E
noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale Figlio
Unigenito riceve dal Padre. Gv
1 Vs 14 Quarto tema
Titolo: Vedere la gloria.
Argomenti: L’importanza di vedere la sua gloria. Le
condizioni per vedere la sua gloria. Il luogo per vedere la sua gloria. Il “luogo” dove il Verbo è, è il Padre. LA GLORIA DI DIO.
28/Novembre/1975
Dall’esposizione di Luigi Bracco:
Ci soffermiamo ancora sulla terza parte del v.
14: “…e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come Unigenito Figlio
del Padre, pieno di grazia e di Verità”.
Abbiamo detto che tre sono i temi in questa
frase:
·La Gloria
·Vedere la Gloria
·L’Unigenicità del Figlio di Dio.
La volta scorsa ci siamo fermati sul tema “La
Gloria”; questa sera ci fermiamo sul tema del “Vedere la Gloria”, cioè: “Le
condizioni per vedere la Gloria”.
Teniamo sempre presente che tutte le parole
del Vangelo, tutte le Parole di Dio che giungono a noi, sono per apportare in
noi, nella nostra vita, una trasformazione. Quindi, quando noi leggiamo qui che
alcuni hanno visto, contemplato la Gloria del Verbo, teniamo presente che non
ce lo dicono solo per farci sapere che loro hanno visto, ma è Parola di Dio,
quindi ce lo dicono per avvisarci che c’è qualche cosa da vedere; cioè
per ammonirci che:
·non dobbiamo fermarci a “Il Verbo si è fatto carne”,
·non dobbiamo fermarci al fatto che Egli “abitò tra
noi”,
·ma dobbiamo per mezzo di Lui e con Lui (cioè abitando con Lui) proseguire fino a
quella meta che ci è annunciata e che qualcuno di loro, qualcuno
dell’umanità, qualcuno quindi di noi, ha visto.
Ogni annuncio che arriva a noi è una proposta,
per cui è un invito ad adeguarci ad esso e quindi a conoscere le condizioni
perché tale annuncio non resti inutile per noi. Quindi:
·Ci siamo già soffermati sulle condizioni per vedere il
Verbo che si è fatto carne;
·e abbiamo anche riflettuto sulle condizioni per poter abitare con Colui che
abita tra noi, perché abbiamo osservato che il fatto che il Verbo abiti fra
noi, non corrisponde al fatto che noi abitiamo con Lui: da qui è nata
l’esigenza di conoscere le condizioni per poter abitare con Colui che abita con
noi.
·Adesso dobbiamo cercare di vedere quali sono le condizioni
per poter anche noi (dal momento che ci è annunciata tale meta) arrivare
un giorno a vedere la sua Gloria, in modo da realizzarle e poter giungere
anche noi a vedere tale Gloria, perché
questo è lo scopo di ciò che ci viene detto: poter vedere, poter dire anche noi
un giorno: “Noi abbiamo visto la sua Gloria”.
Teniamo presente quanto è stato detto la volta
scorsa su “la Gloria”: cosa vuol dire vedere la gloria del Verbo? La gloria
del Verbo è la visione del Verbo nel Padre, cioè la manifestazione di ciò che
Egli è.
Ma: “Nessuno conosce il Figlio se non il
Padre”, ci dice Gesù e ce lo dice affinché sappiamo:
·che fintanto che lo conosciamo solo nella carne, non lo
conosciamo;
·e che fintanto che noi non conosciamo il Padre, non
possiamo conoscere chi è Lui, perché solo il Padre (che è l’Essere che genera
il Pensiero di Sé, cioè il Figlio), conosce il Figlio e ce lo può far
conoscere.
Vedere
la gloria del Verbo è quindi vedere il Verbo nel Padre e quindi conoscerlo per quello
che Egli è.
Ma chiediamoci:
·È importante vedere questa gloria del Verbo?
·Perché?
·Che cosa dobbiamo fare per vederla?
·Quali sono le condizioni per giungere a vederla?
·Dove dobbiamo andare o dove dobbiamo trovarci per poterla
vedere?
·Quand’è che anche noi potremo dire: “Abbiamo visto la
sua Gloria”?
Preciserei qui almeno tre punti o per lo meno,
farei una suddivisione di argomenti:
·qual è l’importanza di vedere questa Gloria;
·quali sono le condizioni per vedere questa Gloria;
·dove
dobbiamo trovarci per poterla vedere.
Sono argomenti importanti, sui quali dovremo
soffermarci molto.
Innanzitutto riflettiamo su:
1° - L’importanza
di vedere la sua gloria.
L’importanza di vedere la gloria ci viene
evidenziata dalla Parola stessa di Dio:
a) S. Giovanni nella sua prima lettera dice: “Quello
che abbiamo visto, quello che abbiamo toccato, quello che abbiamo udito, ve lo
annunciamo, affinché (ecco lo scopo!) anche voi possiate essere in
comunione con il Padre e con il Figlio” (1 Gv 1,1-3).
Cioè qui ci fa notare che il vedere la
Gloria del Verbo di Dio è condizione per poter essere in unione con il Padre e
con il Figlio.
Quindi l’unione è una conseguenza della
visione della sua Gloria.
b)Un altro fatto che ci rivela la grande
importanza del poter vedere la gloria del Verbo, ce lo evidenzia Gesù, quando
dice: “Sarete veri miei discepoli se resterete nelle mie parole; e se
resterete nelle mie parole conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”(Gv
8,31-32).
Ecco, è la conoscenza della Verità che ci farà
liberi. Vedere la Verità, conoscere la Verità è vedere la sua Gloria, e
questa è la condizione per la nostra liberazione, per la nostra libertà.
Quindi noi erriamo se cerchiamo una
liberazione senza prima cercare di conoscere la Verità di Dio, perché la
nostra liberazione è una conseguenza della conoscenza della Gloria del Verbo di
Dio.
Quando non c’è la conoscenza della Verità
siamo schiavi di tutto e di tutti.
c) E poi, sempre Gesù, nel Vangelo, ci dice: “Gli
schiavi, i servi non resteranno per sempre nella casa del Padre; solo i figli
resteranno nella casa del Padre” (cf Gv 8,35). Ora, il servo o lo schiavo
si distingue dal figlio per il fatto che il figlio conosce il Padre, conosce
l’animo del Padre, lo spirito del Padre e invece il servo o lo schiavo
ubbidisce, ma senza conoscere lo spirito del Padrone.
Questo ci fa capire che la condizione per
poter restare nella casa del Padre è quella di conoscere; perché è la
conoscenza che trasforma. È sempre Gesù che dice infatti: “Vi chiamo non
più servi ma amici, perché vi ho fatto conoscere tutto quello che ho udito dal
Padre mio” (Gv 15,15).
Quindi, ricevendo tutto quello che il
Figlio ha udito dal Padre e conoscendo, l’uomo è trasformato dalla situazione
di schiavo, dalla situazione di servo, alla situazione di amico, di famigliare,
di figlio e quindi ha la possibilità di rimanere nella casa del Padre.
Ecco quindi l’importanza della conoscenza di
questa Gloria:
·come condizione per poter restare in comunione con il
Padre e con il Figlio,
·come condizione per ottenere la nostra libertà,
·come condizione per la nostra trasformazione da schiavi
in figli e quindi condizione per restare nella Casa del Padre.
Allora possiamo dire che le cose più grandi
che la nostra anima orientata a Dio può sognare e che costituiscono la nostra
salvezza eterna sono:
·la vita di comunione con il Padre e con il Figlio,
·la nostra liberazione,
·la nostra trasformazione in figli, cioè la nostra
rinascita dall’Alto, sono conseguenze del vedere la Gloria del Figlio
Unigenito di Dio.
Sono conseguenze importanti e decisive per la
nostra vita, poiché rispondono alle esigenze più profonde e reali della nostra
anima. Il prenderne coscienza può stimolarci a intraprendere e a continuare il
cammino che ci conduce a vedere la gloria del Figlio Unigenito di Dio e quindi
ad accogliere le condizioni necessarie per giungervi.
D’altra parte già il fatto che ci venga detto
da qualcuno: “Noi abbiamo visto la sua Gloria”, è una sollecitazione, una
proposta da parte di Dio, un invito a desiderare di vederla, cioè di giungere
anche noi a quella Meta alla quale qualcuno di noi è giunto.
2° - Allora è molto importante (e qui passiamo
al secondo punto) soffermarci per vedere quali siano le condizioni per poter giungere a
vedere, a contemplare anche noi questa Gloria.
Anche qui è la Parola di Dio che ci aiuta.
Tali condizioni le troviamo abbondantemente riportate da Gesù stesso:
a) Una delle prime affermazioni circa le
condizioni è questa: “Adesso è giunta l’ora in cui il Figlio dell’uomo deve
essere glorificato; se il seme di frumento caduto in terra non muore, non può
recare frutto, se invece muore porta molto frutto” (Gv 12, 23-24).
Ecco, qui già ci fa capire che per poter
arrivare a vedere la sua Gloria (“è giunta l’ora in cui il Figlio dell’uomo
deve essere glorificato”, ed è questo il frutto che reca il seme che muore:
vedere la glorificazione del Figlio), è necessario che questo chicco di
frumento caduto in terra muoia: queste parole sono riferite al Verbo di Dio
incarnato, ma tutto quello che avviene
in Cristo significa quello che deve avvenire in ognuno di noi, per cui il Verbo
incarnato muore per farci capire che dobbiamo morire a noi stessi.
Allora, se per il Verbo incarnato è stato necessario morire per
giungere alla sua gloria in noi, così per noi, per giungere a vederla, è
necessaria la morte al nostro io.
Quindi la prima condizione per poter
avviarci e camminare verso questo giorno, verso questa visione, per poter
entrare nella Luce e poter vedere questa gloria, ed è Gesù stesso che lo
dice, è la necessità di morire al nostro io, di morire a noi stessi.
b) Ma c’è un’altra condizione: la
necessità del superamento di tutto ciò che fa parte del mondo materiale
esteriore, compreso il Cristo, per poter giungere a vedere la sua Gloria “prima
che il mondo fosse”.
La troviamo sempre nelle parole di Gesù,
quando dice: “Se Io non me ne vado (e qui abbiamo il Verbo di Dio
incarnato che parla), non può venire in voi lo Spirito di Verità; se invece
vado, vi manderò lo Spirito di Verità, il quale mi glorificherà…” (Gv
16,7ss).
Quindi anche qui Gesù ci rivela che per
arrivare a vedere questo giorno della gloria del Verbo di Dio è necessario che
tutto ciò che noi vediamo in questo mondo e tutto quello che appartiene al
mondo corporeo, al mondo fisico, passi.
Qui potremmo subito immaginare che si tratti
della nostra morte fisica. No! Questo morire a noi stessi e questo andarsene
del Cristo e di tutte le cose non vanno intesi come morte fisica, non vanno
identificati con il momento della nostra morte fisica. È necessario che
passiamo noi dalle cose che si vedono a quelle che non si vedono.
Infatti gli apostoli non sono morti quando
Gesù se n’è andato al Padre, anzi sono rimasti ben vivi qui, in questo mondo.
Il Signore nell’ultima preghiera dice al Padre: “Io ti chiedo non che Tu li tolga dal mondo, ma
che Tu li preservi dal male”. Per cui gli apostoli, quando si sono sentiti
dire da Gesù: “È necessario che Io vada, perché se non vado non può venire a
voi lo Spirito di Verità, lo Spirito Consolatore, lo Spirito della Gioia”,
hanno capito quello che Gesù intendeva dire. Non li invitava a morire, bensì
li invitava a restare in questo mondo ma con un certo distacco.
Ecco, era necessario (e ormai erano maturi per
questo) che ci fosse questo loro distacco da tutto ciò che si vede e da tutto
ciò che si tocca, compreso il Verbo incarnato.
Mentre
prima era necessario, per la loro salvezza, che il Verbo di Dio si facesse vedere, si
facesse toccare, s’incarnasse, adesso invece è necessario che tutto quello che
riguarda la carne, il corpo, la materia, il mondo, ecc., passi “altrimenti
non può venire a voi lo Spirito”; e questa è un’altra condizione essenziale
perché l’uomo possa giungere a vedere la Gloria.
Con queste parole Gesù ci insegna le tappe
essenziali per poter arrivare anche noi a
questa Meta.
Quindi è necessario:
·morire al nostro io,
·e superare tutto ciò che fa parte del nostro mondo,
compreso il Cristo; perché il Cristo incarnato, fisico, fa parte di questo
nostro mondo.
Abbiamo visto infatti l’importanza del Verbo di Dio che si è fatto carne: perché
noi che siamo dispersi dal mondo possiamo essere salvati soltanto dal mondo,
per cui Egli è entrato nel mondo, è venuto tra noi, ha occupato un posto in
questo mondo, una pagina della nostra storia, per liberarci. Adesso però Lui stesso ci dice l’importanza, anzi la
necessità che Egli se ne vada,
sparisca da questo mondo.
Però tra il primo avvenimento e questo è
successo, e l’abbiamo già notato la volta scorsa, un grande fatto: un fatto che non è
avvenuto “fuori”, ma che è avvenuto nel cuore degli apostoli.
Il grande fatto che è avvenuto è questo: prima
i suoi apostoli erano immersi nel mondo e dispersi dal mondo. Incontrando il
Cristo, il Verbo di Dio fatto carne, sono stati da Lui raccolti da tutte
le loro dispersioni. Egli li ha raccolti
in Sé, uniti a Sé, parlando loro molto del Padre e dell’importanza di conoscere
il Padre; e adesso che sono ormai
disincantati da tutto ciò che prima li distraeva e li portava via, cioè
disincantati da tutta la realtà materiale, adesso Lui stesso dice: “È
necessario che Io me ne vada”. Perché? Perché li affida al Padre.
