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E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre. Gv 1 Vs 14 Quinto tema


Titolo: Importanza di vedere la Gloria e la Via per giungervi


Argomenti:  Vedere la Gloria del Figlio è ricevere lo Spirito Santo. Il desiderio di vedere la Gloria del Figlio. Individuare e fare oggetto di vita Cristo. Il parlare del Padre di Cristo. Le condizioni per vedere la Gloria del Figlio. Capire la morte di Cristo. L’andare via di Cristo. Approfondire gli argomenti di Cristo. La conoscenza del Padre precede la gloria del Figlio. Il monte Tabor. La possibilità di aumentare nell’amore per Dio.

LA GLORIA DI DIO.


5/Dicembre/1975


Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti e parte registrata):

Ci fermiamo ancora sull’ultima parte del v. 14 e precisamente sulla testimonianza di chi è stato condotto da Cristo a vedere la sua Gloria: “Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che tale Figlio Unigenito riceve dal Padre”.

Questa testimonianza è di una portata enorme per la nostra vita essenziale. Essa è un ammonimento per farci capire:

·che non dobbiamo fermarci al Verbo incarnato e alla sua abitazione tra noi;

·che c’è un qualcosa di infinitamente grande da vedere: la Gloria del Figlio Unigenito di Dio, la visione del Verbo nel Padre;

·che per il fatto che ci viene annunciata una tale meta, anche noi siamo chiamati ad essa;

·e che in quanto qualcuno vi è giunto, c’è una possibilità anche per noi di giungervi.

Ma perché l’annuncio di questa Meta e la testimonianza che è possibile giungervi ci muova ad impegnarci a camminare verso di essa, è necessario comprendere qual è l’importanza di giungere a vedere la Gloria e convincercene; poiché la nostra volontà scatta e si impegna soltanto quando vede un valore.

Già avevamo accennato ai motivi che evidenziano questa importanza, però è bene riprendere l’argomento per approfondirlo, in modo da renderci ben conto che giungere a vedere la Gloria del Verbo non solamente è importante per la nostra vita, ma è essenziale, in quanto conoscere la Verità è lo scopo per il quale siamo stati creati.

La passione per la Verità la portiamo tutti dentro di noi, anche se a volte non ne siamo consapevoli, per cui quando la soffochiamo sotto tanti altri interessi o passioni (per il nostro io, per le cose del mondo, ecc.),è proprio essa che ci fa esperimentare il vuoto e la vanità di tutto; mentre invece il vivere per cercare la Verità è ciò che dà senso, e un senso eterno, alla nostra esistenza.

Ora, vedere la Gloria del Verbo è vedere la Verità: è contemplare il Figlio nel Padre, è vedere il rapporto tra Padre e Figlio, è ricevere lo Spirito Santo! “In quel giorno voi conoscerete che Io sono nel Padre mio, e voi in Me ed Io in voi” (Gv 14,20).

È quindi constatare lo Spirito di Presenza del Padre e del Figlio in noi. È conoscere Dio come vero Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo. È la nostra Pentecoste. È quindi diventare figli del Padre come il Figlio. È la nostra nuova nascita!

È dunque la realizzazione di quel “sogno” che era nato, come un piccolo seme, dalla giustizia essenziale, ed era germogliato e cresciuto nel cammino con Cristo.

Siamo creati per giungere a questa Meta, e se non vi tendiamo con tutte le nostre forze corriamo il rischio di non giungervi mai e di vanificare in tal modo tutta la nostra vita.

Essa va perciò desiderata, sognata, poiché è un dono, e i doni di Dio dobbiamo desiderarli per poterli ricevere.

Ma il desiderio nasce e cresce in noi nella misura in cui capiamo come il raggiungimento di tale meta abbia un’importanza determinante per noi; ma, come si è detto, tale importanza la capiamo soltanto quando siamo veramente convinti che la visione della Gloria è il fine per il quale abbiamo ricevuto l’esistenza, e che quindi è la realizzazione delle nostre esigenze più profonde, quali l’unione con Dio, la libertà, la stabilità, la Vita Eterna, ecc. ecc.

Sintetizzando, avevamo visto che il vedere la Gloria:

·è condizione per essere in comunione con il Padre e il Figlio,

·è condizione per ottenere la nostra liberazione,

·ed è condizione per trasformarci da schiavi in figli.

È infatti la conoscenza di Dio che ci unisce a Dio  (“…affinché anche voi possiate essere in comunione con il Padre e il Figlio” – 1 Gv 1,3), ci libera (“…conoscerete la Verità – dice Gesù - e la Verità vi farà liberi” – Gv 8,32), ci trasforma da servi a figli (“…perché vi ho fatto conoscere tutto quello che ho udito dal Padre mio” – Gv 15,15) e ci rende stabili (“…solo i figli resteranno per sempre nella Casa del Padre” – Gv 8,35).

Il desiderio di giungere a vedere la Gloria del Verbo non è solo condizione per realizzare tale meta, ma è anche una grande molla e una grande forza per affrontare le difficoltà del cammino ed accettare le condizioni di esso, anche se dure, con la speranza di giungervi.

È infatti una meta che, anche se sfugge ai nostri occhi ancora troppo materiali, è a noi accessibile, non solo perché c’è qualcuno che l’ha raggiunta e ce l’ha testimoniato, ma soprattutto perché il Verbo si è fatto carne, ha abitato tra noi, ci ha parlato del Padre, è morto ed è risorto ed è asceso al Cielo proprio per portarci ad essa.

È dunque accessibile, ma a certe condizioni e richiede un lungo cammino con Cristo.

Infatti la Via per vedere la Gloria è Cristo. È Lui che ci porta a vederla. Cristo stesso si è fatto via, strada per i nostri passi ed è quindi con Lui e solo con Lui che abbiamo la possibilità di giungervi. Per cui, più siamo convinti dell’importanza che ha per noi il vedere la Gloria e più ci sta molto a cuore il Cristo e non ci stacchiamo più da Lui, perché sappiamo che è Lui solo che può condurci a questa meta.

Avevamo già visto le volte scorse che a  causa delle nostre dispersioni abbiamo bisogno di trovare Uno che ci parli del Padre e che realizzi la vita secondo Dio che noi sogniamo, Uno cioè  su cui noi possiamo far leva per superarci.

Per seguire il Cristo bisogna prima individuarlo fra tutti gli uomini. Individuiamo il Cristo “fuori” se l’abbiamo “dentro”. Lui è il Maestro intimo in noi, ma abbiamo bisogno di vederlo, di individuarlo in un corpo fisico, perché abbiamo bisogno di vedere un Essere tra noi con cui fermarci, parlargli, in modo da avere  un aggancio per il nostro pensiero, sempre distratto dalle presenze fisiche; abbiamo cioè bisogno di un Uomo, di un Essere vivente tra noi, che ci dia la possibilità di far leva su di Lui, di affiancarci a Lui, di camminare con Lui, di farlo oggetto della nostra vita.

Ed è appunto Cristo che risponde a questo bisogno di trovare un Essere tra noi su cui far leva, per incominciare a sganciarci da tante cose; ma questo avviene solo se noi Lo facciamo oggetto della nostra vita. Infatti non basta individuarlo. Bisogna camminare con Lui fino a giungere al Padre, perché è il Padre che ci rivela la gloria del Figlio.

Per camminare con Cristo bisogna assimilare le sue Parole; non basta ricordarle, ma bisogna capirle.

“Nessuno ha mai parlato come Lui” (Gv 7,46): non solo perché ha fatto il discorso delle Beatitudini (Mt 1,1 ss,) che è stato fatto, ad esempio, anche in India, non per i suoi discorsi morali, ma perché solo Lui ci parla del Padre.

Infatti Egli parlandoci tanto del Padre, sempre che noi Lo facciamo oggetto della nostra vita,  ci libera poco per volta dai tanti argomenti e ci fa vedere progressivamente la Verità delle cose, cioè trasferisce la sua “mentalità” nella nostra, cioè il suo Pensiero nel nostro pensiero, per cui ad un certo momento noi non siamo più dominati dalle altre realtà: è  una Verità crescente che si forma in noi. Ci fa capaci di sostare con il Padre e quindi di ricevere dal Padre la rivelazione della sua Gloria.

Ora, fintanto che noi non arriviamo a vedere la sua Gloria (e questa Gloria gli viene dal Padre, perché “soltanto il Padre conosce il Figlio” (Mt 11,27) e il Figlio ci conduce al Padre proprio per questo), noi non potremo arrivare a quella pienezza di grazia,  di libertà, di vita, di comunione che ne è la conseguenza.

Infatti nella visione della gloria del Verbo c’è la pienezza di grazia e di Verità poiché Lui stesso è “pieno di grazia e di Verità”.

Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti e parte registrata):


 


Dobbiamo ancora soffermarci sulla terza parte del v. 14 del cap. 1 del vangelo di s. Giovanni (“…e noi abbiamo contemplato la sua Gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre…”), perché è necessario ancora approfondire il secondo punto dell’argomento della Gloria, cioè le Condizioni per vedere la Gloria, cui già si è accennato le volte scorse.

Le condizioni per poter giungere a vedere la Gloria del Verbo, alla quale noi tutti siamo chiamati, sono presentate da Gesù stesso:

             1° -  necessità di morire a noi stessi,

             2°- necessità del superamento di tutto ciò che fa parte del mondo materiale, esteriore, compreso il Cristo.

1° ) La prima condizione Gesù ce la fa capire quando, nel cap. XII del Vangelo di s.  Giovanni, fa dipendere il momento della sua glorificazione dalla necessità che il seme caduto in terra, (cioè il Verbo incarnato) muoia: “L’ora è venuta in cui il Figlio dell’uomo deve essere glorificato. In verità, in verità Io ve lo dico: se il chicco di frumento caduto in terra non muore resta solo, ma se muore produce molto frutto” (Gv 12,24).

E aggiunge subito un’affermazione che ci fa capire che quanto è avvenuto per Lui deve avvenire anche in noi: “Chi odia la propria vita in questo mondo la conserva per la vita eterna. Se qualcuno mi vuol servire mi segua, e dove sarò Io sarà pure il mio servo…” (Gv 12, 25-26).

Da queste parole capiamo che il superamento del pensiero del proprio io è la prima condizione richiesta perché Lui possa portarci “dove Lui è” e così poter vedere la sua Gloria.

È già la condizione postaci da Cristo stesso fin dall’inizio del cammino con Lui: “Chi mi vuol seguire rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua Croce e mi segua”, perché seguire Cristo non vuol dire seguirlo soltanto in qualche tappa della sua vita, ma in tutte, anche nella Croce, fino alla sua glorificazione.

La tappa determinante è rappresentata dal “mistero pasquale”, cioè dalla Morte e Resurrezione di Cristo. Infatti”Pasqua” vuol dire passaggio, ed è il passaggio obbligato attraverso cui anche noi dobbiamo passare per giungere a vedere la Gloria.

Se è passaggio, non è meta; e va precisato, perché è opinione abbastanza comune tra molti cristiani considerare la Pasqua come un fine, come la meta finale; invece no! È un passaggio per proseguire il cammino con Cristo, attraverso la sua Ascensione al Cielo, fino alla Pentecoste, giorno di luce piena, in cui, ricevendo lo Spirito Santo, si constata la Presenza in noi del Padre e del Figlio.

La Morte di Cristo va capita, altrimenti rimane “sangue sparso invano”.

Dalla sua Croce, Cristo ci interpella personalmente. Capisci quello che ho fatto? Sono morto per te, affinché tu muoia a te stesso e inizi a vivere per cercare e conoscere Dio, risorgendo a vita nuova”.

Fintanto che si è nel pensiero del nostro io autonomo non si può vivere per Dio (non si possono avere due fini contemporaneamente), anzi il nostro io messo al centro della nostra vita e dei nostri pensieri uccide Dio in noi: è quanto ci rivela Cristo morendo in Croce.

Ecco, è necessario capire la causa della sua Morte e in che modo ne siamo responsabili per evitare di continuare ad essere deicidi; perché è solo quando siamo convinti che lasciandoci motivare dal nostro io autonomo compiamo questo delitto, cioè quando capiamo il danno che provochiamo in noi e negli altri vivendo da egoisti,  che abbiamo la grazia di deciderci di morire a noi stessi, di dimenticarci totalmente e quindi di deciderci a vivere interiormente dedicandoci alla ricerca e conoscenza di Dio.

Cristo ci offre la salvezza morendo, appunto perché, se dialoghiamo la sua morte con Dio, ci convince che è il pensiero del nostro io autonomo la causa della sua morte in noi e quindi della nostra morte.

Soltanto se facciamo questo superamento del nostro io, ritroviamo Cristo risorto e risorgiamo con Lui a vita nuova: qui abbiamo la possibilità di accogliere e capire la seconda condizione che è necessaria per giungere a vedere la Gloria.

2°) È Gesù stesso che ci fa presente questa seconda condizione, ed è il Verbo Incarnato che parla, quando dice: “È necessario che Io me ne vada, perché se non me ne vado, non può venire in voi lo Spirito di Verità; ma se me ne vado, ve Lo manderò dal Padre”.

Con queste parole Egli ci fa capire che per poter vedere la Gloria è necessario il superamento di tutto ciò che fa parte del mondo materiale, esteriore, compresa la sua Incarnazione, perché la sua presenza fisica fa parte di questo nostro mondo.

È l’ultima condizione necessaria perché Lui possa portarci “dove Lui è”: nel Padre. Ed è necessaria, perché si tratta di vedere la Gloria che Egli ha da sempre presso il Padre “prima della creazione del mondo”, e quindi al di là di tutto ciò che si vede e si tocca e che fa ancora capo al pensiero del nostro io. Infatti la Gloria del Figlio la si vede nel Padre; quindi non ci viene dalle sue parole o da manifestazioni fisiche, esteriori.

Parlando della necessità di questo superamento, Gesù non si riferisce alla nostra morte fisica, ma alla necessità di vivere in questo mondo nel distacco interiore da tutto e da tutti. Infatti, all’ultimo, affidando i suoi discepoli al Padre, dice: “Non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di custodirli dal male” – Gv 17, 15.

Ecco, Gesù se ne va, come Verbo Incarnato, però ci affida al Padre (“… Ti chiedo di custodirli…”), perché è dal Padre che Lui ci manderà lo Spirito di Verità. La conoscenza della sua Gloria “prima che il mondo fosse” può venirci solo da Colui che è al di sopra di tutto quello che è mondo.

D’altronde, che il pensiero del nostro io e tutto ciò che è rapportato al pensiero del nostro io vada superato, è logico, perché Dio Lo si può conoscere solo per mezzo di Dio, col puro Pensiero di Dio.

Questo superamento del mondo fisico, e quindi anche del Verbo Incarnato, è dunque una tappa necessaria per giungere alla Meta, altrimenti non può avvenire l’affidamento al Padre, non si può giungere “dove” il Figlio è, quel “dove” da cui si vede la sua Gloria.

