E dalla sua pienezza noi tutto abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Gv 1 Vs 16
Titolo: Grazia su grazia
Argomenti: La testimonianza di
Giovanni e quella del Padre. La funzione della preghiera. Imparare ad ascoltare.
La pienezza del Verbo e di Maria. Dimenticare l’io per
poter ascoltare Dio. L’instabilità della fede. La fiducia in Dio. Il concetto di
grazia su grazia.
2/Maggio/1976
Pre-incontro:
Eligio:
Prima di entrare nell’argomento di stasera, vorrei chiederti una precisazione:
Giovanni rappresenta l'umanità che ancora non ha incontrato il Cristo ed è
colui rende testimonianza al Cristo. Ora, come può l'uomo, prima di incontrare
il Cristo, rendergli testimonianza?
Luigi:
Giovanni gli rende testimonianza perché L’ha individuato. Però per accettare la
sua testimonianza bisogna che si sia formato in noi il bisogno del Cristo.
Infatti è il bisogno che abbiamo di Lui che ci fa individuare il Pane!
Prima ce lo fa sospirare. Infatti è la fame che ci fa desiderare il Pane.
Ora ci chiediamo: come mai
il Cristo arriva tanto tardi nella vita dell'uomo? Perché prima dobbiamo
passare attraverso tanti errori, tante prove, tante scelte sbagliate, e poi
magari quando incontriamo il Cristo, ci accorgiamo che L'abbiamo conosciuto
tardi, quando ormai siamo legati a tante altre cose? Ecco, il problema è
questo: come mai Cristo arriva tanto tardi? Se fosse arrivato subito,
all'inizio, avremmo potuto evitare tante scelte sbagliate!
Ma è
proprio attraverso le scelte sbagliate che si forma in noi la fame! Ed è solo
quando abbiamo tanto bisogno di-, che stimiamo molto l'oggetto che soddisfa il
nostro bisogno! Ma se noi invece ne sentissimo parlare prima
di aver formato in noi il bisogno di esso, magari lo disprezzeremmo!
Giovanni è la sintesi della
voce di tutti i profeti che interpretano e rivelano (il profeta interpreta e
rivela) la fame dell'umanità. Noi siamo dei malati, noi abbiamo bisogno del
Medico, abbiamo fame, abbiamo bisogno del Pane, però non sappiamo individuare
la malattia, non sappiamo dire ciò di cui abbiamo veramente bisogno. Il
Profeta invece è quello che legge, che interpreta (ed è opera di
Dio) la malattia dell'uomo, per cui può dirgli: "Tu hai bisogno
di questo!" e in tal modo lo orienta.
Il massimo
dei Profeti è colui che ci segnala il Cristo e ce Lo
presenta: "Ecco il Pane di cui tu hai bisogno! Ecco l’Agnello di Dio!…
Ecco Colui del quale parlavano i Profeti!".
Gli altri ci dicono:
"Tu hai bisogno del Pane..., ma il Pane verrà!". Giovanni ci indica:
"Questo è il Pane di cui hai bisogno!". Quindi è la voce che dà voce
alla mia fame, al mio bisogno, però bisogna che prima si formi dentro di me
questo bisogno. Ecco perché ci predica il battesimo di giustizia: affinché
in noi si formi questa coscienza, questa consapevolezza: “io ho bisogno di
Dio!”.
Eligio:
Però la testimonianza autentica al Cristo l'hanno data gli Apostoli dopo
la Pentecoste...
Luigi:
Ci sono due testimonianze:
·c'è la
testimonianza che procede dal bisogno, ed è quella di Giovanni,
·e c'è la
testimonianza che procede dal Padre: "In quel giorno
voi capirete chi Io sono", ed è quella degli Apostoli dopo la
Pentecoste.
Nella prima testimonianza
non c’è ancora la conoscenza. il Pane che io incontro in quanto ho fame, non so
che cosa sia; so solo che sto morendo di fame e che il Pane soddisfa la mia
fame! Se io sono cieco e trovo uno per la strada che mi dice: "Tu la
strada non la puoi vedere, ma dammi mano perché io la strada la vedo e ti posso
guidare", io gli rispondo: "Grazie dell'aiuto", e mi lascio
guidare, anche se non so chi sia. Quindi se io sono cieco e l'altro mi
dice: "Lasciati guidare", se sono semplice e non superbo, mi lascio
guidare, perché tanto non so dove andare.
Eligio:
Quindi il cieco che trova la guida, testimonia la validità della guida.
Luigi:
Certo. Però noi, che siamo ciechi, sappiamo che Cristo risponde al nostro
bisogno e ci conduce, ma non sappiamo chi Lui sia. Prima di incontrarlo, noi
abbiamo bisogno di andare a Dio, però non vediamo la strada; noi abbiamo fame,
però non scopriamo il Pane. Ma quando Lo scopriamo, diciamo: "Ah! È quello
di cui avevo bisogno!". Però non so chi sia; so solo che è quello che
risponde alla mia fame. Quindi abbiamo l'individuazione della salvezza,
l’individuazione del Salvatore, in funzione del rischio in cui ci troviamo.
D’altronde se sto affogando e qualcuno mi tende la mano, io non domando:
"Chi sei tu?"; l’importante è che mi dia la mano, poi dopo capirò chi
è.
Quando
invece arriveremo a Pentecoste, allora capiremo dal Padre,
in quanto “soltanto il Padre conosce il Figlio” (Mt 11, 27), chi era
Colui che ci aveva teso la mano! E gli diremo: "Ah, sei il Figlio di
Dio!". Renderemo quindi un'altra testimonianza, quella della Verità. E
questo è possibile in quanto uno possiede in se stesso la Verità.
Eligio:
La testimonianza che rende Giovanni è quella delle tenebre, come noi prima
dell'incontro con il Cristo?
Luigi:
Sì, per questo dicevo che la distinzione dagli Apostoli è questa: Giovanni è
la voce delle tenebre, invece gli Apostoli dopo Pentecoste sono voce
della Luce che procede dal Padre.
Quindi a Pentecoste abbiamo
la testimonianza di colui che conosce; qui, in Giovanni, abbiamo la
testimonianza delle tenebre.
Ma le tenebre hanno fame di
luce, hanno bisogno di luce e riconoscono la Luce solo se sono umili. Possiamo
invece avere delle tenebre che sono superbe e che dicono: "Noi siamo
luce" e allora respingono la mano di Colui che è venuto per condurle e
dicono: "Noi non ne abbiamo bisogno". Come i Farisei che dicono:
“Noi non abbiamo bisogno del Maestro ...., non abbiamo bisogno di uno che ci
liberi…; noi siamo liberi…, noi non siamo figli di prostituzione, noi siamo
figli di Abramo..., noi siamo liberi!”. Ma Gesù dice loro: “No, voi
siete schiavi, perché, addirittura, non accogliete l'opera di Dio” (cf. Gv
8, 33-47).
Eligio: Un
altro punto da chiarire, sempre a proposito del concetto di testimonianza, è
questo: come può Giovanni precisare la funzione di Uno che non conosce ancora?
Luigi:
Il Vangelo dice che nel deserto lo Spirito gli aveva parlato; poi lo aveva
fatto uscire dal deserto e lo aveva mandato a battezzare, dicendogli: “Colui
sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, questi è Colui che salverà
tutte le genti, Colui che risponde alla fame degli uomini” (cf. Gv 1, 33).
