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E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre. Gv 1 Vs 14 Terzo tema


Titolo: La gloria.


Argomenti: Vedendo il Cristo realizzato in una Persona concreta, siamo aiutati a realizzarlo in noi.   Dal vivere secondo il mondo, al vivere secondo Cristo.  La glorificazione di Cristo è personale.  La gloria del mondo.

 LA GLORIA DI DIO.


 

21/Novembre/1975


Introduzione all’incontro di Venerdì  7.11.1975

 

Eligio: L’evangelista nel v. 14 dice: “Noi abbiamo contemplato la sua gloria”: questo “noi” di cui parla S. Giovanni è un “pluralis maiestatis” riferito a se stesso o intende l’umanità di questo mondo?

Luigi: No! Vedi, qui mi riallaccio alla prima lettera che scrive S. Giovanni in cui ripete gli stessi concetti. Dice: “La Vita che era presso il Padre si è manifestata, e noi l’abbiamo vista con i nostri occhi e l’abbiamo toccata con le nostre mani. E quello che noi abbiamo visto e quello che abbiamo toccato lo annunciamo a voi (ecco la distinzione tra noi e voi), affinché anche voi possiate essere in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo”(cf 1Gv 1,1-4). È bellissimo, perché ripete lo stesso concetto del Prologo (“il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria…”), dicendo: “La Vita che era nel Verbo presso il Padre si è manifestata e noi L’abbiamo vista con i nostri occhi, toccata con le nostre mani e l’annunciamo a voi”.

Nella 1° lettera è detto in modo più esteso e c’è quel “noi” e quel “voi”. Quel “voi”  è il mondo e “noi” sono coloro che erano e che sono attorno a Gesù. Quindi è come se dicesse: “Quel Gesù che ci ha scelto, noi lo abbiamo visto e abbiamo constatato chi era e adesso lo annunciamo a voi (mondo), affinché ci sia comunione tra noi e voi”.

Allora quello che fa la comunione tra gli uomini è la comunicazione, la rivelazione. D’altronde Gesù stesso aveva detto a loro: “Non vi chiamo più servi, ma vi chiamo amici, perché vi ho fatto conoscere ciò che ho udito dal Padre mio” (Gv 15,15). Quindi quello che trasforma l’uomo da schiavo a servo, da servo ad amico, da amico a figlio è la trasfusione di luce, la confidenza, la conoscenza riversata.

È soltanto Colui che viene dall’Alto che fa conoscere le cose dall’Alto a chi è in basso per portarlo in Alto. “Nessuno può salire al Cielo se non Colui che discende dal Cielo” (Gv 1,13), per cui, se noi abbiamo la possibilità di salire al Cielo è perché qualcuno prima di noi è disceso dal Cielo: il Verbo di Dio che è nel Cielo.

Ecco, Colui che era in Cielo, cioè “la vita che era nascosta presso il Padre”, si è manifestato. “La vita che era nascosta presso il Padre si è manifestata e noi l’abbiamo  toccata e l’abbiamo vista e ora  la annunciamo a voi”. E annunciandola agli altri, li eleva.

Le cose in basso invece non cambiano l’uomo e non lo possono cambiare. Ecco perché chi eleva il mondo è il contemplativo, colui che sta in Alto! Ciò che aiuta veramente il mondo è la preghiera.

Eligio: Quindi quel “noi” rappresenta chi contempla…

Luigi: Sì, colui che contempla e che contemplando riversa: riversando sulla terra ciò che riceve dall’Alto, eleva. Se non c’è nessuno che riversi, il mondo sta a fondo, senza poter con tutte le sue fatiche venire a galla, perché gli manca il mezzo.

Eligio: Qui quel “noi” rappresenta coloro che stavano intorno a Gesù, i Dodici. Però Cristo chiamando i dodici Apostoli praticamente ha chiamato tutta l’umanità.

Luigi: Certamente, infatti è ancora tutto un mistero il significato di quel dodici; perché proprio dodici e non dieci e non sette e non cinque? Quel dodici sembra sia un po’ una sintesi di tutta l’umanità, di tutti i caratteri umani, di tutti gli stati d’animo dell’uomo. Rappresenta quindi tutta l’umanità.

Eligio: Dodici sono le tribù di Israele e Israele rappresenta l’anima che tende a Dio, che cerca Dio. Quindi noi, come gli Apostoli, siamo chiamati e siamo destinati a diventare quel “noi” di cui parla S. Giovanni.

Luigi: Certamente. Ciascuno di noi è chiamato come loro a stare intorno a Gesù, ad entrare a far parte di quel “noi”. Come d’altronde già nella Madonna stessa noi ci siamo tutti. Infatti Gesù morendo consegna sua Madre a Giovanni: “Ecco tua Madre” (Gv 19,27), ma questa consegna è fatta a tutti gli uomini, per cui Maria è la Madre di tutti.

Quindi già in Lei noi siamo tutti compresi. Nella sua assunzione una parte di noi (che è poi la Madre) è già in Cielo, per dirci che noi anche fisicamente apparteniamo già al Cielo, perché se una parte del mio fisico, mia Madre, è in Cielo, anch’io fisicamente appartengo al Cielo, perché  una parte di me è già in Cielo.

Questo è per dirci che non c’è quella frattura tra la terra e il Cielo; la terra appartiene già al Cielo, anzi solo guardando la terra dal Cielo possiamo vederla bene com’è: dal Cielo vediamo che la terra è già Cielo. Quindi se noi vogliamo conoscere bene la terra, dobbiamo guardare al Cielo. Soltanto conoscendo la terra dal Cielo conosciamo veramente come essa è. Se invece noi partiamo dalla terra per conoscere il Cielo, non capiamo la terra e non capiamo il Cielo e sbagliamo tutto, perché facciamo il Cielo ad immagine della terra, ed è sbagliato.

Invece soltanto conoscendo il Cielo noi scopriamo quello che veramente è la terra; quindi la terra si conosce in Cielo, dal Cielo.

Allora anche l’uomo si conosce in Dio (e ritorniamo al problema di Socrate: l’uomo non può conoscersi in se stesso e partendo da se stesso); se noi partiamo dall’uomo per conoscere Dio, sbagliamo. Bisogna partire da Dio, cioè discendere dal Cielo. Soltanto discendendo dal Cielo conosciamo veramente anche l’uomo.