Allora, in un primo tempo è importante, anzi è necessario, che il Verbo di Dio si faccia carne e occupi un posto in questo mondo, perché abbiamo bisogno di una presenza fisica a cui agganciarci. Ma in un secondo tempo la sua presenza fisica se ne deve andare; ma tra il primo avvenimento e il secondo avviene un fatto importantissimo dentro di noi.

È importante conoscere ciò che avviene, per renderci conto che è possibile realizzare la seconda condizione necessaria per vedere la Gloria.

Ecco:  in un primo tempo abbiamo bisogno di incontrare il Cristo e in un secondo tempo abbiamo bisogno che il Cristo se ne vada (è Lui stesso che ci dice che è importante, anzi necessario, che se ne vada), ma tra i due tempi succede una grande rivoluzione dentro di noi, e la grande rivoluzione consiste in questo: quando noi abbiamo bisogno di incontrare il Cristo come carne è perché siamo molto dispersi dal mondo, cioè tutto pesa su di noi e ci porta via. Incontrando il Cristo, troviamo Uno che opera in noi la distrazione da tutte le altre cose e la concentrazione su di Sé, in quanto risponde alle nostre esigenze.

Quando ormai siamo solo più presi da Lui, perché c’è in noi un grande amore tutto incentrato in Lui, al punto che il resto non ci importa più e non andiamo più alla ricerca di altro, allora ecco che siamo liberi dal peso delle cose, non sentiamo più il  peso di esse.

Ecco, liberi dal peso del mondo, a questo punto il Cristo dice: “Adesso anche Io me ne vado. Perché? “Perché vi devo consegnare ad una Realtà diversa”.

Cristo ci libera dal peso delle cose col suo “peso” fisico, con la sua attrazione. È quanto è avvenuto negli Apostoli, per cui essi non se ne vogliono più andare dal loro Maestro, perché hanno capito che solo Lui ha parole di vita eterna.

Questa liberazione che Gesù ha operato in loro con la sua attrazione, si rivela quando Lui chiede agli apostoli: “Volete andarvene anche voi?” e Pietro risponde per tutti: “Da chi andremo? Tu solo hai parola di Vita eterna!”(Gv 6,68) “Tu solo!”: ecco ormai gli altri non interessano più.

È a questo punto che Lui se ne va e ci affida al Padre, perché ormai Lui ha formato in noi la capacità di sostare nel Pensiero del Padre.

Andandosene, ci promette che Lo rivedremo, però in una situazione nuova, non più secondo la carne, ma “…alla destra del Padre” (Mc 16,19), nella sua Gloria. È infatti il Padre che ci farà vedere la gloria del Figlio. Vedere la gloria del Figlio, già è stato detto le volte scorse, è vedere ciò che il Figlio è nel Padre, è constatare la presenza del Padre e del Figlio in noi, è ricevere lo Spirito Santo

Pensieri tratti dalla conversazione:


 


Eligio: Il concetto di gloria così come suona letteralmente, rischia di essere per noi un’astrazione. Invece sembra più accessibile alla nostra possibilità di capire, anche se va ancora approfondita, la definizione che tu ci hai dato di essa, quando hai detto che la gloria è quello che Cristo è in Sé.

Luigi: No! Bisogna precisare: la Gloria non è quello che Cristo è in Sé, ma  quello che Cristo è nel Padre. Infatti Lui è precisissimo, e dice: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio Lo abbia voluto rivelare” (Mt 11,27). Ora, perché ci dice questo?

Teniamo sempre presente che le parole che Lui dice, le dice per apportare in noi un certo orientamento, per apportare in noi una certa elevazione di vita, per una trasformazione nostra.

Allora, se Lui dice: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”, non lo dice per dirci: “Voi non ci arriverete mai”, ma lo dice proprio perché noi abbiamo a renderci conto che:

- Prima di tutto, fintanto che conosciamo Lui soltanto nella carne o perché ce lo dicono gli altri, non Lo conosciamo.

- Infatti Lui dirà, dopo tre anni, ai suoi apostoli: “Da tanto tempo sono con voi e ancora non mi conoscete” (Gv 14,9), ed era logico che non Lo conoscessero! E quando Lui dice: “Chi vede Me, vede il Padre”, gli altri gli chiedono: “Dov’è tuo Padre?”, ed era logico che facessero questa domanda, perché per noi le conoscenze sono fisiche per cui se uno ci dice: “Chi mi vede, vede mio padre”, noi diciamo: “Io vedo te, ma non vedo tuo padre”. Questo avviene perché noi confondiamo la conoscenza della persona con la presenza corporea, ma questa non è vera conoscenza. Noi magari diciamo di conoscere una persona, perché la incontriamo tutti i giorni su un angolo della strada, ma in realtà non la conosciamo affatto; anzi, magari dopo aver passato tutta una vita con una persona, scopriamo di non conoscerla. Perché questo?

Perché la vera conoscenza è altrove. È conoscenza di ciò che uno è, e quindi è in un rapporto intimo con Dio.

E allora, giustamente Gesù dice: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”; ma questo lo dice innanzitutto affinché noi, fintanto che non arriviamo al Padre, fintanto che non conosciamo il Padre, non ci illudiamo di conoscere chi Egli è. Infatti Lui dice: “In quel giorno (giorno in cui conosceremo il Padre) capirete chi sono Io” (cf Gv 14,21).

- In secondo luogo, Gesù ci dice questo (cioè che nessuno conosce il Figlio se non il Padre), anche per farci capire ciò che abbiamo già accennato la volta  scorsa e che vedremo meglio andando avanti (quando Lui dice che va a prepararci un “posto” e prega il Padre, dicendo: “Padre, voglio che dove sono Io siano anche quelli che Tu mi hai dato, affinché vedano la mia gloria” – Gv 17,24), e cioè che il luogo in cui dobbiamo trovarci per vedere la sua gloria, per conoscere chi Lui è, è il Padre stesso.

Infatti questo “posto” che Gesù va a prepararci, lo prepara dentro di noi, formando in noi la capacità di guardare dal punto di vista del Padre, perché solo guardando dal punto di vista del Padre conosciamo il Figlio.

Ecco l’importanza   di queste parole, che ci dice Gesù nel Vangelo di s. Matteo: Nessuno conosce il Figlio se non il Padre! Sono parole che:

-  ci evitano di illuderci di conoscere il Figlio fintanto che non conosciamo il Padre,

- e ci indicano il luogo in cui dobbiamo trovarci per poter conoscere il Figlio e contemplare la sua gloria.

Eligio: E soprattutto ci richiamano, come hai precisato, ad una definizione chiara della gloria del Verbo, in termini più comprensibili e che suscitano interesse e attrazione: “Gloria del Verbo è ciò che il Verbo è nel Padre”. Certo, bisogna riflettere su tutti quei motivi di cui prima hai parlato, per arrivare a capire l’importanza di giungere a vederla.

Pinuccia B.: La Gloria è la visione del Verbo nel Padre.

Luigi: Certamente. Ma lo capiamo questo? Vediamo l’importanza di giungere a questa visione della gloria? Lo desideriamo?

Luigi: L’atteggiamento da assumere è quello di seguire il Cristo il più da vicino possibile, poiché, come già abbiamo detto, Cristo è l’unica via che ci conduce a questa Meta. Cristo, attraverso le sue parole e tutte le tappe della sua vita, se Lo seguiamo, ci conduce al Padre e ci prepara un “posto”, affinché dove è Lui siamo anche noi e vediamo la sua Gloria.

Pinuccia A.: Ma come ce lo prepara il posto?

Luigi: Cristo ci prepara il “posto” (l’abbiamo accennato la volta scorsa e lo approfondiremo ancora quando parleremo delle condizioni per vedere la Gloria) presentandoci il Padre, affidandoci a Lui e poi andandosene. Gli Apostoli  non vorrebbero che se ne andasse, e si rattristano, ma Lui sa il momento in cui deve andarsene, perché è Lui che conosce e precede i tempi. Ecco, se noi restiamo con Lui e camminiamo con Lui,  è Lui che ci porta su quella


 


soglia in cui dice: “Adesso Io me ne vado”. Anche noi, come gli Apostoli allora, non vorremmo che se ne andasse e ci rattristiamo. Ma è Lui che precede i tempi. Non siamo che determiniamo i tempi: se noi siamo con Lui, vediamo che Lui ci conduce,  Lui determina  le tappe, determina  i tempi per la nostra maturazione nella Verità, ma è Lui che li determina, e Lui sa la situazione della nostra anima, sa quando è il momento in cui deve stare con noi, e sa qual è il momento in cui ci deve dire “ciao”, e quindi andarsene.

Eligio: Dato che per poter contemplare la sua Gloria, cioè, per poter conoscere quello che Egli è nel Padre noi dobbiamo superare la realtà fisica sua, che cosa dobbiamo fare noi per poter arrivare al superamento di questo punto critico ed evitare di fermarci  in una fase sentimentale, emotiva? Come arrivare al superamento di tutto per giungere a vedere la gloria di Cristo?

Luigi: Questo “come” è il problema della “via” per giungere a vedere la Gloria del Verbo. Non c’è altra via che il Cristo, il Verbo incarnato. È Lui che ci conduce, parlandoci del Padre, a questo “Pensiero del Padre”  in noi.

Eligio: Ma Lui non ci conduce  nostro malgrado...

Luigi: E no! Lui non ci conduce nostro malgrado.

Eligio: Quindi cosa dobbiamo fare noi?             

Luigi: Noi dobbiamo soltanto cercare di camminare con Lui; cosa vuol dire camminare con Lui? Vuol dire cercare di capire, di assimilare le sue Parole. Non basta ricordarle, ma si tratta di assimilarle, di penetrarle, perché la sua Parola è un seme che Lui getta nella nostra terra. Se la nostra terra raccoglie questo seme, lo custodisce, lo approfondisce fino ad arrivare alla Luce (cf Mt 13,4-9), allora ecco che si arriva a conoscere il Padre, perché siccome le sue Parole sono Parole del Padre (“Le parole che Io vi dico, non le dico da Me stesso, ma è il Padre che dimora in Me che compie le sue opere” Gv 14,10), se noi le raccogliamo, e cerchiamo di capirle, ci conducono poco per volta, ad individuare questo Essere spirituale che portiamo in noi, perché il Padre è in noi. Ce lo dice Gesù: “Quando vuoi pregare… sappi che il Padre tuo è presente in te”.

Gesù usa tanti argomenti, però se noi rimaniamo soltanto in superficie quegli argomenti ci dicono poco, anche se riteniamo che ha detto una bella frase, che ci ha dato una buona lezione; se noi invece li raccogliamo con attenzione, poco per volta facciamo delle piccole scoperte fino a diventare delle grandi scoperte.

Gesù ci dice tante cose sul Padre: “Quando vuoi pregare, chiuditi nel silenzio della tua stanza e lì prega il Padre che è presente nel segreto”(Mt 6,6),  “Il Padre è in voi”(Gv 14,20), “Il Padre vi ama” (Gv 16,27), “Il Padre sa ciò di cui avete bisogno…”, “Non temete, i vostri capelli sono contati dal Padre…”, “Il Padre dà lo Spirito a coloro che Lo pregano…”,  ecc. ecc. Ecco, attraverso tanti discorsi in cui Lui ci parla del Padre, poco alla volta, Egli ci fa capire che il Padre è dentro di noi, che il Padre ci ama, per cui  parlandoci sempre del Padre, ad un certo momento ci porta nella capacità di pensare il Padre, direttamente, come figli.

È un salto di qualità, una scoperta, ma è Lui che ce la fa fare, perché restando con Lui cosa avviene? Quello che avviene nelle nostre conversazioni: quando qualcuno parla con noi, dice tante parole, ma attraverso queste tante parole, se ascoltiamo, poco per volta, tendiamo ad arrivare a  scoprire un pensiero in modo da poter  dire: “Ah, volevi dire quello!”, cioè in modo da poter pensare quello che l’altro ci voleva dire.

Ora, se noi restiamo molto con Gesù, Gesù a noi dice tante parole; ecco se noi le raccogliamo e le seguiamo con attenzione, poco per volta Lui ci fa vedere il suo Pensiero. Il suo Pensiero (chiamiamolo il suo Cuore) è il Padre. 

Angelo B.: Il suo Pensiero non è quello che Egli è, cioè la sua Gloria?

Luigi: No, è il Padre. La Gloria è conseguente, è un atto successivo, perché è nel Padre che si scopre la sua Gloria. La gloria del Figlio la si scopre nel Padre; quindi non viene dalle sue parole o manifestazioni come Verbo incarnato nel nostro mondo.

A questo punto il Cristo ha compiuto la sua missione, la sua funzione di “strada”, di “via”, perché ci ha portati dove voleva portarci, per cui se ne va.

Infatti quando affida al Padre i suoi discepoli, Gesù prega il Padre di rendergli quella Gloria che Egli ebbe prima che il mondo fosse; ma ormai il mondo, per noi, quando siamo lì, è finito; perché questa Gloria non è qualche cosa del mondo: infatti Gesù parla di una gloria prima che il mondo fosse:affinché vedano la gloria che ebbi prima che il mondo fosse” (Gv 17,5).

Ma quel “prima che il mondo fosse” è un prima che si deve verificare anche in noi. Per cui la sua Gloria non viene più né dalle sue manifestazioni nel mondo, né da tutto quello che Egli è stato nel mondo, ma viene soltanto più dal Padre. La conoscenza dal Padre è una conoscenza nuova, che è dedotta, che deriva, che è figlia.

Questa è la meta a cui Cristo ci porta.

Allora, Lui attraverso tutto questo lungo dialogare con noi, se noi restiamo con Lui, poiché Lui si fa strada per i nostri passi, ci porta al Padre, nel quale vediamo la sua Gloria.

Per cui, non basta scoprire Lui, ma bisogna imparare ad abitare con Lui, a camminare con Lui  verso il “luogo” dove Lui va. Quindi, tutto questo lungo abitare con Lui, questo camminare con Lui, poco per volta ci porta (ecco la con-versazione) ad individuare il suo Pensiero, che è il Padre.

Quando Lui vede che noi ormai abbiamo, per tutte le parole che abbiamo ricevuto da Lui, la capacità di sostare nel suo Pensiero (nel Pensiero del Padre), perché lo vediamo.... Infatti nelle ultime conversazioni ad un certo punto dice: “Adesso, avete visto il Padre” (Gv 14,7): in questo momento L’avete visto! Gli Apostoli  non capiscono ancora, ma Egli dice “L’avete visto”.

E questo “L’avete visto”, quando Lui non ci sarà più è rimasto dentro, per cui  riemergerà, e allora s’interrogheranno: “Ma come? Noi L’abbiamo visto?! Lui ci ha detto che abbiamo visto il Padre!”. Capiranno allora che questo “avete visto il Padre” è la capacità di poterlo pensare; capiranno che effettivamente mentre Lui parlava loro del Padre, stava loro presentando il Padre e loro Lo stavano vedendo; ma non avevano ancora la capacità di sostare in questo Pensiero, per cui quando Lui cessava di parlare, non Lo vedevano più.

