Giovanni rispose loro: Io battezzo
nell’acqua, ma (= perché) vi è tra voi Uno che voi
non conoscete, che verrà dopo di me pur essendo prima di me e di cui non sono degno
di sciogliere il legaccio dei calzari”. Questo avveniva a Betania, al di là del
Giordano, dove Giovanni battezzava”.Gv 1 Vs 26-28
Titolo: “Vi è tra voi Uno che non conoscete…”
Argomenti: Noi giudichiamo secondo
la nostra intenzione ma tutto quello che arriva a noi ci giudica. Tutto ci indica Colui
che è in noi e che noi non conosciamo. Il vero criterio di giudizio è mettere Dio
al centro dei nostri pensieri.
13/Giugno/1976
Dall'esposizione di Luigi Bracco (dagli
appunti):
Con i versetti 26 e 27 (“Io
battezzo nell’acqua, ma vi è tra voi Uno che voi non conoscete, che verrà dopo
di me pur essendo prima di me e di cui non sono degno di sciogliere il legaccio
dei calzari…”), si conclude la scena dell’incontro dei Farisei con
Giovanni Battista, avvenuta, come precisa il v. 28, a Betania: “Questo
avveniva a Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni battezzava”.
Ai Farisei, inviati da Gerusalemme, che gli avevano chiesto: ”Perché
battezzi?”, Giovanni risponde: “Io battezzo nell’acqua, ma vi è
tra voi Uno che voi non conoscete…, ecc. ”. Per cogliere lo spirito di
questa risposta, bisognerebbe sostituire quel “ma” con un “perché”.
Quindi la frase andrebbe letta così: “Io battezzo nell’acqua, perché vi è
tra voi Uno che voi non conoscete”.
Questo “perché” ha però un duplice
significato:
di un perché causale
e di un perché finale.
In primo luogo ha il significato di un perché
causale, cioè motivante: Giovanni dice ai Farisei che chi lo muove e lo autorizza
a battezzare è Colui che è in mezzo a loro e che loro non conoscono: “Io
battezzo nell’acqua perché vi è tra voi Uno che voi non conoscete”.
Si appella, in sostanza, ad un criterio di
autorità diverso da quello
riconosciuto dai Farisei (e qui ci colleghiamo con l’argomento della volta
scorsa). Infatti è come se dicesse: “Non sono autorizzato da voi a battezzare,
ma battezzo perché è Colui che sta in mezzo a voi e che voi non conoscete che
mi autorizza a farlo”.
Ma
tale “perché” ha anche il significato di un perché finale: “affinché”.
Cioè Giovanni sostanzialmente dice: “Battezzo al fine di farvi conoscere
Colui che sta in mezzo a voi e che voi non conoscete”. E in seguito lo dirà
più esplicitamente (lo vedremo nel v. 31): “Ed io non Lo conoscevo, ma per
questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifestato in
Israele”.
Ecco, con queste parole il Battista fa capire
che lo scopo del battesimo di giustizia è quello di richiamare ed incentrare
la nostra attenzione sul Dio che è in mezzo a noi, in noi (se non fosse in
noi, noi non potremmo pensarlo), e che noi non conosciamo, ma che non possiamo
ignorare, perché è Lui il Creatore di tutto. Questa attenzione a Lui è
giustizia (appunto, battesimo di giustizia, poiché “battesimo” è orientamento
a-, attenzione a-) ed è la preparazione necessaria per poter incontrare e
riconoscere “fuori” il Cristo, Colui che è in mezzo a noi e che ancora noi
non conosciamo, e che, se Lo seguiamo, ci porterà alla conoscenza del Dio
che portiamo in noi.
Ecco, Cristo, il Verbo incarnato, il
“Dio-con-noi”, ci rivela “il mistero nascosto nei secoli” (così lo chiama s. Paolo), cioè ci rivela che
Dio è ed è sempre stato tra noi, in noi, in mezzo a noi, anche se noi non lo
sappiamo, anche se non Lo conosciamo, e pertanto ci rivela anche ciò che
accade nei nostri rapporti con Dio. Giovanni, che ci annuncia il Cristo, ci
annuncia questo mistero: “Vi è tra voi Uno che voi non conoscete”: Dio è
ovunque, tra noi, in noi (“in Lui siamo, ci muoviamo, esistiamo…”), Lo
portiamo in noi, e nemmeno ce ne accorgiamo, né vi poniamo mente.
Abbiamo bisogno del battesimo di giustizia che
richiami la nostra attenzione a questa Presenza di Dio tra noi, in noi, non
conosciuta da noi, ma che non possiamo smentire (“Luce vera è quella che
illumina ogni uomo che viene in questo mondo”), per poter così incontrare
“fuori” Colui che ce la farà conoscere.
Colui che ce la farà conoscere è già tra noi,
ma senza il battesimo di giustizia noi non Lo possiamo individuare. Ecco perché
il Battista dice: ”Vi battezzo, perché vi è tra voi Uno che voi non
conoscete”, cioè: “Vi battezzo affinché possiate giungere ad
individuarlo”.
Questa affermazione di Giovanni: “Io battezzo nell’acqua, perché vi è tra
voi Uno che voi non conoscete” rivela tutta la grandezza della sua
missione e della sua persona. Il suo scopo è questo: segnalare un Altro,
ignorando se stesso. Tutto il suo parlare è orientato a quest’Altro.
Infatti già prima, quando i Farisei si
interessavano di sapere chi lui fosse, egli con i suoi ripetuti “no” negò di
essere ciò che loro insinuavano (ciò che lui è, lo dirà Gesù). Egli affermò di
essere solo “una voce” che invitava a fare diritte le vie del Signore,
cioè a fare la giustizia. Orientava cioè questi Farisei ad interessarsi non
a ciò che lui era, ma a ciò che diceva.
Ed ora anche la sua risposta alla loro domanda
“perché battezzi?” è sempre su questa linea, perché tende a far capire a
quei Farisei che essi devono credere al battesimo che lui predica
(“battezzare” è immergere nella Parola di Dio, è predicare, parlare di-, quindi
orientare a-), non per l’autorità che lui può avere o non avere (anche
se effettivamente lui è il profeta, è l’Elia che doveva venire, come confermerà
Gesù), ma per l’autorità stessa della Parola di Dio che lo manda:
“…battezzo perché vi è tra voi Uno che voi non conoscete…” (“perché” causale:
“perché è Lui che mi manda!”)..
Egli infatti non si presenta alla gente con
l’autorità di un profeta o di un Elia, anzi nega di esserlo, perché non vuole
che le anime credano basandosi su ciò che egli è o può essere. È per questo che
non vuole parlare di sé. Il suo messaggio, essendo un battesimo di
giustizia, un’immersione nella giustizia verso Dio, ha già in sé il criterio
di autorità, perché è un invito a mettere prima di tutto ciò che va messo prima
di tutto (“Raddrizzate la via del Signore”), a far attenzione a
Colui che è tra noi, in noi, e che noi non conosciamo: “…battezzo perché vi
è tra voi Uno che voi non conoscete…” (“perché” finale: “affinché
possiate giungere a conoscerlo”)).
Quindi se questi Farisei avessero avuto Dio
come Autorità dentro di sé, se avessero avuto interesse per Dio, avrebbero
riconosciuto subito che era valido ciò che Giovanni Battista diceva e non gli
avrebbero più chiesto: “perché battezzi?”. Invece essi andavano alla
ricerca di un criterio di autorità diverso dalla Parola di Dio: cercavano
quello della loro stessa autorità, e questo significa che non tenevano presente
Dio.
Ad essi infatti interessava solo portare una
risposta ai Sacerdoti dai quali erano stati inviati. Quindi è evidente che non
stavano cercando la Verità, non stavano servendo la Verità, ma anzi sotto
sotto stavano difendendo la propria autorità, dalla quale erano stati
mandati.
Per cui non hanno interrogato il Battista col
desiderio di conoscere meglio il suo messaggio, e tanto meno si sono assunti la
responsabilità di dire se esso era vero o non vero. Ad essi non interessava,
perché ad essi interessava solo poter riferire qualcosa all’autorità che li
aveva inviati.
Qui è chiaro che non avevano Dio come
Autorità, perché non avevano presente la volontà di Dio. Dio vuole la
convinzione personale, l’interesse personale per la Verità, l’impegno personale
con Essa. Questi Farisei invece interrogavano a nome di altri.
È per questo che Giovanni Battista,
rispondendo alla loro domanda, li richiama alla vera ed unica Autorità,
dicendo loro: “Ecco perché battezzo! Perché vi è tra voi Uno che voi
non conoscete e che state trascurando”.
E, nel versetto che segue (v. 27), precisa chi
è quest’Uno: ”Egli verrà dopo di me pur essendo prima di me e di cui non
sono degno di sciogliere il legaccio dei calzari…”. Queste parole
rivelano la consapevolezza che il Battista aveva della grandezza e superiorità
del Cristo.
Già prima (Gv 1, 15) gli aveva reso
testimonianza dicendo: “Questi è Colui che vi ho annunziato così: Colui che
viene dopo di me è più grande di me, perché era prima di me"; e in
seguito dirà: “È necessario che Lui cresca e che io diminuisca”(Gv 3,
30).
Quindi: “È Lui la vera Autorità che mi
manda a battezzare, a predicare la giustizia, affinché Lo possiate
conoscere!”.
Ecco, è Dio stesso (l’unica Autorità dalla
quale tutte le altre dipendono) che muove Giovanni a battezzare, affinché Lo
possiamo conoscere. Per cui se uno non accoglie questo battesimo di giustizia e
di conversione, questo richiamo del Battista a fare attenzione a Dio, rivela di
rifiutare, di non riconoscere l’Autorità dalla quale il Battista è mandato:
sostanzialmente rivela di non avere interesse e amore per Dio.
Questo insegna a noi che se non abbiamo dentro
di noi come criterio di autorità il Pensiero di Dio (poiché è Lui l’unica
Autorità che va messa prima di tutto), cioè se non abbiamo presente il Pensiero
di Dio (e averlo presente vuol dire, appunto, averlo come “prima di tutto”), e
quindi se non ascoltiamo il Verbo interiore, non possiamo riconoscere
l’autorità della Parola di Dio che ci arriva dall’esterno, perché
necessariamente portiamo dentro di noi altri pensieri, altri interessi, in base
ai quali giudichiamo ogni cosa, dando valore e autorità solo a ciò che
corrisponde al nostro “prima di tutto”.
Infatti il criterio di autorità è sempre
una sintesi di due fattori: uno interiore ed uno esteriore; ma è sempre l’elemento
interiore, ciò che portiamo in noi prima di tutto, che prevale e ci
fa o non ci fa attribuire valore, e quindi autorità, a ciò che ci giunge
dall’esterno.
Noi diamo autorità a ciò che ci interessa
prima di tutto e prendiamo
dei grandi abbagli se il nostro prima di tutto non è Dio, perché uscendo dal
criterio oggettivo di autorità che è il “Dio prima di tutto”, cadiamo
nel soggettivismo.
È la lezione che ci viene da questi Farisei, i
quali non solo non riconoscono la validità della parola di Dio che giunge loro
attraverso Giovanni, ma addirittura pretendono di giustificare il loro rifiuto,
cercando con quale autorità lui battezzi, lui predichi la giustizia. Questo
succede anche a noi quando ci siamo staccati da Dio, l’unica Autorità: allora
non possiamo più riconoscere quello che è giusto, ma possiamo riconoscere come
autorevole solo ciò che risponde al nostro interesse.
Ecco perché Giovanni battezza, cioè ci richiama alla giustizia essenziale,
alla necessità di mettere Dio prima di tutto! Appunto per evitarci l’errore
del soggettivismo e darci la possibilità di riconoscere il Cristo.
Egli richiama la nostra attenzione a questa
Presenza di Dio che è in mezzo a noi, in noi e che noi non conosciamo, perché
solo quando La mettiamo al centro della nostra attenzione, si forma in noi
quella fame che ci prepara a quell’“indomani” in cui, come Giovanni,
anche noi potremo vedere Gesù venirci incontro e riconoscere anche noi la
Salvezza di Dio in Lui (lo vedremo nei versetti successivi: “L’indomani
Giovanni vide Gesù che veniva a lui e disse: “ Ecco l’Agnello di Dio…!”).