Quindi Giovanni aveva una premessa.
Intanto lui aveva già avuto
l'incontro con lo Spirito nel seno di sua madre Elisabetta nell'incontro con
Maria; quindi la sua vita è già tutto opera dello Spirito. D’altronde lui
viveva nel deserto (si dice che vi sia andato già a vent'anni circa, comunque
in giovane età, probabilmente in qualche comunità) e poi, ad un certo momento,
ha dovuto uscire dal deserto, mosso dallo Spirito (così come dopo il battesimo
lo Spirito sospinse Gesù nel deserto).
Ecco, ad un certo momento è
lo Spirito che lo sospinge, perché è giunto il tempo per andare a predicare il
battesimo di penitenza e di giustizia, cioè a battezzare e gli dice: "Colui
sul quale vedrai scendere lo Spirito, è Lui!". Per cui dopo aver
battezzato Gesù, può dire: “E io L’ho visto! Lo Spirito mi aveva detto questo;
io ho visto e testimonio che Costui è il Figlio di Dio!” (Gv 1, 32).
Quindi Giovanni Battista
ha reso testimonianza a Cristo in quanto già dentro di sé aveva lo Spirito per
riconoscerlo, cioè aveva un certo segno. Non poteva ancora avere la luce della
Pentecoste, aveva però avuto un segno.
Invece a Pentecoste non ci
sono più dati dei segni. A Pentecoste c'è la scoperta della Presenza di Dio
in noi, dentro di noi, per cui c’è la conoscenza. È prima della conoscenza
che abbiamo bisogno di segni. Però i segni è Dio che li dà; noi non li dobbiamo
pretendere, perché se noi li pretendiamo, il Signore non li dà. I segni li dà
Dio e ci rendono responsabili. Infatti Gesù dice: “Se non fossi venuto e non
avessi parlato, non sareste in colpa, ma poiché ho parlato, il vostro peccato
rimane” (Gv 15, 22).
Eligio:
Pretenderli no! Ma chiederli come preghiera, quello sì, vero?
Luigi:
Ma i segni Dio li dà! D'altronde tutto è già segno di Dio! Si
tratta piuttosto di intendere i segni! Pregare non è chiedere
segni, ma cercare, desiderare di intenderli.
Eligio:
Ma allora la funzione della preghiera qual è?
Luigi: La
funzione della preghiera è quella di raccogliere la nostra anima dalle
dispersioni, per raccoglierla nel Pensiero di Dio. Anche quando diciamo: "Padre
nostro...”, lo diciamo per raccogliere, attraverso queste parole, la nostra
disattenzione nel Pensiero di Dio! È un ammonimento al raccoglimento, è
un’elevazione della nostra mente a Dio, è un trasferirci dai pensieri delle
creature, del mondo, delle nostre dispersioni, nel Pensiero di Dio. Alla
richiesta: "Insegnaci a pregare!", Gesù risponde: "Quando
pregate dite...”(Lc 11, 1-2). Ora, quel “dire parole” serve ad
ammonire la nostra anima a restare nel Pensiero di Dio.
Siccome se non parliamo,
anche solo interiormente, noi ci lasciamo disperdere da tanti altri pensieri,
ecco allora che Gesù ci fa dire "quelle" parole che ci raccolgono nel
Pensiero del Padre, perché il Padre è presente in noi. Quindi la preghiera
vocale è una introduzione a questo raccoglimento interiore; direi: è un
raccoglimento contemplativo alla presenza del Padre, per imparare ad ascoltare
il Padre, poiché la vera preghiera è ascolto. La vera preghiera è silenzio
nostro, non è parlare!
Ma se la vera preghiera è
ascolto, come mai allora Gesù ci insegna a parlare, a dire il "Padre
nostro", dal momento che Lui stesso dice: “Quando vuoi pregare, entra
nella tua stanza, chiudi l'uscio, e lì nel segreto ascolta il Padre tuo,
e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6, 6)? Ci
suggerisce queste parole del “Padre nostro”, affinché queste parole aiutino la
nostra anima, insegnino alla nostra anima a mettersi alla presenza di Dio e ad
ascoltare, cioè a fare silenzio dentro. Altrimenti noi siamo disturbati! È come
sostituire un rumore con un altro rumore, oppure con un parlare più intimo.
Ecco allora che, dicendo queste parole, io passo da un parlare ad un altro
parlare che mi fa pensare a Dio. Così ad esempio, noi potremmo leggere un
giornale; perché invece leggiamo il Vangelo? Ecco, passiamo da segni più
lontani a segni più vicini, che ci raccolgono di più.
Quando diciamo: "Padre
nostro", è un parlare molto più vicino a Dio che non altre
parole. È logico, anche il filo d'erba o qualunque creatura è parola di
Dio, ma mi disturba molto! E capisco che questo disturbo è un invito a fuggire,
a trovare un luogo di silenzio. Anche questo disturbo è una parola, un segno,
però... quanta difficoltà a passare da questa parola, da questo segno al
pensiero di Dio! Mentre invece se io dico: “Padre nostro...”, la parola
stessa mi impegna a pensare a quello che sto dicendo.
Ora, pensare è elevare
l'anima alla presenza di Dio in modo da poter ascoltare. Infatti non basta
che io parli dicendo il “Padre nostro”, e poi scappi. No, quella è
un'introduzione alla vera preghiera! Detto: “Padre...”, se basta quello
per raccoglierti, non andare più avanti, sta’ lì ad ascoltare. Siccome è Dio
che rivela Se stesso, soltanto chi ascolta Dio riceve la rivelazione di Dio.
Eligio:
Prima dell'incontro col Cristo, possiamo anche noi essere testimoni come
Giovanni Battista? Come è possibile questo senza i carismi di Giovanni
Battista?
Luigi:
Innanzitutto, prima di essere testimoni, noi riceviamo. Noi siamo dei
ricevitori: riceviamo la testimonianza del Battista, cioè riceviamo la
testimonianza delle creature. Noi siamo creature e in quanto creature
siamo fatti per ricevere, siamo fatti per l'ascolto. Quindi l'essere che è
fatto per l'ascolto è un ricevitore.
Eligio:
Ma allora quale differenza esiste tra il Battista e la Madonna? Sono due
creature in ascolto, due creature che rendono una loro personale testimonianza.
Luigi:
C'è una differenza in questo senso: Giovanni Battista è uno che parla e
rappresenta la voce di tutte le creature. Noi siamo creature e come creature
dovremmo essere in ascolto e ricevere la testimonianza di tutte le creature, ma
invece parliamo anche noi. La creatura veramente perfetta è la Madonna: è
il disegno puro di Dio, è “l’Immacolata concezione” di Dio; cioè è il disegno puro,
non macchiato, voluto da Dio per la creatura, quindi è la creatura perfetta:
tutta ascolto! Difatti come creature, noi dovremmo essere tutto ascolto.
Però noi
siamo usciti dalla nostra dimensione di creature, per cui in questa situazione
resa difficile per le complicazioni dell'io, ecc., noi abbiamo delle voci di
creature, mosse da Dio, come il Battista, che ci ammoniscono, che ci
introducono, che ci conducono, che ci preparano all'incontro con il Messia.
Eligio:
Le creature però non possono prepararci all'incontro con il Messia se prima non
si sono messe in ascolto della voce di Dio. Infatti la Madonna ascolta, ma
anche il Battista ascolta.
