creatura dalla fonte della sua vita, la priviamo dell’essere, la
annulliamo in noi.
Sabato 24.01.1976: (appunti)
Senza
di Lui tutto ciò che è fatto è fatto nulla, ridotto a niente, proprio perché
tutto è stato fatto e tutto è ancora fatto per mezzo di Lui.
La
Parola di Dio ci avverte: "Bada bene, tutto è stato fatto per mezzo di
Lui: allora, se tutte le cose sono fatte per mezzo di Lui, sta attento a non far
nulla senza di Lui, perché se tu fai qualcosa senza di Lui, distruggi, annulli,
riduci a niente in te, tutto quello che è stato fatto, anche tutto quello che è
fatto in te.
Il
"senza di Lui" non avviene nella realtà, cioè non avviene
oggettivamente (perché nella realtà tutto è fatto da Lui), ma il
"senza" si verifica solo nel cuore dell'uomo, perché l'uomo può
pensare, parlare, agire, senza riferirsi a Dio: così come la negazione di Dio:
essa non si verifica nella realtà, ma avviene solo nel cuore dell'uomo.
L'uomo
senza Dio, se non tiene conto di Dio perde tutto (anche la fede, la volontà,
l'intelligenza, la fatica, ecc.): avviene in lui un processo di azzeramento che
è soggettivo, per cui l'uomo, anche se ha fatto molto, sente il niente, il
vuoto, proprio perché è vissuto senza Dio. Ma era stato avvertito!
Sabato 09.04.1983:
Flavio: L’uomo
privo di pensiero non può fare niente…
Luigi: L’uomo
senza pensiero è un animale, cioè agisce solo per istinto, per sentimento, per
automatismo, per impressioni che riceve, quindi è soltanto una reazione. Se noi
togliamo il pensiero la nostra vita diventa soltanto una reazione a degli
stimoli esterni; per cui in tal caso siamo tutti proiettati nell’esterno, e non
abbiamo più la vita in noi. Invece il pensiero dà a noi la possibilità di
avere la vita in noi stessi. E più abbiamo la vita in noi stessi e più il
mondo esterno pesa meno. Ecco, l’uomo a questo punto diventa signore
dell’universo; ma senza il pensiero, o meglio con il pensiero staccato da Dio,
roviniamo l’universo, perché è questo pensiero autonomo che ci fa credere
assolute le cose che sono relative.
Flavio: Però,
in noi c’è questo nostro pensiero, che è il pensiero del nostro io, e poi in
noi indipendentemente da noi c’è un altro Pensiero.
Luigi: Certo,
che è il Pensiero di Dio. Il Pensiero di Dio è in noi senza di noi.
Flavio: Il “senza
di Lui” avviene quando dentro di me stacco le cose che Dio mi fa arrivare,
cioè quando non riesco a collegare tutto. Il mio pensiero lo devo collegare al Pensiero
di Dio; ma questo Pensiero di Dio lo vedo “fuori”, non riesco a pensarlo dentro
di me; intendo dire che se anche ci si accorge che c’è questa esistenza del
Pensiero di Dio, non è detto che la si veda in noi. In effetti c’è il Pensiero
di Dio fuori e dentro…
Luigi: Certo, è Lui che
opera in tutto; però noi dobbiamo arrivare a conoscere, e a capire il Pensiero
di Dio “dentro”. Quello è essenziale, ed è il Cristo che ci porta a
questa scoperta; cioè a scoprire la presenza oggettiva del Pensiero di Dio
in noi, indipendente da noi.
Flavio:
Trovandola dentro non abbiamo più bisogno di vederla fuori.
Luigi: Trovando
la Presenza del Pensiero di Dio “dentro”, abbiamo la possibilità di intendere
veramente anche tutte le cose fuori; ma se non abbiamo fatto questa
scoperta, anche se pensiamo Dio fuori non è sufficiente per avere la Luce,
perché le cose ci portano via ugualmente. Perché per noi l’elemento
predominante è l’interiorità.
Se
in noi non c’è questo punto fisso di riferimento, e
quindi questa scoperta del Pensiero in noi, oggettiva, indipendente da noi, in
noi resta dominante il pensiero del nostro io; in tal caso, siccome l’elemento interno è dominante
sull’elemento esterno, noi guardiamo l’elemento esterno dal punto di vista del
nostro io. Quindi soltanto scoprendo, trovando, condotti dal Cristo, questa
Presenza abbiamo un punto fermo interiore. Perché il Cristo è il Verbo di Dio
incarnato che viene tra noi per recuperarci ad un campo di oggettività che noi
abbiamo smarrito inaugurando il campo di autonomia da Dio.
Il
campo di autonomia ci ha resi schiavi di una soggettività da cui non usciamo,
perché siamo noi che facciamo: “sono io che penso, sono io che faccio, sono io,
sono io, ecc…, cioè sono il principio” ; no! Il Principio è un Altro; cioè
inaugurando l’autonomia da Dio perdiamo questo rapporto tra il nostro pensiero
e il Pensiero di Dio. E allora, anche quando pensiamo Dio, diciamo che siamo
noi che pensiamo Dio, e capovolgiamo i termini.
Quando
diciamo: “sono io che penso Dio”, portato in termini di rapporto, abbiamo il
nostro io come punto fisso di riferimento, e Dio è l’elemento rapportato al
pensiero del nostro io. Quindi dire: “sono io che penso Dio”, è sbagliato!