Eligio: Socrate poneva però come atto preliminare della conoscenza dell’Assoluto la conoscenza del nulla di noi stessi. In questo senso lui diceva: “Conosci te stesso”.

Luigi: Tu capisci che la vera conoscenza si ha soltanto in Cielo? L’esempio della terra rende bene, perché in effetti soltanto in cielo noi vediamo come la terra è veramente: vediamo cioè che non è più un centro attorno a cui il sole e tutto il cielo girano, ma che è essa che gira attorno al sole; scopriamo addirittura che essa è un puntino, un nulla in confronto all’universo intero, un puntino però che fa parte del cielo. Ma tutto questo lo scopriamo solo se partiamo dal cielo.

Così è di noi nei confronti di Dio. Se non parte da Dio, l’uomo non può conoscere il proprio nulla, anzi…, e nemmeno può capire che è destinato al Cielo e che già appartiene al Cielo, perché in Maria, nostra Madre, che è assunta in Cielo, noi siamo compresi tutti quanti. Per cui anche noi con Lei già apparteniamo al Cielo, e questo ci fa capire che non esiste frattura tra Cielo e terra, ma che anzi tutta la nostra terra è già Cielo.

In Maria quel “noi” e quel “voi” si ricompongono in una comunione completa, in Dio.      

Eligio: Nella prima parte del versetto dice che “il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi”: quindi c’è sempre quel “noi” che è selettivo rispetto all’umanità.

Luigi: No, qui quel “noi” rappresenta tutta l’umanità. In quanto Dio è venuto ad abitare con un uomo, Egli è venuto ad abitare con tutti gli uomini; in quanto Egli ha occupato un punto del mondo, ha già occupato tutto il mondo; in quanto ha occupato una parte della storia, ha occupato tutta la storia. Non si può strappare una pagina della storia: bisognerebbe alterare tutta la storia. Perché tutto l’universo è uni-verso, è un sistema di equilibrio (e in un sistema matematico non si può togliere nessuna variabile senza rompere tutto). Quindi in quanto Dio è intervenuto ed ha occupato un punto solo del nostro mondo, praticamente ha toccato tutto il mondo.

Eligio: Ma allora non capisco perché prima ha precisato che quel “noi” (“noi abbiamo   contemplato la sua gloria”) rappresenta una distinzione rispetto all’umanità e invece questo “noi” (“abitò tra noi”) lo identifichi con tutta l’umanità .

Luigi: Ciò che fa la differenza è la partecipazione, la conoscenza, per cui tutti hanno la presenza di Dio in sé (Dio abita in tutti), ma solo quelli che l’hanno vista, l’hanno comunicata e la comunicano. 

Chi conosce comunica; e allora abbiamo il “noi” che si riferisce a chi ha conosciuto e contemplato la gloria del Verbo, per cui può comunicarla al resto dell’umanità. Certo, questo “noi” è selettivo, però tende a inglobare tutta l’umanità in questa conoscenza e contemplazione, al fine di realizzare una comunione tra tutti gli uomini in Dio, eliminando così la distinzione tra il “noi” e il “voi”.

Invece in quel “abitò tra noi”, quel “noi” non è più selettivo, ma si riferisce a tutti; infatti l’Incarnazione del Verbo e il suo abitare tra “noi” è l’annuncio di un fatto che già è e che riguarda tutta l’umanità. Infatti Dio è con tutti e l’incarnazione non è altro che la manifestazione esterna di un mistero che tutti portiamo in noi.

Noi non coglieremmo l’incarnazione se non avessimo già Dio in noi, e non ci sarebbe la possibilità per colui che riceve la Luce di comunicarla ad un altro se quest’altro non avesse già la Luce dentro di sé; perché è solo un risveglio ciò che si apporta nell’altro, ma l’altro in sé la Luce ce l’ha già. Quindi la presenza di Dio ce l’hanno già tutti dentro di sé. Ecco allora, Dio è venuto ed ha occupato un punto, una regione della Palestina, ma coloro che l’hanno visto possono annunciarlo agli altri, per cui Dio occupando una regione, ha interessato tutte le regioni del mondo. Come dicevo prima: Dio occupando un punto ha occupato tutto, occupando una pagina della storia, ha occupato tutta la storia. Poi queste comunicazioni avvengono a vicenda  uno con l’altro man mano che uno conosce.

Incontro di venerdì 21.11.1975

Eligio: Abbiamo parlato la volta scorsa che il Verbo si è fatto carne in Cristo. Però volevo chiederti come possiamo rendere attuale il Cristo nella nostra vita, in  modo che ci dica qualcosa nella nostra vita concreta di ogni giorno?

Luigi:  È proprio qui la problematica del Cristo, il dono di Cristo, perché (ed anticipo, con questa tua domanda, l’argomento di stasera: “La gloria”) seguendo Lui noi giungiamo a vedere la sua Gloria, la quale Gloria è la vita che era in principio presso il Padre e che corrisponde al nostro sogno. Noi vedendolo realizzato in una Persona concreta, il Cristo, siamo aiutati a realizzarlo in noi.

Però se non abbiamo coltivato in noi il sogno di una vita secondo Dio, allora il Cristo non ci dice proprio niente nella nostra vita concreta di ogni giorno. Per coltivare questo sogno bisogna pensare molto a Dio, se no non si forma in noi il desiderio della vita secondo Dio, il sogno. Questo desiderio è già effetto della sua Presenza in noi, perché se Lui non fosse in noi, noi non potremmo desiderarlo.

Noi tutti, per la presenza di Dio in noi, subiamo la passione di assoluto. È per questa passione che noi tendiamo ad attuare l’infinito, l’assoluto nelle creature, nelle cose; ma solo perché non siamo presenti a Lui che è Presente, mentre invece se tenessimo sempre presente Lui, orienteremmo questa passione di assoluto all’Assoluto stesso, per cui si formerebbe in noi il desiderio, il sogno di una vita con Dio e per Dio, sogno che vedremmo realizzato in Cristo.

In questo caso il Cristo diventerebbe molto importante e attuale per noi perché vedremmo in Lui la realizzazione del nostro sogno e quindi un aiuto concreto per realizzarlo anche in noi.

Infatti il Cristo, se lo seguiamo, ci conduce a conoscere il Padre e quindi a vedere la gloria che Lui riceve dal Padre: la gloria che è la vita che “era” in principio presso il Padre e che corrisponde al nostro sogno, cioè al nostro desiderio della vita secondo Dio; sogno che noi vediamo realizzato in Cristo.