Luigi:
Certo, infatti lui era nel deserto e ascoltava. Ora tu mi chiedevi: “Siamo
anche noi testimoni come Giovanni Battista?”, e ti ho detto: “Noi prima di
tutto siamo creature in ascolto”: questa è la situazione fondamentale e se noi
dimentichiamo questo, ci mettiamo già subito fuori dalla nostra dimensione.
Noi non siamo fatti per
parlare, ma siamo fatti per ascoltare, perché è ascoltando che si forma in
noi la luce. Poi nella misura in cui ascoltiamo, diventiamo anche noi
a nostra volta testimoni per altri, anche senza saperlo. Infatti siamo non solo
spettatori, ma anche attori; ma la funzione di "attore" a noi non
interessa, sotto un certo aspetto! Noi dobbiamo preoccuparci della funzione di
“spettatori”, cioè preoccuparci di ricevere e di capire le lezioni che Dio
ci dà ; poi sarà Dio che per mezzo delle nostre risposte ci farà “attori”
per altri, lezioni per altri, ma questo è Dio che lo fa! Per cui noi
possiamo anche essere dei delinquenti, ma Dio, per mezzo della nostra
delinquenza, dà delle lezioni ad altri.
Quindi anche in Giovanni
Battista c'era Dio che dava, preparava, le lezioni da dare a noi.
La funzione essenziale di
Giovanni Battista era però l'ascolto dello Spirito (cioè la funzione di
"spettatore"), l'ascolto nel deserto, dove si è formata la sua
grande personalità.
Quindi la funzione
caratteristica della creatura è quella di saper ascoltare, di imparare ad
ascoltare, perché attraverso l'ascolto si forma il bisogno, la capacità di
individuare il Cristo, di seguirlo, ecc.
Se noi invece pretendiamo
di parlare e affermiamo noi stessi, qui complichiamo tutto, perché parlare
non è compito nostro, ma è la funzione del Maestro. "Il
Maestro è uno solo!" (Mt 23, 8), dice Gesù, ed è il Cristo. Egli è
Colui che parla.
Noi dobbiamo essere
consapevoli che, ovunque noi siamo, in alto o in basso, ricchi o poveri, noi
abbiamo un unico Maestro, sempre! Quindi siamo sempre discepoli. "Voi
siete tutti discepoli!", dice ancora Gesù, e noi dobbiamo essere
sempre discepoli, cioè in ascolto.
Anche
quando parliamo, dobbiamo sempre essere consapevoli di essere discepoli. Guai
se ci stacchiamo dall'ascolto! Guai se il nostro parlare si
stacca dall'ascolto di Dio, il vero Maestro! Perché allora noi non diciamo più
parole vere, ma parole sbagliate, poiché noi, non essendo più in ascolto, non
attingiamo più alla Sorgente.
La base
della formazione della creatura è l'ascolto, ed è
l’argomento di stasera: è solo attraverso l’ascolto che si realizza in noi quel
“grazia su grazia”, fino a ricevere anche noi quel “tutto” dalla
pienezza del Verbo: “E dalla sua pienezza noi tutto abbiamo ricevuto
e grazia su grazia”.
Dall'esposizione di Luigi Bracco:
Questa sera ci fermiamo sul
v. 16. Qui è scritto: “E dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto...”.
Farei una piccola variante, ritraducendo la parola “tutti” in “tutto”: “E
dalla sua pienezza noi tutto abbiamo ricevuto e grazia su grazia”.
Anche qui, come prima cosa,
dobbiamo cercare di metterci nella vera posizione rispetto a questa
affermazione: “Dalla sua pienezza noi tutto abbiamo ricevuto…”. Questa
frase che giunge a noi è un'informazione, cioè abbiamo uomini che, attraverso
il Vangelo, dicono a noi: “Noi abbiamo ricevuto tutto!”.
Qui non è più Giovanni
Battista che parla. Qui è l'Evangelista Giovanni, che evidentemente scrive dopo
la Pentecoste e già può dire: “E dalla sua pienezza ... (cioè da Colui
che Giovanni Battista ha segnalato, cioè da Cristo) …noi tutto abbiamo
ricevuto”. È un'informazione di uomini che hanno scoperto “il dono” e che
lo comunicano a tutti gli altri, e oggi a noi.
Allora la posizione vera,
in cui dobbiamo metterci di fronte a questa affermazione, è questa: tutto ci
viene da Dio; quindi anche questa informazione ci viene da Dio, ed in
quanto ci viene da Dio, noi siamo informati che alcuni uomini hanno ricevuto
tutto da Lui e ce lo comunicano.
È un po' come una persona
che avesse attinto dell'acqua fresca da una sorgente e dicesse: "Io
mi sono dissetato a quella sorgente!". Se lo dice a delle persone che
hanno sete, questa segnalazione ("io ho bevuto!") diventa una
proposta.
Quindi se noi siamo
nella situazione giusta, nella situazione di creature che hanno bisogno di
ricevere, cioè di creature in situazione di ascolto, quindi di sete, di
fame, di bisogno, quest’informazione: “…dalla sua pienezza noi tutto
abbiamo ricevuto…”, diventa una proposta, un invito: “Guarda che
l'acqua di quella sorgente è buona!”. Quindi è un invito, una
sollecitazione ad attingere a quella pienezza.
Adesso bisogna approfondire
il concetto di “pienezza”.
Qui parla di “sua”
pienezza, cioè della pienezza del Cristo. Si tratta di individuare che cosa
l’Evangelista voglia intendere per questa “sua pienezza”. In che cosa
consiste la “pienezza del Verbo di Dio”?
Intanto il concetto di
"pienezza", nelle parole della Rivelazione che giungono a noi, nel
Vangelo, assume due aspetti; cioè abbiamo due concetti di
"pienezza":
·c'è la
pienezza del Verbo: Cristo,
·e c’è la
pienezza di Maria alla quale viene detto: “Ave, o piena di grazia” (Lc
1, 28).
Sono due pienezze molto
diverse.
Cristo è
la pienezza del Verbo. E chi è il Verbo?
Il Verbo è Colui che parla,
è la Parola di Dio ("In Principio era il Verbo"): è la Parola
di Dio che giunge a noi.
Qual è dunque la pienezza
del Verbo? In Colui che parla che cosa si presuppone? Si presuppone la
conoscenza di ciò di cui parla, cioè del Padre. Quindi la pienezza del Verbo
è la conoscenza del Padre.
Infatti il Verbo si
distingue, si caratterizza, dal fatto che Lui conosce il Padre. Lui ha
ricevuto tutto dal Padre: questo ricevere tutto dal Padre è conoscere il Padre!
Allora, siccome il Verbo proprio in quanto Verbo parla, che cosa parla? Parla
la conoscenza del Padre, rivela il Padre.
Poi
abbiamo un'altra pienezza: la pienezza della creatura, la pienezza di grazia: “Ave,
o piena di grazia”. L'Angelo saluta Maria con queste parole: “piena di
grazia”. Dicendo “piena di grazia”, evidentemente parla di una
pienezza.
Abbiamo già visto che la
Madonna rappresenta la creatura ideale, la creatura che è tutta ascolto. Quindi
"pienezza di grazia" non è “pienezza di conoscenza”, perché
allora avremmo la “pienezza del Verbo”. La “pienezza di grazia” della
creatura è la creatura che è “tutta ascolto”.
