E noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre. Gv 1 Vs 14 Quinto tema
Titolo: Importanza di vedere la Gloria e la Via per giungervi
Argomenti: Vedere
la Gloria del Figlio è ricevere lo Spirito Santo. Il desiderio di vedere la Gloria del Figlio. Individuare e fare oggetto di vita
Cristo. Il parlare
del Padre di Cristo. Le
condizioni per vedere la Gloria del Figlio. Capire la morte di Cristo. L’andare via di Cristo. Approfondire gli argomenti di Cristo. La conoscenza del Padre precede
la gloria del Figlio. Il
monte Tabor. La
possibilità di aumentare nell’amore per Dio.
5/Dicembre/1975
Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti e parte
registrata):
Ci fermiamo ancora sull’ultima parte del v. 14
e precisamente sulla testimonianza di chi è stato condotto da Cristo a vedere
la sua Gloria: “Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che tale
Figlio Unigenito riceve dal Padre”.
Questa testimonianza è di una portata enorme
per la nostra vita essenziale. Essa è un ammonimento per farci capire:
·che non dobbiamo fermarci al Verbo incarnato e alla sua
abitazione tra noi;
·che c’è un qualcosa di infinitamente grande da vedere: la
Gloria del Figlio Unigenito di Dio, la visione del Verbo nel Padre;
·che per il fatto che ci viene annunciata una tale meta,
anche noi siamo chiamati ad essa;
·e che in quanto qualcuno vi è giunto, c’è una possibilità
anche per noi di giungervi.
Ma perché l’annuncio di questa Meta e la testimonianza che è possibile giungervi
ci muova ad impegnarci a camminare verso di essa, è necessario comprendere
qual è l’importanza di giungere a vedere la Gloria e convincercene; poiché
la nostra volontà scatta e si impegna soltanto quando vede un valore.
Già avevamo accennato ai motivi che
evidenziano questa importanza, però è bene riprendere l’argomento per
approfondirlo, in modo da renderci ben conto che giungere a vedere la Gloria
del Verbo non solamente è importante per la nostra vita, ma è essenziale, in
quanto conoscere la Verità è lo scopo per il quale siamo stati creati.
La passione per la Verità la portiamo tutti
dentro di noi, anche se a volte non ne siamo consapevoli, per cui quando la
soffochiamo sotto tanti altri interessi o passioni (per il nostro io, per le
cose del mondo, ecc.),è proprio essa che ci fa esperimentare il vuoto e la
vanità di tutto; mentre invece il vivere per cercare la Verità è ciò che dà
senso, e un senso eterno, alla nostra esistenza.
Ora, vedere la Gloria del Verbo è vedere la
Verità: è contemplare il Figlio nel Padre, è vedere il rapporto tra
Padre e Figlio, è ricevere lo Spirito Santo! “In quel giorno voi
conoscerete che Io sono nel Padre mio, e voi in Me ed Io in voi” (Gv
14,20).
È quindi constatare lo Spirito di Presenza del
Padre e del Figlio in noi. È conoscere Dio come vero Dio, Padre e Figlio e
Spirito Santo. È la nostra Pentecoste. È quindi diventare figli del Padre come
il Figlio. È la nostra nuova nascita!
È dunque la realizzazione di quel “sogno”
che era nato, come un piccolo seme, dalla giustizia essenziale, ed era
germogliato e cresciuto nel cammino con Cristo.
Siamo creati per giungere
a questa Meta, e se non vi
tendiamo con tutte le nostre forze corriamo il rischio di non giungervi mai e
di vanificare in tal modo tutta la nostra vita.
Essa va perciò desiderata, sognata, poiché è
un dono, e i doni di Dio dobbiamo desiderarli per poterli ricevere.
Ma il desiderio nasce e cresce in noi nella
misura in cui capiamo come il raggiungimento di tale meta abbia un’importanza
determinante per noi; ma, come si è detto, tale importanza la capiamo soltanto
quando siamo veramente convinti che la visione della Gloria è il fine per il
quale abbiamo ricevuto l’esistenza, e che quindi è la realizzazione delle
nostre esigenze più profonde, quali l’unione con Dio, la libertà, la
stabilità, la Vita Eterna, ecc. ecc.
Sintetizzando, avevamo visto che il vedere la
Gloria:
·è condizione per essere in comunione con il Padre e il
Figlio,
·è condizione per ottenere la nostra liberazione,
·ed è condizione per trasformarci da schiavi in figli.
È infatti la conoscenza di Dio che ci unisce a
Dio (“…affinché anche voi possiate essere in
comunione con il Padre e il Figlio” – 1 Gv 1,3), ci libera (“…conoscerete
la Verità – dice Gesù - e la Verità vi farà liberi” – Gv 8,32), ci
trasforma da servi a figli (“…perché vi ho fatto conoscere tutto quello
che ho udito dal Padre mio” – Gv 15,15) e ci rende stabili (“…solo
i figli resteranno per sempre nella Casa del Padre” – Gv 8,35).
Il desiderio di giungere a vedere la Gloria
del Verbo non è solo condizione per realizzare tale meta, ma è anche una grande
molla e una grande forza per affrontare le difficoltà del cammino ed accettare
le condizioni di esso, anche se dure, con la speranza di giungervi.
È infatti una meta che, anche se sfugge ai
nostri occhi ancora troppo materiali, è a noi accessibile, non solo
perché c’è qualcuno che l’ha raggiunta e ce l’ha testimoniato, ma soprattutto
perché il Verbo si è fatto carne, ha abitato tra noi, ci ha parlato del Padre,
è morto ed è risorto ed è asceso al Cielo proprio per portarci ad essa.
È dunque accessibile, ma a certe condizioni e
richiede un lungo cammino con Cristo.
Infatti la Via per vedere la Gloria è
Cristo. È Lui che ci porta a vederla. Cristo stesso si è fatto via, strada
per i nostri passi ed è quindi con Lui e solo con Lui che abbiamo la
possibilità di giungervi. Per cui, più siamo convinti dell’importanza che ha
per noi il vedere la Gloria e più ci sta molto a cuore il Cristo e non ci
stacchiamo più da Lui, perché sappiamo che è Lui solo che può condurci a questa
meta.
Avevamo già visto le
volte scorse che a causa delle nostre dispersioni abbiamo
bisogno di trovare Uno che ci parli del Padre e che realizzi la vita secondo
Dio che noi sogniamo, Uno cioè su cui
noi possiamo far leva per superarci.
Per seguire il Cristo bisogna prima
individuarlo fra tutti gli uomini. Individuiamo il Cristo “fuori” se l’abbiamo “dentro”. Lui è il Maestro
intimo in noi, ma abbiamo bisogno di vederlo, di individuarlo in un corpo
fisico, perché abbiamo bisogno di vedere un Essere tra noi con cui fermarci,
parlargli, in modo da avere un aggancio
per il nostro pensiero, sempre distratto dalle presenze fisiche; abbiamo
cioè bisogno di un Uomo, di un Essere vivente tra noi, che ci dia la
possibilità di far leva su di Lui, di affiancarci a Lui, di camminare con
Lui, di farlo oggetto della nostra vita.
Ed è appunto Cristo che risponde a questo
bisogno di trovare un Essere tra noi su cui far leva, per incominciare a
sganciarci da tante cose; ma questo avviene solo se noi Lo facciamo oggetto
della nostra vita. Infatti non basta individuarlo. Bisogna camminare con Lui
fino a giungere al Padre, perché è il Padre che ci rivela la gloria del Figlio.
Per camminare con Cristo
bisogna assimilare le sue Parole; non basta ricordarle, ma bisogna capirle.
“Nessuno ha mai parlato come Lui” (Gv 7,46): non solo perché ha fatto il
discorso delle Beatitudini (Mt 1,1 ss,) che è stato fatto, ad esempio, anche in
India, non per i suoi discorsi morali, ma perché solo Lui ci parla del Padre.
Infatti Egli parlandoci tanto del Padre,
sempre che noi Lo facciamo oggetto della nostra vita, ci libera poco per volta dai tanti argomenti e
ci fa vedere progressivamente la Verità delle cose, cioè trasferisce la sua
“mentalità” nella nostra, cioè il suo Pensiero nel nostro pensiero, per cui ad
un certo momento noi non siamo più dominati dalle altre realtà: è una Verità crescente che si forma in noi. Ci
fa capaci di sostare con il Padre e quindi di ricevere dal Padre la rivelazione
della sua Gloria.
Ora, fintanto che noi non arriviamo a vedere
la sua Gloria (e questa Gloria gli viene dal Padre, perché “soltanto il
Padre conosce il Figlio” (Mt 11,27) e il Figlio ci conduce al Padre proprio
per questo), noi non potremo arrivare a quella pienezza di grazia, di libertà, di vita, di comunione che ne è la
conseguenza.
Infatti nella visione della gloria del Verbo
c’è la pienezza di grazia e di Verità poiché Lui stesso è “pieno di grazia e di
Verità”.
Dall’esposizione di Luigi Bracco
(appunti e parte registrata):
Dobbiamo ancora soffermarci sulla terza parte
del v. 14 del cap. 1 del vangelo di s. Giovanni (“…e noi abbiamo contemplato
la sua Gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre…”),
perché è necessario ancora approfondire il secondo punto dell’argomento della
Gloria, cioè le Condizioni per vedere la Gloria, cui già si è accennato le
volte scorse.
Le condizioni per poter
giungere a vedere la Gloria del
Verbo, alla quale noi tutti siamo chiamati, sono presentate da Gesù stesso:
1° - necessità di morire a noi
stessi,
2°- necessità del superamento di tutto ciò che fa parte del mondo
materiale, esteriore, compreso il Cristo.
1° ) La prima condizione Gesù ce la fa capire
quando, nel cap. XII del Vangelo di s.
Giovanni, fa dipendere il momento della sua glorificazione dalla
necessità che il seme caduto in terra, (cioè il Verbo incarnato) muoia: “L’ora
è venuta in cui il Figlio dell’uomo deve essere glorificato. In verità, in
verità Io ve lo dico: se il chicco di frumento caduto in terra non muore resta
solo, ma se muore produce molto frutto” (Gv 12,24).
E aggiunge subito un’affermazione che ci fa
capire che quanto è avvenuto per Lui deve avvenire anche in noi: “Chi odia
la propria vita in questo mondo la conserva per la vita eterna. Se qualcuno mi
vuol servire mi segua, e dove sarò Io sarà pure il mio servo…” (Gv 12,
25-26).
Da queste parole capiamo che il superamento
del pensiero del proprio io è la prima condizione richiesta perché Lui
possa portarci “dove Lui è” e così poter vedere la sua Gloria.
È già la condizione postaci da Cristo stesso
fin dall’inizio del cammino con Lui: “Chi mi vuol seguire rinneghi se
stesso, prenda ogni giorno la sua Croce e mi segua”, perché seguire Cristo
non vuol dire seguirlo soltanto in qualche tappa della sua vita, ma in tutte,
anche nella Croce, fino alla sua glorificazione.
La tappa determinante è
rappresentata dal “mistero pasquale”, cioè dalla Morte e
Resurrezione di Cristo.
Infatti”Pasqua”” vuol dire
passaggio, ed è il passaggio obbligato attraverso cui anche noi dobbiamo
passare per giungere a vedere la Gloria.
Se è passaggio, non è meta; e va precisato,
perché è opinione abbastanza comune tra molti cristiani considerare la Pasqua
come un fine, come la meta finale; invece no! È un passaggio per proseguire
il cammino con Cristo, attraverso la sua Ascensione al Cielo, fino alla
Pentecoste, giorno di luce piena, in cui, ricevendo lo Spirito Santo, si
constata la Presenza in noi del Padre e del Figlio.
La Morte
di Cristo va capita, altrimenti rimane “sangue sparso invano”.
Dalla sua Croce, Cristo ci interpella personalmente. “Capisci quello
che ho fatto? Sono morto per te, affinché tu muoia a te stesso e inizi a
vivere per cercare e conoscere Dio, risorgendo a vita nuova”.
Fintanto che si è nel pensiero del nostro io
autonomo non si può vivere per Dio (non si possono avere due fini
contemporaneamente), anzi il nostro io messo al centro della nostra vita e dei
nostri pensieri uccide Dio in noi: è quanto ci rivela Cristo morendo in Croce.
Ecco, è necessario capire la causa della sua
Morte e in che modo ne siamo responsabili per evitare di continuare ad essere
deicidi; perché è solo quando siamo convinti che lasciandoci motivare dal
nostro io autonomo compiamo questo delitto, cioè quando capiamo il danno
che provochiamo in noi e negli altri vivendo da egoisti, che abbiamo la grazia di deciderci di morire
a noi stessi, di dimenticarci totalmente e quindi di deciderci a vivere
interiormente dedicandoci alla ricerca e conoscenza di Dio.
Cristo ci offre la salvezza morendo, appunto
perché, se dialoghiamo la sua morte con Dio, ci convince che è il pensiero del
nostro io autonomo la causa della sua morte in noi e quindi della nostra morte.
Soltanto se facciamo questo superamento del
nostro io, ritroviamo Cristo risorto e risorgiamo con Lui a vita nuova: qui
abbiamo la possibilità di accogliere e capire la seconda condizione che è
necessaria per giungere a vedere la Gloria.
2°) È Gesù stesso che ci fa presente questa seconda
condizione, ed è il Verbo Incarnato che parla, quando dice: “È
necessario che Io me ne vada, perché se non me ne vado, non può venire in voi
lo Spirito di Verità; ma se me ne vado, ve Lo manderò dal Padre”.
Con queste parole Egli ci fa capire che per
poter vedere la Gloria è necessario il superamento di tutto ciò che fa parte
del mondo materiale, esteriore, compresa la sua Incarnazione, perché la sua
presenza fisica fa parte di questo nostro mondo.
È l’ultima condizione necessaria perché Lui
possa portarci “dove Lui è”: nel Padre. Ed è necessaria, perché si tratta
di vedere la Gloria che Egli ha da sempre presso il Padre “prima della
creazione del mondo”, e quindi al di là di tutto ciò che si vede e si tocca e
che fa ancora capo al pensiero del nostro io. Infatti la Gloria del Figlio la
si vede nel Padre; quindi non ci viene dalle sue parole o da manifestazioni fisiche,
esteriori.
Parlando della necessità di questo
superamento, Gesù non si riferisce alla nostra morte fisica, ma alla necessità
di vivere in questo mondo nel distacco interiore da tutto e da tutti. Infatti,
all’ultimo, affidando i suoi discepoli al Padre, dice: “Non Ti chiedo di
toglierli dal mondo, ma di custodirli dal male” – Gv 17, 15.
Ecco, Gesù se ne va, come Verbo Incarnato,
però ci affida al Padre (“… Ti chiedo di custodirli…”), perché è dal
Padre che Lui ci manderà lo Spirito di Verità. La conoscenza della sua Gloria “prima
che il mondo fosse” può venirci solo da Colui che è al di sopra di tutto
quello che è mondo.
D’altronde, che il pensiero del nostro io e
tutto ciò che è rapportato al pensiero del nostro io vada superato, è logico,
perché Dio Lo si può conoscere solo per mezzo di Dio, col puro Pensiero di Dio.
Questo superamento del mondo fisico, e quindi
anche del Verbo Incarnato, è dunque una tappa necessaria per giungere alla
Meta, altrimenti non può avvenire l’affidamento al Padre, non si può giungere
“dove” il Figlio è, quel “dove” da cui si vede la sua Gloria.