Nella terza parte del v. 14 (“…noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come Unigenito Figlio del Padre…”) possiamo individuare tre temi:

  “La Gloria”.

  “Vedere la Gloria”.

  “L’unigenicità del Figlio di Dio”.

Stasera ci soffermiamo sul primo tema “La Gloria” per cercare di definire che cos’è la gloria che gli Apostoli hanno contemplato (“abbiamo contemplato la sua gloria”) e che anche noi siamo chiamati a contemplare.

A questo fine bisogna tener presenti le due frasi precedenti, perché “Abbiamo contemplato la sua gloria” è lo sviluppo e la conclusione di “Il Verbo si fece carne” e di “abitò fra noi”.

Poiché il Verbo “si è incarnato” e poiché “abitò tra noi”, qualcuno di noi l’ha visto e ha contemplato la sua gloria: “Noi abbiamo contemplato”.

Teniamo sempre presente che tutto ciò che è detto:

·non è solo per informarci,

·ma perché, in un certo qual modo, deve avvenire in noi,

-     e ci interessa personalmente, in quanto senza di noi, non può avvenire in noi.  

Adesso, se accogliamo questa proposta, quel “noi” selettivo (“noi abbiamo contemplato la sua gloria”) si collega all’altro “noi” universale(“abitò tra noi”), dei quali abbiamo parlato la volta scorsa. Infatti il Verbo incarnato abitò tra “noi” (il “noi” che si riferisce a tutta l’umanità che è nelle tenebre) per portarci tutti a contemplare la sua Gloria, a entrare cioè a far parte di quel “noi” che già l’ha contemplata (“noi abbiamo contemplato la sua gloria”). Questo è lo scopo dell’Incarnazione del Verbo e della sua abitazione tra noi.

I suoi discepoli che hanno visto la sua Gloria, l’annunciano a noi che ancora non l’abbiamo vista. Perché ce l’annunciano?

Eligio: Perché noi, seguendo il nostro io, siamo tenebre, ma in noi c’è anche la possibilità, se superiamo il nostro io, di giungere a contemplare la Gloria di Cristo, di vederla. 

 

Luigi: Sì certo, perché poi, quel “noi”, che rappresenta quella parte di noi che contemplando vede, si  è “oggettivato”, personificato in quegli apostoli che rappresentano la  nostra parte spirituale, cioè che significano la nostra anima; per cui loro ci dicono: “noi abbiamo visto”.

Eligio: Quindi gli apostoli rappresentano l’umanità di ognuno di noi; direi: tutti assieme rappresentano i diversi momenti e atteggiamenti nostri.

Luigi: Si capisce! Infatti abbiamo detto che negli apostoli c’è la sintesi di tutta l’umanità e quindi in essi ognuno di noi  si ritrova. E in quanto loro hanno visto (quindi una parte di noi ha visto) ce lo annunciano. E perché ce lo annunciano? Qual è lo scopo di questo annuncio?

E qui ritorniamo con la prima lettera di S. Giovanni: “Quello che noi abbiamo visto con i nostri occhi, quello che noi abbiamo toccato con le nostre mani, ve lo annunciamo. Vi annunciamo la vita che era presso il Padre che noi abbiamo visto, affinché (ecco lo scopo…) anche voi possiate avere comunione con noi nel Padre e nel Figlio” (1Gv 1.3). Vedi la dinamica?!?

Qualcuno, una parte dell’umanità, una parte di noi,  l’ha visto (tempo passato), in quanto  l’ha visto, l’annuncia e lo annuncia affinché anche noi entriamo, anche noi partecipiamo come loro.

Ma qui scopriamo qualcosa di ancora più profondo ed è questo: siccome questo “noi” (il “noi” di chi ha visto e annuncia)  rappresenta la  parte spirituale di noi, la nostra anima, mentre invece il “voi” (cioè coloro che ricevono l’annuncio) rappresenta tutto il corpo, cioè tutto il nostro mondo, allora succede che quando la nostra anima staccata dal mondo, seguendo il Cristo, giunge, condotta da Lui, a contemplare la sua Gloria, la Vita Vera, la Vita Eterna che è già adesso, lo annuncia a tutto il nostro “corpo”, a tutto il nostro mondo che dipende da noi, per assimilare tutto in questa Realtà, in questa  Luce.

Eligio: Il corpo sarebbe quella parte di noi che è ancora nelle tenebre?

Luigi: Certo, per cui la nostra anima, vedendo la Verità, tende ad annunciare questa Verità a tutta la nostra terra, a tutto il nostro mondo che dipende da noi; tende cioè a trasformare a poco a poco in questa Luce tutte le nostre tenebre, tutto ciò che dipende dalla nostra anima, quindi tutto il nostro mondo, tutto il nostro vivere, tutto il nostro modo di pensare, tutto il nostro mondo di relazione. Ecco, tende a trasformare tutto in questa Luce, in questa Vita.

Ma farei ancora un passo più avanti: questo annuncio degli Apostoli: “noi abbiamo contemplato la sua gloria, annuncio che il Signore oggi ci ha fatto arrivare, avendolo noi posto in relazione con la prima parte del versetto (“Il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi) l’abbiamo visto come  sviluppo,  conclusione di questa incarnazione del  Verbo, di questa sua abitazione tra noi (per cui la conclusione di tutto è  giungere alla Gloria). E questo cosa vuol dire? Vuol dire che questo annuncio (“noi abbiamo contemplato la sua gloria”)  è un invito, è una proposta fatta ad ognuno di noi (e qui ora entriamo nel campo personale) a non fermarci al Verbo di Dio che si è fatto carne e neppure alla sua “abitazione”; ma a proseguire con Lui fino a vedere anche noi la sua Gloria. 

È un cammino lungo ed è un cammino personale, già fin dall’inizio:

·-     Infatti abbiamo visto che non si arriva al Verbo di Dio fatto carne se non attraverso un lavoro personale, perché  è necessario che ci sia già dentro di noi il sogno della vita secondo Dio.

·Questo sogno  ad un certo momento, trovando il Cristo, ci fa vedere in Lui il Verbo che si è fatto carne.

·Ma questo non basta. Quando L’abbiamo visto, non dobbiamo fermarci al Verbo fatto carne. Scopriamo che “abita tra noi”, per cui è a disposizione.