Direi che è “piena”
nella misura in cui è “vuota”, nella misura in cui si può riempire; per cui
nella creatura che è tutta ascolto, c'è la totale disponibilità.
Quindi siccome chi riempie
è il Verbo, chi possiede la conoscenza è il Verbo che parla, la creatura
ideale, in grado di ricevere quello che il Verbo comunica, è la creatura
che è "tutta ascolto", cioè la creatura che non ha niente di sé
da parlare: non parla niente di sé, per cui il Verbo la può riempire.
Ecco in che cosa consiste
la "pienezza di grazia" di Maria, alla quale è chiamata ogni
creatura.
E come si
giunge a questa "pienezza di grazia"? In un
primo tempo abbiamo la “grazia” di Dio che opera per formare la creatura e
portarla, attraverso grazie successive (ecco: “grazia su grazia”),
alla pienezza di grazia. Infatti, come forma Dio la creatura? Rendendola capace
di ascoltare e di essere tutta disponibile all'ascolto. Ma non è detto
che la creatura aderisca a questa sua opera.
Meno la creatura è
disponibile e più è vuota di grazia, perché è piena di sé. Per cui abbiamo
la contrapposizione al concetto di “pienezza”, ed è il concetto di “vuoto”,
e questo noi lo verifichiamo quando constatiamo il vuoto della vita, il
non-senso. Questo vuoto è una “pienezza di io”, che è incapacità di
ascolto, ed è contrapposto alla “pienezza di grazia” di Maria.
Quindi, prima di tutto, per
poter accogliere quella pienezza che hanno accolto i discepoli, la pienezza del
Verbo (che è poi quella che essi hanno ricevuto a Pentecoste, per cui possono
dire: “E dalla sua pienezza noi tutto abbiamo ricevuto...”), dobbiamo
essere totalmente disponibili all'ascolto.
La
“pienezza del Verbo” accolta dai discepoli è ciò che
Gesù stesso chiede nell’ultima preghiera al Padre, quando dice che tutto ciò
che ha ricevuto dal Padre lo ha dato ai suoi discepoli. Ecco, ciò che ha
ricevuto dal Padre, Lui lo dà e i suoi discepoli lo hanno accolto e poi lo
hanno assimilato fino ad essere condotti a Pentecoste.
Ma per poter arrivare alla
Pentecoste, bisogna arrivare alla piena disponibilità che è quella della
creatura perfetta: questo essere “tutto-ascolto”, questo imparare
da-.
Ciò che disturba l'ascolto
è il pensiero dell'io. Un esempio che abbiamo fatto tante volte è quello della
scuola: l'allievo che pensa a se stesso non può seguire la lezione del
professore. Per cui, per poter ascoltare e seguire il Maestro che parla,
bisogna essere disponibili, dimenticando se stessi.
È
importante imparare la lezione di Maria, cioè
imparare a realizzare il silenzio di tutto ciò che è “io”, che è poi quello che
ci disturba.
Più noi riusciamo a far
tacere in noi, nel parlare e nell'agire, il pensiero di noi stessi,
maggiormente noi ci avviciniamo a quella “pienezza di grazia”
(ecco: “grazia su grazia”) che ci rende capaci di ricevere la
pienezza del Verbo (“…e dalla sua pienezza noi abbiamo ricevuto tutto”)
che parla a noi del Padre.
È necessario quindi mettere
a tacere tutto di noi, per poter ascoltare e ricevere, perché condizione per
ricevere è avere questa “pienezza di grazia” (che è pienezza di ascolto), come
la Madonna. Dio la forma in noi. È Lui che la forma in noi, non siamo
noi: la grazia è sua. E quando ha formato in noi questa condizione, Dio dona
se stesso.
Quindi abbiamo due tempi
nell'opera della grazia:
·Abbiamo un
primo tempo in cui Dio forma la creatura capace di ascoltare.
Non siamo noi che formiamo in noi questa capacità, perché noi non potremmo minimamente
capire che abbiamo bisogno di ascoltare, se Dio non formasse in noi questo
bisogno. Noi possiamo soltanto disturbare l'opera che Dio sta facendo in noi:
Dio in noi sta facendo la creatura capace di ascoltarlo!
Questo è il primo tempo
della grazia; per cui se noi non disturbiamo questa grazia qui pensando a
noi, Lui forma in noi la creatura perfetta che è tutta-ascolto.
·Il secondo
tempo della grazia è quello della comunicazione di ciò che Egli è.
Ma per arrivare a questo
secondo tempo della grazia, si richiede la nostra partecipazione alla sua
opera, perché i doni di Dio passano attraverso due
momenti:
·il primo è
quello del dono (la formazione dell'orecchio);
·il secondo
è la nostra risposta: se accogliamo il dono da Dio e quindi ne cerchiamo il
significato, allora è il momento in cui l'orecchio si rende attento,
consapevole, interessato a-. Per cui i doni di Dio, se sono accolti, non
sono soltanto doni, ma diventano in noi desiderio, desiderio crescente
di Dio, fino ad essere capaci di ricevere la Sua pienezza. Infatti ci viene
detto: “E dalla sua pienezza noi tutto abbiamo ricevuto…”.
Ma la sua pienezza è per
noi una pienezza progressiva, cioè una crescente capacità sia di ascolto che
di conoscenza: “…e grazia su grazia”; direi che ogni dono di Dio si
trasforma in noi in desiderio e quindi in maggior conoscenza di Lui, se
però noi accogliamo il dono! Perché ogni dono di Dio, anche la
conoscenza di Dio, come arriva a noi, se è accolto, si trasforma in maggior
desiderio di Dio, in maggior amore di Dio, in maggior fame di Dio, e quindi in
maggior conoscenza di Dio.
Quindi se noi diamo il
consenso a questo dono, cioè se diamo la nostra partecipazione, allora questo
dono informa noi, diventa desiderio di ascoltare successivamente, di andare
più avanti, di conoscere di più; quindi allarga la nostra anima, allarga il
nostro cuore fino a farci diventare capaci di ricevere la vita eterna
che è un infinito, un infinito crescente.
Per cui i doni di Dio passano
sempre attraverso questo punto critico, poiché tra il primo momento, il
primo dono, e il secondo c'è la fase del superamento dell’io, perché
bisogna che il nostro io aderisca al dono di Dio, cercandone il significato,
per aprirci ad un dono successivo (“grazia su grazia”), cioè per
trasformare il primo dono in desiderio, in fame, altrimenti il dono non si
trasforma in desiderio e diventa possesso. E qui è finita: non si
ha più bisogno di Dio, non si ha più fame, e allora non si cammina più verso
Dio, perché lì c'è l'io che si è ripiegato su se stesso!
Pensieri tratti dalla conversazione:
Eligio:
Ritornando al versetto precedente, ciò che Giovanni dice: “Quegli che mi
segue...”, non va inteso solo cronologicamente, ma soprattutto
spiritualmente, vero?
Luigi:
Certo, e abbiamo già visto che spiritualmente significa la scoperta di Colui
che viene dopo di noi. Cioè quando noi dimentichiamo noi stessi,
superiamo noi stessi, scopriamo “dopo” Colui che era già “prima”, che era in
principio...
Eligio:
Difatti dice: "...che era prima di me...".