Qui, in questo affidamento al Padre, abbiamo
l’ultimo salto da cui dopo verrà la
Gloria, la conoscenza della Gloria del Figlio Unigenito.
3° Ecco, qui entriamo nel terzo punto: dove
dobbiamo trovarci per poter vedere la gloria del Verbo.
Gesù stesso chiede al Padre che “dove” Lui
è siano anche coloro che il Padre gli ha affidato e che ora Egli affida al
Padre, affinché “vedano la sua Gloria”: “Padre, Io voglio che dove sono
Io siano anche quelli che Tu mi hai affidato, affinché vedano la gloria
che Tu mi hai dato” (Gv 17,24).
Quindi Gesù fa dipendere la visione, la
contemplazione della sua Gloria (Gloria che è proposta ad ogni uomo e che è condizione di
salvezza), dal fatto di essere in un certo luogo: “…dove Io sono”
.
Allora ci resta da osservare in che cosa possa
consistere questo luogo in cui il Verbo è (“dove Io sono”), cosa vuol
dire per noi giungere in questo luogo e come si giunge ad esso.
Qual è questo “luogo”?
Il “luogo” dove il Verbo è, è il Padre.
Abbiamo già visto prima che quando il Verbo di
Dio si è incarnato, pur venendo nel mondo, pur essendo nel mondo, non è mai
stato del mondo. Lui, Cristo, pur essendo nel mondo è sempre stato del Padre,
ha sempre abitato nel Padre.
Infatti ha sempre in tutto affermato i suoi
diritti nei riguardi del Padre: di essere Figlio del Padre, di doversi sempre
occupare del Padre; ha sempre cioè affermato in tutto la sua figliolanza divina.
Per cui Gesù era nel mondo, ma non era del
mondo, non apparteneva ai nostri interessi, non apparteneva agli uomini. E
fu proprio questo suo essere nel mondo, senza essere del mondo, per non
appartenere agli interessi del mondo che Lo portò alla Croce, che Lo portò alla
morte (e questo ci fa capire che è un diritto anche nostro quello di occuparci
di Dio, diritto che dobbiamo difendere di fronte ad ogni pretesa del mondo),
morte che Egli ha accettato e affrontato per testimoniare il suo Amore al Padre
(“affinché il mondo sappia che Io amo il Padre”).
Ora, Lui vuole portarci in questo Amore, in
questa conoscenza, in questa Dimora, là dove Lui è: il Padre, affinché vediamo
la sua Gloria.
Ecco perché, al compimento della sua
missione, il Figlio consegna al Padre coloro che si sono incontrati con Lui
e che Lo hanno seguito (“Padre, quelli che mi desti custodiscili Tu nel tuo
Nome…” – Gv 17, 11) e chiede al Padre di dare loro la Vita Eterna, cioè la
conoscenza, la rivelazione del Padre e del Figlio.
Già durante tutto il tempo in cui è stato con
loro, Gesù ha fatto loro conoscere il Padre (“Ho fatto loro conoscere il
tuo Nome”- Gv 17,6), perché ha sempre parlato loro del Padre, per cui
li ha fatti diventare poco per volta “tutto pensiero del Padre”, li ha convinti
che il Padre abita in essi, ha promesso loro che Lo rivedranno dal Padre, ecc.
ecc. : ecco perché ora può affidarli al Padre e può andarsene!
Se ne va come presenza esteriore, fisica, però
Lui spiritualmente rimane con loro, perché andandosene dice loro: “Restate uniti a Me”.
Se ne va perché ormai la loro anima, avendo
ascoltato e assimilato le sue Parole e avendo sottomesso tutto, esterno ed
interno, al Pensiero del Padre, ha finalmente maturato la capacità di guardare
al Padre e quindi la capacità per un grande balzo in avanti: attraverso una
“veglia infinita” in cui guarda unicamente al Padre, essa ha ora la possibilità
di arrivare al “luogo” in cui il Figlio è.
Infatti Gesù se ne va, ma dice: “Vado a prepararvi un
posto… affinché dove sono Io, ivi siate anche voi” (Gv
14,2-3).
Ma in che cosa consiste questo “posto”?
Come lo prepara in noi?
Il fatto che Gesù preghi il Padre che gli
restituisca, in noi, quella gloria che Egli ebbe “prima che il mondo fosse”
(cioè prima che il mondo entrasse nella nostra anima) ci fa capire che la
gloria Sua, la conoscenza di ciò che Egli è, la dobbiamo ricevere da qualcosa
fuori del mondo e che quindi il “posto” che Egli ci prepara è al disopra di
tutto ciò che è mondo.
Infatti il “posto” che Gesù va a prepararci è
lo stesso “luogo” in cui Lui è (“…siano dove Io sono…”) e da cui noi possiamo vedere la sua gloria.
E siccome è Gesù stesso che fa dipendere la
visione della sua gloria dall’essere noi in un certo “luogo” (“siano
dove Io sono, affinché vedano…”), possiamo dire che il “luogo” è
quel punto da cui uno guarda e vede qualcosa.
Un luogo, qualunque luogo, è sempre un punto
da cui uno guarda (più uno sale in alto, più la visione si amplia). Il luogo
è quindi un punto di vista.
Il “luogo” dove è il Figlio, è il Padre,
quindi è il punto di vista del Padre.
Egli vuole che anche noi siamo “dove” Lui è,
affinché possiamo anche noi vedere ciò che Lui vede e ricevere ciò che Lui
riceve.
Infatti è solo guardando dal punto di vista
del Padre, è solo occupando questo “luogo”, che il Padre rivela a
noi Se stesso e ci fa conoscere il Figlio, cioè ci rivela la gloria del
Figlio: “…gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre”.
Ecco, qui possiamo capire in che cosa
consista questo “posto” che Gesù va a prepararci e “come” il Cristo
lo prepari per noi e quindi “dove” lo prepari: lo prepara dentro di noi,
perché lo prepara formando in noi la capacità di guardare dal punto di vista
del Padre. Il “posto” è questa capacità.
E “come” la forma? Andandosene. Infatti guardando “al” Padre, al quale
Cristo ci ha affidati, ad un certo momento, per opera del Padre, avviene in noi
un capovolgimento: non guardiamo più “a-”, ma “da-”, cioè guardiamo
“dal” Padre.
Ed è appunto dal Padre che riceviamo la rivelazione
del Padre stesso ed è dal Padre che possiamo vedere la gloria del Figlio,
perché guardando dal punto di vista dell’Essere, vediamo la manifestazione
dell’Essere: rivelazione di ciò che il Verbo, il Figlio Unigenito, è.
“In quel giorno conoscerete che Io sono…”, promette Gesù ai suoi discepoli. Solo il
Padre (l’Essere) conosce il Figlio e può rivelare il Figlio. Ma Egli Lo
rivela solo a chi è portato dal Figlio ad occupare quel “luogo” dove il Figlio
è: “luogo” che è il Padre stesso presente nel segreto della nostra anima.
Eligio: Mi risulta evidente l’importanza di vedere la gloria del
Verbo e mi sembrano chiare le condizioni per vederla; però, riguardo al “dove”
dobbiamo trovarci per vederla, vorrei chiarire un problema che mi è sorto.
Luigi: Sono argomenti, questi, che dovremo ancora riprendere
per approfondirli, perché sono di un’importanza enorme per convincerci sulla
meta a cui siamo chiamati e sul cammino che dobbiamo percorrere per giungervi.
Eligio: Certamente. Il problema è questo: parlando del “dove”
dobbiamo trovarci per poter vedere la gloria del Verbo, hai detto che Gesù
chiede al Padre di portare “dove” Lui è (affinché vedano la sua gloria) coloro
che il Padre gli ha dato. Ora, dicendo: “Quelli che Tu mi hai dato”,
fa pensare che non tutti siamo dati al Figlio, mentre in altre parti S.
Paolo dice che tutti siamo chiamati a diventare figli di Dio. Forse che Dio per
una ragione a noi non spiegabile, esclude qualcuno dalla possibilità di vedere
la Gloria del Figlio?
Luigi: No, Dio non esclude nessuno, perché “vuole che tutti
si salvino” .
Eligio: Allora li dà tutti al Figlio?
Luigi: Ma questo è una cosa diversa: per darli al Figlio, Dio
fa prima una proposta all’uomo.
Partiamo dall’intenzione di Dio: “ Dio
vuole che tutti si salvino e giungano a vedere la Verità” (1 Tm 2,4);
quindi fa dipendere la salvezza dal vedere la Verità di Dio, cioè dal vedere la
Gloria del Verbo (per cui la Gloria è
importantissima per giungere alla conoscenza della Verità di Dio).
Questa è la volontà di Dio: “Dio vuole che
tutti si salvino”; Dio ha creato tutti per la salvezza, non ha creato
nessuno per la dannazione. Però evidentemente per giungere a questa salvezza si
richiede la nostra collaborazione, la nostra adesione alla proposta di Dio.
Vi si giunge attraverso un lungo cammino, fatto di diverse tappe, percorrendo
le quali la nostra anima matura e diventa capace di portare la Verità di Dio. È
un cammino che richiede però delle condizioni ben precise, per cui non è detto
che l’uomo le percorra fino alla fine: è qui che gli uomini incominciano a
distinguersi. Infatti, se la chiamata alla salvezza, e quindi la proposta, è
uguale per tutti, la risposta, l’adesione, la corrispondenza dell’uomo
non è più uguale in tutti.
Ecco perché Gesù, sempre in questa ultima sua
preghiera al Padre, dice: “Non prego per il mondo, ma per quelli che Tu mi
hai dato” (Gv 17,9). Vedi che fa già una distinzione? “Non prego per il
mondo”: qui siamo già in una situazione di rottura.
Quindi il Cristo viene per salvare tutti,
perché questa è volontà del Padre (Egli
viene per compiere la Volontà del Padre: quindi viene per salvare tutti).
Infatti dice: “Io non respingo nessuno di coloro che il Padre mi manda”,
e questo lo dice nel discorso eucaristico di Cafarnao (Gv 6,37). E a tutti
dice: “Non preoccupatevi del mangiare, non preoccupatevi del vestire,
cercate prima di tutto il Regno di Dio” (Mt 6,33).
Quindi a tutti Egli fa sentire il suo
richiamo, la sua chiamata; a tutti rivela la loro vocazione, il loro
destino; a tutti dice: “Uomo, tu non sei stato creato né per il mondo, né
per la ricchezza, né per la gloria, né per il mangiare, né per il vestire, ma
tu sei stato creato per cercare il Signore, per conoscere il Signore, perché
nella conoscenza del Signore c’è la Salvezza, c’è la tua Vita Eterna”.
Questo lo dice a tutti.
Ma Gesù precisa: “Non tutti possono venire
a Me; solo quelli che sono attratti dal Padre” (Gv 6,44).
E abbiamo ancora un’altra precisazione in
questo campo e l’abbiamo nel Vangelo
stesso che dice: “Soltanto coloro che avevano ricevuto il battesimo del
Battista potevano seguire Gesù” (Lc 7,30), potevano cioè intendere Gesù.
Gli altri no.
Infatti Gesù dialogando con i Farisei dice: “Perché
le mie parole non sono intese da voi? Perché le mie parole non penetrano in
voi? Perché non le potete sopportare? Perché voi avete un altro padre!” (Gv
8,43-44), e ci fa capire che il loro padre è il demonio che non restò nella
Verità. “Perché se voi aveste per Padre Dio – dice ancora Gesù - certamente
accogliereste le mie Parole, perché le mie Parole vengono da Dio” (Gv
8,47).
Quindi se non possiamo sopportare le parole
del Cristo è perché abbiamo un altro padre. Noi possiamo infatti avere altri
padri, anziché Dio: padri ai quali apparteniamo. Ognuno di noi può accogliere
soltanto ciò a cui appartiene e quindi ciò che appartiene al mondo a cui egli
appartiene, tutto il resto lo deve mettere fuori; abbiamo proprio un’azione di
rifiuto, di rigetto, per cui non possiamo assimilare quello che non appartiene
al nostro mondo.
Allora forse che Dio ha creato qualcuno figlio
del demonio? No, certamente. Ma questo avviene perché diventiamo figli delle
nostre opere. Quindi vedi che c’è un
momento in cui dentro di noi avviene la scelta della nostra paternità?
Direi che questa scelta avviene proprio
nel momento antico, nel momento del battesimo di Giovanni Battista, nel momento
in cui si annuncia la giustizia, nel momento in cui la creatura viene posta di
fronte a questo atto di giustizia: devi mettere al di sopra di tutto Dio, devi
mettere al centro della tua vita Dio.
Se noi non facciamo questa giustizia “dentro”, non siamo attratti dal Padre, cioè il
Padre non ci interessa. E allora, escludendo il Padre, escludiamo anche
il Figlio, cioè non possiamo ascoltare Colui che viene per salvarci. Se
invece noi mettiamo Dio al centro e riconosciamo che questo è giusto, allora
possiamo ascoltare e intendere il Figlio che viene a parlarci del Padre, e qui
il Padre ci affida al Figlio.
La condizione quindi è la giustizia: Dio va
messo al centro della propria vita. Questo è l’atto di giustizia richiesto a
tutti gli uomini. Quindi quegli uomini che non accettano di mettere Dio al
centro della loro vita, non accettano la paternità di Dio; questi non sono
attratti da Dio: a loro Dio non interessa! Costoro non sono pecore sperdute nel
mondo, ma sono pecore che sono ben inserite nel mondo.
Quelli che invece mettono Dio al centro, sono
pecore sperdute nel mondo, si sentono in esilio; e Gesù viene a salvare queste
e non le altre: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa
di Israele» (Mt 15,24).
