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E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre Gv 1 Vs 14 Ottavo tema.


Titolo: Natale: e abità tra noi.


Argomenti: L’annuncio del Natale – La Parola di Dio data agli uomini – La presenza di Dio tra noi è salvezza - L’incarnazione e l’abitazione del Verbo tra noi  - I sei giorni della creazione – La fedeltà in un pensiero – Gli argomenti di Cristo -

SENTIERI DI BETLEMME.


25/Dicembre/1975


Tutto quello che accade è per comunicarci una parola di Dio, un suo Pensiero. Anche, e soprattutto, il Natale, che è per noi rivelazione, manifestazione.  Ma di che cosa? Che cosa c'è da vedere? La luce delle candeline e delle lampadine ci può illudere, ma per poco, e farci credere di aver visto tutto. Non bastano le candeline e le lampadine per farci vedere ciò che c'è da vedere a Natale.

Tutto esiste per comunicarci una Parola di Dio. Guardare le cose senza vedere la Parola di Dio è come guardare il Natale senza vedere la Parola di Dio, senza vedere ciò che Dio vuole dirci.

Natale è un annuncio, un messaggio, è una parola di Dio.  Che cosa dice? «Vi annuncio una grande gioia: oggi nella città di David vi è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore» dice l'Angelo ai pastori nella notte del Natale (Lc 2,10-11). La Parola di Dio è annuncio di una Presenza nel nostro mondo: un segno in contrasto con la nostra notte. La nostra notte è assenza; la luce è annuncio di presenza.

Se tale è l'annuncio, Natale è il segno decisivo degli avvenimenti di tutti i giorni, quindi anche dei nostri giorni. È luce, è rivelazione. Di che cosa? Qual è questa Luce venuta nel mondo nella grotta di Betlemme? «Questo vi serva di segno: troverete un Bambino avvolto in fasce giacente in una mangiatoia» (Lc 2,12).  È Dio che si presenta come un Bambino tra noi per dirci ch'Egli «è» tra noi e «come» Egli è tra noi.

Scopriamo la gioia di accorgerci ciò che il Natale ci dice: è la rivelazione della presenza di Dio nel nostro mondo, nella nostra storia, nella nostra vita, nella nostra notte. L'assenza è opera nostra; la presenza è opera di Dio.

Natale è un discorso divino: ci presenta Dio tra noi. Questa è la luce eterna venuta nel mondo nella grotta di Betlemme. È uno squarcio aperto sul mistero della Presenza di Dio nel mondo, nei fatti, in ogni uomo: presenza di Dio sulla nostra terra. Non si può assegnare a Dio il cielo e agli uomini la terra, poiché Dio è il Creatore di tutto. Dio è Dio in cielo e in terra, nulla esiste e nulla accade senza di Lui, non vi è nessuna finitezza che riposi in se stessa; non vi è nessuna vera autonomia nelle cause seconde; non vi è nulla di vero nell'autonomia delle cose.  Ogni cosa finita si riposa nell'infinito di Dio.

In tutto c'è lo Spirito di Dio che parla e dialoga con gli uomini. Anche e proprio il campo del finito non è il campo del nostro dominio. Dio interferisce con i nostri pensieri e le nostre parole: contraddice le nostre astrazioni con cui consideriamo autonomo ciò che è dipendente; innalza muri alle nostre pretese assolute e totalitarie; abbatte le nostre sicurezze e ci fa passare dalla salvezza nel denaro, nel benessere, nella cultura, nelle scienze, nella politica in cui crediamo, alla sua salvezza in Cristo.

Tutto è opera di Dio; tutto appartiene alla creazione di Dio.  Perché Dio opera? Nella sua opera Dio parla di Sé a noi. È Parola di Dio.

Una parola ci annuncia, ci rivela un pensiero. Nel suo parlare Dio conduce, noi finiti, a vedere il suo Pensiero infinito. La rivelazione del suo Pensiero è la conclusione di tutto il suo parlare, di tutta la sua opera.

Il suo Pensiero è la Parola unigenita di Dio. Natale allora non è «una parola» ma è «la Parola» di Dio data agli uomini.

La Parola di Dio è il suo Verbo. Nel suo parlare Dio ci conduce al suo Pensiero, al suo Verbo. La rivelazione della presenza del suo Verbo è la conclusione di tutto il suo parlare.

Tutta la creazione di Dio è fatta nel Pensiero di Dio, nel suo Verbo, per il suo Verbo.  Natale, rivelazione della Presenza di Dio tra noi, rappresenta, e quindi ci rivela, la conclusione di tutta l'opera di Dio per l'uomo, senza l'uomo.

Natale è un compimento. Ma Dio opera non solo per rivelarci la sua Presenza e donarci Se stesso; opera anche per formare in noi la capacità di portare la sua Presenza, di restare con Lui. In questo ci rivela in modo particolare il suo Amore.

Due allora sono le vie attraverso le quali Dio opera con noi: Egli forma in noi l'orecchio e poi fa giungere a noi la sua Parola; forma in noi la capacità di intenderlo e di accoglierlo e poi si presenta e parla. Da Dio viene la preparazione e da Dio viene la realizzazione.

Nel compimento della sua opera dobbiamo trovare la sua Presenza, ma anche la creatura capace di portarla; dobbiamo trovare la sua Parola, ma anche la creatura capace di intenderla.  E tutto questo è per noi, per insegnare a noi ad intendere ciò che Dio ci annuncia, poiché se la sua presenza ci è annunciata senza di noi (senza intervento di uomo), non può essere intelletta senza di noi. Allora a Natale, compimento di tutta l'opera di Dio, dobbiamo trovare il Pensiero di Dio tra noi, ma anche la condizione per portarlo e intenderlo.  Tale condizione è Maria, sua Madre.

In Lei abbiamo l'intelligenza del mistero di Natale, che è intelligenza della Presenza di Dio.  Maria è Colei che riceve la Parola di Dio e la dà al mondo. A Natale, pienezza dei tempi, troviamo Cristo, il Verbo che parla, e Maria, l'orecchio che ascolta: è rivelazione del mistero della nostra vita.

(22.12.1982)

 «Il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi».  Colui che era presente ha rivelato la sua Presenza. Il Verbo che parlava in tutte le cose con gli uomini già fin dal primo giorno, e per mezzo del quale tutte le cose furono fatte, si è reso presente, si è manifestato.

Agli uomini che non credevano ha detto: “Eccomi!”. È venuto tra noi. “Ha posto la sua tenda tra le nostre tende”, dicevano i nomadi ebrei pastori.

La storia della sua venuta si inserisce nella storia umana: tragedia di un mondo che si trascina come chi ancora vive e non sa più perché, né per che cosa; che è poi la storia di ogni uomo. Dio ha posto la sua salvezza in faccia a tutti i popoli, “Luce per tutte le genti” (Lc 2,32).

Ad uomini che si interrogano: che ci stiamo a fare? Dio risponde con questo suo Verbo incarnato in Maria, nato nella Grotta di Betlemme. Ha incarnato il nostro mistero; ci ha presentato come Dio è tra noi. Natale ci getta nella realtà della presenza di Dio tra noi.  Presenza reale. «Fa’ quel che vuoi, Io sarò sempre là», disse Dio ad un convertito di questi nostri anni.

Gli uomini discutono su Dio e costruiscono teorie complicate come labirinti in cui non sanno più trovare la via di uscita; avanzano dubbi e affogano la loro anima e la loro fede nel fiume di parole che essi stessi generano. Dio dice: “Eppure Io sono!”.  E noi dopo averlo negato con tutti i nostri ragionamenti ce Lo troviamo lì sempre presente.  L'annuncio di Natale non è l'annuncio di un giorno; è l'annuncio a noi di ogni giorno.  È la Realtà.

È il punto di partenza; la base su cui edificare.  È il luogo in cui vivere tutta la nostra vita. La ricostruzione dell'uomo è possibile solo se inserita in questo preciso quadro di Dio tra noi. La sua presenza non dipende da noi. Si vive con Dio anche se non Lo si sa, anche se Lo si nega, poiché non sono le nostre affermazioni e non sono le nostre negazioni che Lo fanno essere o non essere presente: non siamo noi che viviamo con Dio, ma è Dio che vive con noi.

Una presenza incancellabile. «Fa’ quel che vuoi, Io sarò sempre là». Dio è lì e tace: ecco il mistero del Natale.  Dio resta lì e tace: ecco il mistero della nostra vita. La natura dell'uomo è così piena di mistero perché è piena di Dio. Il mistero della libertà di Dio e della libertà dell'uomo è tutto racchiuso in questa Presenza ed in questo silenzio.

Basta questa sua Presenza per confutare tutti i nostri errori, tutte le nostre obiezioni, rimproverare tutti i nostri dubbi, farci prendere coscienza di tutti i nostri tradimenti.  Basta questo suo silenzio per rispettare la nostra libertà.

Ma che significa per noi sapere che Dio è presente? Che fa per noi questa Presenza?

Ci mantiene in raccoglimento. Ed è già una grande cosa per noi che dobbiamo sempre correre e non siamo più capaci di sostare nemmeno quando riposiamo.

Inoltre, alla sua Presenza, un sacco di cose non hanno più alcuna importanza. Ed è un'altra grande cosa.

Conseguenza di ciò: una grande libertà. Libertà dai calcoli, dai pregiudizi, dal conformismo, dalla figura, dalla moda.

Finalmente! Guardando l'uomo di oggi bendato mani e piedi in una camicia di forza, la Presenza di Dio dice: “Scioglietelo e lasciatelo andare!” Ecco il regalo che Dio  fa agli uomini annunciando la sua Presenza!

La Luce ch'Egli reca con la sola sua Presenza è tale che nessuna notte dell'uomo la può offuscare.