Dobbiamo
mettere Dio come punto fisso di riferimento e rapportare il nostro io a Dio;
allora qui abbiamo il rapporto giusto, e il rapporto giusto diventa un rapporto
eterno, perché quello che è giusto è eterno, non cambia più. Invece il rapporto ingiusto è un rapporto che è
soggetto a volubilità, perché il rapporto è ingiusto, quindi non sta su.
Flavio: In
pratica bisogna conoscere Dio per conoscere l’uomo.
Luigi: Si
capisce; soltanto conoscendo Dio possiamo conoscere l’uomo. È sbagliato dire:
“conosco l’uomo e attraverso l’uomo conosco Dio”.
Flavio: Ieri ho
visto un libro sul Buddismo che parte dall’uomo.
Luigi: È un
errore; anche la filosofia greca dice all’uomo: “conosci te stesso”, è
sbagliato; perché più noi cerchiamo di conoscere noi stessi e più noi imbrogliamo
la matassa. Noi non possiamo conoscerci, perché conoscere vuol dire rapportare
ad un punto fisso di luce. Noi siamo degli effetti; quindi l’effetto più lo
agito e più s’imbroglia = non riesco a conoscerlo.
Ora,
evidentemente noi non siamo il Creatore; se noi non siamo il Creatore siamo
effetto di-. E allora, soltanto conoscendo il Creatore possiamo conoscere
l’effetto.
Paolo: Tutto
quello che esiste deve essere rapportato al Pensiero di Dio in me.
Luigi: Sì,
perché è fatto per mezzo del pensiero di Dio. Lui è il Verbo, quindi Lui è il
Pensiero di Dio. “Tutto è fatto”, questo è annunciato, è la
Parola di Dio che ce lo annuncia, però ci annuncia anche che “Senza di Lui
niente…”, allora vuol dire che questo senza di Lui è possibile in noi;
quindi tutte le cose che noi guardiamo senza di Lui le annulliamo, le
svuotiamo di valore.
Paolo: Quindi
tutto quello che io guardo senza rapportarlo al Pensiero di Dio in me è niente.
Luigi: Si capisce, lo svuoto di valore, e ad un certo momento tocco con
mano che in me è diventato niente. Infatti il vuoto, l’angoscia della vita
di tante persone è determinata dall’inutilità. Ad un certo momento l’uomo
tocca con mano l’inutilità; ma come mai? Perché il suo mondo si è svuotato di
valore. Quante persone le sentiamo dire: “io prima avevo tanta vita, vivevo per
questo, per quell’altro, e adesso non c’è più niente”; ecco, è qui che la vita
diventa insopportabile, perché la vita priva di giustificazione è
insopportabile. E il passo al suicidio è breve, perché per chi la vita non
serve a niente non sopporta più il suo stesso vivere. Ma questa è una
conseguenza di tutta una serie di scelte sbagliate che hai fatto in precedenza:
non ha tenuto presente il Verbo di Dio, non ha tenuto presente il
Pensiero di Dio.
Ora,
tutte le cose vengono a noi da Dio e vanno sempre riportate al Pensiero di
Dio, sempre riferite al Verbo interiore: “…date a Dio quello che è di Dio”
(Mt 22,21). Tutto è di Dio, riporta tutto a Dio, e allora ti accorgerai
quanto le cose acquistano importanza, acquistano valore, e quindi danno senso,
significato alla vita.
La
nostra vita acquista significato in Dio, perché: “uomo, tu sei stato creato
per conoscere Dio, allora vivi per questo; e ogni tuo giorno vale in quanto tu
lo impieghi per conoscere Dio, cioè per camminare verso il tuo destino”. Se
invece noi diciamo: “ah, no per me è più importante la casa, o il lavoro,
ecc.”, senza accorgercene ci scaviamo la tomba, perché svuotiamo, facciamo
nulla tutto quello che Dio ha fatto, annulliamo le cose di Dio nel pensiero
dell’io. Il pensiero del nostro io è un terribile livellatore di tutte le cose;
ma livellare è morte.
Là
dove domina la vita la luce assorbe e trasforma anche la materia in vita; dove invece domina la morte ci accorgiamo che tutto
ritorna pietra, tutto ritorna fango, tutto ritorna terra, tutto viene
distrutto. Anche l’albero che prima era vivo, ad un certo momento diventa
polvere, diventa terra; invece quando era vivo riusciva ad assorbire tutto,
anche le pietre: attraverso la luce le assorbiva e trasformava tutto in vita.
Qui è lo stesso: se noi siamo uniti alla Luce di Dio, tutta la materia che
arriva a noi, quindi tutto il mondo, lo trasformiamo in vita, se invece non
siamo uniti a Dio manca questa vita in noi, l’albero è morto, e allora tutto
quello che arriva a noi ci porta via, ci distrugge. Tutti gli elementi che
prima facevano crescere l’albero (l’aria, il sole, la pioggia, ecc.), ora
distruggono l’albero che non è vivo; l’albero che è vivo invece riesce a
trasformare tutti gli elementi che arrivano in vita; tutto è segno. Quindi
questa è la grande importanza dell’essere vivi; ma teniamo presente che
l’albero vive proprio in quanto sta alla luce. Noi viviamo proprio in quanto
partecipiamo a Dio, restiamo uniti a Dio, “Il tralcio e la vite” (Gv 15,1-4).
Silvana: La
seconda parte del versetto conferma la prima; questo dire. “senza di Lui nulla
è stato fatto di tutto ciò che è fatto” sembra la rinforzi.