·Ma non dobbiamo fermarci nemmeno alla sua abitazione tra noi. Bisogna  proseguire. Ecco l’invito che ci viene rivolto in questo versetto: siccome alcuni sono arrivati a vedere la sua Gloria, questo fatto è una sollecitazione, un invito, una proposta a tutti noi di non fermarci al Verbo di Dio fatto carne, anche se L’abbiamo già scoperto, a non fermarci al sapere che Lui abita tra noi e che quindi possiamo trovarlo quando vogliamo, ma a proseguire con Lui senza staccarci fino a quando vedremo la sua Gloria.

I Salmi già ci annunciavano tale meta, esprimendo il desiderio di vedere il Volto di Dio: “Io non sarò soddisfatto fin quando non vedrò il Volto tuo, Signore”, ma lì eravamo nel campo del sogno, del sospiro; qui invece siamo nel campo della realizzazione, perché con Cristo noi cominciamo a sostituire i fatti della nostra vita secondo il mondo con i fatti della vita secondo Cristo. Perché siccome Cristo è realtà vissuta, è realtà sensibile, quanto più noi viviamo con Lui, ascoltiamo Lui, tanto più ci conformiamo a Lui (e quindi ci stacchiamo dal mondo) assimilando la sua vita e le sue parole.

Infatti Cristo non è soltanto un punto sensibile su cui dobbiamo far leva, ma è una Persona con la quale noi possiamo restare molto, anzi tutta la vita, fino alla trasformazione di tutto di noi, perché Lui è tutta una vita, è una Persona che ha parlato, che ha vissuto con dei tratti molto caratteristici.

Infatti ognuno di questi suoi tratti per noi può diventare oggetto di meditazione, stazione di fermata,  di trasformazione, per trasformare la nostra mentalità. Per cui possiamo avere tante soste con Lui: nelle sue parole, nei suoi fatti, nelle sue parabole, nella sua passione, nel modo in cui Lui si è comportato e quindi diventa facile stabilire dei rapporti tra il suo ambiente e il nostro, tra il suo  modo di comportarsi e il nostro modo di comportarci.

E allora, vivendo con Lui, tenendo presente i suoi pensieri, confrontando le parole che si dicono nel mondo con le sue Parole, poco per volta avviene tutta questa assimilazione di vita; per cui si passa dalla vita secondo il mondo alla vita secondo Cristo. E questo vivere con Lui a poco a poco ci porta a vedere questa sua Gloria.

Eligio: Penso che c’è il rischio di considerare la contemplazione della Gloria del Cristo come una visione esterna a noi. Cosa bisogna fare per realizzare invece una contemplazione interiore della Gloria del Figlio? Come è possibile restare nell’interiorità in modo da arrivare a contemplarla?

Luigi: Stai precedendo i tempi, perché questo è il tema del “vedere la Gloria” che avevo riservato per la prossima volta; ad ogni modo potremo anche già parlarne stasera. Però, prima di parlare del vedere la Gloria e delle condizioni per poter arrivare a vedere la Gloria, è necessario precisare cos’è che essi videro, cioè bisogna definire cos’è la gloria. Quando loro dissero: “Noi abbiamo contemplato la sua Gloria”, che cos’è questa sua Gloria? Cos’è che essi  videro?

Certamente dicendo questo non intendevano dire di aver visto il Verbo incarnato, perché qui già vien detto: “Il Verbo si è fatto carne”,  e nemmeno la sua abitazione tra noi, perché già viene affermato: “Abitò tra noi”. Quindi non è quella la sua Gloria.

E poi è il Cristo stesso che ci incanala ad intendere quello che essi intendevano dire dicendo: “Noi abbiamo contemplato la sua Gloria”, perché Lui stesso dice al Padre e lo dice dopo tre anni che era con i suoi discepoli, alla fine della sua vita: “Padre, glorifica Me presso di Te…” (Gv 17,5), cioè si raccomanda al Padre perché lo riporti nella “gloria che Egli ebbe prima che il mondo fosse” (Gv 17,5).

Ora, questa Gloria che Lui invoca dal Padre, non la invoca per Sé, perché Egli sempre l’ebbe, ma la invoca per noi. Infatti la Gloria in Lui non è mai venuta meno anche su questa terra (infatti dice: “Io e il Padre siamo una cosa sola”{Gv 10,30}). Quindi se la chiede, la chiede per noi, in modo particolare la chiede per coloro che Lui affida al Padre, cioè per coloro che erano i  suoi discepoli, i suoi apostoli.

Allora cosa chiede al Padre? Chiede quella “gloria che Egli ebbe prima che il mondo fosse”; il che vuol dire che gli apostoli nonostante i tre anni passati con Lui non avevano ancora visto la sua Gloria, né potevano vederla. Infatti  Gesù la chiede al Padre per loro. E loro  arriveranno a vedere questa Gloria e solo quando arriveranno, per opera Sua, a vederla, diranno: “Abbiamo visto la sua gloria!”.

Quindi coloro che dicono questo, non intendono una glorificazione terrena, esterna (perché noi potremmo anche pensare che si riferiscano alla sua Resurrezione, alla sua Ascensione al Cielo). No! La Gloria che essi  videro non è una glorificazione esteriore, non è un rapporto terreno, perché Gesù ha chiesto per loro “quella gloria che Egli ebbe prima che il mondo fosse”.

Eligio: È importante questa precisazione, perché pensavo con quale  facilità possiamo cadere nel ritenere questa Gloria, questa glorificazione di Gesù, come un fatto esterno.

Angelo B.: Cioè come un fatto storico.

Eligio: Sì, e che può suscitare in noi una certa ammirazione, senza sentirlo come un fatto nostro, mentre invece la glorificazione di cui parla S. Giovanni deve essere una trasformazione interiore nostra, deve essere un fatto personale e interiore.

Luigi: Senz’altro, perché se la sua Gloria fosse stata esteriore, una glorificazione esteriore, non sarebbe stata “prima che il mondo fosse”, perché sarebbe stata nel mondo. Ora invece  Lui prega, invoca una Gloria escludendo il mondo: “prima che il mondo fosse”; chiede la ricostruzione di una Gloria che era in principio, prima che il mondo fosse (prima che il mondo fosse nell’uomo).

Pinuccia B.: Quindi questa ricostruzione deve avvenire in noi.