La pace ch'Egli dona a chi sosta ad adorarlo è tanta che nessuna pena del mondo la può soffocare.

Il suo amore è tanto che tutto il mare di odio del mondo non lo può affogare.

Annunciandoci la sua Presenza ha posto il principio della nostra vita, della nostra liberazione, della nostra salvezza.

A questo Verbo divino presente: «tu gli darai nome Gesù» (Lc 1,31), il che significa: dirai a Dio: «Tu sei la mia salvezza». Tu e non altri. Cioè non cercherai la tua salvezza in altro. La Presenza di Dio tra noi significa la  nostra salvezza.

La  sua  Presenza  è  l'essenziale per trasformare l'uomo e il mondo. Lo spirito umano si forma qui, davanti a questo Bambino nella Grotta di Betlemme, di fronte a questo mistero divino che si è manifestato e che resiste a tutte le parole, a tutti i dubbi, a tutte le ironie, a tutte le azioni degli uomini. Non parla, non discute.  Rimane.  Presenza pura. Siamo alle soglie dell'adorazione.

(27.12.1972)

(“Mistero di Natale” e “Abitò tra noi”: articoli pubblicati su “La Fedeltà” scritti da Luigi Bracco)

L’incarnazione e l’abitazione del Verbo tra noi  Incontro di giovedì 25.12.1975

Luigi: Ci soffermiamo ancora, oggi che è Natale, sulle prime due parti del v. 14: “Il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi”. Teniamo sempre presente che quello che è avvenuto è annuncio, quindi rivelazione di quello che deve avvenire personalmente nella vita di ognuno di noi: quindi anche il Natale.

Il Natale è un avvenimento, quindi una Parola personale, perché Dio parla sempre personalmente. In quanto è parola, ci invita a scoprire una Realtà che ancora non vediamo. Infatti tutto ciò che è avvenuto è annuncio di quello che è, della Realtà che ancora non vediamo, ma che siamo chiamati a vedere; è  annuncio di un fatto futuro per noi: la Realtà.

Dio attraverso la sua parola ci chiama sempre da una situazione, da una posizione, per farci passare ad un’altra posizione, di modo che di passaggio in passaggio, di luce in luce, ci porta alla realizzazione della sua Intenzione:  “affinché dove sono Io siano anch’essi e vedano” (Gv 17,24).

 Attualmente non vediamo; nella situazione in cui noi non vediamo, Dio fa arrivare la sua parola di annuncio. Oggi ci fa giungere questa: “Il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi”: è un annuncio per noi e ci viene annunciato perché il fatto che è avvenuto deve realizzarsi per noi.

Se noi aderiamo all’annuncio e cerchiamo quello che sta oltre il segno, allora giungeremo a vedere quello che ci è stato annunciato: cioè si realizzerà per noi l’evento annunciato e che per noi è ancora un futuro. Se invece noi non aderiamo, se non seguiamo l’annuncio, la parola,  saremo  giudicati dalla parola che è giunta a noi, perché la parola è un’offerta; qui l’evento futuro non si verificherà per noi, cioè noi non incontreremo il Verbo fatto carne, non realizzeremo il Natale, ma saremo giudicati dalla parola che ce l’ha annunciato.

Dunque l’annuncio che oggi, Natale, ci giunge è questo: Il Verbo che era fin da principio e di cui tutte le cose parlano si è fatto carne. È apparso tra noi come uno di noi, per dare a tutti la possibilità di incontrarlo. Dovevamo aspettarcelo, poiché il tempo della vita altro non è che rivelazione di Colui che parla con noi. Dio creando parla con noi, e in questa sua conversazione con noi tende a manifestare il suo Pensiero, tende a portare ogni uomo a vivere il proprio Natale, a vedere il Suo Verbo fatto carne. Anche noi Lo vedremo, se restiamo in ascolto di Dio, perché tutto converge su di Lui, poiché Egli è la conclusione dei tempi. Il Natale è questa conclusione.

La manifestazione del Verbo, Natale, è quindi la sintesi di tutti gli eventi e affiora dai sei giorni dell’opera creatrice di Dio (come d’altronde ogni fatto, ogni avvenimento e ogni persona), per cui l’incontro con il Bambino Gesù è la conclusione di tutti gli avvenimenti della nostra vita: è Lui il senso di essi, poiché tutto converge in Lui, si incentra in Lui.

Angelo B.: Hai detto che il Natale affiora dai sei giorni della creazione.

Luigi: Sì, come ogni fatto, ogni persona, ogni cosa e anche noi stessi, perché tutto è stato fatto senza di noi.

Quando noi ci affacciamo all’esistenza siamo preceduti dai sei giorni della creazione. Anche oggi, anche adesso, ogni nostro atto, ogni avvenimento, o anche il fatto di incontrarci qui, è sempre preceduto da questi sei giorni della creazione. Noi non ci rendiamo conto, ma ogni cosa è un affiorare, come una sorgente di acqua, dopo una lunga trafila sottoterra di sei giorni.

Questi sei giorni sono stati fatti, combinati, organizzati da un Altro, non da noi. Noi arriviamo soltanto al termine, per poi affacciarci alla finestra e godere dell’opera già fatta. C’è tutto un universo già fatto prima di noi che è stato necessario per fare noi, ciascuno di noi. Non solo, ma anche per ogni atto che succede nel mondo, per ogni cosa c’è tutta un’opera di sei giorni di creazione che la precede. Anche solo per muovere un dito sono necessarie le stelle che fanno parte dei sei giorni della creazione. Non cade un capello senza l’aiuto di altre forze (la forza di gravità, ecc.) che non dipendono da noi, ma da un Altro.

Quindi come ogni esistente, anche il Natale, conclusione dei tempi, affiora dai sei lunghi giorni dell’opera creatrice di Dio; e questa è opera fatta nel Verbo e per mezzo del Verbo, per ognuno di noi.

Nino: Noi non ce ne rendiamo conto, perché non riflettiamo.

Luigi: Non riflettiamo con Dio, tenendo presente Dio, perché se noi tenessimo sempre presente che è un Altro che sta parlando con noi e pensando a noi da sempre, dai sei lunghissimi giorni della creazione, rimarremmo umilmente in ascolto e nel rispetto di tutto, cercando di capire il Pensiero di Colui che ci parla; invece, non tenendo conto del Creatore, noi ci inorgogliamo e ci crediamo i creatori di ciò che un Altro ha fatto, senza capire (per mancanza di riflessione, di preghiera) che scoprire le leggi dell’universo non vuol dire crearle (noi, perché le scopriamo, ci illudiamo di averle create o inventate). Siamo bambini illusi che credono di fare chissà che cosa e sanno solo fare del rumore, vanificando così tutta l’opera creatrice di Dio, proprio perché non stiamo in ascolto di Dio Creatore.

Angelo B.: L’argomento dei sei giorni della creazione mi richiama il problema di Adamo. Alla conclusione dei sei giorni della creazione Dio presentò Eva ad Adamo; che significato ha per la nostra vita dello Spirito il fatto che non la creò direttamente, ma la trasse dal costato di Adamo?

Luigi: Trarla dal costato di Adamo vuol dire trarla dal suo sogno; il significato sta nel fatto che è necessario che si formi in noi il bisogno di una cosa per poterla individuare fuori; infatti Dio  prima di presentare Eva ad Adamo gliela fece sognare; formò in Lui il bisogno di lei; e questo è tutto segno per la nostra vita spirituale, per farci capire la condizione necessaria per accogliere il Cristo. Infatti noi, per poter individuare “fuori” il Cristo e poterlo accogliere, dobbiamo aver prima maturato “dentro” di noi il bisogno di Lui.

Ecco, ad un certo momento Dio ha fatto pensare, sognare la donna dall’uomo e l’ha tratta da quel sogno; infatti Adamo dice: “Questa è carne della mia carne, questo è ossa delle mie ossa” (Gen 2,23). E come è maturato questo sogno?

Dio, dopo aver creato Adamo, l’ha condotto a vedere tutti gli animali e Adamo non ha trovato un compagno adatto alle sue esigenze (si può essere compagni soltanto quando si è indirizzati verso la stessa meta); non avendo trovato nessuno è nata in lui l’esigenza di un aiuto simile a sé. È l’uomo che deve sentire il bisogno, perché soltanto sentendo il bisogno può scoprire ciò di cui ha bisogno quando Dio glielo presenta. La stessa cosa avviene con il Cristo.

Abbiamo detto molte volte che quello che dà a noi la possibilità di individuare una cosa è la fame, il desiderio. Ecco perché noi possiamo vivere cento Natali o passare davanti a tutti i presepi del mondo e non capire niente e non individuare “il Verbo” fatto carne. Perché? Perché se non è maturato in noi il bisogno di Dio, noi vediamo in Gesù solo l’umanità (la “carne”), non il Verbo. Quindi fintanto che in noi non si forma la fame del Cristo, il bisogno, noi non possiamo individuarlo. Vediamo soltanto il segno esterno, ne sentiamo parlare, ma non scopriamo il Verbo fatto carne.

Ma perché si formi in noi il bisogno del Cristo, è necessario prima che si gustino e finiscano tutti gli altri vini per poi poter individuare, all’ultimo, il vino buono. Così, prima Dio ha condotto Adamo a cercare la compagnia di tutte le altre creature, ma Adamo non l’ha trovata. “Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo”: gliel’ha fatta sognare ed è da questo sogno che l’ha tratta. Per cui, quando si è svegliato, ha riconosciuto nella donna la sua compagna: “Questo è…” , cioè ha ritrovato se stesso, ciò che portava dentro di sé come sogno.

Pinuccia B.: Questo è un segno per noi. Cioè il fatto che l’uomo deve sognare la donna prima di trovarla  è un segno per dire a noi che prima dobbiamo avere in noi il desiderio di Dio per poter individuare il Cristo?