Luigi: Sì,
apparentemente sembra ribadire quanto è stato detto nella prima parte, affermando
che proprio tutto, niente escluso, è stato fatto per mezzo di Lui. Ha
invece un significato più forte, perché fa capire che senza di Lui anche quello
che è fatto diventa niente, ritorna niente; e siccome questo niente noi lo
esperimentiamo nella vita, in quanto abbiamo la possibilità di fare senza di
Lui, senza tener presente Lui, questa diventa una frase molto forte su di noi.
Per cui il niente che tu esperimenti, lo esperimenti proprio perché da te
partono cose senza di Lui.
Amalia: Questo
Pensiero di Dio è il compimento, perché “Tutto è fatto per mezzo di Lui”
quindi tutto, fuori di me e dentro di me, è in funzione di questo compimento, e
se non serve a questo non serve a niente. Cioè tutto è niente.
Luigi: Si
capisce, noi abbiamo questa tremenda possibilità di ridurre tutto a niente.
Noi nel pensiero del nostro io staccato da Dio riduciamo tutto a niente,
annulliamo tutto. E annullando tutto annulliamo anche noi stessi. È come uno
che si è seduto sul ramo di un albero, se si sega il ramo ad un certo momento
cade. Noi non tenendo conto di Dio stiamo facendo questo lavoro: stiamo
segando il ramo sul quale siamo seduti, e ad un certo momento crolliamo.
Pinuccia B.: È
tremendo il potere che l’io ha di distruggere l’opera di Dio.
Luigi: Il
nostro io è come il tralcio; il tralcio se qualcuno non lo stacca non si può
separare, invece il pensiero del nostro io può staccarsi dal principio: siamo
noi stessi che lo stacchiamo. Noi possiamo separarci, e questo ognuno di noi lo
vede, perché l’azione non è automatica, l’unione con Dio non è automatica. L’unione
con Dio richiede consapevolezza, perché i figli di Dio sono figli consapevoli;
quindi questa partecipazione alla Verità è una partecipazione consapevole, e
richiede da parte nostra il raccoglimento in Dio.
Le
cose Dio ce le mette nelle mani e poi ci dice: “adesso portale a Me, perché
portandole a me la tua mente s’illumina”. Ora, però Lui dice “portale a me”, ma
questo “portale a Me” non avviene senza di noi; quindi noi possiamo non portare
a Dio dentro di noi, in tal caso tutto si disfa.
Pinuccia B.: E questa
possibilità viene illuminata dai versetti precedenti.
Luigi: Certo,
già nell’Antico Testamento Dio aveva detto. “Uomo, io ho posto nelle tue
mani la vita e la morte, però ti dico: scegli la vita” (Dt 30,19); cos’è
questa vita?
Vivere
è raccoglimento in Dio, vivere
vuole dire raccogliere in Dio. Quindi ritradotto si può dire: “uomo, io ti
ho posto nelle mani la possibilità di raccogliere in Dio o di non raccogliere,
però io ti dico: raccogli in Dio affinché tu viva”. Ecco, noi possiamo non
raccogliere in Dio; però non raccogliendo in Dio pensiamo a noi stessi,
autonomamente, e allora abbiamo Adamo, Eva, ecc.
Zina: “Senza
di Lui tutto ciò che è fatto è ridotto al nulla”, ma anche la conoscenza di
Dio annulla l’io…
Luigi: No!
Siamo noi che ci annulliamo se non pensiamo a Dio, ma se noi pensiamo a Dio,
Dio ci glorifica, Dio ci fa vivere, ci fa essere. Non c’è l’annullamento, c’è
il superamento; ma l’annullamento avviene proprio in quanto noi trascuriamo
Dio. Noi pensando a noi stessi crediamo di fare i nostri interessi, invece
facciamo il nostro danno, perché ci distruggiamo.
Si
capisce, il Pensiero di Dio comporta il superamento dei sentimenti, del nostro
io, perché il nostro io è fatto di sentimenti, di sensazioni e di esperienza.
Allora se un tale ci pesta un piede è sentimento, quindi non dobbiamo reagire,
cioè scegliere in conseguenza di questo sentimento che il nostro io prova, ma
dobbiamo cercare la lezione presso Dio; e ad un certo momento magari
abbracciamo il fratello che ci ha pestato il piede, perché capiamo che è stata
una grazia per farci fare un passo avanti.
Quindi
la vita stessa del nostro io cresce nella misura in cui si supera.
Noi
siamo fatti per superarci: più ci superiamo e più ci realizziamo, perché è Dio
che ci realizza.
Dio
opera per farci diventare figli di Dio, quindi non c’è l’annullamento, ma c’è
il superamento; mentre invece più pensiamo a noi e più ci annulliamo, più ci
distruggiamo. Ecco, qui c’è la tristezza, l’angoscia: che è questa esperienza
di annullamento, per cui noi non ci sentiamo più niente, perché abbiamo sempre
cercato di affermare noi stessi. La conclusione è il toccare con mano il
proprio niente.
Sabato 04.02.1989
Nino: “…e senza
di Lui è fatto niente tutto”.
Luigi: Senza
di Lui tutto diventa niente.
Nino: Infatti
noi facciamo l’esperienza del niente.
Luigi: Ora,
noi stiamo dicendo una cosa che apparentemente è assurda; perché noi diciamo:
“facciamo esperienza di niente”. Ora, il niente è niente, e allora come fai a
fare l’esperienza del niente? Eppure tutti gli uomini sono angosciati perché
fanno esperienza del niente.
Nino: fanno
l’esperienza di una torre di Babele che conclude in niente. È una torre di
Babele; infatti prendi un giornale, c’è da impazzire, c’è da essere disgustati…
Luigi: …eppure
anche quello è una parola di Dio eloquentissima per noi.