Allora, in un primo tempo è importante, anzi è
necessario, che il Verbo di Dio si faccia carne e occupi un posto in questo
mondo, perché abbiamo bisogno di una presenza fisica a cui agganciarci. Ma in
un secondo tempo la sua presenza fisica se ne deve andare; ma tra il primo
avvenimento e il secondo avviene un fatto importantissimo dentro di noi.
È importante conoscere ciò che avviene, per renderci conto che è
possibile realizzare la seconda condizione necessaria per vedere la Gloria.
Ecco:
in un primo tempo abbiamo bisogno di incontrare il Cristo e in un
secondo tempo abbiamo bisogno che il Cristo se ne vada (è Lui stesso che ci
dice che è importante, anzi necessario, che se ne vada), ma tra i due tempi
succede una grande rivoluzione dentro di noi, e la grande rivoluzione consiste
in questo: quando noi abbiamo bisogno di incontrare il Cristo come carne è
perché siamo molto dispersi dal mondo, cioè tutto pesa su di noi e ci porta
via. Incontrando il Cristo, troviamo Uno che opera in noi la distrazione da
tutte le altre cose e la concentrazione su di Sé, in quanto risponde alle
nostre esigenze.
Quando ormai siamo solo più presi da Lui,
perché c’è in noi un grande amore tutto incentrato in Lui, al punto che il
resto non ci importa più e non andiamo più alla ricerca di altro, allora ecco
che siamo liberi dal peso delle cose, non sentiamo più il peso di esse.
Ecco, liberi dal peso del mondo, a questo
punto il Cristo dice: “Adesso anche Io me ne vado”. Perché?
“Perché vi devo consegnare ad una Realtà diversa”.
Cristo ci libera dal peso delle cose col suo
“peso” fisico, con la sua attrazione. È quanto è avvenuto negli Apostoli, per cui essi non se ne vogliono più
andare dal loro Maestro, perché hanno capito che solo Lui ha parole di vita
eterna.
Questa liberazione che Gesù ha operato in loro
con la sua attrazione, si rivela quando Lui chiede agli apostoli: “Volete
andarvene anche voi?” e Pietro risponde per tutti: “Da chi andremo? Tu
solo hai parola di Vita eterna!”(Gv 6,68) “Tu solo!”: ecco ormai gli
altri non interessano più.
È a questo punto che Lui se ne va e ci affida
al Padre, perché ormai Lui ha
formato in noi la capacità di sostare nel Pensiero del Padre.
Andandosene, ci promette che Lo rivedremo,
però in una situazione nuova, non più secondo la carne, ma “…alla destra del
Padre” (Mc 16,19), nella sua Gloria. È infatti il Padre che ci farà vedere
la gloria del Figlio. Vedere la gloria del Figlio, già è stato detto le volte
scorse, è vedere ciò che il Figlio è nel Padre, è constatare la presenza del
Padre e del Figlio in noi, è ricevere lo Spirito Santo
Pensieri tratti dalla conversazione:
Eligio: Il concetto di gloria così come suona letteralmente,
rischia di essere per noi un’astrazione. Invece sembra più accessibile alla
nostra possibilità di capire, anche se va ancora approfondita, la definizione
che tu ci hai dato di essa, quando hai detto che la gloria è quello che Cristo
è in Sé.
Luigi: No! Bisogna precisare: la Gloria non è quello che
Cristo è in Sé, ma quello che Cristo è
nel Padre. Infatti Lui è precisissimo, e dice: “Nessuno conosce il
Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al
quale il Figlio Lo abbia voluto rivelare” (Mt 11,27). Ora, perché ci dice
questo?
Teniamo sempre presente che le parole che Lui
dice, le dice per apportare in noi un certo orientamento, per apportare in noi
una certa elevazione di vita, per una trasformazione nostra.
Allora, se Lui dice: “Nessuno conosce il
Figlio se non il Padre”, non lo dice per dirci: “Voi non ci arriverete
mai”, ma lo dice proprio perché noi abbiamo a renderci conto che:
- Prima di tutto, fintanto che conosciamo Lui
soltanto nella carne o perché ce lo dicono gli altri, non Lo conosciamo.
- Infatti Lui dirà, dopo tre anni, ai suoi
apostoli: “Da tanto tempo sono con voi e ancora non mi conoscete” (Gv
14,9), ed era logico che non Lo conoscessero! E quando Lui dice: “Chi vede
Me, vede il Padre”, gli altri gli chiedono: “Dov’è tuo Padre?”, ed
era logico che facessero questa domanda, perché per noi le conoscenze sono
fisiche per cui se uno ci dice: “Chi mi vede, vede mio padre”, noi diciamo: “Io
vedo te, ma non vedo tuo padre”. Questo avviene perché noi confondiamo la
conoscenza della persona con la presenza corporea, ma questa non è vera
conoscenza. Noi magari diciamo di conoscere una persona, perché la incontriamo
tutti i giorni su un angolo della strada, ma in realtà non la conosciamo
affatto; anzi, magari dopo aver passato tutta una vita con una persona,
scopriamo di non conoscerla. Perché questo?
Perché la vera conoscenza è altrove. È
conoscenza di ciò che uno è, e quindi è in un rapporto intimo con Dio.
E allora, giustamente Gesù dice: “Nessuno
conosce il Figlio se non il Padre”; ma questo lo dice innanzitutto affinché
noi, fintanto che non arriviamo al Padre, fintanto che non conosciamo il Padre,
non ci illudiamo di conoscere chi Egli è. Infatti Lui dice: “In quel giorno
(giorno in cui conosceremo il Padre) capirete chi sono Io” (cf Gv
14,21).
- In secondo luogo, Gesù ci dice questo (cioè
che nessuno conosce il Figlio se non il Padre), anche per farci capire ciò che
abbiamo già accennato la volta scorsa e
che vedremo meglio andando avanti (quando Lui dice che va a prepararci un
“posto” e prega il Padre, dicendo: “Padre, voglio che dove sono Io siano
anche quelli che Tu mi hai dato, affinché vedano la mia gloria” – Gv
17,24), e cioè che il luogo in cui dobbiamo trovarci per vedere la sua gloria,
per conoscere chi Lui è, è il Padre stesso.
Infatti questo “posto” che Gesù va a
prepararci, lo prepara dentro di noi, formando in noi la capacità di guardare
dal punto di vista del Padre, perché solo guardando dal punto di vista del
Padre conosciamo il Figlio.
Ecco l’importanza di queste parole, che ci dice Gesù nel
Vangelo di s. Matteo: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”!
Sono parole che:
- ci
evitano di illuderci di conoscere il Figlio fintanto che non conosciamo il
Padre,
- e ci indicano il luogo in cui
dobbiamo trovarci per poter conoscere il Figlio e contemplare la sua gloria.
Eligio: E soprattutto ci richiamano, come hai precisato, ad una
definizione chiara della gloria del Verbo, in termini più comprensibili e che
suscitano interesse e attrazione: “Gloria del Verbo è ciò che il Verbo è nel
Padre”. Certo, bisogna riflettere su tutti quei motivi di cui prima hai
parlato, per arrivare a capire l’importanza di giungere a vederla.
Pinuccia B.: La
Gloria è la visione del Verbo nel Padre.
Luigi: Certamente. Ma lo capiamo questo? Vediamo l’importanza
di giungere a questa visione della gloria? Lo desideriamo?
Luigi: L’atteggiamento da assumere è quello di seguire il
Cristo il più da vicino possibile, poiché, come già abbiamo detto, Cristo
è l’unica via che ci conduce a questa Meta. Cristo, attraverso le sue
parole e tutte le tappe della sua vita, se Lo seguiamo, ci conduce al Padre e
ci prepara un “posto”, affinché dove è Lui siamo anche noi e vediamo la sua
Gloria.
Pinuccia A.: Ma come ce lo prepara il posto?
Luigi: Cristo ci prepara il “posto” (l’abbiamo
accennato la volta scorsa e lo approfondiremo ancora quando parleremo delle
condizioni per vedere la Gloria) presentandoci il Padre, affidandoci a Lui e
poi andandosene. Gli Apostoli non
vorrebbero che se ne andasse, e si rattristano, ma Lui sa il momento in cui
deve andarsene, perché è Lui che conosce e precede i tempi. Ecco, se noi
restiamo con Lui e camminiamo con Lui,
è
Lui che ci porta su quella
soglia in cui dice: “Adesso Io me ne vado”.
Anche noi, come gli Apostoli allora, non vorremmo che se ne andasse e ci
rattristiamo. Ma è Lui che precede i tempi. Non siamo che determiniamo i tempi:
se noi siamo con Lui, vediamo che Lui ci conduce, Lui determina
le tappe, determina i tempi per
la nostra maturazione nella Verità, ma è Lui che li determina, e Lui sa la
situazione della nostra anima, sa quando è il momento in cui deve stare con
noi, e sa qual è il momento in cui ci deve dire “ciao”, e quindi andarsene.
Eligio: Dato che per poter contemplare la sua Gloria, cioè, per
poter conoscere quello che Egli è nel Padre noi dobbiamo superare la realtà
fisica sua, che cosa dobbiamo fare noi per poter arrivare al superamento di
questo punto critico ed evitare di fermarci
in una fase sentimentale, emotiva? Come arrivare al superamento di tutto
per giungere a vedere la gloria di Cristo?
Luigi: Questo “come” è il problema della “via” per giungere
a vedere la Gloria del Verbo. Non c’è altra via che il Cristo, il Verbo
incarnato. È Lui che ci conduce, parlandoci del Padre, a questo “Pensiero del
Padre” in noi.
Eligio: Ma Lui non ci conduce
nostro malgrado...
Luigi: E no! Lui non ci conduce nostro malgrado.
Eligio: Quindi cosa dobbiamo fare noi?
Luigi: Noi dobbiamo soltanto cercare di camminare con Lui; cosa vuol
dire camminare con Lui? Vuol dire cercare di capire, di assimilare le sue
Parole. Non basta ricordarle, ma si tratta di assimilarle, di penetrarle,
perché la sua Parola è un seme che Lui getta nella nostra terra. Se la
nostra terra raccoglie questo seme, lo custodisce, lo approfondisce fino ad
arrivare alla Luce (cf Mt 13,4-9), allora ecco che si arriva a conoscere il
Padre, perché siccome le sue Parole sono Parole del Padre (“Le parole
che Io vi dico, non le dico da Me stesso, ma è il Padre che dimora in Me che
compie le sue opere” Gv 14,10), se noi le raccogliamo, e cerchiamo di
capirle, ci conducono poco per volta, ad individuare questo Essere spirituale
che portiamo in noi, perché il Padre è in noi. Ce lo dice Gesù: “Quando
vuoi pregare… sappi che il Padre tuo è presente in te”.
Gesù usa tanti argomenti, però se noi
rimaniamo soltanto in superficie quegli argomenti ci dicono poco, anche se
riteniamo che ha detto una bella frase, che ci ha dato una buona lezione; se
noi invece li raccogliamo con attenzione, poco per volta facciamo delle piccole
scoperte fino a diventare delle grandi scoperte.
Gesù ci dice tante cose sul Padre: “Quando
vuoi pregare, chiuditi nel silenzio della tua stanza e lì prega il Padre che è
presente nel segreto”(Mt 6,6), “Il
Padre è in voi”(Gv 14,20), “Il Padre vi ama” (Gv 16,27), “Il Padre
sa ciò di cui avete bisogno…”, “Non temete, i vostri capelli sono contati dal
Padre…”, “Il Padre dà lo Spirito a coloro che Lo pregano…”, ecc. ecc. Ecco, attraverso tanti discorsi in
cui Lui ci parla del Padre, poco alla volta, Egli ci fa capire che il Padre è
dentro di noi, che il Padre ci ama, per cui
parlandoci sempre del Padre, ad un certo momento ci porta nella
capacità di pensare il Padre, direttamente, come figli.
È un salto di qualità, una scoperta, ma è Lui
che ce la fa fare, perché restando con Lui cosa avviene? Quello che avviene
nelle nostre conversazioni: quando qualcuno parla con noi, dice tante parole,
ma attraverso queste tante parole, se ascoltiamo, poco per volta, tendiamo ad
arrivare a scoprire un pensiero in modo
da poter dire: “Ah, volevi dire
quello!”, cioè in modo da poter pensare quello che l’altro ci voleva dire.
Ora, se noi restiamo molto con Gesù, Gesù a
noi dice tante parole; ecco se noi le raccogliamo e le seguiamo con attenzione,
poco per volta Lui ci fa vedere il suo Pensiero. Il suo Pensiero (chiamiamolo
il suo Cuore) è il Padre.
Angelo B.: Il suo Pensiero non è quello che Egli è, cioè la sua
Gloria?
Luigi: No,
è il Padre. La Gloria è conseguente, è un atto successivo, perché è
nel Padre che si scopre la sua Gloria. La gloria del Figlio la si scopre
nel Padre; quindi non viene dalle sue parole o manifestazioni come Verbo
incarnato nel nostro mondo.
A questo punto il Cristo ha compiuto la sua
missione, la sua funzione di “strada”, di “via”, perché ci ha portati dove
voleva portarci, per cui se ne va.
Infatti quando affida al Padre i suoi
discepoli, Gesù prega il Padre di rendergli quella Gloria che Egli ebbe
prima che il mondo fosse; ma ormai il mondo, per noi, quando siamo lì, è
finito; perché questa Gloria non è qualche cosa del mondo: infatti Gesù parla
di una gloria prima che il mondo fosse: “affinché vedano la gloria che
ebbi prima che il mondo fosse” (Gv 17,5).
Ma quel “prima che il mondo fosse” è
un prima che si deve verificare anche in noi. Per cui la sua Gloria non viene
più né dalle sue manifestazioni nel mondo, né da tutto quello che Egli è stato
nel mondo, ma viene soltanto più dal Padre. La conoscenza dal Padre è
una conoscenza nuova, che è dedotta, che deriva, che è figlia.
Questa è la meta a cui Cristo ci porta.
Allora, Lui attraverso tutto questo lungo
dialogare con noi, se noi restiamo con Lui, poiché Lui si fa strada per i
nostri passi, ci porta al Padre, nel quale vediamo la sua Gloria.
Per cui, non basta scoprire Lui, ma bisogna
imparare ad abitare con Lui, a camminare con Lui verso il “luogo” dove Lui va. Quindi, tutto
questo lungo abitare con Lui, questo camminare con Lui, poco per volta ci porta
(ecco la con-versazione) ad individuare il suo Pensiero, che è il Padre.
Quando Lui vede che noi ormai abbiamo, per
tutte le parole che abbiamo ricevuto da Lui, la capacità di sostare nel suo
Pensiero (nel Pensiero del Padre), perché lo vediamo.... Infatti nelle ultime
conversazioni ad un certo punto dice: “Adesso, avete visto il Padre” (Gv
14,7): in questo momento L’avete visto! Gli Apostoli non capiscono ancora, ma Egli dice “L’avete
visto”.
E questo “L’avete visto”, quando Lui
non ci sarà più è rimasto dentro, per cui
riemergerà, e allora s’interrogheranno: “Ma come? Noi L’abbiamo visto?!