Infatti l’attenzione verso quest’Uno che ci è
annunciato, il Verbo interiore, il Pensiero del Padre, presente tra noi, in
noi, ma che ancora non conosciamo, è poi quella giustizia essenziale, che è la
premessa, la condizione per poter riconoscere il Cristo esterno, che è in
mezzo a noi e che non conosciamo. Ne è la condizione, perché Egli stesso
dice: “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre, se non ascolta
il Padre”. Sarà il Cristo poi che ci porterà alla conoscenza di quel Dio
che è presente in noi, non ancora conosciuto da noi, e quindi alla nostra
Pentecoste.
Questi versetti ci portano ancora ad un‘altra
riflessione: siccome Giovanni Battista è l'ultimo dei Profeti, in lui
abbiamo la sintesi di tutto l'Antico Testamento, cioè di tutti i fatti e di
tutte le creature, e quindi anche la rivelazione di ciò che tutte le
creature sono e ciò che tacitamente ci dicono e dell’atteggiamento che
dobbiamo avere verso di esse.
Per cui questa lezione di Giovanni Battista ci
fa capire che:
·anche tutte le creature sono voci, frecce che, annunciandoci il Creatore al
quale non facciamo mai attenzione, ci orientano a Lui;
·ci fa quindi capire qual è il loro messaggio e quindi
la loro proposta. Esse ci dicono: “Non ci siamo fatte noi, è un Altro che
ci ha fatte: guarda dunque prima di tutto a quest’Altro che è in te e che tu
non conosci!”;
·in sostanza, anch’esse, orientandoci a Dio, ci
battezzano, o meglio, ci propongono il battesimo del Battista, perché
segnalandoci Colui che non possiamo ignorare perché è in noi, ma che noi
trascuriamo, ci invitano a fare attenzione a Lui, a metterlo prima di tutto.
·Quindi anch’esse ci annunciano che c’è Uno in mezzo a
noi, in noi, e che ancora non conosciamo. “In mezzo a voi c’è Uno che voi
non conoscete!”. È questo l’annuncio, il grido che sale da tutta la
creazione. Accettare il battesimo di giustizia che le creature ci propongono,
cioè riconoscere che è giusto mettere Dio prima di tutto, è la condizione per
giungere a conoscere quest’Uno, o meglio, per incontrare Colui che ce Lo farà
conoscere. Questa giustizia la possono fare tutti perché nessuno può ignorare
il Creatore e nessuno può ignorare che il Creatore è il massimo valore che va
messo prima di tutto.
·Inoltre la lezione del Battista ci fa capire che la
nostra attenzione deve essere sempre rivolta al messaggio che le creature ci
danno e non a ciò che esse sono. Esse sono soltanto dei mezzi, voci,
frecce, e Dio può farci giungere il suo messaggio attraverso chiunque, buono o
malvagio, poiché Egli parla in tutto e quindi va riconosciuto in tutto ciò che
Lui ci fa giungere.
·Infine ci fa capire che l’annuncio, la proposta che tutte
le creature ci fanno, ci rende responsabili, poiché attende da noi una
risposta, anzi, provoca in noi una risposta: un sì o un no, necessariamente,
perché di fronte ad una proposta non possiamo non rispondere.
Concludendo: poiché tutto è opera di Dio, tutto ciò che giunge a noi
è “parola di Dio” e, come tale, ci rende responsabili, perché la parola ci
propone sempre il pensiero di Colui che parla e quindi ci sollecita a dare una
risposta, provocando in noi adesione o rifiuto. In tal modo giudica noi,
poiché ci costringe a rivelare ciò che portiamo nel cuore prima di tutto: o il
Pensiero di Dio o il pensiero del nostro io (“…perché siano svelati i
segreti dei cuori” - Lc 2, 35).
Se abbiamo in noi come nostro “prima di tutto”
il Pensiero di Dio, il Verbo interiore, se cioè accogliamo il battesimo di
giustizia che ci invita a far attenzione a Colui che è in noi, in mezzo a noi e
che ancora non conosciamo, allora tutte le cose (anche quelle che
apparentemente sembrano negative, poiché sono anch’esse “parola di Dio”) ci
sollecitano a camminare verso Dio, perché suscitano in noi il desiderio di
giungere a conoscerlo.
Quando però non abbiamo il Pensiero di Dio
prima di tutto, siamo necessariamente, automaticamente, nel pensiero del nostro
io, abbiamo cioè in noi come
nostro “prima di tutto” il pensiero del nostro io.
E allora, leggendo tutto in questa chiave,
travisiamo tutto, per cui
tutto ci devia. Succede quindi che se anche incontrassimo tutti i giorni il
Cristo, anche se sentissimo parlare di Lui tutti i giorni, noi non Lo possiamo
riconoscere e non Lo potremo riconoscere mai, anzi Lo rifiutiamo. Però la
nostra responsabilità è a monte.
Da qui l’importanza della giustizia
essenziale, cioè del battesimo di giustizia (dice infatti il Battista: “Battezzo,
per darvi la possibilità di giungere a conoscere Colui che è in voi, in mezzo a
voi e che voi non conoscete”), per non cadere in questi errori di
valutazione e poter così incontrare, riconoscere e seguire il Cristo che ci
porterà alla conoscenza del Padre.
Pensieri tratti dalla registrazione della conversazione:
Eligio: Da quanto hai detto, mi rendo conto di quanto sia
profonda la risposta che il Battista ha dato alla domanda dei Farisei (”Perché
battezzi?”), risposta che oltre ad indicare Colui che lo autorizza a
battezzare, rivela anche lo scopo del battesimo: “battezzo, perché vi è tra
voi Uno che voi non conoscete…, affinché possiate giungere a conoscerlo”,
richiamando così la loro attenzione al Maestro interiore che essi stavano
trascurando.
Ma prima di approfondire ulteriormente questa
risposta del Battista, vorrei soffermare ancora un attimo l’attenzione sul
fatto che questi Farisei che lo interrogano sono degli “inviati”. Il
Vangelo lo ha precisato prima: “Ora, quegli inviati erano Farisei” (v.
24). Siccome si avvicinano a lui solo in qualità di "inviati",
evidentemente, come già hai fatto notare più volte, questi Farisei non sono
persone animate dal desiderio di Dio, dalla ricerca personale di Verità. Ora
volevo chiedere questo: come potremmo spiritualmente collocare la posizione di
queste persone? Indubbiamente essa non può essere gradita a Dio; però non
sembra neanche contraria a Lui in quanto essi interrogano (anche se a volte uno
interroga magari solo per tacitare la coscienza, dal momento che tutti sentiamo
questo bisogno di Verità, e non perché si abbia interesse verso di Essa) …
Luigi: Penso che questa loro posizione non sia gradita a Dio,
proprio perché essi non rivelano interesse personale per la Verità, ma anzi
rivelano di essere succubi di un’autorità che li ha mandati. In tal modo
mascherano il proprio disimpegno nei confronti della Verità dietro l’alibi di
un’autorità.
Questo non è gradito a Dio. Infatti noi
vediamo che a Pilato che aveva chiesto a Gesù: “Sei Tu il Re dei Giudei?”,
Egli rispose: "Ma questo lo dici da te stesso o perché altri te lo
hanno detto?" (Gv 18, 34).
Vedi, noi abbiamo l'uomo che interroga per
bisogno proprio e abbiamo l'uomo invece che interroga soltanto perché è
l'ambiente che lo porta ad interrogare (o perché sollecitato dagli altri, o
perché è la moda, o per salvare la propria figura, ecc.), ma non perché ne
senta l’esigenza. Ora invece quello che conta in un’interrogazione è sempre
l'espressione personale, il bisogno, l’interesse personale.
Eligio: Però se uno rivolgesse domande a Gesù o a un suo inviato
solo perché è di moda o per salvare la propria figura, questo mi sembrerebbe
moralmente ancora più grave.
Luigi: Ma è proprio l’errore che fanno questi Farisei che,
succubi dell’ambiente dal quale dipendono, gli hanno detto: "Tu che
cosa dici di te, affinché possiamo rispondere a coloro che ci hanno
mandato?" (v. 22). Quindi a loro interessa poco ciò che Giovanni
dice. Il loro interesse è:“…affinché noi possiamo rispondere a coloro che…”.
Evidentemente qui abbiamo degli uomini che
devono compiere un mandato e quello che a loro interessa è soddisfare questo
mandato. Cioè sono uomini che sono espressione degli altri, sono in funzione
degli altri, sono strumentalizzati dagli altri, dalle loro autorità, per cui quello
che importa per loro è la figura davanti agli altri, davanti alle loro
autorità.
Qui non abbiamo l'uomo genuino, non abbiamo
l'uomo che cerca personalmente, che si impegna personalmente.
Quindi tutte le volte che noi facciamo
qualche cosa per soddisfare gli altri, come per esempio l’andare in Chiesa
(perché si può anche frequentare la Chiesa per gli altri!), noi apparteniamo
a questa classe di Farisei: classe che non vive genuinamente la ricerca di
Dio, non sente personalmente questo problema, ma recita. Cioè non ha il
problema di Dio! Il loro problema è un altro. Qui recitano un problema che non
è loro!
Allora, tutte le volte che noi viviamo in
funzione degli altri, per la figura davanti agli altri, davanti alle autorità,
anche religiose, per il nostro onore davanti al mondo, ecc., noi recitiamo
un problema che non è nostro: un problema cioè che non è sincero, non è
vivo, non è personale, non è genuino, e che quindi non ci impegna personalmente
nell'amore alla Verità. E allora si è fuori.
Eligio: C'è quindi in questi Farisei un'assenza totale di amore
alla Verità e di interesse verso quello che dice il Battista o verso la sua
funzione.
Luigi: Ad essi quello che interessa è poter assolvere il
mandato, cioè rispondere agli altri. Quindi non hanno un amore personale alla Verità,
un proprio interesse, non hanno una vita personale. Ma nella società, nel mondo
purtroppo si vive tutti così, cioè si recita…
Ecco allora che il Battista li richiama
all’essenziale, ad un rapporto autentico e personale con la Verità, orientando
la loro attenzione verso la vera Autorità che essi stavano trascurando: “ Io
battezzo nell’acqua, perché sta in mezzo a voi Uno che voi non conoscete, che
verrà dopo di me pur essendo prima di me e di cui non sono degno di sciogliere
il legaccio dei calzari”, giustificando così il movente e il fine del
battesimo che egli predicava.
Eligio: Dato che siamo noi i personaggi qui rappresentati,
quand’è che il nostro atteggiamento può essere assimilato all’atteggiamento di
questi Farisei?
Luigi: Tutte le volte che noi viviamo per sentito dire o che
viviamo per recitare una certa figura davanti agli altri, noi facciamo
questa parte qui.
Eligio: Ma per giunta costoro recitano una parte ancora più
brutta, perché sono dei mandatari di gente che non è benevola nella valutazione
del Battista e che è in mala fede nei suoi confronti.
Luigi: Questi inviati sono dipendenti da un’autorità,
sono Farisei, e per loro l'autorità ufficiale è quella dei Sacerdoti.
Evidentemente sono persone che hanno fatto già una scelta, che appartengono a
quel determinato gruppo, a quella determinata società, e quindi vivono in
funzione di quella.
È per questo motivo che il Battista nel
rispondere alla loro domanda si appella ad un criterio di autorità diverso, dicendo che chi lo muove e lo autorizza a
battezzare è Colui che sta in mezzo a loro e che loro non conoscono: “Io
battezzo nell’acqua perché vi è tra voi Uno che voi non conoscete”,
richiamando la loro attenzione a quest’Uno.
Eligio: Quindi noi siamo assimilati a questi Farisei quando
operiamo scelte in funzione di altri, senza avere delle convinzioni proprie.
Luigi: Certamente! Ad esempio, quando, facendo parte di un
gruppo, ci comportiamo secondo quel gruppo o quell'associazione, anche
religiosa, senza avere una convinzione personale e senza assumerci
personalmente una responsabilità propria. Allora uno non vive il problema
personalmente, non vive di una vita propria, mentre invece, direi che il
Signore ama tremendamente le persone singole, le persone che vivono
personalmente, che si assumono personalmente la responsabilità di un amore.
Guarda, ad esempio, come ha impostato Lui la
sua esistenza, come è calato nella società: ha superato ogni schema o modo di
pensare comune! Infatti Lui è Sacerdote, ma si è messo fuori di tutta la classe
sacerdotale. Eppure se c’è un Sacerdote è Lui! Tu pensa: Lui non è della classe
dei Leviti, non ha nessun documento da presentare come Sacerdote, ed è il vero
Sacerdote! È Lui l'Autore della Legge, e poi entra in conflitto con la Legge,
appare addirittura come un ribelle alla Legge, a tutte le norme della Legge,
mentre invece in realtà Lui è venuto a portare a compimento la Legge.
