E noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre Gv 1 Vs 14 Decimo
tema.
Titolo: Imparare a convivere con Colui che, per
portarci al Padre, abita con noi.
Argomenti: Il Verbo in Cristo
ha occupato un punto di tempo e spazio. Cristo collega tutto con il Padre. Vedere le cose dal
punto di vista di Dio. Il cireneo. Le parabole. L’amore impegna a scegliere. CAMMINARE CON IL
VERBO. IMPARARE A CONVIVERE CON DIO.
1/Gennaio/1976
Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti):
Facendosi “carne”, il Verbo ha occupato in Cristo un punto della
nostra storia e dello spazio. In Cristo possiamo trovare il Verbo fatto carne.
Venendo ad abitare tra noi, il Verbo si è
messo a nostra disposizione, si è fatto reperibile, perché ci ha dato
l’indirizzo della sua casa; per cui dipende da noi andare o no a trovarlo,
fermarci poco o tanto con Lui,
colloquiare o no con Lui.
Già abbiamo
visto che l’annuncio del “Verbo che si è fatto carne ed abitò tra noi”
ci mette in movimento, perché ci pone tutta una serie di problemi:
Cosa significa che nasce da una Vergine?
Come posso incontrarlo?
Dove Lo trovo?
Come faccio a vivere con Lui?
Fino a quando Lo avrò a disposizione?
Qual è lo scopo della sua abitazione tra noi?
Sono tutti interrogativi che, in conclusione,
ci impegnano in questo grande problema:
imparare a convivere con Colui che, per portarci al Padre, abita tra
noi.
Per imparare, dopo averlo individuato, a
convivere con il Verbo che è venuto ad abitare tra noi, dobbiamo
innanzitutto tener sempre presenti i tre pilastri che stanno a
fondamento della nostra vita spirituale e che poggiano sulla fede attuale in
Dio Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili (cf libro: “Ecco la notte”). Infatti se in tutto
teniamo sempre presente Dio Creatore:
·1°) non possiamo non attribuire ogni avvenimento a Lui e
quindi accettarlo;
·2°) non possiamo ignorare che ogni avvenimento ha un
significato, per cui dobbiamo superare il punto di vista del nostro io per
riportare tutto a Dio, per vedere tutto in Lui e da Lui;
·3°) e, infine, non possiamo non tener presente che ogni
avvenimento contiene un messaggio personale per ognuno di noi: in quanto Dio me
lo fa arrivare, Dio sta parlando personalmente con me attraverso questo
avvenimento, per cui devo cercare di capire, desiderare di capire.
Se invece non tengo presente Dio attribuisco gli avvenimenti agli uomini,
non cerco di capirne il significato, non avverto che Dio sta parlando con
me, e quindi non prendo la lezione su di me.
Ed è qui che
scopriamo l’essenzialità delle parole del Verbo incarnato. Cristo infatti con tutto il suo parlare ci
collega tutto col Padre e ce ne illumina il significato. Più ci nutriamo delle
sue parole e più impariamo a conoscere il suo Pensiero; e più conosciamo il suo
Pensiero e più impariamo a convivere con Lui in tutto.
Quindi, prima cosa da farsi è: accettare.
Seconda cosa: riportare a Dio per capire.
Terza cosa: sentirsi responsabili di ciò che
succede (Dio lo fa per me) e quindi non giudicare: magari quella donna suicida
è un angelo (dal libro “Ecco la notte”), così pure Giuda. Svolgono la
funzione del Cireneo: infatti per ogni uomo ambizioso e orgoglioso c'è un
Cireneo che porta la croce. Anche se non so chi è, basta che io sappia che
il mio peccato esige un cireneo, perché la funzione del cireneo sia efficace
per me. Un solo peccato, un solo
pensiero deviante esige da parte di Dio, perché Dio mi ama, una scena
per salvarmi. Le conseguenze così
necessariamente ricadono su di un altro che diventa una scena per noi.
Tutti coloro che soffrono innocentemente sono
compendiati in Cristo innocente che muore in croce. Tutte le sofferenze del mondo sono compendiate e
illuminate dalla Croce sul Calvario. Il Cristo Crocifisso ci rivela l’infinito
Amore e l’infinita Misericordia del Padre verso tutti gli uomini.
Bisogna far conto sulla Misericordia di Dio
(in questo sta la salvezza) e, mai sulle proprie virtù (anche se idealmente non
avessimo peccato). La salvezza non viene
né dal ricordare il nostro male, né il nostro bene, ma sta nell'imparare a far
conto su Dio, poiché la salvezza ci
viene da Lui: "Signore,
ricordati di me” (Lc 23,42), “Signore,
faccio conto su di Te”.
Si diventa figli di Dio facendo conto su di
Lui, camminando con il Verbo incarnato, imparando a camminare con Lui,
assimilando le sue parole che ci fanno conoscere l’Intenzione del Padre e
quindi il suo immenso Amore per noi, per ognuno di noi.
La più bella prova di misericordia e amore di
Dio, evidente per tutti, è che il mondo continua a girare… C’è in Dio una
Sorgente di Misericordia e Amore tale che nemmeno ci immaginiamo.
Da
parte di Dio c’è una sollecitazione continua attraverso tutta la sua
Onnipotenza e attraverso tutto il suo operare, per convincerci a fare questo
atto di fiducia (”Signore, faccio conto su di Te!”), per far nascere in noi
questo pensiero di amore, per invitarci cioè a superarci continuamente.
Superarci vuol dire mettere
Lui al centro e l’io in periferia (cioè attribuire tutto a Lui, quindi non
giudicare). Ma nessuno ci può obbligare
a fare questo: è un atto d’amore intimo, segreto.
Il pensiero dell'io ci impedisce di entrare in
questa Verità, di capire che tutto è opera sua e di far conto unicamente su di
Lui. Fossimo anche santi, noi
precipiteremmo nell'inferno, se facessimo conto anche minimamente su quanto
siamo. Quando ci convinciamo della
nostra impotenza e facciamo conto su di Lui, allora incominciamo a vivere nella
Verità. Altrimenti “tutto ciò che non viene dalla fede è peccato”, dice
S. Paolo (Rm 14,23), e ci porta al delitto.
Solo se siamo mossi da Dio diventiamo figli di
Dio, se no è finita. Se ci lasciamo guidare dal nostro io, se non ci superiamo,
non possiamo convivere con Colui che abita tra noi e quindi non possiamo
arrivare dove Lui ci vuole portare: non conosceremo mai il Padre e non
diventeremo mai figli di Dio.
Convivere con Lui significa infatti portarci a vedere le cose dal Suo
punto di vista, sposare la sua Intenzione, superando la propria.
Il superamento di noi stessi, del nostro punto
di vista e della nostra intenzione, è un passaggio personale: chi si
supera incomincia la vita personale. È
solo Dio che, mettendoci di fronte a
questa scelta, ci fa persona, ed è solo Dio che ci fa vivere personalmente.
Infatti in tutto è Lui che tratta personalmente
con me, che opera e parla personalmente con me, chiedendomi personalmente di
scegliere Lui e il suo punto di vista. Bisogna superarsi ( quindi mai giudicare
nessuno) per vivere questo. È questa continua scelta di Lui che ci fa persona e ci fa convivere in unità
di pensiero e di volere con il Verbo incarnato.
Chi si supera acquista quindi una vita
personale: se mi supero incomincio a diventare diverso dall'altro, perché il
superamento del mio io é un atto che io solo posso fare. Solo dove siamo noi
stessi diventiamo persone. A questo punto (cioè per coloro che hanno fatto
questo superamento), Gesù dice: "Non prego più per il mondo"
(Gv 17,9). Per costoro che Lo hanno seguito, che hanno vissuto con Lui, solo
per costoro ha un linguaggio intimo e
personale, come quello del Prologo. Il Prologo è un quadro in movimento
che ci mette a fuoco la Gloria del Figlio che viene dal Padre. Così anche a
questo punto Gesù, pregando il Padre, fa capire ai suoi che la sua Gloria Lui
la riceve dal Padre e lo dice perché la
nostra attenzione si focalizzi sul Padre.
Per il mondo (per coloro cioè che sono ancora
in pianura)Gesù ha un altro linguaggio: sii buono, ama il prossimo, le
beatitudini, ecc.. A chi si è superato (a chi è sulla vetta) dice una parola che non dice al mondo.
Questa parola la dice solo a chi è entrato personalmente in un rapporto
personale con Lui: “A voi che siete dentro è dato di conoscere i misteri del
Regno, ma a chi è fuori parlo in parabole” (Mt 13,11).
Le parabole sono annunci che invitano sempre
ad un superamento dell’io per cercare Dio.
Ma non è detto che tutti rispondano a questo invito: dipende da ciò che
uno porta dentro, se si è fatta o no la giustizia essenziale, se è maturata o
no la fame di conoscere Dio.
Dio chiama tutti alla Vetta, ma il momento
determinante per iniziare la salita è il superamento dell’io.
Lo stesso “annuncio" della nascita di
Gesù provoca reazioni diverse (confrontiamo, ad esempio, i pastori con Erode).
È la fame o l’assenza di fame che è determinante. Così in seguito: ci fu chi Lo
accolse e chi Lo uccise. Tutto dipende sempre da ciò che uno ha messo interiormente al centro
del suo pensiero e interesse: Dio o il proprio io.