Gesù non viene a salvare le pecore che stanno
bene nel mondo e sono ben inserite in esso, perché queste non si sentono
sperdute: Lui non viene per i giusti (per coloro che si credono giusti), non
viene per coloro che vedono (che credono di vedere), non viene per coloro che
amano le ricchezze, la gloria del mondo, ma per coloro che sanno di essere
peccatori e ciechi, per coloro che amano essere poveri. Infatti Egli dice: “Io
vengo per coloro che sono morti, per coloro che sono ciechi, per coloro che
sono peccatori, per coloro che sono dispersi” (cf Lc 5,32), quindi per coloro che sono
attratti dal Padre, ma non ce la fanno, per cui per loro resta il sogno. “Vengo
per coloro che hanno il sogno della Vita con Dio, ma non possono realizzarla”.
Ecco, è come se dicesse: “Io vengo per realizzare questo sogno”.
Quindi l’essere affidati dal Padre al
Figlio (“quelli che Tu mi hai dato”) presuppone la giustizia
essenziale dalla quale nasce il sogno di una vita secondo Dio e quindi
l’esperienza di povertà e incapacità a realizzarla, per cui si attende l’aiuto
dal Cielo.
Se invece in noi non c’è questa giustizia, se
in noi non c’è questo mettere Dio al centro, cioè se in noi non c’è questa
“sostituzione di centro”, passando dall’avere il pensiero del nostro io al
centro della nostra vita all’avere il Pensiero
di Dio come centro, Cristo non ci dice niente.
Infatti abbiamo visto già le volte precedenti
che quello che ci fa vedere non sono gli occhi, quello che ci fa udire non
sono gli orecchi, ma è l’interesse per-. Dobbiamo avere l’interesse, la
fame: questa fame è l’attrazione per Dio, l’attrazione per il Padre.
E allora se noi abbiamo interesse per il Padre
possiamo seguire il Cristo.
Ma, ci eravamo chiesti: come si forma questo
interesse? Questo interesse si forma mettendo il Pensiero di Dio Creatore in
alto, mettendo Dio al centro.
Quindi se mettiamo Dio al centro, cioè se ascoltiamo questa giustizia essenziale (“noi
non siamo Dio, un Altro è Dio”), allora abbiamo la possibilità di accogliere ed
intendere il messaggio di Cristo.
Questa è la giustizia essenziale che viene
chiesta ad ogni uomo: “Uomo, tu non sei Dio (e tutti sappiamo di non essere
Dio); quindi, se tu non sei Dio, non devi mettere il tuo io al centro, perché
il tuo io non è Dio; non devi fare del tuo io il centro del mondo, perché il
tuo io non è Dio: un altro è Dio! Quindi metti Dio al centro”: questa è la
giustizia essenziale.
Se noi non amiamo questa giustiziai, assolutamente
non possiamo ricevere il messaggio del Cristo; perché Cristo viene per
salvare coloro che sospirano la realizzazione di questa giustizia; gli altri
hanno ancora bisogno di arrivare a capire il bisogno che hanno di Dio. E
fintanto che non arrivano a questo, non è giunto il loro tempo per
incontrare il Cristo. Il Padre non li manda e quindi non li dà, non li
consegna ancora a suo Figlio.
Deve essere il desiderio di conoscere Dio ciò
che manda le anime a Cristo; e allora è il Padre che li manda. Cioè sostanzialmente è l’attrazione, il bisogno di
conoscere Dio che fa giungere le anime al Maestro Divino.
Ma perché la nostra anima senta questo
desiderio è necessario che prima riconosca questa giustizia; riconoscendo la
giustizia essenziale allora incomincia a crearsi tutta un’ascensione, tutta una
problematica, perché mettendo Dio al centro, incomincia a risvegliarsi dentro
di noi tutto il bisogno di realizzare questa vita con Dio, secondo Dio.
E questo avviene perché riferendo le cose a
Dio non possiamo più ascoltare gli argomenti del mondo, che sono argomenti
egoistici, in cui c’è l’io al centro.
L’anima che cerca Dio si trova nella
condizione di non poter più sopportare gli argomenti del mondo e nello stesso
tempo però non può realizzare gli argomenti
di Dio, perché è dominata dalla realtà materiale, dalla realtà di tutto un
mondo che è sconvolto e dominato “dal
principe di questo mondo” (come lo chiama Gesù). L’anima sente la necessità
di riferire le cose a Dio, di vivere in Dio, di conoscere Dio, ma si sente
impotente: si trova in conflitto tra il sogno e la realtà.
Ecco, da qui nasce la necessità di un punto di
aggancio, la necessità di incontrare
questa realizzazione della Vita Divina tra noi, che è il Cristo. Allora se
ci abbranchiamo a questa “Vita di Dio vissuta tra noi”, possiamo realizzare il
Sogno. E possiamo farlo, perché qui, a questo punto, noi incontriamo il
Verbo di Dio che si è fatto carne: Lo individuiamo. Questo è il punto di aggancio per la nostra
salvezza; però non dobbiamo fermarci lì, perché questo è solo il punto di
aggancio.
A questo punto, individuato il Verbo di Dio
che si è fatto carne, dobbiamo restare con Lui, e questo è possibile perché : “…
abitò tra noi” . Abbiamo visto
quali sono le condizioni per restare con-: perché soltanto se noi permaniamo in
questo interesse, in questo bisogno, in questo desiderio, restiamo presenti a
Colui che è presente con noi, perché per restare con- ci vuole l’affinità di
pensiero, l’affinità di interesse, l’affinità di fine: solo così permaniamo
con Lui.
Ma
anche qui non dobbiamo accontentarci della permanenza; infatti noi
potremmo accontentarci dicendo: “Io vivo pensando al Cristo: gli faccio
compagnia nel Getsemani, o gli faccio
compagnia a Betlemme, o gli faccio
compagnia alle nozze di Cana”. No, non basta permanere, ma bisogna camminare
con Lui per arrivare alla Meta.
La Meta è quella che è annunciata qui: ed è
la conclusione di tutto questo grandioso Prologo che abbiamo meditato: “Abbiamo
visto la sua Gloria”. Questa è la grande meta alla quale ogni uomo è
chiamato. E bisogna tendere lì, col Cristo.
Quindi
questi sono i passaggi:
·bisogna essere attratti dal Padre;
·se si è attratti dal Padre si incontra il Verbo di Dio
fatto carne;
·arrivati al Verbo di Dio fatto carne, si abita con-; o
meglio: si deve abitare con-;
·si deve permanere con Cristo, camminando con Lui, fino
a giungere a vedere la sua Gloria.
Eligio: Quindi solo chi è attratto dal Padre è affidato dal Padre al Figlio (perché il
Figlio lo conduca poi a vedere la Gloria).
Luigi: Certo, sospinti dal bisogno di questa vita con Dio,
noi arriviamo al Cristo.
Eligio: Non per iniziativa nostra?!
Luigi: Tutto è opera di Dio. Il Padre affida al Figlio coloro
che sono attratti da Lui, in modo che il Figlio li conduca a vedere la sua
Gloria, liberandoli da tutto quel mondo
materiale, sociale, ecc., che li disperde e che impedisce loro di giungere a
conoscere Dio come vero Dio; che è quello che loro desiderano, perché sono
attratti da-.
Ecco che allora, quando uno ha un desiderio,
va, va, va… fintanto che trova qualcuno che gli dà la possibilità di
realizzarlo. Quando incontra questo qualcuno che gli dà la possibilità di
realizzarlo, dice: “Finalmente ho trovato quello che io ho tanto desiderato!”:
ecco il Cristo! E allora si affida a Lui come a Colui che soddisfa il suo bisogno di trovare un aiuto per realizzare il
suo sogno.
Per cui
è il bisogno di conoscere Dio (ecco l’attrazione del Padre) che ci porta
al Cristo; e notiamo bene: soltanto
se ci ha portati a Lui questo bisogno del Padre, noi intenderemo veramente il
Cristo, noi Lo seguiremo sino alla fine. Infatti noi possiamo arrivare al
Cristo anche per tanti altri motivi, e non solo perché si è attratti dal Padre;
ma tutti gli altri motivi ad un certo momento ci impediranno di proseguire con
Cristo fino alla Gloria; dovremo tornare indietro, oppure faremo la fine di
Giuda, o di coloro che L’hanno voluto sulla Croce. Comunque, se non c’è
interesse per Dio, ad un certo momento ci si deve ritirare dalla vita con
Cristo; e questo perché ci sono altri interessi e quindi altri motivi e non il
vero motivo.
Quindi soltanto se noi arriviamo al Cristo
sospinti dal bisogno di conoscere Dio, di realizzare questa vita secondo lo
Spirito di Dio, che incontriamo in Lui il vero Maestro in grado di condurci
alla Meta e che possiamo seguirlo fino alla fine.
Ma questo vero Maestro cosa fa?
Ci raccoglie, ci libera da tutto quello che ci
disperde dal mondo, da tutti
quegli argomenti del mondo che tanto ci disturbano. Infatti Lui discute col
mondo per noi; se Lo seguiamo, Lui ci difende. Quante volte Lui ha difeso i
suoi discepoli da tutti gli argomenti, da tutti gli attacchi del mondo! Li ha
difesi Lui! E non soltanto li difende, ma Gesù stesso dice che anche li
raccoglie dalle loro stesse dispersioni (cf Mt 23,37).
Infatti, quando si è con Cristo non si è
ancora liberi da tutte le dispersioni, perché l’io non è ancora morto. Quante
volte riaffiora il loro io! Abbiamo visto gli esempi di Pietro e di altri apostoli, che continuamente o pensano a
se stessi, o pensano alla loro gloria, o pensano al primato (Mc 9,34), ecc., e
abbiamo visto Gesù che continuamente con grande pazienza è sempre lì a raccoglierli nel pensiero del
Padre.
Egli dice: “Fintanto che Io ero con loro,
li custodivo nel Tuo Nome” (Gv
17,12). Ecco, questo custodire è la funzione del cane del pastore alla guardia del gregge, che
custodisce, raccoglie, in quanto il gregge tende sempre a disperdersi. Quindi
Lui restando con noi ci custodisce, ci difende da tutti gli argomenti del mondo
che tendono a portarci via e che noi non possiamo controbattere, perché non
abbiamo in noi lo Spirito di Verità, in quanto non è ancora venuto. E allora
ecco che il Cristo ci difende. Ecco la necessità quindi di appoggiarci a Lui, come dicevamo alcune sere
fa, ricordando le parole con le quali in passato si distribuiva la Comunione:
“Il corpo del Signore Gesù Cristo custodisca la tua anima fino alla Vita
Eterna”.
Quindi è Lui che ci custodisce e ci
conduce, ma dobbiamo sempre appoggiarci ai suoi argomenti, sempre appoggiarci
alla sua Parola, alla sua Presenza. Allora
se noi abbiamo sempre presente Lui, Lui ci difende da tutti gli
argomenti del mondo, da tutte le sollecitazioni che tendono sempre a
riassorbirci, a portarci via da questo cammino con Cristo verso la Gloria.
Con Cristo bisogna camminare fino a quando Lui
ci avrà tutti incentrati in Sé,
fino al giorno in cui, se Lui ci manda via, noi potremo dire: “Signore, da
chi andremo? Tu solo hai parole di Vita Eterna!” (Gv 6,68).
Ecco, a questo punto le anime che possono dire
questo sono solo più sue, sono completamente staccate da tutti gli altri; tanto
è vero che a questo punto si rifiutano di appoggiarsi su altri, perché ormai
l’unico appoggio è quello.
Quindi noi vediamo una grande trasformazione
operata da Lui nelle anime che Lo seguono: anime che, attratte da Dio,
desiderose di conoscere Dio, ma che facevano conto su tutt’altro che su Dio,
perché non erano capaci di fare in modo diverso e quindi facevano conto sugli
elementi del mondo (sul mangiare, sul vestire, sul denaro, sulle creature,
ecc.), vivendo col Cristo, ad un certo momento
non vogliono più far conto su nessuno all’infuori di Lui.
Ecco la grande trasformazione operata da Gesù!
Trasformazione che libera, per cui l’anima può dire: “Da chi andremo?
Piuttosto la morte con Te…”.
Ma bisogna che questo l’anima lo possa dire
con convinzione: “Piuttosto la morte con Te, ma non mi appoggio su nessun
altro, perché Tu solo hai parole di Vita Eterna”. Allora giunta a questa
maturità, l’anima è pronta per il balzo finale: “Adesso Io me ne vado -
dice Cristo -, perché se non me ne vado, non può venire in voi lo Spirito di
Verità”.
Eligio: Resta evidente la parte attiva di Dio, cioè l’iniziativa
e l’opera di Dio nell’affidare al Figlio coloro che hanno fatto la giustizia
essenziale e hanno riconosciuto la priorità di Dio, ma….
Luigi: Precisiamo però che anche questo riconoscere il primato
di Dio è opera di Dio. Tutto è opera di
Dio. Soltanto il nostro rifiuto, la nostra ingiustizia non è opera di Dio, ma
opera nostra. Tutto quello invece che è
positivo è opera di Dio.
Eligio: Certo. Ma mi pare
che non risulti invece evidente qual è la parte attiva nostra. Che
cosa dobbiamo fare noi dopo aver riconosciuto che bisogna cercare prima di
tutto il suo Regno?
Luigi: Lo dice Gesù stesso: “Restate uniti a Me”
(Gv 15,4): bisogna permanere, restare sempre con Cristo. Lui dice: “Io
me ne vado, ma voi restate uniti a Me. Come il tralcio è unito alla vite, voi
restate uniti a Me”. Quindi bisogna permanere.