E ci può affidare al Padre proprio perché prima di andarsene ci ha portati a vederlo. A vederlo? Sì, a vederlo. Infatti nelle ultime conversazioni ad un certo punto dice: “Adesso, avete visto il Padre” (Gv 14,7): in questo momento L’avete visto! Gli Apostoli  non capiscono ancora, ma Egli dice “L’avete visto”.

E questo “L’avete visto”, quando Lui non ci sarà più è rimasto dentro, per cui  riemergerà, e allora s’interrogheranno: “Ma come? Noi L’abbiamo visto?! Lui ci ha detto che abbiamo visto il Padre!”. Capiranno allora che questo “avete visto il Padre” è la capacità di poterlo pensare; capiranno che effettivamente mentre Lui parlava loro del Padre, stava loro presentando il Padre e loro Lo stavano vedendo; ma non avevano ancora la capacità di sostare in questo Pensiero, per cui quando Lui cessava di parlare, non Lo vedevano più.

E allora prenderanno coscienza di questa capacità che Lui ha formato in loro di sostare con il Padre, per cui potranno “buttarsi” in quella “veglia infinita” che precede la grande rivelazione di Dio.

Ecco allora che quando Cristo si accorge che ormai noi siamo maturi per pensare il suo Pensiero, cioè il Padre, Lui ci dice: “Ciao! Ormai il lavoro è fatto; adesso resta lì; l’ora è del Padre: l’ora della rivelazione dipende dal Padre. Tu resta lì, nel suo Pensiero”.

Ecco, l’ora è del Padre: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli Angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Mt 24,36); “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta…” (At 1,7).

Ma bisogna restare nel Suo Pensiero: “…ma voi restate in Città, finché non siate rivestiti di potenza dall’Alto” (Lc 24,49).

E in quel punto non c’è più niente del mondo né di noi che ci possa portare via. Sotto un certo aspetto, in questa fase di attesa di vedere la Gloria, possiamo dire che avviene un po’ ciò che hanno esperimentato S. Agostino e  Monica, sua madre, durante l’estasi di Ostia: non c’è più niente mondo,  non c’è più nessun pensiero di noi, non c’è più niente: c’è solo più il pensiero del Padre.

A questo punto il mondo è finito per noi: siamo tornati al “prima che il mondo fosse”. È condizione essenziale per poter vedere la Gloria che il Verbo ebbe “prima che il mondo fosse.

Infatti  nel momento in cui si è affidati al Padre siamo in una situazione di purezza, di sguardo puro nel Padre. E sarà dal Padre che poi dopo conosceremo la Gloria del Figlio, quella gloria che Egli ebbe  prima che il mondo fosse”, perché  è lì che il Padre genera il Figlio in noi.

Il Padre non è una statua, non è un oggetto statico da guardare così. No! Il Padre opera. Egli è il Principio più attivo di tutti gli esseri.

Il Padre è un Pensiero attivo, “sempre opera(Gv 5,17), perché genera il pensiero di Sé, suo Figlio. Per cui nel Padre troviamo il Figlio: questo è vedere la sua Gloria.

Eligio: Sempre a proposito della contemplazione della gloria, vorrei chiederti questo: che cosa pensi abbiano visto gli Apostoli nella trasfigurazione sul Tabor? Per loro c’è stato questo salto di qualità?

Luigi: No! Nella trasfigurazione non è avvenuto il salto di qualità, perché lì gli Apostoli non erano ancora morti a se stessi. Morire a noi stessi è la prima condizione per giungere a vedere la Gloria.

Quindi il salto di qualità non è avvenuto nella Trasfigurazione. Il salto di qualità è avvenuto a Pentecoste. La trasfigurazione è uno squarcio che si è aperto tra le nubi, ma il Signore lì ha operato “sentimentalmente”.

Eligio: Non l’avrei proprio pensato.

Luigi: E no! Sul Tabor non c’è ancora stato per loro il salto di qualità, non hanno visto la Gloria del Verbo.

Infatti Gesù cosa dice loro? “Non parlate a nessuno di quello che avete visto, fintanto che il Figlio dell’uomo non sia mandato a morte e non sia risorto dai morti” (Mt 17,9): questo perché c’era qualcosa che doveva morire in loro; infatti dopo aver visto quella gloria del Tabor, loro pensavano ancora a se stessi, a chi fosse il primo. Infatti lo tradiscono, fuggono e lo abbandonano, ecc.: segno che non erano morti a se stessi.

Quindi questa non è la visione della Gloria, ma è una visione sentimentale (…è una manifestazione di Dio attraverso i sensi, esteriore, così come è esteriore l’apparizione della Madonna: una visione, ecc.).

Non può essere la visione della Gloria, perché per arrivare a vedere la Gloria è necessario che il nostro io sia morto con Cristo sulla Croce: è un passaggio obbligato, una condizione essenziale.

Eligio: Certamente, però non si può conoscere ciò che sul Tabor i tre Apostoli hanno esperimentato dentro di sé.

Luigi: Comunque è stata un’esperienza ancora su un piano sentimentale. È il Cristo che ha operato questo, ma ancora dall’esterno, per fortificarli interiormente prima della sua Passione e Morte, affinché, seminando in essi una nostalgia di un qualcosa che c’era da vedere, potessero superare lo scandalo della Croce.

Quindi non hanno visto la Gloria del Verbo, anche perché dobbiamo tenere presente che la  visione della Gloria è perfettamente intima, non può venire dal di “fuori”.

Eligio: Allora che cos’è stata per loro e che cosa significa per noi la trasfigurazione sul Tabor?

Luigi: Il Tabor rappresenta quei raggi di luce di cui parla S. Giovanni della Croce, con cui il Signore “ferisce” e poi si allontana per creare in noi il desiderio di vedere. E intanto però l’anima rimane ferita in quanto ha visto qualche cosa o ha visto che c’era qualcosa da vedere.

Ecco, quando qui leggiamo che  gli apostoli ci dicono: “Noi abbiamo contemplato la sua Gloria” , in noi si produce un fatto sentimentale, per cui ci chiediamo: “Loro hanno visto. Perché io no?”. Ecco che allora si  crea una ferita in noi! “Come mai qualcuno di noi uomini ha visto qualche cosa di più di quello che noi vediamo?”; questa domanda è una ferita che esige di essere curata.

Eligio: Ma la trasfigurazione non è stata solo un fatto fisico…

Luigi: Non un fatto fisico, ma un fatto sentimentale…

Eligio: Quindi non ancora a livello spirituale, non ancora nella sfera dell’anima?

Luigi: Sì, ma dico fatto sentimentale, esterno, nel senso che non hanno avuto ancora la visione della Gloria del Padre, al di là del mondo che si vede e si tocca, cioè non hanno ancora visto la Gloria del Verbo “prima che il mondo fosse”. Cristo  ha fatto vedere loro qualche cosa della sua trascendenza, come può essere un’apparizione della Madonna a un veggente.

Eligio: Mi sembra che la Trasfigurazione sia stato qualcosa di più di un’apparizione.

Luigi: D’accordo. Però è una concessione e siamo sempre su quel piano lì. È una figurazione, no? Una tras-figurazione. Ma non hanno visto la Gloria del Verbo.

Eligio: Pensavo che una manifestazione della Gloria potesse essere proprio la visione del Tabor.

Luigi: No, no! La visione della Gloria non appartiene al campo sentimentale, perché è perfettamente intima; non può venire dal di fuori; se venisse dal di fuori non ci salverebbe.

Eligio: Ma anche la Trasfigurazione è stata indubbiamente un’esperienza interiore, per cui non penso al Tabor come a un luogo geografico, ma al suo significato; lo penso come ad una esperienza spirituale che ci viene sì da qualcosa di esterno, ma che comunque è di grande aiuto.

D’altronde abbiamo bisogno del Cristo esterno, perché ci raccolga e ci porti al Padre.

Luigi: Certo, il significato della Trasfigurazione è di grande aiuto, come lo è stato per gli Apostoli. La visione del Tabor ha creato in loro una centralità: “Guarda il nostro Maestro…!”. Infatti nella Trasfigurazione hanno anche visto Mosè ed Elia che conversavano (con-versavano) con Lui.

Cristo ha fatto loro vedere questa scena per far loro capire che tutto (Legge e Profeti) converge su di Lui, che in Lui si raccoglie il senso di tutti i tempi. Ma è una visione. E con questa visione ha creato in loro un desiderio; ma siamo ancora sempre nel campo del sogno: “C’è qualcosa di bello da vedere!”.

Eligio: Quindi non c’è  nessun rapporto con la Pentecoste?!

Luigi: Eh no! Non ci siamo ancora!

Pinuccia B.: È ancora qualcosa di esterno.

Luigi: Certo, è ancora qualche cosa di esterno, che crea però una nostalgia di un qualcosa che si è intravisto.

È  come se qualcuno ci dicesse: “Quel tale mi ha detto che ha visto la Gloria del Verbo; è un uomo, eppure l’ha vista, quindi posso vederla anch’io”.

Questo già ci crea qualche cosa dentro, un desiderio di-: è una ferita!

Se il Signore non precedesse i tempi, non ci facesse vedere che c’è da vedere qualche cosa, noi non lo desidereremmo. Noi non possiamo desiderare una cosa che nemmeno sappiamo che esista.

Quindi in un primo tempo il Signore, magari in momenti particolari, ci fa vedere che c’è qualche cosa di vero, di giusto, che Lui è Vita,  ecc., cioè ci crea una ferita; però poi, da quel punto lì, ad arrivare a “possedere” ciò che si è visto, cioè ad arrivare a realizzarlo come coscienza e quindi arrivare a  prendere coscienza dell’Essere, per molti passa tutta una vita; …però sempre con quel sogno dentro.

Per cui  uno magari desidera restare sul Tabor, ma non ne ha la possibilità. Infatti essi dicono: “facciamo tre tende” (Mt 17,4) convinti di aver visto la Gloria. Ormai l’avevano vista! Perché allora ridiscendere? Non c’era più bisogno di ridiscendere! E invece non rimangono.

Se sul Tabor avessero visto la Gloria, perché allora Cristo non li ha fatti permanere? Se il problema del Cristo è quello di portarli a vedere la sua Gloria (ed Egli è venuto nel nostro mondo per questo), in quanto solo nella Gloria si é liberi, quando essi dissero: “Facciamo tre tende e restiamo sempre qui”, se avessero visto la Gloria, Lui avrebbe risposto: “Benissimo, restiamo qui!”. E perché non restano? Vuol dire che il problema non è ancora risolto.

Ci deve essere ancora il Calvario.

Infatti Lui dice “Non parlatene (quasi a dire: “nemmeno a voi stessi”), perché prima il Figlio dell’uomo deve morire e resuscitare”.

Quindi ci deve essere il passaggio della morte di Cristo e soprattutto della morte al nostro io.

Eligio: Ma penso che il problema non è mai risolto fintanto che siamo su questa terra. Si può arrivare ad attingere in qualche momento qualcosa della Gloria, ma prima di giungere a “possederla”…

Pinuccia B.: Per captare l’importanza di vedere la gloria, penso che dobbiamo desiderare le conseguenze che derivano da questa visione. Se vedere la Gloria è condizione per essere in unione con il Padre e il Figlio, la promessa di questa unione deve dirmi qualcosa, deve attrarmi, altrimenti non capto l’importanza di questa visione. Quindi se c’è in me il desiderio di questa comunione con il Padre e con il Figlio, allora sì che diventa per me interessante questo argomento.  Così pure, se sono cosciente che il vedere la Gloria è condizione per la mia liberazione, allora solo se desidero veramente questa liberazione diventa per me importante giungere a vedere la gloria del Verbo.

E così anche, se mi vien detto che vedere la Gloria è condizione per la nostra trasformazione da schiavi in figli, solo se sono cosciente di essere schiava di tante cose e desidero diventare figlia di Dio, allora incomincia ad interessarmi questo argomento della Gloria. Altrimenti corro sì il rischio di trovarlo astratto.

Luigi: Certo, per non trovare astratto questo tema della Gloria e capirne l’importanza, bisogna capire che vedere la Gloria è il fine della nostra vita ed è quindi la realizzazione piena di tutte le esigenze più profonde della nostra anima, che sono esigenze di Verità, di liberazione, di amore e di salvezza, di vita eterna: esigenze che sono ben reali e si fanno ben sentire. Certo, questo desiderio di liberazione e di trasformazione presuppone la convinzione, ad esempio, che noi siamo schiavi, che siamo in pericolo di morte, ecc. Infatti Gesù si presenta come Salvezza.

Si parla di salvezza ad uno che è in pericolo di morire, che è in un rischio. Quindi se  Gesù si presenta come Salvezza, vuol dire che siamo in pericolo di morte, che c’è un rischio. Ma  fintanto che noi non siamo convinti di essere in rischio, evidentemente non sappiamo cosa farcene di un Salvatore. Infatti tanti non sanno cosa farsene del Cristo e  dicono: “Io non ho bisogno di essere salvato; sto bene, ho salute, ho denaro, ho famiglia, ho lavoro… Da che cosa devo essere salvato? perché mi parli di salvezza?”. Se invece stiamo affogando, capiamo bene cosa vuol dire “Salvezza”.

Ecco, è necessario che si formino in noi determinate convinzioni che vengono attraverso tutte le lezioni della vita; e sono lezioni severe, almeno fino a quando non ci convinciamo che effettivamente vivendo per il pensiero del nostro io, per il mondo, per la figura  si rischia grosso. Infatti ad un certo momento ci accorgiamo che tutto il mondo ci domina, ci lacera e che siamo schiavi di tutto; questo lo tocchiamo con mano. Ma perché il Signore ci fa toccare con mano tutto questo?

Appunto per farci prendere coscienza che siamo in pericolo. Allora si forma in noi questa interrogazione:  “Chi ci salverà?”, “Chi mi libererà da questo corpo di morte?”(Rm 7,24). Una volta toccata con mano la nostra miseria, allora incominciamo ad appoggiarci ad uno, poi all’altro, e poco per volta, a forza di cantonate, arriviamo ad individuare Colui che ci salverà. E allora è lì che scopriamo il Salvatore.

Quindi non scopriamo il Salvatore quando Lui ce lo dice, ma quando siamo noi a dirlo (in quanto “siete voi che lo dite” – Cf Gv 18,37: “Tu lo dici!”). Siamo noi che dobbiamo dire: “Tu sei la mia Salvezza”. Fintanto che noi non glielo possiamo dire, dal profondo del nostro cuore, non incontriamo Cristo come nostro Salvatore. Come quando diciamo ad una persona che amiamo: “Ti amo”, così dobbiamo poter dire a Lui, con altrettanta convinzione: “Tu sei la mia salvezza”. Altrimenti non serve, e non ci serve perché questa espressione ci arriva dall’esterno. È necessario che parta invece dall’interno, da dentro di noi, in modo da poter dire con sincera convinzione:  “Tu sei la mia salvezza. Per me Tu sei tutto!”.  S. Tommaso dice: “Signore mio, Dio mio”(Gv 20,28), ma dice un’espressione che viene proprio dal profondo. Quando possiamo dire a Cristo, dal profondo di noi stessi: “Tu per me sei tutto!”, allora, a questo punto, non molliamo più il Cristo, perché ormai abbiamo scoperto che è Lui, solo Lui, che ci può salvare liberandoci dal pensiero del nostro io autonomo e conducendoci a conoscere il Padre e quindi a vedere la sua Gloria.