Come vedi, abbiamo in Cristo una vita che è
nettamente individuale, personale, per cui Egli ama soprattutto quelle persone,
come gli Apostoli e i discepoli, che si assumono, prendono su di sé la
responsabilità di una scelta davanti a Dio, anche se è contro quella che è
l'autorità.
Ed è poi lì (ed è bellissimo!) che Egli ti
sceglie: proprio quando magari gli altri ti mandano via! Ad esempio, il
cieco nato: proprio quando è ripudiato dalla Sinagoga, il Signore lo accoglie e
gli si rivela. Prima lo guarisce dalla sua cecità; quando però gli altri lo
scacciano, allora Lui gli si rivela. Infatti quando il cieco guarito, cacciato
dalla Sinagoga, gli chiede, sollecitato da Gesù stesso: “E chi è il Figlio
di Dio, perché io creda in Lui?”, Gesù gli risponde: “Colui che parla
con te”.
Ecco perché nel discorso della montagna Gesù
dice: "Beati voi quando sarete perseguitati, quando il mondo dirà male
di voi, ecc.!" (Mt 5, 11). Infatti Lui raccoglie non coloro che sono
secondo il mondo, ma coloro che sono opposti al mondo.
In effetti Egli non asseconda l'autorità
del mondo, ma, direi, è contro l'autorità, così com’è contro addirittura a
quelli che sono i criteri normali del nostro modo di vivere (vincoli di
parentela, sentimenti, interessi, anche i criteri dei rapporti familiari,
ecc.), perché vuole che ognuno si assuma una responsabilità personale e impari
a non lasciarsi mai motivare dai sentimenti o legami di parentela… (“Chi ama
suo padre o sua madre più di me non è degno di Me… Chi è mia Madre? Chi sono i
miei fratelli?…). Con Cristo c’è la responsabilità personale, perché si
tratta di vivere un amore.
Eligio: Più che contro l’autorità: direi che Gesù è contro una
certa autorità, perché se c’è stata una piccola associazione o raggruppamento
la cui autorità nessuno ha mai discusso è stata quella di Gesù e dei suoi
Apostoli.
Luigi: Sì, ma la sua autorità è un'autorità molto diversa da
quella del mondo: non è più l’autorità secondo la legge, ecc. Abbiamo visto
nell’argomento precedente che l'autorità del mondo è quella che opera
dall'esterno e impone, mentre la vera autorità, l'autorità di Gesù, è
l’autorità della Luce, quindi l’autorità che illumina, che convince, per cui
serve l'uomo nel suo bisogno di Verità; non lo costringe dall’esterno, ma
lo convince, quindi illumina l'anima; tanto che gli dicono: "Nessun
uomo ha mai parlato come Te" (Gv 7, 46). "Tu solo hai parole
di vita eterna" (Gv 6, 68).
Quindi, ecco, l'autorità di Gesù è molto
diversa dall’autorità che c'è nel mondo. L'autorità che c'è nel mondo impone
e s'impone in quanto: “Io ho un certo posto e quindi comando, mi faccio
ubbidire; e verso colui che mi disobbedisce ho il potere di farmi ubbidire”.
Non è questa l’autorità di Gesù!
Eligio: Che Cristo sia contro una certa autorità statuale, del
mondo, questo lo capisco. Ma parlando in termini di autorità religiosa, Cristo
stesso ha conferito a Pietro un’autorità e questa ha pure un suo valore.
Luigi: Sì, ma siamo sempre in quel campo lì! Infatti Gesù dice:
"Tra voi non sarà così" (Lc 22, 26). Perché nel mondo
l'autorità si svolge in questi termini: chi è più in alto fa servire colui che
è più in basso. Però Gesù dice: "Tra voi non sarà così", perché
l’autorità deve essere a servizio della Verità. Quindi chi è più in alto
deve servire colui che è più in basso (“I capi delle nazioni, voi lo sapete,
dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà
essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro
servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo;
appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per
servire e dare la sua vita in riscatto per molti” – Mt 20, 25-28).
Quindi l'autorità che Lui conferisce è la
Sua stessa autorità: “Ciò che legherete sulla terra sarà legato anche
nel Cielo e ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche nel Cielo”.
Questo “legare” e questo “sciogliere” è la Sua stessa autorità
(cioè l’autorità della luce, l’autorità che serve il bisogno di luce che c’è
nell’uomo), con la quale o si illumina o non si illumina: per cui se tu illumini,
l'altro resta illuminato, ma se tu non illumini, l'altro non resta illuminato.
Per questo diciamo che è la Verità che fa
l’autorità, non è l’autorità che fa la Verità (cioè una cosa non è vera perché
te la dice una certa autorità; ma è la cosa vera che conferisce autorità a chi
la dice).
La vera Autorità è Dio, è la Verità, la Luce,
per cui ogni altra autorità dipende da Essa e deve servire la Verità. Quindi
quella che conferisce Gesù è un’autorità di servizio: il servizio della luce.
Eligio: Quindi non è certamente un'autorità farisaica!
Luigi: No, tutt’altro! È tutt’altra autorità! Che poi dopo,
storicamente, si sia attuata in altro modo, questo è un'altra cosa, perché
l'uomo è quello che è. Però come criterio vale l'autorità affermata da Gesù:
chi è più in alto deve servire colui che è più in basso.
Ma cosa vuol dire servire? Vuol dire servire
l'uomo. E come si serve l’uomo?
"Tutti coloro che sono venuti prima di Me
sono ladri ed assassini"
(Gv 10, 8), dice Gesù, perché rubano all'uomo, strumentalizzano l'uomo, rendono
schiavo l'uomo. Ma: "Tra voi non sarà così". Perché? Perché Lui
manda i suoi discepoli a liberare l'uomo. Liberare l'uomo vuol proprio
dire illuminarlo.
Il vero concetto di battesimo, l’abbiamo visto la volta scorsa, è proprio
il concetto di illuminazione: immersione nella parola di Dio, quindi
immersione nella giustizia; è orientamento (“Metti prima di tutto Dio”);
e, lo vediamo qui, è richiamo a Colui che è in noi, in mezzo a noi e che noi
non conosciamo (“battezzo, perché in mezzo a voi vi è Uno che voi non
conoscete”); quindi è servizio.
A questo punto, noi capiamo molto bene la
missione che Lui affida ai suoi Apostoli quando dice loro: "Andate nel
mondo, e battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo",
cioè illuminate gli uomini nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. Illuminate, cioè fate conoscere loro il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo, immergeteli in questa Realtà, in questa Verità, perché quello è ciò che
libera l'uomo!
L'uomo è schiavo, quindi si offre ad essere
strumentalizzato, in quanto non tocca Dio, in quanto non vede Dio: è la
lontananza da Dio che lo rende schiavo, come è la lontananza dall'acqua fresca
che costringe l'uomo a bere in una pozzanghera. Così quando l'uomo non tocca
Dio, si rende schiavo di tanti altri dèi: denaro, violenza, interessi vari,
ecc..
Quindi come si fa allora a liberare l'uomo?
Soltanto donandogli Dio, donandogli la possibilità di conoscere Dio, facendogli
vedere la Verità di Dio, la Presenza di Dio, perché dando la possibilità
all'uomo di toccare Dio, lo si libera. Quindi è vero servizio questo: il
servizio avviene dall'interno, nell’interno.
Si serve l'uomo in quanto lo si orienta al
fine, gli si dà un senso della vita, gli si dà la possibilità di toccare Dio.
Quindi l’autorità che Gesù conferisce ai suoi
discepoli è un servizio all’uomo con due compiti:
·prima di tutto deve orientare l’uomo a Dio, quando questi
è disorientato: il più
grande servizio che si possa fare a chi non sa la strada è quello di indicargli
la strada.
Ora, la maggior parte degli uomini non sa per
che cosa vivere. Quindi il primo servizio è quello di indicare loro la meta,
la strada.
È quanto fa qui Giovanni Battista, la cui
missione è quella di ignorare se stesso per segnalare un Altro: "Ecco,
vi è tra voi Uno che voi non conoscete, che verrà dopo di me, pur essendo più
grande di me, perché era prima di me…”.
E l’essenza del suo battesimo sta appunto in
questo orientamento, in questo invito a fare attenzione a Dio, a mettere prima
di tutto Colui che va messo prima di tutto, perché Lui è prima di tutto, è il
valore più grande.
·Il secondo servizio è quello di aiutare gli uomini ad
arrivare alla meta segnalata
(perché può darsi che lungo la strada uno trovi degli intoppi o altro...):
questo è poi quel “pulirsi vicendevolmente i piedi” dalla polvere del
mondo, a cui ci invita Gesù nell’Ultima Cena, perché vivendo nel mondo, a
contatto con il mondo, è facile raccogliere polvere del mondo….
Quindi il vero servizio è quello di aiutare
l'uomo a procedere verso la meta: più l'uomo si avvicina alla meta, più conosce
la Verità e la Verità lo fa libero. Allora naturalmente qui abbiamo un
potenziamento dell'uomo, perché più l'uomo si avvicina a Dio, più l'uomo viene
potenziato come persona, come conoscenza, come verità, quindi come capacità
d'amare.
Ecco allora, lì abbiamo il vero servizio.
Per cui coloro che hanno orientato l'uomo a
scoprire la meta, e l’hanno aiutato a camminare verso questa meta, saranno
immensamente ringraziati dagli altri uomini che sono stati serviti in questo
modo. Mentre invece coloro che hanno fatto servire gli uomini ad altri scopi,
all'ultimo saranno maledetti da questi uomini. Perché questi uomini, vivendo
per altri scopi, troveranno la loro angoscia, la loro morte, il vuoto, la
nullità della vita e allora diranno: "Maledetto colui che mi ha avviato su
questa strada!".
Ecco, allora, il vero servizio! Il vero
servizio si scoprirà alla fine! Perché? “Perché tu mi hai aiutato a
conoscere il Signore, e nella conoscenza del Signore io ho trovato la vita,
quindi ti ringrazio, perché mi hai aiutato in questo!”
Questo vuol dire servire l'uomo! Servire
l'uomo vuol dire aiutarlo. Cristo è venuto per servire l'uomo, ma non per
servirlo nel senso che l'ha guarito dalle sue malattie fisiche e naturali.
Infatti Lui non ha guarito tutti (poiché le guarigioni fisiche sono solo segno
delle guarigioni spirituali che Egli vuole operare) e si è sempre rifiutato di
fare il miracolo per il miracolo; prima di farlo Egli chiedeva la fede, perché
il vero servizio è un altro: “Io sono venuto per servire le anime e condurle
alla vita eterna”.
Quindi Cristo è venuto:
·innanzitutto per orientare l'uomo, dicendogli: “Cerca prima di tutto il
Regno di Dio!" (ricollegandosi con il Battista e riprendendo il suo
messaggio di conversione alla giustizia essenziale: “Convertitevi, fate
penitenza, perché il Regno di Dio è vicino”), invitandolo a subordinare
ogni altra cosa a questo;
·e soprattutto per aiutare l'uomo a realizzare questa meta, dicendogli: "Va’, vendi tutto quello
che hai, dallo ai poveri, poi vieni e segui Me!" . Se l’uomo Lo segue,
Cristo lo aiuta a realizzare la meta portandolo a conoscere il Padre e
quindi alla vera libertà. Infatti nella conoscenza del Padre l'uomo
acquista dentro di sé la conoscenza della Verità, quindi la conoscenza stessa
di Dio, per cui incomincia ad essere libero da tutte le potenze del mondo,
perché ha la certezza in se stesso di ciò che è vero (“La Verità vi farà
liberi”, promette Gesù).
Questa è la vera autorità, cioè il vero
servizio, nel suo duplice compito, verso gli uomini.
Eligio: Quand’è che è legittimo da parte di chi cerca la Verità
chiedere a chi l’annuncia a quale titolo lo fa e quand’è che invece tale
domanda è viziata come quella dei Farisei? Quand’è cioè che noi, facendo
tali domande, entriamo nella categoria dei Farisei?