Luigi: Certo,  la sua Gloria è esclusivamente interiore a noi, oltre tutto anche perché le glorie esteriori sono solo glorie apparenti, non sono glorie vere. Invece la sua è vera gloria; infatti  Gesù dice: “Il Regno di Dio non viene tra le cose apparenti”(cf Lc 17,21), come dire: “Non aspettatelo tra le cose apparenti, non vedrete la glorificazione del Figlio di Dio e del Regno di Dio  tra le cose apparenti”. La vera gloria non è quindi tra le cose apparenti, anzi…

Eligio: Secondo S. Paolo la Resurrezione è una glorificazione anche esteriore…

Luigi: Sì, ma guarda che la Resurrezione non fu più per tutti coloro che erano nel mondo, ma fu solo più per alcuni, ed era in una dimensione personale, perché ognuno  vide Gesù risorto a seconda di quello che portava già nel suo cuore.

Gesù non è risorto facendosi vedere di nuovo sulle strade di Gerusalemme, sulle piazze, nel tempio, dicendo a tutti: “Eccomi qui, sono risorto! Toccatemi!”. Non venne a dire questo ai Farisei, no! Non si è più fatto vedere da loro; e questo perché con la risurrezione siamo già su un altro piano che diventa sempre più personale: passiamo dal piano della massa, della collettività, dell’anonimità, al piano della persona, all’amore, fino alla gioia personale.

Infatti la conoscenza di Dio è un nome segreto, è una cosa personale, perché c’è questa componente personale di ognuno di noi, che è la quantità, l’intensità di amore. Per cui ognuno vede e conosce Lui per quel tanto di amore che ha portato verso di Lui. Ora, la quantità di amore è una cosa personale. Quindi con la vita del Cristo si passa poco per volta da questi piani di massa, di gruppo,  sempre più verso delle sfere personali, verso scelte sempre più personali, più intime.

Eligio: Come possiamo definire questa Gloria per noi?

Luigi: Forse ci può aiutare questo pensiero: la gloria del mondo è sempre relativa a ciò che uno ha; tanto è vero che noi quando cerchiamo la gloria nel mondo tendiamo ad avere, a possedere tanto. Invece la gloria di Dio e in Dio è sul piano dell’essere, non dell’avere.

Proprio perché è relativa all’avere, la gloria esteriore, quella del mondo, non è vera gloria, ma è solo apparente; anzi il cercarla  ci impedisce di credere, perché ci fa desiderare di avere tanto. Infatti il Signore dice: “Come potete credere voi che elemosinate la gloria gli uni dagli altri?” (Gv 5,44), perché si è sul campo completamente contrario a Dio.

La gloria nel mondo si realizza quindi attraverso l’avere, cioè attraverso un’unione di qualche cosa del mondo a noi, attraverso l’avere: in quanto ho un bell’abito, ho un bel posto, ho una bella casa, ho tanta ricchezza…

Quindi la gloria esterna non è una modificazione di essere, perché l’avere non ci fa essere in modo diverso; la gloria del mondo corrisponde ad un avere.

Molte volte noi crediamo che una persona, perché ha tanto, abbia anche corrispondentemente  un animo tanto grande quanto ciò che ha; ma quando magari poi la conosciamo vediamo proprio l’opposto. Ecco, c’è un conflitto tra quello che uno ha, da cui trae gloria e quello che uno è.

Certe volte uno spazzino, un mendicante o un povero, ha un animo molto più grande di un miliardario. La volta scorsa abbiamo sentito quel montanaro, che svolgeva la funzione del campanaro, dire: “La mia eredità è Dio”. Egli è l’uomo più libero di questo mondo in quanto afferma che non sa cosa farsene della paga e che la fede è la sua eredità.

Ecco,  questa è una povera creatura con un animo grandissimo, mentre invece uno può anche avere tutto il mondo a disposizione, quindi avere tanta gloria dal mondo (poiché il mondo glorifica quello che uno ha e non quello che uno è), ed essere invece una gretta e misera creatura. Quindi un povero può avere un animo nobilissimo e un ricco invece un animo gretto, egoista, chiuso, incapace di amare, anche se riceve tanta gloria dal mondo.

Il mondo quindi glorifica quello che uno ha, non quello che uno è. Qui siamo nel campo delle apparenze. In questo campo delle apparenze il Regno di Dio non si manifesta e non possiamo trovarlo qui, perché il Regno di Dio non è apparente, il Regno di Dio è Realtà. Quindi noi non possiamo nemmeno sognarcelo di vedere la Gloria di Dio nelle cose apparenti; e il Signore stesso ci dissuade dal ritenere la sua Gloria come un fatto esteriore o dal cercarla in qualche cosa di apparente. Se crediamo di trovarla nell’esterno,  saremo smentiti, non la troveremo; anzi troveremo invece l’ora delle tenebre, il trionfo del mondo e la Croce del Cristo. Per cui se noi riteniamo di scoprire un giorno la Gloria di Dio in una sovrabbondanza di beni (come pensava la maggioranza del popolo ebreo), come potenza nel mondo, attraverso  conquiste, ecc., saremo smentiti.

Il Regno di Dio non viene tra le cose apparenti, perché il Regno di Dio è Realtà, e la Realtà non è apparente, è Verità.

La Realtà non è apparente nel senso che non è in relazione al nostro io. Tutte le cose apparenti, le cose del mondo sono invece relazionate al nostro io, ma il nostro io non è l’Assoluto. Noi sulla via semplice, sulla via dell’intuizione, non vediamo la Verità, non possiamo vedere la Verità, la Realtà (cioè la gloria del Verbo), perché noi  vediamo soltanto quello che si riferisce al nostro io, quello che tocchiamo, quello che esperimentiamo, ma quello che tocchiamo, quello che sperimentiamo non è la Verità, non può essere la Verità, perché la Verità è relazionata a Dio come centro e non al nostro io.

Ora, tutto quello che c’è nel mondo è rapportato al nostro io; quindi tutto quello che fa parte del mondo è del mondo proprio perché sotto un certo aspetto lo possiamo vedere, toccare, lo possiamo ascoltare. Ciò che fa parte del mondo ha sempre il nostro io come punto di riferimento; e anche se adoperiamo dei mezzi di osservazione, comunque sia è sempre l’io che guarda, l’io che osserva, l’io che esperimenta, l’io che prova. Allora in quanto il mondo è relazionato al nostro io, in quanto ha come centro il nostro io, questo non può essere la Verità. È segno della Verità, ma non può essere la Verità; è un invito cioè a cercare la Verità altrove, perché noi non siamo la Verità.