Per accogliere il Cristo ed imparare a
convivere con Lui, dobbiamo aver fatto la giustizia essenziale e aver maturato
una certa fame di Dio e soprattutto dobbiamo superare noi stessi. Ma questo è
un atto essenzialmente personale: solo “io” posso superare me stesso, ed è il
primo atto di giustizia. So infatti di fare un errore fondamentale quando mi
metto al centro. “Tu non sei Dio”, devo dire a me stesso, ed è ciò che mi dice
ogni creatura in mille modi, anche quando mi pesta un piede.
Se uno mi pesta un piede, se ho presente Dio,
reagisco in un modo; se ho presente il mio io (cioè se non supero il mio io) reagisco in un altro.
Se penso a Dio, Lo ringrazio: "Così mi
hai umiliato". Ecco la grande
liberazione! Ma bisogna attribuire tutto a Dio.
Ogni movimento di riferire tutto a Dio mi
porta a questa grande esigenza: una crescente fame di Dio. Più mi supero e più aumenta l’attrazione per
Lui.
Cristo ci mette in movimento fino alla
Pentecoste. Siamo stati affidati a Lui
dal Padre, fin dal momento in cui Lo abbiamo incontrato. Ma tutta la vita va vissuta con Lui, facendo
conto su di Lui.
Il far conto su Dio non è un atto, ma una continuità,
come l'amore e la consacrazione. L'amore ti impegna continuamente a fare
delle scelte: “io faccio conto su di Lui...; io scelgo Lui”.
È importante la continuità di scelta di
Dio se vogliamo imparare a convivere con Lui. E questa continuità di scelta
vuol dire mettere tutto il resto al di sotto di questo. Quando si è feriti
di amore si va soltanto da chi ci ha ferito. In questa rinnovata scelta di
Dio, Cristo prepara il posto dove Lui è,
cioè prepara in noi quella maturità e capacità di guardare dal punto di vista
del Padre.
"Dove Io sono voi non potete venire" (Gv 7,34), ci dice Gesù, non per escluderci,
ma per farci capire che da soli non vi possiamo giungere, e nemmeno con
Lui fisicamente presente. È per questo che se ne va. Ma ormai, a questo
punto, ha già messo a fuoco la nostra
attenzione verso il Padre. Rimane
spiritualmente presente in noi, e la sua presenza è talmente carica e
convincente nella nostra anima, che nessuno ce la può portare via.
Imparare a convivere con Lui vuol dire camminare con Lui fino a dove Lui va, fino al
Padre. Per cui ad un certo momento dobbiamo accettare che la sua presenza
fisica scompaia.
È la presenza esteriore che se ne va, perché è
d’impedimento in quanto, finché c’è, ci fermiamo a questa che ci soddisfa e indebolisce la
ricerca spirituale. Infatti l’annuncio della sua partenza ci rattrista: "Perché
vi ho detto questo vi siete caricati di tristezza”, dice Gesù (Gv 16,6).
Pensando a noi stessi diventiamo tristi, e quando si è tristi si è impediti di
vedere (come accadde ai discepoli di Emmaus).
Invece dovremmo godere quando Lui se ne va
fisicamente perché c’è un qualcosa di più grande che ci attende; ma nel
pensiero dell’io non lo capiamo, per cui ci rattristiamo (così come quando
muore una persona cara: quando piangiamo, in fondo piangiamo per noi). Eppure
Gesù dice: “Se mi amaste, vi rallegrereste, perché Io vado al Padre” (Gv
14,28) e chiede al Padre che ci manifesti la sua Gloria: “Padre, glorificami
con quella gloria che ebbi presso di Te prima che il mondo fosse"
(Gv 17,5) (cioè che fosse in noi): c’è una conoscenza che può venirci solo da
qualcosa fuori del mondo, che può venirci solo dal Padre.
Per riceverla, si guarda da- (dal punto
di vista del Padre).
Il "posto" che Gesù è andato
a prepararci è una maturazione nostra interiore che ci porta a guardare da-,
dal punto di vista del Padre.
Da questo punto di vista si vede e s'intende
ogni cosa. Si capisce tutti, ma non si è
capiti. San Paolo dice: "L'uomo
spirituale capisce l'uomo animale, ma non viceversa” (1 Cor 2,14-15).
Cristo dialoga con tutti, senza però accettare
l'errore, così pure dobbiamo fare noi. Basta una sua frase, come: ''non
preoccupatevi del mangiare", (Mt 6,31) per far cadere, ad esempio, la
visione marxista. Naturalmente il marxista non può capire il Pensiero di Gesù,
ma chi è con Gesù capisce quello che Gesù dice, e capisce che ciò che Lui dice
fa cadere la visione marxista.
Imparare a convivere con Cristo vuol quindi
dire cercare di capire il suo Pensiero per imparare a pensare come Lui pensa, a
parlare come Lui parla, imparare cioè a partire sempre dal Padre, e a guardare
sempre in tutto al Padre.
Cristo abita tra noi, non per confermarci, ma
per liberarci dai nostri posti di blocco. Egli è Uno che cammina. Va avanti,
verso una meta ben precisa. Se non camminiamo con Lui, Lo perdiamo.
Pensieri tratti dagli incontri del Sabato: Sabato 24.01.1976 (appunti)
“Abitò
tra noi”: Cristo incarnandosi ci dà il suo indirizzo. Se abita tra noi
è perché vuole stabilire un legame con noi; per cui, se noi vogliamo, Lo
possiamo reperire tutte le volte che lo desideriamo, perché dandoci il suo
indirizzo, si è messo a nostra disposizione.
Possiamo fermarci con Lui, assimilare le sue
Parole, tutto il tempo che vogliamo. Più capiamo le sue Parole, più camminiamo
con Lui verso la vera vita.
Ogni sua Parola capita ci fa percorrere con
Lui un tratto di strada, fino a contemplare la sua Gloria che gli viene dal
Padre, non dal mondo.
Sabato 14.05.1983
Pinuccia B.: “…e abitò tra noi” e
questo è “grazia”, perché abbiamo visto che la presenza è “grazia”, è dono di
uno che si rende presente. Grazie all’incarnazione, Dio si rende presente e si
mette a nostra disposizione. Quindi
questa “grazia”, questa Sua presenza tra noi, è una conseguenza
dell’Incarnazione.
Luigi: È l’Incarnazione! La “grazia” è l’incarnazione; infatti
abbiamo detto che l’incarnazione è il Verbo di Dio che si rende presente in
questo rapporto sbagliato in cui ci troviamo noi. Cioè noi in conseguenza
dell’autonomia del nostro io, quindi di azioni, di pensieri, di parole dette
non in unione con Dio, non secondo lo
Spirito di Dio, siamo venuti a trovarci schiavi delle presenze fisiche, quindi
schiavi dei corpi. In questa situazione noi identifichiamo la realtà con i
corpi, con le presenze fisiche, per cui possiamo esser salvati soltanto
attraverso una presenza fisica, in cui però parli Dio.
Allora il Verbo di Dio si rende presente
fisicamente, presenza fisica, “tra noi”, però non parla come parlano
tutte le altre presenze fisiche; infatti tutte le altre presenze fisiche ci
confermano nel nostro errore, Lui venendo tra noi non ci conferma nel nostro
errore. Quando quel fratello dice a Gesù: “Fammi giustizia, perché mio fratello vuol tenersi tutta
l’eredità e non vuole dividerla con me…” (Lc 12,13), Lui non conferma
questa passione.
Pinuccia B.: Vedevo
questo “abitò tra noi” come una conseguenza dell’Incarnazione, perché mi
riferivo ad una spiegazione data nel passato: si era detto che questo suo
abitare fra noi è come se ci desse il
suo indirizzo, per cui io Lo posso trovare quando voglio, posso fermarmi con
Lui quanto tempo voglio.
Luigi: Certo, l’abitare tra noi è una conseguenza
dell’incarnazione; se si è incarnato vuol dire che è venuto in questo nostro
mondo sbagliato, cioè si è reso presenza fisica. Essendo una Presenza fisica
vuol dire che Lo possiamo trovare; infatti se non fosse una presenza fisica non
potremmo trovarlo. Quindi, se io ad esempio apro il Vangelo, Lo posso trovare,
ed il Vangelo è a mia disposizione; la storia mi parla di Lui, quindi ho Lui a
disposizione, ho un riferimento a Lui, ecc.; poi ad un certo momento mi
accorgo che tutte le cose, siccome Lui è il centro, mi conducono al Cristo,
tutti i problemi della vita mi conducono a Lui.
Se imparo ad abitare anch’io con Lui come Lui
abita con me, e per realizzare questa coabitazione debbo nutrirmi delle sue
Parole, allora Lui a poco a poco forma in me la capacità di sostare nel
Pensiero del Padre, dal quale mi verrà ogni luce, ogni conoscenza sul Figlio.
Imparare ad abitare con Cristo è condizione
indispensabile per giungere a conoscere il Padre, perché Gesù dice: “Nessuno
viene al Padre se non per mezzo di Me”, e conoscere il Padre è condizione
essenziale per giungere a vedere la Gloria del Figlio, per giungere cioè alla
nostra Pentecoste.
Pensieri conclusivi:
Piero: Per poter vedere Cristo in noi e abitare con Lui è
necessario fermarci.
Ida: È necessario riportare tutto a Dio per imparare ad
abitare con Colui che abita con noi.
Paolo: Il Verbo che si fa carne è grazia, è dono, perché dà a
noi la possibilità di attingere da Lui.
Luigi: Sì, perché L’abbiamo a disposizione; se L’abbiamo a
disposizione possiamo attingere, ma non è detto che attingiamo. Abbiamo
cioè la fontana da cui possiamo bere, se
però abbiamo sete.