Luigi: Osservando quello che è avvenuto qui con Giovanni
Battista, dobbiamo dire che noi entriamo in questa categoria non autentica, tutte
le volte che chiediamo un documento per ascoltare la parola di Dio, cioè
tutte le volte che la parola di Dio non è sufficiente da sola. Infatti noi
vediamo che qui prima chiedono: "Chi sei?", invece di
interessarsi del messaggio.
Eligio: Allora la Parola di Dio dovrebbe essere sufficiente da
sola...
Luigi: La Parola di Dio è sufficiente da sola: la Parola di
Dio ha in sé stessa l'autorità. Invece, ecco l’errore che noi facciamo: noi
crediamo di essere noi a giudicare la Parola condizionandola, sottomettendola a
dei documenti, a delle autorità, ecc., e non ci accorgiamo che la Parola come
giunge a noi, giudica noi, in quanto, costringendoci ad una risposta, rivela
il nostro cuore, rivelando il nostro prima di tutto. Noi siamo giudicati
dalla Parola di Dio che giunge!
Quindi non siamo noi che giudichiamo la Parola. Facciamo un errore grosso quando pensiamo di
dover noi giudicare la Parola! L’accoglienza di essa non va quindi condizionata
alla persona che la dice.
Pinuccia B.: Per
cui la Parola di Dio va accolta indipendentemente dalla condotta della persona
che ce la dice?
Luigi: Indipendentemente dalla condotta della persona o da
quello che è la persona, perché quello che interessa è il messaggio. Qui
è evidentissimo con Giovanni Battista che dice: "Io non sono il Messia,
io non sono Elia, io non sono un profeta..." , e lo era!
Certo, non era il Messia, ma era un Elia, era
un profeta, il più grande dei profeti. Ma risponde di no, perché essi non
debbono credere alla parola che lui dice per l'autorità con cui lui si
presenta, ma per l’autorità che la Parola di Dio ha in se stessa.
E se invece noi andiamo alla ricerca di un
criterio diverso, vuol dire che noi non apparteniamo a Dio, non siamo genuini.
Pinuccia B.: Però
è pur vero che urta sentire parlare di Dio da una persona che non si comporta
coerentemente con quanto dice.
Luigi: Non è la persona che dobbiamo guardare, ma il messaggio
che giunge a noi attraverso di essa, perché noi dobbiamo sempre tener
presente Dio: in tutte le cose c'è Dio!
Infatti qui ad un certo momento Giovanni dice:
"Vi è tra voi Uno che voi non conoscete!": ecco
il motivo e il fine per cui lui parla, il motivo e il fine per cui lui
battezza!
"Perché tu battezzi?", gli avevano chiesto. “Io battezzo
nell’acqua, perché vi è tra voi Uno che voi non conoscete”, risponde. È
quest’Uno che lo muove a battezzare! Ed è per dare la possibilità di far
conoscere quest’Uno che lui battezza!
Ora quello che la creatura deve tener sempre
presente è Dio, Colui che parla, poiché Dio parla in tutto.
Dio parla nel delinquente, parla nel bambino,
parla nell'anziano, parla nel malato, parla nel sano, parla nell’autorità...; in
tutto è Lui che parla. Ecco: "Vi è tra voi Uno che voi non
conoscete!".
Pinuccia B.: Dio
non parla necessariamente con parole; quindi anche il comportamento di una
persona incoerente è un linguaggio da capire...
Luigi: Anche quel comportamento è un linguaggio, ed è un
messaggio. Ma noi dobbiamo prendere tutto dalle mani di Dio per poter vedere
tutto come messaggio di Dio.
Pinuccia B.: Quindi
non dobbiamo mai giudicare, poiché anche la coerenza o incoerenza di una
persona è un messaggio da capire…
Luigi: Tutto è messaggio di Dio, per cui non si deve mai
giudicare nessuno.
Ma noi dobbiamo tener presente Dio, perché solo
se abbiamo presente Dio non giudichiamo, ci accorgiamo che tutto è un messaggio
e ci comportiamo bene.
In caso diverso noi andiamo alla ricerca di
altri motivi per accogliere o rifiutare quello che Dio ci manda. Per cui se chi
parla è molto in alto, diciamo: "Ah, l'ha detto il tale, quindi la sua
parola è valida”; se invece chi parla è un poveraccio, anche se ha detto la più
grossa verità di questo mondo, noi non ne teniamo conto, perché è un
poveraccio!
No! Dio parla in tutto, e la sua Verità me
la può far giungere attraverso la voce del più piccolo dei bambini. E il
Signore un giorno mi potrà dire: "Ma Io ti avevo parlato e tu non hai
ascoltato! Come mai non hai ascoltato?". "Ma, Signore, era un
bambino!". E Lui dirà: "Ero Io!" (Mt 25, 35). E noi cosa
potremo dire?
Noi dobbiamo metterci in condizione di poter
sempre dire: "Signore, io Ti ho riconosciuto in tutto ciò che Tu mi hai
fatto giungere!”, e mai di dover dire: "Signore, era impossibile che Tu mi
parlassi in quel delinquente!". No, perché Lui ci dirà: “Ero Io!”.
E noi cosa potremo dire quando Lui ci dirà: “Ero Io!”? Ora Lui
certamente opera in tutto, la sua mano è in tutto...
Pinuccia B.: Questo
è collegabile con la frase di Gesù: “Fate quello che vi dicono, ma non fate
quello che fanno…”(Mt 23, 3)? Perché dicendo questo Gesù distingue la
parola dal comportamento di chi la dice.
Luigi: Sì. Comunque l'importante è tener presente questo:
che in tutte le cose che giungono a noi c'è la mano di Dio, quindi c’è un
messaggio, e un messaggio personale. Tutte le cose sono messaggi. In quanto
sono messaggi, noi ogni cosa la dobbiamo ricevere come messaggio di Dio. Non
interessa chi la dice, non interessa!
Per questo Giovanni Battista qui in parole
povere dice a coloro che lo interrogano: "Non vi deve interessare quello
che sono io! Io sono uno qualunque! Non vi deve interessare! E se voi accettate
la Parola di Dio soltanto perché io sono un austero, perché io faccio dei
sacrifici, perché io sono un profeta, ecc., la mia parola non è valida in voi,
non opera nulla in voi”.
E già, perché, se così fosse, costoro
l'accetterebbero soltanto perché è detta da un uomo che si presenta in quel
modo! E questo non sarebbe amore alla Verità.
Quindi quello che veramente conta, quello
che veramente importa, non è il mezzo attraverso cui ci giunge, ma è la Parola
di Dio che parla in tutto.
Pinuccia B.: Ogni
parola che ci giunge bisogna quindi confrontarla con il Maestro Interiore.
Luigi: Certo, perché accettare il battesimo di giustizia è
proprio fare attenzione a Colui che è in noi (è il richiamo del Battista: “Io
battezzo nell’acqua, perché vi è tra voi Uno che voi non conoscete”), al
Verbo interiore, riferendo tutto a Lui, altrimenti necessariamente sbagliamo,
cadendo nel soggettivismo. Infatti, come già abbiamo detto, il criterio di
autorità in noi, anzi, il concetto di autorità, che è un concetto di valore, è
espressione di due termini:
·uno, quello esterno, è quello che arriva a noi,
·e l'altro, quello interno, è quello che parte da noi.
Cioè noi diamo autorità non a quello che
arriva obiettivamente con autorità, ma a seconda dell'interesse che abbiamo in
noi.
Siccome diventiamo figli delle opere nostre,
allora se io comincio a fare una certa cosa e mi giunge qualcosa che riguarda
questo mio interesse, dico: "Ah, questo è importante!”. E già, perché
riguarda una cosa che sto facendo io! Allora ecco il criterio di autorità che
salta fuori! A seconda di quello a cui io mi interesso, attribuisco autorità o
meno a ciò che mi arriva.
Allora, siccome ci sono questi due termini, per
uscire da questa nostra soggettività ed entrare nell'obiettività bisogna avere
presente il Pensiero di Dio in noi come prima di tutto.
Solo se abbiamo presente il Pensiero di Dio,
allora riconosciamo le opere di Dio fuori e diamo il vero criterio di autorità
alle cose.
Se invece in noi non c'è il Pensiero di Dio
messo in alto, senza renderci conto, attribuiamo noi autorità alle cose o
persone. Ecco, siamo noi che giudichiamo e sbagliamo completamente. Giudichiamo
quello che arriva a noi, mentre invece quello che arriva a noi giudica noi,
perché ci fa rivelare quello che abbiamo nel cuore.
Ecco perché Gesù dice: "Se non avessi
parlato non sarebbero in colpa, ma dal momento che ho parlato, qui nasce la
colpa dell'uomo" (Gv 15, 22).
Ora, Dio parla in tutto e, in quanto parla
in tutto, si fa pensare. Infatti noi sappiamo che tutte le cose non siamo
noi a farle. Ecco che già abbiamo la presentazione dell'Autore di tutte le
cose! Quindi Dio si fa pensare, parlando.
La Parola giunge a noi e, in quanto giunge,
s'impone su di noi. Ora, in quanto si impone, noi immediatamente dobbiamo
dare una certa risposta, perché ogni parola che arriva a noi ci propone un
argomento.
La Parola di Dio ci propone Dio.
Allora, se noi siamo semplici come bambini, sentendo
la Parola di Uno, guardiamo quell'Uno; se noi invece siamo complicati, cioè se
abbiamo già dentro di noi altri argomenti, altri interessi, sentendo la Parola
di Uno, non guardiamo più quell'Uno, ma guardiamo a noi, a quello che in quella
cosa a noi interessa o non interessa.
Quindi la Parola di Dio che giunge a noi, se
trova in noi l'animo semplice, fa nascere in noi il pensiero di Dio, il
pensiero di Se Stesso, perché la Parola di Dio ci fa pensare Lui (poiché
è Lui che parla). Ma se siamo semplici!
Allora, accogliendo tutto da Dio e
raccogliendo tutto nel Pensiero di Dio in noi, e quindi seminando in noi il
Pensiero di Dio, noi cominciamo a guardare le cose secondo il Pensiero di Dio,
per cui tutte le cose e tutte le parole che giungono a noi, non le valutiamo
più nel pensiero del nostro io, ma sempre nel Pensiero di Dio. Allora qui
abbiamo la creatura semplice che si edifica, o meglio, la cui vita viene
edificata da Dio, perché, siccome Dio parla in continuazione, se tutto quello
che arriva a noi da Dio viene ricevuto in noi nel Pensiero di Dio, avviene che
è Dio che costruisce in noi la vita.
Eligio: Ricevere le cose nel Pensiero di Dio e ascoltare il
Maestro Interiore che ci dà la possibilità di riconoscere la Verità che ci
viene dall'esterno, è la stessa cosa?
Luigi: Sì, perché il Pensiero di Dio in noi è il Maestro
interiore. Non è un pensiero nostro, ma è il Pensiero “di” Dio, Persona Divina.
Però bisogna infatti che questo Maestro interiore sia ascoltato da noi, e
perché sia ascoltato bisogna che ci sia in noi il Pensiero di Dio messo in
alto.
Dobbiamo quindi accogliere questo invito del
Battista a fare attenzione a Colui che è presente in noi (“Vi è tra voi Uno che non conoscete!”)
e quindi accogliere il battesimo di giustizia da lui predicato. Questa è
la condizione per riconoscere il Cristo esterno che è tra noi.
Comunque, sia che ascoltiamo il Maestro
interiore, sia che non Lo ascoltiamo, la Parola che giunge a noi, giudica noi
in quanto ci propone l'argomento di Dio, per cui nella nostra risposta
riveliamo il nostro cuore. Se abbiamo altri interessi, noi in un modo o
nell'altro, secondo la risposta che diamo, restiamo giudicati. Ecco perché Gesù
dice: "Se Io non avessi parlato, non avreste colpa, ma siccome ho
parlato…". Cioè chi rende noi responsabili è la Parola che arriva a
noi, perché la Parola di Dio, arrivando a noi, ci propone…. Ma che cosa ci
propone?
La parola è sempre un segno del pensiero di
colui che parla; quindi la parola che giunge a noi ci propone il pensiero di
colui che parla. In quanto ci propone il pensiero, provoca in noi una certa
risposta. E noi in un modo o nell'altro, una risposta la diamo. Infatti se
dico: "Non m'interessa!", ho dato una risposta. Ma io ho rifiutato
quel pensiero!
