Ed essi gli domandarono: Chi
dunque sei? Sei Elia? Ed egli disse: Non lo sono. Sei il profeta? E rispose:
No. Essi allora gli dissero: Chi sei tu? Perché noi diamo una risposta a quelli
che ci hanno mandato, che dici di te stesso? Allora rispose: Io sono una voce
che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta
Isaia.” Gv 1 Vs 21-23
Titolo: “…io sono una voce…”
Argomenti: I “no” di Giovanni - L’uomo vale per
ciò che annuncia, non per ciò che è - Tutto è voce, annuncio - Fare diritte le
vie del Signore – L’uomo giusto non parla di sé – Lo spirito di Elia – Etichettare gli
uomini – Le parole rivelano la persona – L’essere di cose e persone – Il messaggio e il
messaggero - Il messaggio delle creature – Anche la bestemmia
testimonia Dio -
30/Maggio/1976
Dall'esposizione di Luigi Bracco:
La prima cosa che richiama l’attenzione
leggendo questo passo, dal v. 21 al v. 23, sono i “no” del Battista.
I Sacerdoti e i Leviti gli chiedono: “Chi
sei tu?”. E abbiamo visto la volta scorsa, che egli risponde: “No, non
sono il Messia”. Ed essi allora gli domandano: ”Sei Elia?”. Ed egli:
“No!”. “Sei il profeta?”. “No!”. Essi dunque gli dicono: “E allora,
chi sei tu?”
Ora, in questi “no” lui rivela già
tutta la sua personalità: la personalità di chi è disincantato dal mondo e di
chi non cerca di piacere al mondo, ma di piacere a Dio. Infatti una delle
prime lezioni che si ricevono ascoltando la Parola di Dio è questa
indipendenza dagli altri, cioè questo imparare a dire: “no”, per
rimanere fedeli alla Verità di Dio.
Abbiamo visto la volta scorsa che il primo “no”
di Giovanni sta nell’affermare di non essere lui l’Atteso dalle genti, di
non essere lui il Messia.
Tutti gli uomini sono in attesa di incontrare
Dio, perché tutti gli uomini sono stati creati per conoscere Dio. E, come dice
s. Agostino, il loro cuore geme, soffre ed è inquieto, fintanto che non conosce
il suo Signore. Lo dice anche s. Paolo: “Tutte le creature sono in
sofferenza, gemono in attesa della rivelazione del Figlio di Dio, della
conoscenza di Dio”.
Per cui tutte le creature che si incontrano,
anche se non ne sono consapevoli, sempre si incontrano con quest’animo che
interroga: “Sei tu Colui che il mio cuore, Colui che la mia anima attende?”.
La volta scorsa abbiamo visto che dobbiamo
imparare a non presentarci come la risposta all’attesa dell’uomo, perché
Dio solo è Colui che risponde a questa attesa. Noi tutti siamo soltanto dei
mezzi che possono ammonire, che possono accompagnare le creature, che possono
rivolgerle verso il Messia, verso Colui che deve venire, ma che non si debbono
sostituire al Messia.
Adesso, dopo la prima risposta negativa: “Non
sono io il Messia”, coloro che erano stati mandati dai Giudei di
Gerusalemme chiedono a Giovanni: “Sei forse Elia?”. Lui dice: “No”.
”Sei un profeta?”. “No!”.
Intanto è sintomatico il fatto che vadano alla
ricerca di ciò che egli è, mentre invece dovrebbero interessarsi di ciò che
egli annuncia. Cioè non si
interessano del messaggio, ma si interessano di sapere ciò che egli è.
La prima lezione che riceviamo dalle risposte
di Giovanni Battista
(teniamo sempre presente che Giovanni Battista rappresenta tutta l’umanità,
quindi significa per ognuno di noi quello che è l’uomo giusto, quindi il
comportamento dell’uomo giusto) è questa: non dobbiamo parlare di noi.
Infatti qui Giovanni, nel dire
questa fila di “no”, dichiara evidentemente di non voler parlare di sé.
È la prima constatazione che facciamo sentendo questi “no”.
La sua attenzione è rivolta ad un Altro che
egli è venuto a segnalare.
Ed è lui stesso che dopo ce lo confermerà in
parecchie altre sue affermazioni, come ad esempio: “È Lui che deve crescere,
io devo diminuire” (Gv 3, 30) o dicendo che lui è venuto come annuncio,
come messaggero di un Altro, che lui è colui che deve parlare di un Altro, che
deve indicare un Altro.
Però un altro fatto anche sintomatico è
questo: lui dice di non essere Elia, di non essere un Profeta, cioè di non
essere dello spirito di Elia, di non essere dello spirito del Profeta (noi
oggigiorno gli avremmo chiesto: “Ma allora di che partito sei?”), ma Gesù
invece confermerà e dirà che Giovanni Battista era l’Elia che si aspettava,
cioè era colui che era venuto con lo spirito di Elia, che Giovanni Battista era
il Profeta, anzi, che era il più grande di tutti i Profeti: “Il più
grande di tutti i nati da donna” (Mt 11, 11).
Gesù dunque dice che effettivamente Giovanni
Battista era l’Elia, il Profeta atteso. Giovanni invece dice di non esserlo. Ma
non c’è un conflitto, perché lui non deve parlare di sé, proprio perché è il
Profeta. Non deve parlare di sé, perché il Profeta è colui che segnala l’Altro,
quindi è colui che parla dell’Altro e ammonisce gli altri ad andare a
quest’Altro.
Infatti alla domanda successiva: “Ma allora
chi sei? Se non sei Elia, non sei il Profeta, allora chi sei?”, il Battista
risponde: “Io sono una voce”, sono solo una voce che annuncia un
Altro.
Ecco, dicendo “Io sono una voce”, il
Battista riconduce coloro che lo interrogavano all’essenziale, a quello su cui essi avrebbero dovuto
interrogarlo, cioè al messaggio che lui stava loro recando.
Dicendo di essere “la voce”, lui dice
di essere uno che annuncia qualche cosa, per cui ci fa capire che egli conta
solo per quello che dice, nel senso cioè che a noi di lui deve interessare solo
ciò che dice e non dobbiamo preoccuparci di conoscere chi lui sia.
Ci insegna così che noi dobbiamo preoccuparci
solo di capire il messaggio che attraverso le creature Dio ci vuole dare e non
cercare di conoscere ciò che gli uomini sono, come invece generalmente
facciamo. Infatti noi cerchiamo di catalogare gli uomini, stabilendo delle
categorie, cercando di dare delle etichette con le nostre domande : “Di che
partito sei? Che cosa fai? Qual è la tua professione?”. E con ciò crediamo di
conoscere l’uomo, perché diciamo: “Questo è di sinistra…, quell’altro è di
destra…; questo è professore…, quell’altro è deputato…; questo è un operaio…,
quell’altro è un impiegato…”.
Ecco, noi tendiamo a classificare gli
uomini; e questa classificazione è una diminuzione di essere, innanzitutto
perché ogni uomo è un essere a sé, è un essere infinito, che non è riducibile
ad una categoria. Noi invece nelle nostre conoscenze tendiamo sempre a
classificare, quindi a ridurre gli uomini a categorie.
Ora, Giovanni Battista non accetta di essere
classificato, perché lui è essenzialmente colui che parla di un Altro, che
tende a segnalare l’Altro, quindi è una voce. Per questo, dico, ci insegna che l’uomo
deve valere per noi non per ciò che è (perché il suo essere ci sfugge:
nessuno di noi può sapere né quel che siamo, né quello che è un altro), ma per
ciò che annuncia, per il messaggio che reca, per ciò che dice.
Direi, ogni uomo si conosce per le parole
che dice. Strano, ma è così: si conosce non per la professione che svolge,
non per la famiglia che egli ha, non per ciò che possiede, ecc., ma per ciò che
dice, per le parole che annuncia. È lì che si conosce veramente l’uomo! Per
questo il Battista dice: “Io sono una voce…”.
Ora, se teniamo presente che in Giovanni
Battista non soltanto è racchiusa tutta l’umanità, ma che in lui c’è anche la
sintesi di tutto l’Antico Testamento, abbiamo in lui anche la lezione su ciò
che sono tutte le creature, tutte le opere di Dio. Quindi dicendo “Io sono
una voce…”, il Battista ci fa capire che anche tutte le opere di Dio
sono soltanto “voci”. Noi non le possiamo conoscere per ciò che esse sono.
Infatti l’essere delle cose sfugge a noi, solo Dio lo conosce.
Già quando abbiamo parlato della “gloria”,
avevamo visto che l’essere delle cose, e massimamente l’Essere del Figlio di
Dio, si conosce solo in Dio. Dio solo lo conosce, perché Dio è l’Essere, ed
è Lui che comunica l’essere; e solo conoscendo Dio, in Dio noi possiamo
conoscere l’essere delle cose, l’essere delle creature, l’essere degli uomini.