Lui ci ha detto che abbiamo visto il Padre!”. Capiranno allora che questo “avete
visto il Padre” è la capacità di poterlo pensare; capiranno che
effettivamente mentre Lui parlava loro del Padre, stava loro presentando il
Padre e loro Lo stavano vedendo; ma non avevano ancora la capacità di sostare
in questo Pensiero, per cui quando Lui cessava di parlare, non Lo vedevano più.
E ci può affidare al Padre proprio perché
prima di andarsene ci ha portati a vederlo. A vederlo? Sì, a vederlo. Infatti
nelle ultime conversazioni ad un certo punto dice: “Adesso, avete visto il
Padre” (Gv 14,7): in questo momento L’avete visto! Gli Apostoli non capiscono ancora, ma Egli dice “L’avete
visto”.
E questo “L’avete visto”, quando Lui
non ci sarà più è rimasto dentro, per cui
riemergerà, e allora s’interrogheranno: “Ma come? Noi L’abbiamo visto?!
Lui ci ha detto che abbiamo visto il Padre!”. Capiranno allora che questo “avete
visto il Padre” è la capacità di poterlo pensare; capiranno che
effettivamente mentre Lui parlava loro del Padre, stava loro presentando il
Padre e loro Lo stavano vedendo; ma non avevano ancora la capacità di sostare
in questo Pensiero, per cui quando Lui cessava di parlare, non Lo vedevano più.
E allora prenderanno coscienza di questa
capacità che Lui ha formato in loro di sostare con il Padre, per cui potranno
“buttarsi” in quella “veglia infinita” che precede la grande rivelazione di
Dio.
Ecco allora che quando Cristo si accorge
che ormai noi siamo maturi per pensare il suo Pensiero, cioè il Padre, Lui ci
dice: “Ciao! Ormai il lavoro è fatto; adesso resta lì; l’ora è del Padre:
l’ora della rivelazione dipende dal Padre. Tu resta lì, nel suo Pensiero”.
Ecco, l’ora è del Padre: “Quanto a quel giorno e a quell’ora,
però, nessuno lo sa, neanche gli Angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo
il Padre” (Mt 24,36); “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti
che il Padre ha riservato alla sua scelta…” (At 1,7).
Ma bisogna restare nel Suo Pensiero: “…ma voi restate in Città, finché non
siate rivestiti di potenza dall’Alto” (Lc 24,49).
E in quel punto non c’è più niente del mondo
né di noi che ci possa portare via. Sotto un certo aspetto, in questa fase di
attesa di vedere la Gloria, possiamo dire che avviene un po’ ciò che hanno
esperimentato S. Agostino e Monica, sua
madre, durante l’estasi di Ostia: non c’è più niente mondo, non c’è più nessun pensiero di noi, non c’è
più niente: c’è solo più il pensiero del Padre.
A questo punto il mondo è finito per noi: siamo
tornati al “prima che il mondo fosse”. È condizione essenziale per poter
vedere la Gloria che il Verbo ebbe “prima che il mondo fosse”.
Infatti
nel momento in cui si è affidati al Padre siamo in una situazione di
purezza, di sguardo puro nel Padre. E sarà dal Padre che poi dopo conosceremo
la Gloria del Figlio, quella gloria che Egli ebbe “prima che il mondo fosse”,
perché è lì che il Padre genera il
Figlio in noi.
Il Padre non è una statua, non è un oggetto
statico da guardare così. No! Il Padre opera. Egli è il Principio più attivo di
tutti gli esseri.
Il Padre è un Pensiero attivo, “sempre
opera”(Gv 5,17), perché genera il pensiero di Sé,
suo Figlio. Per cui nel Padre troviamo il Figlio: questo è vedere la
sua Gloria.
Eligio: Sempre a
proposito della contemplazione della gloria, vorrei chiederti questo: che cosa
pensi abbiano visto gli Apostoli nella trasfigurazione sul Tabor? Per loro c’è
stato questo salto di qualità?
Luigi: No! Nella trasfigurazione non è avvenuto il salto di
qualità, perché lì gli Apostoli non erano ancora morti a se stessi. Morire
a noi stessi è la prima condizione per giungere a vedere la Gloria.
Quindi il salto di qualità non è avvenuto
nella Trasfigurazione. Il salto di qualità è avvenuto a Pentecoste. La
trasfigurazione è uno squarcio che si è aperto tra le nubi, ma il Signore lì ha
operato “sentimentalmente”.
Eligio: Non l’avrei proprio pensato.
Luigi: E no! Sul Tabor non c’è ancora stato per loro il salto
di qualità, non hanno visto la Gloria del Verbo.
Infatti Gesù cosa dice loro? “Non parlate a
nessuno di quello che avete visto, fintanto che il Figlio dell’uomo non sia
mandato a morte e non sia risorto dai morti” (Mt 17,9): questo perché c’era
qualcosa che doveva morire in loro; infatti dopo aver visto quella gloria del
Tabor, loro pensavano ancora a se stessi, a chi fosse il primo. Infatti lo
tradiscono, fuggono e lo abbandonano, ecc.: segno che non erano morti a se
stessi.
Quindi questa non è la visione della Gloria,
ma è una visione sentimentale (…è una manifestazione di Dio attraverso i sensi,
esteriore, così come è esteriore l’apparizione della Madonna: una visione,
ecc.).
Non può essere la visione della Gloria, perché
per arrivare a vedere la Gloria è necessario che il nostro io sia morto con
Cristo sulla Croce: è un passaggio obbligato, una condizione essenziale.
Eligio: Certamente, però non si può conoscere ciò che sul Tabor
i tre Apostoli hanno esperimentato dentro di sé.
Luigi: Comunque è stata un’esperienza ancora su un piano
sentimentale. È il Cristo che ha operato questo, ma ancora dall’esterno, per
fortificarli interiormente prima della sua Passione e Morte, affinché,
seminando in essi una nostalgia di un qualcosa che c’era da vedere, potessero
superare lo scandalo della Croce.
Quindi non hanno visto la Gloria del Verbo,
anche perché dobbiamo tenere presente che la
visione della Gloria è perfettamente intima, non può venire dal di
“fuori”.
Eligio: Allora che cos’è stata per loro e che cosa significa per
noi la trasfigurazione sul Tabor?
Luigi: Il Tabor rappresenta quei raggi di luce di cui parla S.
Giovanni della Croce, con cui il Signore “ferisce” e poi si allontana per
creare in noi il desiderio di vedere. E intanto però l’anima rimane ferita
in quanto ha visto qualche cosa o ha visto che c’era qualcosa da vedere.
Ecco, quando qui leggiamo che gli apostoli ci dicono: “Noi abbiamo
contemplato la sua Gloria” , in noi si produce un fatto sentimentale, per
cui ci chiediamo: “Loro hanno visto. Perché io no?”. Ecco che allora si crea una ferita in noi! “Come mai qualcuno di
noi uomini ha visto qualche cosa di più di quello che noi vediamo?”; questa
domanda è una ferita che esige di essere curata.
Eligio: Ma la trasfigurazione non è stata solo un fatto fisico…
Luigi: Non un fatto fisico, ma un fatto sentimentale…
Eligio: Quindi non ancora a livello spirituale, non ancora nella
sfera dell’anima?
Luigi: Sì, ma dico fatto sentimentale, esterno, nel senso che
non hanno avuto ancora la visione della Gloria del Padre, al di là del mondo
che si vede e si tocca, cioè non hanno ancora visto la Gloria del Verbo “prima
che il mondo fosse”. Cristo ha fatto
vedere loro qualche cosa della sua trascendenza, come può essere un’apparizione
della Madonna a un veggente.
Eligio: Mi sembra che la Trasfigurazione sia stato qualcosa di
più di un’apparizione.
Luigi: D’accordo. Però è una concessione e siamo sempre su quel
piano lì. È una figurazione, no? Una tras-figurazione. Ma non hanno visto la
Gloria del Verbo.
Eligio: Pensavo che una manifestazione della Gloria potesse
essere proprio la visione del Tabor.
Luigi: No, no! La visione della Gloria non appartiene al
campo sentimentale, perché è perfettamente intima; non può venire dal di fuori;
se venisse dal di fuori non ci salverebbe.
Eligio: Ma anche la Trasfigurazione è stata indubbiamente
un’esperienza interiore, per cui non penso al Tabor come a un luogo geografico,
ma al suo significato; lo penso come ad una esperienza spirituale che ci viene
sì da qualcosa di esterno, ma che comunque è di grande aiuto.
D’altronde abbiamo bisogno del Cristo esterno,
perché ci raccolga e ci porti al Padre.
Luigi: Certo, il significato della Trasfigurazione è di grande
aiuto, come lo è stato per gli Apostoli. La visione del Tabor ha creato in loro
una centralità: “Guarda il nostro Maestro…!”. Infatti nella Trasfigurazione
hanno anche visto Mosè ed Elia che conversavano (con-versavano) con Lui.
Cristo ha fatto loro vedere questa scena per
far loro capire che tutto (Legge e Profeti) converge su di Lui, che in Lui si
raccoglie il senso di tutti i tempi. Ma è una visione. E con questa visione ha
creato in loro un desiderio; ma siamo ancora sempre nel campo del sogno: “C’è
qualcosa di bello da vedere!”.
Eligio: Quindi non c’è
nessun rapporto con la Pentecoste?!
Luigi: Eh no! Non ci siamo ancora!
Pinuccia B.: È
ancora qualcosa di esterno.
Luigi: Certo, è ancora qualche cosa di esterno, che crea però
una nostalgia di un qualcosa che si è intravisto.
È come
se qualcuno ci dicesse: “Quel tale mi ha detto che ha visto la Gloria del
Verbo; è un uomo, eppure l’ha vista, quindi posso vederla anch’io”.
Questo già ci crea qualche cosa dentro, un
desiderio di-: è una ferita!
Se il Signore non precedesse i tempi, non ci
facesse vedere che c’è da vedere qualche cosa, noi non lo desidereremmo. Noi
non possiamo desiderare una cosa che nemmeno sappiamo che esista.
Quindi in un primo tempo il Signore, magari in
momenti particolari, ci fa vedere che c’è qualche cosa di vero, di giusto, che
Lui è Vita, ecc., cioè ci crea una
ferita; però poi, da quel punto lì, ad arrivare a “possedere” ciò che si è
visto, cioè ad arrivare a realizzarlo come coscienza e quindi arrivare a prendere coscienza dell’Essere, per molti
passa tutta una vita; …però sempre con quel sogno dentro.
Per cui
uno magari desidera restare sul Tabor, ma non ne ha la possibilità.
Infatti essi dicono: “facciamo tre tende” (Mt 17,4) convinti di aver
visto la Gloria. Ormai l’avevano vista! Perché allora ridiscendere? Non c’era
più bisogno di ridiscendere! E invece non rimangono.
Se sul Tabor avessero visto la Gloria, perché
allora Cristo non li ha fatti permanere? Se il problema del Cristo è quello di
portarli a vedere la sua Gloria (ed Egli è venuto nel nostro mondo per questo),
in quanto solo nella Gloria si é liberi, quando essi dissero: “Facciamo tre
tende e restiamo sempre qui”, se avessero visto la Gloria, Lui avrebbe
risposto: “Benissimo, restiamo qui!”. E perché non restano? Vuol dire che il
problema non è ancora risolto.
Ci deve essere ancora il Calvario.
Infatti Lui dice “Non parlatene (quasi
a dire: “nemmeno a voi stessi”), perché prima il Figlio dell’uomo deve
morire e resuscitare”.
Quindi ci deve essere il passaggio della morte
di Cristo e soprattutto della
morte al nostro io.
Eligio: Ma penso che il problema non è mai risolto fintanto che
siamo su questa terra. Si può arrivare ad attingere in qualche momento qualcosa
della Gloria, ma prima di giungere a “possederla”…
Pinuccia B.: Per
captare l’importanza di vedere la gloria, penso che dobbiamo desiderare le
conseguenze che derivano da questa visione. Se vedere la Gloria è condizione
per essere in unione con il Padre e il Figlio, la promessa di questa unione
deve dirmi qualcosa, deve attrarmi, altrimenti non capto l’importanza di questa
visione. Quindi se c’è in me il desiderio di questa comunione con il Padre e
con il Figlio, allora sì che diventa per me interessante questo argomento. Così pure, se sono cosciente che il vedere la
Gloria è condizione per la mia liberazione, allora solo se desidero veramente
questa liberazione diventa per me importante giungere a vedere la gloria del
Verbo.
E così anche, se mi vien detto che vedere la
Gloria è condizione per la nostra trasformazione da schiavi in figli, solo se
sono cosciente di essere schiava di tante cose e desidero diventare figlia di
Dio, allora incomincia ad interessarmi questo argomento della Gloria.
Altrimenti corro sì il rischio di trovarlo astratto.
Luigi: Certo, per non trovare astratto questo tema della Gloria
e capirne l’importanza, bisogna capire che vedere la Gloria è il fine della
nostra vita ed è quindi la realizzazione piena di tutte le esigenze più
profonde della nostra anima, che sono esigenze di Verità, di liberazione,
di amore e di salvezza, di vita eterna: esigenze che sono ben reali e si fanno
ben sentire. Certo, questo desiderio di liberazione e di trasformazione
presuppone la convinzione, ad esempio, che noi siamo schiavi, che siamo in
pericolo di morte, ecc. Infatti Gesù si presenta come Salvezza.
Si parla di salvezza ad uno che è in pericolo
di morire, che è in un rischio. Quindi se
Gesù si presenta come Salvezza, vuol dire che siamo in pericolo di morte,
che c’è un rischio. Ma fintanto che noi
non siamo convinti di essere in rischio, evidentemente non sappiamo cosa
farcene di un Salvatore. Infatti tanti non sanno cosa farsene del Cristo e dicono: “Io non ho bisogno di essere salvato;
sto bene, ho salute, ho denaro, ho famiglia, ho lavoro… Da che cosa devo essere
salvato? perché mi parli di salvezza?”. Se invece stiamo affogando, capiamo
bene cosa vuol dire “Salvezza”.
Ecco, è necessario che si formino in noi
determinate convinzioni che vengono attraverso tutte le lezioni della vita; e
sono lezioni severe, almeno fino a quando non ci convinciamo che effettivamente
vivendo per il pensiero del nostro io, per il mondo, per la figura si rischia grosso. Infatti ad un certo
momento ci accorgiamo che tutto il mondo ci domina, ci lacera e che siamo
schiavi di tutto; questo lo tocchiamo con mano. Ma perché il Signore ci fa toccare
con mano tutto questo?
Appunto per farci prendere coscienza che siamo
in pericolo. Allora si forma in noi questa interrogazione: “Chi ci salverà?”, “Chi mi libererà da
questo corpo di morte?”(Rm 7,24). Una volta toccata con mano la nostra
miseria, allora incominciamo ad appoggiarci ad uno, poi all’altro, e poco per
volta, a forza di cantonate, arriviamo ad individuare Colui che ci salverà. E
allora è lì che scopriamo il Salvatore.
Quindi non scopriamo il Salvatore quando
Lui ce lo dice, ma quando siamo noi a dirlo (in quanto “siete voi che lo
dite” – Cf Gv 18,37: “Tu lo dici!”). Siamo noi che dobbiamo dire:
“Tu sei la mia Salvezza”. Fintanto che noi non glielo possiamo dire, dal
profondo del nostro cuore, non incontriamo Cristo come nostro Salvatore. Come
quando diciamo ad una persona che amiamo: “Ti amo”, così dobbiamo poter dire a
Lui, con altrettanta convinzione: “Tu sei la mia salvezza”. Altrimenti non
serve, e non ci serve perché questa espressione ci arriva dall’esterno. È
necessario che parta invece dall’interno, da dentro di noi, in modo da poter
dire con sincera convinzione: “Tu sei
la mia salvezza. Per me Tu sei tutto!”.