Micol: È molto importante dedicare del tempo per la ricerca di
Dio per non lasciarsi confondere dalle altre mentalità.
Luigi: Soltanto che per dedicare del tempo bisogna avere il
coraggio di superare tante cose; cioè ad un certo momento devi scartare tante
cose del nostro mondo, altrimenti non hai mai tempo, perché: “Devo fare questo,
poi quell’altro, ecc.”. Invece bisogna avere il coraggio di accantonare tutto e
di seguire il Maestro. Anzi, bisognerebbe dedicare a Dio il tempo migliore;
ad esempio la freschezza della mattina, soprattutto il tempo interiore (il
tempo migliore è quello interiore) per la cosa essenziale, perché Dio è Colui che vale più
di tutto.
Quindi se vale più di tutto, tu dove Lo metti?
Se Lo metti in ultimo vuol dire che Lo stimi poco, e allora vuol dire che c’è
dell’ingiustizia di fondo; se invece gli dai il suo giusto valore, cioè se Lo
metti al suo giusto posto (poiché il valore che gli dai si riconosce dal posto
che gli dai nella tua vita), allora ti accorgerai che la luce incomincia a
formarsi in te sul significato e sul senso della vita stessa.
Tiziana: Riferire tutto a Dio, specialmente le cose più banali
sulle quali passo sempre sopra.
Luigi: E no, perché presso Dio non c’è niente di banale. La
banalità è soltanto effetto della nostra grossolanità. Ma Dio essendo un
Infinito riflette il suo Infinito in tutte le cose, in ogni piccola cosa…;
infatti se guardi un filo d’erba o una formichina vedi che portano con sé più
infinito che tutto l’universo stellato. Nell’Infinito non c’è la banalità; la
banalità c’è solo nel pensiero del nostro io perché nel pensiero del nostro io
siamo grossolani.
E allora non dire banale o volgare a nulla,
perché presso Dio, essendo tutto opera di Dio, è tutto carico di significato
per noi e quindi, se ha un significato, serve per la nostra vita.
Pinuccia B.: Dobbiamo
a Dio molta riconoscenza per questa sua Incarnazione e abitazione tra noi,
perché Dio praticamente si è reso accessibile in Cristo: possiamo stare con Lui
quanto vogliamo, ascoltarlo tutte le volte che vogliamo per ricevere da Lui la
luce su Dio e sul nostro destino. Per cui, attraverso Cristo, noi sappiamo il
Pensiero di Dio, quindi ciò che Egli pensa della nostra vita, del perché ci ha
creati…
Luigi: Diciamo: Dio con Cristo si è reso disponibile, alla
nostra portata.
Pinuccia B.: E
ci ha messo in evidenza ciò che vale, il fine per cui dobbiamo vivere e la
strada per arrivare al Padre e quindi a contemplare la sua Gloria.
Sabato 21.05.1983
Flavio: “…e venne ad abitare in mezzo a noi” : mi fa
pensare come la venuta del Cristo sulla terra diventi subito il centro, cioè come ruoti tutto su questo.
Luigi: Certo. Egli ha occupato un punto del nostro mondo, e
avendolo occupato, questo punto è diventato il centro di tutto. Cristo è la
pienezza dei tempi: questo vuol dire che è la conclusione di tutta la creazione.
Tutta la creazione ha come centro il Cristo, la Parola di Dio, così come la
conversazione che uno fa, ha come centro il pensiero, perché quando uno parla
tende a manifestare il pensiero. Allora tutta la creazione, essendo parola
di Dio, ha come centro il Pensiero di Dio; ma il Pensiero di Dio è il Verbo, è
il Cristo. Quindi, man mano che noi ascoltiamo, seguiamo questa
conversazione, arriviamo ad un punto in cui la Parola è quasi Pensiero, per cui
diventa facilissimo passare dal segno al Pensiero, ma bisogna seguirla. Allora
tutta la conversazione di Dio, cioè tutta la creazione di Dio, ad un certo
momento ci deve rivelare questo centro, e questo centro è il Cristo.
Flavio: E questo centro è anche per ognuno di noi?
Luigi: Certo, in quanto è centro, il centro è centro per tutti;
anche noi apparteniamo alla creazione di Dio, e se nella creazione c’è un
centro, questo centro lo è per tutti: vicini, lontani, Antico Testamento, Nuovo
Testamento, prima, dopo, ecc.
Flavio: Anche la presenza di Dio in noi è al centro, quindi è
determinante.
Luigi: Certo, noi abbiamo il Cristo fuori di noi, che è il
centro di tutta la creazione, quindi di tutto il mondo esterno; ma il Cristo
fuori, non è per restare fuori, ma è per condurci a scoprire il centro che
portiamo dentro di noi.
Per cui Dio è in noi, ma chi ci conduce a
scoprire, a individuare questa presenza oggettiva è il Cristo. Infatti
senza il Cristo noi diciamo: “Sono io che penso Dio” e non possiamo uscire da
questa soggettività; per cui noi macchiamo di soggettività tutte le cose; ad un
certo momento, anche tutto il mondo esterno è macchiato da questa nostra
soggettività.
Ora, quando noi siamo macchiati di
soggettività, entriamo in un dubbio da cui non
usciamo per nessun motivo, per nessuna ragione; si va a finire
nell’inferno, ma non si esce, se non interviene Cristo, perché l’oggettività ci
è data da Dio, ci è data dall’Altro.
Ora se noi viviamo pensando a noi stessi,
incominciamo con questi pensieri a macchiare di soggettività la nostra vita; ma
poi questa soggettività incomincia ad espandersi attorno a noi, sulle creature,
per cui incominciamo a giudicarle senza capire che in realtà non facciamo altro
che proiettare su di esse il nostro pensiero, la nostra soggettività. E questo
si estende su tutto l’infinito di Dio, anche su Dio stesso. Per cui arriviamo a
dire: “Dio, sono io che Lo penso, e allora cominciamo a dubitare se Dio esiste
realmente o è frutto della nostra mente:
ma allora esiste o non esiste?”. Cioè non mi posso convincere che Dio non esista, perché
tutta la creazione non l’ho fatta io; eppure resta il dubbio perché sono io che
Lo penso”.
E questo ci conduce ad un dubbio eterno da cui
non usciamo. L’oggettività ci è data
dal “Dio che parla a me”, cioè dall’ Altro che parla a me, non da “io che parlo”.
Ora, fintanto che siamo noi a parlare, ci
versiamo tutto addosso e ci macchiamo; cioè, tutto il mondo resta inquinato dal
pensiero di noi stessi. Ora, il fatto che il Verbo (Colui che parla) abiti tra
noi, è una realtà oggettiva alla quale possiamo rapportarci sempre. Il Verbo
incarnato è una Realtà che possiamo ascoltare sempre e che ci dà quindi la
possibilità di uscire dal nostro soggettivismo. Per questo è determinante
imparare ad abitare con Colui che abita con noi e parla in tutto. E sarà Lui
che ci porterà a scoprire l’oggettività del Pensiero di Dio in noi.
Amalia: “Il Verbo si fece carne ed abitò tra noi” : cioè
il Verbo è carne ed abita tra noi.
Luigi: No, il Verbo non è carne, Cristo sì, perché è anche
uomo. Il Verbo incarnato è Cristo. Il Verbo è il Figlio di Dio. Il Verbo si fa carne, cioè prende un corpo, ma resta
sempre il Verbo di Dio: la Persona è Divina, la Persona non è carne.
Il Verbo è il Pensiero, la Persona è Divina; la presenza fisica è un’altra cosa.
Amalia: Il Verbo Incarnato abita tra noi, quindi questa carne di
Dio è presente in mezzo a noi oggi; tutto è carne di Dio che deve essere
mangiata per arrivare al suo Pensiero?
Luigi: Sì, certo, però anche qui c’è un passaggio obbligato da
percorrere: ad un certo momento si arriva ad essere capaci di assimilare ogni
cosa nel suo Pensiero, però la ricomposizione nostra, cioè l’acquisizione di
questa capacità, avviene non attraverso
la creazione, non attraverso le creature, ma attraverso il Cristo fisico,
storico: quello che Lui ha fatto, come lo ha fatto, quello che ha detto,
quello che ha subito, e tutto quello che è avvenuto: Nascita, Vita, Passione,
Morte, Risurrezione e Ascensione al Padre.
Amalia: Quindi attraverso la sua vita e la sua Parola.
Luigi: Ecco, tutta la sua vicenda storica, questo avvenimento,
è parola; poi in questa vicenda ci sono le sue Parole. Ora, le sue Parole sono
parole del Verbo di Dio. Lui non parla come presenza fisica, Lui parla come
Dio. È la Persona che parla, è il
Pensiero che parla. Quindi Cristo parla come Persona Divina tra noi. Ma
anche tutto quello che fa, essendo tutto segno, è anche tutto parola.
Ma tutto quello che Lui ha detto e tutto
quello che Lui ha fatto, lo ha detto e lo ha fatto per noi, quindi va tutto
visto come pedagogia, come lezione per noi. Quindi dobbiamo chiederci: perché è
nato ed è nato in quel modo? Perché è nato da una Vergine? Perché è nato a
Betlemme? Perché è nato in una grotta? Perché è vissuto in quel modo? Perché ha
subito quella passione? Perché è morto in quel modo? Perché è risorto? Perché è
asceso al Cielo?