Nino: Ci dice
molto, solo che noi siamo duri e non capiamo.
Marisa: Il
Pensiero di Dio è Creatore; noi che siamo fatti a sua immagine abbiamo il
pensiero, allora anche il nostro pensiero è creatore?
Luigi: Dio è
Creatore, Lui solo è Creatore; noi pensando a noi stessi distruggiamo quello
che Dio fa, quindi abbiamo la possibilità di distruggere le sue opere; cioè il
potere del nostro io è un potere tremendo: è quello di fare niente tutto quello
che Dio fa, di ridurre a niente tutto la creazione di Dio. Infatti noi facciamo
esperienza del niente; cioè tutte le cose che Dio ci presenta, se noi non ci
affrettiamo a riportarle a Dio le macchiamo dei nostri desideri, le macchiamo
del nostro pensiero; ma quando una cosa è macchiata del nostro pensiero, ci
fa venire le rughe, ci fa invecchiare; cioè, la cosa, quando l’abbiamo vista,
se non la portiamo a Dio per noi diventa vecchia. Un libro quando l’hai letto è
diventato vecchio, infatti la seconda, la terza volta che lo leggi, non lo
sopporti più, ti stanca; questo perché “l’ho già visto”, ecco il potere del
nostro io.
Ecco,
riferendo le cose a noi, rendiamo vecchie le cose, ma facendo vecchie le cose,
noi ci distruggiamo, perdiamo la vita. Mentre invece, se le cose le portiamo a
Dio, se Lui mi presentasse anche mille volte la stessa cosa, se le portiamo a
Dio, Dio diventa una sorgente di novità continua, perché ad un certo momento diciamo:
“Signore, come mai mi presenti per mille volte la stessa cosa? Cosa mi vuoi
dire?”; e se Lui me la presenta c’è una novità. Per cui con Dio c’è una
novità continua, e la vita è novità.
Anche
nella Vita Eterna c’è questa novità continua, perché Dio è infinitamente
superiore a noi, e quando si vive con un Essere superiore a noi, si va incontro
a delle novità in continuazione,
proprio perché è superiore. Quindi nella Vita Eterna non è che si canti da
mattina a sera: “Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo”, cioè che
cantino sempre la stessa cosa, No! La Vita Eterna è una comunicazione di
novità continua di Dio.
Ora,
se qui sulla terra abbiamo già tanta novità, perché Dio è il Creatore, tanto
più nella Vita Eterna. Però ad un certo momento noi, pensando a noi stessi,
distruggiamo tutto, perché rendiamo tutto vecchio; per cui non c’è nessuna
novità e tutto diventa uguale, ecco la monotonia; la monotonia è nel pensiero
del nostro io, perché distruggiamo la novità di Dio, perché le togliamo l’anima,
le togliamo lo Spirito. Allora noi arriviamo a dire: “A che cosa serve la vita?
La vita è tutta una noia”; e già perché vivendo nel pensiero del proprio io
macchiamo tutto. Quando una cosa è macchiata col pensiero del nostro io non
serve più per collegarci con Dio.
Cerca
il Pensiero di Dio e ti accorgerai quanto Lui, essendo la Vita, sia una
sorgente di novità.
Raffaella: Tutto è
fatto da Dio Creatore; questo potere di distruggere le cose, da chi è creato?
Luigi: Da Dio;
il nostro io è una creatura di Dio.
Ora,
se Dio non avesse dato a noi l’io, questa coscienza di essere, noi non
potremmo conoscere, saremmo animali. L’animale non ha coscienza dell’io, ma
non può conoscere. La condizione per conoscere è quella di poter dire “io”,
soltanto che se diciamo “io” distruggiamo noi stessi, perché ci sostituiamo a
Dio, facciamo del nostro io il punto fisso di riferimento. Eppure è necessario
che io possa dire “io”; è lì tutta la tragedia di Cristo che muore in Croce; se
non ci fosse questo rischio, Cristo non sarebbe venuto a morire in Croce;
sarebbe bastato che Dio scrivesse nel Cielo: “Io sono Dio, cercatemi e
vivrete”; ma perché è stata necessario la crocifissione di Cristo?
La
crocifissione di Cristo è stata necessaria perché l’uomo corre il rischio di dire
“io”, e dicendo io si distrugge; per
cui dico così: «noi dobbiamo imparare a dimenticare questo io”; il nostro io
è sguardo, “immagine e somiglianza; noi dobbiamo imparare a dire: “Tu”» . Noi
siamo fatti dal Tu; ecco, anche le nostre grammatiche sono fatte male;
infatti noi diciamo: “io sono, tu sei…”; bestia! tu non sei, Dio è. Allora
incominciamo dal Tu: “Tu sei e io sono”; ma “io sono in quanto Tu sei”,
cioè in quanto io posso dire sempre: “tu sei”; la Vita Eterna sta nel dire
“Dio tu sei”. Più noi diciamo “tu sei” e più noi viviamo; perché tutta
la nostra gioia e felicità sta nel dire “tu sei”, e tutta la nostra tristezza
sta nel dire: “io sono”. Abbiamo la possibilità di dire “tu sei”, però
siccome non siamo delle macchine, non siamo delle rotelle di un ingranaggio,
perché con Dio c’è una partecipazione consapevole, si corre il rischio di dire:
“io sono”; e dicendo “io sono” non capiamo più niente. Infatti non siamo noi
che facciamo il filo d’erba, ed è finita. Ecco, ci basta il filo d’erba per essere
smentiti e farci entrare in crisi; infatti tutta la creazione si mette a ridere
quando noi diciamo “io sono”. Tutti ridono; e tutti ci accorgiamo che quando
uno inizia a dire “io, io, io…” ci fa venire la barba lunga; questo perché
non siamo noi i creatori, non siamo noi che facciamo il filo d’erba.