S. Tommaso dice: “Signore mio, Dio mio”(Gv 20,28), ma dice
un’espressione che viene proprio dal profondo. Quando possiamo dire a Cristo,
dal profondo di noi stessi: “Tu per me sei tutto!”, allora, a questo punto, non
molliamo più il Cristo, perché ormai abbiamo scoperto che è Lui, solo Lui, che
ci può salvare liberandoci dal pensiero del nostro io autonomo e conducendoci a
conoscere il Padre e quindi a vedere la sua Gloria.
Pinuccia B.: Presentato
così, non appare più un problema astratto il problema di vedere la Gloria,
perché si capisce che risponde a ciò cui nel profondo tutti sospiriamo.
Eligio: È un problema
profondamente concreto, ma lo si capta concreto solo andando in profondità,
valutandone i motivi. Però purtroppo si debbono usare parole che incidono poco
a livello personale, perché trattandosi di una Realtà che ci trascende, non è
possibile usare un linguaggio più aderente, più pratico.
Angelo B.: È questa la nostra difficoltà.
Luigi: Ma guarda che qui non siamo nel campo del pratico, come
si può parlare dei poveri o di modi di essere. Quando si vede la Gloria non si
è più nel modo di essere; anzi, qui addirittura il mondo è finito, deve essere
finito in noi, proprio perché questa (lo vedremo ancora) è la condizione per
poter vedere la Gloria “prima che il mondo fosse”. Ecco perché è
importante per noi giungere a vedere la Gloria del Verbo, perché, come già
abbiamo visto, è la condizione essenziale per la nostra liberazione, per la
nostra comunione con Dio (altrimenti non si può arrivare alla comunione stabile
con Dio) e per poter essere trasformati da schiavi in figli.
Ma è importante tener presente che la
condizione essenziale (dopo quella di essere morti a noi stessi) per
poter arrivare a questa Gloria, è la fine del nostro mondo, è ritornare al “prima che il mondo fosse”.
Cioè il mondo deve finire in noi. Non è che il mondo finisca, ma deve finire in
noi, perché si tratta di raccoglierci tutto nel Pensiero del Padre.
È un momento di contemplazione, perché si
tratta di raccoglierci soltanto in questo Pensiero a cui poco per volta il
Cristo ci ha condotti, e sostare lì.
E lì non c’è più niente di mondo che conti,
non c’è più niente di creature che conti, nemmeno del Cristo incarnato. È
necessario questo superamento di tutto. Infatti Egli dice: “È necessario che
Io me ne vada”(Gv 16,7).
Ma andandosene Cristo ci lascia il Padre e
ci affida al Padre.
Nel Padre però Lo si ritrova; infatti Lui
dice: “mi rivedrete” (Gv 16,16); ecco, Lo rivedremo in una condizione
nuova, non più secondo la carne, ma “mi rivedrete alla destra del Padre”(cf
Gv 14,19-20; Mt 26,64). Ma è una cosa tutta nuova.
Ecco “finora mi avete visto nella carne;
adesso Io vi lascio, ma mi rivedrete in una condizione nuova”.
Quindi vuol dire che il cammino prosegue, che
c’è veramente qualcosa di nuovo da vedere. C’è una sicurezza in quel “Mi
rivedrete”, perché: “È il Padre che vi farà incontrare di nuovo Me”. È il
Padre!
Quindi è il Padre che ci farà vedere il Figlio. Prima era il Figlio che glorificava il
Padre; adesso invece: “Padre, glorifica Tu tuo Figlio” (Gv 17,5). È il
Padre che lo deve glorificare e questo Gesù lo dice per i discepoli, non per Sé.
Questo
non lo dice solo per loro, quasi a
premiarli, ma lo dice perché ogni uomo sappia qual è la strada che
conduce alla Vita vera, cioè alla visione della Gloria che è poi
l’inizio della Vita vera.
Eligio: Se uno capisce la
sostanza di questo discorso, può allora capire l’importanza di vedere la Gloria
e quindi rimanere sollecitato a seguire la “Via” per giungere a questa visione.
Altrimenti tutte le cose dette diventano
cose astratte…
Luigi: È logico, perché certe cose fintanto che non si vivono
non si possono provare. Uno ne sente parlare, sì, ma le parole sono veramente
capite solo quando uno vede la realtà
stessa che annuncia la parola. Però l’ascolto di esse è utile perché, in quanto
uno ne sente parlare, in lui già avviene un movimento: “Forse c’è qualche cosa
da vedere”. Infatti sono cose che non possiamo
smentire, non abbiamo in noi argomenti per poterle smentire, ma nello
stesso tempo non possiamo provarle, perché per provarle bisogna viverle.
Quindi questo ti crea la nostalgia, la
speranza “forse c’è qualche cosa”. Non potendole smentire per giustizia siamo
tenuti almeno ad ascoltarle. Quindi, il sentirle ha questa funzione
positiva: di formare in noi il desiderio di vedere.
Se però siamo superbi diciamo: “Sono
stupidaggini”; ma l’atto orgoglioso è nostro, perché non abbiamo argomenti
sufficienti per poter smentire. Se invece siamo umili diciamo: “Mi sta parlando
di qualche cosa che io non esperimento, non provo, però ascolto e cerco di
capire perché mi sta parlando della meta alla quale desidero giungere”. Allora,
se c’è questa apertura, il Signore ci conduce alla Meta, perché è Lui che ad
un certo momento ci fa fare quel salto di qualità che è necessario.
Quindi arrivare alla Meta, fare il salto di
qualità, è opera di Dio e in quanto è opera di Dio, nessuno lo sa quando questo
avviene. Infatti Gesù dice: “Il momento, neppure il Figlio lo sa, neppure
gli angeli, solo il Padre” (Mt 24,36). Quindi l’ora di questo salto di
qualità che deve avvenire in noi, solo il Padre lo sa. L’ora è del Padre.
E Gesù ce lo dice perché sappiamo che la visione della Gloria deve venire
dal Padre, ed abbiamo a guardare al Padre.
Qui si ritorna al concetto della libertà del
Padre: la manifestazione della Gloria è un atto propriamente libero del
Padre. Per cui, non sono i nostri sforzi, non sono tutti i nostri impegni a
portarci a vedere la Gloria. Certo, noi dobbiamo impegnarci, però il momento è
del Padre, perché in quel momento l’anima deve poter dire: “Signore, è tutta
opera tua”. Per grazia di Dio deve poter riconoscere: “È tutta opera tua”,
altrimenti esce dalla figliolanza divina, non è più figlia di Dio. Ora, il
figlio è figlio in quanto può dire: “È tutta opera del Padre”; altrimenti,
se non può dire questo, dice: “Ma io mi sono dato da fare”. Ora, se io sono
convinto di una cosa, non posso smentirmi perché, anche se a parole dico:
“Signore, è tutto opera tua”, quella convinzione lì mi rimugina dentro, perché
“in fondo in fondo, io mi sono dato da fare”. Per cui se nel profondo ho il pensiero di essermi
dato da fare, non posso entrare. Invece bisogna arrivare a poter dire in
coscienza, in piena consapevolezza : “Signore, è stato tutto opera tua”.
Quindi il momento della visione della Gloria
deve derivare dal Padre. Quindi non è un atto pratico nostro, quasi a dire:
“Premo questo bottone e mi arriva quello”. No, tu premi il bottone e non ti
arriva niente.
Eligio: Certamente, parlando della Gloria del Verbo non siamo
nel campo pratico, nel campo del nostro “fare” esterno, però siccome non si
giunge ad Essa senza di noi, dobbiamo avere ben chiaro l’atteggiamento da
assumere per poter giungere a vederla.
Luigi: L’atteggiamento da assumere è quello di seguire il
Cristo il più da vicino possibile; quindi
non soltanto imitarlo, non soltanto ricordare le sue Parole, ma cercare di
capire. E non soltanto di capire qualche parola o qualche scena della
sua vita, ma tutto ciò che Lo riguarda. Perché è la totalità che ci fa
arrivare. Lui non ha sprecato niente, non c’è niente di sprecato in tutto
ciò che Lui ha fatto: tutto ha un significato molto importante. Direi:
tutto è un segmento di questa retta che bisogna proseguire fino ad arrivare
alla Vita Eterna con Lui, perché è Lui che conduce. Per questo bisogna cercare
di capire “tutto” di Lui, perché tutte le sue Parole sono molto preziose, in
quanto segnano un momento di questo cammino verso il Padre, e se noi le
trascuriamo, rischiamo di rimanere sospesi a metà strada.
Per questo è molto importante sostare molto
con Lui, meditare molto sulle sue Parole,
essere cioè molto amici suoi, in caso diverso si rimane a vagare senza
mai arrivare. Quante volte mi trovo a parlare con delle persone che si ritengono
più che religiose, più che cristiane, ed è per loro una scoperta il sentirsi
dire che tutto lo scopo del Cristo è quello di farci conoscere il Padre, di
portarci a ricevere lo Spirito Santo.
Cioè ritengono che basti per essere religiosi
magari imitare il Cristo nel Getsemani, oppure imitare Cristo lavoratore,
Cristo povero, oppure Cristo sulla croce e non capiscono invece che tutto deve
tendere a questa Finalità: giungere a vedere la Gloria. Se non si ha presente
il Fine lo stesso sentir parlare del Padre diventa una cosa secondaria. Invece
è essenziale.
Pinuccia B.: Quindi
ciò che caratterizza il cristiano da tutti gli altri non è l’amore per i nemici
o il vivere le beatitudini, ma è questo: il cristiano (cristiano in quanto
segue Cristo) può conoscere il Padre; è convinto dell’importanza di giungere
alla Meta e ha la possibilità di giungervi attraverso Cristo.
Luigi: Certo. L’amare il nemico, e tutte le norme
comportamentali che ci detta il Cristo sono momenti, sono tappe con Lui,
sono aiuti per verificare il nostro amore per Dio. È come se Gesù ci dicesse:
“Se tu odi il tuo nemico, vuol dire che il tuo io è ancora tanto grosso”.
Quindi ci fa capire che dobbiamo superare il nostro io, ecc. ecc.; ma non
dobbiamo fermarci a questi modi di
essere, ma intenderli come “banco di prova”. Sono tutte tappe necessarie per
preparare in noi la disponibilità a ricevere l’Infinito di Dio, che è Vita
eterna. La formazione di questa disponibilità nella creatura richiede tutto
quel tempo precedente dell’Antico Testamento e poi anche il cammino con Gesù
stesso, per poter camminare dietro di Lui fino alla fine. Sono tutte tappe che
segnano la strada verso la Meta, ci fanno maturare e ci rendono disponibili ad
accogliere la Vita Eterna. E la Vita Eterna è un Infinito! Per cui ci vuole una
disponibilità infinita. Se la creatura non è disponibile, come potrà seguire
certi argomenti molto profondi che Gesù propone al compimento della sua
missione? Sono argomenti molto, molto profondi, perché ad un certo momento si
arriva alla Vita Eterna. E la Vita Eterna è una sistemazione nell’Infinito
divino, e Gesù ci vuole condurre lì. Quindi è richiesta un’applicazione a tempo pieno di
tutte le nostre facoltà: mente, cuore, tutto (tutto!) non soltanto di una di
esse. Infatti è Dio stesso che dice: “Ama il Signore Dio tuo con tutta la
tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze”(Dt 6,5; Mt
12,20). Non è uno scherzo!
Quindi siamo lontanissimi se confondiamo il
cristianesimo con: “Ama i nemici”, o con la povertà, o con la mansuetudine, o
con la non violenza. No, questi sono modi di essere.
L’essenza del cristianesimo è proprio questa:
arrivare alla conoscenza del Padre, alla Gloria. Cioè bisogna capire soprattutto il capitolo XVII
di S. Giovanni, la preghiera sacerdotale, in cui Gesù consegna coloro che l’hanno seguito fin lì al Padre.
Ma bisogna capire! Non basta ripetere, bisogna capire! Perché chi ama vuole
capire; invece è a chi non ama che non importa di capire; ma chi ama
necessariamente vuole capire.
Ines: La difficoltà sta proprio nel capire.
Luigi: Ma sei convinta che il
capire è un volto dell’amore? Quando a me interessa poco una persona, mi
interessa anche poco capirla. Che mi dica una cosa o un’altra, a me importa ben
poco. Se invece una persona mi sta molto
a cuore e dice una determinata parola, mi preoccupo molto di capirla, perché
appunto mi sta a cuore.
Ora, quello “stare a cuore” è desiderio di
conoscere. Direi: tra la conoscenza e l’amore c’è un rapporto diretto. Non
possiamo scinderli; per cui se mi sta molto a cuore il Cristo, mi deve
stare molto a cuore il capire le sue Parole: perché ha detto quella parola
e non quell’altra? Perché le ha dette in
quel determinato momento lì? Ed è proprio quel tanto interesse che ci permette
di sostare con le sue parole e che mi porta alla conoscenza. Il desiderio di capire è fondamentale a tutti
i livelli in cui l’anima si trova: è il “test” che rivela se c’è veramente
l’attrazione per il Padre, la convinzione dell’importanza della Meta a cui
siamo destinati e quindi se ci sta veramente a cuore il Cristo, la via.
La parabola delle vergini stolte è una delle
parabole più eloquenti (Mt 25,1-12); esse erano vergini, il che vuol dire che
erano staccate dalle creature, staccate dal mondo: quindi non basta il
distacco; avevano la fede, la lampada accesa: non basta la fede; andavano
incontro allo sposo: non basta andare incontro allo sposo. Ora, tutte queste
loro “virtù” a cosa sono servite?
A essere chiuse fuori e a sentirsi dire,
proprio dallo Sposo “che loro tanto cercavano”, per il quale hanno portato la
lampada, per il quale si sono mantenute vergini: “Non vi conosco”, cioè,
“non c’è niente di Me in voi”. Perché? Perché erano stolte, non erano
intelligenti, non si sono preoccupate di capire. E questo accadrà a chiunque è
stolto, non intelligente, cioè a chiunque non si è mai preoccupato di capire.
Pinuccia A.: Ah, ecco, il fatto che non avevano preparato l’olio
significa che mancarono di intelligenza?!
Luigi: Esattamente.
Pinuccia B.: Capire
non dipende da noi, ma preoccuparci di capire dipende da noi.
Luigi: Il cercare di capire è un’espressione d’amore.
Angelo: Sì, ma penso che ciò che è importante non è preoccuparci
perché non capiamo, ma preoccuparci di capire.
Luigi: Certo. Anzi ad un
certo momento, dobbiamo renderci conto e convincerci che non possiamo essere
intelligenti senza di Lui, per cui abbiamo bisogno di stare sempre uniti a Lui.
Lui è Colui che inizia e Lui è Colui che conclude, Lui è la Via, Lui è tutto.
Per cui se io sono stolto, mi debbo aggrappare molto a Dio perché mi renda
intelligente, perché è Lui che mi rende intelligente, non siamo noi
intelligenti. Per intelligenza non intendiamo quella dote di natura per cui
“quel tale è intelligente”. No! Non è quella l’intelligenza di cui parla Gesù,
ma l’intelligenza intesa come sapienza. La vera sapienza di cui parla la Bibbia
è ben altra cosa dall’intelligenza umana, dote naturale.