Luigi: Certo, il desiderio, il bisogno di Dio è la condizione per incontrare il Cristo. Ecco perché “il Verbo di Dio fatto carne” è preceduto dai sei giorni della creazione; il “Verbo di Dio fatto carne” è preceduto cioè da tutta una trafila di passaggi che abbiamo considerato negli incontri precedenti.

Allora:

·prima deve avvenire la scoperta che il Verbo di Dio è vera Luce che illumina ogni uomo;

·riconoscendo che quello che veramente illumina ogni uomo è ciò che portiamo dentro di noi, il Verbo, il Pensiero di Dio, incominciamo a sognare quella che è la vita secondo Dio;

·però noi siamo portati via dalla realtà; infatti una cosa è il sogno e una cosa è la realtà in cui ci troviamo, il mondo in cui ci troviamo; vediamo infatti una grande distanza tra ciò che sogniamo e speriamo e la vita che siamo “obbligati” a condurre. Perché questo? Perché il lavoro, gli affari, il mondo, ecc. ci condizionano a tal punto da impedirci di dedicarci a Dio.

·Ecco allora che subiamo una frattura, portiamo dentro di noi un trauma ed è qui che inizia a formarsi la fame, il bisogno di un aiuto.

In un primo tempo crediamo di risolvere noi da soli il problema, cioè cerchiamo di realizzare noi il sogno, di vivere secondo questo ideale di vita; però ad un certo momento siamo messi con le spalle al muro e ci accorgiamo di non poter uscire dalla nostra situazione, dalle nostre schiavitù,  perché la realtà ci domina. La fame di oggi, il bisogno di vestire di oggi, la figura davanti agli altri di oggi, ci porta talmente via, che il sogno resta sempre più sogno.

È qui, in questa impotenza, che si forma il bisogno di Cristo, cioè il bisogno che Dio ci dia una mano. Poiché soltanto se noi troviamo una Realtà Divina in quel mondo che ci porta via possiamo essere salvati.

Infatti è lì la chiave di volta, perché quel mondo che ci porta via è anche quel mondo che ci può salvare. Noi possiamo essere salvati soltanto dal mondo che ci porta via. Quindi  dal momento che è la materia che ci porta via, noi possiamo essere salvati solo dalla materia, ma soltanto da una materia che sia divina, cioè che incarni il nostro sogno.  Ecco perché siamo salvati  soltanto trovando il Verbo di Dio fra noi, soltanto trovando il Verbo di Dio incarnato, cioè trovando il sogno realizzato: “Ah, ma era quello che io aspettavo!”. Cristo è il nostro sogno incarnato. È  lì che ci possiamo afferrare; e afferrandoci iniziamo il cammino di liberazione. Ma bisogna afferrarci a Lui in ogni cosa. La problematica di Cristo è quella di liberarci dal giogo di tutti gli altri doveri (familiari, sociali, politici, lavorativi…), per incentrarsi su di Sé. Quando poi ci ha incentrati su di Sé, quindi quando ci ha liberati da tutte le dispersioni del mondo, ci dice “ciao!”, e se ne va (per consegnarci al Padre) perché ormai apparteniamo a Lui.

Ecco l’importanza dell’incontro con Cristo e di seguirlo. Però se non si è formata in noi una dimensione di bisogno e di attesa, noi non individuiamo il Cristo, cioè non individuiamo “Il Verbo di Dio fatto carne”.  Per cui possiamo sentir parlare di Gesù, del Cristo Figlio di Dio, possiamo conoscere tutta la sua vita, possiamo festeggiare tutti i Natali, vedere tutti i presepi del mondo, ma noi non individuiamo la salvezza, il Salvatore, fintanto che in noi non si forma questo bisogno della “vita secondo Dio”, perché è il bisogno che ci fa individuare, è la fame. Abbiamo fatto l’esempio del macellaio: tu incontri il macellaio soltanto in quanto ti convinci che hai bisogno della cotoletta; in caso contrario puoi passare davanti al negozio tutti i giorni e neppure lo vedi. Così è lo stesso: individuiamo il Cristo in quanto in noi si forma il desiderio, il bisogno di Dio.

Ora, perché si formi in noi questo desiderio e questo bisogno di Dio è necessario mettere Dio al centro. Ecco allora tutta la problematica, tutta la trafila di avvenimenti dell’Antico Testamento! Perché nella storia dell’umanità,  e anche questo è scena per la vita di ognuno di noi, Cristo viene tanto tardi? Perché è preceduto da questa lunga attesa di millenni? Perché proprio attraverso tutti questi millenni l’umanità, quindi ogni uomo, prende coscienza del suo bisogno essenziale che è conoscere Dio e della sua impotenza a realizzare la vita secondo Dio,  perché si trova  immerso in un mondo in cui c’è già tutta una frattura.

Questa frattura è opera di Dio, ma è una conseguenza del fatto che noi siamo staccati da Lui; infatti è necessario, per farci rinsavire, che Dio rappresenti nella creazione il distacco interiore che si è creato tra noi e Lui. È come il maestro che con i suoi alunni deve fare il burbero, deve dare dei brutti voti, deve minacciare, al punto da essere considerato cattivo; ora, non è che sia cattivo, però deve fare il burbero, perché questo è  l’unico modo per richiamare all’attenzione gli alunni che sono indisciplinati e dispersi, affinché possano intendere.

Ora, Dio è severo, magari manda una guerra, ma questo avviene perché noi non ci rendiamo conto della lontananza nostra da Lui. Per noi infatti è impossibile fare il salto in Lui, perché viviamo in un mondo che pesa su di noi, e pesa molto di più di quello che pesa l’ideale;  il bisogno di oggi pesa molto di più che l’attrazione del Padre. Ed è questa frattura, questo conflitto che prepara in noi l’attesa del Cristo.

Pinuccia B.: E quindi ci prepara al Natale, a capire, a vivere il Natale.

Luigi: Certo, perché tutto ciò che è avvenuto è un annuncio di un fatto futuro per noi: il Natale     è avvenuto, ma in quanto è avvenuto, è annuncio di una Realtà che noi non vediamo ancora, ma che scopriremo se matura in noi quella dimensione spirituale che è necessaria per riconoscere il Verbo incarnato. Il Natale è un annuncio, però questo annuncio va accolto, altrimenti saremo giudicati da questo annuncio. 

Nino: C’è chi rifiuta l’annuncio del Natale senza rendersi conto.

Luigi: Dobbiamo sempre tener presente ciò che dice Gesù: Egli condanna Gerusalemme (e Gerusalemme rappresenta ogni uomo) perché non ha conosciuto l’ora in cui è stata visitata. Per cui ad un certo momento anche il rifiuto inconsapevole diventa colpevole: “Non hai conosciuto l’ora in cui sei stata visitata” (Lc 19,44). Quindi ad un certo momento l’ignorare  è colpa.

Eligio: Però, perché c’è la colpa se ancora non c’è la conoscenza?

Luigi: La conoscenza è già un atto molto avanti, se non ultimo, almeno penultimo. La nostra libertà (o responsabilità) è precedente la conoscenza: se conoscessimo la Verità non La lasceremmo più, non saremmo più liberi di lasciarla.

La libertà nostra è precedente perché è frutto di ignoranza e schiavitù; ci crediamo liberi perché siamo ignoranti. Infatti se noi conoscessimo la Verità, non potremmo non amarla. Se noi amiamo poco Dio è perché Lo conosciamo poco. Se ci sentiamo liberi di rifiutare Dio è perché non Lo conosciamo. Quindi la libertà nostra di accogliere o rifiutare la Verità è precedente la conoscenza.

“Mi hanno rifiutato senza conoscermi”(cf Gv 15,25): è lì la colpa: nel rifiuto di interessarci della Verità.

(?):     Ci si può trovare a volte in certe situazioni o di fronte a certi segni che non si capiscono, ma che vanno accettati, perché Dio li vuole, come ad esempio un lavoro assurdo.

Luigi: Il problema è impegnarci a conoscere Dio, per cui nessun lavoro, anche il più santo, può giustificare il nostro disimpegno dall’essenziale, dalla ricerca di Dio. Non c’è lavoro che di per sé ci distolga dall’interessarci della Verità. Bisogna però distinguere:

·Ciò che non dipende da te: devi accettarlo e in quanto lo accetti non ti disturba.

·Ciò che procede da te: è questo che ti disturba, cioè sono le risposte che tu dai,  le scelte concrete;  sono queste che ti disturbano e ti distolgono, se non partono dallo Spirito di Dio. 

(?) : Il lavoro, anche assurdo, che non dipende da noi, va comunque accettato come Volontà di Dio.

Luigi:  Una situazione (un fatto, un lavoro) in quanto è, è voluta da Dio, ma non potrai mai dire che Dio vuole quello da te, perché la sua Volontà è totalmente altra: vuole che tu Lo conosca. Certamente tu non potrai mai vedere Gesù fare certi lavori (non dimentichiamo che ad un certo momento ha staffilato i mercanti e venditori perché profanando il Tempio, che è la nostra anima, sostituivano il loro lavoro alla ricerca di Dio); quindi assolutamente non puoi far coincidere la Volontà di Dio con ciò che si fa. Non puoi vedere Gesù in quello, perché Lui non lo farebbe assolutamente; anzi magari vi metterebbe la dinamite sotto.

(?) :   Però c’è sempre una ragione perché una persona si trova in una determinata situazione o in un determinato lavoro.

Luigi: Sì, una ragione senz’altro c’è.

Angelo B.: E ci sarà anche una via di uscita.