Qui capiamo perché il Signore dice: "Chi
non ascolta Me, non ascolta il Padre!". E perché dice questo? Perché
Lui è Parola del Padre! Quindi parlando a noi, propone a noi il Padre.
In quanto Lo propone, provoca in noi
un’adesione o un rifiuto.
Non possiamo farne a meno.
Cina: Si richiede quindi un ascolto continuo, continuo...
Luigi: Tutti i giorni! Altrimenti se in noi nasce un altro
pensiero, il pensiero dell'io o un nostro interesse, non vediamo più la parola
di Dio, né la sua proposta; allora la rifiutiamo perché non ci interessa, e
invece accettiamo altre cose che dovremmo rifiutare. Per cui arriviamo al punto
di uccidere il Cristo! il Cristo che è la Parola di Dio che giunge a noi.
Quindi noi uccidiamo la Parola di Dio che giunge a noi e abbracciamo altre
parole! Ecco perché tutto quello che
arriva a noi ci giudica!
Teniamo presente che in Gesù, nella Parola di
Dio che giunge a noi (Gesù è la Parola di Dio che giunge a noi), si raccoglie,
si sintetizza il significato di tutte le parole di Dio: Gesù è la pienezza dei
tempi, e Gesù muore per rivelare il segreto dei cuori (“…perché sia svelato
il segreto dei cuori...”, leggiamo in Mt 2, 35), cioè perché tale segreto
sia manifesto.
Ecco, questo ci significa che tutte le parole
di Dio che giungono a noi, provocandoci, ci fanno manifestare quello che
abbiamo nel cuore; per cui se io rifiuto di interessarmi di Dio, vuol già
dire che nel mio cuore non ho interesse per Dio, e intanto mi rivelo.
Ecco perché tutto, quindi anche il tempo che
passa, è una rivelazione dei cuori, provoca l'uomo. L’uomo è provocato
continuamente.
Allora, se l'uomo ha nel cuore Dio, tutte
le parole che arrivano a lui lo fanno avanzare nella vita di Dio, gli fanno
conoscere maggiormente Dio, perché lo sollecitano a lasciare tante cose che
passano e a raccogliere e a raccogliersi sempre di più nel Pensiero di Dio, e
quindi nella conoscenza di Dio, perché la Parola di Dio rivela Dio (Dio parla
di Sé a noi).
Ma è necessario che abbiamo in noi il criterio
della vera autorità, cioè che abbiamo messo in alto il Suo Pensiero, e bisogna
porvi attenzione, perché Lui è l'Autorità. Per poter lasciare le cose che
passano bisogna che questa Autorità sia dentro di noi, cioè che la teniamo
presente, perché Essa c’è anche se la trascuriamo. Per questo abbiamo bisogno
di essere continuamente richiamati: “… vi è tra voi Uno che voi non
conoscete”.
Se in noi è presente il Pensiero di Dio (e Lo
abbiamo presente se Lo ascoltiamo), allora noi riconosciamo tutte le parole di
Dio, e le parole di Dio ci fanno avanzare verso di Lui, perché è Dio stesso che
ci fa avanzare nella conoscenza di Sé, cioè nella vita eterna. E man mano che
avanziamo nella vita eterna, Lui ci libera da tutte le cose.
La liberazione non è il primo passo; la
liberazione viene dopo: più noi avanziamo sulle Sue parole e più noi ci
sentiamo liberi. È chiaro?
Ma qui, come ho detto, il principio in noi di
autorità, il criterio di autorità, per noi è sempre questo: il pensiero che
abbiamo dentro di noi, il pensiero che abbiamo presente.
Se non abbiamo presente in noi il Pensiero di
Dio, succede che a tutte le
parole che giungono a noi e che chiedono a noi qualcosa, noi a queste parole
chiediamo il criterio di autorità. Cioè praticamente, di fronte ad esse, noi
cerchiamo quel criterio di autorità che portiamo in noi: vogliamo vedere in
quelle parole la nostra stessa autorità, altrimenti non le possiamo accogliere.
Per cui se uno viene a me con la mia autorità,
con ciò a cui io ho dato molto valore, è raccomandato a me, è stimato da me;
altrimenti lo rifiuto: è lì l'errore!
Ecco perché questi Farisei vanno alla ricerca
dell’autorità: "Perché battezzi?". Prima chiedono al Battista chi è, e poi siccome lui
risponde di non essere ciò che essi pensavano, ma soltanto una voce ("io
sono una voce"), finiscono col chiedergli esplicitamente con quale
autorità egli battezza: "Allora perché battezzi? Chi ti ha
autorizzato?".
Essi vogliono vedere l'autorità, e invece non
capiscono che lui sta affermando un messaggio! Non colgono il messaggio (“Raddrizzate
le vie del Signore!”). È questo il loro errore! Perché quel che vale è la
Parola!
Infatti il Battista dice: "Io battezzo
nell'acqua". Ora, battezzare vuol dire immergere in un argomento
e il suo argomento era quello della giustizia: li invitava ad essere giusti, ad
essere secondo Dio, raddrizzando le vie del Signore (cioè facendo diritti
(“diretti”) verso di Lui i loro pensieri e problemi, riferendoli a Lui,
stabilendo un rapporto diretto con Lui in tutto); quindi li immergeva nella
giustizia di Dio, li richiamava a questa giustizia essenziale, a questa
penitenza, a questo capovolgimento, perché l'uomo, vivendo nel pensiero del suo
io, è ingiusto verso Dio.
Per cui il principio fondamentale di Giovanni
Battista era questo: “Metti Dio al centro del tuo cuore, al di sopra di
tutto”. Ecco, questo è il criterio fondamentale, questo è il battesimo
di giustizia. Questo è il suo messaggio: “Io sono la voce che grida…”.
Ma ai Farisei questo non interessava. Ecco
perché gli chiesero: “Perché battezzi?”, cioè: perché predichi? Chi ti
autorizza? Ecco, erano preoccupati non di capire il messaggio, ma di cercare
con quale autorità egli predicava; e non capivano, non potevano capire, che
se avessero avuto invece presente dentro se stessi il Pensiero di Dio, la vera
Autorità, avrebbero immediatamente riconosciuto la validità di ciò che il
Battista diceva .
Anche se fosse stato un uomo qualunque,
tutt'altro magari che austero, ma in quanto diceva: “Metti Dio al centro del
tuo cuore, al di sopra di tutto”, questi Farisei avrebbero dovuto capire
che ciò che diceva era vero, era valido. E invece, non tenendo presente Dio,
non lo capivano.
Ecco perché il Battista, rispondendo alla loro
domanda, li richiama all’attenzione di Colui che è in loro e che essi
trascurano: “Battezzo…perché vi è tra voi Uno che voi non conoscete!”, richiamandoli
cioè alla giustizia essenziale.
Cina: Quindi è dentro di noi che dobbiamo fare questo lavoro,
cioè collegare tutto con Dio, per poter capire secondo Dio tutto quello che
giunge a noi...
Luigi: Si capisce, è dentro di noi che dobbiamo fare questo
lavoro. Ma il principio per poter capire è il Pensiero di Dio in noi, cioè
bisogna che questo Pensiero di Dio sia presente a noi. Lui è presente, ma
dobbiamo averlo presente. Non Lo conosciamo, però non dobbiamo trascurarlo.
Cioè dobbiamo porre attenzione a questo
Pensiero di Dio in noi, altrimenti travisiamo tutto. Infatti tutto
certamente arriva da Dio a noi, ma come mai se tutto arriva a noi da Dio, poi
le cose vengono così travisate?
Cina: Ma perché non sappiamo coglierne il messaggio.
Luigi: Ma perché non sappiamo coglierlo? Perché non abbiamo
l'ascolto di Dio, non abbiamo l’attenzione a Dio, non teniamo presente il
Pensiero di Dio. Allora le cose arrivano a noi, ma noi abbiamo presente altri
pensieri (o le nostre preoccupazioni o i nostri interessi), per cui noi le
giudichiamo in questo nostro pensiero.
Ecco, come già dicevo, l'errore fondamentale:
noi riteniamo di giudicare le parole che giungono a noi (o i fatti che giungono
a noi e che sono anch‘essi parole) e non ci accorgiamo invece che sono quelle
che giudicano noi!
Per cui noi dovremmo sempre essere molto
attenti e riflettere su questo: “Tutto quello che mi giunge mi sta
giudicando!”, cioè rivela il mio cuore. E già! Perché, essendo tutto parola
di Dio, mi propone Dio sollecitando una mia risposta e, sollecitando una mia
risposta, mi rivela la mia situazione, mi sta dicendo: “Tu sei con Dio o tu non
sei con Dio”.
Per cui quella parola lì che mi giunge, che
può essere anche un avvenimento, un fatto, mi rende responsabile, proprio perché
mi provoca a dare una risposta, e la risposta è sempre secondo quello che
ho dentro di me come interesse principale. Per cui se non ho Dio come interesse
principale, sbaglio nelle mie valutazioni e quindi nelle mie risposte, per cui
magari dico: “Questo è una sciocchezza, non mi interessa!”, quando invece si
tratta di una cosa importantissima; e magari dico: “Quello è molto importante“,
quando invece è una sciocchezza che dovrei lasciar perdere.
Tu vedi quindi che siamo noi stessi che
diamo autorità alle cose, a seconda di quello che portiamo dentro di noi.
Ecco allora l’importanza della missione di
Giovanni Battista e del suo messaggio! Perché:
·in un primo tempo di lui è detto: “Non era lui la
Luce, ma venne per rendere testimonianza alla Luce” ;
·poi, quando è interrogato, lui stesso dice di non essere
né il Messia, né il Profeta e di sé dice semplicemente: “io sono una voce
che grida: raddrizzate le vie del Signore!” ;
·adesso qui conclude il suo messaggio, dicendo: “Io
battezzo nell’acqua, perché …(qui è scritto “ma”, però, come abbiamo
già detto, per precisare meglio il concetto, il “ma” va sostituito con
un “perché”), …”perché in mezzo a voi c’è Uno che voi non conoscete”:
cioè battezzo, perché è Lui stesso che mi ha mandato a battezzare (“perché”
causale), perché Lo conosciate (”perché” finale).
Quindi lo scopo del messaggio, e quindi del
battesimo, di Giovanni Battista, è quello di segnalare agli uomini Colui che è
in mezzo a loro, dentro di loro, e che loro non ascoltano. Non ascoltandolo,
fanno delle interrogazioni e valutazioni sbagliate, perché non possono
riconoscere la validità, l’autorità della Parola di Dio che giunge a loro.
Quindi lui viene a battezzare per mettere a
fuoco i pensieri degli uomini su Colui che essi portano in sé e che ignorano, o
meglio, trascurano. E questo è il
problema di tutto l'Antico Testamento.
Ma dobbiamo anche tener presente quello che
già abbiamo fatto notare, e cioè che essendo Giovanni Battista l'ultimo dei
Profeti, in lui non abbiamo soltanto la sintesi della voce di tutto l'Antico
Testamento, ma anche della voce di tutta la natura. Questo ci fa capire che tutte
le creature hanno la stessa sua funzione, perché tutte le creature ci
propongono il battesimo del Battista. Cioè tutte le creature ci dicono: “In
mezzo a te, in mezzo a voi, c’è Uno che voi non conoscete!”, cioè ci
segnalano Colui che è in mezzo a noi e che noi non conosciamo.
Ecco perché dico che tutte le creature sono
delle frecce, dei cartelli indicatori: perché ci segnalano Colui che noi
ignoriamo, Colui al quale noi non facciamo attenzione!
C'è un proverbio indiano (molto bello
per il significato) che dice: "Il saggio indica col dito la luna; lo
stolto guarda il dito del saggio!". Sembra assurdo, ma noi facciamo
quello! Tutte le creature ci indicano col dito Colui che è in noi e che noi non
conosciamo. Ce lo indicano col dito, ma noi guardiamo il dito!
Il proverbio dice che è lo sciocco che fa
questo: ecco, guarda il dito! Cioè non guarda l'oggetto segnalato, ma guarda
il cartello che lo segnala e si ferma al cartello. Il proverbio definisce
questo atteggiamento come autentica sciocchezza. Questa è sciocchezza, vera
sciocchezza! Perché l'intelligenza sta invece nel guardare l'oggetto segnalato!