La vera sapienza è il timor di Dio, cioè è quella che fa attenzione a Dio, perché è
Dio che rende l’uomo intelligente, cioè capace di leggere le parole di Dio:
di leggerle, quindi di intenderle, di coglierne cioè lo Spirito, l’intenzione.
È la Sapienza che ci convince della Meta a cui siamo chiamati e dell’importanza
di giungervi e ci rende intelligenti nel riconoscere la Via e nel seguirla.
Ines: Quindi a noi è richiesta questa attenzione?!
Luigi: Sì, è richiesta questa attenzione a Dio, perché noi
possiamo cadere in certe abitudini religiose e avere l’illusione di essere
religiosi, perché siccome siamo inseriti in un certo ambiente già fatto, molte
volte tendiamo a trasformare in routine, quindi in non intelligenza, quello che
è un problema religioso. Ecco, il rischio di limitarci a ripetere o a ricordare
le Parole di Gesù a memoria come un disco. Non è quello! Perché ci deve essere
in noi la preoccupazione di far attenzione “perché il Maestro mi sta parlando!
Ecco, il Maestro mi sta parlando! E se
mi parla devo ascoltarlo!”.
Teniamo presente che se Dio parla è perché
ha formato in noi l’orecchio per ascoltarlo, quindi vuol dire che ci dà la
capacità di far attenzione e di ascoltarlo. Quindi in noi ci deve essere
l’ansia, la preoccupazione di capire, perché “Dio mi sta parlando”. Però
l’intelligenza per capire le sue parole mi viene da Lui; per cui debbo fare
molta attenzione a Lui; non debbo dire: “Un giorno poi capirò o mi impegnerò…”.
No! Debbo guardare molto a Lui, perché soltanto guardando a Lui rimango nel
desiderio di capire e ricevo l’intelligenza per capire.
Allora, in un primo tempo è importante, anzi è
necessario, che il Verbo di Dio si faccia carne e occupi un posto in questo
mondo, perché abbiamo bisogno di una presenza fisica a cui agganciarci. Ma in
un secondo tempo la sua presenza fisica se ne deve andare; ma tra il primo
avvenimento e il secondo avviene un fatto importantissimo dentro di noi.
Ecco:
in un primo tempo abbiamo bisogno di incontrare il Cristo e in un
secondo tempo abbiamo bisogno che il Cristo se ne vada (è Lui stesso che ci
dice che è importante, anzi necessario, che se ne vada), ma tra i due tempi
succede una grande rivoluzione dentro di noi, e la grande rivoluzione consiste
in questo: quando noi abbiamo bisogno di incontrare il Cristo come carne è
perché siamo molto dispersi dal mondo, cioè tutto pesa su di noi e ci porta
via. Incontrando il Cristo, troviamo Uno che opera in noi la distrazione da
tutte le altre cose e la concentrazione su di Sé, in quanto risponde alle
nostre esigenze.
Quando ormai siamo solo più presi da Lui,
perché c’è in noi un grande amore tutto incentrato in Lui, al punto che il
resto non ci importa più e non andiamo più alla ricerca di altro, allora ecco
che siamo liberi dal peso delle cose, non sentiamo più il peso di esse.
Ecco, liberi dal peso del mondo, a questo
punto il Cristo dice: “Adesso anche Io me ne vado”. Perché?
“Perché vi devo consegnare ad una Realtà diversa”.
Cristo ci libera dal peso delle cose col suo
“peso” fisico, con la sua attrazione. È quanto è avvenuto negli Apostoli, per cui essi non se ne vogliono più
andare dal loro Maestro, perché hanno capito che solo Lui ha parole di vita
eterna.
Questa liberazione che Gesù ha operato in loro
con la sua attrazione, si rivela quando Lui chiede agli apostoli: “Volete
andarvene anche voi?” e Pietro risponde per tutti: “Da chi andremo? Tu
solo hai parola di Vita eterna!”(Gv 6,68) “Tu solo!”: ecco ormai gli
altri non interessano più.
Ines: Ma non c’è il pericolo di tornare indietro? Lo vediamo
in Pietro: Gesù gli dice “Te beato” e poi subito dopo…
Luigi: Certo, il rischio di far marcia indietro c’è senz’altro,
ma prima di arrivare alla Pentecoste. Però questo momento in cui Cristo se ne
va (ed è questo un passaggio necessario per giungere alla Pentecoste, ed è Lui
che lo determina), è una cosa molto diversa dal fatto di sentirsi dire: “Te
beato…!”, perché Cristo se ne va quando ormai l’anima è pronta per questo
passaggio.
In un primo tempo ci vien detto: “Tu devi
sempre restare legato a questo corpo di Gesù, fintanto che non ti porterà alla
vita eterna”. Ma quando arriva il momento di questo passaggio, e Lui che ci
conosce sa quand’è il momento, Lui stesso ci dice: “È necessario che Io me
ne vada”, perché, volendo farci
scoprire la sua Gloria nel Padre, vede
che la nostra anima è matura per poter fare questo passaggio.
Il sentirsi dire queste parole è una scoperta;
e quando tu fai una scoperta, la fai una volta per tutte. Ed è una cosa molto
diversa dal sentirsi dire “tu sei beata”, perché questo me lo dice dall’esterno
e quindi non è una cosa irreversibile. Infatti
il Cristo dice a Pietro: “Beato te!” (Mt 16,17), e cinque minuti
dopo gli dice: “Sei un demonio!”
(Mt 16,23), ma sono parole dette dall’esterno. Quando invece Cristo dice: “È
necessario che Io me ne vada” è una cosa tutta diversa: c’è una scoperta e
si va verso una scoperta nuova: Lui vede che dentro di noi ormai c’è bisogno di
qualche cosa di diverso: c’è bisogno del Padre.
Quindi quando se ne va e ci dice: “È
necessario che Io me ne vada…”, è perché ormai Lui ha visto che si è formato in noi il bisogno del Padre, per cui Lui ci
dice: “Ti affido al Padre, guarda solo al Padre e resta lì”.
Sono tappe nuove; e queste tappe nuove sono
scoperte, sono conoscenze nuove. È come quando, ad esempio, abbiamo sentito
dire: “Vedere la gloria è vedere ciò che uno è”. Direi: è una scoperta. Ora quando la scoperta è
fatta è fatta.
Eligio: Non è detto però che, per intrinseca debolezza della
natura umana, uno aderisca perennemente a questa scoperta e non ritorni di
nuovo ad avere le idee confuse.
Luigi: Certo, non è detto che con questo uno sia arrivato a
vedere la Gloria. Il definirla: “manifestazione di ciò che uno è”, è una
scoperta a parole, ma tra questa scoperta e il vedere la Gloria c’è un salto
enorme: è un salto di qualità.
Eligio: Come c’è un salto di qualità tra il vedere la Gloria e
il restare in Essa.
Luigi: Ah, no! quando
vedi la Gloria resti, perché non puoi non restarci. Il vedere la
Gloria è una scoperta tutta diversa. Non puoi non restarci.
Angelo B.: Facciamo difficoltà a capirlo perché forse siamo ancora
tanto lontani dal vedere la Gloria.
Eligio: Intuiamo qualcosa, che subito ci sfugge. Per questo
dicevo che quando facciamo delle scoperte non è facile restare in esse.
Angelo B.: Ma io sono convinto che quando vedremo la Gloria sarà
una scoperta che non ci scappa più, perché deve essere una cosa troppo
importante.
Luigi: E già! È la stessa relazione che c’è tra il vedere la
Verità e l’amarla: chi vede la Verità non può non amarla; se noi amiamo
altro dalla Verità è perché scambiamo l’altro per Verità. Infatti se noi siamo
schiavi delle cose materiali, lo siamo unicamente perché le scambiamo per vere,
e riteniamo che siano importanti e allora naturalmente corriamo dietro di esse:
“Devo fare questo e quell’altro… Devo andare qui e là… Se non ho questo, come
faccio?”, e questo facciamo perché, non conoscendo la Verità, le scambiamo per
vere, per cui amiamo queste cose, anziché la Verità. Ma il giorno in cui
conosceremo la Verità non potremo non amarla. Chi conosce la Verità, non può
non amarla!
In Cielo non si può peccare, non si può
desiderare altro, perché si vede la Verità, per cui non si può fare l’errore. È soltanto quando non
si conosce la Verità che si può sbagliare. Ecco perché quello che noi chiamiamo
libertà è soltanto effetto d’ignoranza; infatti noi abbiamo soltanto la libertà
di sbagliare, e questo è effetto d’ignoranza. Infatti se noi vedessimo ciò che
è vero, ciò che quindi ha vero valore, non sbaglieremmo mica, non avremmo
questa “libertà” di sbagliare; cioè avremmo la vera libertà: quella di non sbagliare.
Quindi, quella che noi diciamo “libertà” è soltanto effetto d’ignoranza, di
lontananza dalla Verità. Ecco allora: siccome vedere la Gloria è vedere la
Verità, chi la vede non può non amarla, non può non restare in Essa.
Pinuccia B.: Ritornando
all’argomento di prima: il Cristo se ne va soltanto quando vede che l’anima è
matura per fare il passaggio al Padre. Quindi se Egli se ne va, è perché in
quel momento non abbiamo più bisogno della sua presenza fisica. Ciò non toglie
però che, anche quando Dio ci farà la grazia di vedere la Gloria del Verbo, noi
continuiamo a ritornare sulle parole di Cristo; quindi per noi il Verbo
incarnato non è che se ne vada del tutto...
Luigi: Noi ritorniamo sulle parole del Cristo, perché questa
Gloria, questa visione di Verità, ci riconduce a vedere tutto quello che è
avvenuto. Quando tu arrivi sulla cima di una montagna e ti volti indietro,
dici: “Ah, guarda tutti i sentieri che abbiamo fatto!”; e vedi cose che non
vedevi mentre salivi, in quanto salendo non ti
rendevi conto del perché di certi percorsi; invece guardando
dall’alto si capisce il perché di certi giri, il perché di certi divieti o
deviazioni, i pericoli scampati, ecc., si capisce tutto, ma dall’alto. Così
avviene nelle spirito. Infatti Gesù
dice: “Lo Spirito di Verità, (che è poi questa Gloria), vi condurrà
verso la Verità intera, perché non parlerà da Se stesso, ma ridirà tutto quello
che ascolterà… perché prenderà ciò che è mio e ve lo farà conoscere, ve lo
spiegherà”. “Non vi dirà niente di nuovo”: il “Nuovo” è Lui! (Gv 16,13-14).
Pinuccia B.: Cioè
si scoprono in un modo nuovo le Parole di Cristo.
Luigi: Cioè si scoprono le Parole del Cristo, si scoprono nello
Spirito di Verità, si scoprono nella Verità.
Mentre prima non potevamo negarle in quanto non avevamo argomenti per
dire: “questo è sbagliato”, però non le capivamo, invece, con lo Spirito, possiamo scoprirle nella
Verità, cioè toccare la Realtà che annunciavano.
Pinuccia B.: Quindi
il Verbo incarnato noi Lo ritroveremo, quindi non è che se ne vada
definitivamente.
Luigi: Ma vedi, nella Verità c’è la sintesi di tutto! Nella
Verità è tutto ricuperato!
Pinuccia B.: E
quindi il Verbo Incarnato continua ad essere influente su di noi, perché noi
torneremo alle sue Parole.
Luigi: Ah, senz’altro! È logico, tutta l’opera è sempre di Dio
e, direi, a quel punto lì si vive nel seno della Trinità Divina, cioè si
vive inclusi nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo; perché si abita con-.
Quindi tutta l’opera è di Dio, e la Vita Eterna è una vita con Dio, quindi
l’iniziativa è sempre di Dio, quindi non c’è nessuno che sospenda l’opera; ma ormai la funzione dell’incarnazione è
superata. S. Paolo stesso dice: “Se noi anche abbiamo conosciuto il Cristo
secondo la carne, adesso non Lo conosciamo più”(2 Cor 5,16). Quindi, vedi
che ci sono fasi diverse nella vita?
Pinuccia B.: Però
il Cristo risorto è risorto anche con il suo Corpo; allora, quando avremo visto
la sua Gloria, rivedendo le sue Parole
rivedremo il Cristo Risorto?
Luigi: Certo.
Pinuccia B.: Ma
risorto, è pur sempre il Verbo incarnato.
Luigi: Sì, ma ormai è
una fase superata; cioè si capisce tutta l’opera che Dio ha fatto per noi: arrivati sulla Vetta capiamo tutto il
cammino che Dio ha fatto per noi, quindi tutto l’abbassamento, la Passione, la
Morte, l’annullamento di Dio per salvare noi, per incontrare noi.
Questo lo si vede anche nella Vita eterna,
perché nella Verità si vede tutto, si ricupera tutto. Ed è lì che sboccerà il grande amore per Dio:
perché vedremo la grande misericordia
che ha avuto per noi.
Questa sua opera, questa sua Misericordia,
resterà eternamente e la vedremo
eternamente, non è che sia cancellata. In Paradiso si vedrà tutto l’amore che
Dio ha avuto e continua ad avere per noi; vedremo il suo abbassamento per
salvarci. Ma una volta che uno è salvato, non torna mica più indietro, non ha
più bisogno di essere salvato; se è salvato, è salvato definitivamente, perché
altrimenti non è salvato. Cioè, ho detto, che ci sono dei salti di qualità che
con il Signore si fanno.
Il Signore ci ha fatto fare dei salti di
qualità, e in quanto si sono fatti, sono salti che si sono fatti, e una volta
fatti non si torna indietro, non si
ricade nel tempo. In Dio si cammina a senso unico: una tappa quando è superata,
è superata.
Eligio: È difficile però capire come non si torni indietro,
perché S. Agostino dopo l’estasi di
Ostia, dice: “per debolezza della natura umana sono tornato alle cose usuali…”.
Luigi: Certo, ma proprio perché l’estasi, come la
trasfigurazione, non è vedere la Gloria. Il vedere la Gloria è una cosa
diversa.
Infatti anche nella trasfigurazione non sono
potuti restare sulla cima del monte e sono discesi giù.
Eligio: La contemplazione trascende le cose materiali, i sensi a
cui le cose materiali si riferiscono, la ragione a cui i sensi fanno capo,
l’intelligenza, ecc.; che cosa ancora deve trascendere? Cioè, se un’anima entra
in Dio, anche se non può restare, non c’è un salto di qualità? Si trascende perfino l’intelligenza!
Luigi: Sì, ma non è ancora quello! Quello non è ancora vedere
la Gloria; quelli del Tabor o dell’estasi di Ostia sono solo raggi di Luce che
affascinano; però, per il fatto che non si rimane, vuol dire che questo
non è ancora vedere la vera Gloria.
Le esperienze che il Signore può far fare ad
un’anima, paragonabili all’estasi di S. Agostino, appartengono ancora al mondo
della trasfigurazione: sono raggi di Luce con i quali Dio ti conquista, ti fa
vedere che c’è qualcosa da vedere, però…
Eligio: Pensavo appartenessero già al mondo extra-umano, fuori
dell’umano, quindi che fosse una visione completamente fuori delle facoltà
umane, come quella che ha avuto s. Paolo e quella che ha avuto s. Giovanni.