Eligio: Lo dice a coloro che da molto tempo sono rimasti assieme
a Lui.
Luigi: Certo, lo dice alla fine, però è una cosa che è
essenziale, e la dice proprio quando sta
per andarsene fisicamente, dopo tutto un cammino con Lui.
Quindi
prima dobbiamo scoprire il Verbo di Dio che si è fatto carne. Scoperto
questo, bisogna “abitare” con Lui…
Eligio: Ma prima ancora bisogna compiere la giustizia, cercare
il Regno di Dio.
Luigi: Certo, questa è la condizione per scoprire il Cristo. Il
bisogno, la sollecitazione, l’istanza che questa giustizia essenziale provoca
in noi, ci porta al Cristo. Infatti mettendo Dio al centro, nasce l’attrazione
per Dio, la quale ci porta ad individuare tra tutti i miliardi di uomini il
Verbo di Dio incarnato; perché noi non avremmo questa capacità di individuare
Cristo se non avessimo questa fame in
noi. È la fame che ci fa individuare il pane; è la tanta fame di Dio che ci fa
individuare il pane di Dio disceso dal Cielo, il Verbo incarnato.
Scoperto questo, resta il problema
dell’abitare con-, del permanere con Lui.
Eligio: Il Padre ci affida al Figlio nel momento stesso in cui
noi Lo incontriamo, dopo naturalmente aver compiuto la giustizia?!
Luigi: Sì, ma come avevamo già detto: noi possiamo anche
immaginare di aver incontrato il Cristo, anche perché apparteniamo ad una
società cristiana, cattolica; possiamo ritenere di conoscere Gesù dopo averlo
incontrato, senza però aver scoperto in
Lui il Verbo di Dio fatto carne. L’incontro con il Verbo fatto carne è un
incontro personale, perché si scopre personalmente; non basta che qualcuno ce
Lo segnali, ma è necessario che ci sia la fame dentro, in modo che ci sia la
sintonia.
Avevamo
parlato infatti del problema della sintonia, per cui quando la nostra anima è
in sintonia con Dio, individua quello che è da Dio, lo riconosce “fuori”. E
allora qui abbiamo la scoperta personale, il vero incontro col Cristo.
Eligio: E abbiamo anche l’affidamento del Padre?
Luigi: Come tu incontri il Cristo sei affidato a Lui dal Padre,
perché nel momento in cui Lo incontri scatta immediatamente la scintilla. È
come uno che porti un sogno d’amore nel cuore: non appena vede un certo volto
che corrisponde a quel sogno d’amore, scatta la scintilla, non può farne a
meno, per cui è affidato a-, appartiene a-. Cioè: prima già apparteneva al
Padre (“Erano tuoi…”, dice Gesù) perché si appartiene a ciò che si
desidera, soltanto che non aveva ancora
localizzato l’aiuto. Quindi, portando il sogno dentro, vedendo, localizza
l’aiuto, riconosce il Cristo e quindi subito gli appartiene: è affidato dal
Padre al Figlio (“Li hai dati a Me…”). Ed ecco l’affidamento, e non può
più scappare.
Prima hai chiesto: dopo averlo incontrato,
cosa dobbiamo fare?
Restare! Abitare con-, perché Lui abita tra
noi; infatti dice: “Il Verbo di Dio si fece carne, ed abitò tra noi”.
Però abbiamo visto che anche se Lui abita tra noi, noi possiamo non abitare con
Lui.
Eligio: Come fare per restare?
Luigi: Bisogna mantenere sempre in noi alto questo interesse
per Dio, perché è l’interesse che ci fa restare; quindi non bisogna far
entrare altri interessi del mondo; perché noi, a questo punto, anche se abbiamo messo Dio prima di tutto,
siccome non siamo morti a noi stessi e non siamo ancora entrati nella Gloria, corriamo
il rischio di staccarci e quindi di non più abitare con Lui, per cui
dobbiamo vigilare molto tenendo sempre
in alto il Pensiero di Dio Creatore.
Eligio: Questo dipende da noi?
Luigi: È tutto grazia di Dio, perché tutto quello che di
positivo noi possiamo fare è tutta grazia di Dio, però Dio chiede a noi di
metterlo in alto. Se non lo facciamo la colpa è nostra, se invece lo facciamo
la grazia è sua.
Eligio: Quindi non è un atto automatico di Dio l’affidarci al
Figlio?!
Luigi: Assolutamente no! L’automatismo con Dio non c’è mai,
perché Dio ci tratta personalmente, quindi rispetta sempre la nostra coscienza.
Quindi non c’è mai atto magico, non c’è mai automatismo e non c’è il caso. Dio
rispetta la nostra risposta alla sua proposta, per cui noi non incontriamo il Cristo, noi non
abitiamo con Lui, noi non camminiamo con Lui, noi non arriviamo alla sua
Gloria, se non c’è questa partecipazione personale.
Infatti già le volte scorse abbiamo visto che
è necessaria questa partecipazione personale non solo per individuare il
Cristo, non solo per abitare con Lui, ma anche per individuare in che cosa
consista la Gloria del Figlio di Dio. Abbiamo visto che senza questa nostra
partecipazione personale (in quanto è richiesto il superamento del nostro io e
questo superamento è un atto personale), non si arriva a contemplare la Gloria
di Dio.
Ora, non c’è nessuno che ci possa obbligare a
superare noi stessi, se noi stessi non lo facciamo. Dio stesso non può
obbligarci a rinnegarci. “Colui che ti ha creato senza di te, non ti salva
senza di te”, diceva S. Agostino. Se ci obbligasse, ci annullerebbe come
persone e ci farebbe essere animali. Soltanto un atto d’amore può convincerci a
superarci; quindi soltanto noi stessi, e noi soli, nel segreto della nostra
stanza, possiamo fare questo superamento del pensiero di noi stessi per far
conto su di Lui, per pensare a Lui, per affidarci a Lui.
Ora questo far conto su di Lui non è un atto in cui dici: “beh, l’ho fatto
un giorno”, come un atto di consacrazione. No! È una continuità, come l’amore: l’amore non
è un atto (non basta dire: “Ti voglio bene” e amare per cinque minuti), ma è
una continuità di vita, una conferma continua, perenne, perché è una vita, e
diventa vita.
Quindi questo far conto su Dio non è un
atto da farsi, ma è una continuità, per cui è una scelta continua. Di
fronte a tutte le scelte bisogna sempre dire: “Ma io faccio conto su di Lui… ma
io faccio conto su di Lui!… ma io faccio conto su di Lui!… Ma io appartengo a
Lui… io scelgo Lui; io sono di-”.
Allora
a chi ha incontrato il Cristo è richiesta questa continuità; perché si
può essere col Cristo ed essere un Giuda, ad esempio. Quindi bisogna permanere
con Lui sapendo quali sono le condizioni per permanere con Lui, perché, come
abbiamo visto, mentre sul piano
fisico le presenze sono convertibili,
per cui se una cosa è con l’altra anche l’altra è con quella, sul piano delle
persone invece questo non avviene: si richiede la presenza personale. Per cui
il Verbo di Dio incarnato abita con gli uomini, ma con questo non è detto che gli uomini abitino
con Lui.
Per abitare con il Verbo bisogna che abbiano
questa continuità di scelta di Dio, questa continuità di interesse per Dio,
questo sempre mettere tutto al disotto di questo bisogno, di questo cercare Dio
prima di tutto. Allora se
permane in loro questa continua elezione, questo continuo amore verso il Padre,
naturalmente l’interesse diventa crescente perché sentono il Maestro che li
inonda di questi argomenti del Padre, li inonda di questa sapienza, di questa
luce e li fa maturare.
Ora, inondandoli di Luce cosa succede?
Succede che li fortifica tanto da arrivare al punto che loro non sanno più cosa farsene degli altri argomenti.
Ecco la grande maturità a cui ci conduce il
Cristo! Per cui “Signore, da
chi andremo? Tu solo hai parole di Vita Eterna!” (Gv 6,68). Ecco, l’anima
ormai è sganciata da tutto il resto. Osserva come gli Apostoli sono sganciati?
Essi sono sganciati da tutto il resto e non vogliono più saperne degli
argomenti del mondo, perché non dicono loro più niente; cioè hanno capito che
non dicono e non danno più niente.
Quindi: “Tu solo…!”. È poi quello che
dice anche S. Giovanni della Croce: “Cessino le creature anche di parlarmi di
Dio, perché per quanto me ne parlino non mi danno ciò di cui la mia anima ha bisogno”. Ecco, ad
un certo momento si forma un legame
sempre più intimo, sempre più personale tra l’anima e il suo Signore, tra
l’anima e Dio per cui essa dice: “Mi
aspetto tutto da Te, perché non c’è nessuno che mi possa dare ciò di cui ho
bisogno”.
Le ferite d’amore possono essere curate
soltanto da chi ha procurato queste ferite; per cui chi è stato ferito va soltanto da Colui che lo
ha ferito, perché sa che non c’è nessun altro che possa curare queste ferite.
Ecco il processo dell’anima! Attraverso la liberazione che il Cristo porta,
l’anima è condotta a quella maturità necessaria per arrivare in quel luogo
in cui Egli è, per cui ad un certo momento Egli dice: “Vado a prepararvi
un posto, perché se non vado, voi non potete venire dove Io sono”.
Già tempo prima aveva detto: “Dove Io sono, voi non potete venire”
(Gv 7,34), ma ora che li ha liberati, raccolti e maturati dice: “Io vado a prepararvi un
posto” ( Gv 14,2). Al compimento della sua missione, il Figlio a sua
volta affida al Padre coloro che erano stati affidati a Lui dal Padre, e se ne
va.
Eligio: In questa mancanza di presenza del Cristo, l’anima cosa
prova? Chi contempla?
Luigi: Ecco, Gesù dice: “Dove Io vado (è lì il problema)
, voi lo sapete (è lì la soluzione: “voi lo sapete”)
e conoscete la via” (cf Gv 14,4): dove Lui va noi lo sappiamo.
Eligio: Quel “dove” sarebbe il Padre?!
Luigi: Certo, è il Padre, perché Cristo ha sempre parlato del
Padre: “Io vado lì”, ora dice. D’altronde Lui abita nel Padre, ha sempre abitato in
quel “luogo”, quindi “Dove Io vado, voi lo sapete, lo dovete sapere”. Ma dice anche: “Il
Padre abita in voi” (Gv 14,9-11). È stato questo che ha fatto loro capire che cosa intendeva Gesù e
dove se ne andava Gesù; per cui Lui ora andandosene può dire loro che va a
preparare un posto per loro, ed essi a questo punto possono capire cosa vuol
dire.
Cosa vuol dire preparare il posto?
Mica è andato a numerare le sedie! Mica ha
preparato il posto “fuori”, ma l’ha preparato nell’anima dei suoi apostoli.
L’ha preparato “dentro” questo posto! E lo prepara “dentro” ognuno di noi
se Lo seguiamo fino alla fine e se arriviamo con Lui a questa meta.
Quindi Lui, ad un certo momento, dice che è
necessario che Lui se ne vada come Verbo incarnato, perché altrimenti lo
Spirito di Verità non può venire in coloro che L’hanno seguito fin lì. Ecco
come prepara il posto: andandosene!
Precisiamo bene: cosa vuol dire questo
“andarsene”? Come se ne andava? Mica se ne andava spiritualmente, perché
andandosene Lui dice: “Restate uniti
a Me” (Gv 15,4); quindi spiritualmente Lui continua a restare perché
dice: “Restate presenti a Me, al mio
Volto”; Lui però va al Padre.
Eligio: Per “suo Volto” intendeva la sua presenza esteriore?
Luigi: No, intendeva il
suo Spirito, quindi li invitava a restare presenti a Lui nel pensiero. Per
cui, cos’è che se ne va? È la presenza
esteriore che se ne va, perché fintanto che in noi c’è la presenza fisica,
la presenza esteriore, lo Spirito di Verità non può venire, perché la presenza
esteriore è di impedimento.
Ecco perché Gesù nella sua preghiera finale
parla di una gloria “…prima che il mondo fosse” (adesso arriviamo
lì, al “prima che il mondo fosse”), cioè prima che il mondo entrasse nella nostra anima. Egli cioè chiede al Padre che gli restituisca quella Gloria che
Egli aveva prima che il mondo fosse. Dove? Dentro l’uomo! Ecco come e dove
prepara il posto!
Egli prepara
un posto al disopra di tutto quello che è mondo, perché è riuscito a
portare le anime a quel livello tale per cui tutto il mondo adesso si può
cancellare.
Ormai
la conoscenza, la Gloria sua, i suoi discepoli la riceveranno soltanto
più da “qualcosa” che è fuori del mondo. Ormai in essi si è formata questa
convinzione.
È questo il processo di maturazione dell’anima
che segue Cristo! Ecco perché il Cristo, andandosene affida al Padre coloro che
il Padre gli aveva affidato! “Custodiscili nel tuo Nome” (Gv 17,11). È
perché il Padre riveli loro “la Gloria che Egli aveva prima che il mondo
fosse”, prima che il mondo materiale prendesse piede dentro di essi! Li
affida al Padre, perché la conoscenza della sua Gloria può venire solo dal
Padre, cioè da Colui che è al di sopra di tutto quello che è mondo.
E qui, adesso
arriviamo al punto essenziale: il “dove”, il “luogo”, in cui bisogna trovarci
per vedere la Gloria; questo “luogo” non è nel mondo materiale, apparente.