Luigi:
Anche queste parole del Battista confermano che quando superiamo noi stessi,
quando dimentichiamo noi stessi, scopriamo Uno che non conoscevamo; ma quello
che noi scopriamo, era quello che era già prima, era quello che già parlava
con noi prima, quello che ci ammoniva, quello che era in principio, cioè
scopriamo Uno che è più grande di noi.
Ma la condizione per
arrivare a scoprire questo Uno che è più grande di noi è quella di dimenticare
noi stessi. Ecco la necessità del battesimo di penitenza!
Fintanto che noi non
dimentichiamo noi, ci rendiamo incapaci a scoprire Colui che è più grande di
noi. Non possiamo scoprirlo, perché noi abbiamo il nostro io come nostro punto
fisso di riferimento, per cui noi guardiamo dal punto di vista del nostro io, e
dal punto di vista del nostro io facciamo tutti piccoli, non vediamo quello che
è più grande.
Invece bisogna portarci a
guardare dal punto di vista di Dio, e per portarci a guardare dal punto di
vista di Dio, dobbiamo dimenticare noi e metterci in ascolto. È questa la
lezione essenziale di Maria, la creatura che è “piena di grazia”: per
vedere la Verità dobbiamo imparare a guardare dal punto di vista di Dio e non
dal punto di vista del nostro io. È “la pienezza di grazia” che ci rende
capaci di ricevere “la pienezza del Verbo”.
Giovanni M.:
Bisogna passare attraverso Maria...
Luigi: Maria
è la figura esemplare. Fintanto che siamo nel pensiero del nostro io, noi
abbiamo bisogno di una figura esemplare, cioè abbiamo bisogno di vedere
"come" si ascolta. Perché noi possiamo sapere che Cristo parla,
però non sappiamo "come" si fa ad ascoltare. Noi crediamo magari di
essere in ascolto, in preghiera, ed invece parliamo noi, siamo noi che
parliamo! Ora evidentemente, fintanto che parliamo noi (e quando preghiamo
vocalmente parliamo sempre noi), non possiamo ascoltare Dio; per cui al termine
della preghiera, dobbiamo constatare che non abbiamo fatto altro che ascoltare
noi stessi; magari ci siamo illusi, ci siamo compiaciuti di essere capaci a
pregare, ma il Signore ci dice: “No, tu non hai pregato!”. Infatti il Signore
condanna quel fariseo che dice: “Signore, io Ti ringrazio, perché non sono
come gli altri: io faccio questo .... io faccio quest'altro”, e di lui dice
che “…tornò a casa sua non giustificato” (cf. Lc 18, 9-14). Come mai?
Era l'io che parlava! Ora, fintanto che io parlo, non ascolto.
Eligio:
Da come hai spiegato, mi par di capire che c'è un rapporto di continuità
tra la pienezza del Verbo e la pienezza della Madonna, vero?
Luigi:
Certo, perché il Cristo riversa e la creatura perfetta accoglie.
Evidentemente tendono ad un punto comune: il punto in cui la Madonna è “tutta
Verbo” (tutta “Pensiero di Dio”), e quindi una cosa sola con Dio! È il
punto terminale, ed è logico, perché Uno riversa, l'altra accoglie.
Da parte di Colui che
riversa non c'è limite, perché è l'Infinito che riversa, è Dio che parla;
invece da parte della creatura ci può essere un limite, in quanto la creatura
può opporre la chiusura, può non ricevere più, può staccarsi, ed è quando
incomincia a pensare a se stessa e non è più disponibile all'ascolto.
La Madonna è la creatura
perfetta che, essendo tutta ascolto, diventa "tutta Verbo"; perché se
noi abbiamo un Essere che versa e l'altro essere che accoglie senza limiti, si
tende a diventare una cosa sola. Difatti il Cristo per i suoi discepoli,
all'ultimo, prega: “Affinché siano una cosa sola...” (Gv 17, 21). Ecco
la meta! Formare tutti una cosa sola con il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo! È ciò che Gesù chiede al Padre: “che formino una cosa sola come
siamo noi …”.
Ecco il riversare e il
ricevere formano la comunione (“una cosa sola”) che è poi vita, poiché
la vita è comunione!
Eligio: Quindi
il primo concetto di pienezza, la pienezza del Verbo, deve diventare il
nostro punto di arrivo, il che però presuppone il secondo concetto di pienezza,
la pienezza di Maria. Per cui non è possibile il passaggio a questa
pienezza del Verbo, se la creatura non è ancora tutta-ascolto, vero?
Luigi: È
un fatto progressivo. Ti faccio osservare che anche negli Apostoli c'è
questa discontinuità. La Madonna invece è la creatura perfetta, appunto perché
è la creatura “tipica”, punto di riferimento fisso per noi, poiché fintanto che
noi abbiamo il pensiero del nostro io presente, abbiamo bisogno di una figura
“tipo” a cui guardare. Infatti la Madonna è la Madre di ogni creatura chiamata
a diventare figlia di Dio (“Ecco tua Madre!”, dice Gesù: Gv 19, 27),
quella che accompagna tutti gli uomini fino a Pentecoste.
È
necessaria, perché tra la Risurrezione e la Pentecoste, Cristo si vede e non si
vede, e ad un certo momento ci saluta; ma quando Lui ci saluta, noi non siamo
ancora liberi dal pensiero del nostro io. E fintanto
che non siamo liberi dal pensiero del nostro io, possiamo sbandare!
Lui dice: "State
presenti a Me!" (Gv 15, 4); però Lui è molto avanti! Quindi, fintanto
che siamo nel pensiero del nostro io, prima della Pentecoste, siamo soggetti a
sbandamenti. Allora abbiamo bisogno sempre di avere davanti a noi, davanti
ai nostri occhi, una creatura come noi, che ci dica “come” si fa a restare
sempre davanti a Lui!
Ecco la funzione della
Madonna fino a Pentecoste! Perché anche i suoi discepoli erano soggetti a
questi alti e bassi. La Madonna no, ma i discepoli sì! Ma quando essi sono
stati, direi, come la Madonna, quando erano nel Cenacolo, quindi nell'ora
della Pentecoste, le due pienezze si sono realizzate anche in loro, perché Dio
non si fa aspettare. È la creatura che si fa aspettare! Ora quando nella
creatura si forma quella pienezza totale d'ascolto, immediatamente siamo a
Pentecoste!
Pinuccia B.: E dopo Pentecoste la disponibilità non subisce più gli
alti e bassi?
Luigi:
No, dopo Pentecoste c'è un punto fisso di Verità da cui non ci si
scosta più, anzi! Gesù dice: “Lo Spirito di Verità, venendo,
vi condurrà a vedere la Verità tutta intera” (Gv 16, 13). Con la Pentecoste
gli Apostoli hanno ormai un punto fisso di Verità da cui non scappano più,
perché lo posseggono.
Pinuccia B.: Non è detto però che dopo la Pentecoste gli Apostoli
siano creature perfette, sempre tutto-ascolto...
Luigi:
No, ma in quel momento lì però sono stati tutto-ascolto, perché in quel momento
lì hanno ricevuto la pienezza del Verbo! Direi hanno avuto in se stessi
l'incarnazione del Verbo, e ora l'incarnazione opererà lei. Come, ad
esempio…, ammettiamo un'ipotesi: una volta che la Madonna ha concepito, anche
se la Madonna non ci pensa, il Figlio cresce! Ecco anche per gli Apostoli
c'è stato un momento essenziale per il quale ora “posseggono” lo Spirito e sono
illuminati ormai dallo Spirito. Certo, in certe figure possiamo ancora
vedere qualche debolezza, ma l'anima ormai è quella, perché portano in se
stessi lo Spirito.