Pinuccia B.: Presentato così, non appare più un problema astratto il problema di vedere la Gloria, perché si capisce che risponde a ciò cui nel profondo tutti sospiriamo.

Eligio:  È un problema profondamente concreto, ma lo si capta concreto solo andando in profondità, valutandone i motivi. Però purtroppo si debbono usare parole che incidono poco a livello personale, perché trattandosi di una Realtà che ci trascende, non è possibile usare un linguaggio più aderente, più pratico.

Angelo B.: È questa la nostra difficoltà.

Luigi: Ma guarda che qui non siamo nel campo del pratico, come si può parlare dei poveri o di modi di essere. Quando si vede la Gloria non si è più nel modo di essere; anzi, qui addirittura il mondo è finito, deve essere finito in noi, proprio perché questa (lo vedremo ancora) è la condizione per poter vedere la Gloria “prima che il mondo fosse”. Ecco perché è importante per noi giungere a vedere la Gloria del Verbo, perché, come già abbiamo visto, è la condizione essenziale per la nostra liberazione, per la nostra comunione con Dio (altrimenti non si può arrivare alla comunione stabile con Dio) e per poter essere trasformati da schiavi in figli.

Ma è importante tener presente che la condizione essenziale (dopo quella di essere morti a noi stessi) per poter arrivare a questa Gloria, è la fine del nostro mondo,  è ritornare al “prima che il mondo fosse”. Cioè il mondo deve finire in noi. Non è che il mondo finisca, ma deve finire in noi, perché si tratta di raccoglierci tutto nel Pensiero del Padre.

È un momento di contemplazione, perché si tratta di raccoglierci soltanto in questo Pensiero a cui poco per volta il Cristo ci ha condotti, e sostare lì.

E lì non c’è più niente di mondo che conti, non c’è più niente di creature che conti, nemmeno del Cristo incarnato. È necessario questo superamento di tutto. Infatti Egli dice: “È necessario che Io me ne vada”(Gv 16,7).

Ma andandosene Cristo ci lascia il Padre e ci affida al Padre.

Nel Padre però Lo si ritrova; infatti Lui dice: “mi rivedrete” (Gv 16,16); ecco, Lo rivedremo in una condizione nuova, non più secondo la carne, ma “mi rivedrete alla destra del Padre”(cf Gv 14,19-20; Mt 26,64). Ma è una cosa tutta nuova.

Ecco “finora mi avete visto nella carne; adesso Io vi lascio, ma mi rivedrete in una condizione nuova”.

Quindi vuol dire che il cammino prosegue, che c’è veramente qualcosa di nuovo da vedere. C’è una sicurezza in quel “Mi rivedrete”, perché: “È il Padre che vi farà incontrare di nuovo Me”. È il Padre!

Quindi è il Padre che ci farà vedere il Figlio. Prima era il Figlio che glorificava il Padre; adesso invece: “Padre, glorifica Tu tuo Figlio” (Gv 17,5). È il Padre che lo deve glorificare e questo Gesù lo dice  per i discepoli, non per Sé.

Questo  non lo dice solo per loro, quasi a  premiarli, ma lo dice perché ogni uomo sappia qual è la strada che conduce alla Vita vera, cioè alla visione della Gloria che è poi l’inizio della  Vita vera.

Eligio: Se uno capisce  la sostanza di questo discorso, può allora capire l’importanza di vedere la Gloria e quindi rimanere sollecitato a seguire la “Via” per giungere a questa visione. Altrimenti tutte le cose dette  diventano cose astratte…

Luigi: È logico, perché certe cose fintanto che non si vivono non si possono provare. Uno ne sente parlare, sì, ma le parole sono veramente capite solo quando uno  vede la realtà stessa che annuncia la parola. Però l’ascolto di esse è utile perché, in quanto uno ne sente parlare, in lui già avviene un movimento: “Forse c’è qualche cosa da vedere”. Infatti sono cose che non possiamo  smentire, non abbiamo in noi argomenti per poterle smentire, ma nello stesso tempo non possiamo provarle, perché per provarle bisogna viverle.

Quindi questo ti crea la nostalgia, la speranza “forse c’è qualche cosa”. Non potendole smentire per giustizia siamo tenuti almeno ad ascoltarle. Quindi, il sentirle ha questa funzione positiva: di formare in noi il desiderio di vedere.

Se però siamo superbi diciamo: “Sono stupidaggini”; ma l’atto orgoglioso è nostro, perché non abbiamo argomenti sufficienti per poter smentire. Se invece siamo umili diciamo: “Mi sta parlando di qualche cosa che io non esperimento, non provo, però ascolto e cerco di capire perché mi sta parlando della meta alla quale desidero giungere”. Allora, se c’è questa apertura, il Signore ci conduce alla Meta, perché è Lui che ad un certo momento ci fa fare quel salto di qualità che è necessario.

Quindi arrivare alla Meta, fare il salto di qualità, è opera di Dio e in quanto è opera di Dio, nessuno lo sa quando questo avviene. Infatti Gesù dice: “Il momento, neppure il Figlio lo sa, neppure gli angeli, solo il Padre” (Mt 24,36). Quindi l’ora di questo salto di qualità che deve avvenire in noi, solo il Padre lo sa. L’ora è del Padre. E Gesù ce lo dice perché sappiamo che la visione della Gloria deve venire dal Padre, ed abbiamo a guardare al Padre.

Qui si ritorna al concetto della libertà del Padre: la manifestazione della Gloria è un atto propriamente libero del Padre. Per cui, non sono i nostri sforzi, non sono tutti i nostri impegni a portarci a vedere la Gloria. Certo, noi dobbiamo impegnarci, però il momento è del Padre, perché in quel momento l’anima deve poter dire: “Signore, è tutta opera tua”. Per grazia di Dio deve poter riconoscere: “È tutta opera tua”, altrimenti esce dalla figliolanza divina, non è più figlia di Dio. Ora, il figlio è figlio in quanto può dire: “È tutta opera del Padre”; altrimenti, se non può dire questo, dice: “Ma io mi sono dato da fare”. Ora, se io sono convinto di una cosa, non posso smentirmi perché, anche se a parole dico: “Signore, è tutto opera tua”, quella convinzione lì mi rimugina dentro, perché “in fondo in fondo, io mi sono dato da fare”. Per cui  se nel profondo ho il pensiero di essermi dato da fare, non posso entrare. Invece bisogna arrivare a poter dire in coscienza, in piena consapevolezza : “Signore, è stato tutto opera tua”.

Quindi il momento della visione della Gloria deve derivare dal Padre. Quindi non è un atto pratico nostro, quasi a dire: “Premo questo bottone e mi arriva quello”. No, tu premi il bottone e non ti arriva niente.

Eligio: Certamente, parlando della Gloria del Verbo non siamo nel campo pratico, nel campo del nostro “fare” esterno, però siccome non si giunge ad Essa senza di noi, dobbiamo avere ben chiaro l’atteggiamento da assumere per poter giungere a vederla.

Luigi: L’atteggiamento da assumere è quello di seguire il Cristo il più da vicino possibile; quindi non soltanto imitarlo, non soltanto ricordare le sue Parole, ma cercare di capire. E non soltanto di capire qualche parola o qualche scena della sua vita, ma tutto ciò che Lo riguarda. Perché è la totalità che ci fa arrivare. Lui non ha sprecato niente, non c’è niente di sprecato in tutto ciò che Lui ha fatto: tutto ha un significato molto importante. Direi: tutto è un segmento di questa retta che bisogna proseguire fino ad arrivare alla Vita Eterna con Lui, perché è Lui che conduce. Per questo bisogna cercare di capire “tutto” di Lui, perché tutte le sue Parole sono molto preziose, in quanto segnano un momento di questo cammino verso il Padre, e se noi le trascuriamo, rischiamo di rimanere sospesi a metà strada.

Per questo è molto importante sostare molto con Lui, meditare molto sulle sue Parole,  essere cioè molto amici suoi, in caso diverso si rimane a vagare senza mai arrivare. Quante volte mi trovo a parlare con delle persone che si ritengono più che religiose, più che cristiane, ed è per loro una scoperta il sentirsi dire che tutto lo scopo del Cristo è quello di farci conoscere il Padre, di portarci a ricevere lo Spirito Santo.

Cioè ritengono che basti per essere religiosi magari imitare il Cristo nel Getsemani, oppure imitare Cristo lavoratore, Cristo povero, oppure Cristo sulla croce e non capiscono invece che tutto deve tendere a questa Finalità: giungere a vedere la Gloria. Se non si ha presente il Fine lo stesso sentir parlare del Padre diventa una cosa secondaria. Invece è essenziale.

Pinuccia B.: Quindi ciò che caratterizza il cristiano da tutti gli altri non è l’amore per i nemici o il vivere le beatitudini, ma è questo: il cristiano (cristiano in quanto segue Cristo) può conoscere il Padre; è convinto dell’importanza di giungere alla Meta e ha la possibilità di giungervi attraverso Cristo.

Luigi: Certo. L’amare il nemico, e tutte le norme comportamentali che ci detta il Cristo sono momenti, sono tappe con Lui, sono aiuti per verificare il nostro amore per Dio. È come se Gesù ci dicesse: “Se tu odi il tuo nemico, vuol dire che il tuo io è ancora tanto grosso”. Quindi ci fa capire che dobbiamo superare il nostro io, ecc. ecc.; ma non dobbiamo fermarci a questi  modi di essere, ma intenderli come “banco di prova”. Sono tutte tappe necessarie per preparare in noi la disponibilità a ricevere l’Infinito di Dio, che è Vita eterna. La formazione di questa disponibilità nella creatura richiede tutto quel tempo precedente dell’Antico Testamento e poi anche il cammino con Gesù stesso, per poter camminare dietro di Lui fino alla fine. Sono tutte tappe che segnano la strada verso la Meta, ci fanno maturare e ci rendono disponibili ad accogliere la Vita Eterna. E la Vita Eterna è un Infinito! Per cui ci vuole una disponibilità infinita. Se la creatura non è disponibile, come potrà seguire certi argomenti molto profondi che Gesù propone al compimento della sua missione? Sono argomenti molto, molto profondi, perché ad un certo momento si arriva alla Vita Eterna. E la Vita Eterna è una sistemazione nell’Infinito divino, e Gesù ci vuole condurre lì. Quindi è  richiesta un’applicazione a tempo pieno di tutte le nostre facoltà: mente, cuore, tutto (tutto!) non soltanto di una di esse. Infatti è Dio stesso che dice: “Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze”(Dt 6,5; Mt 12,20). Non è uno scherzo!

Quindi siamo lontanissimi se confondiamo il cristianesimo con: “Ama i nemici”, o con la povertà, o con la mansuetudine, o con la non violenza. No, questi sono modi di essere.

L’essenza del cristianesimo è proprio questa: arrivare alla conoscenza del Padre, alla Gloria. Cioè bisogna capire soprattutto il capitolo XVII di S. Giovanni, la preghiera sacerdotale, in cui Gesù consegna  coloro che l’hanno seguito fin lì al Padre. Ma bisogna capire! Non basta ripetere, bisogna capire! Perché chi ama vuole capire; invece è a chi non ama che non importa di capire; ma chi ama necessariamente vuole capire.

Ines: La difficoltà sta proprio nel capire.

Luigi: Ma sei convinta che il  capire è un volto dell’amore? Quando a me interessa poco una persona, mi interessa anche poco capirla. Che mi dica una cosa o un’altra, a me importa ben poco.  Se invece una persona mi sta molto a cuore e dice una determinata parola, mi preoccupo molto di capirla, perché appunto mi sta a cuore.

Ora, quello “stare a cuore” è desiderio di conoscere. Direi: tra la conoscenza e l’amore c’è un rapporto diretto. Non possiamo scinderli; per cui se mi sta molto a cuore il Cristo, mi deve stare molto a cuore il capire le sue Parole: perché ha detto quella parola e non quell’altra?  Perché le ha dette in quel determinato momento lì? Ed è proprio quel tanto interesse che ci permette di sostare con le sue parole e che mi porta alla conoscenza.  Il desiderio di capire è fondamentale a tutti i livelli in cui l’anima si trova: è il “test” che rivela se c’è veramente l’attrazione per il Padre, la convinzione dell’importanza della Meta a cui siamo destinati e quindi se ci sta veramente a cuore il Cristo, la via.

La parabola delle vergini stolte è una delle parabole più eloquenti (Mt 25,1-12); esse erano vergini, il che vuol dire che erano staccate dalle creature, staccate dal mondo: quindi non basta il distacco; avevano la fede, la lampada accesa: non basta la fede; andavano incontro allo sposo: non basta andare incontro allo sposo. Ora, tutte queste loro “virtù” a cosa sono servite?

A essere chiuse fuori e a sentirsi dire, proprio dallo Sposo “che loro tanto cercavano”, per il quale hanno portato la lampada, per il quale si sono mantenute vergini: “Non vi conosco”, cioè, “non c’è niente di Me in voi”. Perché? Perché erano stolte, non erano intelligenti, non si sono preoccupate di capire. E questo accadrà a chiunque è stolto, non intelligente, cioè a chiunque non si è mai preoccupato di capire.

Pinuccia A.: Ah, ecco, il fatto che non avevano preparato l’olio significa che mancarono di intelligenza?!

Luigi: Esattamente.

Pinuccia B.: Capire non dipende da noi, ma preoccuparci di capire dipende da noi.

Luigi: Il cercare di capire è un’espressione d’amore.

Angelo: Sì, ma penso che ciò che è importante non è preoccuparci perché non capiamo, ma preoccuparci di capire.

Luigi: Certo. Anzi  ad un certo momento, dobbiamo renderci conto e convincerci che non possiamo essere intelligenti senza di Lui, per cui abbiamo bisogno di stare sempre uniti a Lui. Lui è Colui che inizia e Lui è Colui che conclude, Lui è la Via, Lui è tutto. Per cui se io sono stolto, mi debbo aggrappare molto a Dio perché mi renda intelligente, perché è Lui che mi rende intelligente, non siamo noi intelligenti. Per intelligenza non intendiamo quella dote di natura per cui “quel tale è intelligente”. No! Non è quella l’intelligenza di cui parla Gesù, ma l’intelligenza intesa come sapienza. La vera sapienza di cui parla la Bibbia è ben altra cosa dall’intelligenza umana, dote naturale.