La volta scorsa abbiamo visto che tutta la gloria
del mondo deriva sempre da un avere, mentre invece la vera Gloria, la reale
Gloria viene dall’Essere, cioè sta nella rivelazione di ciò che uno è. Questa è
la vera Gloria che non si vede e non si può vedere nel mondo, perché il mondo è
relazionato al nostro io, e il nostro io non è Dio, per cui tutto ciò che arriva a noi rapportato al
nostro io non è la Verità.
Quindi la Verità, ciò che è, noi non La
possiamo vedere, non La possiamo toccare, quindi non appartiene alle cose che
si vedono. Lo dice Gesù: “Non aspettatevi di vedere il Regno di Dio tra le
cose apparenti; il Regno di Dio è dentro di voi” (Lc 17,21). Questo è il
punto centrale: non possiamo trovare il Regno di Dio, cioè la conoscenza
della Gloria di Dio, tra le cose apparenti, ma nel campo dello Spirito.
Allora la conoscenza di questa Gloria deriva
da ciò che è totalmente fuori del nostro mondo. Mentre prima noi tutte le cose
le vedevamo relazionate al nostro io, la Gloria di Dio invece no! Per vederla, bisogna
trovarci in un luogo che è al di sopra di ciò che vediamo e tocchiamo. Gesù
chiede questo al Padre dicendo: “Padre, Io voglio che essi siano dove Io
sono, affinché vedano la mia gloria”. Quindi ci fa capire la necessità per
noi di trovarci nel Suo luogo per poter vedere la sua Gloria.
Ma Lui
parlando di luogo, cosa intende? In che cosa consiste questo luogo? Come va
inteso spiritualmente questo luogo?
È importante precisarlo, perché Cristo fa
dipendere la conoscenza, la visione della sua Gloria dall’essere in un certo
luogo.
Parlando materialmente o fisicamente è chiaro
che la visione dipende dal luogo in cui uno si trova, perché se andiamo in
montagna, a seconda del livello in cui ci troviamo, noi abbiamo una certa
panoramica. Evidentemente la visione dipende dall’essere in un certo luogo.
Infatti, perché si sale sulla vetta? Perché c’è tanto da vedere. Quindi siamo attratti alla vetta dal bisogno di
vedere, dal bisogno di contemplare, ma per contemplare dobbiamo portarci in
alto…
Tutto questo ha valore di segno per farci
capire che anche spiritualmente la visione dipende dal luogo in cui uno si
trova. Quindi il luogo è il punto da cui uno guarda, il punto da-, il punto
di vista.
Allora,
fintanto che noi siamo del mondo, fintanto che siamo nel pensiero del
nostro io, noi guardiamo a-, e quindi anche il Verbo di Dio incarnato Lo
guardiamo “a-“.
Invece quando siamo morti al nostro io, quando
abbiamo superato il nostro io, per cui
ormai guardiamo solo più al Padre, avviene un capovolgimento per cui
iniziamo a guardare “da”, dal
punto di vista del Padre: è questa la grande novità che ci fa poi vedere la
gloria del Figlio, e quindi che ci fa vedere l’Essere (la rivelazione
dell’Essere, la rivelazione di ciò che
uno è). La grande novità è il guardare
da- e non più guardare a-, cioè è il guardare dal Padre.
È una novità perché guardare dal Padre vuol
dire guardare da Dio, e Dio è l’Essere. Quindi se noi, anziché guardare al
pensiero del nostro io (che non è l’Essere, che non è la Verità, per cui
tutte le nostre conoscenze sono basate sul rapporto dell’avere), guardiamo
dall’Essere, dal punto di vista dell’Essere, noi vediamo l’Essere, o meglio, la
manifestazione dell’Essere, che è poi la rivelazione della gloria del
Figlio, di ciò che il Verbo è.
Allora questo
“posto” sta nel darci la possibilità di arrivare a guardare con gli
occhi di Dio, a guardare da-, dal punto di vista di Dio, dal punto di vista del
Padre.
Soltanto guardando dal punto di vista del
Padre noi vediamo chi è il Figlio, ciò che Egli è. Prima no! Infatti: “Finora non mi avete conosciuto, ma
in quel giorno conoscerete chi sono Io” (cf Gv 14,20), dice Gesù parlando
di quel giorno, perché: “solo il
Padre conosce il Figlio” (Mt 11,27). “In quel giorno conoscerete che Io
sono nel Padre” (Gv 14,20).
Eligio: È comunque una rivelazione esclusivamente personale,
interiore…
Luigi: Certo, è personale, interiore e incomunicabile. La
visione del Padre, la scoperta della Gloria,
è essenzialmente personale: lì abbiamo proprio “soltanto più” una
relazione essenzialmente personale, intima, d’amore; ed è poi lì che si forma
una “cosa sola” (Gv 17,22), che si è fratelli col Cristo, che si è
generati dal Padre, si è figli di Dio, si è una cosa sola, …ed è la nuova
nascita. Condizione per realizzare tutto questo è il trovarsi in quel
“luogo”, cioè dove è il Figlio.
Possiamo quindi dire che il “luogo” è
il punto di vista da-. Quindi quando Cristo dice che ci prepara il posto, ci dice che ci porta
nella possibilità di guardare dal punto di vista di Dio, di guardare da Dio, e
non più dal mondo, quindi nemmeno più dal Cristo (il Verbo di Dio incarnato che
appartiene al mondo creato), e soprattutto non più dal pensiero del nostro io
(perché questo ormai è scontato), non più secondo il mondo materiale, ecc., ma
dal punto di vista di Dio.
Soltanto quando incominceremo a guardare dal
punto di vista di Dio, allora incominceremo a vedere, ad intuire questa Gloria,
quella stessa che videro coloro che hanno detto: “Noi abbiamo contemplato la
sua la gloria”.
Ines: Si tratta quindi di un cammino molto lungo.
Luigi: Certo, ed è un cammino che diventa sempre più personale.
Noi partiamo da una situazione di molta materialità, di molta anonimità, di
massa, di gruppo, di tanti, e poco per volta diventiamo intimi di Dio. È una
relazione intima, perché, come abbiamo
detto prima, è proprio essenzialmente personale, è un colloquio intimo in cui
non c’è nessuno che entri, non c’è nessuna creatura che possa entrare. È un
rapporto diretto tra l’anima e Dio, cioè è un rapporto d’amore, d’amore intimo
in cui non c’è nessuno che si metta in mezzo, perché si nasce personalmente,
perché presuppone il superamento del nostro punto di vista per poter vedere da
Dio. Ora, siccome nessuno ci può obbligare a superare il pensiero del nostro
io, questo è un atto essenzialmente personale; ecco, nessun altro si può
intromettere in questa relazione con Dio, perché questa presuppone il
superamento del nostro io, presuppone il guardare dal punto di vista di Dio.
Qui incominciamo a guardare secondo Dio e non più secondo l’io o secondo gli
altri.
Ora, questa è la maturità a cui ci porta il
Cristo se noi facciamo tutto il cammino con Lui. Ecco perché non bisogna
fermarsi ad una tappa della sua vita, ma bisogna continuare e percorrere con
Lui tutta la sua vita, fino alla fine, fino a questi discorsi, e penetrarli e
capirli. Perché non basta soltanto ricordare le parole, ma bisogna
penetrarle, perché si penetra con lo spirito d’amore. Ora, lo spirito
d’amore desidera conoscere: perché ha detto questo? per quale motivo dice
questa Parola? Ecco che allora questo spirito d’amore fa penetrare, ed è
così che si è con Lui, che si resta con Lui. Quindi non basta dire: “Adesso
mi ricordo questa frase”, no! Bisogna continuare a stare con Lui sempre.
Se si rimane con Cristo fino a comprendere
tutte le tappe della sua vita (è così che Lui ci porta), si giunge a
quella maturità necessaria per il suo
grande trapasso; è questo il momento in cui Egli ci fa il posto per farci
essere dove Egli è, in modo da poter vedere la sua Gloria.
Il vedere la Gloria è un effetto (“siano
dove Io sono affinché vedano…”), una conseguenza dell’essere in quel “posto”
dove Egli è, cioè in quel guardare da-, e non più guardare a-.
Eligio: Non vorrei essere irriverente, ma mi sembra che Cristo
parli poco di questo luogo che è in noi; sembra quasi che questo luogo sia
qualche cosa di esteriore, anche quando dice: “Io vado al Padre” ;
né dice: “Il Padre è in voi”, né: “Io vengo in voi”.
Luigi: Gesù veramente dice: “vado…e vengo a voi…, mi
rivedrete e la vostra gioia sarà piena… Noi verremo in lui e faremo la nostra
dimora in lui”(Gv 16,28; Gv14,23; cf Gv 16,16); e ancora: “Il Regno di
Dio è dentro di voi”.
Poi c’è questo: Lui lascia molto spazio,
perché le sue parole (parole scritte e avvenimenti) sono segni, sono messaggi,
sono proposte, quindi lasciano sempre uno spazio per un lavoro personale e per
l’intelligenza personale di esse (l’intelligenza è sempre personale, non è mai
un fatto di massa). Infatti il mondo è fatto con grandi lacune, perché
lascia spazio all’interesse personale ad unire, a collegare, a scoprire;
perché solo facendo un lavoro personale progrediamo e partecipiamo della Luce.
Quindi più noi facciamo del lavoro personale e più partecipiamo. Ora, se Dio ci
desse tutto fatto, non ci sarebbe più lavoro per noi e quindi non ci sarebbe
possibilità di progredire nell’amore, per cui
per fare del lavoro personale bisogna che il campo non sia tutto arato,
non sia tutto coltivato, altrimenti non c’è
più niente da fare: è già tutto fatto!
Allora Lui lascia tanto spazio, ci presenta
tante cose da fare, proprio perché vedendo che c’è da fare, facendo
personalmente (siccome diventiamo figli delle nostre opere) noi partecipiamo
personalmente. Quindi c’è tutto un processo d’interesse progressivo,
proprio perché “c’è da fare”.
C’è tanto da fare, però i pilastri essenziali
Cristo li ha messi: quando ti dice: “ Il Regno di Dio è dentro di voi”,
qui non si scappa. “Non aspettatevi di vedere il Regno di Dio venire
tra le cose apparenti”.
Poi c’è tutta la lezione della Sapienza di
Dio, cioè ci sono le lezioni stesse della vita che ci fanno capire che Dio
non abita nei cieli materiali, Dio non abita nel mondo esteriore, non abita nei
templi fatti da mani di uomo, ma Dio abita nello spirito dell’uomo.
Eligio: Però certe parole, come ad esempio: “Io vado al Padre”,
fanno correre il rischio alla nostra fantasia di immaginare la scena esterna…
Luigi: Infatti, quello che tu dici, loro l’hanno fatto e lo
vediamo dall’interrogazione fatta da Giuda (non Giuda Iscariota, ma Giuda
Taddeo) quando dice: “Tu ti manifesti a noi e non al mondo, come può
avvenire questo?” (Gv 14,22). Vedi che è il tuo stesso ragionamento? “Tu
dici che ritorni e che ti manifesti, ma come può avvenire che ti manifesterai a
noi e non al mondo?” (Infatti Gesù aveva detto: “Il mondo non può
ricevere lo Spirito di Verità perché non Lo vede e non Lo conosce; ma voi Lo
riceverete” {Gv 14,17}).
Nonostante il fraintendimento è avvenuto un
processo di interiorizzazione in essi e non negli altri! Se noi leggiamo
attentamente questi versetti, vediamo che c’è tutto un processo di
interiorizzazione, che però richiede questo permanere in Lui. E allora Lui
dice: “Chi mi ama osserva le mie parole, il Padre lo amerà e noi verremo a
lui e faremo la nostra abitazione in lui” (Gv 14,23).
Ines: Osservare vuol dire approfondire?
Luigi: Certo, vuol dire approfondire e restare. Osservare non è
un fatto di memoria; osservare vuol
dire guardare attentamente per cercare di afferrare, di capire, di penetrare,
perché è Dio che parla.
Ora, se noi diciamo: “Dio mi è presente,
Dio mi sta parlando”, questo ci impegna molto, perché è Lui che parla. Ora,
una cosa è che sia la creatura a parlare, e una cosa è Dio che ci stia
parlando. Questo impegna molto l’attenzione; e questa attenzione a Lui è
chiamata “timore di Dio”. Infatti “Principio della sapienza è il
timore di Dio” (Pr 9,10), cioè
questa attenzione per cercare di capire, perché Dio ci sta parlando.
Quindi il problema è questo: cercare di
capire, perché se Dio ti parla, certamente, in quanto ti parla, ti dà la
possibilità di capire. Dio non inganna; quindi se parla certamente è perché
ha posto in te le condizioni perché tu capisca, per cui se parla è perché ha preparato l’orecchio. Se ti fa
intendere qualche suo argomento è perché già ti chiama; altrimenti non te lo
farebbe intendere; se ti fa capire che Lui esiste, già ti chiama a conoscerlo,
altrimenti non capiresti nemmeno che Lui esiste. Quindi in quanto la sua Parola
giunge a te, ti dà la possibilità di intenderla. Ecco perché la grazia è sua e
il rifiuto è solo nostro.
Quindi il principio della Sapienza è questo
timore (che non è il nostro timore), è questa attenzione per cercare di
capire quello che Dio ci sta dicendo, sapendo che se ce lo dice, ci dà anche la
capacità di ascoltare, perché altrimenti non parlerebbe nemmeno o ci
prenderebbe in giro, perché ci parlerebbe una lingua straniera che non ha dato
a noi la capacità di intendere. Ma Lui non prende in giro le sue creature;
quindi in quanto parla, ci dà la capacità di intenderlo. Quindi sapendo questo ci deve essere in noi timore e
attenzione, perché Lui ci impegna e ci invita a capire. Ecco, allora è questo
custodire, questo ascoltare, questo restare, questo essere attenti a Lui, che
poco per volta ci fa maturare e percorrere tutte le tappe del cammino con
Cristo, verso la Gloria. E più noi
restiamo e più siamo amati dal Padre: “…e allora noi verremo e faremo la
nostra abitazione”.