Ma quello che invece noi possiamo percepire
è il messaggio delle cose, è il significato delle cose, ed è qui che noi
dobbiamo fermarci. E non possiamo d’altronde andare oltre, perché le cose
valgono per il significato, per ciò che esse ci annunciano.
E allora, se noi teniamo presente Dio, in
tutte le cose noi cerchiamo il messaggio che esse ci recano.
Se questi Sacerdoti e Leviti, che erano stati
inviati da Gerusalemme, avessero avuto presente Dio, e quindi avessero tenuto
presente che l’essenza dell’uomo è l’ascolto, essi sarebbero immediatamente andati
a cercare presso Giovanni Battista l’essenza del suo messaggio, ciò che egli
diceva; avrebbero discusso su quello, perché quello era importante, non ciò che
egli era!
Così anche nei riguardi di tutte le cose e
quindi anche di tutti gli avvenimenti, creature e uomini: ciò che veramente è
importante è ciò che essi ci annunciano, perché se teniamo presente che Dio è
Colui che opera in tutto, che parla in tutto, noi allora in tutte le cose
cerchiamo ciò che Egli dice, ciò che Egli significa a noi, quindi il
significato delle cose.
Quello invece che esse sono, lo intenderemo
poi, quando conosceremo il Signore, quando vedremo Dio. Allora magari capiremo
che tutti questi annunci erano Angeli di Dio, erano opere di Dio, ma questo lo
vedremo solo in Dio.
Dio non ci chiede ora di conoscere ciò che
essi sono. Dio ora ci chiede di intendere le sue parole, le sue lezioni : “Perché
non riconoscete da voi stessi quello che è giusto?” (Lc 12, 57), dice Gesù,
cioè perché non riconoscete che Dio è il Creatore di tutto?
Siccome Lui è il Creatore, e quindi è Lui
che parla in tutto, Lui chiede a noi di intendere ciò che Egli dice a noi.
Quindi non dobbiamo né noi stessi affermare
ciò che crediamo di essere, per la posizione che abbiamo, per il lavoro che
facciamo o per altro, né valutare gli altri, classificare gli altri per quello
che fanno o per la posizione che hanno, ma cercare invece di capire il
messaggio che Dio ci vuole recare tramite loro e cercare di capire quello che
noi stessi dobbiamo annunciare, essendo anche noi “voce”.
Infatti, dicendo: “Io sono una voce”,
Giovanni Battista insegna a noi non solo che tutte le creature sono “una
voce”, ma insegna anche quello che noi siamo e quindi anche quello che
dobbiamo essere: “una voce”, un annuncio.
Allora, il sapere che tutto è “voce” e
che anche noi siamo un annuncio, un messaggio, ecco, questo infonde in noi,
direi, la preoccupazione di avere sempre presente questo pensiero: “Tutte le
cose sono un messaggio per me, ma anch’io sono un messaggio, quindi devo essere
un messaggio”.
E che cosa annunciano le cose e che cosa devo
annunciare?
Giovanni Battista dice: “Io sono una voce
che grida nel deserto: Raddrizzate, fate diritte le vie del Signore!” (cf
Lc 3, 4).
E allora, siccome in Giovanni Battista si
sintetizza il messaggio di tutte le creature, ecco che anche tutte le creature
sono “una voce”, un messaggio a noi che dice: “Raddrizzate, fatte
diritte le vie del Signore!”.
E noi pure siamo voci e dobbiamo quindi essere
voci. E allora, essendo voci, dobbiamo a nostra volta recare questo messaggio
alle creature: “Fate diritte le vie del Signore!”.
Questa deve essere la nostra preoccupazione: quello che noi possiamo e dobbiamo
annunciare agli altri è questo: “Fate diritte le vie del Signore!”.
Ma questo lo annunciamo anche se non lo
vogliamo, perché lo diciamo con la nostra vita: infatti con il nostro vivere e
con il nostro morire, con le nostre tribolazioni, con le nostre difficoltà, con
i nostri mali, con i nostri dubbi, con le nostre incertezze, noi ammoniamo
sempre gli altri, cioè “predichiamo” che bisogna cercare prima di tutto Dio.
Questo è quello che avviene in noi indipendentemente da noi.
Ma poi ci deve essere anche una partecipazione
personale nostra, per cui noi dobbiamo essere quel che siamo. Essendo
voce che reca un messaggio, dobbiamo anche voler annunciare il vero
messaggio.
Quindi ci è richiesta una partecipazione
personale. Ecco, oltre il messaggio oggettivo che rechiamo indipendentemente da
noi, dobbiamo anche parlare, annunciare coscientemente questo messaggio, cioè
aiutare gli altri, annunciare agli altri che lo scopo della nostra vita è
quello di raddrizzare in noi le vie del Signore. “Fate diritte le Sue vie…!”.
Ora, cosa vuol dire raddrizzare le vie del
Signore, fare diritte le vie del Signore?
È un’opera personale, interiore, che nessuno
può fare al posto nostro e vuol dire:
·prima di tutto vedere Dio in tutto, cioè non vedervi, non
mettervi in mezzo altre cose, altre cause, poiché essendo tutto opera di Dio, tutto viene a noi
direttamente da Dio; quindi: “fai diritta la via di Dio!” (noi invece nel
pensiero del nostro io la facciamo storta, perché vi vediamo altre cause);
·conseguentemente, accettare tutto direttamente dalle mani
di Dio,
·riportandolo a Lui, per cercare di capirne da Lui il significato;
·e quindi stabilire un rapporto diretto con Dio.
Infatti “fare diritto” vuol dire entrare in
un rapporto diretto, a tu per tu con Dio, sapendo che Lui è
presente. Quindi dobbiamo mettere il tempo del silenzio, il tempo dell’ascolto,
e questo va fatto personalmente.
E dobbiamo quindi aiutare anche gli altri
(ed è questo il vero amore per il prossimo) a fare lo stesso: insegnare cioè
agli altri a raddrizzare, a fare diritte le vie del Signore, ad entrare
in diretto rapporto con Lui, e quindi ad accogliere tutto dalle mani di Dio
senza frapporre altre cause in mezzo, per intendere da Dio che cosa Lui ci dice
in tutte le cose.
Ma soprattutto dobbiamo metterci noi stessi in
rapporto diretto con Dio.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Eligio: Quindi l’essenza del messaggio del Battista, e quindi di
tutte le creature, è questo invito a fare diritte le vie del Signore.
Luigi: È il Battista stesso che ce lo dice e non solo in questo
Vangelo di Giovanni: lo leggiamo anche nel Vangelo di Matteo (Mt 3, 3) e di
Luca (Lc 3, 4). E poi nel Vangelo di Marco l’abbiamo proprio come principio: “Principio
del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo…, voce di colui che grida nel
deserto: fate diritte le vie del Signore!” (Mc 1, 1-3). Come
principio del Vangelo!
In s. Giovanni leggiamo: “In principio era
il Verbo…”. Principio del Vangelo è
il Verbo che parla in tutte le cose. E che cosa mi dice il Verbo che parla
in tutte le cose? “Raddrizza le vie del Signore!”, cioè falle
diritte! Perché? Perché tutto è opera di Dio! “Tutto è stato fatto per mezzo
di Lui…”.
Ci viene detto di raddrizzarle perché, direi,
per natura noi le facciamo storte. E come facciamo a farle storte? In quanto attribuiamo gli avvenimenti, le
cose, i fatti, alle creature anziché a Dio. Allora, ecco contorciamo l’opera
di Dio.
Quando noi diciamo: “Ah, questo è l’uomo che lo fa…, questo è
quel delinquente…, questo è la creatura…”, facciamo storte le vie del Signore.
Qui ci colleghiamo con quella famosa
conversazione sul piede pestato: se noi ci limitiamo a vedere la creatura,
attribuiamo il fatto alla creatura. Se invece noi pensiamo a Dio, l’attribuiamo
a Dio.
Ora, fare diritte le vie del Signore vuol dire
attribuire questo fatto a Dio, ricevere la cosa direttamente da Dio.
Allora, noi pensando a noi stessi, rendiamo
storte le vie del Signore, perché pensando a noi stessi, il nostro io si
riflette sugli altri, quindi attribuiamo non solo a noi, ma anche agli altri
la causa degli avvenimenti, dei fatti, o alla natura. Quindi non riceviamo
più la lezione da Dio.
Fare diritte le vie del Signore vuol dire
metterci in diretto rapporto con Dio, per ricevere sempre tutto da Dio: quindi
scavalcare, diciamo così, tutte
quelle che sono apparentemente le cause seconde e ricevere tutto da Dio,
sia i beni che i mali.