Eligio: Pur tuttavia, nello stato di confusione in cui sovente
ci troviamo, mi sembra legittima la domanda rivolta al Battista: “perché
battezzi?, cioè perché predichi? Chi ti fa parlare?”, domanda che noi
rivolgiamo alle creature, ai segni di Dio. L’importante, ed è la cosa più
difficile, è fare tale domanda non con lo spirito con cui la fanno i Farisei,
ma col desiderio di capire la Verità. Infatti noi possiamo, anzi dobbiamo,
chiedere, interrogare, perché noi non abbiamo in noi la certezza, un criterio
di valutazione chiaro tale da poter dire: “Questo è da Dio”.
Luigi: Vedi, il criterio di valutazione è Dio messo al
centro dei nostri pensieri, prima di tutto. Tutti noi (tutti noi!) siamo
tenuti a mettere Dio al centro dei nostri interessi. Se noi non mettiamo Dio al
centro dei nostri interessi, siamo in colpa: "Se non crederete che Io
sono, morirete nel vostro peccato" (Gv 8, 24), perché Dio parla. Dio
parla!
Eligio: Abbiamo però idee molto confuse su Dio fintanto che non
arriviamo a conoscerlo.
Luigi: No, non è quello! Certo, non Lo conosci ancora, però tu
sai che Dio è il massimo valore. Si tratta cioè di mettere Dio al di sopra di
tutto, poiché Dio è quello che vale più di tutto. Infatti tutto ci segnala Dio
e ci dice: “In mezzo a voi c’è Uno che voi non conoscete!. Tutto ci
segnala Dio! Allora noi dobbiamo guardare l'oggetto segnalato.
Se guardiamo l’oggetto segnalato, Dio, allora
comprendiamo che è l’oggetto più importante di tutti gli altri; quindi, in
quanto capiamo che è il più importante, dobbiamo metterlo al centro dei nostri
interessi e valutare tutte le cose in funzione di quello. In caso diverso
noi siamo nell'errore e allora rimaniamo ingannati.
Eligio: Ma se non conosco l'oggetto più importante, posso anche
in buona fede scambiarne uno meno importante per il più importante, no?
Luigi: Non sono però in buona fede!
Eligio: Allora qual è il criterio di valutazione?
Luigi: È Dio! Dio!
Eligio: Ma sul piano pratico, per poter sempre infallibilmente
dire: "Questa è la persona, la cosa, l’oggetto più importante a cui io
devo rivolgermi", ci sarà pure un criterio che la creatura deve usare, no?
Qual è questo criterio?
Luigi: Dio! Sempre Dio! Non posso scappare di lì!
Eligio: Dio purtroppo può essere a volte, per chi è confuso,
solo una parola!
Luigi: No! Dio non è una parola: è l'”oggetto” segnalato da
tutti! È Colui che è, la Realtà invisibile che crea tutte le cose, visibili ed
invisibili!
Eligio: Potresti precisare cosa mi devo rappresentare
concettualmente nella mente quando dico: "Voglio mettere Dio al centro dei
miei pensieri!"?
Luigi: Colui che opera in tutto, l'Autore di tutto, il
Creatore di tutto. Ed io debbo averlo presente. perché se io L'ho presente,
sto attento allora ai messaggi che mi giungono, poiché mi vengono da Colui che
opera tutto e mi parlano quindi di Lui.
Allora, se tengo presente Lui, sono le parole
di Dio che mi svelano Dio.
Certo, se tu mi chiedi una certezza, io ti
dico che la certezza assoluta ce l'avrai nel fine, cioè nella conoscenza di
Dio, però già nel cammino, più tu cammini con Dio e più cresci nella
certezza.
Quindi bisogna partire da Dio perché Dio è il
Principio, ma Dio è anche il Fine e la certezza piena e assoluta l'abbiamo nel
Fine!
Eligio: Sì, ma direi che in Lui Principio e Fine coincidono.…
Luigi: Certo, ma più ci avviciniamo al fine, alla meta, e più
abbiamo la certezza; più invece siamo lontani dal fine e più navighiamo nelle
ombre.
Eligio: Per fine intendi la conoscenza di Dio?
Luigi: Si capisce, Il fine è Dio, la conoscenza di Dio,
e quindi la scoperta della Sua Presenza, la visione del Suo Volto.
Per cui noi abbiamo tutte le creature che ce
Lo indicano: “Guarda che in te c'è Uno che tu non conosci” ed è Colui che fa tutte le cose. È questo un annuncio che ci mette
in movimento. Questo è il Principio (“In principio era il Verbo…”) e
tutte le creature ce lo dicono.
Dio, essendo il Principio, deve essere il
Principio, perché è Lui stesso che si fa pensare, in quanto Lui è presente in
ogni uomo. Dio creando l'uomo ha soffiato in lui il suo Spirito (cf Gen 2, 7),
il Pensiero di Sé. Quindi Dio è presente nell’uomo e si fa pensare da lui. “Nei
bimbi, - dice Gesù - gli Angeli, i loro pensieri, vedono sempre il Volto
del Padre” (Mt 18, 10).
Quindi c'è la Presenza del Pensiero di Dio
in noi, perché se non ci fosse questa Presenza di Dio in noi, anche se
tutto l'universo me Lo segnalasse, io non potrei intendere la segnalazione. Un
animale riceve tutte le segnalazioni di Dio, ma non può pensare Dio. L'animale
è mosso dai bisogni fisiologici, ecc., ma non può pensare Dio, perché non ha
Dio in sé.
Come mai invece l'uomo pensa Dio? Perché ha il
Pensiero di Dio in sé. Quindi questa possibilità di pensare Dio è il più grande
tesoro che possa avere l'uomo! Questo è il più grande tesoro: la possibilità di
pensare Dio! Non c'è niente di più grande!
Se noi sapessimo il tesoro immenso che
abbiamo, che Dio ci ha dato, e che è la possibilità di pensare Lui, noi non
smetteremmo un istante dal pensare sempre a Lui! È un tesoro immenso! Lasceremmo tutto per pensare
sempre e in continuazione a Lui, per raccogliere tutto in Lui, per
avvicinarci a Lui, perché questo è un dono immenso che ha l'uomo.
Però, pur avendo questo Pensiero di Dio in sé,
l'uomo scappa, perché è incapace di restare nel Pensiero di Dio, per cui
tutte le creature devono ricondurlo continuamente lì, segnalandoglielo in
continuazione: “Guarda che in te sta Uno che non conosci”.
Dio è Colui che sta sempre in Se stesso,
l'uomo invece è un essere estremamente instabile: ha il Pensiero di Dio, ma non
è capace a restare. La meta è quella di arrivare a restare in Dio come
Dio sta in Se stesso, cioè a permanere nel Pensiero di Dio.
Quindi se noi dovessimo definire la creatura,
diremmo che è il massimo dell'instabilità, mentre Dio è il massimo della stabilità.
Il fine, il fine di Dio, è quello di portare
la creatura a questo massimo di stabilità, cioè a portarla a realizzare una
vita in continuazione con Lui, a restare sempre nel Suo Pensiero. Ma per
restare sempre nel Suo Pensiero bisogna che la creatura veda nel Suo Pensiero
tutte le cose che Egli fa.
Allora:
·il Principio è il Pensiero di Dio presente nella
creatura,
·il Fine è giungere a restare sempre in questo Pensiero di
Dio.
La creatura ha dunque presente il Pensiero di
Dio e non Lo può dimenticare. Non lo può! Lo può trascurare o negare, ma non Lo
può dimenticare, perché se c'è una cosa che gli uomini non possono
completamente annullare è proprio il Pensiero di Dio, anche se Lo negano
(perché anzi, negandolo, Lo affermano). E questo perché è Dio che si è messo
nell'uomo. Quindi l'uomo può a parole rifiutare Dio, ma non Lo può annullare.
Allora, Dio è presente nell'uomo, però siccome
l'uomo non è capace di restare con Lui e quindi nemmeno di raccogliere (perché
per poter avere la capacità di restare bisogna raccogliere tutto in Dio), ecco
che allora tutta la creazione di Dio continuamente gli segnala Colui che ancora
non conosce: “In mezzo a te, in mezzo a voi, c’è Uno che voi non
conoscete!”.
Quindi tutte le cose continuamente ci
riportano a questo Pensiero in cui noi dovremmo restare, ma nel quale non
siamo capaci di restare.
Tutta l’opera di Dio tende a questo: è il parlare continuo di Dio. Tutta la
creazione di Dio fa questo.
Ma se in noi c'è invece un altro interesse,
allora noi, come i Farisei di allora, andiamo a chiedere: "Ma tu con
quale autorità dici questo?". Ecco, noi andiamo alla ricerca di un
altro criterio di autorità, perché praticamente noi vogliamo riconoscere
nell’altro la nostra autorità, cioè il nostro interesse, e dare valore
nell'altro soltanto a quello che è nostro interesse.
Per questo andiamo a cercare un'autorità: ma
in quanto cerchiamo un'autorità, siamo già fuori fase, perché usciamo
dall’ascolto dell’unica vera Autorità alla quale invece il Battista ci richiama
(“Colui che è in mezzo a voi e che voi non conoscete”).
Eligio: Ma che interesse hanno questi inviati Farisei, o coloro
che li hanno inviati, nel chiedere al Battista con quale autorità egli opera?
Luigi: È un interesse sbagliato! L’interesse di questi
Farisei è questo: mettere a tacere Giovanni, renderlo muto.
Eligio: E per quale ragione vanno da lui, se a loro non
interessa sentir parlare di Dio? Potevano starsene a casa loro.
Luigi: Ah no! Essi vogliono farlo tacere, perché vogliono
affermare la loro autorità religiosa: lui è un contro-altare! E anche perché
lui è per loro un rimprovero, come lo è per Erode. Perché ad un certo momento
Erode fa tagliare la testa a Giovanni Battista? Perché è per lui un rimprovero,
è uno che nella vita gli dà fastidio nel suo modo di comportarsi!
Così anche per questi Farisei Giovanni
Battista è uno che dà fastidio, come anche Cristo darà loro fastidio.
Eligio: Quindi, come questi Farisei, possiamo vivere in
questa contraddizione: apparentemente interessarci di Dio, dei problemi di
Dio, della conoscenza di Dio e sostanzialmente dentro di noi rifiutare la
conoscenza di Dio.
Luigi: Certamente! Infatti il Signore stesso dice: "Vi
manderanno a morte, vi cacceranno dalle Sinagoghe, credendo con ciò di rendere
gloria a Dio, e ciò faranno perché non hanno conosciuto né il Padre, né
Me" (Gv 16, 2).
Eligio: Ma per quale ragione si può avere un atteggiamento così
contraddittorio?
Luigi: Perché l'uomo “naturalmente” è nel pensiero di sé, nel
pensiero del suo io, per cui cerca sempre di affermare il suo io, comunque,
anche rivestendolo di interesse religioso. Infatti se l'uomo “volutamente”
non mette Dio al centro del suo cuore, al centro della sua vita,
necessariamente, automaticamente, ha al centro il suo io, il polo
opposto.
Però, siccome ha in sé l’Assoluto, il Pensiero
di Dio, l’uomo vuole affermare questo io con la stessa assolutezza con cui
dovrebbe affermare Dio.
Eligio: Quindi vorrebbe addirittura distruggere il Pensiero di
Dio!
Luigi: Certamente! Sartre cosa dice? "Il vero grande
nemico dell'uomo è Dio!". Perché? Ma perché impedisce o condiziona gli
interessi del nostro io! D'altronde già nella parabola dei vignaioli si dice: "Questi
è l'erede, facciamolo fuori, così la vigna sarà nostra!" (Mc 12, 7).
Dio ci condiziona se noi abbiamo una nostra
ambizione, un nostro interesse, cioè se noi abbiamo il pensiero del nostro io
al centro. Se sei nel pensiero dell’io, Dio è uno che ti limita, e allora Lo
vedi come uno che ti dà fastidio, che continuamente ti rimprovera. E perché Cristo
è stato mandato in Croce? Era Uno che dava fastidio! Perché il nostro io
assolutizza tutto quello che lo soddisfa e fa fuori ciò che lo ostacola.
Dobbiamo tener presente che, sempre per questa
dimensione divina di assoluto che portiamo in noi, se noi non mettiamo Dio
al centro, noi tendiamo a rendere assoluto tutto quello che mettiamo al centro
della nostra vita.