Precisiamo bene: non è che Essi si spostino, perché Essi già
sono in noi. Siamo noi che ci spostiamo; o meglio: Dio parlando sposta noi. Dio
è! Dio non si sposta da un luogo all’altro, ma siamo noi che ci dobbiamo spostare
da un luogo all’altro, siamo noi che dobbiamo occupare un certo “posto”,
non Lui. Lui è! Lui è il Tutto; siamo noi che abbiamo gli occhi coperti di
fango, per cui li dobbiamo purificare se
vogliamo imparare a vederlo, perché Lui già c’è.
Quindi, questo suo venire non è un suo
spostarsi, ma è un maturare noi, un
nostro prendere coscienza di ciò che Egli è e che Lui è con noi.
Infatti, scoprendo Lui, cosa scopriremo? Colui che è sempre stato con noi! È lì
la meraviglia! Scopriamo una cosa
nuova, ma scopriamo nello stesso tempo una cosa vecchia. Nuova poiché è una
scoperta: una scoperta che Dio ci fa compiere. Eppure è vecchia. E sarà questo
il nostro stupore, la meraviglia e nello stesso tempo anche il nostro pianto.
Perché? Ma “perché scopro Uno che è sempre stato con me ed io non lo sapevo”.
In effetti quando Lo vedremo, noi ci accorgeremo che Lui è sempre stato con
noi e noi non lo sapevamo! Per cui questo suo “venire” non è Lui che si è
spostato. Questo allora ci fa capire che se noi ora non Lo vediamo non è perché
Lui non ci sia, ma è perché Lo abbiamo ricoperto con il pensiero del nostro io.
Ines: Quindi man mano che superiamo il nostro io e siamo
fedeli alla Luce, la sua dimora in noi
si fa più chiara, più pura?.
Luigi: Sì. È una purificazione progressiva, però c’è
un momento in cui si fa una grande scoperta. E questa grande scoperta
è un fatto proprio eccezionale, una
novità. È una novità che ci fa scoprire quello che c’è sempre stato. Ma
è una novità. Quindi direi che c’è un
salto di qualità: non è una cosa progressiva. Ecco, il restare con Lui,
l’abitare con Lui è una cosa progressiva che poco per volta ci fa maturare, ci
libera da tutti gli argomenti del mondo,
da tutte le attrazioni, da tutto il peso delle cose del mondo; e questo, sì, è
una cosa progressiva e magari richiede tutta una vita, tanto tempo. Invece
il momento della scoperta della presenza in noi del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo è un lampo, è un salto di qualità, è un momento eccezionale: è
una nascita nuova. Da quel giorno uno vede le cose dal punto di vista di
Dio, secondo Dio, e non più secondo il mondo, secondo il suo io, ecc.; ormai è
una creatura nuova che vede e vive secondo lo Spirito. Da quel punto lì non
c’è più niente del mondo che lo possa portare via. Anzi, siccome sono
opere di Dio, tutte le cose del mondo diventano motivo di unione, di
glorificazione, di testimonianza di Dio.
È una nascita nuova; da quel giorno, ed è il
giorno della nostra Pentecoste, si
vedono le cose dal punto di vista di Dio.
Pinuccia A.: Ed è questo il “posto” preparato in noi da Gesù?
Luigi: Sì, Gesù ci prepara il posto formando in noi la capacità
di vedere tutto dal punto di vista di Dio. Noi dobbiamo occupare un certo posto
da cui vedere Colui che è.
Pinuccia B.: Da
questo posto si vedrà la Gloria di Dio.
Luigi: Sì, perché la Gloria di Dio c’è già; infatti la
Chiesa ci fa dire: “Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo”, “…a
Colui che era, che è e che sarà” (Ap 1,8).
Quindi se c’è, cercala, ma non a parole. Non
ti accontentare di ripetere le parole: “Gloria al Padre, al Figlio, allo
Spirito Santo”, ma cerca questa gloria, questa conoscenza, fino ad arrivare ad
avere in te stessa la ragione di ciò che dici.
Infatti Gesù dice: “Perché non conoscete da
voi stessi quello che è giusto?” E a Pilato: “Questo lo dici da te stesso o perché te
l’hanno detto?” (Gv 18,34). Perché quello che importa non è quello che ci
hanno detto, ma quello che dentro di noi riconosciamo vero. È questo elemento
personale, questa convinzione e partecipazione personale che conta. Perché noi
possiamo anche glorificare da mattina a sera il Cristo, magari perché
apparteniamo ad un determinato ambiente, o magari perché ci hanno montato la
testa attorno a Lui o al Cattolicesimo, per cui Lo glorifichiamo a parole,
continuamente, ma essere lontani da Lui
mille miglia, perché personalmente non
siamo con Lui, perché non c’è il superamento del pensiero del nostro io.
E siccome non c’è nessuno che ci possa far
fare questo salto, questo superamento del pensiero del nostro io, noi possiamo
anche appartenere alla trappa più religiosa, alla regola più rigida di questo
mondo, ma essere lontanissimi dal Cristo, se non facciamo questo superamento, e
non incontrarlo mai, anche se parliamo di Lui da mattino a sera.
Ines: L’appartenere ad un ambiente religioso allora può
diventare un inganno.
Luigi: Sì, perché noi ci illudiamo, in quanto diciamo: “Ma io
sono giusto, ma io appartengo qui…, ma io perlomeno non sono come gli
altri, ecc.”, e intanto restiamo “fuori”.
Ecco l’inganno! E si cade in esso se non c’è
la ricerca personale della Gloria di Dio.
Pinuccia B.: È
un lavoro personale.
Luigi: Sì, perché il superamento dell’io è personale. Non si
glorifica Dio a parole, anzi bisogna superare le parole, andare al di là di
esse: questa è l’essenzialità del Vangelo che ci porta ad un grande contatto
con Dio, da cui nasce la creatura nuova.
Pinuccia A.: C’è molta superficialità anche tra coloro che si
professano religiosi e si credono giusti senza magari interessarsi al Vangelo.
Luigi: La voce di Dio però arriva ovunque, anche nelle tombe.
Purtroppo molti si svegliano tardi e per molti questo contatto personale con
Dio avviene solo nell’agonia: qui allora l’anima si aggancia a questa essenzialità, appena la
scopre, e poi nella Vita Eterna Dio ricostruisce tutto.
Si parte da tanti punti diversi, ma ad un
certo punto la strada diventa una sola. Si va tutti verso uno stesso “luogo”. Il “luogo” è
uno solo, anche se c’è posto per molti; l’importante è rapportarci
sempre alle parole del Cristo. Rapportandoci alle parole del Cristo
restiamo con Lui e camminiamo con Lui verso la visione della sua Gloria.
Ecco, se restiamo con Lui, abitiamo con Lui (e
possiamo abitare se permaniamo in questo
bisogno di Dio, cioè se c’è in noi l’affinità di interesse e di fine
con Lui), e se neppure ci accontentiamo di questa permanenza nelle varie tappe
della sua vita, arriveremo alla grande meta a cui ogni uomo è chiamato: “Vedere
la sua gloria”.
Appendice (Venerdì 28.XI. 1975):
Possiamo riassumere in cinque tappe il cammino
con Cristo verso la visione della Gloria. Quando Gesù dice al Padre: "quelli
che Tu mi hai dato", si riferisce a coloro che:
- 1) sospinti dal bisogno della vita con
Dio e compiendo la giustizia essenziale,
- 2) arrivano al Cristo e Lo identificano:
riconoscono il Lui il Verbo fatto carne.
È il Padre che a questo punto ci
affida al Figlio, perché Lui ci liberi dal mondo materiale e sociale che
ci disperde e ci impedisce di giungere dove siamo attratti.
Solo se siamo arrivati al Cristo per questo
motivo (bisogno di conoscere Dio, di realizzare questa vita secondo lo Spirito
di Dio), possiamo abitare con Lui e proseguire con Lui accogliendo le sue
Parole. Se siamo arrivati a Lui per altri motivi, ci fermiamo o ci tiriamo
indietro.
- 3) Stando con il Cristo, abitando con
Lui, camminando con Lui e ascoltando le sue Parole, ecco che Lui a poco a poco
ci libera dagli argomenti del mondo che fanno ancora presa sull'io. Ci
raccoglie continuamente. Infatti quando arriviamo al Cristo il nostro io non è
ancora morto e siamo ancora in mezzo a tante dispersioni. Così come per gli
Apostoli. Ma Gesù con pazienza sempre li
raccoglieva nel Pensiero del Padre: "Padre, li ho custoditi nel Tuo
Nome". Infatti Gesù restando con noi:
- ci custodisce, raccogliendoci,
- ci difende dagli argomenti del mondo
(che tendono a portarci via) restando con noi
“fino alla fine del mondo” (del nostro mondo),
- quindi ci incentra su di Sé, fino al
giorno in cui anche noi diremo: "Signore, da chi andremo? Tu solo hai
Parole di Vita eterna".
- 4) A
questo punto le anime sono solo più Sue, staccate dagli altri. È avvenuta in esse una vera trasformazione:
prima facevano conto su altro, ora, col Cristo, si rifiutano, non vogliono più
far conto su nessun altro: "Piuttosto la morte con Te, ma non mi appoggerò
più a nessun altro". Ma bisogna che
questo l'anima lo possa dire con convinzione.
- 5) E
allora l'anima è matura per il grande balzo di cui parla Gesù quando,
affidando i suoi discepoli al Padre, dice: "Devo andarmene, se no non
riceverete lo Spirito", ”Vado
a prepararvi un posto, perché dove sono Io siate anche Voi". Lo prepara andandosene. "Padre, voglio che quelli che mi hai
dato siano dove sono Io”.
Il raggiungimento di questa maturità è opera
di Dio, come tutto. Solo il nostro rifiuto non è opera dì
Dio. Per cui da parte nostra che
dobbiamo fare? Restare uniti al
Cristo, come il tralcio alla vite, fino alla Vita Eterna in noi. Infatti
Gesù dice: “Io me ne vado”,
ma dice anche: "restate uniti a Me” .
Non si noterebbe l'assenza di Dio fuori di noi
se non si avesse presente Dio dentro di noi.
Nessuno noterebbe la mancanza di una cosa o di una persona se non
l'avesse presente dentro di sé.
L'assenza è quindi segno, richiamo,
testimonianza di presenza ed è vocazione alla presenza.
Tutto il mondo esteriore, mondo sensibile,
esperimentabile, è assenza di Dio, e pertanto è un richiamo a Dio, vocazione a
Dio, significazione per noi della presenza di Dio; è voce, parola di Dio per
noi.
Se non si può notare l'assenza di Dio senza
avere presente Dio, l’assenza di Dio è gloria di Dio.
Se non si può notare il tempo senza aver
presente l'Eterno, il tempo è gloria di Dio.
Se non si può notare la molteplicità delle
creature senza aver presente l'Unità di Dio, la molteplicità è gloria di Dio.
Se non si può provare la morte senza aver
presente la Vita, la morte è gloria di Dio.
Tutto è opera di Dio, gloria di Dio, Padre,
Figlio e Spirito Santo.
Tutto è annuncio e rivelazione e
glorificazione del Dio trinitario.
Se l'assenza di Dio nel mondo che vediamo e
tocchiamo è voce di Dio che ci chiama, l’assenza di Dio ci convoca alla Presenza e ci fa pensare Dio.
“Dio è re di tutta la terra, Dio regna sui popoli,
Dio siede sul suo Trono santo" (Sal 46,8).
Attraverso l'esperienza della sua assenza, Dio
trasforma noi in desiderio, bisogno, fame di conoscere Dio, di trovarlo: ci
investe del suo Regno.
Attraverso l'assenza, questa autonomia
apparente degli uomini e delle cose da Dio, Dio trasforma gli uomini in fame di
Sé.
Ecco la meraviglia dell’opera di Dio!
Dio si allontana, si rende assente, ci fa
esperimentare la sua morte, il suo silenzio, per essere investito del suo Regno
da noi, poiché ci trasforma in desiderio di trovarlo, di conoscerlo. Ci attrae
a Sé.
Investiamo Dio del suo Regno in quanto Lo
facciamo oggetto del nostro pensare.
Dio va investito di regalità nei nostri
pensieri.
È cercando e pensando Dio per conoscerlo che
Lo si glorifica: senza questa dedizione di pensiero a Lui per conoscerlo, nulla
vale, qualunque cosa facciamo; per cui non si glorifica Dio recitando,
cantando, coprendosi con paramenti o alzando la propria statura con copricapo;
non si glorifica Dio celebrando riti, feste, tradizioni, facendo assemblee,
cortei, proteste, mozioni; non si glorifica Dio con offerte, sacrifici,
olocausti; non si glorifica Dio correndo qui o andando là; non si glorifica Dio
dando tutto ai poveri o sacrificando il proprio corpo con digiuni e penitenze,
o cercando la perfezione in qualche comportamento; Dio si glorifica
conoscendolo per quello che Egli è, quindi impegnandosi a conoscerlo.
Gloria di uno è ciò che egli è.
Gloria di Dio è conoscerlo per ciò che Egli è:
Essere unico in Tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo.
È necessario convertirsi dalla vita vissuta
dietro le cose del mondo e dietro gli uomini, dietro ciò che fanno e dicono,
alla ricerca e alla conoscenza di Dio vivo che ha fatto il cielo e la terra,
che parla in tutto e con ogni uomo, poiché la nostra vita sta nel cercare e nel
conoscere Dio.