Ecco, tutto deve essere visto come
pedagogia per i nostri pensieri, e fintanto che non lo vediamo come pedagogia,
cioè “che cosa ha voluto significare per me tutto questo?”, noi non abbiamo
capito la lezione di Dio: la lezione del
Figlio di Dio tra noi, fatto carne.
Noi capiamo la lezione soltanto in quanto
arriviamo a chiederci: “Che cosa Dio ha voluto fare con questo per me? Che cosa
Dio mi ha voluto significare per la mia vita essenziale?”.
Perché è attraverso tutta questa vicenda
che noi siamo condotti al Padre, cioè che siamo riportati in quel “luogo”
da cui si vede la Gloria del Verbo, perché la funzione dell’Incarnazione del
Verbo è quella di portarci alla Pentecoste, di portarci a questa Pentecoste personale, cioè a questo incontro
con lo Spirito di Verità, che già portiamo in noi, ma che non esperimentiamo,
non vediamo, non tocchiamo.
Cristo, attraverso tutta la sua vicenda, se è
da noi seguita, capita, conduce noi a vedere e a esperimentare, a toccare
questo Spirito di Verità, quindi a darci la possibilità di restare sempre con
Dio.
Noi adesso, anche se non Lo conosciamo, non possiamo smentire Dio: non potendolo
smentire, Lo pensiamo, ma non sappiamo restare con Lui. Anche Satana pensa a
Dio, però non può restare con Dio, non ha pace in Dio, perché non Lo può
comprendere, non Lo può conoscere. Ora Cristo ci conduce ad avere questa pace
in Dio, perché conducendoci a conoscere Dio,
ci conduce a permanere in Dio e quindi a lasciarci guidare in tutto
dallo Spirito di Dio. Poi con la venuta
dello Spirito di Verità, allora sì, con lo Spirito di Verità si ha la
possibilità di vedere il Pensiero di Dio
in tutto; prima no!
Infatti Gesù dice: “Affinché dove sono
Io siate anche voi” (Gv 14,3). Lui è in tutto, Lui parla in tutto.
Ora, noi sappiamo che in tutte le cose c’è Dio che parla, però non vediamo il
Pensiero di Dio e non siamo capaci di vederlo. Vediamo l’albero, ma: “Qual è il
pensiero di Dio in questo?”; vediamo la creatura, ma: “Qual è il pensiero di
Dio?”; vediamo un avvenimento, ma: “Qual è il pensiero di Dio?”. Sappiamo che
c’è la mano di Dio, ma non sappiamo quale sia il suo pensiero; ecco il punto
interrogativo! Con Lo Spirito Santo invece: “…vi condurrà a vedere la Verità
in tutto” (Gv 16,13). La Verità in tutto qual è?
È il Pensiero di Dio in tutto: “Vi condurrà a vedere il Pensiero di Dio
in tutto”. Ma se a questo punto noi abbiamo la possibilità di vedere il
Pensiero di Dio in tutto, non c’è più niente che ci porti via; niente, nessun
avvenimento, nemmeno il più sconcertante ci può portare via, anzi tutto diventa
motivo di preghiera, di colloquio con Dio, perché si ha la possibilità di
vedere il Pensiero di Dio in tutto. Ora, l’opera dello Spirito Santo è
questa: “vi condurrà a vedere la Verità in tutto”.
Ora, noi non vedendo la Verità in tutto siamo
portati via; perché là dove non vediamo la Verità, dominano i sentimenti, le
impressioni, e siamo portati via da essi. Restiamo succubi delle cose appunto
perché non vediamo la Verità. Il giorno in cui noi vedremo la Verità (la Verità
è il Pensiero di Dio che parla con noi in tutto), non ci sarà più niente che ci
potrà nuocere, che ci potrà portare via, che ci potrà far male.
Pinuccia B.: Mentre
il nostro pensiero è occupato in ciò che Gesù ha fatto e detto, può, anzi deve,
iniziare a chiedersi qual è il Suo pensiero nelle cose, vero? Non arriverà a
capirlo fin dopo Pentecoste, però l’oggetto del nostro pensiero non è solo
Gesù, ma è tutto quello che Dio fa e ha fatto. Non è così?
Luigi: No, è solo Gesù! L’oggetto del nostro pensiero deve
essere solo Gesù. Ad un certo momento è necessario avere questa costanza
di seguire Gesù, perché altrimenti noi ci divertiamo nel vero senso
etimologico della parola: ci divertiamo (di-vertirsi: divergere da-,
allontanarsi da-, deviare da-, distrarsi da-). Se non c’è questa essenzialità,
questo guardare unicamente a Gesù,
facciamo anche della vita religiosa un divertimento, e allora
concludiamo niente. È come se uno incominciasse a leggere un’enciclopedia e
passasse da una nozione all’altra: si accumula solo tanto nozionismo, ma non serve a niente.
Pinuccia B.: Ma
non si dice sempre che tutte le cose bisogna prenderle da Dio e riportarle in
Dio?
Luigi: Tutto devi prenderlo da Dio sapendo che in tutto c’è
un pensiero di Dio, però chi ti dà la chiave per intendere è il Cristo.
Allora, se la chiave è il Cristo, cosa fai? Ad un certo momento devi seguire
Cristo. Il Cristo non è un albero, Cristo non è un uomo, Cristo è Dio, il Verbo
fatto carne. Egli è venuto ad abitare tra noi proprio per incentrarci su di Sé
e liberarci dalla pressione di tutte quelle presenze fisiche che ci portano
via. Ma non basta che Lui sia venuto ad abitare tra noi. Bisogna che noi impariamo
ad abitare con Lui, perché solo così diventa efficace la sua presenza tra noi.
Quindi è indispensabile sprofondarsi nel Vangelo perché è Cristo che ci porta
nella capacità di ricevere lo Spirito di
Dio. Prima di ricevere lo Spirito non siamo in grado di capire cosa Dio ci dice nella creazione o in
un giornale qualunque. Se hai lo Spirito di Dio riesci a cogliere il pensiero
di Dio in tutto e a trarre delle lezioni di Dio in tutto, ma se non hai lo
Spirito di Dio, ti puoi scervellare tutto quello che vuoi, ma non riesci a capire niente, anzi sei portata via, sei
disturbata, perché non si può passare dal finito all’Infinito: “Solo Colui
che discende dall’Alto, ci può portare in Alto”. Prima di giungere alla
Pentecoste il significato di tutti i segni è quello di essere una freccia che
ti orienta al Cristo, perché è Lui “la chiave che apre e chiude”.
Pinuccia B.: Intendevo
dire questo: come atteggiamento di fondo…
Luigi: …dobbiamo avere la disponibilità a seguire Cristo: solo
Cristo e nient’altro. Devi seguire Lui!.
Pinuccia B.: Nello
stesso tempo accetto tutto da Dio.
Luigi: Ma certo, è logico! Tu arrivi al Cristo proprio in
quanto accetti tutto da Dio. E allora desideri conoscere tutto di Cristo,
perché sai che solo Lui ti dà la chiave per intendere tutto. Infatti solo seguendo e ascoltando Lui, che abitando
tra noi si è messo a nostra disposizione,
abbiamo la possibilità di ricevere lo Spirito di Verità che ci porterà a
vedere la Verità di Dio in tutto.
Sabato 04.03.1989
“
E abitò tra noi…”
Giovanna: Il Verbo incarnato è venuto ad abitare tra noi; quindi
il problema è impegnarci ad abitare anche noi con Lui. Ma prima ancora dobbiamo
riconoscerlo. Lo riconosciamo dalle sue parole?
Luigi: Noi riconosciamo il Verbo fatto carne dal Padre e
soltanto dal Padre, perché se il Padre non ce Lo fa riconoscere possiamo
fischiare tutte le sinfonie di Beethoven, ma non arriviamo ad individuarlo.
Perché? Perché si presenta come “un uomo qualunque”.
Giovanna: In che modo il Padre ce Lo fa riconoscere?
Luigi: Il Padre fa riconoscere il Verbo fatto carne solo a quelli che sono attratti dal Padre;
cioè a chi ha messo Dio al centro della sua vita, dei suoi pensieri, per
giustizia (la giustizia di Giovanni Battista), quindi a chi ha tolto il suo io
dal centro, e quindi ha interesse per Dio, per conoscere Dio. Questo interesse
diventa fame e questa fame è ciò che fa conoscere il pane: è la fame di
conoscere Dio che ti fa riconoscere il Cristo ed è ancora questa fame che ti fa
capace di seguirlo e di vivere con Lui, fermandoti con Lui tutto il tempo che
vuoi, perché Lui, essendo venuto ad abitare tra noi, è sempre a nostra
disposizione. Ma ci vuole questa fame.
Inizialmente tu conosci Cristo non come Figlio
di Dio, ma come Colui che risponde alla tua fame. Non puoi ancora conoscerlo
come Figlio di Dio, anche se lo credi perché ti è stato annunciato e tu non
puoi smentirlo. Lo conoscerai come Figlio di Dio quando Egli ti condurrà a vedere suo Padre, e
ti condurrà se imparerai ad abitare con Lui, camminando con Lui sulle sue
parole. Allora dal Padre conoscerai chi Lui è. Ma adesso no! Inizialmente
Cristo Lo conosci come Colui che risponde al tuo bisogno di conoscere Dio.