E
allora evitiamo di dire “io”, oppure: “io mi sono fatto da solo; ho fatto tutto
da me”.
Pinuccia B.: Se tutto
è fatto per mezzo di Lui, bisogna cercare il suo Pensiero.
Luigi: Cercare
qual è il Pensiero di Dio nelle cose è il principio; se tu trascuri questo
principio precipiti.
Pinuccia B.: Cadiamo
nell’autonomia…
Luigi:
L’autonomia da Dio tua e il considerare le creature a sé, senza mantenerle
unite a Dio è fare il peccato originale; il peccato originale è un peccato di
autonomia. Cioè, il considerare una cosa senza riportarla a Dio, senza
riferirla a Dio è peccato originale, perché è il peccato che sta all’origine di
tutti i nostri mali.
Pinuccia B.: Che è
espresso in questa seconda parte del versetto: “senza di Lui nulla è fatto
di tutto ciò che è fatto”, cioè noi riduciamo a niente tutto.
Luigi: Si
capisce. Separando le cose da Lui è come inquinare il mondo fino a renderci la
vita impossibile. Quindi siamo noi che ci rendiamo la vita impossibile; e
questo perché separiamo le cose da Dio, perché la vita è in Dio.
Pinuccia B.: Però se
questo inquinamento avviene nel campo materiale è ancora opera di Dio.
Luigi: Certo,
è un segno per dire a noi: “Vedi che senza di me tu ti rendi la vita impossibile”.
Noi ci stiamo rendendo la vita impossibile; tutto lì.
Pinuccia B.: Superficialmente
la seconda parte sembra una ripetizione della prima parte, invece dice proprio
una cosa molto grossa: “riduciamo a niente tutto”.
Luigi: Si
capisce, e noi ne facciamo l’esperienza.
Pensieri conclusivi:
Nino: Se non
cerchiamo il pensiero di Colui che è stato causa di tutte le cose, noi
riduciamo tutte le cose a niente, perché non troveremo mai il significato di
quelle cose.
Franco: Dio parla
con noi per farci entrare nella vita.
Luigi: Certo,
se Lui non parla, tutto di noi si spegne, perché la nostra vita sta in Lui che
parla con te; è Lui che parlando con te ti fa essere e ti fa vivere, e ti
illumina.
Zina: Io sono
in quanto Dio è.
Delfina: Dio mi
fa scoprire le sue meraviglie.
Domenico: “L’uomo
non separi ciò che Dio ha unito”.
Giovanna: Dio
parla in tutto di S.
Fabiola:
Ascoltare Dio.
Cris: Bisogna
cercare il significato delle cose in Dio.
Marisa: È
compito nostro essere spettatori attenti.
Raffaella: Tutto è
fatto in un Pensiero.
Silvana:
Dobbiamo avere il principio come fine.
Luigi: Sì, ce
l’hai come fine riportando tutto al Principio; riportando tutto al
Principio, il principio diventa tuo fine, e allora Dio diventa Principio e Fine.
Pinuccia A.: Lui
vuole renderci partecipi di ciò che Lui è.
Franca: Tutto è
fatto nell’intenzione di Dio per me; quindi in ogni cosa è Dio che parla con
noi personalmente.
Luigi: Dio non
parla a gruppi, Dio non parla alla massa, Dio parla personalmente.
Rita:
L’urgenza di ricuperare sempre il principio per poter entrare nella vita.
Luigi: Sì, c’è
urgenza perché le cose ci bruciano; o le riportiamo in Dio o restiamo bruciati.
Pinuccia B.: Se la
vita sta nel recuperare il principio, questo mi fa capire meglio quello che
dice S. Paolo. “La nostra vita è nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3);
Cristo è il Pensiero di Dio, quindi è una vita nascosta in quanto è una vita
interiore che va cercare nel nostro intimo.
Luigi: Si
capisce. Arrivederci!
Senza di Lui è fatto niente (Gv 1,3) (I – 31.03.1976)
Il
prologo del Vangelo di S. Giovanni dopo aver detto: “tutto è stato fatto per
mezzo di Lui”, aggiunge: “e senza di Lui - il Verbo di Dio-
niente è fatto di tutto ciò che è fatto”.
Una
frase che racchiude significati molto più profondi di quello che sembrerebbe in
apparenza. Apparentemente si direbbe soltanto una ripetizione di concetto e una
conferma di quel che è stato detto prima: “tutto è stato fatto per mezzo di
Lui”. Ma se teniamo presente che l’uomo può vivere e pensare e parlare “senza
di Lui”, senza cioè tener conto di Dio, senza restare unito a Dio, quella
frase si carica di un profondo significato. Ci rivela ciò che facciamo quando
non siamo uniti a Dio e non ci lasciamo guidare dal suo Spirito.
Le
parole di Dio sono rivelazione e ammonimento: rivelazione della Realtà del
Regno di Dio (“tutto è fatto da Dio”), e ammonimento ad ogni uomo a non
introdurre in questo regno di Dio qualcosa non fatto da Lui.
Così,
s’Egli dice: “Io sono la vite, voi i tralci. Come il tralcio non può portare
frutto se non rimane unito alla vite, così voi senza di me potete fare niente” (Gv
15,4-5), questo è rivelazione della realtà in cui siamo (siamo come
tralci uniti alla vite), ma è anche ammonimento a restare in tale Realtà se
vogliamo evitare di seccare come un tralcio quando è staccato dalla vite.