Quindi non possiamo aspettarci il Regno di Dio, che è Verità, che è Realtà, nel campo materiale, esteriore; per cui “Il Regno di Dio non lo vedrete con i vostri occhi, non lo toccherete con le vostre mani, perché è Realtà, è Verità”. E la Realtà, la Verità, è relazionata a Dio e non al nostro io.

Ecco perché per vedere la Realtà, la Verità, si richiede sempre da parte nostra il superamento del nostro io e quindi il superamento di ciò che vediamo e tocchiamo!   Senza questa fatica, senza questo superamento del nostro io, quindi delle cose apparenti, noi non possiamo assolutamente vedere la Realtà.

Ecco perché non dobbiamo lasciarci guidare dalle cose apparenti: perché  saremmo smentiti! La Verità è un'altra, Dio è un Altro.

Quindi la Gloria di Dio va cercata su tutto un altro campo, va cercata in un altro mondo: nel mondo delle realtà spirituali:

      - ecco perché ad un certo momento diventa intima;

      - ecco perché “Il Regno di Dio è dentro di voi”(Lc 17,21), intimo;

      - ecco perché “Non dovete aspettarvelo fuori”.

Però, proprio il fatto che il Regno di Dio sia “dentro”, che sia intimo, non vuol dire che sia un sogno; anzi! Qui  non siamo più nel campo dei sogni, ma qui siamo nel campo della Realtà; di quella Realtà spirituale che ci trasforma tutto il mondo esterno, perché ci fa vedere tutto il mondo esterno segno di questa Realtà, e ce lo fa intendere.

Infatti prima, vivendo nel mondo esterno, nel mondo apparente, rapportato al nostro io, lasciandoci guidare dalle nostre esperienze, da ciò che constatavamo, vivevamo senza capire niente: il nostro mondo non era illuminato e non poteva essere illuminato, perché eravamo continuamente smentiti, ecc. Invece con questa Verità intima, abbiamo la possibilità di capire i segni del mondo esterno

Eligio: Quindi la Gloria che siamo chiamati a contemplare è sinonimo della conoscenza della Persona di Cristo?

Luigi: Certo. È vedere quello che Lui è.

Eligio: La gloria l’avrei vista come un attributo.

Luigi: Ecco, qui non siamo più nel campo degli attributi o nel campo dell’avere. Infatti nel mondo esterno, siccome è relazionato al nostro io, tutte le cose noi le abbiamo, e a seconda di ciò che abbiamo possiamo ottenere una certa gloria; quindi  è l’avere che determina la gloria. Per cui  se tu sei un povero diavolo non hai e non puoi avere la gloria nel mondo. Il mondo osserva quello che uno ha. Dio invece osserva quello che uno è; per cui capovolge completamente le cose.

Infatti il Signore dice: “Quello che è grande agli occhi degli uomini è niente agli occhi di Dio, e quello che è niente agli occhi degli uomini è grande agli occhi di Dio” (Lc 16,15). E S. Paolo dice: “Ormai io reputo tutte le cose come perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo” (Fil 3,8).

Ecco, tutto è niente, pur di essere con Cristo.

Quindi  nel campo della Verità noi abbiamo l’essere, cioè noi constatiamo l’essere, poiché abbiamo una modificazione del nostro essere; mentre invece nel campo del mondo constatiamo l’avere, che non modifica l’essere. L’avere non modifica l’essere, ma anzi, ci monta la testa (infatti più uno ha e più si gonfia, ma non cambia). Quello che cambia l’uomo è l’Essere. Ciò che cambia l’uomo non è quello che dipende dall’uomo, ma è quello che è al disopra dell’uomo.

Ecco qui la necessità del superamento per cercare Colui che è al di sopra di noi, perché è l’Essere che ci modifica. Per cui  fintanto che io mi tengo a contatto con delle cose che dipendono da me, con delle cose che posso conquistare, per cui posso lottare, che posso avere, che posso aggiungere e accumulare, tutte queste cose non mi  modificano l’essere, ma solo l’avere.

Chi ci modifica l’essere è solo Colui che ci sovrasta, e per vedere Colui che ci sovrasta noi dobbiamo superare noi stessi. Ed è proprio questo superamento di noi stessi per trovare Colui che è al di sopra di noi (e che naturalmente non vediamo, perché noi vediamo solo quello che è al disotto di noi) che modifica il nostro essere e ci cambia progressivamente fino a farci capaci dell’Infinito.

Infatti attraverso queste modificazioni, superando noi stessi per l’Altro, passiamo di colle in colle, di ascensione in ascensione, perché più noi cerchiamo Colui che ci sovrasta, più il nostro essere si modifica, più si allarga il nostro cuore, la nostra mente, fino a diventar capaci di quell’infinito che sospiravamo; e allora vedremo la Gloria.

Ecco, qui non siamo più nel campo dell’avere, per cui diciamo che la Gloria del Cristo è ciò che il Cristo è e non ciò che ha. Cioè la Gloria del Verbo è rivelazione, manifestazione di ciò che il Verbo è: quello che era in principio: la Vita. Lui è la Vita.

Eligio: È molto incisiva questa definizione: “La sua gloria è manifestazione di quello che Egli è”.

Luigi: Manifestazione di quello che Egli è: questo è la gloria.

E notiamo che questa Gloria è personale, perché per vederla richiede il superamento di tutto ciò che è apparente e del pensiero del proprio io. Non si manifesta esteriormente.

La manifestazione della Gloria del Verbo è personale perché richiede dall’uomo, affinché  l’uomo possa attingere questa Gloria, il superamento del suo io e il superamento del proprio io è sempre personale; nessuno ci può obbligare, nemmeno Dio, sia ben chiaro! Nemmeno Dio ci può obbligare! Dio ci può mandare all’inferno se non superiamo noi stessi, ma non ci può obbligare a superare il pensiero del nostro io, perché è Lui stesso che  ha dato a noi la coscienza del nostro io, quindi nemmeno Lui ci può obbligare a superare l’io, tanto meno le creature, gli uomini, il mondo: nessuno! Per quanto noi facciamo gruppo, facciamo massa, classe, collettività, nessuno può fare per noi questo superamento del nostro io. Allora  la conoscenza di questa Gloria, che è rivelazione di ciò che il Verbo è, è personale, è nettamente personale.