Luigi: Sì, ma diciamo così: sono visioni, sono raggi di luce che il
Signore ti manda per conquistarti. Ma quando te li ha mandati, tu non puoi
restare, perché c’è tutta la tua vita che deve entrare lì.
Questi raggi di Luce sono lampi in cui Egli
dice: “Guarda cosa c’è da vedere! hai visto? Chiuso tutto, adesso arrangiati;
devi arrivare lì”.
E allora attraverso tutta quella tribolazione di vita per poter
arrivare lì, il tuo amore si fortifica. Perché c’è anche questo da dire: fintanto
che noi siamo in “tribolazione”, cioè fintanto che non siamo arrivati lì,
possiamo aumentare l’amore. Quando tutto ci è dato, l’amore non si muove
più: ormai tutto è dato.
Quindi fintanto che siamo in tribolazione per
arrivare a quella Meta, noi possiamo aumentare l’amore. Ecco perché tutto non
ci è dato. Non ci è dato perché il
Signore ci vuole offrire la possibilità di aumentare l’amore verso di Lui: ci
mette tutto nelle mani dicendoci: “Mi puoi amare nel modo e nell’intensità che
vuoi. Mi vuoi amare poco? Amami poco. Mi vuoi amare tanto? Amami tanto. Io ti
do la possibilità di amarmi: come e
quanto vuoi dipende da te”.
Ora, in che cosa consiste questa possibilità
di amarlo? In quanto io ho tanta possibilità di tradirlo.
Fintanto che io ho tanta possibilità di
tradire l’amore, io posso crescere nell’amore; quando non ho più la possibilità
di tradire l’amore, il mio amore è stabilizzato, non posso più muovermi, cioè
non posso più farlo crescere.
Quindi è la possibilità di tradire, è la
possibilità di trovarmi in esilio, la possibilità di potermi divertire con
tutto il mondo Suo, anziché cercare Lui, che mi dà la possibilità di essere
fedele, e quindi di aumentare tanto la carica d’amore.
La tentazione ha due facce: una positiva e una
negativa: la faccia negativa della tentazione è il rischio di cadere, la faccia
positiva è questa: proprio in quanto si è nel rischio di tradire, si ha la
possibilità di crescere tanto in questo amore, e quindi di conoscerlo tanto.
E Lui ci dice: “Cercami con tutte le tue
forze”; quindi Lui non ci mette limiti. I limiti li mettiamo solo noi. Il
giorno in cui Lui ci dà tutto fatto, ormai l’amore è bloccato.
Per questo dico che noi avremo solo per
quel tanto che di noi avremo donato e non per quello che avremo avuto.
Eligio: Bisogna tener presente la debolezza della natura umana,
per cui la creatura magari vorrebbe tendere al massimo e poi chissà per quali
ragioni stenta ad aderire.
Luigi: Certo, però il
Signore ci conosce. Noi invece non ci conosciamo. Il Signore conosce,
Lui sa quello che la creatura può fare e quello che non può fare. Lui dice: “Amami
con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto il tuo cuore, con
tutto te stesso” e poi: “Io ti do tante occasioni per tradirmi; e queste
tante occasioni per tradirmi sono tante occasioni che ti do per aumentare il
tuo amore. Ecco, ti metto tanto nel rischio, tanto nella difficoltà, perché tu
possa dimostrarmi il tuo amore”.
Ines: Sono inviti che Lui ci fa ad amarlo.
Luigi: Certo, sono inviti, ma sono anche rischi, perché noi
possiamo divertirci, cioè possiamo perdere del tempo.
Pinuccia A.: Sono inviti a superare il pensiero dell’io.
Luigi: In tutto Dio ci invita a questo, perché il superamento
dell’io è la prima condizione necessaria per poterlo conoscere, per giungere a
vedere la sua Gloria.
Già la volta scorsa ci siamo chiesti: “Ma
perché il Signore non ha parlato chiaramente, non ci ha detto tutto in modo
esplicito; perché ci sono dei vuoti, ci sono delle cose da riempire?”. È proprio
questo il motivo: perché il giorno in cui Lui ci desse tutto, la nostra
possibilità di crescere nell’amore sarebbe finita: noi non potremmo più
aumentare il nostro amore, il nostro amore sarebbe stabilizzato.
Noi possiamo aumentare l’amore nella misura in
cui non abbiamo tutto,
in quanto ci diamo da fare, perché diventiamo figli delle nostre opere. E
allora, più ci diamo da fare per Lui e più cresciamo; ma per darci da fare è
necessario che non ci sia dato tutto. Perché se ci è dato tutto noi siamo
bloccati, siamo fermi, non possiamo più fare niente. Quindi a questo punto noi
potremo soltanto più intendere per quel poco o tanto di amore che abbiamo avuto
prima, quando non ci era ancora dato tutto; cioè quando avevamo noi la possibilità
di dare qualche cosa.
Eligio: Hai detto: “Se Dio ci desse tutto, l’amore sarebbe
bloccato”. Cosa intendi per “tutto”?
Luigi: La conoscenza di Sé. Se ce la desse subito, noi non
potremmo portarla e nemmeno potremmo più crescere nell’amore. Per poterla portare
bisogna che si sia formato in noi il desiderio di essa, e quindi l’amore. Ma
come si forma l’amore per essa? Appunto, non dandocela, ma facendocela
desiderare. Se essa ci venisse subito data, non si formerebbe in noi il
desiderio, non crescerebbe in noi l’amore. Noi possiamo penetrare nella
conoscenza nella misura in cui siamo attratti da essa, nella misura in cui
l’abbiamo cercata, amata.
Angelo B.: La conoscenza allora ha diversi gradi?!
Luigi: Certo, noi potremo penetrare nella conoscenza nella
misura in cui siamo cresciuti nell’amore.
Angelo B.: Quindi più tardi ci dà la possibilità di arrivare e più
grande è il nostro amore, e più ne vediamo una fetta grossa…
Luigi: Non è il “più tardi” che conta, ma è la potenza, la capacità; direi che è la
tanta fame che ci fa penetrare nella conoscenza. Nelle difficoltà la tensione aumenta, se
noi ci manteniamo fedeli all’amore. Quindi quanto più uno è lontano
dall’oggetto del suo amore, tanto più l’amore aumenta. Ecco perché si dice che
la lontananza aumenta, fa crescere il vero amore, ma estingue invece il poco
amore.
Ora, è questa intensità d’amore, è questa tanta fame che ti farà penetrare
tanto nella conoscenza.
Allora più cresce la fame e più tu gusti il
cibo: il cibo è la conoscenza. Quindi quanto più tu hai la possibilità di far
crescere la fame, tanto più avrai la possibilità di gustarti il cibo che
arriverà. Se la tua fame è cresciuta tanto, allora quando arriverà il cibo tu
lo gusterai immensamente. Se invece disgraziatamente il cibo ti arriva prima
che tu abbia fame, tu non puoi gustarlo; addirittura il cibo diventa una
tribolazione per chi non ha fame e questo è l’inferno.
Ora, fintanto che non ci è dato il pane, noi
abbiamo la possibilità di desiderarlo; noi però possiamo divertirci con altri
pani, saziarci con altri cibi.
Il rischio sta lì, per cui possiamo dire: “Dal
momento che non arrivo a Dio, io incomincio a divertirmi con quello che ho”.
Ecco, il disastro sta lì!
Quindi il disastro è sospirare altri cibi
anziché quello vero; come il popolo
Ebreo che ad un certo momento, durante il cammino nel deserto verso la
liberazione, anziché la terra promessa sospirava l’Egitto e si lamentava contro
Mosè (e quindi contro Dio): “Ci hai portato via dall’Egitto! Là perlomeno
avevamo le cipolle da mangiare! Eravamo schiavi, ma potevamo mangiare”. C’è
questo rischio: nel deserto ci si può, ad un certo momento, voltare indietro e
rimpiangere il passato, rimpiangere “le cipolle d’Egitto”.
Eligio: Penso che la difficoltà più grossa, trovandoci nel
deserto, sia invece quella di non avere più attrazione o rimpianto per l’Egitto
che hai lasciato e di non vedere ancora la terra promessa.
Luigi: Ma è lì la fedeltà! È lì che si prova la fedeltà!
Per cui è nel deserto che si rivela se uno ha
vero amore per Dio: quando l’amore è vero, c’è la fedeltà, per cui un’anima che ama anche se deve
tribolare, dice: “Ti seguirò dovessi andare con Te fino alla morte” (Mt
26,35). Allora lì c’è l’amore. Un amore che è ancora relativo, come anche lo fu
per Pietro, comunque è amore: “… Dovessi andare con te fino alla morte, voglio
restare con Te! Non mi importa il deserto, purché io sia con Te. Qualunque
prova, purché io sia con Te!”.
Allora lì abbiamo l’amore.
È per questo che il Signore ci mette nella
prova. Abbiamo l’esempio di Giobbe. Diceva il demonio a Dio: “È facile per
Giobbe credere in Te: l’hai inondato di beni, di ricchezze, di figli, di
greggi, di cascine, ecc.! È facile per lui credere in Te. Mettilo un po’ alla
prova! Prova un po’ a togliergli tutto, e allora vedremo se c’è in lui il vero
amore”. Gli viene tolto tutto e Giobbe rimane fedele.
Ed è proprio lì, nella difficoltà, nella
lontananza, nel sospiro, nella sofferenza, che l’anima che ama dice: “No, io
voglio restare fedele al mio Signore, a qualunque costo, anche se mi fa morire”.
Come Cristo sulla Croce: il Padre lo
fa morire, ma Lui resta lì e muore, proprio perché è restato fedele all’amore
per il Padre; avrebbe avuto la possibilità di scappare, avrebbe potuto
sfuggire al tradimento, uscire dal Getsemani, ma ha voluto restare; perché?
Ecco l’Amore: Lui lo dichiara: “Affinché
il mondo sappia che Io amo il Padre” (Gv 14,31). “Affinché il mondo
sappia che Io amo…”.
Noi dobbiamo imparare come si fa ad amare; per
cui se anche Dio ci mette in croce, e Lui lo sa perché ci mette in croce, noi
dobbiamo restare, accettare e restare fedeli a Lui. Non dobbiamo abbandonare
Dio, dicendo: “Ah, no! un momento, le
creature mi liberano dalla croce, quindi me ne vado con le creature; tu sei un
Dio troppo crudele”. No! Il problema sta nel restare fedeli, perché è un
problema d’amore.
Ora, fintanto che c’è la difficoltà, c’è la
possibilità di aumentare l’amore, cioè, di aumentare la fame. E questo è tutta
grazia, perché ci dà la possibilità poi di gustare tanto il Pane. Per cui poi magari
sono sufficienti cinque minuti, come per il buon ladrone, per conquistare
tutto. Come mai?
Noi diciamo cinque minuti, ma chissà quanta
fame lui ha maturato! perché era un ladrone, e chissà quante volte lui avrà
sospirato, avrà invocato di essere liberato da questa passione infame, da
questa vita che gli pesava, da certe situazioni, a causa delle quali lui doveva
fare il ladrone, pur sospirando la liberazione. Per cui, al momento ultimo, in
cui si è trovato sulla croce, ha detto: “Signore, ricordati di me…”
(Lc 23,42), al che Gesù rispose: “Oggi sarai con Me in Paradiso!” (Lc
23,43). Ecco, è bastata quell’invocazione! Ma è un’invocazione che rivela tutta la fame di una vita.
Certo, non basta essere crocifissi con Cristo;
infatti abbiamo l’altro ladrone che invece bestemmia. Evidentemente costui non
ha maturato quella fame, quel bisogno di liberazione e quindi quella fedeltà
che invece l’altro ha maturato.
È la fame che ci salva; e la fame è segno di fedeltà a Dio.
Convinti?
Eligio: Certo! Ed è una riflessione, questa, che ci fa prendere
coscienza delle nostre infedeltà.
Pinuccia B.: Pensando
a questa infedeltà, mi consola il buon ladrone...
Luigi: Mi sembra che ti consoli, perché non vedi quello che c’è
stato prima nel buon ladrone. Tu vedi solo forse quei cinque minuti, ma chissà
quanta passione per Dio portava dentro di sé! Chissà quanto ha sospirato di
incontrarsi con Cristo senza averlo mai incontrato; e finalmente L’ha
incontrato in quel momento lì!
Così Matteo (Levi): alla chiamata del Maestro,
nonostante fosse al banco delle imposte, è partito subito, ma chissà quanto
desiderio lui aveva di essere liberato da quel banco di esattore, di essere
liberato da quel mestiere! Ma non trovava altro, nessuno lo prendeva; è passato il Cristo che l’ha
guardato, l’ha chiamato, e lui subito ha risposto; quindi in lui c’era la fame.
Ora il Cristo risponde ad una fame “dentro”; è
necessario che ci sia questa fame; altrimenti noi diciamo: “Fortunati loro che
li ha chiamati”, proprio perché non consideriamo la fame che c’era “dentro”, la
tribolazione, il crogiolo attraverso il quale si è formato questo amore per-,
per cui ad un certo momento esso affiora… Ma questo momento è una conclusione.
Insomma, anche qui ci sono prima “i sei giorni della creazione”.
Questo crogiolo sono i sei giorni della
creazione che precedono il giorno senza sera.
Noi diciamo: Dio ha fatto l’uomo, ma non teniamo presente tutto
l’universo che ha fatto prima. E così lo stesso: noi vediamo solo il momento in
cui affiora l’amore, il desiderio, ma non vediamo tutte le tribolazioni prima,
attraverso le quali si è formata in
quell’anima la fame di Dio, la fame di essere liberata.
È questo lo scopo, la funzione di tutto l’Antico
Testamento che si sintetizza poi nel battesimo di giustizia di Giovanni
Battista.
Pinuccia B.: Se
Gesù ha detto al buon ladrone: “Oggi sarai con Me in Paradiso”, vuol
dire che questo ladrone aveva in sé tutte le condizioni per vedere la Gloria.
Luigi: Infatti in quell’affidarsi incondizionatamente a Dio (“Ricordati
di Me…”), in quel guardare solo più Dio, c’è la sintesi e la conclusione di
tutto un cammino di maturazione spirituale, deve aver capito tante cose per
poter aggiungere quelle parole: “…quando sarai nel tuo Regno”.
D’altronde, la situazione in cui è venuto a
trovarsi, crocifisso con Gesù, gli ha fatto bruciare le tappe. Ormai era più
che convinto che il suo io era principio di morte e che la sua salvezza stava
solo più in Dio, per cui la attendeva solo più da Dio, faceva conto solo più su
di Lui e guardava solo più a Lui.
Evidentemente lì, in quella situazione, con
tutto il travaglio interiore che da tutta una vita portava dentro di sé, non
aveva più difficoltà a superare il pensiero di se stesso e di tutto il suo
mondo, per sottomettersi e affidarsi pienamente a Dio, in una totale purezza di
pensiero, percorrendo così in cinque
minuti tutte le tappe che lo separavano dal vedere la Gloria. Infatti Gesù
gli dice: “Oggi sarai con Me in Paradiso”.
Questo ci fa capire che nel campo dello
spirito non è questione di tempo, ma di preparazione interiore, di intensità di
desiderio e di purezza di pensiero.
Angelo B.: Hai accennato alla funzione dell’Antico Testamento: a me
non è poi tanto chiaro vederla nella mia vita personale.