Ma mettendo al centro della nostra vita una
cosa diversa da Dio, naturalmente ci troviamo in urto con Dio, perché le cose
in realtà non sono così (nessuna cosa è al centro, poiché è Dio il centro di
tutto), per cui allora c'è tutto lo stridore! Allora incominciamo a dividere
il mondo in due parti: il mondo nemico e il mondo amico. Amico è quel mondo
che soddisfa il mio interesse, nemico è tutto il resto, e non capiamo più la
lezione di Dio, perché ormai tendiamo ad affermare come assoluto il nostro
interesse, il nostro io. E allora ecco che noi andiamo alla ricerca di tutti
i mezzi per far tacere tutte quelle voci che ci danno fastidio.
È ciò che fanno queste autorità che mandano i
Farisei dal Battista, al fine di metterlo a tacere perché dava loro fastidio.
Eligio: C'è qualcosa di satanico in questo!
Luigi: Sì, ma questo avviene in ogni uomo. È il pensiero del
nostro io quando è al centro della nostra vita e dei nostri interessi. E qui
torna il battesimo del Battista, quel battesimo di penitenza e di giustizia che
dice: "Il tuo io non è il centro! Spostalo!".
L'essenza del battesimo del Battista è questa:
“Sposta dal centro della tua vita il pensiero di te stesso e mettivi Dio”.
Perché soltanto mettendo Dio al centro, tu ti prepari ad intendere il messaggio
di salvezza di Dio e ad intendere tutta l'opera di Dio, a riconoscere cioè il
Cristo, il Verbo esteriore.
Questa è la chiave di volta! Ma questa è la
voce, il messaggio, di tutte le cose, di tutto l'universo! Messaggio che ci
richiama all’attenzione di Colui che è in noi, in mezzo a noi (“…in mezzo a
voi vi è Uno che non conoscete!”) e della cui presenza noi non ci
accorgiamo perché abbiamo l’io al centro. Per cui tutte le cose, tutti i fatti,
continuamente, tutti i giorni ci dicono: "Spostati dal centro, perché il
centro è un Altro!". Tutte le lezioni, la morte stessa, tutto ci dice continuamente
questo!
Per cui se noi non ubbidiamo, ad un certo
momento, non soltanto diventiamo nemici di Dio, ma diventiamo nemici anche di
tutte le creature, di tutte le opere di Dio.
Ecco perché la creatura che diventa nemica di
Dio, porta in se stessa, poiché tutto l'universo poi entra dentro di noi, la
contraddizione: ad un certo momento vede in tutto e in tutti un nemico, per cui
non trova più un luogo di pace in cui poter riposare! Infatti sta scritto: "Per
satana non si trova più un luogo di pace: né in cielo, né in terra, né
nell’inferno, non si trova più un luogo in cui lui possa sostare". Ma
perché? Perché tutte le cose sono in conflitto con lui, intimamente, dentro
di sé.
Eligio: Quindi io non potrei mai nei confronti di Dio assumere
un atteggiamento di indifferenza: o metto al centro della mia vita Dio o cerco
di distruggerlo. Questa è la lezione di questi Farisei inviati da Gerusalemme.
Luigi: Sì, quindi Giovanni Battista, come tutto l'universo,
rappresenta quell'opera di ricupero, quel battesimo di giustizia che tende
continuamente a ricuperarci, a segnalarci Colui che è in noi, a metterlo al
centro, poiché continuamente ogni cosa ci dice: “In mezzo a voi, in voi, c’è
Uno che voi non conoscete!”.
La lezione dei Farisei invece è lo specchio
dell’opera nostra quando abbiamo messo il nostro io al centro: cioè è quella di chi fa violenza contro tutte
queste opere (al centro delle quali poi c’è il Cristo) che tendono a portarci a
Dio.
Eligio: Ancora una precisazione su queste parole del Battista: “In
voi c’è Uno che non conoscete!”, cioè su questo suo richiamo a far
attenzione al Pensiero di Dio che è in noi. Se ho capito bene, il Pensiero
di Dio in noi è quel Maestro interiore di cui abbiamo parlato tante volte e
di cui parla anche s. Agostino, vero?
Luigi: Certo.
Pinuccia B.: Invece
la possibilità di pensare a Dio che abbiamo non va identificata con la presenza
in noi del Pensiero di Dio, ma ne è una conseguenza, vero?
Luigi: È la Sua presenza in noi che ci dà questa possibilità
di pensarlo. Dio è sempre presente in noi! Dio è sempre presente! In quanto
è presente si fa pensare. Ma per arrivare a scoprire, a constatare la sua
Presenza bisogna fare un lungo cammino con Cristo…
Pinuccia B.: Ma
la presenza di Dio è ovunque, anche nella natura...
Luigi: No, la natura è un Suo segno. Una cosa è il segno di
Dio e una cosa è la presenza di Dio.
Pinuccia B.: Quindi
la natura, sia quella vegetale che quella animale, sarebbe solo un segno della
presenza di Dio, ma non ci dà la sua Presenza...
Luigi: Certo, perché è solo segno, parola.
Pinuccia B.: E
allora perché si afferma sempre che Dio è presente in tutto?
Luigi: Sì, è presente come segno, in quanto Lui è Colui
che parla in tutto e si annuncia in tutto.
Pinuccia B.: Quindi
è presente in tutto solo come segno.
Luigi: Ah, certo, solo come segno! La sua presenza in noi
invece è una cosa molto diversa! Ed è grazie a questa sua Presenza in noi
che noi possiamo vedere tutto come segno di Lui. Perché il segno avviene nella
creatura, nel pensiero della creatura; cioè Dio parla nel pensiero del nostro
io, nel pensiero di noi stessi, quindi ci muove. Parlandoci, ci muove e si fa
pensare da noi.
Ma si fa pensare da noi perché Lui è presente
in noi.
Abbiamo in noi il Pensiero di Dio!
Quindi il segno è un movimento che Dio
opera in me, nel pensiero del mio io, per cui: io sono addormentato nel
pensiero del mio io, e allora Dio mi dà uno scossone. Ecco il segno! Ma lo
scossone è in me: avviene in me, ma non sono io che me lo do (non sono io
Dio!): io subisco lo scossone da Dio! Ecco, Dio mi muove e si fa pensare da
me!
Allora: Dio muove l'animale e l'animale non Lo
pensa; muove me ed io Lo penso. Ecco la diversità! Nell’animale Dio è presente
solo come segno; invece nell’uomo è presente Lui stesso!
Però va sottolineato questo: Dio è presente
in noi, Lo possiamo pensare, ma non Lo conosciamo. Ogni creatura ce Lo
annuncia: “In mezzo a voi, in voi, c’è Uno che voi non conoscete!”:
ecco, non Lo conosciamo! Ma dobbiamo arrivare a conoscerlo, e quindi a scoprire
la sua Presenza, ad individuare la sua Presenza, che sarebbe poi il giorno di
Pentecoste.
Prima noi Lo pensiamo, ma magari Lo concepiamo
astratto, lontano, ecc.; invece a Pentecoste troveremo la Presenza vera, che
si esperimenta concretamente più ancora che la presenza fisica, perché è una
presenza intima, spirituale, di pensiero: la si pensa! Per cui quello che
si scopre è quello che era, che era già prima, ma che prima non si capiva. Lo
si capisce quando si arriva a conoscere il Padre, perché la rivelazione della
Presenza viene dal Padre.
Non è allora che io possa dire: ”Io penso a
Dio e scopro la sua Presenza”. Sì, è vero che s. Paolo dice: "Chi pensa
Dio fa una cosa sola con Lui". Certo! Però solo chi è arrivato a
Pentecoste capisce e constata che chi pensa Dio fa una cosa sola con Lui. Ma tu
dillo ad uno che non sia arrivato a Pentecoste! Non intende o se ne fa una
concezione sbagliata: perché è dal Padre o meglio, è dal Padre e dal Figlio
che procede lo Spirito Santo, Spirito di Presenza. E quello è verissimo!
Cioè è dal Padre e dal Figlio che procede la scoperta di questa Presenza.
Infatti lo Spirito Santo è lo Spirito di
Presenza!
Per cui al Padre si arriva solo attraverso il
Figlio, e allo Spirito di Presenza si arriva solo attraverso il Padre e il
Figlio; Padre e Figlio: “Parola” del “Padre”.
Comunque già il fatto che noi possiamo pensare
Dio, e questo è il tesoro più grande che abbia l'uomo, è già Dio che si fa
pensare da noi, cioè che si rende presente. Ma è necessario pensarlo, unirci a
questo Pensiero di Dio che è in noi, perché il Pensiero di Dio in noi è la
chiave di volta per intendere tutte le parole di Dio. Se noi non abbiamo
presente il Pensiero di Dio, immediatamente abbiamo presente il pensiero del
nostro io, e questo è un principio che ci fa errare nell'interpretazione di
tutte le opere di Dio.
Ecco perché è necessario il battesimo di
penitenza del Battista che in sostanza consiste
nel convincerci che dobbiamo mettere Dio al centro.
Questo è solo l’inizio del cammino. Da questa giustizia nasce l’attrazione di Dio
che ci porterà poi all’incontro con Cristo. Ma fintanto che noi non ci
convinciamo che dobbiamo mettere il Pensiero di Dio al centro della nostra
vita, al centro del nostro cuore, anche andassimo in Chiesa tutti i giorni e vi
stessimo dal mattino alla sera, noi erriamo in tutto, perché tutto lo facciamo
nel pensiero dell'io. Se non mettiamo Dio al centro, restiamo fermi nell’io e
non nasce in noi l’attrazione del Padre, necessaria per riconoscere e seguire
il Cristo.
Per questo il battesimo di penitenza o di
giustizia è la premessa all'incontro col Cristo, cioè all'incontro con
Colui che ci viene a salvare, quindi con Colui che è la vera Vita. Senza questo
battesimo di giustizia, Cristo c’è, ma noi non Lo incontriamo. Ecco, “in
mezzo a voi c’è Uno che voi non conoscete!”.
Cina: Ci viene annunciata questa Presenza che è in noi, in
mezzo a noi e che noi non conosciamo ancora; ma sono tante le cose che ci
impediscono di vedere questa Presenza. Però ci vuole tanta fiducia in Dio.
Capisco che per non scoraggiarci di fronte a tutto il lavoro che dovremmo fare
per liberarci dalle tante cose che ci disturbano, bisogna far conto sul
Signore, perché è Lui che fa.
Eligio: Quello che ci sostiene e che ci impedisce di cadere
nello sconforto è la speranza che Dio può fare, per l’edificazione della nostra
anima, quello che noi non possiamo fare.
Luigi: Certo, perché tutto è dono Suo ed è solo dono Suo, però
solo nella misura in cui noi guardiamo a Lui e facciamo conto su di Lui. Perché
il problema è quello: far conto su di Lui! E sai cosa vuol dire far
conto? Il cane che fa conto sul padrone, sai cosa fa?
Cina: Si lascia condurre.
Luigi: Guarda sempre il padrone! Guarda sempre a lui, perché
sa che tutto gli deve venire da lui. Quindi noi dovremmo essere come un
cane che ha sempre quello sguardo fisso sul suo padrone: allora si fa
conto su-. Altrimenti si dicono solo delle parole vane: diciamo di far conto su
di Lui, ma poi praticamente facciamo conto su altro!
Cina: Mi ha anche colpito questo pensiero: che ogni cosa che
ci arriva è importante, perché ci annuncia che c’è Uno in mezzo a noi, in noi,
che noi non conosciamo; per cui se ogni cosa l'accogliamo da Dio, come richiamo
Suo, diventa per noi fortezza e crescita, ma se non l'accogliamo da Dio,
diventa invece demolizione, allontanamento da Dio.
Luigi: Gesù infatti “è motivo di salvezza e motivo di
rovina”, dice Simeone, e così tutte le cose, tutte le opere di
Dio. Noi diciamo: motivo di salvezza, ma per chi? Motivo di rovina, ma per chi?
Motivo di salvezza per coloro che cercano Dio, che sono attratti da Dio. "Nessuno
può venire a Me se non è attratto dal
Padre", dice Gesù, facendoci capire che la premessa per andare a Lui e
seguire Lui è l’attrazione del Padre che nasce dal battesimo di Giovanni
Battista ("Metti Dio prima di tutto nel tuo cuore"). E già!
Perché chi mette Dio al centro è attratto, sospira. E allora quando incontra il
Cristo dice: "Ah, ecco Colui che aspettavo!".
Motivo di rovina e di demolizione, ma per chi? Per chi ha messo l’io al
centro, perché Cristo contraddice le ragioni dell’io.