Tutti gli altri ti parlano in un linguaggio diverso, ma se tu sei attratta dal Padre, quindi se già
appartieni al Padre, sai riconoscere tra tutti il Cristo, perché solo Lui sa
parlare quel linguaggio che risponde alla tua fame. Ma devi essere attratta dal
Padre, per cui già appartieni al Padre. Infatti Gesù dice: “erano tuoi e li
hai dati a Me”. Perché dice “tuoi”? Perché erano attratti. Infatti chi è attratto da una
cosa appartiene a quella cosa. Noi apparteniamo a ciò per cui viviamo e da cui
siamo attratti. Se infatti tu vivi per il denaro, appartieni al denaro; se tu vivi per una casa ,tu
appartieni alla casa; se tu vivi per un istituto, appartieni all’istituto; se
invece tu vivi per conoscere Dio, appartieni a Dio.
Questa appartenenza a Dio ti fa riconoscere
adesso il Cristo; quindi Lo riconosci per affinità, con il tuo desiderio;
siccome sei interessata, hai interesse per conoscere Dio, questo interesse ti
fa riconoscere Colui che ti parla di Dio perché quello diventa l’Atteso
della tua anima.
Infatti quando uno ha interesse per una cosa
attende qualcuno che lo aiuti a raggiungere quella cosa che gli sta a cuore, e
quando lo incontra dice: “Ah, era da tanto che ti aspettavo! Avevo bisogno di
te, perché volevo arrivare là, ma non sapevo come fare”. Ecco quello che ti fa
riconoscere: la fame; infatti quando tu hai fame, la fame ti fa riconoscere il
cibo. Ma è la fame, è questo interesse che te Lo fa riconoscere. Quindi la
prima individuazione in noi del Cristo è l’attrazione del Padre.
Infatti Gesù dice: “Nessuno può venire a Me
(quel “venire a Me…” vuol dire: nessuno mi può riconoscere, nessuno mi
può individuare…) se non è attratto dal Padre” . Quindi il principio di
individuazione del Cristo è l’attrazione che uno ha per il Padre; in caso
diverso, siccome Cristo si presenta come
Uno qualunque, tu dici che magari sarà un sapiente, sarà un filosofo,
sarà un grande, sarà una persona che fa del bene, una persona che vive tutta
per gli altri, ma non puoi riconoscerlo, perché non risponde al tuo desiderio.
E poi arrivi magari a dire: “È un indemoniato, è un pazzo, è un bestemmiatore”,
e Lo mandi a morte in Croce. Non Lo puoi riconoscere, perché chi te Lo fa
riconoscere è il Padre, ma in quanto sei attratto dal Padre. E una volta
riconosciuto , ciò che ti dà la possibilità di seguirlo, di ascoltare le sue
parole, e quindi di convivere con Lui, è ancora, e non va mai dimenticato,
l’attrazione del Padre, che nasce dalla giustizia essenziale: Dio messo al
centro.
Giovanna: Quindi, quando Lo incontro, non so ancora che è il
Figlio di Dio…
Luigi: …non sai chi sia;
quando Lo incontri tu senti soltanto uno che ti parla di Dio, e dici: “Io avevo
bisogno di queste parole”. Ma non sai e
non puoi saper chi Egli sia, non puoi conoscerlo, perché “Soltanto il
Padre conosce il Figlio” (Lc 10,22). È questa attrazione per il Padre, è
questo interesse per Dio che ti fa riconoscere Colui che ti sa parlare di Dio (perché è l’interesse per una cosa che ti
fa individuare la cosa), ma non sai mica chi sia, lo saprai dopo, se Lo segui.
Per questo bisogna credere, perché soltanto
credendo, cioè seguendo Lui, vivendo con Lui, ascoltando Lui, tu arriverai a
conoscere, e quando arriverai a conoscere dirai: “Ah, ho capito chi sei!”.
Infatti, ancora dopo tre anni, Gesù dice ai
suoi discepoli: “Da tanto tempo sono con voi e ancora non mi avete
conosciuto?” (Gv 14,9). Ancora non Lo conoscevano, nonostante il tempo
trascorso con Lui e nonostante avessero lasciato tutto per seguirlo! Eppure “ancora
non mi avete conosciuto!” ed è Parola di Dio!
Tutto questo per farci capire “come” si giunge
alla conoscenza: alla conoscenza si giunge arrivando al Principio, cioè al
Padre. Dal Principio poi, per partecipazione personale c’è la conoscenza. Ma fintanto che non sei arrivato al
Principio, c’è un distacco tra te e il Principio e quindi sei tagliato fuori. È
proprio questo distacco, questa lontananza dal Principio che ti impedisce di
conoscere che cos’è la cosa.
Cristo, che dice di Sé: “Io sono Colui che
parla a voi il Principio”, ci ricollega in continuazione con il Principio;
per cui, più noi ci fermiamo ad ascoltarlo (e questo dipende dal nostro
interesse perché da parte sua Lui è sempre disponibile, poiché abita tra noi),
e più Lui, siccome ci parla del Padre, ci fa tutto pensiero del Padre, e ci fa
quindi capaci di ricevere la rivelazione del Padre. Il Padre poi ci rivelerà il
Figlio e la sua Gloria.
L'incontro con il Verbo incarnato è preparato
da Dio attraverso una lunga, continua e paziente opera con ogni uomo quando
ancora questi cammina nelle tenebre e dispersioni del mondo. La luce di Dio infatti, con i suoi annunci e
i suoi richiami, penetra nelle anime umane e nella vita di ogni uomo; ma
occorrono anni e anni di prove, di delusioni, di contraddizioni, perché l'uomo
ne riconosca lo splendore. È necessario
infatti attendere che si spengano in noi una dopo l'altra tutte le luci
artificiali accese dalle parole umane, per rispondere all'urgenza dell'Assoluto
che preme nella vita dell'uomo: bisogno di ritrovare al di là di ogni cosa, di
ogni senso, di ogni dubbio e di ogni dolore, una sicurezza.
È per l'esigenza dell'Assoluto, del Divino,
ineliminabile nell'uomo, è per il nostro destino fatto per l'Eterno che noi
tendiamo tutti a qualcosa che non tramonti, fosse anche solo ad un posto, ad
uno stipendio, ad una posizione, ad una carriera stabile che ci dia la
tranquillità per tutto l'avvenire. È per la presenza in noi di Dio che subiamo
questa passione dell'assoluto, passione che determina tutto di noi, le nostre scelte
e la nostra vita. Cercando una stabilità e una sicurezza, assolutizzando certi
valori ed interessi, noi a fondo a fondo cerchiamo Dio, anche se non ne siamo
consapevoli; soltanto che sbagliamo luogo: Lo cerchiamo fuori di noi, nel mondo
esterno e nelle creature, anziché cercarlo in noi, nel Pensiero di Dio che è
dentro di noi.
Uno dei peccati del nostro tempo è la ricerca
della sicurezza in cose che passano, è voler fare un patto di amicizia con le
creature senza aver fatto prima un patto di amicizia con il Creatore.
Il patto di amicizia fra gli uomini e degli
uomini con tutta la creazione ne sottintende uno che fa da fondamento ad esso:
quello dell'amicizia degli uomini con Dio.
Ne deriva che l'uomo è colpevole non in senso politico e sociale, ma in senso
metafisico, in rapporto con Dio.
Ogni uomo è fatto per questo rapporto di
amicizia con l'Assoluto, con l'Eterno, con Dio, e porta in sé la nostalgia di
tutto questo, una nostalgia che non può soffocare. Qui soltanto, nella Verità di Dio, nella conoscenza
del Padre, è la sua abitazione, e fintanto che non la trova si sente sempre
fuori Casa, lontano, straniero ovunque vada.
Essere lontano da casa è trovarsi in luoghi di ansia, di incertezza.
È qui che il Verbo di Dio si incarna e viene
ad abitare tra noi per invitarci a camminare con Lui. Dove? Verso la nostra Casa, verso la conoscenza del
Padre, il Dio Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili. Egli, essendo Pensiero del Padre, in tutto
ciò che dice e fa ci parla del Padre e solo del Padre, e fintanto che le sue
Parole non ci fanno pensare al Padre, è segno che non le abbiamo capite e che
quindi non stiamo camminando con Lui.
Parlandoci del Padre, il Verbo che è tra noi riporta vicina a noi quella
nostra Casa che abbiamo smarrito, e solo camminando con Lui vi giungiamo.
E come?
In che modo possiamo camminare con Lui?
Il Verbo di Dio, assumendo la natura umana
nella sua totalità, e quindi in tutto il suo mondo, ci impegna a non
considerare nulla separato da Dio, nulla in modo autonomo, poiché non esiste
nulla delle realtà terrestri che non sia riferibile a Dio, poiché Dio è
presente ed operante in esse. Ne deriva
che se vogliamo camminare e quindi restare con Cristo, il Pensiero di Dio tra
noi, dobbiamo vedere le cose come le vede Lui, cioè riferite a Dio, dobbiamo
cioè accogliere ogni cosa da Dio e riportarla, raccoglierla in Dio e questo lo
si può fare solo con il Pensiero di Dio, con il Verbo di Dio, con Cristo. È con
il Pensiero di Dio che si cammina verso il Cielo di Dio e non con il nostro
pensiero! È questo raccogliere pazientemente e costantemente in Dio ogni cosa
che ci fa camminare con Cristo verso la conoscenza del Padre! Infatti Egli dice: "Chi raccoglie con
Me, riceve mercede di vita eterna" (cf Gv 4,36), cioè dono di
conoscenza di Dio, poiché la vita eterna sta nel conoscere Dio.