Luigi: C’è anche la via di uscita, è logico, ma sicuramente c’è una ragione se Dio ci fa tribolare. Dio stesso ci mette in situazioni di difficoltà e schiavitù per evidenziare la frattura tra il nostro sogno e la realtà.  Se il Signore ci mette nei pasticci, è per dirci: “Tu che avevi quell’ideale, guarda cosa sei costretto a fare…!”; ma questo lo fa, non per umiliarci o schiacciarci, ma per farci capire il bisogno che abbiamo di Lui. Il problema esistenziale dell’infelicità, dell’insoddisfazione dell’uomo sta nella frattura tra il sogno e la realtà. Dio ci evidenzia questa frattura per prepararci a realizzare il nostro Natale.

Nino: La psicanalisi affronta il problema dell’insoddisfazione e dell’infelicità dell’uomo senza rapportarlo a Dio, per cui non spiega e non conclude nulla.

Luigi: Solo se si parte da Dio si capisce la radice del problema: la fonte di ogni infelicità sta in una frattura tra un sogno e la sua realizzazione, cioè la realtà di quel sogno. Quando noi possiamo realizzare un sogno siamo felici.

Ora, siccome noi non possiamo annullare il Pensiero di Dio che è in noi (presto o tardi Egli trova il modo di affacciarsi nella nostra coscienza, e quindi crea un sogno), fintanto che noi non realizziamo questa unità tra il sogno di Assoluto (che volenti o nolenti  portiamo in noi), cioè di questa vita secondo Dio, e la nostra vita pratica noi siamo infelici e sentiamo una grande insoddisfazione di fondo. È qui che nasce il bisogno di liberazione e quindi il bisogno del Cristo, ed è questo che ci conduce al Natale.

Nino: Certo, bisogna accettare l’umiliazione che ci viene da questa frattura, ma questo non vuol dire che si debba accettare di continuare a fare quello che si sta facendo e che è in contrasto con il nostro sogno. Dio non vuole quello per farci stare lì, ma per stimolarci a uscirne.

Luigi: Certo. Se una persona che è in conflitto vedesse il Cristo fare quello che lui fa, si sentirebbe a posto e continuerebbe così per tutta la vita. Ma certamente non può vedere il Cristo fare quello, soprattutto poi se si tratta di cose vane, ambiziose o comunque in contrasto con il Vangelo. Tante volte mi trovo delle persone che mi dicono: “Io penso che se Gesù fosse al mio posto farebbe così…e così…”. Ma è assurdo! Perché come fanno a vedere Gesù fare certe cose? Sarebbe anche una situazione di comodo, e per di più uno si rassegnerebbe pensando che è Cristo che l'ha messo lì, per cui dice: “In quanto sono qui è perché Dio mi ha voluto mettere qui; e faccio questo tutta la vita”. Ma è assurdo! Certo, uno tacita la propria coscienza, però ad un certo momento si accorge di non poter far calare il Cristo lì, per cui ad un certo momento non Lo accetta più, ed è logico che non  accetti, perché quando apre il Vangelo si trova in conflitto. Infatti il Cristo non può assolutamente approvare ad esempio la moda vana, ecc. ecc.

(?) :     Però non è anche detto  che uno debba recriminare o  rimpiangere una via diversa…

Luigi: Abbiamo sempre detto che la realtà in cui ci troviamo, anche se è colpa nostra, dovuta a scelte nostre (perché le scelte, motivate magari da una certa ambizione o vanità, possono aver giocato a creare una certa situazione, per cui uno ad un certo momento è venuto a trovarsi in una certa bagna…) comunque sia, la realtà di oggi come è, in quanto è,  è voluta da Dio; quindi la situazione in cui oggi ci troviamo è voluta da Dio. Ecco, è da qui che bisogna iniziare a ricostruire: non tacitare la coscienza, non rassegnarsi, ma invocare l’aiuto di Dio, cercare il pensiero di Dio, sospirare il Cristo.

Nino: Se si seguita a dialogare con Dio, ad un certo momento il nostro io cede e si apre a Lui: lì si vede una via di uscita. Ma bisogna accettare tutto quanto ci è arrivato.

Luigi: Certamente e va accettata la situazione in cui ci troviamo, perché dobbiamo essere convinti di questo: “La realtà in cui oggi io mi trovo, in quanto è realtà, è fatta da Dio”, perché niente è fatto senza di Lui. Tutto ciò che esiste, tutto ciò che accade, ciò che noi tocchiamo con mano, ciò che noi vediamo, è voluto da Dio. Ma questo non basta: bisogna riportare tutto a Dio, per capire da Lui la sua intenzione, la sua Volontà.

Non dimentichiamo che tutto quello che attualmente constatiamo come esistente affiora da quei “sei giorni” dell’opera creatrice di Dio; quindi ciò che noi vediamo e tocchiamo è opera fatta nel Verbo e per il Verbo di Dio che parla personalmente a noi. Naturalmente Dio, parlando personalmente a noi, tiene presente la nostra mentalità, il nostro grado di fede, il nostro grado di dedizione, magari le nostre ribellioni, tiene presente tutto di noi, perché Lui ha presente tutto di noi. Ed avendo presente tutto di noi, Lui crea in modo che noi ci troviamo in un certo ambiente, con certe persone attorno, con certe soddisfazioni o  insoddisfazioni, con certe ribellioni, ecc.; ma è tutta opera di Dio che sta dialogando con noi per cercare di portarci al Natale.

 Abbiamo detto infatti che il Natale, il Bambino Gesù nel presepio, è la sintesi di tutti gli eventi, la conclusione di tutti i tempi. Quindi quella nascita di Gesù nella grotta di Betlemme è ciò che dà senso ad ogni nostra situazione e ce ne fa intravedere la via di uscita. Tutti gli avvenimenti si incentrano lì.

(?) :   Quindi concretamente….

Luigi: Concretamente per lasciarci fare e condurre da Dio, noi dobbiamo assumere questi atteggiamenti:

·1° come atto iniziale, sempre aderire, accettare l’esistente, perché è opera di Dio;

·2° cercare di capire la lezione, cioè quello che Dio ci vuole significare (ad un certo momento il figliuol prodigo, dopo esser partito dalla casa del padre, ha capito la lezione).

·3° Ma ciò di cui bisogna stare molto molto attenti è ciò che parte da noi, affinché non parta di  iniziativa nostra.

Cioè nell’ambiente in cui noi ci troviamo, dobbiamo preoccuparci che tutto quello che parte da noi (parole, pensieri, azioni) sia secondo lo Spirito di Dio. Quindi mai agire di iniziativa nostra, mai essere autonomi, cioè  non agire mai secondo il mondo o ciò che piace al mondo, ecc. Ogni pensiero, ogni parola va detta solo dopo  aver interrogato lo Spirito di Dio. Chiederci: “Sto parlando per ambizione od  orgoglio o sto rispettando lo Spirito di Dio?”. Allora, se ci preoccupiamo di rispettare lo Spirito di Dio, anche solo nel parlare, evitiamo di dire tante parole vane, magari a costo di fare la figura degli orsi (puoi star tranquillo che in tal caso Dio ti libera molto in fretta...).

Invece se, trovandoci in un ambiente “guasto”, non agiamo secondo Dio e quindi facciamo partire delle parole, dei fatti da noi, dal nostro io autonomo, aggraviamo la situazione, perché Dio opera per correggerci e quindi non ci  conferma. Quindi più noi facciamo cose nel pensiero del nostro io, più naturalmente ci allontaniamo da Dio, perché diventiamo figli delle nostre opere che non sono secondo lo Spirito di Dio. “Chi fa il peccato resta schiavo di esso” (Gv 8,34); e più ci allontaniamo da Dio, più naturalmente l’ambiente diventa più pesante, malsanamente pesante. E noi non possiamo liberarci da un ambiente malsano, perché è Dio che lo crea. Una guerra, ad esempio, è Dio che ce la manda, tenendo presente la nostra lontananza da Lui.

(?) : Quindi siamo noi a creare questa malsanità.

Luigi: E già, perché se noi ci allontaniamo da Dio, con azioni non secondo Dio, naturalmente aggraviamo il peso di quello che ci allontana da Dio. Se invece noi, in questa situazione malsana, incominciamo a fare qualche cosa, anche poco, un piccolo passo, il Signore cambia l’ambiente; se ad esempio ci interroghiamo sul perché dobbiamo fare certe cose (“Perché debbo pensare a quello? No, un momento! Debbo pensare prima di tutto all’essenziale!”), allora cercando di mettere prima di tutto l’essenziale, cercando di pensare tutto quello che vuole Dio, mettendo prima ciò che ci serve per la Vita Eterna, in noi avviene un cambiamento. Dobbiamo sempre interrogarci su questo: “Sto pensando a quella cosa, ma questo mi serve per la vita eterna?” Solo seminando ciò che non passa, raccogliamo ciò che non passa.   Un esempio concreto: se è nostra abitudine tutte le mattine aprire il giornale o aprire la radio, iniziamo a domandarci: “ma questo mi serve per la Vita Eterna? No!” Allora chiudiamo e diciamo: “Un momento! Metto prima quello che vale per la Vita eterna, perché l’essenziale deve servire per la Vita Eterna”.

L’essenziale non deve essere quello che passa; se passa, in quanto passa, è transitorio, quindi non è essenziale. La nostra giornata Dio ce la dà affinché noi mettiamo qualche cosa che valga e che resti eternamente.

Allora il criterio dell’essenzialità come eternità già ci libera da tante cose, per cui ci fa dire: “Prima di tutto metto questo!”; e se dobbiamo dire una parola: “Un momento, questa parola, perché la dico? la dico per volontà di Dio, per amore di Dio? O la dico per mettermi in mostra o per altri motivi?”.  Se la diciamo per rispettare lo Spirito di Dio, per amore di Dio, questa ci spezza una catena, ci alleggerisce. Così facendo, di passo in passo, ad un certo momento ci accorgiamo di avere le ali. Basta un superamento fatto nel rispetto a Dio per spezzare una catena, ma ogni cosa o parola, fatta o detta nel pensiero dell’io, costruisce una catena.