La vera sapienza è il timor di Dio, cioè  è quella che fa attenzione a Dio, perché è Dio che rende l’uomo intelligente, cioè capace di leggere le parole di Dio: di leggerle, quindi di intenderle, di coglierne cioè lo Spirito, l’intenzione. È la Sapienza che ci convince della Meta a cui siamo chiamati e dell’importanza di giungervi e ci rende intelligenti nel riconoscere la Via e nel seguirla.

Ines: Quindi a noi è richiesta questa attenzione?!

Luigi: Sì, è richiesta questa attenzione a Dio, perché noi possiamo cadere in certe abitudini religiose e avere l’illusione di essere religiosi, perché siccome siamo inseriti in un certo ambiente già fatto, molte volte tendiamo a trasformare in routine, quindi in non intelligenza, quello che è un problema religioso. Ecco, il rischio di limitarci a ripetere o a ricordare le Parole di Gesù a memoria come un disco. Non è quello! Perché ci deve essere in noi la preoccupazione di far attenzione “perché il Maestro mi sta parlando! Ecco, il Maestro mi sta parlando! E  se mi parla devo ascoltarlo!”.

Teniamo presente che se Dio parla è perché ha formato in noi l’orecchio per ascoltarlo, quindi vuol dire che ci dà la capacità di far attenzione e di ascoltarlo. Quindi in noi ci deve essere l’ansia, la preoccupazione di capire, perché “Dio mi sta parlando”. Però l’intelligenza per capire le sue parole mi viene da Lui; per cui debbo fare molta attenzione a Lui; non debbo dire: “Un giorno poi capirò o mi impegnerò…”. No! Debbo guardare molto a Lui, perché soltanto guardando a Lui rimango nel desiderio di capire e ricevo l’intelligenza per capire.

Allora, in un primo tempo è importante, anzi è necessario, che il Verbo di Dio si faccia carne e occupi un posto in questo mondo, perché abbiamo bisogno di una presenza fisica a cui agganciarci. Ma in un secondo tempo la sua presenza fisica se ne deve andare; ma tra il primo avvenimento e il secondo avviene un fatto importantissimo dentro di noi.

Ecco:  in un primo tempo abbiamo bisogno di incontrare il Cristo e in un secondo tempo abbiamo bisogno che il Cristo se ne vada (è Lui stesso che ci dice che è importante, anzi necessario, che se ne vada), ma tra i due tempi succede una grande rivoluzione dentro di noi, e la grande rivoluzione consiste in questo: quando noi abbiamo bisogno di incontrare il Cristo come carne è perché siamo molto dispersi dal mondo, cioè tutto pesa su di noi e ci porta via. Incontrando il Cristo, troviamo Uno che opera in noi la distrazione da tutte le altre cose e la concentrazione su di Sé, in quanto risponde alle nostre esigenze.

Quando ormai siamo solo più presi da Lui, perché c’è in noi un grande amore tutto incentrato in Lui, al punto che il resto non ci importa più e non andiamo più alla ricerca di altro, allora ecco che siamo liberi dal peso delle cose, non sentiamo più il  peso di esse.

Ecco, liberi dal peso del mondo, a questo punto il Cristo dice: “Adesso anche Io me ne vado. Perché? “Perché vi devo consegnare ad una Realtà diversa”.

Cristo ci libera dal peso delle cose col suo “peso” fisico, con la sua attrazione. È quanto è avvenuto negli Apostoli, per cui essi non se ne vogliono più andare dal loro Maestro, perché hanno capito che solo Lui ha parole di vita eterna.

Questa liberazione che Gesù ha operato in loro con la sua attrazione, si rivela quando Lui chiede agli apostoli: “Volete andarvene anche voi?” e Pietro risponde per tutti: “Da chi andremo? Tu solo hai parola di Vita eterna!”(Gv 6,68) “Tu solo!”: ecco ormai gli altri non interessano più.

Ines: Ma non c’è il pericolo di tornare indietro? Lo vediamo in Pietro: Gesù gli dice “Te beato” e poi subito dopo…

Luigi: Certo, il rischio di far marcia indietro c’è senz’altro, ma prima di arrivare alla Pentecoste. Però questo momento in cui Cristo se ne va (ed è questo un passaggio necessario per giungere alla Pentecoste, ed è Lui che lo determina), è una cosa molto diversa dal fatto di sentirsi dire: “Te beato…!”, perché Cristo se ne va quando ormai l’anima è pronta per questo passaggio.

In un primo tempo ci vien detto: “Tu devi sempre restare legato a questo corpo di Gesù, fintanto che non ti porterà alla vita eterna”. Ma quando arriva il momento di questo passaggio, e Lui che ci conosce sa quand’è il momento, Lui stesso ci dice: “È necessario che Io me ne vada”,  perché, volendo farci scoprire la sua Gloria nel Padre,  vede che la nostra anima è matura per poter fare questo passaggio.

Il sentirsi dire queste parole è una scoperta; e quando tu fai una scoperta, la fai una volta per tutte. Ed è una cosa molto diversa dal sentirsi dire “tu sei beata”, perché questo me lo dice dall’esterno e quindi non è una cosa irreversibile. Infatti  il Cristo dice a Pietro: “Beato te!” (Mt 16,17), e cinque minuti dopo gli dice:  “Sei un demonio!” (Mt 16,23), ma sono parole dette dall’esterno. Quando invece Cristo dice: “È necessario che Io me ne vada” è una cosa tutta diversa: c’è una scoperta e si va verso una scoperta nuova: Lui vede che dentro di noi ormai c’è bisogno di qualche cosa di diverso: c’è bisogno del Padre.

Quindi quando se ne va e ci dice: “È necessario che Io me ne vada…”, è perché ormai Lui  ha visto che si è formato in noi  il bisogno del Padre, per cui Lui ci dice: “Ti affido al Padre, guarda solo al Padre e resta lì”.

Sono tappe nuove; e queste tappe nuove sono scoperte, sono conoscenze nuove. È come quando, ad esempio, abbiamo sentito dire: “Vedere la gloria è vedere ciò che uno è”. Direi:  è una scoperta. Ora quando la scoperta è fatta è fatta.

Eligio: Non è detto però che, per intrinseca debolezza della natura umana, uno aderisca perennemente a questa scoperta e non ritorni di nuovo ad avere le idee confuse.

Luigi: Certo, non è detto che con questo uno sia arrivato a vedere la Gloria. Il definirla: “manifestazione di ciò che uno è”, è una scoperta a parole, ma tra questa scoperta e il vedere la Gloria c’è un salto enorme: è un salto di qualità.

Eligio: Come c’è un salto di qualità tra il vedere la Gloria e il restare in Essa.

Luigi: Ah, no! quando  vedi la Gloria resti, perché non puoi non restarci. Il vedere la Gloria è una scoperta tutta diversa. Non puoi non restarci.

Angelo B.: Facciamo difficoltà a capirlo perché forse siamo ancora tanto lontani dal vedere la Gloria.

Eligio: Intuiamo qualcosa, che subito ci sfugge. Per questo dicevo che quando facciamo delle scoperte non è facile restare in esse.

Angelo B.: Ma io sono convinto che quando vedremo la Gloria sarà una scoperta che non ci scappa più, perché deve essere una cosa troppo importante.

Luigi: E già! È la stessa relazione che c’è tra il vedere la Verità e l’amarla: chi vede la Verità non può non amarla; se noi amiamo altro dalla Verità è perché scambiamo l’altro per Verità. Infatti se noi siamo schiavi delle cose materiali, lo siamo unicamente perché le scambiamo per vere, e riteniamo che siano importanti e allora naturalmente corriamo dietro di esse: “Devo fare questo e quell’altro… Devo andare qui e là… Se non ho questo, come faccio?”, e questo facciamo perché, non conoscendo la Verità, le scambiamo per vere, per cui amiamo queste cose, anziché la Verità. Ma il giorno in cui conosceremo la Verità non potremo non amarla. Chi conosce la Verità, non può non amarla!

In Cielo non si può peccare, non si può desiderare altro, perché si vede la Verità, per cui non si può fare l’errore. È soltanto quando non si conosce la Verità che si può sbagliare. Ecco perché quello che noi chiamiamo libertà è soltanto effetto d’ignoranza; infatti noi abbiamo soltanto la libertà di sbagliare, e questo è effetto d’ignoranza. Infatti se noi vedessimo ciò che è vero, ciò che quindi ha vero valore, non sbaglieremmo mica, non avremmo questa “libertà” di sbagliare; cioè avremmo la vera libertà: quella di non sbagliare. Quindi, quella che noi diciamo “libertà” è soltanto effetto d’ignoranza, di lontananza dalla Verità. Ecco allora: siccome vedere la Gloria è vedere la Verità, chi la vede non può non amarla, non può non restare in Essa.

Pinuccia B.: Ritornando all’argomento di prima: il Cristo se ne va soltanto quando vede che l’anima è matura per fare il passaggio al Padre. Quindi se Egli se ne va, è perché in quel momento non abbiamo più bisogno della sua presenza fisica. Ciò non toglie però che, anche quando Dio ci farà la grazia di vedere la Gloria del Verbo, noi continuiamo a ritornare sulle parole di Cristo; quindi per noi il Verbo incarnato non è che se ne vada del tutto...

Luigi: Noi ritorniamo sulle parole del Cristo, perché questa Gloria, questa visione di Verità, ci riconduce a vedere tutto quello che è avvenuto. Quando tu arrivi sulla cima di una montagna e ti volti indietro, dici: “Ah, guarda tutti i sentieri che abbiamo fatto!”; e vedi cose che non vedevi mentre salivi, in quanto salendo non ti  rendevi conto del perché di certi percorsi; invece guardando dall’alto si capisce il perché di certi giri, il perché di certi divieti o deviazioni, i pericoli scampati, ecc., si capisce tutto, ma dall’alto. Così avviene nelle spirito.  Infatti Gesù dice: “Lo Spirito di Verità, (che è poi questa Gloria), vi condurrà verso la Verità intera, perché non parlerà da Se stesso, ma ridirà tutto quello che ascolterà… perché prenderà ciò che è mio e ve lo farà conoscere, ve lo spiegherà”. “Non vi dirà niente di nuovo”:  il “Nuovo” è Lui! (Gv 16,13-14).

Pinuccia B.: Cioè si scoprono in un modo nuovo le Parole di Cristo.

Luigi: Cioè si scoprono le Parole del Cristo, si scoprono nello Spirito di Verità, si scoprono nella Verità.  Mentre prima non potevamo negarle in quanto non avevamo argomenti per dire: “questo è sbagliato”, però non le capivamo, invece,  con lo Spirito, possiamo scoprirle nella Verità, cioè toccare la Realtà che annunciavano.

Pinuccia B.: Quindi il Verbo incarnato noi Lo ritroveremo, quindi non è che se ne vada definitivamente.

Luigi: Ma vedi, nella Verità c’è la sintesi di tutto! Nella Verità è tutto ricuperato!

Pinuccia B.: E quindi il Verbo Incarnato continua ad essere influente su di noi, perché noi torneremo alle sue Parole.

Luigi: Ah, senz’altro! È logico, tutta l’opera è sempre di Dio e, direi, a quel punto lì si vive nel seno della Trinità Divina, cioè si vive inclusi nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo; perché si abita con-. Quindi tutta l’opera è di Dio, e la Vita Eterna è una vita con Dio, quindi l’iniziativa è sempre di Dio, quindi non c’è nessuno che sospenda l’opera;  ma ormai la funzione dell’incarnazione è superata. S. Paolo stesso dice: “Se noi anche abbiamo conosciuto il Cristo secondo la carne, adesso non Lo conosciamo più”(2 Cor 5,16). Quindi, vedi che ci sono fasi diverse nella vita?

Pinuccia B.: Però il Cristo risorto è risorto anche con il suo Corpo; allora, quando avremo visto la sua Gloria, rivedendo le sue Parole  rivedremo il Cristo Risorto?

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Ma risorto, è pur sempre il Verbo incarnato.

Luigi: Sì,  ma ormai è una fase superata; cioè si capisce tutta l’opera che Dio ha fatto per noi:  arrivati sulla Vetta capiamo tutto il cammino che Dio ha fatto per noi, quindi tutto l’abbassamento, la Passione, la Morte, l’annullamento di Dio per salvare noi, per incontrare noi.

Questo lo si vede anche nella Vita eterna, perché nella Verità si vede tutto, si ricupera tutto. Ed  è lì che sboccerà il grande amore per Dio: perché vedremo  la grande misericordia che ha avuto per noi.

Questa sua opera, questa sua Misericordia, resterà eternamente e  la vedremo eternamente, non è che sia cancellata. In Paradiso si vedrà tutto l’amore che Dio ha avuto e continua ad avere per noi; vedremo il suo abbassamento per salvarci. Ma una volta che uno è salvato, non torna mica più indietro, non ha più bisogno di essere salvato; se è salvato, è salvato definitivamente, perché altrimenti non è salvato. Cioè, ho detto, che ci sono dei salti di qualità che con il Signore si fanno.

Il Signore ci ha fatto fare dei salti di qualità, e in quanto si sono fatti, sono salti che si sono fatti, e una volta fatti non si torna indietro,  non si ricade nel tempo. In Dio si cammina a senso unico: una tappa quando è superata, è superata.

Eligio: È difficile però capire come non si torni indietro, perché  S. Agostino dopo l’estasi di Ostia, dice: “per debolezza della natura umana sono tornato alle cose usuali…”.

Luigi: Certo, ma proprio perché l’estasi, come la trasfigurazione, non è vedere la Gloria. Il vedere la Gloria è una cosa diversa.

Infatti anche nella trasfigurazione non sono potuti restare sulla cima del monte e sono discesi giù.

Eligio: La contemplazione trascende le cose materiali, i sensi a cui le cose materiali si riferiscono, la ragione a cui i sensi fanno capo, l’intelligenza, ecc.; che cosa ancora deve trascendere? Cioè, se un’anima entra in Dio, anche se non può restare, non c’è un salto di qualità?  Si trascende perfino l’intelligenza!

Luigi: Sì, ma non è ancora quello! Quello non è ancora vedere la Gloria; quelli del Tabor o dell’estasi di Ostia sono solo raggi di Luce che affascinano; però, per il fatto che non si rimane, vuol dire che questo non  è ancora vedere la vera Gloria.

Le esperienze che il Signore può far fare ad un’anima, paragonabili all’estasi di S. Agostino, appartengono ancora al mondo della trasfigurazione: sono raggi di Luce con i quali Dio ti conquista, ti fa vedere che c’è qualcosa da vedere, però…

Eligio: Pensavo appartenessero già al mondo extra-umano, fuori dell’umano, quindi che fosse una visione completamente fuori delle facoltà umane, come quella che ha avuto s. Paolo e quella che ha avuto s. Giovanni.

Luigi: Sì, ma diciamo così: sono visioni, sono raggi di luce che il Signore ti manda per conquistarti. Ma quando te li ha mandati, tu non puoi restare, perché c’è tutta la tua vita che deve entrare lì.