Il Verbo di Dio incarnandosi ha annunciato la
presenza di Dio tra noi, l'ha rivelata, e quindi ha reso sacre tutte le cose,
per cui noi non possiamo secolarizzare niente senza una nostra colpa personale.
Egli non è sceso nel mondo per confermarci nel mondo e nella nostra visione
materiale del mondo, ma perché noi superassimo il mondo e ritrovassimo la via
della nostra Casa.
Per cui incontrare il Verbo di Dio fatto carne
è trovare la via di Casa, è avere il Regno di Dio vicino, accessibile, è
trovare una guida sicura per il nostro cammino verso la meta sognata,
desiderata e amata. (VI – 28.02.96)
Il cammino con "il Verbo che è tra
noi" verso la conoscenza del Padre è un cammino duro e difficile,
soprattutto all'inizio, poiché la via per la quale Egli ci conduce è una “via
stretta ed angusta”, perché richiede il superamento del pensiero del proprio
io, ed è un cammino lungo e paziente, poiché le convinzioni maturano molto
lentamente nel cuore e nella mente dell'uomo, e prima che le parole di Cristo
diventino per noi personalmente vita e strada per i nostri passi, poiché tali
sono, si richiede tanto silenzio interiore, tanta meditazione e riflessione su
di esse, per scoprirne la carica esplosiva di luce, di vita e di libertà.
È infatti attraverso le sue Parole che Lui ci
libera dalle schiavitù e dalle strumentalizzazioni di un mondo vano e senza
senso, senz'anima, senza pensiero. È solo Lui che libera veramente l'uomo: "Sarete
veramente liberi solo se il Figlio vi avrà liberati", Egli ci dice (Gv
8,36).
Cristo ci libera facendoci conoscere la
Verità, cioè il Padre, secondo la sua promessa: "Sarete veri miei
discepoli se resterete nelle mie Parole, e allora conoscerete la Verità e la
Verità vi farà liberi" (Gv 8,31-32).
Dicendoci questo, Gesù ci fa dunque capire che
è restando nelle sue Parole che giungeremo a conoscere la Verità, ma si resta
nelle sue Parole solo se camminiamo su di esse, e camminiamo su di esse nella
misura in cui le approfondiamo e le capiamo dal punto di vista del Padre, di
Colui che Lo fa parlare. Infatti Egli
dice: "Le parole che Io vi dico, non le dico da Me; ma il Padre che
dimora in Me, compie le opere, Lui stesso... La parola che udite non è mia, ma
del Padre che mi ha mandato" (Gv. 14,10.24). È attraverso la sua
Parola che Dio rivela a noi quello che Lui è, la sua Verità, quella Verità che
sola può liberarci.
Il Verbo di Dio venendo a vivere tra noi e a
parlare con noi la sua Verità assoluta, ha così eliminato tutte le distanze tra
gli uomini e Dio: appunto quelle distanze che ci lasciano in balìa delle nostre
schiavitù, delle nostre paure, delle nostre tenebre, del nostro disorientamento
in un mondo senza sicurezze, perché non può darle. Egli ci invita a camminare
con Lui, perché vuole portarci verso la liberazione dalle schiavitù, dalle
paure, dalle tenebre. "Chi cammina con Me, non cammina nelle
tenebre", Egli dice (Gv 12,46).
Il Verbo di Dio tra noi pone il mistero di Dio
di fronte a noi e ci interpella dandoci la capacità di rispondere. Con Lui
tutti coloro che lo vogliono possono, ascoltando e ritenendo le sue lezioni,
accedere alla Verità spirituale e possedere la loro anima, sottraendola alla
strumentalizzazione degli altri, e quindi trovare la loro libertà, perché Dio
ama veramente l'uomo ed opera in tutto, fino al dono totale di Sé, per
illuminarlo, liberarlo, salvarlo e renderlo capace di vita eterna.
L'uomo ha un bisogno imprescindibile di Cristo
e delle sue Parole, come dell'aria che respira, perché senza di Lui non può non
cadere nelle schiavitù del mondo e quindi nella notte, nell'esperienza
dell'assenza di Dio, dell'Assoluto, dell'Infinito, dell'Eterno. E la perdita dell'Assoluto, dell'Infinito,
dell'Eterno da parte dell'uomo è sempre una perdita di significato, anche
quando la nostra vita nel mondo è un successo, poiché non vi è successo nel
mondo che possa dare significato alla nostra vita di fronte alla nostra anima
ed alla nostra coscienza fatte per l'Assoluto, per l'Infinito, per
l'Eterno. E siccome perdere il
significato delle cose e della vita vuol dire perdere la propria identità,
accade così che volendo pensare a noi stessi e cercare il nostro successo e
l'approvazione degli altri, giungiamo alla perdita di noi stessi e quindi ad
un'esperienza di vuoto e di morte. Gli uomini possono infatti, vivendo per il
mondo, eludere la vita, ma non la morte; possono non scegliere, non amare,
rifiutare l'impegno con Dio, ma non possono rifiutare l'impegno con la morte e
la mancanza di significato della loro vita. Possono staccare una foglia
dall'albero, ma non la possono riattaccare, e non potendo riattaccarla, restano
con una foglia morta in mano per causa loro; restano cioè con il loro peccato
tra le mani che non possono ignorare.
Gli uomini cioè possono rifiutare la vita, ma
non possono non assistere alla sua dissoluzione; possono trascurare Colui che è
Centro di tutto, ma non possono sfuggire al dubbio ed alla incertezza; possono
rifiutare lo Spirito, ma non possono sfuggire alla schiavitù della materia. Questo è più che sufficiente per dimostrare
loro la Verità di Dio.
È solo Cristo, il Verbo incarnato, nella
misura però in cui camminiamo con Lui, che ci porta nella libertà dei figli di
Dio e dà a noi la libertà dello Spirito di chi conosce e possiede la Verità.
Di uomini che vivono per cose che passano Egli
fa uomini che vivono per cose eterne.
Cristo è venuto per questo, per insegnare agli uomini, a tutti gli
uomini di ogni luogo e di ogni tempo, le cose di Dio e del suo Regno, per
invitarli a camminare con Lui verso il Padre, affinché più nessuno abbia a
trovarsi lontano da quella Verità per conoscere la quale ogni uomo ha avuto
l'esistenza in questo meraviglioso e sconvolgente universo. (VII – 06.03.1996)
Il Verbo di Dio è sceso nel mondo non perché
noi ci immergessimo nel mondo, ma perché per mezzo di Lui, camminando con Lui
verso dove Lui è (poiché, pur venendo tra noi, Egli è sempre nel Padre ed è al
Padre che Lui vuole condurci), superassimo il mondo.
Egli infatti scendendo nel mondo si è fatto
strada per i nostri passi verso il Cielo di Dio. È la funzione della Parola di
Dio. Infatti la Parola di Dio è strada
per l'uomo. Strada per che cosa? Una
strada vale in quanto conduce ad un certo luogo. Una strada che non conduce a
nessun luogo non ha senso, non è più una strada. La Parola di Dio è strada che
conduce alla Città di Dio, alla Casa del Padre.
Il Verbo di Dio venendo nel mondo si è fatto
strada per condurci a Dio, al Padre. La
meta dunque non è il mondo, ma Dio, che trascendendo tutte le cose e tutte le
creature ci impegna a trascendere ogni cosa del mondo, e quindi anche ogni
problema e ogni preoccupazione di esso, così come dice il Prefazio di Natale: "Per
mezzo del Verbo incarnato una nuova luce della tua gloria risplende davanti
agli occhi del nostro spirito, affinché conoscendo Dio visibilmente tramite il
Verbo siamo rapiti verso l’amore delle cose invisibili". È questo lo
scopo del Verbo di Dio tra noi: “affinché
siamo rapiti verso l'amore delle cose invisibili".
Von Balthasar commenta: "Due cose sono
qui da evidenziare. Anzitutto gli occhi del nostro spirito che Dio colpisce con
una nuova luce e che possono conoscere visibilmente un oggetto, che
propriamente è Dio, ma Dio trasmesso per mezzo della figura del Verbo
incarnato. In secondo luogo un
trasporto, un rapimento che deriva da questa visione e che ci immerge
nell'amore delle cose invisibili, divenute giustamente percepibili proprio in
tale manifestazione visibile". Se
dunque conoscendo Cristo, noi non passiamo. all'amore delle cose invisibili,
rendiamo inutile, vana, la missione del Verbo di Dio tra noi.
L'incontro con Cristo, per chi non ha indurito
il suo cuore verso Dio, è inaugurazione
di una vita nuova che il mondo non sa e non esperimenta, perché non la può
vedere e non la può capire. È la realizzazione della nuova alleanza annunciata
da Dio per mezzo dei Profeti: "Porrò le mie leggi nelle loro menti e le
imprimerò nei loro cuori: Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (Ger
31,33).
Solo questa vita nuova con Dio rende la terra
abitabile e sopportabile dall'uomo. Ma
la parte essenziale e decisiva di tale vita, di questo itinerario dell'anima
verso Dio, trascende i limiti dell'orizzonte esterno e si svolge tutta nel
segreto dell'anima in dialogo non più con le parole degli uomini, ma con le Parole
di Dio.
Per questo, per avanzare in questo cammino
interiore verso la nostra meta, è necessario imparare ad abituarci a
confrontare i nostri pensieri e i nostri argomenti e preoccupazioni non con le
parole e i giudizi degli uomini, ma con le Parole di Dio e con la sua Volontà,
questo Verbo interiore che emana la sua Luce nel santuario invisibile della
nostra coscienza quando ci rivolgiamo al nostro Padre celeste.