Dobbiamo stare sempre molto vigilanti, perché Dio ci osserva nella fedeltà alle piccole cose, perché noi siamo giocati dalle piccole cose. Magari noi facciamo grandi progetti, grandi salti, però Dio non ci osserva là, ma Dio ci osserva nelle piccole cose. Ad esempio: hai cinque minuti di tempo: a che cosa li dedichi quei cinque minuti? È lì, quando possiamo disporre di noi stessi, che Lui ci osserva e ci conosce. Infatti quando siamo tribolati, è Lui che ci fa tribolare e quando dobbiamo correre con il fiato in gola, è Lui che ci fa correre (e se ci fa tribolare e correre ha i suoi validi motivi), poi però ad un certo momento nell’arco della giornata ci lascia quei cinque minuti liberi, ed è lì che possiamo pensare o  possiamo divertirci o  possiamo dire una sciocchezza, ecc. Dio ci osserva lì, cioè ci osserva quando possiamo disporre di noi, perché è lì che noi riveliamo ciò che amiamo veramente; cioè se amiamo Dio soltanto a parole (per cui se in un domani, all’atto pratico, ci trovassimo nella possibilità di vivere secondo Dio, chissà invece come vivremmo e come sciuperemmo il tempo!), oppure se veramente Lui ci sta a cuore. Perché se Dio ci sta veramente a cuore, quando abbiamo cinque minuti a disposizione, immediatamente scegliamo la sua volontà e quindi scegliamo di pensare a Lui, di occuparci di Lui. È come quando uno è innamorato di una donna: magari è occupato tutta la giornata, ma se ha cinque minuti di tempo, corre a trovarla.

Allora, se uno veramente ha amore per Dio, ha interesse per Dio, nel pasticcio in cui si trova (poiché Dio non ci toglie mai tutte le ventiquattro ore), avrà comunque quel tempo in cui potrà scegliere ciò che più gli sta a cuore.

Dio ci osserva nelle piccole cose; infatti Gesù dice: “Se non siete capaci a essere fedeli nel poco, a molta maggior ragione non sarete fedeli nel molto” (Lc 16,10). “Per cui  se non sei fedele nel poco, Egli ci dice, se Io ti dessi  grandi cose, tu saresti tanto infedele. Non sei capace ad essere fedele in un pensiero oppure nel dire una parola o nel non dirla…, Immaginati se domani avessi tante cose a disposizione per te!”. Bisogna quindi incominciare a essere fedeli in un pensiero, nel dire una parola o nel non dirla, per poi avere le grandi cose.

 Quindi, soltanto se uno è capace di essere fedele nelle piccole cose, sarà fedele anche nelle grandi; “…Ma se non siete capaci di essere fedele nel poco, chi si fiderà a darvi le grandi?” (Lc 16,11). Ecco perché ci troviamo in un ambiente di tanta schiavitù! Dio ci dà poche cose, poco tempo a disposizione, perché sa che se ce ne desse molto noi non saremmo capaci a gestirlo.

(?) :   E come si impara a gestirlo?

Luigi: Noi dobbiamo vigilare molto, cioè  osservarci molto non nel pasticcio in cui ci troviamo, ma dobbiamo osservarci molto in quello che parte da noi come pensieri, come parole; vigilare su come occupiamo quei cinque minuti di  tempo libero; perché in quanto ci occupiamo di una cosa è perché c’è un interesse che ci invita verso quella cosa. Come mai leggi il giornale? Come mai vai a trovare il tale? Come mai fai questo?

Abbiamo sempre un interesse, perché noi, in tutto quello che facciamo, siamo sempre motivati. Se tu sei motivato da Dio, puoi star tranquillo che in quei “cinque minuti”  ti occupi di Dio, perché è nei “cinque minuti” liberi che tu riveli il tuo amore all’essenziale. Per cui Dio certamente aumenterà il tuo tempo libero e soprattutto, formerà in te quella dimensione interiore di attesa e di pianto che è la condizione per giungere al tuo Natale personale.

(?)  : Altre volte hai detto che non c’è situazione di lontananza da Dio da cui noi non possiamo essere ripresi da Dio e riportati a Dio.

Luigi: Certo. Anche e soprattutto l’annuncio del Natale è per riprenderci e richiamarci a Sé.

Eligio: Come mai però c’è questa condanna su Gerusalemme a cui tu hai accennato prima?

Luigi: Tieni presente che Gesù ciò che dice lo dice come lezione per ognuno di noi; tutto ciò che dice non lo dice mai per condannare. Anche quando Gesù dice “Razza di vipere!” (Mt 12,34), non lo dice per punire, non lo dice per condannare, ma lo dice per salvare. Quando Egli maledice Gerusalemme (che rappresenta la nostra anima), non la maledice per condannarla, ma per salvarla.

Eligio: Quindi non è un giudizio di condanna  definitivo.

Luigi: Certamente no. Il pensiero centrale è questo: Dio vuole che tutti si salvino (1 Tm 2,4); allora tutto quello che Gesù dice va sempre visto in funzione di questa volontà. Quindi, se noi vediamo Dio che maledice, non dobbiamo dire “quello è maledetto”, ma dobbiamo prima sapere l’intenzione con la quale Dio ha maledetto.

Eligio: Però la maledizione di Dio è eterna.

Luigi: No! L’eternità di Dio è la salvezza dell’uomo: eternamente Egli vuole salvare l’uomo.  Questo suo disegno magari crea l’inferno, perché ad un certo momento l’anima può ribellarsi e urtarsi con la sua Volontà. È ancora l’Amore di Dio, anzi è l’urto con il suo Amore che crea l’inferno. L’inferno è costituito proprio dal fatto che Dio non si allontana mai, non ci abbandona mai.

Ogni Parola del Cristo, quindi anche la maledizione su Gerusalemme, dobbiamo sempre interpretarla nella sua volontà principale. La sua volontà principale è questa: “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità” . Per cui anche se ci dicesse: “Tu sei maledetto”, questa sua affermazione è per salvarci. Va inserita nella sua volontà principale.

Nino: Però è una minaccia; intendo dire che anche se non è un giudizio definitivo, può comunque diventarlo.

Luigi: Certo. Comunque se Gesù dice: “Gerusalemme, Gerusalemme…ecc.”, è per ammonirci a stare attenti, perché se noi diciamo: “Io sono scusato, perché non capisco, non conosco, non sono intelligente, non ho tempo, non sono capace…”, e ci crediamo giustificati, Egli, proprio per farci mettere a fuoco la nostra attenzione su-, ci dice: “Stai attento che stai rifiutando un invito, una parola che ti può salvare”. Ecco, la maledizione ha la funzione di richiamo. Quindi anche se non la capisci (ecco l’importante!), fai attenzione. Quindi se Gesù ti dice: “Stai attento alla fedeltà nelle piccole cose”: è Parola di Dio! Stai attento, anche se non la capisci, a non rifiutarla. Se hai veramente il timore di Dio, fai attenzione.

Ecco, chi ha il timore di Dio, cioè questa attenzione a Dio, è anche attento alle cose che non capisce. Se invece ci scusiamo dicendo di non capire e non prestiamo attenzione cadiamo nella maledizione. Gesù maledice Gerusalemme per farci capire questo, affinché non avvenga che noi ci scusiamo quando non capiamo, sentendoci autorizzati a disinteressarcene e divertirci. Infatti Lui maledice Gerusalemme dicendo: “Non hai capito! Dovevi capire!”

Pinuccia A.: Perché cercare di capire ciò che non si capisce è attenzione a Dio?

Luigi: Perché tutto è opera di Dio; se tu sei alla scuola di un professore famoso, che stimi molto, sentirai tante cose che non capisci, ma per il semplice fatto che hai ammirazione, stima, fai molta attenzione e cerchi di ricordare, custodire anche le cose che non capisci; forse le capirai domani, tra cinquant’anni, però siccome sono dette da una persona che stimi molto, non ti lasci scappare nulla.

Ora, tu pensa che tutto è opera di Dio, tutto è Parola di Dio, quindi tutto è dialogo di Dio con l’uomo; allora, se tu tieni presente che Dio ti sta parlando in tutto, che le parole che ti giungono sono Parole di Dio, cerchi di fare molta attenzione, perché è Dio che parla, non sono le creature, quindi è doverosa la massima attenzione a Colui che parla.

Angelo B.: Non è facile però capire.

Luigi: Bisogna privilegiare le parole di Gesù e fermarci molto in esse, perché man mano che le assimiliamo, saranno queste Sue parole che ci illumineranno le altre parole, facendocele capire dal punto di vista di Dio.

Tutto è segno, tutto è parola di Dio, sia ben chiaro, quindi anche i ladri e le prostitute sono parole di Dio, ogni ambiente o situazione è parola di Dio,  ma le Parole di Gesù sono uniche. Le Parole che dice Gesù nessuno può dirtele, perché certe parole nessuno le può dire. Tutte le altre parole di Dio (le creature) sono tutti segnali stradali, sono frecce che indicano la città, ma non ti danno la città, cioè l’unione con Dio. Tutti parlano e a volte possono anche dire cose vere, possono anche farti riflettere sulla vanità e sul passare delle cose, perché tutte le creature sono opera di Dio, per cui ad un certo momento diventano tutte cartelli stradali che ti orientano all’essenziale, a ciò che non passa. Ma non possono dirti quello che ti dice Cristo: certe sue Parole nessuno te le può dire.  Ecco perché ad un certo momento uno ha bisogno di incentrarsi solo più lì, in Lui: “Tu solo hai parole di Vita Eterna!” (Gv 6,68).