Essa allora ci viene annunciata; coloro che l’hanno vista (vedi che è personale?) l’annunciano: “Noi abbiamo visto la sua Gloria” (non hanno detto di aver visto il Verbo incarnato e la sua abitazione tra noi, perché continuando a restare con Cristo, Lui li ha condotti a vedere la sua Gloria).

Allora chi l’ha visto, l’annuncia; chi riceve l’annuncio è sollecitato, è ammonito: “Guarda che si può vedere, perché se qualcuno l’ha vista è possibile vederla”. Però nessuno può vedere per noi, nessuno può fare per noi il superamento dell’io.

Eligio: Nessuno può vedere al nostro posto, però possiamo ricevere l’annuncio, in quanto gli altri hanno colto questa manifestazione del Verbo. È una definizione questa che va scritta e non dimenticata: “La Gloria è la manifestazione di quello che uno è”.

Pinuccia B.: Quindi: “La Gloria del Verbo è la manifestazione di ciò che il Verbo è”.

Eligio: Prima pensavo alla “gloria” come a qualcosa di esterno, una sovrapposizione, una sovrastruttura o un attributo… Invece è in relazione all’essere di uno….

Angelo B.: Ognuno di noi allora, se la conoscenza della Gloria è personale, lo vedrà in modo diverso?

Luigi: Ognuno di noi avrà una visione personale della gloria del Verbo di Dio, per cui ognuno di noi avrà un nome.

Angelo B.: Quale nome?

Luigi: Nella vita eterna ognuno di noi ha un nome personale presso Dio, e questo nome è dato dal grado di conoscenza di Dio, della Gloria di Dio, poiché  ognuno di noi, a seconda della quantità d’amore, di superamento, coglie questa Gloria in modo personale, per cui anche in questa visione della Gloria c’è una personalità. Ecco, Dio non è che annulli la personalità, anzi…

Eligio: Restiamo un’unità unica, originale, ognuno diverso dall’altro.

Luigi: Sì, però c’è la personalità, perché c’è il superamento di sé; ed è bellissimo, perché il superamento è il perfezionamento della stessa nostra personalità.

Un giorno ho incontrato uno che mi ha fatto questa obiezione: “Lei nel suo libro (“Pensieri su Dio”), scrivendo che dobbiamo superarci non pensando più a noi stessi, ma a Dio, ci spersonalizza; perché se noi non pensiamo più a noi stessi, ma solo più a Dio, ci annulliamo”. Ho risposto: “Lei pensando a se stesso, vivendo nel mondo, perfeziona forse la sua personalità? Tutte le umiliazioni e le vergogne che deve subire,  tutti i contrasti e i conflitti di coscienza che deve fare per servirlo, questo lo chiama un perfezionamento della sua personalità?”. È proprio invece cercando Dio, non scendendo a compromessi, superando se stessi e quindi realizzando questo sogno che portiamo dentro, che troviamo veramente la realizzazione della nostra personalità!

Invece il mondo ferisce, umilia, ci riduce a vivere come vegetali… per cui schiaccia la nostra personalità, esaltandoci per ciò che abbiamo e fa ingoiare tanti di quei rospi! E cosa sono quei rospi? Sono i conflitti di coscienza; perché uno sa che dovrebbe non approvare certe cose, che dovrebbe comportarsi in modo diverso, ma: “Se non faccio così, perdo i clienti e non mangio la pagnotta”. E questo lo chiamiamo esaltare la nostra personalità?! Questo è uno schiacciamento della nostra personalità!

Invece più noi cerchiamo Dio,  più glorifichiamo Dio, più noi troviamo la glorificazione della nostra personalità.

Comunque se questa sera è rimasto chiaro questo concetto della Gloria e se abbiamo capito che non bisogna fermarsi fintanto che non si giunge a vedere questa Gloria, credo che basti.

Angelo B.: Per me l’argomento di stasera è stato chiaro.

Eligio: A me ha richiamato l’estasi di Ostia di Sant’Agostino e sua madre. Dopo tale estasi “non rimase che un pensiero d’amore”.

Luigi: Certo, perché questa estasi fu solo un preannuncio, quindi un “segno” di ciò che è la visione eterna della gloria. Infatti né lui, né sua madre poterono restare in quella visione. Sant’Agostino la descrive molto bene, però dice: “Attingemmo un istante la Verità… e poi ridiscendemmo…”. Ma in quel momento in cui vede la Gloria di Dio non relaziona più le cose a sé, ma a Dio, e vede il Regno di Dio in tutto: vede tutto come segno. Prima però è stato necessario il superamento, l’ascesa. Poi la contemplazione di questa Gloria l’ha disincantato dalle cose del mondo.

Eligio: Infatti dice: “E capii finalmente come tutte le cose sono segni della sua Gloria”. Cioè, ridiscendendo dopo un processo verticale, vede ormai tutto in quella luce.

Luigi: Ecco, da quel momento in cui uno ha visto la Gloria, anche per un solo istante, le cose non le relaziona più al proprio io, ma tutto relaziona a Dio, che ha visto in questa Gloria; e relazionandole a Dio le vede come segni. Allora tutte le cose lo confermano, e qui vede il Regno di Dio.

Ed è bellissimo, perché a questo punto si vede il Regno di Dio in tutto, anche nel mondo esterno; perché il mondo esterno non è contrario a Dio, tutt’altro, ma per vederlo come “segno” di Dio è necessario prima questo superamento personale, questa ascesa verticale.

Eligio: Sant’Agostino dice appunto che giunsero a quest’estasi attraverso un’ascesa verticale, trascendendo dapprima il mondo dei sensi, poi il pensiero, la facoltà intellettiva, tutto, per immergersi poi unicamente nel Pensiero di Dio.

Pinuccia A.: Chi ha fede in Dio, anche se non ha fatto l’esperienza di estasi che ha fatto Sant’Agostino, deve preoccuparsi di rapportare le cose a Dio cercando di vederle da Dio.

Luigi: Certamente.

Pinuccia A.: Invece chi non crede in Dio necessariamente rapporta le cose al proprio io?

Luigi: Necessariamente.

Eligio: C’è però la posizione di chi è scettico, di chi dubita di tutto, di chi non afferma mai nulla e che quindi si astiene dal proiettare giudizi, ecc.: sembrerebbe che non necessariamente costui relazioni le cose al proprio io.

Luigi: E invece sì, anche lo scettico relaziona le cose al proprio io, perché soggettivamente  considera uguali due valori; infatti il dubbio è la conseguenza della presenza di due valori uguali; per cui uno non si decide né per l’uno, né per l’altro.