È questa l'interiorità in cui Dio abita e in
cui non bisogna temere di entrare e di raccoglierci, chiudendo la porta ad ogni
altra voce, se vogliamo udire la Parola che convince le menti e vedere la luce
che illumina e trasfigura tutta la nostra vita e il nostro mondo.
Non è saggio dare tanto di noi alle cose
esteriori e poco alle cose interiori, parlare tanto delle cose di fuori e
niente delle cose di dentro; non è saggio occuparci molto degli uomini e poco
di Dio. Il mondo interiore è più vasto,
più vero, più valido del mondo esterno.
Bisogna quindi, se vogliamo camminare con il
Verbo di Dio e giungere alla nostra meta, la conoscenza del Padre, raccoglierci
lungamente sulle sue Parole, nel silenzio, con un lavoro personale e continuo
di assimilazione in Dio delle cose ascoltate per poterle vedere nella Sua
Luce. In Dio si cammina restando fermi.
È nella contemplazione che la nostra anima giunge alle idee ben chiare sulla
Verità e attinge la sapienza della Vita.
Solo ciò che si fa contemplazione diventa vita e liberazione dell'uomo.
La contemplazione di Dio è più necessaria a questo povero mondo di tante opere
esterne. (VIII – 13.03.1996)
Il Verbo di Dio, venendo tra noi, si è fatto
strada per i nostri passi verso la conoscenza del Padre. Le sue parole infatti
elevano il nostro pensiero al Padre e, se le approfondiamo e restiamo in esse,
ce Lo fanno progressivamente conoscere, perché ci segnano le tappe essenziali
che dobbiamo percorrere in questo cammino verso la nostra meta.
In un primo tempo le sue parole, attraverso
discorsi, parabole, fatti e miracoli, tendono a formare in noi quelle
condizioni che sono necessarie perché si realizzi in noi tale conoscenza,
parole che, se ascoltate e osservate, ci impegnano a trascendere le cose, i
problemi e le preoccupazioni del mondo e le rivendicazioni del nostro io, per
cercare unicamente il pensiero, l'intenzione di Dio, Autore di tutto ("Non
giudicate... Perdonate e vi sarà perdonato... Amate i vostri nemici... Fate del
bene a coloro che vi odiano... Beati i poveri in spirito... Non accumulate
tesori in terra, ma in Cielo... Non richiedere il tuo a chi te lo toglie... La
vita non viene da ciò che si possiede... Date a Dio quello che è di Dio...
Cercate prima di tutto il Regno di Dio.... ecc., ecc."), parole cioè
che tendono sia a sgombrare il terreno della nostra anima da tutto ciò che la
può ostacolare, impedendole di aprirsi e donarsi a Dio, sia ad orientarci
decisamente a Dio ed a crescere nel desiderio di conoscerlo e di amarlo: ci
insegnano a metterlo al primo posto nei nostri pensieri e nel nostro cuore e ad
amare gli altri come li ama Lui; ci sollecitano a pregare sempre, cercando in
ogni cosa il significato, il Pensiero di Dio, a metterci in intimo rapporto con
il nostro Padre celeste che tutto fa, che tutto vede e che ci ascolta nel
segreto della nostra anima; ci parlano del Padre come di Colui che ci pensa
sempre, che ci ama e che provvede a tutto, per cui ci invitano a non temere e a
far conto su di Lui in tutto.
Man mano che Lo seguiamo, le parole del Verbo
incarnato si fanno sempre più difficili e impegnative, così come il sentiero di
un monte si fa sempre più difficile e ripido man mano che ci si avvicina alla
vetta, perché trascendono totalmente il campo del nostro io e del nostro
mondo. Sono parole che ci fanno entrare
nel rapporto intimo ed eterno che c'è tra il Figlio e il Padre ("Io e
il Padre siamo Uno... Non credete che Io sono nel Padre e il Padre è in Me?...
Il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto quello che fa... Il Figlio non fa
nulla se non lo vede fare dal Padre.... ecc., ecc.") e ci rivelano il
rapporto che Dio vuole stabilire con noi ("Chi mi ama, il Padre mio lo
amerà, e noi verremo in lui e porremo in lui la nostra dimora... Padre, Io
voglio che dove sono lo siano anche quelli che Tu mi hai dato... Padre, che
siano una cosa sola: Io in essi e Tu in Me.... ecc., ecc."). A chi non
ha interesse per conoscere Dio, ma Lo prega solo per strumentalizzarlo ai
propri bisogni, queste parole non dicono nulla, suonano astratte; ma chi invece
ha ben a cuore la conoscenza di Dio, perché è convinto che la vera vita sta in
tale conoscenza, comprende che sono parole di una condiscendenza infinita,
perché insegnano a noi come si diventa figli di Dio e cosa vuol dire essere
figli di Dio.
Accogliere tutte, ma veramente tutte, le
parole del Cristo, è inaugurare una vita nuova, è entrare in un mondo nuovo,
dove l'unica Realtà da cui tutto dipende è Dio e tutte le cose sono “segni” di
questa Realtà, segni che vanno trascesi e quindi capiti nel loro significato,
perché fanno parte della conversazione che Dio tiene con ognuno di noi per
farci conoscere Se stesso.
Il parlare del Verbo di Dio, che viene nel
nostro mondo per parlarci del Suo mondo, è un parlare scomodo: è un parlare che
ribalta i nostri schemi, le nostre sicurezze, le nostre autorità, che
relativizza tutto ciò che noi tendiamo ad assolutizzare: interessi, amori,
politica, istituzioni, ecc., per orientarci a ciò che è assoluto, infinito,
eterno. È per questo che le sue parole a volte si fanno fuoco, invettiva,
sdegno e rimprovero duro e sferzante, ma anche queste sono sempre parole di
amore e di salvezza: chi ha messo Dio al centro della propria vita lo capisce e
le legge come parole di grande misericordia, di liberazione e di sprone a
superare il proprio io e a camminare quindi più speditamente verso la conoscenza
di Dio; chi invece ha ancora il pensiero del proprio io al centro della sua
vita e dei suoi pensieri, non le sopporta, perché gli suonano irritanti,
offensive e provocatorie: qui si capisce perché Cristo sia stato condannato a
morte e come ancora oggi si mandi a morte il Cristo nella nostra vita. Ma anche questa condanna a morte del Cristo
da parte dell'uomo, e quindi l'esperienza dell'assenza di Dio, rientra ancora
nel disegno meraviglioso di Dio per la salvezza dell'uomo, sempre che l'uomo
capisca e rinsavisca.
Alla sua morte segue la sua Risurrezione, ma
Lo incontrano risorto soltanto coloro che avendo capito la sua morte, muoiono a
se stessi, superano cioè il pensiero del proprio io messo al centro, che è la
causa della Sua morte nella loro anima, e inaugurano una vita nuova nella
ricerca e conoscenza di Dio prima di tutto.
La Morte e la Risurrezione di Cristo, seguite dalla sua Ascensione al
Cielo del Padre suo, sono ancora parole stupende del Verbo incarnato, parole
anch'esse da capire, tappe essenziali da percorrere nel nostro cammino verso la
conoscenza di Dio e la constatazione della sua Presenza in noi, cioè verso la
nostra Pentecoste: inserimento nostro nella Trinità Divina, giorno di Luce
piena, in cui lo Spirito Santo, secondo la promessa di Gesù, ci porterà a
vedere la Verità intera.
(IX – 20.06.1996 – Fine) (Articoli scritti e
pubblicati su “La Fedeltà” da Luigi
Bracco)
La vita dell'uomo non è un cammino verso la
morte e il nulla, ma è una maturazione spirituale verso la Verità e la Presenza
di Dio, una maturazione per la vita con Dio.
Infatti il destino dell'uomo è Dio, per cui tutto ciò che l'uomo ha
avuto, l'ha avuto per cercare e conoscere Dio, poiché è solo attraverso la
conoscenza che si partecipa della Vita divina.
L'uomo è fatto in coppia con Dio: è il Tu Divino presente il lui che lo
costituisce persona e determina il suo destino, la sua vocazione.
Il problema di Dio si impone all'uomo fin da
principio, poiché egli non può ignorare, né annullare la presenza di Dio che
porta con sé, per cui o impara già fin d'ora a convivere con Essa, pur non
vedendola, o cade in conflitti e problemi a non finire, causati appunto da
questa Presenza Divina trascurata o addirittura calpestata.
Dio è "già" presente, ma "non
ancora" manifesto: da qui tutta la difficoltà per l'uomo che considera
come reale solo ciò che vede e tocca. Però l'ora di Dio viene nella vita di
ognuno, l'ora cioè in cui Egli manifesterà apertamente a noi la sua Presenza in
tutta la sua gloria. Infatti Dio opera in tutto per rivelarci il suo Pensiero,
il Volto della sua Presenza: dobbiamo aspettarcelo questo giorno, e allora
scopriremo Colui che è sempre stato con noi fin da principio. Non è detto però
che in quel giorno potremo restare con Lui, perché la capacità di restare è
data dalla capacità di portare la sua Verità.
Nel Regno di Dio conta l'anticipo, come il
Divino Maestro ci insegna nella parabola delle dieci vergini; per cui nella
misura in cui avremo anticipato in noi l'incontro con Dio e la conoscenza di
Lui durante il tempo di attesa, questo ci renderà capaci di restare con Lui nel
giorno della Sua venuta chiara e manifesta. L'amore vero anticipa i tempi:
conosce prima, giunge prima, e rende capaci di sostenere l'incontro con la
Persona amata e di convivere con Essa. L'amore vero è intelligente e sa
prevedere le condizioni necessarie per un felice incontro e una felice
convivenza.