Luigi: La sua funzione è sintetizzata in Giovanni Battista. In
lui c’è il riassunto di tutte le lezioni dell’Antico Testamento.
Ora, nell’Antico Testamento sono comprese
anche tutte le lezioni della creazione,
di tutta la natura, di tutta la nostra
vita naturale nel mondo; non solo, ma anche le leggi (la morale), il peccato, i
profeti, la nostra tristezza, le nostre sofferenze, delusioni, ecc. Tutto
questo appartiene a tutto questo mondo di lezioni di Dio per preparare l’anima
all’incontro col Cristo.
Ora, queste lezioni di preparazione al Cristo
sono raccolte e riassunte in Giovanni Battista. Che Giovanni Battista sia la
sintesi di tutto l’Antico Testamento, ce lo conferma Gesù che, parlando di
Giovanni, lo definisce come “Il più grande tra tutti i nati di donna”
(Mt 11,11), il più grande tra tutti i
profeti. Ecco, Gesù lo definisce il più grande perché egli è il vertice di
tutto quello che precede. Infatti mentre tutti gli altri Profeti fanno
sospirare la venuta del Cristo dicendo che deve venire, Giovanni Battista Lo
segnala: “Eccolo! È Lui! Ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1,36).
Ecco perché è il più grande. In Giovanni Battista abbiamo la cerniera, il punto
di contatto tra il vecchio Testamento e il Cristo, il nuovo Testamento.
Angelo B.: Ma non capisco perché e in che cosa l’Antico Testamento
debba interessare me. Non capisco che legame ci sia con me.
Luigi: Perché prima di incontrare il Cristo, noi dobbiamo
passare attraverso tutte le prove dell’Antico Testamento.
Angelo B.: È questo che non capisco.
Luigi: Perché per incontrare il Cristo dobbiamo maturare in noi
la fame di Dio. Per maturare in noi la fame di Dio, dobbiamo prima
esperimentare il peccato, anche se questo lo esperimentiamo per colpa nostra,
quindi tutte le schiavitù, ecc. Da qui esperimentiamo il bisogno di liberarci
da tutta questa situazione. E questo è tutto l’Antico Testamento. Poi bisogna
arrivare a sospirare il Salvatore. E poi in questa attesa e sospiro abbiamo
Giovanni Battista che invita a fare la giustizia, a mettere Dio al centro, ed è
poi questo che ci prepara all’incontro con Cristo.
È qui che scopriamo il parallelo che c’è tra
noi e l’Antico Testamento.
Infatti tutta la fase della creazione, del
peccato originale, dell’Antico Testamento, dei Profeti, dei comandamenti, noi
la riviviamo nella nostra vita. Tutto si ripete in noi: si ripete la fase prima
del bisogno del Cristo e poi dell’incontro col Cristo; e poi si continua: c’è
la Croce, la Resurrezione, ecc., perché tutte le tappe della sua vita dobbiamo
riviverle in noi.
Quindi non bisogna dire: “Questo è passato e
riguarda le generazioni del passato”. No, no, perché tutto ciò che c’è nella
Bibbia si ripete, si rivive in noi. Per cui c’è il momento del tradimento di
Adamo, c’è il momento della fede di Abramo, c’è il momento della schiavitù in
Egitto, il momento della liberazione e il momento del deserto tra l’Egitto e la
terra promessa, ecc.; sono tutte tappe della nostra vita.
Lì sono scene, scene storiche, ma sono
avvenute però per farci prendere coscienza di quello che avviene o deve
avvenire in noi, nella nostra vita personale.
Per cui attraverso l’Antico Testamento avviene
una maturazione nell’anima.
Quindi qual è la funzione di tutto l’Antico
Testamento? È quella di far maturare in noi il bisogno del Cristo, il bisogno
del Messia.
Ecco perché l’Antico Testamento è importante!
È importante perché ci prepara, ci fa individuare i nostri punti deboli, i
peccati, e ci interpreta il nostro bisogno principale. Infatti, quante volte
siamo malati senza però sapere diagnosticare; l’Antico Testamento ci fa la
diagnosi: “Tu hai bisogno di incontrarti con Cristo”. Questa è la funzione di
tutto l’Antico Testamento.
Con Cristo invece iniziamo il Nuovo Testamento
perché abbiamo già il Dio che ci dà una mano (ce la dava già prima, ma non la
individuavamo), ci viene incontro,
scende, cammina e parla con noi.
Ecco, portando in noi questo bisogno di essere salvati da Dio, allora ci
lasciamo prendere per mano da Cristo. Prima no!
Quindi il lungo cammino che dobbiamo
percorrere per giungere alla giustizia essenziale (che è la prima condizione
per iniziare il cammino spirituale e poter riconoscere e seguire il Cristo) è
rappresentato da tutto quel lungo periodo dell’Antico Testamento. Con Cristo
poi, portati per mano da Lui, passando attraverso la sua Morte, Resurrezione e Ascensione, potremo realizzare le altre condizioni
richieste per giungere alla meta, cioè per essere condotti a vedere la sua
Gloria, cioè alla Pentecoste.
Eligio: Quindi, se vogliamo giungere a vedere la Gloria, l’unica
cosa che dobbiamo fare, l’unico atteggiamento “pratico” che dobbiamo assumere è
quello di seguire il Cristo.
Luigi: Certamente, perché Cristo è la Via. Ma va seguito il più da vicino possibile,
perché più lo seguiamo e più la nostra anima si illumina.
Angelo B.: Sì, se Cristo è la Via è necessario cercare di capire
tutto di Lui per arrivare là dove ci vuole portare, cioè a vedere la sua
Gloria.
Pinuccia B.: Tutto
serve di preparazione.
Pinuccia A.: Si deve far attenzione a Dio perché tutto è voluto da
Dio e in tutto Lui ci parla; ma questo non vuol dire rispondere di sì a tutti.
Luigi: E no! Tutto va accolto da Dio, ma tutto va riportato a
Dio per intendere l’intenzione con cui Dio mi ha mandato quella cosa o quella
proposta, per poter rispondere secondo il suo Spirito. Tutto è voluto da Dio,
anche ogni proposta (anche di male) che mi giunge, affinché io affermi la mia
fede e la mia adesione allo Spirito di Dio, superando il pensiero del mio io.
Se di fronte a qualunque proposta, buona o
cattiva, indifferente o offensiva, non affermo lo Spirito di Dio, ma amo il mio io, testimonio me stesso e mi carico di catene; non solo, ma si
scatenano le forze di rigetto, di rifiuto, perché il nostro io è un corpo
intruso nel Regno di Dio.
Se invece testimonio Dio questo mi lega molto
a Dio, non solo, ma spezza una catena e accelera la mia liberazione.
Testimoniamo Dio solo quando raccogliamo ogni
proposta in Dio, appoggiandoci sulle Parole di Cristo che sono strada per i
nostri passi. E allora tutto viene fatto in Dio e per Dio.
Pinuccia A.: Ciò che conta è l’intenzione con cui si fanno le cose,
non ciò che appare.
Luigi: Certo, e solo tu puoi sapere se una cosa la fai per Dio
o per te: fosse anche un’opera apparentemente santissima, se è fatta nel
pensiero del tuo io non serve a nulla, anzi ti può illudere di essere buona.
Pinuccia A.: Infatti ciò che sembra un atto di amore o di carità a
volte può essere un atto di orgoglio; viceversa, ciò che appare un gesto di
durezza può essere un grande atto di amore.
Luigi: Bisogna imparare a lasciarci guidare dallo Spirito di
Cristo e allora si impara ad amare veramente. Se leggiamo il Vangelo vediamo
che è un panorama stupendo quello che ci presenta Cristo, perché Egli ci
libera dalle meschinità e ci insegna ad amare gli altri con vero amore.
Inizia col dirci: “Ama gli altri come te
stesso” (Mt 22,39). Questo termine di raffronto “come te stesso” è ancora
relativamente facile: infatti posso capire che
se amo molto me, e se per me ha valore, ad esempio, il denaro, amo gli
altri dandoglielo e così me ne distacco; se per me ha valore il silenzio, aiuto
gli altri a trovare spazi di silenzio, ecc., ecc.
Ma poi Gesù arriva a chiederci di amarci gli
uni gli altri addirittura “come Lui ci ha amato”, e questo implica il
rinnegamento totale di noi stessi per amare unicamente Dio e quindi per amare
gli altri per Dio e in Dio.
La capacità di amare “come” Cristo ci
ha amato ce la forma Lui stesso nella misura in cui Lo ascoltiamo e arriverà al
suo compimento alla nostra Pentecoste, quando cioè vedremo la sua Gloria,
perché solo nella visione del Figlio nel Padre noi capiremo veramente quel “come”:
“Come il Padre ha amato Me, così Io ho amato voi” (Gv 15,9).
Eligio: La sublimità della Meta alla quale siamo chiamati ci
evidenzia la necessità delle condizioni di cui hai parlato e soprattutto di
Cristo come Via e come Guida.
Luigi: Infatti noi da soli non potremmo assolutamente
arrivarci. Ma non potremmo neppure immaginarci che siamo chiamati a contemplare
la gloria del Verbo e tanto meno conoscere l’importanza che ha per la nostra
vita giungere a vederla. D’altronde Gesù l’ha detto: “Nessuno può salire al
Cielo se non Colui che è disceso dal Cielo, il Figlio dell’uomo che è in Cielo”
(Gv 3,13).
Da qui la necessità di seguire Cristo in tutte
le sue Parole, senza tralasciarne nessuna, perché è attraverso di esse (se le
capiamo e le assimiliamo) che Cristo ci fa vedere la grandezza della Meta
che ci attende, ci convince dell’importanza di giungere ad essa per
conseguire la nostra liberazione e comunione con Dio, ci segna le tappe del
cammino e ci istruisce sulle condizioni necessarie per proseguire fino alla
visione della sua Gloria.
È un’opera immensa quella che il Cristo compie
in noi, se Lo seguiamo, soprattutto un’opera di liberazione e sganciamento dal
mondo per concentrarci su di Sé e sui suoi argomenti.
Non solo, ma attraverso la sua Morte in Croce, capita, ci dà la
possibilità di realizzare la prima condizione necessaria per giungere a vedere
la Gloria: morire a noi stessi per poter ascoltare Dio in tutto e vivere
per conoscerlo.
Siccome Lui in tutto e sempre ci parla solo
del Padre, anche quando non ne parla espressamente, se noi seguiamo la sua
conversazione, Egli converge a poco a poco la nostra attenzione sul Pensiero
che ci vuole comunicare: il Pensiero del Padre, formando così in noi la
capacità di sostare in questo Pensiero. Quando questa capacità si è formata
in noi, Egli se ne va (ed è questa la seconda condizione per giungere alla
Gloria), perché ormai ci può affidare al Padre.
Luigi: No, non dobbiamo pensare che non si possa giungere a
vedere la Gloria del Verbo fintanto che siamo su questa terra. Gesù stesso ha
detto: “Vi sono tra di voi alcuni che non gusteranno la morte prima di aver
visto il Regno di Dio” (Mt 16,28; Mc 9,1).
Sì, è vero che la meta per la quale Dio ci ha
creati è una Meta altissima, superiore alle nostre possibilità e ai nostri
sogni, ma è anche vero che ce l’ha resa accessibile attraverso il suo Verbo
Incarnato, che è venuto tra noi proprio per portarci a vedere la sua Gloria,
indicandoci il cammino nelle sue varie tappe e le condizioni che ci sono
richieste.
D’altronde, se c’è stata la Pentecoste per
gli Apostoli che hanno potuto testimoniare: “Noi abbiamo visto la sua
Gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre”, vuol
dire che anche per noi è possibile giungervi già su questa terra (pur
nelle inevitabili limitazioni fisiche dovute ai condizionamenti del corpo).
Quindi se questa testimonianza (“noi
abbiamo contemplato la sua Gloria…”) è giunta oggi a noi, è perché anche
noi siamo chiamati a giungere a questa Meta.
Non dobbiamo ritenere impossibile ciò che Dio
ha reso possibile.
Eligio: Certamente. Anzi il prendere coscienza di questa nostra
vocazione e di quanto Dio ha fatto per rendercene possibile la realizzazione
deve diventare motivo di grande riconoscenza e anche di impegno. Ciò non toglie
che trovo difficoltà ad intendere come una visione della Gloria che oltrepassi
l’esperienza della Trasfigurazione, che vada al di là, ad esempio,
dell’esperienza che hanno fatto s. Agostino e sua madre nell’estasi di Ostia,
possa essere possibile su questa terra, pur credendo che con Dio tutto è
possibile.
Luigi: Tutto è possibile con Dio, ma a determinate
condizioni che sono essenziali.
La prima, abbiamo già visto, è la morte al nostro io, perché
non si può vedere Dio nel pensiero del nostro io.
Per cui non basta che Cristo muoia, non basta
che Lui ci faccia fare l’esperienza della sua assenza, del suo silenzio, ma è
necessario capire la sua morte! Capire l sua morte vuol dire morire a noi
stessi. Fintanto che non la capiamo Egli ci ripeterà sempre: “Capite quello
che vi ho fatto?”.
Egli è morto sulla Croce per farci capire che
quando in noi prevalgono quelle stesse passioni (di Giuda, di Pietro, di Caifa,
ecc.) che L’hanno mandato a morte, siamo noi stessi, ognuno di noi
personalmente, che Lo uccidiamo nella nostra anima.
Egli ci salva proprio così: facendoci vedere
che “il corpo del peccato” sta nel nostro io autonomo da Dio e
convincendoci che questa autonomia è deicidio. Infatti soltanto se siamo
convinti di questo, abbiamo la grazia, e quindi la forza, per superare il
nostro io, per dimenticarci, per morire a noi stessi.
Ma non è automatica la cosa.
Dio ci invita, ci sollecita, muore per farci
fare questo passo, ma non può costringerci, perché è un atto d’amore che solo
noi personalmente, nel nostro intimo, per grazia di Dio, possiamo deciderci a
fare.
Ma se non superiamo questo “posto di blocco”
che è il pensiero del nostro io, se non facciamo questa Pasqua, questo passaggio dall’avere il pensiero dell’io come
centro all’avere come centro il Pensiero di Dio, Cristo per noi è morto invano,
per cui noi non Lo ritroveremo risorto. Il cammino per noi si interrompe, e noi
non giungeremo mai a vedere la sua Gloria, né di qua, né di là.
Se invece capiamo la Morte di Cristo e moriamo a noi stessi, non
lasciandoci più motivare dai sentimenti e dalle nostre intenzioni, ma
dall’Intenzione di Dio, allora facciamo Pasqua:
ritroviamo Cristo risorto e risorgiamo anche noi, cioè non viviamo più per le
cose della terra, ma per quelle del Cielo.
Dopo Pasqua
il cammino prosegue fino all’Ascensione
e poi ancora oltre fino alla Pentecoste.
Sono tutte tappe necessarie per giungere a vedere la Gloria del Verbo; sono
tappe che vanno capite, perché si percorrono solo capendole.
Ed è qui, dopo la Pasqua, che si presenta agli Apostoli (e
quindi anche a noi se abbiamo fatto la Pasqua),
la seconda condizione necessaria per giungere a vedere la Gloria: bisogna
cioè che tutto il nostro mondo passi, quindi anche la presenza fisica del
Cristo, altrimenti non può venire in
noi lo Spirito di Verità.