Perché dobbiamo ricevere tutto da Dio? Perché
soltanto ricevendo tutto da Dio, accogliamo su di noi le lezioni che Dio ci
vuole dare e che, se le accogliamo, ci cambiano.
Eligio: È convincente questo modo di intendere le parole del
Battista, soprattutto, perché accogliendo tutto da Dio, non affermiamo più i
motivi del nostro io, ed è ciò che conta. Invece tante volte è stata data da
certe scuole un’altra interpretazione al “raddrizzate le vie del Signore”,
intendendolo come un invito ad un lavoro personale per migliorare il nostro
comportamento, cioè ad un lavoro morale.
Luigi: No, non è questo.
Eligio: Cioè, non deve essere un’attenzione al mio io per
cercare di diventare migliore, ma un’attenzione a Dio, per non affermare il mio
io.
Luigi: Sì, perché chi modifica il nostro io è solo Dio, non
siamo noi.
Eligio: Questo l’abbiamo capito, o almeno io l’ho capito, molto
più tardi. C’è stato un momento invece in cui sembrava fosse nelle mani nostre
il migliorare, il modificarci; la vecchia scuola morale era quella.
Luigi: No, si tratta invece, poiché è Dio che ci cambia,
di metterci in rapporto diretto con Lui, ed è così appunto che va inteso
l’invito del Battista quando dice: “Io sono una voce che grida nel deserto:
Raddrizzate le vie del Signore!” (grida nel deserto, perché ogni uomo è un
deserto…Noi tutti giriamo in un deserto: perché? perché non vediamo Dio!).
Ora, “raddrizzare” vuol proprio dire metterci
in diretto rapporto con Dio. Perché? Perché soltanto mettendoci in diretto
rapporto con Dio noi riceviamo le lezioni di Dio, le quali lezioni poi cambiano
noi. Ci cambiano come hanno cambiato, ad esempio, il Battista, per cui lui
si rifiuta di parlare di sé e risponde “no” quando quegli inviati da
Gerusalemme gli domandano se lui è Elia o il Profeta.
Lui risponde di non esserlo, anche se Gesù
dirà (ecco la lezione!): “Era lui l’Elia,..era il lui profeta ”. Ma lo
dirà Gesù. Chi siamo noi, ce lo dirà Lui, è Dio che lo deve dire.
Gesù stesso dice: “Io non glorifico Me
stesso” (cf Gv 8, 5 4) (ed era il Figlio di Dio! ed era Dio!), “Io non
mi glorifico, non cerco la mia gloria, c’è un Altro che farà valere la mia
gloria”, cioè il Padre.
Quindi se il Figlio stesso non cerca la sua
gloria venendo tra noi, ma parla del Padre e dice che è il Padre Colui che
glorifica il Figlio, a molto maggior ragione noi, ognuno di noi, non deve né
difendersi, né cercare la propria gloria, come Giovanni Battista che non parla
di sé: lui si ignora. Lui non sa se sia l’Elia; lui non sa se sia il
profeta; lui sa soltanto di non essere il Messia, e dice: “Io non sono il
Messia”, cioè: “Io non sono quello che risolve i tuoi problemi. Io sono una
voce che ti dice: mettiti in rapporto diretto con Dio, perché lo scopo della
vita è questo. Chi io sia non interessa né a te, né a me; c’è un Altro che dirà
quello che io sono”.
Così pure ognuno di noi deve dire: “Quello che
io sono non interessa né a voi, né a me;
c’è un Altro che dirà quello che io sono”. Solo Colui che è, l’Essere,
può dire a noi quello che noi siamo e quello che gli altri sono.
Ma quello che deve interessare invece ad
ognuno di noi è quello che noi diciamo, è il messaggio che rechiamo, che
dobbiamo recare e che tutte le
creature recano, perché qui c’è la Parola di Dio.
Ora, questo messaggio è un messaggio
oggettivo, indipendente da noi, che noi recitiamo comunque, che Dio recita
comunque in noi, perché in quanto ci fa spettacolo ad altri, lo recita in noi
indipendentemente da noi. Per cui mentre noi diciamo: “io sono un eroe…”, il
giorno dopo siamo lì che tremiamo di paura.
Ecco, è Dio che ci fa recitare davanti agli
altri la lezione di creature e non di dèi, non di “Dio”, non di un essere assoluto!
Quindi abbiamo:
·un messaggio oggettivo che diamo agli altri
indipendentemente da noi,
come tutti gli altri lo danno a noi indipendentemente da se stessi;
·e poi abbiamo un messaggio soggettivo che dobbiamo
cercare di dare in fedeltà a Dio,
per cui le parole che diciamo, le scelte che facciamo, i pensieri stessi che
abbiamo, le azioni che facciamo, debbono essere secondo Dio. Allora qui abbiamo
un messaggio soggettivo in cui noi partecipiamo personalmente.
Quindi, se noi partecipiamo personalmente tenendo
presente Dio, allora anche questo messaggio soggettivo coincide con il
messaggio oggettivo, per cui noi
diventiamo creature fedeli secondo lo Spirito di Dio, e allora partecipiamo
anche alla vita di Dio, perché è Dio che opera in noi con la nostra consapevolezza.
Allora si agisce con la coscienza in noi di quello che siamo con Dio, del Dio
che opera in noi.
In caso diverso, si trasmette comunque un
messaggio oggettivo, cioè una testimonianza oggettiva, l’annuncio: noi magari
bestemmiamo, però rendiamo testimonianza a Dio ugualmente, anche con la nostra
bestemmia, perché magari dietro la nostra bestemmia vengono poi fuori le nostre
scelte sbagliate, i nostri delitti, ecc., per cui diamo spettacolo al mondo su
cosa vuol dire non pensare a Dio, non lasciarci guidare dallo Spirito di Dio.
Però questo messaggio che diamo non ci rende partecipi della vita di Dio.
Per cui, se vogliamo esserne partecipi, siamo
tenuti a dare quel messaggio soggettivo che coincida con quello oggettivo.
E il messaggio soggettivo da recare è quello che è sintetizzato in Giovanni
Battista a tutte le creature: “Raddrizzate le vie del Signore…”.
Tutte le creature dicono questo a noi, e anche
noi a nostra volta dobbiamo dirlo a tutte le creature, sia che siano legate da
una parentela o non parentela, figli o non figli, dipendenti o non dipendenti.
Questo è il messaggio che noi dobbiamo recare: “Raddrizzate le vie del
Signore, fate diritte le sue vie!”, cioè un invito a metterci sempre in
rapporto diretto con Dio.
Dobbiamo sollecitare noi stessi e gli altri a
questo, perché la creatura tende sempre a scivolare da Dio, perché
per natura la creatura tende a pensare a se stessa.
Ecco, per questo dico che la creatura deve
sempre cercare di superarsi (ed è poi quel “rinnega te stesso” di cui
parla Gesù in Lc 17, 33) per pensare a Dio, perché naturalmente la creatura
non pensa a Dio; però la creatura è tenuta a pensare Dio.
Ora, siccome ogni creatura tende a scivolare,
ecco che noi dobbiamo aiutarci vicendevolmente, sempre, a riportarci in
questo rapporto diretto con Dio, e a non lasciare mai subentrare il nostro
io.
È quello che Gesù intende quando ci invita a
lavarci i piedi l’un l’altro, perché camminando nel mondo ci impolveriamo (cf
Gv 13, 1-12), ci carichiamo di polvere, di questa polvere di mondo, che è poi
il pensiero delle creature, che si carica su di noi, per cui noi attribuiamo
senza accorgercene i fatti, gli avvenimenti, ecc., che accadono attorno a noi,
sempre ad altre cause e quindi non riceviamo più la lezione di Dio.
Infatti dicendo: “Questo avvenimento è per
colpa del tale”, io indubbiamente scarto la lezione di Dio, non recepisco più
la lezione di Dio. Non ricevendo la lezione di Dio, non accolgo più quello che
Dio sta facendo per modificare me stesso.
Ora, siccome è Dio che opera la trasformazione
di noi, e Lui opera per portarci nella vita eterna, per portarci nella
conoscenza della sua Verità, noi scartando le lezioni, cioè attribuendo le
cose e i fatti alle creature, scartiamo proprio quell’opera che Dio sta facendo
per allargare il nostro cuore, per allargare la nostra mente e renderla
atta, capace ad accogliere la conoscenza della Verità, e in tal modo è logico
che non arriviamo alla vita eterna.
Eligio: Quindi quello che fa tortuose le vie del Signore è
un’interpretazione soggettiva e umana (secondo il nostro modo di vedere o
secondo le creature) dei fatti che Dio opera attorno a noi.