 Quindi in Cristo c’è una singolarità; per cui Cristo ci dice delle cose che nessuna cosa al mondo ci può dire. Infatti Gesù chiede al Padre (per noi) quella gloria che Egli ebbe   “prima che il mondo fosse”. La sua gloria è il Padre. Egli vuole farci conoscere il Padre. Ecco perché ad un certo momento, scoprendo Cristo, sentiamo il bisogno di accantonare tutte le cose che ci dice il mondo, tutte le letture che ci può dare il mondo! perché non ci danno più niente, non rispondono più alla nostra esigenza di conoscere il Padre. Solo più Cristo ad un certo momento risponde a questa esigenza. Cioè, quando si forma in te il bisogno di conoscere Dio, il bisogno del Padre, il bisogno della Vita Eterna, di capire qualche cosa di questa essenzialità,  scarti tutto ed eleggi Cristo come tuo Maestro.

Perché fintanto che tu vai alla ricerca di quello che vale di più, delle cose vane o non vane, allora il mondo, essendo tutto sotto l’ombra della morte, può dirti qualche cosa; perché all’ombra della morte le cose sono abbastanza evidenti; con “facilità” arriviamo a capire che  tutto ci delude. Quindi il mondo ti dà lezioni importanti, ma queste lezioni sono soltanto dei cartelli indicatori, non ti rivelano Dio, non ti danno la possibilità dell’amicizia di Dio, della scoperta della Presenza di Dio in te. Le parole di Dio nel mondo non ti danno la Città, ma sono delle frecce che ti dicono: “Cammina, vai, questa è la strada”. Se tu cammini, ad un certo momento arriverai alla Città, ma chi ti dà la Città, chi ti fa entrare in essa (cioè ti unisce a Dio)  è solo il Cristo.

Cristo ha degli argomenti che nessuno ha. Avviene allora in noi un continuo processo di selezione, per cui si passa di creatura in creatura, fino ad arrivare a bloccarci in Cristo. Ma chi ci conduce a bloccarci in Cristo e a scegliere Lui è il bisogno di Dio. Quindi fintanto che in noi non si forma questo bisogno di essenzialità, di Vita Eterna, di conoscere Dio e quindi di trovare qualcuno che ci parli di Dio, ma che ci parli secondo il bisogno della nostra anima, e non con chiacchiere vane, noi non arriviamo al Cristo. Ecco perché per alcuni Cristo è molto difficile: perché non si è ancora formato in essi questo bisogno dell’essenziale.

Angelo B.: Pur avendo questo bisogno, a volte non si sa in concreto come impegnarci.

Luigi: Quando abbiamo parlato dell’abitare tra noi del Verbo, “ed abitò tra noi”,  abbiamo detto che la Sua abitazione tra noi è  mettersi Lui  a nostra disposizione, è indicarci l’indirizzo di casa sua, è indicarci il luogo in cui noi possiamo andarlo a trovare quando e come vogliamo. Infatti, quando noi chiediamo ad un amico: “Dove abiti?” e lui ci dice: “Abito lì”, praticamente si mette a mia disposizione (“Venite e vedrete”), per cui possiamo andarlo a trovare quando e come vogliamo. Allora, in quanto Cristo ha preso una carne ed “abitò tra noi”, ha occupato un posto in cui noi possiamo andarlo a trovare (“Venite e vedrete” – Gv 1,39) e fermarci con Lui tutto il tempo che vogliamo (infatti quando sappiamo dove un amico abita, abbiamo questa possibilità). Ma andandolo a trovare, Egli ci propone i suoi problemi. Ad esempio, se ci fermiamo davanti alla grotta di Betlemme, noi contempliamo un Bimbo che è nato da una Vergine. Questo è un annuncio che ci capovolge tutto, perché crea in noi tutta una problematica  che ci impegna col pensiero: “Perché è nato da una Vergine? Perché non è nato dall’unione tra un uomo e una donna?”.

Certo, noi possiamo dire: “Sono tutte storie, non è vero”, però, in tal caso, noi faremmo un atto di superbia in quanto non abbiamo delle ragioni per dire che non è vero. Se facendo i superbi rifiutiamo le cose che non conosciamo, allora siamo colpevoli. Se invece siamo attenti a Dio, di fronte a questa cosa che ci è annunciata, anche se non la capiamo, aderiamo. Ma aderendo, tale annuncio del concepimento verginale di Gesù ci sconvolge tutto, per cui cerchiamo di capire e ci interroghiamo: “Perché nasce da una Vergine? Ci deve essere una ragione; e questa ragione deve essere personale, deve essere una lezione di vita per me”. Ed è proprio così: se quel Bambino non è nato dall’unione tra un uomo e una donna, vuol dire che è una lezione per la vita spirituale, personale per ognuno di noi. Ora dobbiamo chiederci prima di tutto: “Che cosa Dio mi vuole indicare con questa nascita di Gesù Bambino?”, cioè con il Natale?

Il Natale è l’annuncio di una scoperta che dobbiamo fare: Dio è tra noi, in noi.

Il Natale cioè ci rivela “come” Dio è tra noi, in noi.  Fintanto che non capiamo questo, non possiamo fare il Natale. Ma come possiamo noi arrivare a questa scoperta?

Ecco allora che salta fuori l’importanza del concepimento verginale di Maria. Infatti la Vergine ci rivela che soltanto in quanto si forma in noi la verginità di mente, che è il distacco da tutto ciò che è mondo, che è il non voler più far conto su nessuna creatura se non su Dio (“non conosco uomo” - Lc 1,34), soltanto allora concepiamo in noi il Figlio di Dio, perché i figli di Dio nascono da Dio.

Ecco, soltanto quando noi capiamo che “i figli di Dio nascono da Dio” (Gv 1,13), siamo preparati a scoprire il Verbo di Dio che si fa carne.

Qui il concetto di verginità si rivela molto importante, perché è per insegnare a noi la verginità di mente, perché fintanto che noi non ci distacchiamo dal mondo e facciamo conto su altro da Dio, non possiamo arrivare a scoprire il Verbo di Dio fatto carne: ecco quindi l’importanza della Madre, della Madre che è Vergine!

Quindi il modo con cui Gesù è venuto tra noi, cioè il fatto che è nato da una Vergine, non è per farci vedere un miracolo, quasi a dire: “Guardate, sono capace a fare dei miracoli!”. No! Tutto quello che avviene è lezione pedagogica per condurci dal fatto passato, che è avvenuto, al fatto futuro, personale che deve avvenire. Per cui il Natale, fatto avvenuto, deve condurmi al fatto futuro, al Natale personale: scoperta del Dio che è in me.

Nel Natale noi scopriamo “come” Dio è in noi; ma poi abbiamo l’altro atto del Cristo che parla (del Verbo che parla, che afferma) e poi il terzo atto del Cristo crocifisso. Quindi abbiamo tre modi di essere di Dio tra noi (poi avremo Cristo risorto e il Verbo conosciuto nel Padre e dal Padre: ma questo sarà solo per coloro che hanno capito la morte del Cristo e hanno proseguito il cammino fino alla Pentecoste).

Ma il Natale è il piano base: Dio è tra noi, “come” Dio è tra noi: questa nascita da una Vergine. Qui tace.

Angelo B.: Ma non tace sempre.

Luigi: Infatti poi abbiamo il Cristo che parla, il Verbo che afferma. Invece qui a Natale Gesù Bambino non afferma: quindi rivela “come” Dio è tra noi, in noi. Però la scoperta del Dio tra noi è in relazione alla verginità di Maria; questa verginità che è distacco. Ecco il concetto di verginità, che è una verginità di mente, è un non far conto su nient’altro che su Dio, perché “i figli di Dio nascono solo da Dio”. Ora in quanto uno fa conto su Dio, abbiamo la verginità: “non conosco uomo”.

Nino: Gesù Bambino non parla, ma è rivelazione di Dio in noi.

Luigi: E già, il Natale ci rivela “come” Dio è  in noi,  in ciascuno di noi: “come Dio è…”: come un Bambino che non parla, per cui quando ci mettiamo in silenzio  diciamo: “Ma io non sento niente”. Ma l’annuncio del Natale ci dice: “Guarda che Dio è vivo in te”, anche se non parla; non parla ma è la Verità presente.  Poi avremo Dio che cresce, che parla. Ma attualmente è affidato a noi come un Bambino tra le nostre braccia. Se poi cresce, allora parlerà. Ma parlando ci urterà, ci metterà in conflitto, al punto che lo metteremo in Croce, inevitabilmente. Infatti l’ultimo atto è poi la Croce (non la Risurrezione, perché questa è solo per coloro che hanno aderito al Cristo e L’hanno seguito).

Nino:  Se aderiamo e capiamo la sua Morte, Lui risorge e noi risorgiamo. Se invece non aderiamo …

Luigi: …. Lui rimane morto, ma  anche morto Lui è ancora il Salvatore, se capiamo e moriamo a noi stessi.

Nino: Ma non è detto che uno muoia a se stesso, per cui  la minaccia di cui parlavamo prima si realizza.

Luigi: Certo, Lui non salva nessuno automaticamente, perché per salvarci automaticamente dovrebbe annientare la nostra coscienza; ma annullando la nostra coscienza Lui andrebbe contro Se stesso, perché è Lui stesso che ha creato noi con il pensiero del nostro io. Quindi Dio  opera per salvarci, ma è sempre fedele a Se stesso, poiché Lui, essendo l’Essere, è fuori del tempo, quindi Lui opera, lavorando su ciò che ha fatto e su ciò che noi facciamo. Per cui Lui sulle nostre note stonate costruisce delle sinfonie continuamente nuove, ma tiene presente le nostre note stonate, perché rispetta tutto, non annulla niente. Quindi Lui non può annullare la nostra coscienza, anche se è sbagliata; anche se noi facciamo dei delitti, Lui non li annulla, ma costruisce su-, perché a costo di lasciarsi uccidere e di restare morto in noi, fa di tutto per salvarci, per cui anche la sua Morte è per la nostra salvezza . Quindi Lui muore, si fa figlio dell’uomo, figlio delle opere nostre, per salvarci; se l’uomo è  delitto, Lui si fa figlio del nostro delitto, quindi si lascia uccidere.