Questo non vuol dire che si debba morire
fisicamente, no! Ma vuol dire che tutto ciò che è relativo al nostro io va
superato, per raccoglierci unicamente nel Pensiero del Padre, poiché Cristo
prima di andarsene ha formato in noi questa capacità e questa convinzione che la
visione della sua Gloria deve venirci dal mondo che ci trascende.
Egli infatti chiede al Padre di fare vedere ai
suoi discepoli quella “Gloria che Egli ebbe prima che il mondo fosse”. È
per questo che, a questo punto, il mondo deve finire in noi.
Eligio: Certo, alla luce di queste considerazioni è chiaro che
nell’esperienza del Tabor gli Apostoli non hanno ancora visto la Gloria del
Verbo. Non ci avevo mai pensato. Evidentemente perché in me il concetto di
“gloria” era legato più ad un problema emotivo che sostanziale, legato più agli
effetti che ci si può attendere dalla visione della gloria che alla sostanza
della gloria stessa.
Luigi: Ma anche gli effetti, le conseguenze del vedere la
Gloria hanno la loro importanza; non sono mica da sottovalutare, anzi! Abbiamo
considerato come sono proprio queste conseguenze a farci capire l’importanza
per noi del vedere la Gloria. Però queste conseguenze sono stabili solo se
derivano dalla visione della Gloria “prima che il mondo fosse”; se
derivano da altre esperienze a livello sentimentale, di concessione, sono
anch’esse transitorie.
Pinuccia B.: Il
momento in cui Gesù dice: “È necessario che Io me ne vada”, è Lui che lo
determina?!
Luigi: Certo, perché è Lui che conosce noi.
Pinuccia B.: Ma
non abbiamo bisogno di Lui finché viviamo?
Luigi: Finché viviamo? Finché siamo morti! Finché siamo morti
abbiamo bisogno di Lui, non finché viviamo!
Angelo B.: E già, una volta che siamo morti al nostro io Lui se ne
va, perché non siamo più morti.
Luigi: Finché invece siamo morti, abbiamo bisogno di Lui come
presenza fisica, perché è Lui che risuscita i morti. Cristo è venuto per
risuscitare i morti! Noi abbiamo quindi bisogno di Lui finché siamo morti. Ma
quando Lui ci ha portati a Pentecoste…
Angelo B.: Certo, una volta che abbiamo visto la Gloria, ormai
siamo nella vita eterna: non abbiamo più bisogno dell’Incarnazione.
Pinuccia B.: Intendevo
dire: finché viviamo su questa terra.
Eligio: Infatti il rischio della morte c’è fintanto che portiamo
un corpo fisico.
Luigi: C’è questo rischio fintanto che non si arriva alla vita
eterna. Infatti vien detto: “Il Corpo del Signore Gesù Cristo ti custodisca
fino alla vita eterna”. Ma alla vita eterna si può giungere, per grazia di Dio,
già qui, prima di morire fisicamente. E una volta giunti a Pentecoste non si
ha più bisogno del Verbo nella carne, perché Lo si è ritrovato in una
condizione nuova: nel Padre.
L'uomo è un essere visitato dalla gloria di
Dio: ogni uomo è un testimone di Dio e proclama, coscientemente o
incoscientemente, che Dio è tutto: Creatore, Signore, Luce, Amore, Perdono,
Salvezza, Verità, Senso e Significato di ogni cosa.
"Voi stessi dite che Io sono", dice il Signore agli uomini (Lc 22,70).
Noi stessi diciamo che Dio è: lo diciamo in
tutto, in ogni momento, in ogni modo; lo diciamo sia con la vita, sia con la
morte, lo diciamo sia con i problemi che ci assillano e che non risolviamo, sia
con le inquietudini, le paure, sia con il nostro tanto correre per il mondo, segno
dell’inquietudine che portiamo dentro.
Tutti gli uomini, volenti o nolenti,
glorificano Dio: Creatore, Principio e Fine, Ragione di tutte le cose e di
tutti i fatti.
La fame di luce che ogni uomo porta, dice che
Dio è la luce dei suoi occhi, il bisogno della sua anima.
Eppure, immersi in tanta gloria di luce gli
uomini stentano ad occuparsi di Dio, a cercarlo, a conoscerlo.
Si fermano all'apparenza delle cose e
attribuiscono agli altri o a se stessi gli eventi.
È un’illusione che siano gli uomini e i
“grandi” a guidare gli eventi e ad essere i protagonisti della storia, mentre
essi sono il gioco della fune degli eventi guidati e decisi in ben altro
"luogo".
Dio è trascendente ed immanente: non è
condizionato quindi da nessuno, ma è condizionante ognuno e ogni cosa: tutte le
creature e tutti i tempi sono in mano sua.
La luce di Dio bussa alla porta di ogni uomo,
qualunque siano i suoi impegni, le sue preoccupazioni, i suoi problemi, e lo
chiama.
Dio ci chiama a ciò che Egli è mediante ciò
che non è, e questo è l'annuncio, la gloria di Dio in ogni uomo e per ogni
uomo.
Ciò che non è ci conduce a cercare ciò che è.
Ciò che ci fa esperimentare l'assenza
dell’Assoluto, ci chiama a constatare la presenza dell’Assoluto.
L'assenza di Dio nel mondo esteriore,
velamento di Dio, è spiegazione, dis-velamento della presenza di Dio nel nostro
mondo interiore.
Se anche l’assenza di Dio è testimonianza,
dis-velamento della presenza di Dio, allora il “kabod”, la gloria di Dio nella
creazione, nella storia, nella vita dell’uomo, è totale, abbraccia ogni cosa.
“Nel suo Tempio tutti dicono: Gloria!” (Sal.
28,9).
Anche la distanza più radicale è relazione e
quindi testimonianza, glorificazione dell'Infinito nel finito.
Questo ci fa capire che è l'Infinito che porta il finito, e non
viceversa.
Se è l’Infinito che porta il finito e si
disvela in questo, ogni uomo è visitato dalla gloria di Dio.
Questa gloria è ciò che si respira
nell'universo: ogni angolo è ricolmo di meraviglia, di miracolo; noi stessi
siamo una meraviglia circondata da meraviglie e nessuno dice: perché?
"Ti rendiamo grazie, o Dio, per la tua
gloria immensa!" Gloria
con la quale Tu ti annunci a noi e ci chiami a conoscerti!
È per questa gloria immensa che nessuno, a
qualunque razza, popolo, religione o ateismo appartenga, può ignorare Dio.
Ma non poter ignorare non è conoscere; basta
però a rendere responsabile e colpevole l'uomo se non ha interesse per
conoscere.
Per la presenza della gloria di Dio in tutto
ognuno percepisce che quanto accade nel mondo allude a qualcosa di più profondo
e personale con Dio.
In tutto si parla di noi, dei nostri rapporti
con Dio.
Tutto ci rimprovera di non cercare e di non
conoscere Dio.
Per questo, il vivere ogni giorno è pieno di
sorprese: nulla, nel piccolo e nel grande, è senza significato, anche se ben
poco è ciò che capiamo, poiché non occupandoci di Dio siamo analfabeti nelle
opere di Dio.
Ma anche questo, questo nostro non capire,
rende gloria a Dio, il quale dolcemente ci chiama a lasciare tutto ciò in cui
stiamo sciupando la nostra vita, questo bene immenso di cui non sappiamo che
farcene se non per lavorare, guadagnare, arricchire, accumulare cose nel mondo,
e ad occuparci invece di Lui che si può trovare solo nella misura in cui ci
dedichiamo a Lui.
La vita dell'uomo sta nella possibilità di
conoscere Dio, di glorificarlo per quello che Egli è, di conoscere in tutto la
sua Verità, la sua Presenza.
Là dove l'uomo non può glorificare Dio perché
non vede il suo Pensiero, subisce la perdita progressiva della vita fino al
vuoto totale, alla morte, perché se non cerca e non conosce Dio, se non pone
mente per intendere e riferire a Lui
ogni cosa, se non pensa Dio e non Lo
glorifica per quello che Dio è, perde in
sé la capacità di pensare e quindi di vivere, fosse anche in una trappa.
Bisogna imparare a dialogare ogni cosa con
Dio.
Dio ci chiama tutti a perdere per Lui la
nostra vita per ritrovarla "nuova" nella sua Luce.
Bisogna vedere la vita nella luce di Dio.
Il velo che copre ai nostri occhi la gloria di
Dio è come nebbia del mattino che scompare al primo raggio di sole non appena
ci soffermiamo a pensare a Dio.
L'uomo è un essere visitato dal Sole divino
che fa scomparire tutte le nebbie.
Non vedere l'ora in cui si è visitati dalla
luce di Dio è non vedere l'ora in cui si è visitati dalla gloria di Dio: questo
è il momento decisivo nella vita e per la vita di ogni uomo, questo è il punto
in cui la nostra vita acquista un significato o incomincia a perderlo del
tutto.
Si è visitati dalla luce quando si riceve la
proposta a conoscere Dio.
La Parola di Dio giunge a noi sempre come
proposta, e di fronte a una proposta non si può evitare di dare una risposta,
quindi di fare una scelta.
La proposta è: ancorare la vita a ciò che è
eterno per non morire e non subire la disperazione del vuoto nel passare di
tutte le cose.
Di fronte alla proposta della luce la scelta è
decisiva: non si rimane più come prima; nulla può essere più come prima.
O si va verso una luce di Dio crescente
all'infinito fino alla conoscenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
che è Vita eterna, o si va verso uno svuotamento di vita all'infinito in cui
tutto perde progressivamente senso e significato, un senso di morte crescente
perché: "Non hai visto l'ora in cui sei stata visitata!” (Lc
19,44).
(IX – 13.03.1991)
La gloria di Dio si annuncia in noi e in
tutto; si avverte in ogni mattino che si leva sul mondo, si respira
nell'universo, nel mistero delle cose e dei fatti, nella vita di ogni uomo: è
il miracolo di ogni giorno.
La gloria di Dio è la presenza tra noi e in
noi della trascendenza di Dio.
La gloria di Dio investe tutto l'uomo, lo
convoca a pensare a Dio e lo rende attento al Pensiero dell’Assoluto che ogni
uomo porta in sé fino a renderlo conforme all'immagine del Figlio di Dio,
trasparente alla presenza del Padre.
La gloria di Dio risplende in tutto, ma gli
uomini non La vedono e non La vedono perché non La intendono, perché per
intendere è necessario guardare ogni cosa da Dio, principio della Luce e della
vita.
La gloria di Dio che pur si annuncia in tutto,
si trova solo nella Luce di Dio, splende in tutta la sua maestà nell’Unigenito
Figlio di Dio.
Ma gli uomini non guardano le cose da Dio, non
tengono conto di Dio.
Preferiscono tener conto degli uomini, si àncorano
all'effimero anziché all'eterno e così restano schiavi delle cose senza poter
vedere il Pensiero che è in esse.
Difficile per l'uomo restare, abitare in ciò
che gli si annuncia e che non può ignorare.
Difficile per l'uomo restare nel Principio,
abitare nella luce di Dio.
Si resta con Dio solo in quanto si impara ogni
cosa da Lui, vero Maestro dell’uomo.
Gli uomini si sono nominati tanti maestri al
posto dell'unico Maestro e non hanno capito più niente.
Al posto di Dio hanno preferito il caos di ciò
che dicono gli uomini, ascoltare le parole degli uomini anziché le parole di
Dio; hanno preferito la cultura degli uomini alla cultura di Dio.
Bisogna morire a tutto ciò che non è Dio per
ricevere tutto "nuovo" da Dio se si vuol trovare la luce e la vita, poiché
“l'uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4).
Per questo l'uomo attinge la gloria di Dio
nella massima solitudine con Dio.
È qui che trova la sua vita.
La gloria di Dio si rivela solo alla persona
singolarmente, intimamente, poiché la Verità abita nell'intimo dell'uomo.
Dio è il Principio di tutto e non si rimane
con Dio se non si ha Dio come Principio di tutto in noi.
Ciò che ci separa da Dio è il pensiero; ciò
che ci unisce a Dio è il pensiero.
Chi pensa Dio forma una cosa sola con Dio.
Per trovare Dio basta pensarlo.
Ogni altro esistente non basta pensarlo per
trovarlo. Dio basta pensarlo per
trovarlo e trovarci alla sua presenza.
Così tanto Dio ha abbreviato il nostro cammino
per giungere a Lui: lo spazio di un pensiero!
Così tanto Dio ama gli uomini.
Pensare Dio è la condizione per conoscere Dio,
e conoscere Dio è la condizione per essere fatti partecipi della sua gloria e
vivere.
La nostra vita dipende dal poter glorificare
Dio.
Dio non riceve gloria dagli uomini. Siamo noi
uomini che abbiamo bisogno della gloria di Dio per vivere, e noi viviamo nella
misura in cui possiamo partecipare di essa non a parole, ma contemplandola come
Verità in cui tutto è fatto.
Senza di essa tutto ci porta via la vita e si
perde tutto anche avendo tutto.
Tutto ciò che tratteniamo per noi, anche la
nostra stessa vita, resta in noi senza paternità, senza nome, senza
giustificazione, senza significato, senza pensiero, senza gloria di Dio.
Tutto ciò che offriamo a Dio per riaverlo
"nuovo" da Lui, nel suo Pensiero e come suo Pensiero, lo riceviamo in
noi come vita.
La nostra vita sta nella novità che viene da
Dio, ma questa "novità" non può venire senza di noi, se noi non
offriamo a Lui ogni cosa per riaverla da Lui.
Ognuno trova la sua vita in ciò in cui e per
cui spende la sua vita.
Molti spendono la loro vita nel lavoro, nel
guadagno, negli affari, nelle cose del mondo; altri spendono la loro vita in
un'azienda, in una istituzione, in una politica. Si trova veramente la vita solo se la si
perde per Dio, per conoscere Dio.
Spendendola in altro si trova niente e si
rimane con niente.
E quando si rimane con niente si fa esperienza
del vuoto.
Il tempo della vita ci è dato per conoscere
Dio. Sua è la voce che ci chiama
attraverso tutte le cose e tutti i fatti e ci convoca alla sua Presenza per
offrirci l'occasione di incominciare a vivere in Lui e con Lui.
È necessario perdere la propria vita per
conoscere Dio, poiché qui sta la vita vera, eterna.
Chi non è disposto a perdere tutto per un
amore non è degno della realizzazione di quell'amore; chi non è disposto a
perdere tutta la propria vita per conoscere Dio non è degno di conoscerlo e non
può giungere a "realizzare" la conoscenza di Dio e quindi non può
entrare in quella vita eterna nella quale ogni uomo si deve sforzare di
entrare.
Solo chi spende la propria vita per ciò che è
eterno trova la sua Vita eterna.
Bisogna ancorare i nostri pensieri a ciò che è
eterno; bisogna trovare ciò che è eterno in noi, dentro di noi. Solo qui le
cose acquistano un senso e la nostra vita un significato.
Offrire la vita a Dio è cercare in Dio e da
Dio il significato di essa.
Vale solo ciò che è giustificato in Dio.
Ogni altra giustificazione vale nulla, cade
nel nulla e ci trascina nel nulla.
Per questo bisogna perdere tutto ciò che è
finito per ritrovarsi in ciò che è infinito.
Il futuro dell'uomo, di ogni uomo, si gioca
sulla realtà della gloria di Dio.
(X – 20.03.1991- continua)
(Articoli pubblicati su “La Fedeltà” , scritti
da Luigi Bracco)