Luigi: Sì, perché poi, in conseguenza di questo, avviene tutto
il resto. Ad esempio, ritorniamo di nuovo sull’argomento del piede pestato: se
una persona mi pesta un piede, se vedo soltanto la creatura, io reagisco
malamente, odio, faccio la guerra, ecc.: ecco, do luogo a tutte queste
conseguenze negative. Per cui tu pensa poi a tutta la protezione che debbo
mettere attorno a me, accumulando denaro, cercando una buona posizione, ecc.,
per diventare potente e non lasciarmi più pestare il piede. Ecco le vie
tortuose!
Ora, tutto questo è tutto sbagliato. Ma qual
è la fonte che ha avvelenato tutto? È il fatto che ho attribuito la cosa alla
creatura, anziché attribuirla a Dio.
Perché se io avessi invece visto Dio e
non la creatura, ricevevo su di me la lezione di Dio: ricevendola su di me,
modificavo me e quindi liberavo la creatura, anzi, mi aprivo ad amare la
creatura, perché la creatura è stata un mezzo che Dio ha “strumentalizzato”
(addirittura!) per correggere me.
Quindi dovrei essere riconoscente verso la
creatura, perché Dio magari l’ha fatta diventare villana per correggere me,
perché io avevo bisogno di incontrare un’opera villana. Invece, avendo
attribuito la cosa alla creatura, ho fatto il primo sbaglio che ha dato luogo a
tutte le altre conseguenze, a tutte quelle vie tortuose.
Per questo dico che la base di tutto è questo:
entra in rapporto diretto con Dio, raddrizza le opere di Dio, non farle storte!
Quindi non vedere l’opera della creatura, ma vedi l’opera di Dio!
Eligio: Direi che questo “raddrizzare le vie del Signore” è
già il secondo passo, perché riferendoci alla conversazione di domenica scorsa,
prima dobbiamo affermare quello che non siamo rispondendo all’interrogazione
che gli altri fanno a noi su quello che noi siamo; cioè per prima cosa non
dobbiamo metterci al centro degli altri, atteggiandoci a “messia”, a salvatori
o a maestri.
Luigi: Sì, certo! Infatti innanzitutto il Battista dice: “Non
sono io il Messia, il Cristo”.
Eligio: Allora si entra dopo in questa esigenza di un rapporto
diretto con Dio per rendere diritte le vie, per rimuovere quelle affermazioni
del nostro io che rendono tortuose le strade del Signore. Le due affermazioni
del Battista quindi si collegano bene.
Luigi: Cioè noi non dobbiamo presentarci o proporci come
l’Essere, come il Messia, come Colui che risolve i problemi dell’uomo o che
aiuta per una una cosa o per un’altra, no! Perché i tuoi problemi è solo il
Signore che te li risolve.
Eligio: Cioè dobbiamo metterci da parte e dire: “No, non sono io
quello che tu aspetti”.
Luigi: Ecco, perché è solo il Signore che può illuminare e
risolvere i problemi. Quindi non dobbiamo accettare le etichette delle
creature, perché le creature tendono ad etichettare, a classificare gli
uomini (tu sei questo…, l’altro è quest’altro, ecc.) e a farli rientrare in
questi schemi.
Abbiamo visto che Giovanni si rifiuta, non si
lascia catalogare in questi schemi, non accetta, anche se è quello che gli
dicono di essere, lui dice di non esserlo. Infatti sarà solo Dio che dirà
quello che è la creatura. Non siamo noi che lo possiamo dire.
Eligio: E non è neppure un problema saperlo.
Luigi: Certo, non è un problema sapere quello che la
creatura è o quello che noi siamo. Il vero problema che come creature ci
dobbiamo porre è quello di intendere, capire il messaggio, l’annuncio che Dio
ci dà attraverso le creature e che noi stessi, anche se il più delle volte
inconsapevolmente, rechiamo.
Eligio: Quindi la creatura non deve affermare quello che è, ma
rendersi conto di essere solo un messaggio, portatore di una verità.
Luigi: Sì. Quindi dobbiamo riconoscere il messaggio che gli
altri recano a noi e noi stessi diventare messaggio per gli altri,
messaggio di Dio, quel messaggio che dice: “Raddrizzate, fate diritte le vie
del Signore”.
Giovanni Battista, rifiutando di essere
etichettato, rifiutando di parlare di sé e affermando di non essere lui il
Cristo, ci aiuta ad evitare l’errore fondamentale. Cioè ci fa capire che l’errore
fondamentale è quello di mettere sempre il nostro io al centro, per cui noi
riteniamo di essere colui che l’anima degli altri attende o, per lo meno: non
lo saremo per tutta l’umanità, ma lo saremo, per esempio, per una persona, per
una famiglia… Comunque sia ci proponiamo come “sono io che risolvo tutto”. Ecco
no! Tu mettiti sempre al tuo posto; chi risolve tutto è Dio. Quindi:
·il primo passo è questo: mettiti da parte, in modo che la creatura abbia a vedere Dio e
non a vedere te;
·poi, come seconda cosa, tendi sempre ad essere
annuncio, voce che grida: “Raddrizza, fa’ diritte le vie del Signore”,
cioè vedi tutte le cose da Dio, sta attento all’operare di Dio, perché Dio sta
operando in tutto.
Eligio: Questo ci fa riflettere con quanta facilità,
affermando un certo modo di vedere le cose, diventiamo ostacolo alla
visione che gli altri potrebbero avere di Dio. È una responsabilità tremenda.
Luigi: Ah, senz’altro! È logico!
Eligio: E questo avviene senza rendercene conto.
Luigi: Sì, senza rendercene conto.
Eligio: È proprio la natura che ci porta a discorrere di tutto
meno che di Dio, a collegare tutto alle cause seconde, tranne che alla Causa
prima.
Luigi: Sì, perché noi per natura pensiamo a noi stessi.
Quindi per collegare tutto con Dio è necessaria una “sopra natura”, quindi uno
sforzo, poiché Dio è sopra natura, Dio è trascendente. Ed essendo
trascendente, non è naturale. Ed è logico che sia trascendente!
Ora, siccome Dio è trascendente, noi possiamo
attingere a Lui soltanto in quanto ci superiamo. Quindi è sempre necessaria
questa fatica: questo non fermarci cioè all’apparenza.
Come non dobbiamo fermarci all’apparenza delle
cose (e abbiamo una lezione
continua che attraverso le creature e i fatti ci ammonisce: “non fermarti
all’apparenza, perché l’apparenza ti inganna”), così non dobbiamo neanche
fermarci all’apparenza del nostro io, perché apparentemente “sono io che
faccio, sono io che decido”. No, non voler essere autonomo, cerca sempre
presso Dio i motivi delle tue scelte, i motivi delle tue azioni, i motivi
del tuo pensare, i motivi del tuo parlare. Ecco, cerca presso Dio! Allora sarai
“messaggio”, allora il tuo messaggio è fedele.
Ma per cercare presso Dio, ci vuole questo
sforzo.
Ora, questo sforzo dobbiamo farlo noi
personalmente, e aiutare anche gli altri a farlo, perché gli altri si
trovano nella nostra stessa situazione; per cui tendono anche loro a
scivolare. Tendendo a scivolare, tendono ad attribuire a noi quello che noi
non siamo. Per cui loro tendono a dire: tu per me sei tutto. E noi non dobbiamo
lasciarcelo dire, perché nel gioco delle apparenze loro restano ingannate.
Quindi non dobbiamo restare noi nell’errore,
e nemmeno lasciare che gli altri vi restino. Dobbiamo sempre invitare la
creatura che guarda a noi, a fare diritte le vie: “No, guarda Dio, non guardare
a me: io sono una povera creatura, io sono solo una voce…”.
La grandezza di Giovanni sta proprio qui: si
ignora, ai suoi occhi non è
nemmeno un essere; infatti dice: “Io sono una voce”, quindi un soffio, un
annuncio, un messaggio, perché quello che a lui importa è l’Altro. La
grandezza di Giovanni è tutta lì, e deve essere poi la grandezza di ogni creatura,
perché ogni creatura dovrebbe parlare di Dio. Noi invece parliamo sempre di
creature. Se dovessimo parlare di Dio, non sappiamo che cosa dire. Come mai?
Perché non conosciamo Dio.
Se noi conoscessimo molto Dio, parleremmo
sempre di Dio. Invece noi parliamo sempre di quello che ha fatto uno e di
quello che ha fatto l’altro: ecco, queste sono le vie storte!
E così sono pure storte tutte le comunicazioni
che facciamo o riceviamo: noi apriamo un giornale, ma è sempre il racconto di
quello che hanno fatto gli uomini, è sempre un dire quello che ha fatto il
tale, quello che ha fatto il tal altro: sono tutte vie storte!