Quello
invece che ci fa vivere nella discontinuità, e quindi ci fa deviare, è il
pensiero del nostro io; quante volte noi diciamo: “È
comodo...; sarebbe così bello se...; ma però..."! Ecco, questo è il
pensiero del nostro io. Oppure ci sorgono altre obiezioni: “la
famiglia...; la cultura...; come faremo domani...”; ed è questo che ci crea
quella discontinuità, quegli alti e bassi che ci rendono incostanti.
Se invece noi abbiamo
presente Dio come abbiamo presente il nostro io, anzi più ancora del nostro io,
cioè come Realtà, allora siamo in continuo ascolto.
Però succede invece che noi
siamo tentennanti, in quanto Dio si vede e non si vede, per cui c'è in noi il
timore; infatti in certi momenti Dio fa passare certi spaventi! Perché si
tratta di fare dei salti, e certe volte, dei salti nel buio, perché l'apparenza
è diversa!
Certo, una volta che uno ha
fatto il salto e ha trovato Dio come Realtà, può dire: “Ah! Adesso ho
toccato con mano che Dio provvede!”. E allora si arriva a fare poi come il
Cottolengo che ad un certo momento non soltanto non si preoccupa del mangiare,
ma addirittura dà via gli ultimi soldi che ci sono, perché ormai ha piena
fiducia in Dio, “sa” che Lui provvede! Ma all'inizio anche per lui ci sono
stati i salti nel buio. E lì, di fronte a questi salti nel buio da fare, c'è lo
spavento: si crede, ma nello stesso tempo tutto dice in modo diverso!
Emma D.:
In certi momenti mi è facile avere fiducia, in altri no.
Luigi:
Finché è nel pensiero del suo io, la creatura è soggetta ad alti e bassi,
sempre! Anzi è proprio questa soggezione qui ad alti e bassi che forma in
noi la consapevolezza della situazione di povertà in cui ci troviamo e del
tanto bisogno che abbiamo di Dio, di conoscere Lui, di trovarci con Lui. È
questa situazione di incapacità a restare con Lui che ci convince della
necessità che questo Spirito prenda possesso in noi, perché altrimenti siamo
dei relitti, siamo naufraghi in balìa di onde; per cui un giorno troviamo un
appiglio e crediamo già di essere sulla terraferma e il giorno dopo siamo di
nuovo lì che affoghiamo!
Emma D.:
Succede però che di fronte a certi avvenimenti o ragionamenti umani si
trema...;
Luigi:
Però bisogna aver sempre questa fiducia nello Spirito di Dio per poter
sempre affermarlo e mai lasciarci spaventare dagli avvenimenti e dagli
argomenti del mondo. Dobbiamo capire che tutto quello che avviene è come
un foglio di carta che ci viene offerto affinché noi sopra vi scriviamo
la nostra fede, vi scriviamo la testimonianza dello Spirito. Ora se
noi fossimo coscienti di questo, non ci lasceremmo mai spaventare, perché ogni
cosa che succede è carta sulla quale dobbiamo scrivere!
Emma D.:
Ma come si fa?
Luigi: La
creatura tipica, esemplare è la creatura che ascolta, poiché è la creatura che
riceve tutto da Dio e vede in tutto una proposta ad affermare lo Spirito, a
“scrivere” lo Spirito.
Come abbiamo detto fin
dall'inizio, stabiliamo bene i rapporti. Leggendo: “ e dalla sua pienezza
noi tutto abbiamo ricevuto...”, se ci fermiamo solo alle parole, diciamo:
“Beh, è un'informazione!”. E invece no! Dobbiamo renderci conto che questa
informazione è per noi, personalmente per noi, perché Dio parla personalmente!
E perché viene per noi, per ciascuno di noi? Perché è una proposta. La
proposta è: “...noi abbiamo ricevuto tutto…”. Quindi sappi che dalla
sua pienezza anche tu puoi ricevere tutto. Quindi questa informazione, se
la accogli da Dio, diventa una proposta.
Allora noi dobbiamo sempre
renderci conto che tutte le cose che arrivano a noi, se noi siamo nella
posizione di ascolto, le dobbiamo vedere come proposte di Dio. Proposte
per che cosa? Non perché ci lasciamo portare via dalle cose, ma perché
affermiamo la nostra fede, perché affermiamo lo Spirito di Dio, la nostra
fiducia in Lui.
Perché più noi
affermiamo la nostra fiducia in Dio, più Dio diventa il nostro sostegno, cioè
diventa per noi realmente quello che Egli è, e noi diventiamo opera sua, figli
suoi.
L'importante è tenere
presente che per arrivare qui c'è il momento di crisi, il momento in cui
uno deve fare il salto, deve passare, quindi deve subire, un certo spavento;
per cui se mi manca il pane, devo fare un atto di fiducia; perché fintanto che
ho il pane, dico: "Io credo in Dio", ma intanto ho il pane. Il giorno
in cui dico: "Oggi il pane mi manca!", lì c'è il momento di
spavento, in cui uno deve fare il salto: “Oh, Signore, anche se mi manca il
pane, io non tremo, perché Tu sei mio Padre; capisco che Tu me lo lasci mancare
perché io faccia questo atto di fiducia e cresca nella fiducia in Te!”.
Dobbiamo fare questo atto
di fiducia, questo “atto”, perché diventiamo figli delle nostre opere, dei
nostri “atti”, per cui se noi facciamo un atto di fiducia, diventiamo i
figli di questa fiducia, allora quello ci libera.
Quindi in un primo tempo
c'è lo spavento, perché si tratta di superare l'apparenza, il rischio, ma una
volta fatto l'atto di fiducia, uno incomincia a correre perché: "Ormai ho
capito, Dio effettivamente interviene, effettivamente provvede!". E allora
questo primo salto è superato!
Ma ci saranno ancora tanti
altri atti da fare di fiducia! Perché c'è sempre da imparare a far conto su
Dio. Per cui in un primo tempo Dio ci riempie la casa di pane e ci invita però
a far conto su di Lui; ma noi non capiamo questo invito e diciamo: “Che bello…,
siamo giovani, abbiamo tante energie…, abbiamo un capitale…, Signore, ti
ringrazio!”. Allora poi, poco per volta, Lui incomincia a togliere e ci dice:
"Fa’ un atto di fiducia!". Ma ad un certo momento il rischio
diventa tanto, perché ci toglie tutto; ma lo fa, affinché noi possiamo
diventare figli suoi e non figli di altro.
Emma D.:
Quindi anche attraverso questi continui atti di fiducia, si realizza per noi
quel “grazia su grazia”.
Luigi:
Certamente, perché ogni proposta di Dio è un dono che ci apre ad un altro dono.
E tutto è dono di Dio!
Pinuccia B.:
Puoi spiegare il concetto di “grazia su grazia”?