Siamo già nel Cielo di Dio e tutta la nostra
fatica sta nell'imparare a restare ed a vivere in tale Cielo, imparare a vedere
in tutto il Regno di Dio, poiché Dio già regna in tutto.
Il difetto quindi non sta nel Regno di Dio che
ancora non è, ma sta in noi che ancora non siamo e non vediamo il Regno di Dio come è.
Dio si annuncia e nessuno può ignorarlo senza
volerlo ignorare.
Vivendo secondo i sentimenti anziché secondo
lo Spirito, gli uomini hanno considerato le cose e i fatti come autonomi da Dio
e se stessi come indipendenti da Dio: hanno separato le creature dal loro
Creatore, e hanno proclamato a parole e fatti l'autonomia delle cose da Dio;
così sono venuti a trovarsi nei grovigli di una notte senza fondo e in una
devastazione totale dei loro pensieri e della loro vita, con l'anima nei morsi
della depressione, dei conflitti e dell'angoscia.
È urgente convertirsi dalla vita secondo i
sentimenti alla Verità, convertirsi a Dio, alla conoscenza di Dio.
Convertirsi è mettere il bisogno di conoscere
Dio, di trovarlo, al disopra di tutto.
Convertirsi è preoccuparsi di passare
dall'assenza di Dio alla sua Presenza, dalle cose che passano a quelle che non
passano; è passare dalla molteplicità all'Unità e consumare tutto in questa
Unità.
Dio è Uno, Dio è Infinito.
L'Infinito è Uno e l'Uno è Infinito.
L'uomo fatto per l'Infinito, fatto per
l'Unità, si è disperso nella molteplicità delle cose, correndo dietro a troppe
cose e sta mordendo la polvere delle cose finite che lo bruciano nell'istante
stesso che lo attraggono.
La persona umana è un fatto unico,
irripetibile, incomunicabile; ma quanto più si allontana da Dio, Unità infinita
e assoluta, tanto più resta bruciata da fatti molteplici, ripetibili,
sostituibili. Così la persona umana diventa
una molteplicità che soffre, invoca e prega, perché è bisogno di unità.
La molteplicità lo lacera e distrugge.
L'uomo è bisogno di trovare Dio, di trovarsi
con Dio, che non può ignorare, non può dimenticare, ma può non riuscire a
trovare.
La vita dell'uomo sta in Dio, è Dio.
Per questo l'uomo ha bisogno di raccogliersi
tutto in Dio.
Quanto più si raccoglie in Dio tanto più trova
la sua vita e la sua pace.
L'uomo ha bisogno di convertirsi a Dio.
(IV – 06.02.1991)
La gloria di Dio è lo svelarsi della sua
Verità a noi, in noi.
Questa è l’opera di Dio in quanti ascoltano la
sua voce.
La voce di Dio giunge ovunque, poiché Uno solo
è Dio che opera tutto in tutti, e nessuno Lo può ignorare.
Non tutti L'ascoltano, non tutti intendono la
sua voce. Per costoro lo svelarsi della
Verità di Dio diventa pura notte, vuoto di vita.
"Abita la terra e vivi cercando Dio" (Sal 37,3) se vuoi evitare il vuoto del
vivere, per vivere ed essere invece fatto partecipe della gloria di Dio, Colui
che non muta nel mutare di tutte le cose.
Ascoltare la voce di Dio è mettere a tacere
ogni altra voce.
Solo chi mette a tacere ogni altra voce per
ascoltare la voce di Dio è fatto degno di ricevere la Luce che essa gli vuole
comunicare e restare in essa: qui è la pace di Dio.
Soltanto quando possiamo contemplare la
volontà di Dio nel suo Cielo, la nostra volontà diventa buona in terra: qui
abbiamo la pace, perché la nostra pace sta nel poter contemplare che tutto è
voluto da Dio.
La nostra pace sta nel vedere il Pensiero di
Dio in tutto, e ha buona la volontà chi ha la possibilità di riconoscere, ed è
grazia, che tutto è volontà di Dio.
Dio in realtà afferma Se stesso in cielo, in
terra e in ogni luogo: Egli regna in tutto e tutto è sua volontà, e la sua
volontà, che è manifestazione di ciò che Egli è, si fa in tutto, lo vogliano e
non lo vogliano gli uomini, intendano o non intendano.
"Dietro le forze e le necessità che
generalmente governano gli avvenimenti si deve scoprire un'altra Potenza e un
significato nuovo: la realtà della Provvidenza che si profila tra Dio e
noi", scriveva R. Guardíni.
"Cerca allora nel Signore la tua via e confida
in Lui. Egli fa sicuri i tuoi passi e segue con amore il tuo cammino" (cf Sal 37,23). Non ci credi?
Dio chiama tutti a partecipare alla sua
conoscenza, Dio offre a tutti la sua gloria, come offre a tutti la sua pace, la
sua vita.
Ma tale offerta si realizza solo nella
conoscenza di Dio, poiché si ottiene solo per partecipazione a ciò che Dio è.
Ad uomini che sono angosciati e depressi
perché non hanno qualcosa di valido per cui vivere e dare un significato alla
vita che si va svuotando per tutti di senso, Cristo offre la vita, la sua vita,
e dice a tutti: “Venite a Me voi tutti che siete affaticati e depressi, e Io
darò sollievo alla vostra anima, vita alla vostra vita” (cf Mt 11,28). Lo dice e lo ripete ogni giorno, ovunque.
Dio ci fa sentire, provare, esperimentare ciò
che Egli non è per farci capire l'importanza di ciò che Egli è e quindi per
formare in noi il desiderio, l'attrazione, l'interesse per Lui e renderci
partecipi della sua gloria.
“Manderò la mia fame sulla terra: non fame di
pane, ma di conoscere Dio” (Am
8,11).
Noi esperimentiamo l'assenza di Dio perché Dio
sta imponendo a noi la sua Presenza; esperimentiamo il tempo perché Dio sta
affermando a noi l'Eterno che Egli è: esperimentiamo il finito non come
negazione dell'Infinito, ma come predicazione, affermazione e quindi
glorificazione dell'Infinito che Dio è.
Se tutto ciò che non è Dio è prova in noi del
valore di Dio, tutto è per la gloria di Dio; in tutto è Dio che regna.
Dio si annuncia, Dio viene, Dio si impone. Dio
ci offre la sua gloria.
Dio dice a tutti che la sua volontà è di
essere conosciuto e vuole che ogni uomo si impegni a conoscerlo. Dio vuole
essere conosciuto e ha posto nel conoscere Lui lo scopo valido per dare un
significato alla nostra vita: “Cercatemi, conoscetemi e vivrete!” (Am
5,4).
Gli uomini preferiscono morire.
Non solo Dio
ci dice che la sua volontà è di essere conosciuto, ma ci segnala anche
il luogo in cui trovarlo.
L'assenza infatti di Dio che ogni uomo
esperimenta nel mondo esterno, mentre ci segnala la presenza di Dio poiché essa
è segno, voce, predicato della presenza di Dio là dove non si vede Dio, ci dice
anche che stiamo cercando una cosa in un luogo sbagliato.
Certamente nell'esperienza dell'assenza di Dio
che l'uomo fa c'è la presenza di Dio, ma nessuno può passare dall'esperienza
dell'assenza di Dio all'esperienza della presenza di Dio senza lo Spirito di
Dio. Per questo l'assenza ci segnala il luogo in cui possiamo trovare Dio:
mentre ci segnala un nostro errore di ricerca, ci indica che il luogo della
presenza di Dio è interiore.
Non si tratta allora di trovare fuori ciò che
si ha dentro, come quando si cerca qualcosa di materiale, ma si tratta di
capire il significato di ciò che avviene fuori come segnalazione a noi che la
presenza di Dio è nell'interno.
Per questo l'assenza di Dio nel mondo esterno
è ancora una parola per noi che ci segnala il luogo della presenza di Dio.
Chi ci segnala il luogo in cui si trova è
perché vuole farsi trovare.
E così tutto dentro e fuori di noi rende
gloria a Dio, e noi, dentro e fuori, siamo già immersi nel Regno di Dio.
Siamo solo noi in difetto rispetto alla
realtà, in quanto non capiamo, non intendiamo, non conosciamo e non ci
interessiamo del “luogo” in cui ci troviamo, né del “luogo” in cui si trova
Dio, né del senso del tempo che stiamo vivendo, in cui giorno dopo giorno la
gloria di Dio ci inonda sempre più da vicino, ci mette sempre più alle strette
di fronte alla sua Verità: “Coget omnes ante Thronum”, ci costringe tutti davanti
al suo Trono.
(V -
13.02.1991)
"Come il tuo Nome, o Dio, così la tua
gloria si estende fino ai confini della terra" (Sal 47,4).
La gloria di Dio è la sua Presenza che ci
ospita. Noi siamo gli ospiti e Dio è l'Essere che ci ospita in casa sua.
Gli uomini non vedono la gloria di Dio, questa
Realtà che splende in tutto, perché non intendono, e non intendono perché sono
accecati dall'apparenza di autonomia delle cose e di se stessi da Dio.
Si credono liberi e non cercano Dio. Vivono
per altro; hanno solo tempo per altro. Ma viene per ogni uomo un giorno in cui
la gloria di Dio lo avvolgerà e lo assorbirà nel silenzio di ogni altra cosa,
di ogni altro pensiero.
In quel giorno ogni uomo capirà che non valeva
la pena vivere per ciò per cui è vissuto, agitarsi per ciò per cui si è
agitato, faticarsi per tutto ciò per cui ha faticato, dedicarsi a tutto ciò cui
si è dedicato.
Tutto è fatto nel Pensiero di Dio e tutto è
compiuto nel Pensiero di Dio. “Avendogli assoggettato ogni cosa,
nulla Dio ha lasciato che non gli fosse sottomesso”.
Se tutto è compiuto, che cosa manca a noi che
non vediamo la gloria di Dio in tutto?
Manca solo il nostro capire che tutto è
compiuto nel Pensiero di Dio.
Manchiamo solo noi che non tenendo conto di
Dio, in tutto ciò di cui ci occupiamo restiamo preda della nostra
superficialità e passionalità.
Per questo, mentre la luce di Dio splende in
tutto e la sua gloria avvolge e penetra ogni cosa, “le tenebre ricoprono la
terra, notte fonda avvolge i popoli” (Is 60,2). La notte ovatta i nostri pensieri perché non
riferiamo tutto a Dio. Siamo immersi nella gloria di Dio e non la vediamo. “Il mio popolo non vede, il mio popolo non
intende” (Ger 5,23).
Dio è presente in tutto e noi Lo vediamo
assente.
Dio parla in tutto e noi non siamo in grado di
udire nemmeno una sua Parola.
Dio ci tocca in tutto e noi diciamo che è il
caso, la natura, gli uomini.
Così siamo rimasti preda dell'indistinto,
dell'informe, della vanità di ciò che è senza nome e senza volto perché è senza
paternità.
Siamo rimasti accecati dal sole e abbiamo
detto: il sole non c'è!
Il tempo ci è stato dato per conoscere Dio:
l'abbiamo sprecato in altro.
Senza più Cielo, senza più eternità, senza più
Dio perché senza più tempo né interesse per Dio, gli uomini si sono ridotti a
vivere di routine giorno dopo giorno, ed è tutto un morire che in loro cresce
come una marea di niente che invade la loro anima. Dicono niente, pensano
niente, fanno niente, e facendo niente si riducono a niente.
Trascurando Dio gli uomini hanno trascurato il
loro Principio e il loro Fine ed ora non
sanno più per cosa vivere. Sono rimasti orfani e smarriti.
Sono rimasti con la fame, ma una fame senza
pane. Restano i loro mali, ma senza
alcuna medicina possibile.
Sono in una notte senza luce per illuminarla,
perché sono senza Dio.
Per loro, Dio è lontano, assente, morto. E di questo, sì, fanno esperienza.
Hanno considerato le cose e i fatti come
autonomi da Dio e se stessi come liberi, indipendenti da Dio: la più grande
stoltezza che una mente stolta possa concepire.
Non hanno tenuto conto di Dio in tutti i loro
problemi.
Hanno pensato e dichiarato di essere liberi e
di poter fare senza Dio. Hanno separato le creature e i fatti dal loro Creatore
e Signore ed è come avessero separato la terra dal sole. Ora stanno provando
cosa significa essere senza Dio: un’altra meraviglia della creazione di Dio!
È urgente per l'uomo impegnarsi personalmente
in ciò che lo trascende se vuol trovare la sua vita, la sua luce e quindi anche
la sua pace, la gioia di vivere.
In una realtà in cui “tutto è fatto per
mezzo di Dio e senza Dio niente è fatto di tutto ciò che è fatto” (Gv 1,3),
l'autonomia da Dio, il considerare le cose e gli avvenimenti senza tener conto
di Dio è la colpa che sta a fondamento della nostra cecità e di tutti i nostri
mali.
Inutilmente allora invochiamo da Dio la pace
ed esortiamo a fare la pace se non impariamo a riconoscere che tutto è voluto
da Dio ed a cercare di capire che cosa Dio ci vuole dire in tutto.
La nostra pace sta nel conoscere Dio.
L'orizzonte della vita dell'uomo è un orizzonte trascendente: va oltre tutto
ciò che si vede e si tocca. Esso
richiede tutto il pensiero dell'uomo sui sentieri delle Parole di Dio. Per
questo l'orizzonte trascendentale è un orizzonte personale. Dio si raggiunge e
si conosce solo personalmente. Senza
questo impegno personale, tutto di noi e della nostra vita, possedessimo anche
tutte le ricchezze e tutto il mondo, finisce nella banalità e nella routine
come un ruscello di montagna in un pantano di acque morte.