Giovanni M.: Dire “mettere Dio al centro di tutto” confonde un po';
penso invece che ciò che bisogna mettere al centro dei nostri pensieri è tutto
il Vangelo, tutta la Parola di Dio. Parlare di Vangelo mi sembra qualcosa di
più concreto e verificabile e non solo parole.
Luigi: Ma mettere Dio, il Pensiero di Dio, al centro non
sono parole, perché concretamente vuol dire:
·accettare tutto quello che accade, tutto quello che giunge a noi, dalle mani di Dio,
riferirlo sempre a Lui, poiché tutto avviene per opera sua, e raccoglierlo
in Lui con il desiderio di capirne la Sua intenzione;
·in tutte le cose che partono da noi, bisogna lasciarci
guidare dallo Spirito di Dio e
non da altri interessi, da altri motivi.
Giovanni M.: Ma questo sarebbe il Vangelo messo prima di tutto, no?
Luigi: No, è proprio il Pensiero di Dio. È Pensiero di Dio,
Persona Divina! Ed è una cosa molto diversa, perché la parola del Vangelo
noi possiamo anche dimenticarla, non averla presente! Noi non possiamo avere
presenti tutte le parole di Dio. Invece più abbiamo presente la Persona
amata e più ricordiamo le sue parole. Chi ama tiene molto presente la
Persona amata. E‘ l’amore della Persona, più che ripeterne le parole, che ci fa
ricordare le sue parole. Ma è l’amore della Persona! Per cui la persona è
più importante delle parole.
Quindi più ho presente una persona e più
ricordo tutto quello che riguarda quella persona; ma se io cerco di
ricordare tutto quello che riguarda quella persona, ma non ho presente la
persona, faccio un lavoro enorme di fatica e non entro in quello che è
l'essenza di lei.
Quindi è proprio il Pensiero di Dio che va
tenuto presente perché Lui è in noi. Noi
non potremmo pensarlo se Dio non si facesse pensare, se non generasse il suo
Verbo in noi. È lì il tesoro di vita che abbiamo in noi: noi possiamo
pensare Dio! È lì la meraviglia: possiamo pensare Lui! E noi invece trascuriamo
questo tesoro immenso per correre dietro a tante altre cose che passano! Ecco
l’errore che facciamo! Da qui l’importanza di essere sempre richiamati a fare
attenzione a Colui che è in noi e che noi non conosciamo.
Eligio: E sì, perché è molto più facile per noi cogliere i segni
che non l’Autore dei segni. Noi dovremmo rapportarci a Lui come un Tu, ma come
possiamo noi immaginarlo? Come possiamo conoscerlo? Sì, hai detto che dobbiamo
metterlo al centro dei nostri pensieri, come “Colui che fa tutto”, ma questa
resta comunque sempre una definizione vaga…, non ne abbiamo mai un’idea, una
concezione precisa.
Luigi: Ma se noi questa concezione vaga che abbiamo, questa
intuizione di Dio che abbiamo, la mettiamo al di sopra di tutto, come centro di
tutto, a poco per volta tutte le lezioni di Dio vengono ascoltate bene e allora
queste ci conducono all'idea precisa d Dio, cioè alla sua conoscenza, fino alla
Presenza: ma è Lui che ci conduce, è quel "far conto" di cui
parlava Cina. È Lui che conduce! È Lui che si fa conoscere, se ascoltiamo le
sue Parole!
Infatti, ad esempio, come ci conosciamo noi?
Non perché ci siamo presentati un giorno così, dicendoci reciprocamente:
"Io sono il tale...", ma in quanto frequentandoci, ascoltandoci,
vedendo quello che facciamo, ad un certo momento abbiamo raccolto tutto in un
certo pensiero, per cui ognuno dice dell’altro: "Ah, capisco! Tu hai
questa tendenza, questa mentalità, questo spirito!". E così è con Dio.
Cioè è la persona che si fa conoscere, ma da chi si fa conoscere? Da
quell'altra che è attenta.
Ma come si fa a conoscerla? Attraverso le sue
opere, le sue parole. Quindi Dio si fa conoscere attraverso tutto il suo lungo
parlare, lungo tutta la nostra vita, se però noi raccogliamo in Lui tutto
quello che dice e che fa, appunto perché Lui si fa conoscere attraverso le sue parole
(le sue opere sono parole). Infatti: "Nessuno può venire al Padre se
non per mezzo di Me". E chi è quel Me? La Parola, il Cristo. Il Cristo
è la Parola di Dio.
"Nessuno può venire al Padre, se non per
mezzo di Me…”: ecco, è la Parola,
il Figlio che rivela il Padre. Ma a chi Lo rivela? A chi è attento al Padre.
Eligio: Sì, è vero, è un errore di superficialità quello di
voler conoscere Dio senza approfondire le sue parole. Sarebbe come se io
credessi di conoscerti solo perché ti ho incontrato per la strada...Non
conoscerei un bel niente.
Luigi: Certo, non conosceresti niente. Cioè la conoscenza di
una persona è una somma di infiniti segni di quella persona. Ma è la persona
che si rivela parlando! E così è Dio! Ma bisogna che la creatura raccolga i
suoi segni, le sue parole.
Ora, quanto più uno è interessato ad un altro,
tanto più è attento a tutti i segni che fa quest’altro; ecco l’importanza
dell'attenzione! Perché in quanto uno è attento all’altro, raccoglie ogni cosa
nel pensiero dell’altro. E allora nota ogni sfumatura: "Ha fatto questo,
ha fatto quell'altro...., ha detto questo…, ha detto quell’altro…, ecc..",
per cui a poco per volta fa tutta una sintesi. Ecco, la conoscenza è una
sintesi che è l'effetto di tanto raccoglimento, di tanto amore per quella
persona. Così è con Dio.
È allora l’attenzione alla Persona che ti
conduce alla sua conoscenza e ti rivela il suo Spirito.
Quindi è Dio che rivela Se stesso; ma a chi si
rivela? A coloro che hanno attenzione per Lui! Infatti il Signore nel Libro
della Sapienza dice: "Mi troverete e mi conoscerete quando mi
cercherete con tutto il vostro cuore" . Ma chi si rivela è Lui!
È Lui che si fa conoscere, non siamo noi che
Lo conosciamo! Sì, sì, è vero, noi a volte partiamo da un’idea sbagliata
dicendo: prima voglio conoscerlo e poi allora Lo posso mettere al centro,
seguirlo, ecc.! No, guarda che se tu sarai tanto attento a Dio, sta’
tranquillo che Dio si farà tanto conoscere: arriverai ad un'idea molto
precisa di Lui, fino ad individuare la Sua Presenza, fino a quel colloquio
intimo in cui Lui parla con te, personalmente, ti chiama per nome, ecc..
Infatti è qui che Dio ti vuole portare, perché
è Lui che fa la persona, mentre invece lontano da Dio noi siamo dei
numeri. Anche se abbiamo dei cartellini o tesserini con le generalità (“nato
a-… , il- …, figlio di…, ecc.”), siamo dei numeri lontano da Dio!
Più invece ci avviciniamo a Dio, più siamo
veramente persone, perché Dio è Persona. Ecco perché è un errore grosso dire:
"Siamo tutti uguali!", perché Dio è una Sorgente proprio di
differenziazioni (come sarebbe un'utopia dire in una corsa: "Vogliamo
arrivare tutti primi"; è sciocco, è un'utopia!).
Dio è un principio di differenziazioni: più
noi cerchiamo Dio e più Dio costruisce delle personalità immensamente
diverse le une dalle altre, e nello stesso tempo costruisce un'armonia enorme,
perché Dio è Principio di unità: ma di unità non come quantità livellata, non
come tante pietre tutte uguali. Sarebbe un errore pensare questo!
Cina: Un esempio che esprime bene questo è il volto delle
persone: siamo quanti al mondo e non ce n'è uno uguale all'altro…!
Luigi: Ma certo, siamo miliardi e ogni volto è diverso
dall’altro! E quello è niente rispetto alla persona, perché ad un certo
momento, man mano che si avvicina a Dio, è proprio la persona, il pensiero,
l'anima che diventa unica, che si differenzia sempre più, perché si
caratterizza. Ad esempio, si dice che i Santi si differenziano per l’aureola,
come a dire che c'è tutto un colore attorno che differenzia uno dall'altro: è
una gamma infinita di colori!
Pinuccia B.: Va
comunque tenuto presente anche l’altro aspetto a cui hai accennato: quello
dell’armonia e unità che Dio costruisce pur formando delle personalità diverse,
perché altrimenti si può correre il rischio di sentirci isole.
Luigi: No! Tutt’altro! Dio è un principio di unificazione!
Dio è un principio di dialogo! L'isola si ha lontano da Dio: più uno si
allontana da Dio e più diventa incomunicabile con l’altro.
Pinuccia B.: Invece
in Dio quello che hanno gli altri è comunicato anche a me.
Luigi: Certo, perché Dio è un principio di comunicazione e
comunione.
Pinuccia B.: Per
cui quello che ha un’altra persona è anche mio, appartiene anche a me.
Luigi: Anzi, più ancora: è motivo di gioia! Quello che ha
l’altro è motivo di gioia, perché in Dio nessuno pensa a sé.
Pinuccia B.: Ma
è anche un arricchimento, oltre ad essere un motivo di gioia, vero?
Luigi: Ma certo, è logico! Con Dio si ha tutto.
Pinuccia B.: Quindi
dobbiamo tener presente anche questo aspetto dell’unità, perché non è possibile
pensare a tante persone unite a Dio, ma non unite tra di loro…
Luigi: Ma Dio è Uno solo, quindi più ci si avvicina a Dio e più
ci avviciniamo tra di noi. Più ci si avvicina alla Vetta e più si avvicinano
tra di loro quelli che salgono verso di Essa.
Pinuccia B.: Quindi
è in Lui che si realizza questa unità.
Luigi: Certo, in Lui e solo in Lui. In Lui c’è l’unione. “È
Dio che fa abitare i suoi amici sotto una stessa tenda”.
Pinuccia B.: Sarebbe
la realizzazione dell’”ut unum sint”.
Luigi: E già! Ma è Lui! È Lui che realizza l’”ut unum
sint”. Gesù chiede questa realizzazione al Padre: “Padre, fa’
che siano una cosa sola: ut unum sint… ”, per insegnarci ad attenderla dal
Padre. Sarebbe sciocco dire: "Realizziamo l’”ut unum sint”. Ma noi
non realizziamo proprio niente! L’”ut unum sint” noi non possiamo
realizzarlo proprio per niente!
Sarebbe come dire: "Vogliamoci bene!
Stiamo uniti!" , e poi magari domani mattina uno è in Francia e l'altro in
America. Non possiamo noi unirci: è il fine che ci unisce! È l'Altro che
ci unisce, se noi guardiamo tutti a Lui, se guardiamo cioè allo stesso Fine.
Ecco perché dobbiamo constatare che il più
delle volte tante unioni sono fasulle! Perché sono fondate sull'accordo di due
volontà: "Uniamoci!", dicono, e il giorno dopo sono già separati. Ma
come mai? Perché il fine è diverso.
Non siamo quindi noi che possiamo unirci, ma è
l’Altro che ci unisce, se guardiamo a Lui, cioè se guardiamo allo stesso Fine.
Quindi, ad esempio, il vero matrimonio, la vera unione si realizza quando i due
guardano alla stessa meta: allora la meta unisce.
Quindi più ci avviciniamo a Dio e più siamo
uniti, perché è Dio che unisce, non siamo noi. Allora, ecco il motivo per cui
Gesù non ha detto agli uomini: "Unitevi!", ma ha detto al Padre: "Uniscili,
affinché siano tutti una cosa sola!" (cf Gv cap.17). Quindi la meta è
nel Padre: è Lui, il Padre, il Principio di unione.
Quindi non è possibile unirci senza di Lui,
così come sarebbe sciocco dire: "Siamo noi che dobbiamo fare il Regno di
Dio!". Eppure quante volte si trova chi dice: “Facciamo il Regno di Dio!”.
Ma il Regno di Dio è già! Siamo noi che dobbiamo entrare in questo Regno, che
dobbiamo vedere questo Regno, poiché è già tutto Regno di Dio! Ma noi non Lo
vediamo.
Ecco perché abbiamo bisogno di un Giovanni
Battista che ci richiami l’attenzione a Dio e ci dica in continuazione: “Vi
è tra voi Uno che non conoscete!”