Questi raggi di Luce sono lampi in cui Egli dice: “Guarda cosa c’è da vedere! hai visto? Chiuso tutto, adesso arrangiati; devi arrivare lì”.

E allora attraverso  tutta quella tribolazione di vita per poter arrivare lì, il tuo amore si fortifica. Perché c’è anche questo da dire: fintanto che noi siamo in “tribolazione”, cioè fintanto che non siamo arrivati lì, possiamo aumentare l’amore. Quando tutto ci è dato, l’amore non si muove più: ormai tutto è dato.

Quindi fintanto che siamo in tribolazione per arrivare a quella Meta, noi possiamo aumentare l’amore. Ecco perché tutto non ci è dato. Non ci è dato  perché il Signore ci vuole offrire la possibilità di aumentare l’amore verso di Lui: ci mette tutto nelle mani dicendoci: “Mi puoi amare nel modo e nell’intensità che vuoi. Mi vuoi amare poco? Amami poco. Mi vuoi amare tanto? Amami tanto. Io ti do  la possibilità di amarmi: come e quanto vuoi dipende da te”.

Ora, in che cosa consiste questa possibilità di amarlo? In quanto io ho tanta possibilità di tradirlo.

Fintanto che io ho tanta possibilità di tradire l’amore, io posso crescere nell’amore; quando non ho più la possibilità di tradire l’amore, il mio amore è stabilizzato, non posso più muovermi, cioè non posso più farlo crescere.

Quindi è la possibilità di tradire, è la possibilità di trovarmi in esilio, la possibilità di potermi divertire con tutto il mondo Suo, anziché cercare Lui, che mi dà la possibilità di essere fedele, e quindi di aumentare tanto la carica d’amore.

La tentazione ha due facce: una positiva e una negativa: la faccia negativa della tentazione è il rischio di cadere, la faccia positiva è questa: proprio in quanto si è nel rischio di tradire, si ha la possibilità di crescere tanto in questo amore, e quindi di conoscerlo tanto.

E Lui ci dice: “Cercami con tutte le tue forze”; quindi Lui non ci mette limiti. I limiti li mettiamo solo noi. Il giorno in cui Lui ci dà tutto fatto, ormai l’amore è bloccato.

Per questo dico che noi avremo solo per quel tanto che di noi avremo donato e non per quello che avremo avuto.

Eligio: Bisogna tener presente la debolezza della natura umana, per cui la creatura magari vorrebbe tendere al massimo e poi chissà per quali ragioni stenta ad aderire.

Luigi: Certo, però il  Signore ci conosce. Noi invece non ci conosciamo. Il Signore conosce, Lui sa quello che la creatura può fare e quello che non può fare. Lui dice: “Amami con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto il tuo cuore, con tutto te stesso” e poi: “Io ti do tante occasioni per tradirmi; e queste tante occasioni per tradirmi sono tante occasioni che ti do per aumentare il tuo amore. Ecco, ti metto tanto nel rischio, tanto nella difficoltà, perché tu possa dimostrarmi il tuo amore”.

Ines: Sono inviti che Lui ci fa ad amarlo.

Luigi: Certo, sono inviti, ma sono anche rischi, perché noi possiamo divertirci, cioè possiamo perdere del tempo.

Pinuccia A.: Sono inviti a superare il pensiero dell’io.

Luigi: In tutto Dio ci invita a questo, perché il superamento dell’io è la prima condizione necessaria per poterlo conoscere, per giungere a vedere la sua Gloria.

Già la volta scorsa ci siamo chiesti: “Ma perché il Signore non ha parlato chiaramente, non ci ha detto tutto in modo esplicito; perché ci sono dei vuoti, ci sono delle cose da riempire?”. È proprio questo il motivo: perché il giorno in cui Lui ci desse tutto, la nostra possibilità di crescere nell’amore sarebbe finita: noi non potremmo più aumentare il nostro amore, il nostro amore sarebbe stabilizzato.

Noi possiamo aumentare l’amore nella misura in cui non abbiamo tutto, in quanto ci diamo da fare, perché diventiamo figli delle nostre opere. E allora, più ci diamo da fare per Lui e più cresciamo; ma per darci da fare è necessario che non ci sia dato tutto. Perché se ci è dato tutto noi siamo bloccati, siamo fermi, non possiamo più fare niente. Quindi a questo punto noi potremo soltanto più intendere per quel poco o tanto di amore che abbiamo avuto prima, quando non ci era ancora dato tutto; cioè quando avevamo noi la possibilità di dare qualche cosa.

Eligio: Hai detto: “Se Dio ci desse tutto, l’amore sarebbe bloccato”. Cosa intendi per “tutto”?

Luigi: La conoscenza di Sé. Se ce la desse subito, noi non potremmo portarla e nemmeno potremmo più crescere nell’amore. Per poterla portare bisogna che si sia formato in noi il desiderio di essa, e quindi l’amore. Ma come si forma l’amore per essa? Appunto, non dandocela, ma facendocela desiderare. Se essa ci venisse subito data, non si formerebbe in noi il desiderio, non crescerebbe in noi l’amore. Noi possiamo penetrare nella conoscenza nella misura in cui siamo attratti da essa, nella misura in cui l’abbiamo cercata, amata.

Angelo B.: La conoscenza allora ha diversi gradi?!

Luigi: Certo, noi potremo penetrare nella conoscenza nella misura in cui siamo cresciuti nell’amore.

Angelo B.: Quindi più tardi ci dà la possibilità di arrivare e più grande è il nostro amore, e più ne vediamo una fetta grossa…

Luigi: Non è il “più tardi” che conta,  ma è la potenza, la capacità; direi che è la tanta fame che ci fa penetrare nella conoscenza.  Nelle difficoltà la tensione aumenta, se noi ci manteniamo fedeli all’amore. Quindi quanto più uno è lontano dall’oggetto del suo amore, tanto più l’amore aumenta. Ecco perché si dice che la lontananza aumenta, fa crescere il vero amore, ma estingue invece il poco amore.

Ora, è questa intensità d’amore,  è questa tanta fame che ti farà penetrare tanto nella conoscenza.

Allora più cresce la fame e più tu gusti il cibo: il cibo è la conoscenza. Quindi quanto più tu hai la possibilità di far crescere la fame, tanto più avrai la possibilità di gustarti il cibo che arriverà. Se la tua fame è cresciuta tanto, allora quando arriverà il cibo tu lo gusterai immensamente. Se invece disgraziatamente il cibo ti arriva prima che tu abbia fame, tu non puoi gustarlo; addirittura il cibo diventa una tribolazione per chi non ha fame e questo è l’inferno.

Ora, fintanto che non ci è dato il pane, noi abbiamo la possibilità di desiderarlo; noi però possiamo divertirci con altri pani, saziarci con altri cibi.

Il rischio sta lì, per cui possiamo dire: “Dal momento che non arrivo a Dio, io incomincio a divertirmi con quello che ho”. Ecco, il disastro sta lì!

Quindi il disastro è sospirare altri cibi anziché quello  vero; come il popolo Ebreo che ad un certo momento, durante il cammino nel deserto verso la liberazione, anziché la terra promessa sospirava l’Egitto e si lamentava contro Mosè (e quindi contro Dio): “Ci hai portato via dall’Egitto! Là perlomeno avevamo le cipolle da mangiare! Eravamo schiavi, ma potevamo mangiare”. C’è questo rischio: nel deserto ci si può, ad un certo momento, voltare indietro e rimpiangere il passato, rimpiangere “le cipolle d’Egitto”.

Eligio: Penso che la difficoltà più grossa, trovandoci nel deserto, sia invece quella di non avere più attrazione o rimpianto per l’Egitto che hai lasciato e di non vedere ancora la terra promessa.

Luigi: Ma è lì la fedeltà! È lì che si prova la fedeltà!

Per cui è nel deserto che si rivela se uno ha vero amore per Dio: quando l’amore è vero, c’è la fedeltà,  per cui un’anima che ama anche se deve tribolare, dice: “Ti seguirò dovessi andare con Te fino alla morte” (Mt 26,35). Allora lì c’è l’amore. Un amore che è ancora relativo, come anche lo fu per Pietro, comunque è amore: “… Dovessi andare con te fino alla morte, voglio restare con Te! Non mi importa il deserto, purché io sia con Te. Qualunque prova, purché io sia con Te!”.

Allora lì abbiamo l’amore.

È per questo che il Signore ci mette nella prova. Abbiamo l’esempio di Giobbe. Diceva il demonio a Dio: “È facile per Giobbe credere in Te: l’hai inondato di beni, di ricchezze, di figli, di greggi, di cascine, ecc.! È facile per lui credere in Te. Mettilo un po’ alla prova! Prova un po’ a togliergli tutto, e allora vedremo se c’è in lui il vero amore”. Gli viene tolto tutto e Giobbe rimane fedele.

Ed è proprio lì, nella difficoltà, nella lontananza, nel sospiro, nella sofferenza, che l’anima che ama dice: “No, io voglio restare fedele al mio Signore, a qualunque costo, anche se mi fa morire”. Come Cristo  sulla Croce: il Padre lo fa morire, ma Lui resta lì e muore, proprio perché è restato fedele all’amore per il Padre; avrebbe avuto la possibilità di scappare, avrebbe potuto sfuggire al tradimento, uscire dal Getsemani, ma ha voluto restare; perché?

Ecco l’Amore: Lui lo dichiara: Affinché il mondo sappia che Io amo il Padre (Gv 14,31). “Affinché il mondo sappia che Io amo…”.

Noi dobbiamo imparare come si fa ad amare; per cui se anche Dio ci mette in croce, e Lui lo sa perché ci mette in croce, noi dobbiamo restare, accettare e restare fedeli a Lui. Non dobbiamo abbandonare Dio, dicendo:  “Ah, no! un momento, le creature mi liberano dalla croce, quindi me ne vado con le creature; tu sei un Dio troppo crudele”. No! Il problema sta nel restare fedeli, perché è un problema d’amore.

Ora, fintanto che c’è la difficoltà, c’è la possibilità di aumentare l’amore, cioè, di aumentare la fame. E questo è tutta grazia, perché ci dà la possibilità poi di gustare tanto il Pane. Per cui poi magari sono sufficienti cinque minuti, come per il buon ladrone, per conquistare tutto. Come mai?

Noi diciamo cinque minuti, ma chissà quanta fame lui ha maturato! perché era un ladrone, e chissà quante volte lui avrà sospirato, avrà invocato di essere liberato da questa passione infame, da questa vita che gli pesava, da certe situazioni, a causa delle quali lui doveva fare il ladrone, pur sospirando la liberazione. Per cui, al momento ultimo, in cui si è trovato sulla croce, ha detto: Signore, ricordati di me…” (Lc 23,42), al che Gesù rispose: “Oggi sarai con Me in Paradiso!” (Lc 23,43). Ecco, è bastata quell’invocazione! Ma è un’invocazione che  rivela tutta la fame di una vita.

Certo, non basta essere crocifissi con Cristo; infatti abbiamo l’altro ladrone che invece bestemmia. Evidentemente costui non ha maturato quella fame, quel bisogno di liberazione e quindi quella fedeltà che invece l’altro ha maturato.

È la fame che ci salva; e la fame è segno di fedeltà a Dio. Convinti?

Eligio: Certo! Ed è una riflessione, questa, che ci fa prendere coscienza delle nostre infedeltà.

Pinuccia B.: Pensando a questa infedeltà, mi consola il buon ladrone...

Luigi: Mi sembra che ti consoli, perché non vedi quello che c’è stato prima nel buon ladrone. Tu vedi solo forse quei cinque minuti, ma chissà quanta passione per Dio portava dentro di sé! Chissà quanto ha sospirato di incontrarsi con Cristo senza averlo mai incontrato; e finalmente L’ha incontrato in quel momento lì!

Così Matteo (Levi): alla chiamata del Maestro, nonostante fosse al banco delle imposte, è partito subito, ma chissà quanto desiderio lui aveva di essere liberato da quel banco di esattore, di essere liberato da quel mestiere! Ma non trovava altro, nessuno  lo prendeva; è passato il Cristo che l’ha guardato, l’ha chiamato, e lui subito ha risposto; quindi in lui c’era la fame.

Ora il Cristo risponde ad una fame “dentro”; è necessario che ci sia questa fame; altrimenti noi diciamo: “Fortunati loro che li ha chiamati”, proprio perché non consideriamo la fame che c’era “dentro”, la tribolazione, il crogiolo attraverso il quale si è formato questo amore per-, per cui ad un certo momento esso affiora… Ma questo momento è una conclusione. Insomma, anche qui ci sono prima “i sei giorni della creazione”.

Questo crogiolo sono i sei giorni della creazione che precedono il giorno senza sera.  Noi diciamo: Dio ha fatto l’uomo, ma non teniamo presente tutto l’universo che ha fatto prima. E così lo stesso: noi vediamo solo il momento in cui affiora l’amore, il desiderio, ma non vediamo tutte le tribolazioni prima, attraverso le quali si è formata  in quell’anima la fame di Dio, la fame di essere liberata.

È questo lo scopo, la funzione di tutto l’Antico Testamento che si sintetizza poi nel battesimo di giustizia di Giovanni Battista.

Pinuccia B.: Se Gesù ha detto al buon ladrone: “Oggi sarai con Me in Paradiso”, vuol dire che questo ladrone aveva in sé tutte le condizioni per vedere la Gloria.

Luigi: Infatti in quell’affidarsi incondizionatamente a Dio (“Ricordati di Me…”), in quel guardare solo più Dio, c’è la sintesi e la conclusione di tutto un cammino di maturazione spirituale, deve aver capito tante cose per poter aggiungere quelle parole: quando sarai nel tuo Regno”.

D’altronde, la situazione in cui è venuto a trovarsi, crocifisso con Gesù, gli ha fatto bruciare le tappe. Ormai era più che convinto che il suo io era principio di morte e che la sua salvezza stava solo più in Dio, per cui la attendeva solo più da Dio, faceva conto solo più su di Lui e guardava solo più a Lui.

Evidentemente lì, in quella situazione, con tutto il travaglio interiore che da tutta una vita portava dentro di sé, non aveva più difficoltà a superare il pensiero di se stesso e di tutto il suo mondo, per sottomettersi e affidarsi pienamente a Dio, in una totale purezza di pensiero, percorrendo così  in cinque minuti tutte le tappe che lo separavano dal vedere la Gloria. Infatti Gesù gli dice: “Oggi sarai con Me in Paradiso.

Questo ci fa capire che nel campo dello spirito non è questione di tempo, ma di preparazione interiore, di intensità di desiderio e di purezza di pensiero.

Angelo B.: Hai accennato alla funzione dell’Antico Testamento: a me non è poi tanto chiaro vederla nella mia vita personale.

Luigi: La sua funzione è sintetizzata in Giovanni Battista. In lui c’è il riassunto di tutte le lezioni dell’Antico Testamento.