Le
parole del Signore: “senza di Me non potete fare niente” evidentemente
sono un ammonimento per ogni uomo a restare unito a Dio, a camminare, a pensare,
a ragionare, a vivere sempre con lo Spirito di Dio e ad evitare di agire
autonomamente, come tralcio staccato dalla vite.
Ma
se ci avvisa di tale cosa, è altrettanto evidente che l’uomo ha la possibilità
di staccarsi da Dio, di non riferire ogni cosa a Dio, di pensare, di ragionare,
di vivere senza tenere conto di Dio.
Separati
da Dio facciamo niente. In realtà, la separazione da Dio, il “senza di Lui” non
esiste se non nel cuore dell’uomo, poiché tutto ciò che esiste, in quanto
esiste, e tutto ciò che accade, in quanto accade, è per mezzo di Dio che esiste
e che accade.
Così,
in realtà, il “niente” può verificarsi soltanto nel cuore dell’uomo come
privazione di ciò che ha, e quindi come memoria, ricordo di ciò che poteva
avere.
Il
niente può esistere soltanto là dove c’è memoria di qualcosa. Lo zero, simbolo
di niente, in realtà non esiste; ma esso è soltanto un segno per indicare che
una cosa che c’era, ora non c’è più. Ha lasciato un vuoto.
Quindi
il niente è sempre relativo ad un esistente, ed è ancora una testimonianza
dell’importanza e della validità di esso.
Il
sentire un’assenza testimonia l’importanza di ciò che era presente. Lo zero è
una testimonianza della validità dell’uno: ed è significativo soltanto là dove
c’è la memoria dell’uno.
Così
il “niente” può verificarsi soltanto là dove c’è la memoria di un bene perduto.
Nessuno può sentire la privazione di una cosa che non ha conosciuto.
È
solo dentro l’uomo che le cose, i pensieri, le decisioni, possono avvenire
senza Dio, senza cioè tener conto di Dio, poiché l’uomo può essere ingiusto,
può essere menzognero, può non tener conto di Dio. Ed è anche solo dentro
l’uomo, di conseguenza, che tutto diventa niente, poiché “senza di Lui
niente è fatto di tutto ciò che è fatto”.
Senza
di Lui annulliamo, perdiamo, in noi, tutto ciò che è fatto. Senza di Lui: cioè
quando riferiamo a noi, o al mondo, o al caso, o agli uomini, le cose, gli
avvenimenti, le parole, tutto ciò che “è fatto”, anziché riferirlo a
Dio, anziché riportarlo a Dio, perché è di Dio.
Senza
di Lui perdiamo tutto: resta il vuoto, la memoria di ciò che abbiamo perduto.
Tutto ciò che giunge a noi senza di noi, perché è stato fatto per mezzo di Lui,
Verbo di Dio, non può essere da noi trattenuto, capito, utilizzato senza tenere
conto di Dio.
Ci
viene inesorabilmente portato via.
Se
viene da noi considerato e utilizzato senza tener conto di Dio, tutto, in noi e
per noi, diventa niente, perché è stato fatto senza il Verbo di Dio, e noi
facciamo niente, riduciamo cioè a niente tutto ciò che è stato fatto.
Senza
il Verbo di Dio tutto è ridotto a niente, tutto è fatto niente. È nell’uomo che
tutta l’opera di Dio acquista il suo significato e la sua importanza, poiché
tutto è fatto per portare l’uomo a conoscere Dio ed a vivere con Dio; ma è
anche nell’uomo che tutta l’opera di Dio può essere annullata, resa inutile.
Quell’opera
immensa, iniziata miliardi e miliardi di anni fa con la formazione
dell’universo, con la creazione poi della vita e di tutti gli esseri viventi
sulla terra, e di quell’essere meraviglioso capace di guardare tutto ciò che è
stato fatto e di interrogarsi sul senso di esso, capace di pensare, di pregare
e di amare, che è l’uomo; tutta quell’opera paziente di avvenimenti, di unità,
di storia fatta da Dio attorno all’uomo per entrare in dialogo con Lui ed
aprirlo all’amicizia col suo Signore e Maestro onde renderlo partecipe della
Verità e della Vita; e quell’opera stupenda di amore, di sapienza e di
misericordia che è la vita di Cristo, fino al suo sangue sparso ed alla sua
morte in croce: tutte queste opere possono essere annullate nel cuore
dell’uomo, ridotte a niente, fatte servire a niente: sangue di Dio sparso
inutilmente sulla nostra terra.
(II – 07.04.1976)
Poiché
tutto ciò che esiste è fatto “per mezzo di Lui”, come ci dice il Vangelo
di S. Giovanni, e come ci dice anche la nostra coscienza se la interroghiamo, “senza
di lui” può avvenire soltanto la perdita di ciò che esiste.
Senza
di Lui avviene la diminuzione, la privazione di ciò che è in noi: una diminuzione
di essere in noi: il “niente”.
Il
“niente” è lo stato conseguente alla privazione di qualcosa: privazione di
bene, privazione di luce, di verità, di pace in una creatura ch’è fatta per la verità,
la luce, la pace, la vita, e che pertanto ha presente in sé queste cose per cui
è fatta.