Invece noi dovremmo sempre vedere Dio,
dovremmo sempre dire quello che fa Dio, osservare quello che fa Dio (e quella,
sì, è la vera lezione!), perché è Dio che opera in tutto, e operando in
tutto ci dà le vere lezioni. Allora sì che riceviamo le vere lezioni! Non è
invece osservando quello che fanno le creature che riceviamo le vere lezioni.
Giovanni M.: Il Vangelo di domenica scorsa diceva: “Non siete voi
che avete eletto Me, ma sono Io che ho eletto voi” (Gv 15, 16). Allora, il
distacco dalle cose e da noi stessi per poter attribuire tutte le cose a Dio e
non più a noi, non è anche un dono che Dio fa a noi?
Luigi: Certo, tutto è dono di Dio.
Giovanni M.: Ma allora l’uomo nella sua miseria, se non è aiutato da
Dio, non può raggiungere quella conoscenza di Lui che deve raggiungere.
Luigi: Certo, senza Dio non possiamo fare niente.
Giovanni M.: Dio allora dovrebbe anche aiutarci un po’, no?
Luigi: Tu pensi che Dio non aiuti? Il difetto è sempre nostro. Da
parte nostra c’è solo il difetto. Dio invece sovrabbonda sempre.
Giovanni M.: Ma come fa una creatura che vive così nel mondo a
pensare sempre a Dio? Sì, c’è il Vangelo che può aiutare, ma tanti non
conoscono neanche il Vangelo e tanti vivono a livello quasi animale…. Se una
creatura non è aiutata da Dio, come può avere la luce per attribuire a Dio
tutte le cose che succedono nel mondo e la forza per accettarle?
Luigi: Ma guarda che Dio aiuta tutte le creature e opera
affinché intendano che debbono sempre guardare a Lui, che devono ricevere
tutto da Lui.
Dio dice che fa giungere anche ai morti la sua
Parola. Cosa vuol dire? Che tutti quanti sappiamo, ad esempio, che non siamo
noi i creatori del mondo. Basta quello!
Dio si annuncia a tutti così, facendoci
capire che è un Altro che ha fatto il mondo.
Annunciandosi, insegna a noi a fare conto
su di Lui, perché le cose vengono da Lui. Se io non faccio conto su di Lui,
quindi se non ricevo le cose da Lui (anche le scelte e le grazie), il difetto
sta in me che non faccio conto su di Lui: “Tu sapevi che Io c’ero, e perché
allora non hai fatto conto su di Me? Perché hai preferito altro a Me?”. È lì la
nostra responsabilità! Se noi sappiamo che Egli c’è, perché poi non facciamo
conto su di Lui? Noi sappiamo che Lui c’è, perché tutte le cose, tutte le
creature ci dicono: “Non ci siamo fatte noi da sole, un Altro ci ha fatte”.
Tutte le cose sono dei cartelli che ci
indicano Colui che è il Creatore di tutte le cose. Noi possiamo soltanto
guastare, noi possiamo soltanto rovinare, ma non possiamo fare, creare
niente, anzi, possiamo ridurre tutto a niente (“Senza di Lui è
ridotto a nulla tutto ciò che è fatto” - Gv 1, 3) “Tu puoi, come diceva il
De Vasto, schiacciare un insetto, ma non lo puoi ricostruire”. Così tu puoi
strappare una foglia da un albero, ma non la puoi più riattaccare. Vedi? Ecco
quindi quello che la creatura fa! La creatura diminuisce, può soltanto
diminuire quello che è fatto, per cui il difetto sta sempre nella creatura.
Quindi, siccome tutte le creature dicono a
noi: “Noi da sole non ci siamo fatte, tu non ci hai fatte, ma è un Altro che ci
ha fatte”, noi dobbiamo allora guardare a quest’Altro!
Noi siamo infatti capaci di osservare ed
intendere le cause che servono per i nostri interessi. Se dunque siamo capaci
di intendere ciò da cui dipende una cosa (ad esempio, se voglio… piantare un
cavolo, devo sapere le cause che mi fanno fiorire il cavolo, per cui divento
capace di intenderle), perché non siamo allora capaci di cercare la Causa
prima da cui tutto dipende?
Il Signore dice: “Voi siete stati capaci ad
intendere i segni dei tempi, per cui dite: è rosso di sera, domani fa bel
tempo; oppure se vedete una nuvola venire da ponente, dite: domani fa brutto
(cioè siete stati capaci a collegare gli effetti con la loro causa!), e
perché allora non siete altrettanto intelligenti nel capire il senso delle
cose, nel capire chi è il Creatore di tutto? Cioè perché non siete
altrettanto intelligenti nel capire che cosa vi significano, che cosa vi dicono
tutte le cose?” (cf Lc 14, 54-56). Esse ci richiamano alla loro Causa, al loro
Creatore. Perché non lo capiamo?
Tu capisci che se tutte le cose sono opere di
Dio, allora tutte le cose sono parole che ci indicano Colui che parla, che ci
orientano a Lui, ci rivolgono a Lui.
E come mai allora se tutte le cose parlavano a
noi di Dio, noi non abbiamo guardato a Dio?
Ecco, in noi c’è qualcosa di guasto; si è
guastato qualche cosa! Abbiamo lasciato entrare una molteplicità di altri
interessi!
Perché se noi fossimo semplici, se fossimo
come dei bambini e sentissimo un rumore, sentendo un rumore andremmo alla
ricerca fintanto che non scopriamo la fonte del rumore. Ecco la semplicità!
Ora, tutte le creature sono un rumore, ma noi non ne vediamo ancora la fonte. Se
siamo semplici, andiamo verso la loro fonte, e non siamo tranquilli
fintanto che non scopriamo la fonte di questi rumori.
Invece tra le creature e Dio ad un certo
momento c’è una frattura. Come mai? Non abbiamo più tempo per seguire la
segnalazione che ci danno le creature. Abbiamo i nostri interessi. È l’io che
si frappone tra le creature e Dio.
Giovanni M.: Questa
segnalazione delle creature, l’uomo la sente?
Luigi: E come la sente! Te la denuncia continuamente, perché
vivendo solo per guadagnare, vivendo solo per il lavoro, per il denaro e per
cose che passano, l’uomo soffre, è triste dentro di sé.
Perché porta questa tristezza? Ma perché
non ha continuato il suo cammino!
Infatti l’uomo quando nasce, direi, è tutto un
“perché”, è tutto una ricerca, è tutto un’invocazione, è tutto un bisogno di
trovare Dio. Come mai ad un certo momento si ferma? Perché subentra un altro
interesse, per cui non ha più tempo. Ma quello lo rende triste, per il
fatto che gli rimane insoddisfatto il “perché”. Ed è poi questo che
forma in lui quella insoddisfazione fondamentale!
Se lui invece fosse stato tanto semplice da
poter seguire l’onda dello Spirito che lo chiamava, arrivando a Dio, lui
avrebbe trovato l’appagamento dei suoi “perché”. E allora si sarebbe
formata in lui quella unità di spirito
con Dio, la quale è fonte di pace. Invece…
Angelo B.: Invece resta triste, ma non sempre riesce a capire la
causa di questa sua tristezza.
Luigi: Ah, no, l’uomo
non può fare la diagnosi, no! Il malato non può fare la diagnosi. Chi fa la
diagnosi è colui che vede: per fare la diagnosi bisogna avere la luce.
L’uomo subisce la malattia, subisce la
tristezza, ma non sa a che cosa attribuirla. È lì il dramma, perché poi lui la
attribuisce alla creature o alle ingiustizie umane, e, indubbiamente, non può
fare diversamente. È come un malato che ad un certo momento, non sapendo fare
la diagnosi della sua malattia, la attribuisce a chissà quali altre cause
ostrogote, oppure a qualche maledizione…
Vedi come noi andiamo errando nelle cose,
quando non abbiamo la luce? Però il male lo subiamo, e la tristezza la portiamo
con noi.
Ma qual è questa tristezza? La tristezza
profonda è questa: il cammino che si è interrotto!
Angelo B.: E chi è che ci può far capire il perché di questa
tristezza?
Luigi: Ah, ma è solo Cristo, il Messia! È Lui che ce lo fa
capire, se assimiliamo le sue parole e i fatti della sua vita. Perché è
valido il Vangelo? Perché risponde ad una situazione di malattia nostra.
Lui è Colui che viene a giustificare le nostre situazioni e ad indicarcene
la via di uscita. Quando Lui dice: “Non affaticarti per il mangiare e
per il vestire” (Mt 6, 31), ma Lui ci libera da una tristezza! Perché noi
siamo tristi? Noi siamo tristi perché viviamo per il mangiare e per il vestire.
Ora, siccome quello non risponde alle esigenze
profonde della nostra anima, della nostra vita, noi ci sentiamo frustrati,
offesi. È come se, ad esempio, una persona ci amasse soltanto per la… cravatta
che portiamo o per il vestito che abbiamo, o per i danari che abbiamo: noi ci
sentiremmo offesi. Come mai?