Ora, nell’Antico Testamento sono comprese anche  tutte le lezioni della creazione, di tutta la natura,  di tutta la nostra vita naturale nel mondo; non solo, ma anche le leggi (la morale), il peccato, i profeti, la nostra tristezza, le nostre sofferenze, delusioni, ecc. Tutto questo appartiene a tutto questo mondo di lezioni di Dio per preparare l’anima all’incontro col Cristo.

Ora, queste lezioni di preparazione al Cristo sono raccolte e riassunte in Giovanni Battista. Che Giovanni Battista sia la sintesi di tutto l’Antico Testamento, ce lo conferma Gesù che, parlando di Giovanni, lo definisce come “Il più grande tra tutti i nati di donna” (Mt 11,11),  il più grande tra tutti i profeti. Ecco, Gesù lo definisce il più grande perché egli è il vertice di tutto quello che precede. Infatti mentre tutti gli altri Profeti fanno sospirare la venuta del Cristo dicendo che deve venire, Giovanni Battista Lo segnala: “Eccolo! È Lui! Ecco l’Agnello di Dio (Gv 1,36). Ecco perché è il più grande. In Giovanni Battista abbiamo la cerniera, il punto di contatto tra il vecchio Testamento e il Cristo, il nuovo Testamento.

Angelo B.: Ma non capisco perché e in che cosa l’Antico Testamento debba interessare me. Non capisco che legame ci sia  con me.

Luigi: Perché prima di incontrare il Cristo, noi dobbiamo passare attraverso tutte le prove dell’Antico Testamento.

Angelo B.: È questo che non capisco.

Luigi: Perché per incontrare il Cristo dobbiamo maturare in noi la fame di Dio. Per maturare in noi la fame di Dio, dobbiamo prima esperimentare il peccato, anche se questo lo esperimentiamo per colpa nostra, quindi tutte le schiavitù, ecc. Da qui esperimentiamo il bisogno di liberarci da tutta questa situazione. E questo è tutto l’Antico Testamento. Poi bisogna arrivare a sospirare il Salvatore. E poi in questa attesa e sospiro abbiamo Giovanni Battista che invita a fare la giustizia, a mettere Dio al centro, ed è poi questo che ci prepara all’incontro con Cristo.

È qui che scopriamo il parallelo che c’è tra noi e l’Antico Testamento.

Infatti tutta la fase della creazione, del peccato originale, dell’Antico Testamento, dei Profeti, dei comandamenti, noi la riviviamo nella nostra vita. Tutto si ripete in noi: si ripete la fase prima del bisogno del Cristo e poi dell’incontro col Cristo; e poi si continua: c’è la Croce, la Resurrezione, ecc., perché tutte le tappe della sua vita dobbiamo riviverle in noi.

Quindi non bisogna dire: “Questo è passato e riguarda le generazioni del passato”. No, no, perché tutto ciò che c’è nella Bibbia si ripete, si rivive in noi. Per cui c’è il momento del tradimento di Adamo, c’è il momento della fede di Abramo, c’è il momento della schiavitù in Egitto, il momento della liberazione e il momento del deserto tra l’Egitto e la terra promessa, ecc.; sono tutte tappe della nostra vita.

Lì sono scene, scene storiche, ma sono avvenute però per farci prendere coscienza di quello che avviene o deve avvenire in noi, nella nostra vita personale.

Per cui attraverso l’Antico Testamento avviene una maturazione nell’anima.

Quindi qual è la funzione di tutto l’Antico Testamento? È quella di far maturare in noi il bisogno del Cristo, il bisogno del  Messia.

Ecco perché l’Antico Testamento è importante! È importante perché ci prepara, ci fa individuare i nostri punti deboli, i peccati, e ci interpreta il nostro bisogno principale. Infatti, quante volte siamo malati senza però sapere diagnosticare; l’Antico Testamento ci fa la diagnosi: “Tu hai bisogno di incontrarti con Cristo”. Questa è la funzione di tutto l’Antico Testamento.

Con Cristo invece iniziamo il Nuovo Testamento perché abbiamo già il Dio che ci dà una mano (ce la dava già prima, ma non la individuavamo), ci viene incontro,  scende,  cammina e parla con noi. Ecco, portando in noi questo bisogno di essere salvati da Dio, allora ci lasciamo prendere per mano da Cristo. Prima no!

Quindi il lungo cammino che dobbiamo percorrere per giungere alla giustizia essenziale (che è la prima condizione per iniziare il cammino spirituale e poter riconoscere e seguire il Cristo) è rappresentato da tutto quel lungo periodo dell’Antico Testamento. Con Cristo poi, portati per mano da Lui, passando attraverso la sua Morte, Resurrezione e Ascensione, potremo realizzare le altre condizioni richieste per giungere alla meta, cioè per essere condotti a vedere la sua Gloria, cioè alla Pentecoste.

Eligio: Quindi, se vogliamo giungere a vedere la Gloria, l’unica cosa che dobbiamo fare, l’unico atteggiamento “pratico” che dobbiamo assumere è quello di seguire il Cristo.

Luigi: Certamente, perché Cristo è la Via.  Ma va seguito il più da vicino possibile, perché più lo seguiamo e più la nostra anima si illumina.

Angelo B.: Sì, se Cristo è la Via è necessario cercare di capire tutto di Lui per arrivare là dove ci vuole portare, cioè a vedere la sua Gloria.

Pinuccia B.: Tutto serve di preparazione.

Pinuccia A.: Si deve far attenzione a Dio perché tutto è voluto da Dio e in tutto Lui ci parla; ma questo non vuol dire rispondere di sì a tutti.

Luigi: E no! Tutto va accolto da Dio, ma tutto va riportato a Dio per intendere l’intenzione con cui Dio mi ha mandato quella cosa o quella proposta, per poter rispondere secondo il suo Spirito. Tutto è voluto da Dio, anche ogni proposta (anche di male) che mi giunge, affinché io affermi la mia fede e la mia adesione allo Spirito di Dio, superando il pensiero del mio io.

Se di fronte a qualunque proposta, buona o cattiva, indifferente o offensiva, non affermo lo Spirito di Dio, ma  amo il mio io, testimonio me stesso  e mi carico di catene; non solo, ma si scatenano le forze di rigetto, di rifiuto, perché il nostro io è un corpo intruso nel Regno di Dio.

Se invece testimonio Dio questo mi lega molto a Dio, non solo, ma spezza una catena e accelera la mia liberazione.

Testimoniamo Dio solo quando raccogliamo ogni proposta in Dio, appoggiandoci sulle Parole di Cristo che sono strada per i nostri passi. E allora tutto viene fatto in Dio e per Dio.

Pinuccia A.: Ciò che conta è l’intenzione con cui si fanno le cose, non ciò che appare.

Luigi: Certo, e solo tu puoi sapere se una cosa la fai per Dio o per te: fosse anche un’opera apparentemente santissima, se è fatta nel pensiero del tuo io non serve a nulla, anzi ti può illudere di essere buona.

Pinuccia A.: Infatti ciò che sembra un atto di amore o di carità a volte può essere un atto di orgoglio; viceversa, ciò che appare un gesto di durezza può essere un grande atto di amore.

Luigi: Bisogna imparare a lasciarci guidare dallo Spirito di Cristo e allora si impara ad amare veramente. Se leggiamo il Vangelo vediamo che è un panorama stupendo quello che ci presenta Cristo, perché Egli ci libera dalle meschinità e ci insegna ad amare gli altri con vero amore.

Inizia col dirci: “Ama gli altri come te stesso” (Mt 22,39). Questo termine di raffronto “come te stesso” è ancora relativamente facile: infatti posso capire che  se amo molto me, e se per me ha valore, ad esempio, il denaro, amo gli altri dandoglielo e così me ne distacco; se per me ha valore il silenzio, aiuto gli altri a trovare spazi di silenzio, ecc., ecc.

Ma poi Gesù arriva a chiederci di amarci gli uni gli altri addirittura “come Lui ci ha amato”, e questo implica il rinnegamento totale di noi stessi per amare unicamente Dio e quindi per amare gli altri per Dio e in Dio.

La capacità di amare “come” Cristo ci ha amato ce la forma Lui stesso nella misura in cui Lo ascoltiamo e arriverà al suo compimento alla nostra Pentecoste, quando cioè vedremo la sua Gloria, perché solo nella visione del Figlio nel Padre noi capiremo veramente quel “come”: “Come il Padre ha amato Me, così Io ho amato voi” (Gv 15,9).                      

Eligio: La sublimità della Meta alla quale siamo chiamati ci evidenzia la necessità delle condizioni di cui hai parlato e soprattutto di Cristo come Via e come Guida.

Luigi: Infatti noi da soli non potremmo assolutamente arrivarci. Ma non potremmo neppure immaginarci che siamo chiamati a contemplare la gloria del Verbo e tanto meno conoscere l’importanza che ha per la nostra vita giungere a vederla. D’altronde Gesù l’ha detto: “Nessuno può salire al Cielo se non Colui che è disceso dal Cielo, il Figlio dell’uomo che è in Cielo” (Gv 3,13).

Da qui la necessità di seguire Cristo in tutte le sue Parole, senza tralasciarne nessuna, perché è attraverso di esse (se le capiamo e le assimiliamo) che Cristo ci fa vedere la grandezza della Meta che ci attende, ci convince dell’importanza di giungere ad essa per conseguire la nostra liberazione e comunione con Dio, ci segna le tappe del cammino e ci istruisce sulle condizioni necessarie per proseguire fino alla visione della sua Gloria.

È un’opera immensa quella che il Cristo compie in noi, se Lo seguiamo, soprattutto un’opera di liberazione e sganciamento dal mondo per concentrarci su di Sé e sui suoi argomenti.

Non solo, ma attraverso la sua Morte in Croce, capita, ci dà la possibilità di realizzare la prima condizione necessaria per giungere a vedere la Gloria: morire a noi stessi per poter ascoltare Dio in tutto e vivere per conoscerlo.

Siccome Lui in tutto e sempre ci parla solo del Padre, anche quando non ne parla espressamente, se noi seguiamo la sua conversazione, Egli converge a poco a poco la nostra attenzione sul Pensiero che ci vuole comunicare: il Pensiero del Padre, formando così in noi la capacità di sostare in questo Pensiero. Quando questa capacità si è formata in noi, Egli se ne va (ed è questa la seconda condizione per giungere alla Gloria), perché ormai ci può affidare al Padre.

Luigi: No, non dobbiamo pensare che non si possa giungere a vedere la Gloria del Verbo fintanto che siamo su questa terra. Gesù stesso ha detto: “Vi sono tra di voi alcuni che non gusteranno la morte prima di aver visto il Regno di Dio” (Mt 16,28; Mc 9,1).

Sì, è vero che la meta per la quale Dio ci ha creati è una Meta altissima, superiore alle nostre possibilità e ai nostri sogni, ma è anche vero che ce l’ha resa accessibile attraverso il suo Verbo Incarnato, che è venuto tra noi proprio per portarci a vedere la sua Gloria, indicandoci il cammino nelle sue varie tappe e le condizioni che ci sono richieste.

D’altronde, se c’è stata la Pentecoste per gli Apostoli che hanno potuto testimoniare: “Noi abbiamo visto la sua Gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre”, vuol dire che anche per noi è possibile giungervi già su questa terra (pur nelle inevitabili limitazioni fisiche dovute ai condizionamenti del corpo).

Quindi se questa testimonianza (“noi abbiamo contemplato la sua Gloria…”) è giunta oggi a noi, è perché anche noi siamo chiamati a giungere a questa Meta.

Non dobbiamo ritenere impossibile ciò che Dio ha reso possibile.

Eligio: Certamente. Anzi il prendere coscienza di questa nostra vocazione e di quanto Dio ha fatto per rendercene possibile la realizzazione deve diventare motivo di grande riconoscenza e anche di impegno. Ciò non toglie che trovo difficoltà ad intendere come una visione della Gloria che oltrepassi l’esperienza della Trasfigurazione, che vada al di là, ad esempio, dell’esperienza che hanno fatto s. Agostino e sua madre nell’estasi di Ostia, possa essere possibile su questa terra, pur credendo che con Dio tutto è possibile.

Luigi: Tutto è possibile con Dio, ma a determinate condizioni che sono essenziali.

La prima, abbiamo già visto, è la morte al nostro io, perché non si può vedere Dio nel pensiero del nostro io.

Per cui non basta che Cristo muoia, non basta che Lui ci faccia fare l’esperienza della sua assenza, del suo silenzio, ma è necessario capire la sua morte! Capire l sua morte vuol dire morire a noi stessi. Fintanto che non la capiamo Egli ci ripeterà sempre: “Capite quello che vi ho fatto?”.

Egli è morto sulla Croce per farci capire che quando in noi prevalgono quelle stesse passioni (di Giuda, di Pietro, di Caifa, ecc.) che L’hanno mandato a morte, siamo noi stessi, ognuno di noi personalmente, che Lo uccidiamo nella nostra anima.

Egli ci salva proprio così: facendoci vedere che “il corpo del peccato” sta nel nostro io autonomo da Dio e convincendoci che questa autonomia è deicidio. Infatti soltanto se siamo convinti di questo, abbiamo la grazia, e quindi la forza, per superare il nostro io, per dimenticarci, per morire a noi stessi.

Ma non è automatica la cosa.

Dio ci invita, ci sollecita, muore per farci fare questo passo, ma non può costringerci, perché è un atto d’amore che solo noi personalmente, nel nostro intimo, per grazia di Dio, possiamo deciderci a fare.

Ma se non superiamo questo “posto di blocco” che è il pensiero del nostro io, se non facciamo questa Pasqua, questo passaggio dall’avere il pensiero dell’io come centro all’avere come centro il Pensiero di Dio, Cristo per noi è morto invano, per cui noi non Lo ritroveremo risorto. Il cammino per noi si interrompe, e noi non giungeremo mai a vedere la sua Gloria, né di qua, né di là.

Se invece capiamo la Morte di Cristo e moriamo a noi stessi, non lasciandoci più motivare dai sentimenti e dalle nostre intenzioni, ma dall’Intenzione di Dio, allora facciamo Pasqua: ritroviamo Cristo risorto e risorgiamo anche noi, cioè non viviamo più per le cose della terra, ma per quelle del Cielo.

Dopo Pasqua il cammino prosegue fino all’Ascensione e poi ancora oltre fino alla Pentecoste. Sono tutte tappe necessarie per giungere a vedere la Gloria del Verbo; sono tappe che vanno capite, perché si percorrono solo capendole.

Ed è qui, dopo la Pasqua, che si presenta agli Apostoli (e quindi anche a noi se abbiamo fatto la Pasqua), la seconda condizione necessaria per giungere a vedere la Gloria: bisogna cioè che tutto il nostro mondo passi, quindi anche la presenza fisica del Cristo,  altrimenti non può venire in noi lo Spirito di Verità.

Questo non vuol dire che si debba morire fisicamente, no! Ma vuol dire che tutto ciò che è relativo al nostro io va superato, per raccoglierci unicamente nel Pensiero del Padre, poiché Cristo prima di andarsene ha formato in noi questa capacità e questa convinzione che la visione della sua Gloria deve venirci dal mondo che ci trascende.