Queste
cose sono presenti in qualche modo nell’uomo, perché altrimenti non potrebbe
sentirne la privazione. Si può privare qualcuno solo di ciò che ha, non di ciò
che non ha. Si può sentire la privazione solo di ciò che si aveva. Il niente è
privazione di ciò che era dato in principio. E che cosa era in principio se non
ciò che è detto: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il
Verbo era Dio”? E poiché la privazione può avvenire soltanto in chi ha
qualche cosa, essa è relativa alla persona, allo stato interiore della persona:
nella coscienza di ciò che ha perduto. La privazione infatti non esiste in
assoluto, ma soltanto in chi ha perduto un bene e si ricorda di esso; esiste
cioè soltanto nella coscienza di chi sa di aver perduto un bene. Non si è
separati se non da ciò da cui si sa di essere separati. Questo avviene nel
cuore dell’uomo, dentro l’uomo.
È
l’uomo interiore che conosce ciò che ha perduto. Per cui, mentre viviamo
“fuori” la nostra vita normale, e che non è vita, “dentro” di noi può
avvenire una perdita continua, crescente, di vita, di libertà, di amore, di
fedeltà, di pace; dentro di noi, nell’apparente calma della routine di ogni
giorno, possono verificarsi drammi, tragedie, cose terribili che ci portano via
tutto e ci svuotano di tutto, mentre esteriormente appare nulla. E mentre ci
crediamo, e gli altri ci credono, ricchi, felici, in pace, non bisognevoli di
nulla, dentro possiamo essere miseri, affamati, soli, ciechi, angosciati,
morti. Possiamo vivere in una casa ricchissima, con ogni bene a disposizione, e
dentro di noi essere di una tristezza infinita.
Non
c’è nessun bene esteriore che possa compensare il nostro vuoto interiore, la
nostra tristezza interiore. Viceversa, se interiormente siamo nella pace, se
siamo liberi e vivi, se abbiamo la gioia nel cuore, non c’è niente e nessuno
che dall’esterno, nessuna difficoltà, nessuna povertà, possano portarci via ciò
che abbiamo dentro; anzi lo spirito che portiamo in noi si rafforza nelle
difficoltà e trasforma anche l'esterno a suo vantaggio.
Gesù
infatti promettendo la venuta dello Spirito Santo nel cuore di coloro che lo
seguono, dice: “Nessuno al mondo potrà più portare via la vostra gioia” (Gv
16,23). Questo ci rivela e testimonia quanto l’esterno sia alle dipendenze
dell’interno e non viceversa.
Se
quindi dentro di noi si forma il vuoto, tutto per noi si svuota; e se dentro di
noi si formano le tenebre, tutto per noi diventa tenebra, nessuna luce
dall’esterno può illuminare l’uomo cieco.
Ora,
il nostro mondo interiore dipende tutto dai nostri intimi rapporti con Dio,
poiché Dio è Colui che abita dentro di noi e parla ed opera per raccoglierci
alla sua Presenza. Il Signore infatti dice: “Chi con Me non raccoglie
disperde” (Mt 10,30). E ancora: “Senza di Me potete far niente”. Tutto
in noi dipende dai nostri rapporti con Lui che abita in noi. Tutto in noi
dipende dall’essere con Lui, o dall’essere senza di Lui.
Che
significa essere “senza di Lui”? Lui è il Dio che parla in noi; Lui è il Verbo.
Essere senza di Lui è essere senza il Verbo.
E
che cosa è il Verbo? Ascoltiamolo: Egli stesso ce lo dice; “Io sono la Via,
la Verità, la Vita” (Gv 14,6); “Io sono la Luce del mondo” (Gv
8,12); “Io sono il Pane di Vita” (Gv 6,48); “Io sono Colui che parla
a voi fin dal principio” (Gv 8,25); “Io sono il Pastore e Maestro delle
anime vostre” (Gv 10,11).
Il
Verbo è la via, la verità, la vita dell’uomo, di ogni uomo: è la luce, è il
pane vero della vita, è Colui che parla con noi e ci guida alle fonti della
vita.
Il
Verbo è la via: senza di Lui c’è il disorientamento. Nel disorientamento non si
sa più dove andare: allora si resta attratti e dispersi da tutto e da tutti.
Il
Verbo è la Verità: senza di Lui c’è l’errore. E quando c’è l’errore non si ha
nemmeno la capacità di conoscerlo tale.
Il
Verbo è la vita: senza di Lui c’è il regno della morte che dilata i suoi
confini su di noi e occupa tutto di noi.
Il
Verbo è la luce: senza di Lui ci sono le tenebre che invadono la nostra mente e
il nostro cuore.
Il
Verbo è il pane della vita: senza di Lui le forze in noi vengono meno e tutto,
fede, speranza, amore, viene meno.
Il
Verbo è Colui che parla con noi: senza di Lui nessuno parla veramente con noi,
nessuna vera parola giunge a noi e nessuna vera parola parte da noi: tutto è
solo rumore.
Ecco
ciò che significa essere senza il Verbo. Essere senza il Verbo è essere senza
via, senza verità, senza luce, senza pane, senza guida, senza vita e senza
frutto di vita. Dice infatti il Signore: “È grazie a me che tu porti frutto”.
E ancora: “Io sono la vite e voi i tralci: senza di Me potete far niente” (cf
Gv 15,5).
Senza
di Lui siamo tralci staccati dalla vite e non possiamo fare altro che seccare,
anche se esteriormente agli altri sembriamo felici e pieni di ricchezza e di
vita.
(III Fine – 14.04.1976)
Tutto
ciò che è fatto, realmente è fatto da Dio e porta in sé il Pensiero di Dio, il
suo Verbo; in tutto c’è il soffio del suo Spirito. Quindi tutto è di Dio, tutto
va riferito a Dio, riportato a Dio, collegato con Dio e inteso con lo Spirito
di Dio, alla luce di Dio.