L'Eterno ci avvolge e penetra ovunque, penetra
ogni fatto e ogni nostro pensiero, è più presente a noi di tutto ciò che
abbiamo presente e non ce ne accorgiamo.
L'assenza di Dio che esperimentiamo, il finito
della creazione e delle creature, il tempo che passa, la morte stessa, tutto è
opera di Dio per dirci: “State cercando l’Assoluto, l'Eterno, l'Infinito, ma
lo state cercando in luoghi sbagliati: passate tutta la vita a cercare mele su
un larice. Siete fuori della Realtà”.
Ma gli uomini protestano e dicono: "La
realtà non è forse quella che vediamo e tocchiamo?",
Dio risponde: “Errato, Io sono la Realtà
perché sono Io che faccio ogni cosa e parlo con voi la Verità in tutto perché
Io sono la Verità, quella Verità che non vedete e non toccate perché non la
cercate da Me, e non la cercate da Me perché non vi interessa conoscere Me e
non vi interessa conoscere Me perché avete più interesse per altro che per
conoscere il vostro Dio”.
(VI - continua - 21.02.1991)
(Articoli pubblicati da “La Fedeltà” , scritti
da Luigi Bracco)
"Dio è uno solo e non ha da temere nessun concorrente nel
suo modo di condurre la storia: tutti gli avvenimenti sono voluti da Lui e
conducono all'avvenire escatologico: nessuna forza può ostacolare il suo
disegno" (dal libretto “A Messa”).
Dio è Colui che regna in tutto.
La Parola di Dio dice a tutti: "In
mezzo ai popoli narrate la sua gloria, poiché la sua gloria abita la nostra
terra. Dite tra le genti: il Signore
regna! Dicano tutti la gloria del suo Regno, parlino della sua opera,
manifestino le sue meraviglie, la splendida gloria del suo Regno, poiché della
sua gloria è piena la terra" (Sal 96,3; Sal 72,19).
Ma oggi nessuno più parla di Dio e del suo
Regno; nessuno si occupa per conoscere Dio: questo Protagonista della nostra
vita e di tutti gli avvenimenti.
Abbiamo dimenticato il paese della nostra
anima; non sappiamo più per che cosa vivere. Inutilmente allora invochiamo che
venga il Regno di Dio e sospiriamo di vedere quel giorno.
Il Regno di Dio è già in noi, in tutto. Si
tratta di aprire gli occhi, di vedere, di capire, di intendere ciò che è. Siamo
ciechi che brancolano nel mare di luce della gloria di Dio. In essa noi siamo, ci muoviamo, viviamo e non
ne sappiamo niente.
Anziché sprofondarci nel mare della presenza
di Dio ci siamo sprofondati nel mare dell'assenza di Dio.
Gloria di un essere è ciò che egli è. Gloria
di Dio è la sua Presenza in tutto. Dio è Colui che è. Tutti traggono
l'esistenza da Lui e non solo l'esistenza ma anche la vita e ogni cosa. Tutti
sono per ciò che sono in Dio e da Dio.
Fuori di Lui tutto è niente e tutto ritorna niente; fuori di Lui ogni
luce si spegne.
Perché allora noi non vediamo Dio, l’Essere
che è presente e da cui ogni essere trae l’esistenza?
Perché noi vediamo, tocchiamo, esperimentiamo
altro da Dio?
Dio è il Creatore di tutto, il Signore di
tutto,; Dio è Colui che regna in tutto e in tutti. Perché noi non vediamo il
suo Regno, ma vediamo, tocchiamo, esperimentiamo ben altri regni? Perché “la
Verità non può essere raggiunta dal basso verso l’alto, ma solo dall’alto"
(Von Balthasar, Theol. II/1).
Ci siamo riempiti gli occhi e la mente di cose
del nostro mondo, dei nostri interessi, del nostro teatro, e siamo precipitati
molto in basso. Siamo precipitati in una regione dove non si vede più alcun
senso delle cose. Ma anche questa regione di tenebre è una testimonianza di
Dio: un richiamo, una convocazione personale al Pensiero di Dio.
Il dis-velamento di Dio è frutto di incontro
personale con il Dio personale: il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe.
Dio si conosce solo per mezzo di Dio.
È Dio che suscita e genera negli uomini
l’esperienza trascendentale di Sé e
questo avviene ed è possibile solo perché la stessa Realtà di Dio è presente
nell’uomo. Senza questa Presenza l’uomo cessa di essere uomo.
Tutte le nostre esperienze di vita sono
esperienze della presenza di Dio.
È Dio che parlando con noi ci convoca ala sua
Presenza e ci rende capaci della conoscenza di Lui. Ma questo non avviene senza di noi.
Dio ci chiama, ci convoca e ci impegna a
pensare a Lui, con Lui, fonte, principio
del nostro pensare e del nostro capire.
Il dis-velamento di Dio è esperienza di
reciprocità, richiede il nostro pensiero: quel pensiero che noi abbiamo
venduto, prostituito sui marciapiedi del mondo per ottenere dal mondo degli
specchi in cui vediamo i nostri volti disfatti.
Non si può restare con Dio senza riferire
tutto a Lui, quindi senza offrirgli il nostro pensiero in cui Egli ci fa vedere
il suo Volto, la sua Presenza, la sua Verità.
Non si può restare in un amore senza riferire
tutto ad esso.
Altrimenti si rimane tagliati fuori, nella
regione delle tenebre dove si subisce tutto senza poter intendere niente. È
l’inferno.
Gli uomini hanno fondato le loro sicurezze sul
loro sapere, sulla loro cultura, sulle loro scienze, su ciò che dicono e fanno
gli altri, su ciò che possono possedere. E hanno perso la vita.
Hanno fondato le loro sicurezze sugli altri,
si sono incensati a vicenda davanti ai loro altari, ai loro idoli; hanno
creduto di vivere glorificando, criticando, giudicando, ponendo etichette su
tutto.
Hanno elevato altari ai loro idoli ed hanno
suonato le trombe, le trombe dei mezzi di comunicazione, attorno ad essi.
Poi improvvisamente si è fatto buio su tutta
la loro vita: buio e silenzio sulla loro cultura, sulle loro scienze, sui loro
altari, ed oggi incominciano a scrivere: "L'universo si è fatto buio:
nessuno adesso sa più dirci come siamo nati". Non lo hanno mai saputo!
Hanno trascurato Dio e si sono trovati con
nessuno e con niente: senza paternità, senza nome, senza senso.
I loro incensieri sono stati scagliati in
terra, i loro altari, le loro trombe, le loro cattedre, i loro organi sono
finiti in soffitta a raccogliere polvere. Nessuno più sa cosa farsene.
L'uomo è un essere dominato da una logica: fa
rapporti con i suoi punti fissi di riferimento.
E quando il punto fisso di riferimento è altro da Dio, l'uomo per essere
logico con esso diventa principio di menzogna e non può farne a meno.
Quindi non può comprendere la realtà, ma la
deve deformare per comprenderla: egli non può sopportare una realtà che non
entri nella sua logica.
Così esce dall’amore e dal servire e diventa
un autoritario, un despota, un padrone, anche se è un servo.
L'uomo quando non tiene conto di Dio deve fare
la menzogna e diventare schiavo di essa. Egli diventa schiavo della sua logica
e crede di essere nella Verità.
Solo se l’uomo supera ogni sentimento, ogni
sua esperienza e rinuncia al desiderio soggettivo di possedere per sé quanto
esperimentato, il divino mistero, la gloria di Dio si dona a lui di sua
iniziativa.
Colui che è il Principio di tutto ha bisogno
dell'assenza nell'uomo di ogni principio per donarsi, rivelarsi all'uomo come
Principio. È necessario che tutto di noi si sottragga a noi perché si riveli
reale in noi la gloria di Dio.
(VII –27.02.1991)
Quando Gesù entrò nel Tempio di Gerusalemme vi
trovò mercanti di buoi, di pecore e di colombi, vi trovò i cambiavalori con i
loro banchi.
Quando Gesù entra nella nostra vita, trova la
stessa cosa. Abbiamo creduto che il
tempo e la vita fossero dati a noi per trafficare, guadagnare, arricchire,
mangiare e correre per il mondo. Ma è un errore.
Così abbiamo fatto del Tempio di Dio, luogo di
adorazione, di preghiera e di conoscenza, che è la nostra vita, un luogo di
mercato e di grida.
Vero Tempio di Dio è la nostra mente.
Allora Gesù prese una sferza e scacciò dal
Tempio tutti, mercanti e buoi, pecore e colombi, e rovesciò i banchi e le
cattedre dei cambiavalori.
Viene
un giorno, e viene personalmente nella vita di ogni uomo, in cui l'Amore di Dio
diventa violento, insopportabile, senza misericordia: allora scaccia,
distrugge, brucia ogni cosa, poiché non sopporta più nulla di tutto ciò con cui
noi ci siamo prostituiti e abbiamo prostituito la nostra vita tradendo Dio su
tutti i marciapiedi del mondo.
"La mia casa è una casa di preghiera: voi
ne avete fatto una spelonca di ladri!" (Mt 21,13). Amore che non sopporta; amore che diventa
violento; amore senza misericordia. È la Parola di Dio che diventa fuoco!
"Non crediate che Io sia venuto a portare
la pace! dice Gesù; non la
pace, ma la guerra, non lo stare insieme, ma la divisione!"(Mt
10,34).
È Parola di Dio anche questa!
Dio dandoci l'esistenza nel suo grande
universo ci ha iniziati alla ricerca della Verità: le sue parole servono all'uomo per far luce sui
problemi della vita, sul senso di solitudine dell'anima, sui dubbi e le
incertezze, sui conflitti, sulle paure, le depressioni e le angosce che
attanagliano l'anima e la coscienza.
Dio si annuncia, viene, ci offre la sua
gloria: la offre a tutti poiché l'annuncio è per tutti.
Chi può conoscere la sua gloria? Chi può
restare nella sua Luce?
Non si può restare con il Principio se non
avendolo come Principio di tutto in noi e di noi, Principio anche del nostro
stesso pensare.
Ciò che non riferiamo al Principio ci separa
dal Principio e quindi ci separa dalla luce della vita, ci fa perdere la vita.
Ecco perché ci è tanto difficile restare nella luce, mentre le tenebre
diventano il nostro pane giorno e notte!
La vita Dio ce l'ha data per essere un luogo di
amore alla luce, all'intelligenza, alla conoscenza della gloria di Dio, alla
contemplazione, alla preghiera, poiché Dio ha creato e crea tutte le cose per
darci la possibilità di pensare a Lui e di conoscerlo. In Lui è la nostra vita.
Non abbiamo capito che il tempo della vita ha
un orientamento escatologico e media la Verità di Dio: alla fine di esso si
vedrà la gloria di Dio, che già si annuncia in ogni momento, in ogni cosa e già
entra nella nostra vita con la forza e la violenza della luce.
Si tratta di spalancare le finestre, di aprire
gli occhi, di guardare questa inondazione di luce che travolge ogni cosa: si
tratta di vedere, di capire il luogo in cui ci troviamo (“Oh, Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo
Nome su tutta la terra!”- Sal 8,2 )
e di intendere il significato delle cose che stiamo vivendo e come le
stiamo vivendo.
Tutto infatti è opera di Dio che entra nella
nostra vita, nei nostri pensieri, nelle nostre sicurezze e nelle nostre
ragioni, entra nel suo Tempio per liberarlo da tutto ciò con cui ci siamo
ingombrati il cammino verso di Lui e per riportare in noi la capacità di riconoscere la Verità.
Ci siamo ingolfati con parole di uomini e
argomenti del mondo e non abbiamo più visto che esistiamo, ci muoviamo e
viviamo nel mare della gloria di Dio, un mare di luce e non ne sappiamo niente.
Impossibile non essere in colpa per la nostra
ignoranza!
La nostra mente è un Tempio in cui Dio è
sempre esposto: impossibile ignorarlo senza volerlo ignorare, quindi
impossibile essere senza colpa quando non teniamo conto di Dio!
Tutte
le parole che dicono o possono dire gli uomini e che tanto ci disorientano e ci
acciecano sul cammino, si perderanno come nebbia mattutina nell’immensità della
gloria di Dio.
Viviamo in un mare di doni di Dio.
Tutto è dono di Dio.
Chi ci dona qualcosa, non ci dona solo
qualcosa, ma ci dona il suo pensiero, ci dice che vuole che noi siamo, ci dona
una presenza, un nome.
È il passaggio dall'anonimia, dal senza
paternità, senza nome, senza senso, all'essere oggetto di un pensiero, di un
amore.
Dio per donarci la vita ci ha immersi nella
gloria immensa dei suoi doni.
Ma noi abbiamo separato la nostra vita dalla
conoscenza di Dio: abbiamo separato la glorificazione di Dio dalla conoscenza
della Verità, per cui ci siamo costretti, là dove bisogna glorificare Dio per
dovere di ufficio, a recitare, a fare il teatro, a osannare Dio con le parole,
i canti e le cerimonie e abbiamo perso l'autenticità della vita come ricerca di
Dio.
Dio vuole la conoscenza, non il teatro!
Ci siamo sprofondati in un mare di niente!
Non abbiamo capito che in noi la Presenza di
Dio, l'esperienza di Dio, la certezza di Dio,
il Tu di Dio si forma solo nella misura in cui dedichiamo a Dio il
nostro pensiero perché Lui sia in noi il Principio di tutto in noi quale
veramente Egli è.
Solo se Dio è il nostro Principio noi restiamo
nella vita.
(VIII – 06.03.1991)
(Articoli pubblicati su “La Fedeltà”, scritti
da Luigi Bracco)