Ines: Si fa figlio del nostro delitto?

Luigi: Sì, perché si fa figlio dell’uomo. Il Natale ci rivela appunto il Dio che si mette nelle mani dell’uomo: “Faranno di Me tutto ciò che vorranno”, per cui possiamo analizzarlo secondo le nostre scienze, strumentalizzarlo, dire di Lui tutto quello che vogliamo, perché si è fatto figlio dell’uomo. Ma soltanto facendosi figlio dell’uomo, Dio ci salva; perché siccome noi diventiamo “figli delle nostre opere” (cf Gv 8,34), Lui si offre, si fa figlio delle nostre opere dicendo: “Io sono qui, fai di me quello che tu vuoi”.

Nino: È l’unica possibilità di salvezza.

Luigi: Certo. Noi non ci rendiamo conto….ma già la nascita di Gesù a Betlemme è già un mettersi nelle nostre mani; per cui il Natale o l’ultimo atto della Croce è sempre la stessa cosa: è Dio che si mette nelle mani dell’uomo, che si affida all’uomo. All’inizio si affida come Bambino, dicendoci: “Sono qui nelle tue mani”. Una mamma che ha un bambino nelle mani spende tutto di sé, si dà tutta al bambino, perché sa che un bambino ha bisogno di essere guardato a tempo pieno, perché sa che in tutto il bambino dipende da lei. Ora, se noi ci rendessimo conto che Dio è in noi come un bambino nella braccia di una mamma, gli daremmo tutto il pensiero, ci occuperemmo di Lui a tempo pieno, perché   soltanto quando ci occupiamo di Lui a tempo pieno, Lui non muore e cresce; e crescendo Lui, cresce la nostra vita. Infatti, la mamma vedendo crescere il bambino vede che cresce la sua vita stessa. Quindi più noi ci curiamo di questo Bambino che ci è stato affidato e più cresce la nostra vita. Quindi Dio è affidato a noi! È questo il “mistero nascosto” di cui  S.Paolo dice che è nascosto nel mondo, che si nega al mondo e che il mondo non può vedere: “Il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria” (Col 1,26); il mistero nascosto al mondo è questo Dio che cerchiamo senza accorgerci che L’abbiamo già tra le mani, che è affidato a noi! Per cui più noi ci dedichiamo a Lui, più Lui cresce e diventa nostra vita; però, appena noi Lo trascuriamo, Lui muore: “Avete ucciso l’Autore della vostra vita!” (At 3,5), dice S. Pietro, “avete ucciso la vostra vita!”. E così scopriamo il “luogo” della nostra vita. Quindi se iniziamo a sentirci morire, se iniziamo ad essere angosciati è perché abbiamo ucciso la nostra Vita, perché è Lui la Vita!

Eligio: Uccidendo l’Autore della vita, uccidiamo la nostra vita.

Luigi: E già, perché Lui dice: “Io sono la Vita” (Gv 14,6), Lui è la Vita! Quindi fa’ vivere Lui, occupati di Lui, curalo, fallo crescere e troverai la Vita, perché Lui è la Vita!

Angelo B.: È una grande responsabilità, ma bisogna capirlo.

Luigi:  L’intelligenza Dio ce la dà per applicarci a Lui, perché è Lui la sorgente dell’intelligenza. Ciascuno di noi può attingere direttamente alla sorgente Divina senza intermediari e senza che nessuno ci mandi via. “Non caccerò chiunque viene a Me”, dice Gesù (Gv 6,37).

Pinuccia B.: Se noi sapessimo soffermarci a lungo a contemplare il Bambino Gesù, Dio ci farebbe capire come Lui si è messo nelle nostre mani e come Lui ci salvi proprio così.

Pinuccia A.: Hai detto infatti che partendo dal Natale siamo condotti man mano a scoprire i tre modi di essere di Dio tra noi…

Luigi: Tre modi che, se capiti, diventano cinque. Possiamo allora dire che sono cinque i modi di essere di Dio nell’uomo:

·  Nascita: Gesù non parla, ed è un bambino posto tra le nostre braccia e di cui ci dobbiamo occupare, se no muore. Il Natale ci rivela come Dio è in noi: nel silenzio, nel distacco (è in relazione alla Verginità di Maria: non far conto su altro) ed è affidato alle nostre cure. 

·  Vita Pubblica: Dio cresce, parla e  urta;

·  Morte: assenza di Dio, viene crocifisso in me.

·  Resurrezione: ritroviamo Dio con noi, ma non senza essere morti a noi stessi.

·  Pentecoste: è il compimento: inserimento nella Vita Trinitaria: si è una cosa sola con Dio. 

L’esperienza della resurrezione e quella della venuta dello Spirito Santo sono esperienze del Dio con noi, ma non per tutti; richiedono la nostra partecipazione personale, richiedono l’aver aderito al suo messaggio.

Sentieri di Betlemme

Natale, pausa di silenzio sul mondo perché l’uomo possa sostare davanti al mistero principale della sua vita, che tutte le cose annunciano, ma che solo il Natale presenta: "Troverete un Bambino avvolto in fasce, posto in una mangiatoia" (Lc 2,12).

Tutto il nostro problema è qui, di fronte a questo annuncio ed a questa promessa: “troverete!”. È la risposta alle nostre domande, ai nostri dubbi, ai nostri problemi, alle nostre attese, e va ancora al di là di esse.

È il compimento della promessa di Dio: rivelazione del mistero della sua Presenza nel segno più umile, più povero, più nascosto. Presenza pura, come la sua nascita eterna nel seno del Padre. Presenza pura e tanto silenzio: tanto fino a che la luce non si faccia nella nostra anima.  Nel silenzio di tutto si rivela a noi il Tutto.

Il Natale è preludio ad un incontro personale di ogni uomo con il Dio presente.  E vale per questo. Quello che troveremo è annunciato: non dalla partecipazione della Madre: Lei tace!  Non del padre, non dei parenti e conoscenti: sono impegnati a tempo pieno dal mistero. Ma dagli Angeli, dagli avvenimenti, dalla storia, dai profeti, dalla vita, dalla notte stessa dell'uomo.  Ascoltate, scrutate le voci della vostra notte: parlano di Lui.

Nella nostra notte è Lui che si fa carne, è Lui che viene.  Tutto il problema della nostra vita è qui, di fronte al Verbo di Dio che si fa carne e si annuncia.  Entra nel nostro mondo, in ciò che è nostro; entra nella nostra autonomia ed in tutti i valori che abbiamo ritenuto indipendenti da Dio. Il suo Pensiero interferisce nei nostri pensieri, nella nostra mentalità, nel nostro gregge, nella nostra vita.

Nessuno Lo può ignorare. Trascurare sì, rifiutare pure, negare anche, ignorare no!  L'ateismo non ignora Dio, Lo nega.  Negare non è ignorare. L'uomo può rifiutare, non ignorare. Nessuno può ignorare ciò gli è annunciato.

Ognuno nella sua notte se ne sta con un suo gregge, e crede che tutta la sua vita stia lì, che la sua campagna, la sua missione, il suo dovere, stiano lì. Ma nella sua notte si intromette l'annuncio del Natale e, se l'annuncio non è rifiutato, ognuno è condotto di fronte a questo Bambino e a sua Madre, promessi dai profeti, annunciati, segnalati dagli Angeli, serviti dalla storia, da re, da imperatori, da popoli.

Ognuno crede di scrivere la sua storia e invece la storia lo fa servire alla nascita di questo Bambino in un preciso luogo e in un determinato tempo. "Troverete un Bambino avvolto in fasce...": questo sarà per voi un segno. Il segno è la debolezza, la povertà, il nulla dello Spirito per noi. La potenza di Dio si rivela nel nulla: il Verbo si fa carne, per noi e per la nostra salvezza.

Colui che è presente in tutto si rivela presente in un luogo e in un tempo.  Ma per mezzo di quel luogo e di quel tempo lo Spirito di Dio Lo presenta a tutti, ad ogni uomo di ogni luogo e di ogni tempo. Le distanze non indeboliscono le parole di Dio, anzi!  Le sue Parole non sono condizionate dal mezzo che Dio adopera per farle giungere a noi. Nel Regno infinito di Dio ciò che è in un punto è in tutto e ciò che è in un tempo è in ogni tempo, poiché nell'infinito ogni punto è un centro e in ogni frammento c'è il tutto.

Tutti i sentieri della nostra notte ci conducono qui, davanti alla grotta di Betlemme, di fronte a questo mistero che il mondo porta con sé, in sé, nascosto e pur annunciato a tutti. Qui si ritrova, forse per pochi istanti, la vita semplice e più vera, quella che la nostra fede smarrita e il progresso materiale hanno cacciato via dalle nostre case rendendo inabitabile la nostra terra e disumane le nostre città, poiché là dove si perde il Divino, si perde anche l'umano, per quanto lo si difenda, se ne parli o lo si esalti.

"Fu posto in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'albergo" (Lc 2,7). Non c'è posto per Dio nella nostra vita, nelle nostre case, nel nostro tempo, nei nostri pensieri.

Quando non c'è posto per Dio, non c'è più posto per l'uomo, non c'è più spazio per la vita.