Noi ci sentiamo offesi da una persona che ci
ama solo per i denari che abbiamo, perché non considera la parte essenziale
della nostra personalità, del nostro essere. Ci sentiamo offesi, perché non ci
ama per quello che siamo. E così è lo stesso: se viviamo per cose relative, ci
sentiamo offesi, avviliti, tristi, perché esse non rispondono alle esigenze del
nostro spirito, poiché noi non siamo stati creati per esse, ma per Dio, per
conoscere la Verità.
Quindi il non vivere per conoscere Dio, cioè, il
vivere per delle cose relative, crea sempre una profonda tristezza dentro di
noi, anche se queste cose relative ad un certo momento ci fanno battere le
mani da tutto il mondo. Ma anche se abbiamo tutto il mondo che ci batte le mani
e ci dice: “tu sei grande, ecc.”, non è sufficiente per cacciare questa
tristezza. È la nostra coscienza che dentro di sé non è soddisfatta e che
quindi prova questa profonda tristezza. Però non può farne la diagnosi.
Il Cristo, venendo, ci libera da quello che
noi crediamo siano i nostri bisogni essenziali, i nostri doveri, che ci hanno troncato la via
essenziale, e ci riporta su quella strada sulla quale già eravamo. Sulla
quale già eravamo, sia ben chiaro, perché quando si era bambini già eravamo
sulla strada giusta.
Dio ci crea già su questa strada; infatti
abbiamo bisogno di conoscere e noi quando andiamo a cercare il “perché” delle
cose, siamo già avviati. Infatti il bambino è tutto un “perché?”, è tutto
un’interrogazione.
Però ad un certo momento, magari per
educazioni sbagliate, per tante cose, subentra un disorientamento, una
deviazione, una distrazione, per cui ci rivolgiamo ad altri beni, ad altre cose
che riteniamo valide per la nostra vita (e quando scopriremo l’inganno, magari
sarà troppo tardi), per cui non abbiamo più tempo interiore per l’ascolto di
Dio. Resta ancora l’interrogazione: “Chissà perché? Chissà perché?”, cioè
diventiamo magari tutto un’interrogazione, ma non abbiamo più tempo ad
occuparci di Dio.
Mentre invece il primo diritto dell’uomo, che dovrebbe essere rispettato essenzialmente
ovunque, è il diritto alla ricerca di Dio, il diritto ad occuparsi di
Dio, a pensare a Dio. E, direi, sotto questo diritto dovrebbero essere posti
tutti gli altri doveri. Questo è il primo diritto, perché questo è l’elemento
essenziale che forma l’uomo.
L’uomo deve avere del tempo, soprattutto del
tempo interiore, per cercare Dio, per pensare Dio. Addirittura Gesù subordina il problema del mangiare e
del vestire (che sono gli elementi essenziali per il nostro vivere) al cercare
Dio prima di tutto, a questo bisogno di trovare Dio, perché lì, in quel
bisogno, abbiamo l’anima: l’anima è lì!
Infatti se tu dovessi definire l’essenza, la
sostanza della nostra anima, come la definiresti? Quello che ci distingue da
tutte le altre creature, quello che ci distingue dagli animali e tutto quanto,
che cos’è? È l’anima! L’anima è desiderio di Verità, desiderio di Dio, desiderio
che l’uomo porta in sé.
Angelo B.: E che l’animale invece non ha.
Luigi: Che l’animale invece non ha. Ora noi trascurando di
cercare Dio, offendiamo questa fame, cioè offendiamo la nostra anima,
poiché la nostra anima non vive da sola, come non vive da solo il nostro
corpo quando ha fame.
Quindi la fame, il desiderio di Dio, è il
bisogno di vita che portiamo dentro di noi. Infatti il Signore dice: “A
che vale che tu possieda anche tutto il mondo se la tua anima muore?” (Mt
16, 26). Quindi la prima cosa essenziale da curare è questo desiderio di Dio
che portiamo in noi, questo desiderio di Verità, questa fame di Dio che
portiamo in noi.
Bisogna cioè subordinare tutto a questo, perché come dico, deve essere il primo
diritto che l’uomo ha, che deve far valere, al quale non deve assolutamente
rinunciare e che deve essere rispettato da tutta la società, da tutti quanti.
Giovanni M.: Quindi è per questo che Giovanni Battista dice tanti
“no” e dice: “Non sono io il Cristo”.
Luigi: Sì, per mantenersi libero per Dio e difendere il suo
diritto ad occuparsi di Dio. Lui si rifiuta di essere considerato come il
Messia, l’Atteso, e dice: “Io non sono il Cristo ”, e nello stesso
tempo, parlando così, si mantiene libero, capisci? Perché quando uno dice:
“Sono io il messia, sono io il tuo tutto, quello che risolve per te tutto”, uno
si incatena!
Invece Giovanni Battista segue la via della
libertà per occuparsi di Dio, per parlare di Dio, per dipendere solo da
Dio.
D’altronde, presentandoci come “salvatori”,
noi non faremmo altro che ingannare. Quindi, siccome Colui che risolve il
problema di ogni creatura è solo Dio, noi non dobbiamo mai sostituirci a Dio,
perché ad un certo momento salta poi fuori la delusione, l’inganno, il
tradimento, ecc.
Pinuccia B.: Quindi
il Battista aveva veramente lo spirito di Elia (Elia, come era stato
preannunciato, doveva tornare nell’imminenza della venuta del Messia), come
precursore del Cristo e come profeta.
Luigi: Si capisce. Però lui è quello! Perché Gesù dirà proprio
che “Elia è venuto, ma voi non lo avete conosciuto”.
Pinuccia B.: Quindi
lui è proprio il precursore, colui che doveva venire ed è anche profeta...
Luigi: Però lui proprio perché è il precursore, non parla di
sé, non gli interessa parlare di sé. Sarà Gesù che dirà ciò che lui è, lui no. Lui
segnala un Altro. È questa la funzione dell’indicazione stradale,
della segnalazione. Ora, il cartello stradale non dice: “Io sono un cartello
stradale”. Il cartello stradale dice: “Questa è la freccia: va’ a Torino!”.
Così anche Giovanni Battista: lui si rifiuta
di dire chi lui è. Per cui quando gli chiedono: “Sei Elia?”, cioè “sei un
cartello stradale?”, risponde: “No, non lo sono”, appunto perché non parla
di sé. Non deve parlare di sé. Ecco, non deve parlare di sé! Per cui
dice: “Io sono una voce”, ecco: “io sono una freccia”.
Giovanni M. : E sarà Gesù che lo rivaluterà in seguito quando dirà: “Ma
chi siete andati a vedere nel deserto? Forse una canna sbattuta dal vento? …un
profeta? Sì, vi dico, anche più di profeta…, ecc.” (Mt 11, 7-14).
Luigi: Certo, ma vedi, siamo sempre lì: chi dirà ad ognuno
di noi chi siamo sarà Dio, non siamo noi che dobbiamo dirlo. Così pure è un
errore pensare di doverci difendere. Quante volte si sente dire: “Io devo
difendere il mio onore, perché quello là mi ha offeso, ecc.”. E guarda poi da
questo quante complicazioni vengono fuori! Se invece noi non pensiamo a noi stessi,
sarà Dio Colui che ci difenderà; sarà Dio che dirà quello che noi siamo. A
noi non deve interessare questo.
La nostra preoccupazione deve essere solo
quella di rendere gloria a Dio, per cui: “Noi siamo venuti qui per parlare di
Dio”: ecco la freccia! quella che indica la via. Ed è poi quello che indicano
tutte le creature, per cui dinanzi ad una freccia, nessuno può dire: “Io non ho
visto la freccia” (ecco, tu mi dicevi: “Come fanno coloro che non hanno la
Parola di Dio scritta…?”) e nessuno si può scusare per aver sbagliato strada.
Come mai ti sei trovato in una strada sbagliata? La freccia c’era. Come
mai non l’hai vista? Dovevi vederla: la freccia si fa vedere.
Eligio: Non l’hai vista perché avevi altri amori!
Luigi: Ecco, c’erano altri amori che ti hanno impedito di
vederla! È quello il fatto! Per cui se noi siamo semplici, la freccia la
vediamo. Per questo il Signore ci invita a ritornare semplici come bambini:
“Se non ritornerete semplici come bambini, non potrete entrare nel Regno di
Dio” (Mt 18, 3).
Cos’è questa semplicità che fa entrare? È la semplicità di colui che dice: “Ah, la
freccia è questa, quindi seguo la strada che essa mi indica”. Ecco la creatura
semplice!