Bisogna dunque affrettarci a conoscere il
Signore, poiché il tempo passa velocemente e va verso una conclusione, per cui
c'è una scadenza. La venuta del Signore
è certa! È urgente quindi imparare a convivere con Lui già fin d'ora, affinché
si formi in noi la capacità di convivere con la Presenza della sua Verità
quando Essa si imporrà, evitando in tal modo che la sua venuta ci trovi
impreparati. Infatti non si può convivere per sempre con Uno che non si
conosce.
L'essenziale della nostra vita non sta allora
nello scegliere una regola piuttosto che un'altra, nell'andare in un luogo
piuttosto che in un altro, nel fare questo piuttosto che quello, ma sta nello
scegliere Uno con cui vogliamo vivere, cioè nell'imparare a convivere con Colui
che è sempre con noi, presente ed operante in tutto, perché è con Lui che
dovremo convivere per tutta l'eternità!
Dio ci ha ordinato di cercarlo, di conoscerlo,
di amarlo e di vivere con Lui ("Amerai il Signore Dio tuo con tutto il
tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze..." (Dt
6,5) "Cerca prima di tutto il Regno di Dio..." (Mt 6,33) ),
non perché Egli abbia bisogno del nostro amore, della nostra presenza, ma
perché siamo noi che abbiamo bisogno della comunione con Lui, perché non
possiamo esistere, né vivere, né amare, né dare un senso alla vita, né vedere
la Verità, senza di Lui.
Ma come è possibile imparare a convivere con
Dio?
Cercando di conoscere la Sua intenzione e
conformando i nostri pensieri, parole e scelte ad essa. La conoscenza
dell'intenzione di una persona è infatti la condizione essenziale per convivere
con essa, poiché ci rende intelligibili le sue parole ed opere e ci dà quindi
la possibilità di sintonizzarci con essa, evitando il rischio di proiettare su
di lei le nostre intenzioni, realizzando in tal modo l'accordo, l'armonia, la
pace, con una conseguente carica di vita, di luce e di gioia.
Ma è possibile conoscere l'intenzione di Dio?
L'intenzione di una persona ci può essere
rivelata solo dalla persona stessa. L'intenzione di Dio viene da Dio, da ciò
che Egli è, per cui solo se ci raccogliamo nel Suo Pensiero, ecco che in questo
rapporto personale ed intimo Egli ci fa capire la sua intenzione: Egli vuole
essere conosciuto, perché è solo attraverso la conoscenza che ci può comunicare
il suo Essere, la sua Vita; ne deriva che tutto ciò che dice e fa, lo dice e lo
fa per far conoscere Se stesso: non può avere come fine altro da Sé, poiché Lui
solo è! Il capire questo è la ricompensa che Gesù promette a chi si raccoglie
in preghiera ("... il Padre tuo che vede nel segreto, ti
ricompenserà" (Mt 6,6).
La conoscenza dell'intenzione di Dio, non per
sentito dire, ma per intima e personale convinzione, è un'esplosione di luce
che trasforma la nostra vita e la nostra visione del mondo, poiché in essa
troviamo la chiave di lettura per capire il vero senso della nostra vita e di
tutto ciò che esiste ed accade. È un punto-luce, un punto di riferimento che
unifica la nostra vita e ci fa scoprire non solo che Dio già regna, ma anche
"come" regna. E soprattutto è
il segreto per imparare a convivere in sintonia con Lui, in un crescendo di
luce, di amore e di pace. (I – 24.07.1996)
La vita su questa terra è una meravigliosa
opportunità che ci è offerta, ed è l'unica, per cercare e conoscere Colui che
ha fatto questo grandioso universo così ricco di meraviglie e che ha fatto noi
e ci sta facendo. È stoltezza vivere per altro, poiché il tempo rapidamente sta
andando verso una conclusione.
Nel compimento dei tempi noi troveremo la
Presenza di Dio davanti a noi, nei nostri stessi pensieri; ma ognuno la potrà
sopportare e portare nella misura in cui si sarà personalmente preparato ad
Essa, in cui l'avrà anticipata nella sua intelligenza. Ogni cosa richiede una
preparazione adeguata a ciò che essa è: ciò che è Infinito richiede una veglia
infinita.
Vegliare è raccogliere ogni cosa in Dio. È
questa veglia che ci renderà capaci di stare alla Presenza di Dio e di
convivere con Essa per sempre quando la sua Verità si imporrà su di noi; in
caso diverso come si potrà convivere con Uno che non si conoscerà e non si
potrà conoscere?
Da ciò ben si capisce come il problema
essenziale della nostra vita sia quello di imparare già fin d'ora a convivere
con Dio, raccogliendo tutto in Lui. Ogni cosa ha senso e significato solo per
questo e dobbiamo vederla in questo fine se non vogliamo vivere inutilmente. La nostra vita quindi vale solo in quanto ci
occupiamo dell'eterno e ci sforziamo di cercare Dio e di capire i segni che
Egli ci dà in tutto per farci conoscere qualcosa di Sé. Di conseguenza, se c'è questa veglia, si
impara ad amare veramente anche tutte le creature e a stabilire delle relazioni
costruttive ed arricchenti con esse, poiché è soltanto guardando le cose dal
punto di vista di Dio che si vede bene, in modo giusto.
Ma chi ci insegnerà a vegliare, a raccogliere
in Dio, a superare cioè l'aspetto transitorio delle cose per cogliere quello
eterno?
"Non date a nessuno il nome di Maestro,
poiché Uno solo è il vostro Maestro, il Cristo", ci dice Gesù (Mt 23-9-10), Lui che ci insegna a vegliare, a raccogliere
ogni cosa in Dio, aiutandoci a ricuperare in continuazione il Principio di
tutto. Nel suo Vangelo ci fa capire come tutto è parabola, tutto è segno di Dio
e, se Lo ascoltiamo, ci porta alla grande scoperta che ha folgorato la donna
samaritana al pozzo di Sichar e che ha trasformato la sua vita: "Sono
Io che ti parlo" (Gv 4,26): in tutte le cose è Dio che parla con te!
Allora se tutte le cose e tutti i fatti sono parole di Dio, tali parole vanno
raccolte con Lui e in Lui per essere capite dal suo punto di vista. Ma questo ci è possibile solo con
Cristo. Infatti Egli dice: "Chi
raccoglie con Me (quanto è importante questo "Me"!) riceve
mercede di vita eterna" (cf Gv 4,36).
Mercede di vita eterna è una ricompensa di luce, di crescente conoscenza
di Dio. Ma Gesù aggiunge anche: "Chi con Me non raccoglie,
disperde" (Lc 11,23) e disperdendo resta disperso nella notte: non
capisce, non sa leggere quanto Dio ogni giorno gli presenta o gli fa accadere,
e soprattutto disperde, spreca l'opportunità che Dio gli offre per imparare a
convivere con Lui.
Con queste parole Gesù ci fa capire che il
verbo principale della nostra vita è “raccogliere”, ed è questo il vero
lavoro che ogni uomo deve fare: raccogliere col Pensiero di Dio e nel Pensiero
di Dio, per vedere tutto dal punto di vista di Dio (e questo ci è possibile
perché portiamo in noi il Pensiero di Dio).
In questo sta la preparazione, cioè la veglia.
Raccogliere vuol dire innanzitutto riconoscere
che tutto (tutto, nulla escluso!) è opera di Dio Creatore; vuol dire rispettare
la sua Presenza in tutto e quindi accettare tutto come voluto da Lui, come
parola Sua personale per ognuno di noi.
Ma per raccogliere in Dio non basta accettare
tutto da Lui, perché non bisogna rassegnarsi alla notte; ma è necessario
soprattutto "riportare" ogni cosa a Dio, per vederla in Dio e da Dio,
alla luce della Sua intenzione, senza proiettarvi la nostra, imparando così a
lasciarci guidare dal suo Spirito in tutto, nel nostro pensare, parlare e
agire. Infatti il tener presente l'intenzione di una persona è la prima
condizione per poter convivere in armonia con essa.
Dio opera ogni cosa con un'unica intenzione:
farsi conoscere, perché conoscerlo è per noi vita vera, eterna. Quindi ogni cosa accoglila con fiducia dalle
Sue mani sapendo che tutto avviene per aiutarti a preparare in te un terreno
buono che possa accogliere e portare a maturazione il seme della sua Parola e
quindi per renderti capace di conoscere qualcosa di più di Lui. Non rassegnarti dunque mai alle tenebre, ma
cerca sempre con tutte le tue forze presso Dio la luce su quanto ti accade e su
quanto Egli ti presenta ogni giorno.
Beati coloro che hanno fame di conoscere Dio,
che hanno fisso nell'anima il Pensiero di Lui e tutti i loro pensieri sono
rivolti ad approfondire le parole di Dio, perché hanno in Dio il loro Maestro,
il loro Amico, il loro compagno di vita! Questi hanno in Dio la loro forza, il
loro amore, la loro luce e preferiscono piangere sui gradini della casa di Dio
piuttosto che accettare di abitare altrove. Queste sono creature che sanno
amare e maturano in sé la capacità di convivere con Dio per sempre.
(II – 31.07.1996 - Fine) (Articoli scritti da Luigi Bracco e
pubblicati su “La Fedeltà”)