Luigi:
Ecco quindi: “...abbiamo ricevuto tutto, e grazia su grazia...” dobbiamo
intenderlo così: ogni grazia che arriva a noi, se noi la accogliamo da Dio e
la riportiamo a Dio, diventa in noi desiderio, si tramuta in fame, e quindi
ci apre ad una grazia nuova. Perché la condizione per poter
accogliere altri doni è sempre quella di aver fame, di aver desiderio.
Allora, noi possiamo aver
desiderio di poco e riceviamo poco; ma se noi accogliamo quel poco, siccome
quel poco è grazia di Dio, quel poco che noi riceviamo ci apre ad un desiderio
maggiore. Ma se non lo accogliamo, ci si ferma lì e non abbiamo più fame!
Se invece lo accogliamo,
questo ci prepara ad una grazia successiva, più ampia; però anche questa
dobbiamo accoglierla, aderire ad essa, se vogliamo continuare a ricevere “grazia
su grazia”. Per cui ci vuole sempre il consenso da parte nostra per
aprirci a grazie successive.
Il consenso però può
mancare, perché noi pensando al nostro io, diciamo: “Grazie, Signore, che mi
hai dato questo!”; per cui ci fermiamo al dono ricevuto e non cerchiamo il
significato del dono! Se invece noi non pensiamo a noi, ma pensiamo a Dio,
ricevendo i doni suoi, noi passiamo al significato dei doni: ecco il
consenso!
La ricerca del significato
dei doni ci porta a capire che quello che Dio ci dà, ce lo dà per formare in
noi maggior fame, per farci desiderare altro, per allargare quindi il
nostro animo, renderlo più grande, direi più vuoto, per accogliere di più.
Mentre invece noi, più
pensiamo a noi stessi, più ci riempiamo di noi e più diventiamo vuoti di Dio.
Ma allora qui abbiamo l'esperienza effettiva che tutti noi proviamo nella
nostra vita: quel senso di vuoto che è pienezza di io. Per cui la pienezza di
io si trasforma in vuoto.
Allora il concetto di “grazia
su grazia” va inteso così:
·ogni dono
di Dio è grazia: già la creazione è una grazia, ed il fatto che noi esistiamo è
già grazia;
·se questa
grazia qui noi la intendiamo nel suo significato, allora si forma in noi il
desiderio di Dio;
·questo
desiderio ci prepara a ricevere altra grazia su questa grazia: è grazia che
si aggiunge a grazia…, fino alla grazia infinita, alla Vita Eterna: al Dono
che Dio stesso ci vuole fare di Sé; fino cioè a poter dire anche noi: “E
dalla sua pienezza noi tutto abbiamo ricevuto e grazia su grazia”.
Pinuccia B.: Perché si realizzi in noi il “grazia su grazia”,
hai detto che bisogna cercare di capire il significato di ogni dono,
altrimenti il dono diventa un possesso e si perde tutto.
Luigi:
Sì, perché io dico: “Signore, io sono contento che mi hai dato questo, mi hai
dato quell'altro; ti ringrazio, perché non sono come gli altri!”. Ecco, sono
tutti doni di Dio, ma non ne cerco però il significato! Mi fermo al dono e non
vedo la proposta di Dio ad affermare il suo Spirito, a cercare la sua Volontà,
a far conto su di Lui, a crescere nella conoscenza di Lui, ecc..
Dio, ad esempio, mi può
dare un dono e farmi capire che debbo subito darlo via; invece se mi fermo al
mio io, dico: “Signore, io sono diverso dall'altro perché io ho questo dono e
quell'altro non ce l'ha!”, e non cerco più di capire la volontà di Dio.
Invece se tengo presente
Dio, non penso a me, ma penso a Colui che mi dà la cosa e dico: “Perché Dio
mi ha dato questo? Perché mi ha dato l'esistenza? Perché mi ha dato la
vita?”.
Ora, se pensiamo a Dio,
passiamo al significato, cioè capiamo che Dio i doni ce li dà perché noi
abbiamo a guardare a Lui, abbiamo a cercare Lui; capiamo che la vita è
ricerca, e allora passiamo alla ricerca. La ricerca è fame, fame che ci
prepara quindi a dei doni successivi, doni che se non sono desiderati, non
ci vengono dati. Ecco perché i doni migliori la maggior parte degli uomini
non li riceve, non può riceverli! Perché non li desidera!
Infatti i doni vengono
dati in quanto sono desiderati. Con Dio non abbiamo la magìa; con Dio
abbiamo la consapevolezza, perché Dio forma una creatura cosciente della
partecipazione che deve avere. In quanto cosciente, la creatura deve
volere. Non si può dare niente ad una creatura che non sa quel che vuole!
Bisogna allora che nella
creatura si formi, poco per volta, la consapevolezza di quello che vuole, la
fame, il desiderio, e questo si forma con il Pensiero di Dio, cioè fermandosi
con il Pensiero di Dio.
Invece se la creatura si
ferma al pensiero dell'io, prende possesso della cosa, possiede la cosa, se ne
vanta, ma non cerca il significato della cosa; cioè non intende la volontà di
Dio, quindi non desidera altro, non sente il bisogno di altro e dice: "Io
sto bene, non ho bisogno di cercare Dio!"; e anche se sente parlare di
Dio, non ne sente il bisogno. E non capisce che tutti i doni che Dio le ha dato,
glieli ha dati per formare in lei il bisogno. Lei si confronta con gli altri e
frustra l'opera di Dio.
Ecco allora: se noi
accogliamo la grazia, questa grazia si trasforma in fame e quindi ci dà la
capacità di ricevere grazie successive: ecco, “grazia su grazia”. E
così di grazia in grazia, Dio ci dà i doni migliori, fino alla vita eterna,
fino alla conoscenza di Dio, fino a diventare capaci di ricevere “la pienezza
del Verbo”.
Però da parte della
creatura, siccome tutto avviene sempre per opera di Dio, si richiede
l'attenzione a Dio, per cui la creatura deve sempre guardare Dio.
Se la creatura non
riferisce il dono a Dio, possiede il dono, prende possesso del dono, lo unisce
a sé e non desidera più. È l'io che si impossessa del dono e annulla la
funzione del dono.
Pinuccia B.: Si prende possesso del dono quando la creatura non ne
cerca il significato, vero?
Luigi:
Certamente; e non lo cerca proprio perché non riferisce il dono a Dio, per cui
non capisce. Se la creatura non riferisce le cose a Dio, come può intenderne il
significato? Chi ci dà di capire il significato delle cose è il Pensiero
di Dio, perché tutto avviene nel Pensiero di Dio, tutto! Per cui se noi ci
stacchiamo dal Pensiero di Dio, cadiamo nelle tenebre e nel possesso.
Quindi le cose vanno
accettate da Dio e vanno interpretate con Dio, perché soltanto con Dio si
passa al desiderio di Dio, per cui si capisce che tutti i doni di Dio ci
vengono dati perché noi abbiamo ad aumentare in noi il desiderio, la fame di
Dio.
Emma D.:
Purtroppo siamo soggetti a tanti errori!
Luigi:
Ma la sorgente degli errori è il nostro io! La fonte di ogni errore è il
pensiero del nostro io! Se noi dimentichiamo noi stessi, resta Dio.
Se noi oggi come oggi riuscissimo a dimenticare noi stessi, noi vedremmo Dio!
Perché è Dio che parla a noi! Dio è presente! Quello che ci impedisce di
vederlo è il pensiero dell'io.