La creatura semplice dice: “C’è scritto cento?
pago cento; c’è scritto dieci? pago dieci”. Ecco, è il rispetto dei valori e
quindi della giustizia: giustizia che vuol dire dare ad ognuno il suo. Dio
è l’Essere più importante, quindi mi devo dedicare molto più a Dio che non alle
creature. Ecco la semplicità, la creatura semplice!
Quindi nessuno può dire: “Io non sapevo!”.
Perché avanti a Dio non ci può essere nessuna creatura! È Lui che va messo
prima di tutto!
Giovanni M.: Infatti non c’è un passo del Vangelo che dice: “Se
non avessi parlato, non sareste in colpa…”?
Luigi: Ah, sì: “Se Io non fossi venuto e non avessi loro
parlato, non avrebbero colpa; ma dal momento che sono venuto e ho parlato,
non hanno scuse per il loro peccato ” (cf Gv 15, 22).
Giovanni M.: La nostra colpa sta nel non aver accettato le sue
Parole.
Luigi: Certo, perché chi parla si fa sentire. È poi la
valutazione che noi diamo che determina tutto! Per cui se a noi non interessa
Dio, quando arriva a noi la sua Parola, noi non vi facciamo caso e la trascuriamo.
Ecco, il difetto sta lì: nel modo con cui noi valutiamo l’annuncio che ci
giunge. Per cui, una persona ci parla di Dio? “Ma a me Dio non interessa”.
Ecco, chiuso!
Giovanni M.: Questo disinteresse è già un rifiuto.
Luigi: Ma quando io rifiuto, rifiuto ciò che già mi è
arrivato. Io non posso non vedere! Se mentre cammino un cane mi attraversa
la strada, io posso dargli un calcio, ma non posso non vederlo. Anche se gli do
un calcio, ormai l’ho visto! Qualunque cosa che accade, la vediamo, per cui:
“tu hai visto!”, ci verrà detto.
Quindi il difetto non sta nel non vedere; il
difetto sta nel come valutiamo ciò che arriva a noi.
E noi valutiamo tutte le cose in funzione dei
nostri interessi, per cui se ci parlano di una cosa che non ci interessa, non
le diamo valore e non vi prestiamo attenzione. Ad esempio, mi parlano di
football? Se non ascolto, implicitamente dico: “Non mi interessa”. E così
anche: mi parlano di Dio? Se sono semplice, ne riconosco il valore e dico: “Mi
interessa”. Se non lo sono, mi occupo di altro, dicendo implicitamente: “Non mi
interessa”. Che cos’è che mi fa dire: “Mi interessa o non mi interessa?” Vedi,
è questa dimensione personale qui, questa semplicità o assenza di semplicità.
Ora, se noi siamo semplici, ci interessiamo
molto di Dio, perché, come dico, ci interessiamo a ciò che vale di più
e ci interessiamo meno di quello che vale meno.
Se invece noi pensiamo a noi stessi,
implicitamente, nel pensiero del nostro io avviene già un capovolgimento dei
valori: noi diamo molta più importanza a quello che esalta il nostro io, a
quello che fa piacere al nostro io e trascuriamo invece quello che magari
impegna il nostro io a superarsi, a dimenticarsi.
Per cui, è vero che Gesù dice: “Se Io non
fossi venuto e non avessi parlato non sareste in colpa,…”, ma Dio parla in
tutto. Dio parla in tutto! Quindi ogni creatura, come Giovanni Battista, è
“voce” di Dio, per cui, se noi non ci mettiamo in ascolto, siamo in colpa.
Giovanni M. : Ogni creatura, ogni cosa, essendo “voce”, ci testimonia
la grandezza di Dio e ci fa riconoscere la nostra miseria.
Luigi: Purtroppo però noi non facciamo più caso alle cose.
Tu prova ad immaginare di essere sulla luna dove tutto è arido, brullo, ecc., e
di scoprire ad un certo momento un filo d’erba, solo un filo d’erba: tu
pensa che stupore e che meraviglia! Come ti inginocchieresti di fronte a
Colui che ha creato questo filo d’erba, che è poi solo un filo d’erba?! Capisci
quello che voglio dire?
Ora, come mai noi siamo di fronte a delle
meraviglie continue, a dei miracoli continui, a questa creazione che è
continua, e non ce ne accorgiamo? Per noi tutto è scontato! Vedi che c’è
qualcosa di sbagliato in noi?
Giovanni M.: Allora queste parole: “Se non avessi parlato…”,
non si riferiscono soltanto al Verbo incarnato che è venuto a parlarci, vero?
Luigi: Gesù quando dice: “Se non avessi parlato…”, ci
rivela quello che Dio dice tutti i giorni, perché Dio è Colui che parla
continuamente. Non è che possiamo dire: “Gesù ha parlato allora”. Quello
che ha detto allora ci rivela quello che tutti i giorni dice a noi. Per cui Dio
parla a noi ora, sempre.
Ma come, Dio parla a te, e tu non L’hai
ascoltato? Dio parla a te e tu non
hai guardato a Lui? Ecco la colpa! Come mai non L’hai guardato? Perché
hai preferito la creatura (ecco l’essenza del peccato!) al Creatore? Cosa
c’è di guasto in te, per cui tu hai preferito la creatura al Creatore?
Ecco, c’è qualcosa di guasto! Ecco la creatura che non è più semplice! Come
mai?
Perché la creatura ti batte le mani, invece il
Creatore magari ti dà una bastonata.
Giovanni M. : E poi, non solo la creazione, ma anche tutti gli
avvenimenti che succedono in questo mondo sono una testimonianza di Dio.
Luigi: Ah, tutto è lezione di Dio. Certo, tutto è lezione di
Dio!
Giovanni M. : Se uno vede le cose nel Pensiero di Dio, in tutti i
fatti che succedono vede tutti gli errori che fa l’umanità…
Luigi: E sono lezione di Dio, perché se tu poi cerchi la
fonte di tutti questi errori, tu trovi poi soltanto questo: che è solo
il prevalere di cose che passano; e lì apportano già una lezione. Perché
faccio la guerra con il mio vicino? Ma per possedere qualche bene, per ottenere
qualche cosa che domani certamente dovrò lasciare, perché dovrò morire. Ora,
l’errore è evidente! Ma come, tu ti offendi, ad esempio, con il tuo fratello
per una cosa che domani certamente lascerai?
Ma l’amore al fratello è molto più importante
della cosa per cui lotti!
Quindi perisca la cosa, ma salva l’amore al fratello!
Vedi i valori in Dio come sono diversi?
Ora evidentemente tutti i mali che si
scatenano nel mondo, si scatenano soltanto perché noi ci avvinghiamo a delle
cose che passano. Non siamo quindi liberi, ma siamo posseduti dalle cose che
passano.
Angelo B.: Che tutto sia “voce” di Dio, che tutto ci rechi un messaggio
di Dio, è relativamente facile crederlo, se crediamo in Dio Creatore; ma la
difficoltà sta nel capire il perché mi sia capitata una cosa ; cioè è difficile
leggere, è difficile capire il significato…
Luigi: Certo, è difficile, ma il capirlo dipende dalla tanta
profondità che portiamo dentro di noi, cioè dalla tanta amicizia con Dio.
Più noi ci siamo raccolti nel silenzio e più ci è facile capire, leggere il
significato.
Perché, vedi, in un primo tempo ci vuole molto
silenzio e raccoglimento sulle parole di Gesù, perché, indubbiamente, tutte le
creature ci insegnano a guardare a Dio, ma quando abbiamo capito questo,
dobbiamo fare ciò che esse ci hanno insegnato: dobbiamo cioè imparare a
chiudere gli occhi, a staccarci da esse e prendere contatto con Dio.
Allora proprio in questo contatto con Dio
noi impariamo a leggere.
Per cui dopo, in un secondo tempo, li apriremo
di nuovo gli occhi, ma li apriremo con uno spirito diverso, con una certa capacità di leggere. E più noi ci
raccogliamo in Dio e più diventiamo capaci di raccogliere e quindi di leggere.
Ecco perché dobbiamo aiutarci molto con il
Vangelo! Perché il Vangelo ci aiuta molto a questo silenzio, a questo
raccoglimento in Dio, perché le lezioni che si trovano nel Vangelo sono molto
vicine a darci il significato delle cose.
Poi quando abbiamo creato questa profondità in
noi, allora guardando il mondo esterno, ognuno intende il significato delle
cose e dei fatti a seconda di quello che porta dentro di sé. E tu capisci
che ognuno guarda con superficialità o con profondità, a seconda di quello che
porta dentro.
Quindi, se non sei capace a leggere le cose
che avvengono fuori, impara prima a raccoglierti dentro di te e metti dentro di
te qualche cosa. Quando avrai messo dentro di te qualche cosa, allora guardando
fuori, saprai leggere. Si richiede però sempre questa dimensione interiore.