Se
non lo riportiamo a Dio, se non lo colleghiamo con Dio, separiamo in noi, nella
nostra mente e nel nostro cuore, ciò che è di Dio da Dio; non diamo a Dio ciò
che è suo. Allora diventiamo figli di questo nostro distacco da Dio: distacco
cioè dalla Verità, dalla Luce, dalla Giustizia, dalla Vita. Diventiamo infatti
figli delle nostre opere.
Avendo
staccato i segni di Dio da Dio, restiamo staccati da Dio: tralci staccati,
tagliati via, dalla vite.“Il tralcio staccato dalla vite, secca ed è
destinato ad essere gettato nel fuoco” (Gv 15,6).
Allora
tutto si annulla, si vanifica,, è fatto inutile, per noi e in noi. Tutto
infatti viene a noi per sollecitarci ad alzare i nostri occhi verso Dio, a
occuparci di Lui, a cercarlo, a conoscerlo. Se questo non avviene, tutta
l’opera di Dio resta per noi e in noi annullata. Allora tutto in noi e per noi
diventa niente: le parole diventano senz’anima, le creature diventano morte, il
mondo diventa vuoto, insignificante.
È
la tragedia del nostro mondo occidentale che avendo fatto assegnamento sulla
scienza, la tecnologia, la ricchezza e il benessere materiale, ha perso il
senso del sacro, la presenza di Dio. Ora si sta agitando nel vuoto. “Non vi è
niente che l’Occidente ha urgentemente bisogno di recuperare, più di questo
senso del sacro. Nel mondo occidente ogni cosa è diventata “profana” è stata
deliberatamente svuotata di tutto il suo significato religioso” scrive P. Bede
Griffiths. Il quale dice ancora: “Non ci può essere dubbio che la scienza e la
tecnologia, per quanto necessarie possano essere, non possono da se stesse
portare la felicità, e neppure possono soddisfare i più profondi bisogni
dell’uomo. La civilizzazione moderna prevarrà, ma ormai diventa sempre più
chiaro che essa ha nessuna risposta da dare come significato ultimo della vita.
E perciò al di sotto di tutti i suoi successi esterni, vi è un senso crescente
di vuoto e di insignificanza di vita”.
“Avete ucciso l’Autore della vita” (At 3,15) disse Pietro ai Giudei in un suo discorso dopo
Pentecoste.
È
rimasto il vuoto, e la morte.
La
passione e la morte di Cristo rivelano e denunciano il dramma, la tragedia che
l’umanità, e ogni uomo, porta nel suo intimo. È il deicidio, la morte di Dio,
di cui ogni uomo è colpevole, poiché ognuno quando mette l’amore e il pensiero
di se stesso al centro della sua vita, uccide in se stesso Dio.
È
l’uomo che, presumendo di essere più libero, fa fuori Dio dalla sua vita, rinnovando
così per sé la parabola di quei vignaioli che per avere la proprietà della
vigna (“così l’eredità sarà nostra” Mt 21,39), uccidono il figlio del
loro signore.
La
conseguenza del nostro non tener conto di Dio, è la morte di Dio dentro di noi
ed è la morte di Cristo sul calvario. Il Calvario, questa conclusione del
distacco dell’uomo da Dio, è scritto nella vita, nel cuore di ogni uomo:
imputato a carico di ogni uomo.
C’è
un calvario nascosto, intimo in ogni uomo. Ogni uomo lo porta, lo fa dentro di
sé, ed è la morte che si forma in lui quando vive senza il Verbo.
Non
tener conto del Verbo di Dio è uccidere Dio in noi. Gesù infatti diceva ai
Giudei: “perché cercate di uccidermi?”; essi allora rispondevano: “tu
hai un demonio: chi cerca di ucciderti?”, ed Egli replicava: “voi
cercate di uccidermi perché non accogliete in voi la mia Parola” (Gv 8,37).
Effettivamente
non passerà molto tempo che Lo uccideranno, perché avevano già il delitto
dentro se stessi.
Quando
le parole di Cristo scivolano sul cuore degli uomini senza penetrarli, è segno
che essi sono “abitati” da altro, da quel male che è delitto e deicidio.
Ecco perché il Calvario diventa rivelazione e testimonianza della morte che è
dentro di noi: il niente, il vuoto che si è scavato mettendo l’amore di noi
stessi al centro dei nostri pensieri. Il delitto che è in noi quando non
teniamo conto di Dio, diventa delitto attorno a noi: la morte diventa morte:
diventa uccisione del Cristo. E poiché in Lui, Verbo di Dio fatto carne per
noi, si trova il punto d’incontro tra il tempo e l’eternità, tra la materia e
lo spirito, , tra il segno e l’anima, tra il molteplice e l’unità, tra le
creature e l’infinito mistero trascendente in cui si trova il loro vero
significato, tra l’uomo e Dio, senza di Lui il mondo diventa solo materia, solo
tempo che passa, solo molteplicità senza unità, solo creature senz’anima, solo
vita senza senso, solo uomini senza Dio, solo morte.
Allora
tutto diventa violenza, ingiustizia, delitto. E Gesù schernito, ingiuriato,
schiaffeggiato, crocifisso, continua a tacere. È necessario.
L’ombra
di Caifa, di Pilato, di Erode, di Giuda, si stende su ogni uomo; l’ombra di
Sodoma e Gomorra si allunga su tutta la terra.
Non
resta che la voce di Pietro che denuncia: “Avete ucciso l’Autore della vita”.
Poi, un popolo nuovo darà lode al Signore.
(articoli
pubblicati da “La Fedeltà” scritti da Luigi Bracco)