Non si può rompere la comunione dell'uomo con Dio senza rompere la vita stessa dell'uomo.  Non si può togliere all'uomo il diritto alla vita dello spirito senza distruggere l'uomo stesso. Ma i mostri che nascono dall'uomo distrutto ripropongono ancora l'esigenza della trascendenza. Così da tutte le vie siamo ricondotti sempre qui, di fronte alla grotta di Betlemme ad affondare i nostri occhi nel mare del mistero del Dio incarnato.   (I – 28.12.1977)

Con il Natale inizia una nuova era sulla scena della storia e nella vita di ogni uomo: davanti ai nostri occhi si apre il sipario sul mistero del Dio presente tra gli uomini, e ci rivela che l'universo è una realtà imbevuta di Divina Presenza; luce e rivelazione per le genti: Dio tra noi, Dio con noi, mistero nascosto nel mondo fin dal principio della creazione, nascosto in ogni uomo dal principio della sua esistenza.

Natale dice a noi quello che abbiamo con noi, ci conduce alla scoperta delle ragioni più profonde del nostro essere e del  nostro vivere. "Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo". Natale non è tanto commemorazione di un fatto avvenuto, quanto annuncio e rivelazione di un fatto che è.

È Dio che si fa Parola per noi, s’incarna per noi che capiamo solo il linguaggio della carne, Lui che è Spirito, per dirci quello che noi non siamo più capaci di vedere e di capire nel linguaggio dello Spirito: la sua Presenza reale tra noi e il modo come fare per giungere anche noi a vederla.

È Dio che si abbassa alla nostra povertà per elevarci alla sua Divinità e non lasciarci mancare la vita.  Senza di Lui infatti siamo senza vita, senza luce, senza libertà.

Natale è Dio che si offre allo sguardo dell'uomo per diventare pensiero dell'uomo, e quindi sua vita.  Scriveva S. Leone Magno: "Questa Sua nascita nel tempo nulla ha tolto e nulla ha portato alla nascita Divina ed Eterna, ma si realizza tutta per la riabilitazione dell'uomo, per vincere la sua morte.  Non diminuì la Divinità, ma elevò l'umanità". Il Verbo di Dio fatto carne è dunque un mistero di bontà, di amore, di vita, di luce che si dona a noi, per noi; luce di una immensa bontà che risplende per l'uomo che si ferma a guardarlo.

Dio ci ha fatti spettatori del suo dono, affinché comprendessimo il suo dono che portiamo in noi da sempre. Ciò che Dio ha annunciato, scritto in tutta la sua creazione, promesso per mezzo dei suoi Profeti, lo rivela nel suo Figlio unigenito.

L'annuncio della sua Presenza ci mette in movimento e ci purifica in un amore unico, essenziale. Tutta l'opera di Dio è conversazione con noi per condurre le nostre menti incerte e confuse, perché troppo cariche di terra, a contemplare la sua Verità eterna.

Dio opera in tutto per rivelarci il suo Pensiero, il suo Verbo.  Egli parla, conversa con noi, con ognuno di noi. E come in ogni conversazione si tende a rivelare un pensiero, così nella conclusione dell'opera di Dio, la pienezza dei tempi, si rivela davanti al nostro sguardo ciò che Dio parlando voleva presentarci: il suo Pensiero, il suo Verbo, la sua Presenza.

Se tutta la nostra vita in terra è parlare di Dio a noi per condurci a vedere il suo Pensiero, Natale, che è rivelazione della Presenza di Dio tra noi, è la rivelazione del senso della nostra vita, e quindi è la rivelazione della nostra stessa Vita. La nostra Vita si è fatta visibile: è lì, nella presenza di Dio.  Ed è tutto dono di Dio. È Lui che ha l'iniziativa di tutto; non noi.  La nostra autonomia, o l’autonomia delle cose, è solo un difetto di ricezione da parte nostra.

Dio per primo si dona all'uomo, affinché questi possa accoglierlo e accogliendolo intenderlo. L'uomo non sarebbe assolutamente capace di conoscere Dio, né di scoprire la sua presenza, se Dio stesso per primo non gli si donasse.

Dio si annuncia perché è Dio che si dona e si fa conoscere; non è l'uomo che scopre o si immagina o pensa.  Non siamo noi che facciamo la realtà, ma siamo noi che siamo chiamati ad accoglierla.

Intendiamo nella misura con cui accogliamo. È solo accogliendo Dio che si può conoscere Dio.  L'uomo può intendere nella misura in cui Dio gli si dona ed egli accoglie il dono.

È il dono di Dio che rende l'uomo capace di intendere le cose di Dio. E poiché Dio si dona per primo, accade che veniamo a trovarci con la rivelazione di Dio-tra-noi prima che noi Lo intendiamo, senza cioè sapere di che cosa si tratti. Portiamo infatti il mistero di Dio in un vaso molto fragile.  È per questo che i doni di Dio sorpassano ogni nostro pensiero e desiderio; ma sono essi che trasformano l'uomo e il mondo.

Non basta l'impegno morale o rivoluzionario di modificare la società, le strutture, di rieducare gli uomini; occorre l'irruzione di una Realtà Divina nel nostro mondo che trasformi la nostra esistenza dalla radice, ci ricrei e ci faccia iniziare una vita nuova. (II – 04.01.1978)

Natale è una sintesi, un punto d'incontro della vita e dei problemi dell'uomo con l'opera di Dio: "In Gesù c'è la stretta di due mani: la mano che Dio tende agli uomini e la mano che gli uomini tendono a Dio".  È la conclusione di un'attesa e il termine di una discesa, secondo la profezia: "Misericordia e Verità si incontreranno; giustizia e pace si baceranno: la Verità germoglierà dalla terra, la giustizia si affaccerà dal Cielo" (Sal 85,11).

Natale è una sintesi di tempo e di eternità, di immanenza e di trascendenza, di storia e di profezia, di peccato e di grazia, e rivela la presenza di un Essere Superiore che guida gli avvenimenti e le pagine della storia verso una meta di salvezza per ogni uomo, perché “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità”  (1 Tm 2,4).

È il compimento dell'attesa dell'uomo che cerca e invoca e di Dio che opera perché l'uomo si apra ad accoglierlo: "Stillate o cieli dall’Alto e scenda il Giusto; si apra la terra e germini il Salvatore" (cf Is 45,8).

Ricerca di amore da parte di Dio; ricerca di amore da parte della creatura: e quando Dio e la creatura vogliono la stessa cosa, Dio si rende presente sulla terra.

Nel mistero di Betlemme è il punto d'incontro di due strade: quella che sale dalla terra verso il Cielo e quella che discende dal Cielo verso la povertà della terra: "Troverete un Bambino avvolto in fasce...": è la povertà, la nullità dello Spirito per noi. Dio nasce per noi nella povertà; senza questa povertà è impossibile a Dio trovare l'uomo e all'uomo trovare Dio.

La povertà è innanzitutto spogliamento dell'io, convinzione profonda che nessuno può prendere nulla se non gli è dato dal Cielo. L'amore di Dio attende questo nostro silenzio per rivelarsi: "Quando tutto era immerso nel profondo silenzio e la notte era a metà del suo corso, l'Onnipotente tuo Verbo, Signore, discese dal Cielo, dal suo trono regale". (Sap 18,14-15)

Ci si pone in silenzio per ritrovare le cose essenziali, per accogliere i doni di Dio. Per questo ogni uomo ha bisogno di sostare a lungo davanti al mistero del Natale fino a quando la sua anima si è convinta dell'essenziale e si è caricata di forza per volerlo. È il dono di Dio che rende l'uomo capace di trovare e di intendere il dono di Dio.

Il dono di Dio a noi è la condizione per conoscerlo; ma non possiamo giungere a conoscerlo fintanto che non doniamo a Lui il nostro pensiero, fintanto cioè che non usciamo dal pensiero del nostro egoismo e dalle passioni del nostro mondo per andare, liberi di tutto, a Betlemme a sostare davanti a Dio che è tra noi: un viaggio talvolta molto lungo.

Per questo il vero Natale, questa scoperta della presenza del Dio-tra-noi, è una sintesi di due doni: quello di Dio e quello della creatura. Se uno dei due viene a mancare, è impossibile scoprire la presenza di Dio.

Nella sintesi c'è la rivelazione. Natale essendo sintesi è rivelazione del mistero di tutta l'opera di Dio nella nostra vita: "Sono Io che parlo con te".  È la rivelazione del mistero della nostra vita e quindi è la rivelazione della nostra Vita. La nostra Vita è lì, nella presenza di Dio.  Non andare altrove!

Nella rivelazione c'è la trasformazione dell'uomo, cioè la Vita nuova, poiché la Realtà che si è manifestata ci impegna a vivere con essa. Dio, nostra Vita, si offre allo sguardo dell'uomo per diventare pensiero dell'uomo.

Il dono di Dio inizia in noi una relazione di intimità: nella Sua nascita in terra già si annuncia il modo della Sua nascita in noi.

I Magi, ci dice il Vangelo di S. Matteo, al termine del loro cammino, trovarono il Verbo di Dio fatto carne e sua Madre. Se la nostra salvezza sta nello scoprire la presenza di Dio, la nostra vita sta nel restare con la presenza di Dio. Trovare il Bambino Gesù con sua Madre significa trovare la Verità di Dio tra noi e la condizione per restare in Essa.

Nel mistero di questo Bambino e di questa Madre è il segreto di tutta la nostra vita: della via, della verità, della vita di ogni uomo. 

È tramite il Bambino Gesù e sua Madre che l'uomo trova il vero rapporto che unisce il Cielo e la terra, il mondo dello Spirito e quello della materia, l'interno e l'esterno.  È quello che inconsapevolmente ogni uomo cerca.

Nella nostra notte un Angelo ripete anche a noi, come a Giuseppe: "Ed ora, prendi il Bambino e sua Madre e va' nel deserto, perché il mondo cercherà di uccidere Colui che è nato" (Mt 2,13).

(III – 11.01.1978 - Fine)

(articoli pubblicati su “La Fedeltà” scritti da Luigi Bracco)