Angelo B.: Se noi riferiamo tutto a Dio, ci penserà Lui ad
insegnarci a leggere, no?
Luigi: Certo, se guardiamo a Lui. La lezione principale,
comprendendo che Lui opera in tutto, è quella di accettare tutto da Lui; questa
è la lezione fondamentale: accettare tutto da Lui. Ma quando uno accetta,
poi incomincia ad interrogare.
Tu capisci, accettando, tu ritorni bambino,
cioè incominci a chiederti il “perché”. Perché accettando dalle mani di Dio, ti
interroghi: “Perché Dio fa questo?”. Ecco, allora tu incominci ad interrogarti
su tutto.
E se continui a rimanere in questa semplicità,
ti viene per forza da continuare ad interrogare, perché vivendo alla presenza
di un Essere che opera, ti viene da chiedere perché opera così.
Ecco, il figlio che vive alla presenza del
Padre, continuamente cerca di capire perché il Padre opera così, perché il
Padre fa così, ecc.. Ecco, cerca di capire il significato, di capire il
Pensiero, l’animo del Padre.
Ora, se a noi effettivamente sta a cuore Dio,
accettiamo tutto da Dio: non possiamo pretendere di intendere il significato,
ma incominciamo ad interrogare. Sarà Dio che ci illumina, indubbiamente;
perché tutto ci viene da Dio, anche l’intelligenza delle parole che Lui
dice.
E quindi questo pensare a Dio, ci fa
raccogliere in Dio, però ci resta il desiderio di intendere ciò che Lui fa, per
cui Lo interroghiamo. È proprio il Pensiero di Dio che ci porta ad
interrogare e a desiderare di capire.
Se invece noi trascuriamo Dio, non ci
interessa più che Lui faccia una cosa
o ne faccia un’altra e non ci interessa capire il significato di ciò che Lui
fa. A noi interessa altro: interessa guadagnare denaro, ad esempio, quindi non
ci interessa più capire il significato delle cose.
Ecco, è il tanto pensiero dato a Dio, il tanto
pensare a Dio che ci porta ad interrogare!
Emma D.: Il Battista con le sue parole ci ha fatto capire che
ogni cosa, ogni creatura, ogni fatto è una “voce” che ci reca un messaggio
di Dio. Se ci reca un messaggio, bisogna desiderare di capirlo.
Luigi: Il messaggio di base è sempre un invito a raddrizzare
le vie del Signore, riferendo tutto a Lui e non alle cause seconde e questa
è la condizione per giungere a capire il messaggio specifico, il significato di
ogni cosa o fatto, raccogliendolo in Dio.
Bisogna cioè raccogliere tutto in Dio; e per
raccogliere non basta accettare da Dio, ma bisogna riportare in Dio ciò che
si è accettato, per cercare di capirlo da Lui. È Lui che illumina la cosa. “Chi
con Me raccoglie, riceve mercede di vita eterna”. Ecco, ci vuole quel “con
Me”.
Cina: Penso che sfuggiamo molto a questo lavoro interiore che
bisogna fare per cercare di intendere il significato delle cose e degli
avvenimenti…E allora ci troviamo lì, in balìa di tante cose…
Luigi: Ma secondo te, che cosa si deve fare per cercare di
raccogliere? Che cosa si può fare per non sfuggire a questo lavoro interiore?
Cina: Appunto, è proprio questo continuo coltivare il
raccoglimento, la meditazione della parola di Dio. È questo che mi fa capire
l’importanza di questo lavoro e mi aiuta a restare in questa lezione del
Battista, in questo raddrizzare le vie del Signore, in questo raccogliere tutto
in Lui. Altrimenti, se non si fa questo lavoro, si resta come pecore senza
pastore. Ed è terribile, perché si finisce di esperimentare proprio la
dispersione, la non-vita.
Luigi: Certo, se non raccogliamo in Lui, i nostri pensieri
sono dispersi come pecore senza pastore.
Cina: Per cui si continua ad interessarci di questo e di
quello, e alla fine si è proprio portati via da questo pensiero… Ma poi a
ritornare ce ne vuole!
Luigi: Certo. È il pensiero dell’essenziale che bisogna sempre
avere presente e che va messo prima di tutto: “Una cosa sola è necessaria”
(Lc 10, 42) e quest’unica cosa necessaria è la parte scelta da Maria: l’ascolto
di Dio, il raccogliere tutto in Dio.
Se Gesù ha messo quest’unica cosa necessaria
addirittura in rapporto con il mangiare e con il vestire e, rimproverando
Marta, ha addirittura declassato il mangiare, per evidenziarci l’importanza
dell’ascolto, del raccogliere tutto in Lui (e raccogliere vuol dire poi cercare
prima di tutto il Regno di Dio), ciò significa che quello è veramente
l’essenziale che bisogna sempre avere presente.
Non è una scelta fatta una volta tanto o una
volta per tutte, per cui “vado in clausura e ho risolto il problema”, no!
Cina: Nel campo materiale siamo costretti dal mangiare e dal
vestire, per cui se abbiamo fame, non possiamo fare a meno di cercare il pane.
Invece per le cose dello spirito ci vuole un superamento, uno sforzo di
volontà, perché non ne siamo costretti.
Luigi: Ma guarda che noi la sentiamo la fame perché l’anima
la portiamo, il desiderio lo portiamo, però è un desiderio che è lì per
morire, perché è esaurito…, soffocato….
Cina: Avremmo bisogno di essere portati per amore o per forza.
E invece possiamo allontanarci: è terribile quello, perché invece di scegliere
il meglio, si sceglie il peggio.
Luigi: E quando la fame dello spirito non si fa più sentire, la
situazione è grave. Infatti, nel campo dei segni, la persona esaurita, quando
non sente più il bisogno di mangiare, si trova in una situazione molto grave. E
noi arriviamo a quel punto lì.
Angelo B.: Siamo esauriti spiritualmente.
Luigi: E già! La nostra anima arriva al punto in cui noi non
sentiamo più il bisogno di nutrirla, non sentiamo più il bisogno di
mangiare spiritualmente; e questo vuol dire che la situazione è molto grave:
non abbiamo più tempo per Dio! Cioè Dio non ci attrae più.
Cina: Che questo non abbia mai a succedere! Che Dio ci
attragga Lui e ci prenda, se necessario per i capelli!
Luigi: C’è da tener presente questo: più noi siamo vicini a Dio
e più sentiamo tanta attrazione per Dio, per cui il mondo potrebbe
sovrabbondare con tutti i suoi doni, ma niente ci distoglierebbe.
Invece quando siamo lontani da Dio, noi siamo
poco attratti da Dio.
Addirittura si arriva al punto in cui Dio non attrae più, non sentiamo più il
desiderio di Lui. Perché? Perché siamo soddisfatti; per cui diciamo: “Ma io non
ho bisogno di cercare Dio…, io non ho bisogno di conoscere Dio…”. Perché?
“Perché ho tutto quello che desidero…, sono soddisfatto…, non ho bisogno di altro…,
sto bene…”.
Ecco, quando la creatura ha altri interessi ed
è soddisfatta, ragiona così. Tutt’al più dirà magari: “Ho bisogno di denaro”,
ma Dio non gli interessa più. E allora non si è più attratti da Dio: lì
diventa grave la cosa!
Cina: È una vera malattia!
Luigi: Sì, ma…Insomma,
parrebbe che più uno è lontano da Dio e più dovrebbe sentire il bisogno di Dio;
invece no, avviene il rovescio: più uno è vicino a Dio è più è attratto da Dio.
È la tanta vicinanza che crea tanta attrazione.
Ma la vicinanza è data dall’interesse per Lui
e l’interesse per Lui nasce dal nostro bisogno di Lui, dall’aver capito cioè che Dio è tutto per noi.
Se veramente siamo convinti che abbiamo bisogno di Lui per la nostra vita, per
la nostra pace, per la nostra gioia, allora grande diventa il nostro interesse
per Lui!
Invece se non capiamo di aver bisogno di
Dio, non abbiamo interesse per Lui, per cui ci allontaniamo da Lui. E più
noi siamo lontani da Dio e meno ne sentiamo l’attrazione e quindi meno ne
sentiamo il bisogno. Succede proprio questo: quando più magari dovremmo
averne bisogno, meno invece ne sentiamo il bisogno.
Emma D.: Allora il Signore ci manda le sue buone lezioni,
che sono magari… bastonate.
Angelo B.: Cioè magari ci manda qualcuno a pestarci il piede…
Luigi: E già, ma non è detto che capiamo!
Cina: O magari ci richiama più dolcemente come il suono di
questa campana che arriva ora alle nostre orecchie e che ci invita a recitare
l’“Angelus” della sera.
Luigi: Anche questo è una “voce”, voce di Dio che ci invita a
raddrizzare le vie del Signore.