Giovanni M.:
Penso che le difficoltà, almeno per me personalmente, vengano anche dagli
impegni del mondo, a motivo dei quali il tempo che do a Dio ogni giorno è
minimo. Chi invece si stacca anche materialmente dal mondo, è certamente più
facilitato a pregare.
Luigi:
Non è detto, perché, come dicevo prima, la sorgente dell'errore, e quindi del
male, è il pensiero dell'io, per cui anche se uno va a vivere in un deserto,
non è automatico che superi il suo io!
Giovanni M.:
Ma il mondo conferma l'io…
Luigi: È
vero, nel mondo l'io è più esaltato, però non crediamo che andando nel deserto
uno si liberi dal suo io! Noi ci possiamo liberare dal pensiero del nostro io
solo con Dio. Nella misura in cui ascoltiamo Dio, Dio ci libera. Il
compito essenziale della creatura è l'ascolto! È la sua funzione ideale.
Tu dici: “È minimo il tempo
che io dedico a Dio nella giornata!”; ma tu pensa quante parole diciamo! La
nostra giornata “è piena” di noi che parliamo! Pensa quanto poco noi
ascoltiamo! Ora, teniamo presente che l'essenza della nostra esistenza, la
parte principale della nostra vita, dovrebbe essere l'ascolto! Il Cristo, che è
venuto ad insegnarci, per trent'anni ha fatto silenzio (e Lui è il Verbo), ed
ha parlato tre anni! E questo per dirci che, in proporzione, nella nostra
giornata su 24 ore dovremmo fare silenzio 23 ore e parlare un'ora o due! Noi
invece parliamo 23 ore e facciamo un'ora sola di silenzio e magari neanche,
perché anche quando sogniamo, pensiamo ancora a noi stessi. Siamo talmente
pieni del nostro io, e questo io è rumore, che parliamo sempre noi! È
questo che ci impedisce la disponibilità per Dio!
Se noi
però siamo in ascolto, Dio è talmente potente che può liberarci
da qualunque cosa: “Dio è più forte di tutti”, dice Gesù! (Gv 10,29).
Giovanni M.:
Ma noi siamo deboli!
Luigi:
Noi siamo deboli perché siamo disuniti da Dio. Ciò che ci fa forti, non è tanto
il ritirarci materialmente in silenzio, ma il pensare a Dio. Chi ci fa forti
è Dio!
Dobbiamo imparare ad
ascoltare Dio, perché Dio è più forte di tutte le creature; la sua voce è
talmente potente che supera tutte le altre voci, anche la voce del nostro io.
Pensa ad una persona che è terribilmente innamorata: può andare su una piazza,
in una fabbrica, può andare da tutte le parti, ma non c'è niente che la
distacchi da quel suo pensiero principale! Ora noi dovremmo essere talmente
innamorati di Dio che niente ci dovrebbe distogliere dal pensare a Lui.
Dio, nel campo dei segni,
ci mette davanti a tante lezioni e testimonianze di amore; sono innumerevoli le
prove d'amore che ci dà! Noi invece nei suoi confronti...! Ma come può
succedere questo? Quando tu sei innamorato di una creatura, tu vedi che hai il
cuore pieno e in qualunque luogo tu vada, tu non ti stacchi dal pensiero di
essa! E allora Dio ci dice: "E perché tu non fai così anche con Me?
Forse che l'amore verso la creatura è più potente che l'amore verso il tuo
Creatore?”. E questo è un giudizio su di noi, per dirci: “Tu hai poco amore per
Dio!”.
Ora, noi dovremmo amare
molto di più Dio che le creature. Se una creatura ha questa potenza su di noi,
a molto maggior ragione Dio, se noi Lo amiamo! Quindi non dobbiamo aver paura,
e non dobbiamo scusarci, dicendo: "Non ho tempo… Sono le creature che mi
portano via!". No! Chi dice: "Io non ho tempo per Dio”; oppure:
“ Io non ho spazio per Dio", rivela di aver poco amore per Dio! Ognuno
di noi praticamente ha il tempo, lo spazio che si merita, perché siamo noi che
lo determiniamo con la misura del nostro amore. Quindi se noi abbiamo tanto
amore per Dio, stai tranquillo che noi abbiamo tanto spazio per Dio, perché Lui
è più forte di tutte le cose!
Gesù stesso quando parla di
questa amicizia col Padre, dice: “Nessuno potrà più portare via dai vostri
cuori la vostra gioia, perché il Padre è più forte di tutti!”.
Quindi noi
siamo indeboliti dal pensiero del nostro io, non dal mondo!
Chi ci indebolisce è il pensiero del nostro io, perché è proprio pensando a
noi che creiamo la premessa alle nostre debolezze: per cui ho paura…,
temo..., penso alla figura…, alla critica…, ecc., e quindi non ho più
disponibilità per Dio. Ma come mai questo incide tanto su di me? È perché mi
sono soffermato tanto a pensare a me stesso! Ma se invece di fronte ad ogni
cosa supero il mio io, ricevo da Dio “grazia su grazia”, fino alla vita
eterna.
Pensieri tratti dai manoscritti di Luigi Bracco sul
versetto Gv 1,16:
“E
dalla sua pienezza noi abbiamo ricevuto tutto, e grazia su
grazia”:
Tutto ciò che l’uomo ha,
l’ha ricevuto,
e tutto ciò che ha
ricevuto, è grazia che si aggiunge a grazia.
La “Sua pienezza”: la
pienezza di Cristo è la pienezza del Verbo, “pieno di grazia e di Verità”
(come dice il v. 14).
Tale pienezza si vuole
comunicare alla creatura. Si comunica quando trova nella creatura la
pienezza d’ascolto: “Ave Maria, piena di grazia”.
Come ogni forma di energia
in terra deriva dal sole, così ogni forma di vita in noi ci viene dal Verbo
incarnato: tutto è misericordia, tutto è grazia. Quindi tutto è adorabile.
Con Cristo si inaugura il
tempo della nostra pienezza di vita.
C’è il concetto di pieno
e il concetto di vuoto.
Si può avere la vita vuota,
sentirsi vuoti…Perché?
Che cos’è che
rende vuota la vita?
Che cos’è che invece dà
pienezza alla vita?
In Cristo abita una
pienezza che arricchisce tutti gli uomini.
Qual è la pienezza che
è in Cristo? La compiutezza.
E qual è la incompiutezza
della creatura?
Cf. : Lettera agli Efesini.
In Cristo vi è il senso della nostra vita.
“Io sono
la Luce del mondo”. In Cristo vi è la Luce per
l’uomo.
Se Dio crea, Dio parla. Se Dio
parla, Dio manifesta il suo Pensiero nel mondo.
Se Dio manifesta il suo
Pensiero, le sue opere hanno intimamente un divenire, uno sviluppo, al termine
del quale deve apparire il suo Pensiero.
Se il divenire delle cose
va verso il Pensiero, se tutte le cose vanno verso il Pensiero di Dio, ad un
certo momento dobbiamo avere una parola che è sposata al Pensiero,
ed è Cristo.
Quali sono i caratteri di
questo Pensiero?
Cristo è la conclusione di
tutte le cose.
Cristo è la perfezione di
tutte le cose.
Cristo è la Verità di
tutte le cose.
Cristo
è il punto in cui si rivela il senso del mondo.
Se il Pensiero di Dio è il fine
di tutto, dev’essere il Principio di tutto.