Egli infatti chiede al Padre di fare vedere ai suoi discepoli quella “Gloria che Egli ebbe prima che il mondo fosse”. È per questo che, a questo punto, il mondo deve finire in noi.

Eligio: Certo, alla luce di queste considerazioni è chiaro che nell’esperienza del Tabor gli Apostoli non hanno ancora visto la Gloria del Verbo. Non ci avevo mai pensato. Evidentemente perché in me il concetto di “gloria” era legato più ad un problema emotivo che sostanziale, legato più agli effetti che ci si può attendere dalla visione della gloria che alla sostanza della gloria stessa.

Luigi: Ma anche gli effetti, le conseguenze del vedere la Gloria hanno la loro importanza; non sono mica da sottovalutare, anzi! Abbiamo considerato come sono proprio queste conseguenze a farci capire l’importanza per noi del vedere la Gloria. Però queste conseguenze sono stabili solo se derivano dalla visione della Gloria “prima che il mondo fosse”; se derivano da altre esperienze a livello sentimentale, di concessione, sono anch’esse transitorie.

Pinuccia B.: Il momento in cui Gesù dice: “È necessario che Io me ne vada”, è Lui che lo determina?!

Luigi: Certo, perché è Lui che conosce noi.

Pinuccia B.: Ma non abbiamo bisogno di Lui finché viviamo?

Luigi: Finché viviamo? Finché siamo morti! Finché siamo morti abbiamo bisogno di Lui, non finché viviamo!

Angelo B.: E già, una volta che siamo morti al nostro io Lui se ne va, perché non siamo più morti.

Luigi: Finché invece siamo morti, abbiamo bisogno di Lui come presenza fisica, perché è Lui che risuscita i morti. Cristo è venuto per risuscitare i morti! Noi abbiamo quindi bisogno di Lui finché siamo morti. Ma quando Lui ci ha portati a Pentecoste…

Angelo B.: Certo, una volta che abbiamo visto la Gloria, ormai siamo nella vita eterna: non abbiamo più bisogno dell’Incarnazione.

Pinuccia B.: Intendevo dire: finché viviamo su questa terra.

Eligio: Infatti il rischio della morte c’è fintanto che portiamo un corpo fisico.

Luigi: C’è questo rischio fintanto che non si arriva alla vita eterna. Infatti vien detto: “Il Corpo del Signore Gesù Cristo ti custodisca fino alla vita eterna”. Ma alla vita eterna si può giungere, per grazia di Dio, già qui, prima di morire fisicamente. E una volta giunti a Pentecoste non si ha più bisogno del Verbo nella carne, perché Lo si è ritrovato in una condizione nuova: nel Padre.


 

 La Gloria di Dio

L'uomo è un essere visitato dalla gloria di Dio: ogni uomo è un testimone di Dio e proclama, coscientemente o incoscientemente, che Dio è tutto: Creatore, Signore, Luce, Amore, Perdono, Salvezza, Verità, Senso e Significato di ogni cosa. 

"Voi stessi dite che Io sono", dice il Signore agli uomini (Lc 22,70).

Noi stessi diciamo che Dio è: lo diciamo in tutto, in ogni momento, in ogni modo; lo diciamo sia con la vita, sia con la morte, lo diciamo sia con i problemi che ci assillano e che non risolviamo, sia con le inquietudini, le paure, sia con il nostro tanto correre per il mondo, segno dell’inquietudine che portiamo dentro.

Tutti gli uomini, volenti o nolenti, glorificano Dio: Creatore, Principio e Fine, Ragione di tutte le cose e di tutti i fatti.

La fame di luce che ogni uomo porta, dice che Dio è la luce dei suoi occhi, il bisogno della sua anima.

Eppure, immersi in tanta gloria di luce gli uomini stentano ad occuparsi di Dio, a cercarlo, a conoscerlo. 

Si fermano all'apparenza delle cose e attribuiscono agli altri o a se stessi gli eventi. 

È un’illusione che siano gli uomini e i “grandi” a guidare gli eventi e ad essere i protagonisti della storia, mentre essi sono il gioco della fune degli eventi guidati e decisi in ben altro "luogo".

Dio è trascendente ed immanente: non è condizionato quindi da nessuno, ma è condizionante ognuno e ogni cosa: tutte le creature e tutti i tempi sono in mano sua.

La luce di Dio bussa alla porta di ogni uomo, qualunque siano i suoi impegni, le sue preoccupazioni, i suoi problemi, e lo chiama.

Dio ci chiama a ciò che Egli è mediante ciò che non è, e questo è l'annuncio, la gloria di Dio in ogni uomo e per ogni uomo.

Ciò che non è ci conduce a cercare ciò che è.

Ciò che ci fa esperimentare l'assenza dell’Assoluto, ci chiama a constatare la presenza dell’Assoluto.

L'assenza di Dio nel mondo esteriore, velamento di Dio, è spiegazione, dis-velamento della presenza di Dio nel nostro mondo interiore.

Se anche l’assenza di Dio è testimonianza, dis-velamento della presenza di Dio, allora il “kabod”, la gloria di Dio nella creazione, nella storia, nella vita dell’uomo, è totale, abbraccia ogni cosa.

“Nel suo Tempio tutti dicono: Gloria!” (Sal. 28,9). 

Anche la distanza più radicale è relazione e quindi testimonianza, glorificazione dell'Infinito nel finito. 

Questo ci fa capire che è  l'Infinito che porta il finito, e non viceversa.

Se è l’Infinito che porta il finito e si disvela in questo, ogni uomo è visitato dalla gloria di Dio. 

Questa gloria è ciò che si respira nell'universo: ogni angolo è ricolmo di meraviglia, di miracolo; noi stessi siamo una meraviglia circondata da meraviglie e nessuno dice: perché?

"Ti rendiamo grazie, o Dio, per la tua gloria immensa!" Gloria con la quale Tu ti annunci a noi e ci chiami a conoscerti!

È per questa gloria immensa che nessuno, a qualunque razza, popolo, religione o ateismo appartenga, può ignorare Dio.

Ma non poter ignorare non è conoscere; basta però a rendere responsabile e colpevole l'uomo se non ha interesse per conoscere.

Per la presenza della gloria di Dio in tutto ognuno percepisce che quanto accade nel mondo allude a qualcosa di più profondo e personale con Dio. 

In tutto si parla di noi, dei nostri rapporti con Dio. 

Tutto ci rimprovera di non cercare e di non conoscere Dio.

Per questo, il vivere ogni giorno è pieno di sorprese: nulla, nel piccolo e nel grande, è senza significato, anche se ben poco è ciò che capiamo, poiché non occupandoci di Dio siamo analfabeti nelle opere di Dio. 

Ma anche questo, questo nostro non capire, rende gloria a Dio, il quale dolcemente ci chiama a lasciare tutto ciò in cui stiamo sciupando la nostra vita, questo bene immenso di cui non sappiamo che farcene se non per lavorare, guadagnare, arricchire, accumulare cose nel mondo, e ad occuparci invece di Lui che si può trovare solo nella misura in cui ci dedichiamo a Lui.

La vita dell'uomo sta nella possibilità di conoscere Dio, di glorificarlo per quello che Egli è, di conoscere in tutto la sua Verità, la sua Presenza.

Là dove l'uomo non può glorificare Dio perché non vede il suo Pensiero, subisce la perdita progressiva della vita fino al vuoto totale, alla morte, perché se non cerca e non conosce Dio, se non pone mente per  intendere e riferire a Lui ogni cosa, se non pensa  Dio e non Lo glorifica  per quello che Dio è, perde in sé la capacità di pensare e quindi di vivere, fosse anche in una trappa.

Bisogna imparare a dialogare ogni cosa con Dio.

Dio ci chiama tutti a perdere per Lui la nostra vita per ritrovarla "nuova" nella sua Luce.

Bisogna vedere la vita nella luce di Dio.

Il velo che copre ai nostri occhi la gloria di Dio è come nebbia del mattino che scompare al primo raggio di sole non appena ci soffermiamo a pensare a Dio.

L'uomo è un essere visitato dal Sole divino che fa scomparire tutte le nebbie. 

Non vedere l'ora in cui si è visitati dalla luce di Dio è non vedere l'ora in cui si è visitati dalla gloria di Dio: questo è il momento decisivo nella vita e per la vita di ogni uomo, questo è il punto in cui la nostra vita acquista un significato o incomincia a perderlo del tutto.

Si è visitati dalla luce quando si riceve la proposta a conoscere Dio.

La Parola di Dio giunge a noi sempre come proposta, e di fronte a una proposta non si può evitare di dare una risposta, quindi di fare una scelta.

La proposta è: ancorare la vita a ciò che è eterno per non morire e non subire la disperazione del vuoto nel passare di tutte le cose.

Di fronte alla proposta della luce la scelta è decisiva: non si rimane più come prima; nulla può essere più come prima.

O si va verso una luce di Dio crescente all'infinito fino alla conoscenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che è Vita eterna, o si va verso uno svuotamento di vita all'infinito in cui tutto perde progressivamente senso e significato, un senso di morte crescente perché: "Non hai visto l'ora in cui sei stata visitata!” (Lc 19,44).

(IX – 13.03.1991)

La gloria di Dio si annuncia in noi e in tutto; si avverte in ogni mattino che si leva sul mondo, si respira nell'universo, nel mistero delle cose e dei fatti, nella vita di ogni uomo: è il miracolo di ogni giorno.

La gloria di Dio è la presenza tra noi e in noi della trascendenza di Dio.

La gloria di Dio investe tutto l'uomo, lo convoca a pensare a Dio e lo rende attento al Pensiero dell’Assoluto che ogni uomo porta in sé fino a renderlo conforme all'immagine del Figlio di Dio, trasparente alla presenza del Padre.

La gloria di Dio risplende in tutto, ma gli uomini non La vedono e non La vedono perché non La intendono, perché per intendere è necessario guardare ogni cosa da Dio, principio della Luce e della vita. 

La gloria di Dio che pur si annuncia in tutto, si trova solo nella Luce di Dio, splende in tutta la sua maestà nell’Unigenito Figlio di Dio.

Ma gli uomini non guardano le cose da Dio, non tengono conto di Dio. 

Preferiscono tener conto degli uomini, si àncorano all'effimero anziché all'eterno e così restano schiavi delle cose senza poter vedere il Pensiero che è in esse.

Difficile per l'uomo restare, abitare in ciò che gli si annuncia e che non può ignorare.

Difficile per l'uomo restare nel Principio, abitare nella luce di Dio.

Si resta con Dio solo in quanto si impara ogni cosa da Lui, vero Maestro dell’uomo.

Gli uomini si sono nominati tanti maestri al posto dell'unico Maestro e non hanno capito più niente.

Al posto di Dio hanno preferito il caos di ciò che dicono gli uomini, ascoltare le parole degli uomini anziché le parole di Dio; hanno preferito la cultura degli uomini alla cultura di Dio.

Bisogna morire a tutto ciò che non è Dio per ricevere tutto "nuovo" da Dio se si vuol trovare la luce e la vita, poiché “l'uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4).

Per questo l'uomo attinge la gloria di Dio nella massima solitudine con Dio.

È qui che trova la sua vita.

La gloria di Dio si rivela solo alla persona singolarmente, intimamente, poiché la Verità abita nell'intimo dell'uomo.

Dio è il Principio di tutto e non si rimane con Dio se non si ha Dio come Principio di tutto in noi.

Ciò che ci separa da Dio è il pensiero; ciò che ci unisce a Dio è il pensiero.

Chi pensa Dio forma una cosa sola con Dio.

Per trovare Dio basta pensarlo.

Ogni altro esistente non basta pensarlo per trovarlo.  Dio basta pensarlo per trovarlo e trovarci alla sua presenza. 

Così tanto Dio ha abbreviato il nostro cammino per giungere a Lui: lo spazio di un pensiero! 

Così tanto Dio ama gli uomini.

Pensare Dio è la condizione per conoscere Dio, e conoscere Dio è la condizione per essere fatti partecipi della sua gloria e vivere. 

La nostra vita dipende dal poter glorificare Dio.

Dio non riceve gloria dagli uomini. Siamo noi uomini che abbiamo bisogno della gloria di Dio per vivere, e noi viviamo nella misura in cui possiamo partecipare di essa non a parole, ma contemplandola come Verità in cui tutto è fatto.

Senza di essa tutto ci porta via la vita e si perde tutto anche avendo tutto.

Tutto ciò che tratteniamo per noi, anche la nostra stessa vita, resta in noi senza paternità, senza nome, senza giustificazione, senza significato, senza pensiero, senza gloria di Dio. 

Tutto ciò che offriamo a Dio per riaverlo "nuovo" da Lui, nel suo Pensiero e come suo Pensiero, lo riceviamo in noi come vita.

La nostra vita sta nella novità che viene da Dio, ma questa "novità" non può venire senza di noi, se noi non offriamo a Lui ogni cosa per riaverla da Lui.

Ognuno trova la sua vita in ciò in cui e per cui spende la sua vita.

Molti spendono la loro vita nel lavoro, nel guadagno, negli affari, nelle cose del mondo; altri spendono la loro vita in un'azienda, in una istituzione, in una politica.  Si trova veramente la vita solo se la si perde per Dio, per conoscere Dio.

Spendendola in altro si trova niente e si rimane con niente. 

E quando si rimane con niente si fa esperienza del vuoto.

Il tempo della vita ci è dato per conoscere Dio.  Sua è la voce che ci chiama attraverso tutte le cose e tutti i fatti e ci convoca alla sua Presenza per offrirci l'occasione di incominciare a vivere in Lui e con Lui. 

È necessario perdere la propria vita per conoscere Dio, poiché qui sta la vita vera, eterna.

Chi non è disposto a perdere tutto per un amore non è degno della realizzazione di quell'amore; chi non è disposto a perdere tutta la propria vita per conoscere Dio non è degno di conoscerlo e non può giungere a "realizzare" la conoscenza di Dio e quindi non può entrare in quella vita eterna nella quale ogni uomo si deve sforzare di entrare.

Solo chi spende la propria vita per ciò che è eterno trova la sua Vita eterna.

Bisogna ancorare i nostri pensieri a ciò che è eterno; bisogna trovare ciò che è eterno in noi, dentro di noi. Solo qui le cose acquistano un senso e la nostra vita un significato.

Offrire la vita a Dio è cercare in Dio e da Dio il significato di essa.

Vale solo ciò che è giustificato in Dio. 

Ogni altra giustificazione vale nulla, cade nel nulla e ci trascina nel nulla.

Per questo bisogna perdere tutto ciò che è finito per ritrovarsi in ciò che è infinito.

Il futuro dell'uomo, di ogni uomo, si gioca sulla realtà della gloria di Dio.

(X – 20.03.1991- continua)

(Articoli pubblicati su “La Fedeltà” , scritti da Luigi Bracco)