Il considerare uguali i due valori è frutto dell’io. Poi si rimane succubi dei valori che si sono alterati e quindi non si ha più l’occhio semplice per vedere la Verità e non si può più credere.

Invece chi crede in Dio e cerca Dio col desiderio di giungere a vedere la sua  Gloria, non relaziona più le cose a sé, ma a Dio e vede tutto come segno di Dio, per cui raccoglie tutto in Lui. Allora Dio gli fa il dono della sua Luce.

Però bisogna trovare il modo di non dimenticare, ma di restare in ciò che si è capito e contemplato.

Pinuccia B.: Il problema è imparare a restare in questa “contemplazione”.

Angelo B.: Quando uno ha visto, resta.

Eligio: Non è detto. Infatti  S. Paolo dice: “Vediamo le cose giuste, eppure facciamo le cose ingiuste” (cf Rm 7,19). Una cosa è vedere e una cosa è restare in ciò che si è visto.

Luigi: Però c’è anche questo da tener presente, perché una cosa è vedere le cose giuste e ben altra cosa è vedere la Gloria di Dio. Infatti le cose giuste uno le vede già quando aspira ad esse e le sospira, ma con questo non ha ancora contemplato la Gloria di Dio. Contemplare la gloria di Dio è una cosa molto diversa, perché quando la contempli ne resti avvinto; mentre invece quando ancora non l’hai vista, ne  porti il sogno dentro e dici: “Sarebbe bello…”, ma tutto ti distoglie da esso; la coscienza stessa ti fa notare e vedere   le cose giuste, però il mondo ti porta via. Qui  siamo soltanto nella prima fase.

Eligio: Però penso che fintanto che siamo in questa vita terrena avremo sempre qualcosa che tende a portarci via, fintanto che  non siamo definitivamente nella Vita eterna.

Luigi: Certo, però guarda che quando uno ha visto, ha colto qualche cosa di questa Gloria, è talmente disincantato dalle cose del mondo che le reputa “spazzatura” di fronte alla sublimità di ciò che ha visto!

Certo, si possono commettere ancora degli errori, però l’anima a questo punto è talmente disincantata da tutto ciò che è terreno, di tutto ciò che passa, che è ormai tutta tesa a ciò che ha visto.     

La Gloria di Dio

"O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo Nome su tutta la terra!" (Sal 8,l).

 Tutto ciò che accade sulla nostra terra, nella nostra vita, tutto, avvenimenti grandi e piccoli, buoni e cattivi, gioiosi e tristi, tutto è voluto da Dio per noi, perché Lui solo è il Creatore e il Signore: Lui solo regna.

  "Io sono il Signore e non ve n'è un altro; Io formo la luce e creo le tenebre. Io faccio la pace e creo la rovina, Io sono il Signore che fa tutte queste cose" (Is 45,7).

 È Lui che alza e abbassa, è Lui che fa nascere, fa vivere e fa morire, è Lui che manda i beni e i mali.

"Beni e mali, vita e morte, povertà e ricchezze vengono da Dio" (Eccl 11, 14).

"Vi è forse una disgrazia nella città che non sia voluta da Dio?" (Amos 3,6).

È Lui il Creatore, è Lui il Signore, è Lui che conduce e riconduce ogni cosa, ogni tempo, ogni pensiero di fronte alla sua Verità.

"Se accettiamo da Dio i beni, perché non accettare anche i mali?" (Giobbe 2,10).

Nulla esiste e nulla accade senza un significato: "Di Dio è il Regno, la potenza e la gloria" (1 Cor 19,12).

Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, al Dio che era, che è e che viene. È Lui che regna nel Principio, è Lui che regna al presente, è Lui che regna nel fine.  Ogni uomo è portatore di questa gloria.

È Dio che ha creato e crea oggi ancora ogni cosa, perché uno solo è Dio Creatore e non c'è alcun altro. È Lui che governa le nazioni, perché è Lui il Signore, Dio dell'universo.

Dio che opera e parla in tutto attorno a noi, è presente in noi, nella nostra anima, nella nostra coscienza, nei nostri stessi pensieri, più presente in noi della nostra stessa coscienza e del pensiero del nostro io, più presente dei nostri sentimenti e desideri, più presente in ciò che abbiamo di più presente e di cui siamo più certi.

Presente in modo che nessun uomo Lo può ignorare, né dimenticare, né cancellare.

È la sua gloria nell’uomo.

"Se guardo il tuo cielo, opera delle tue mani, la luna e le stelle, o Signore, nostro Dio, che cosa è l'uomo che non ti può ignorare?"(cf Sal 8,4-5).

Pieni di nubi e di dubbi, carichi di parole e di confusione, gli uomini non possono ignorare Dio.

Vanno a tentoni di luogo in luogo, fanno i superbi, salgono sulle cattedre e dicono parole vane, eppure non possono ignorare Dio.

Dio ha creato tutto l’universo in movimento, ma ha inchiodato l'uomo a un punto fisso: la Verità.

La tua Verità è sempre lì. La tua Presenza è scritta in noi in modo indelebile, e più ci affatichiamo a cancellarla e più consumiamo, logoriamo, distruggiamo noi stessi, ma Essa rimane lì, immutabile, eterna.

Nasciamo, ci affatichiamo, moriamo, ma Essa è sempre lì.

Ci lascia dire tutto quello che vogliamo e rimane lì, in silenzio, presente.

Gli uomini dicono: Dio non c'è, Dio non dovrebbe permettere, Dio dovrebbe farsi vedere, dare un segno di Sé, dovrebbe fare questo o quell'altro.

Dio lascia dire, tace e rimane lì.

Ma gli uomini, dopo aver parlato, spariscono. Si sparisce sempre quando si dicono sciocchezze, perché nel Regno della Verità non può restare, né abitare se non chi parla la Verità.

Gli uomini dopo aver parlato vanamente la loro vanità spariscono e con loro spariscono nel nulla tutte le cose che hanno dette e nessuno più ne trova traccia. Non resta traccia di ciò che fa rumore, perché il mondo è fatto così: assorbe e annulla tutto nel suo infinito silenzio in cui si adora Colui che regna: Dio.

Il mondo è come le onde del mare che ritmicamente cancellano tutte le parole che gli uomini scrivono sulla sabbia. 

Gli uomini scrivono e c'è sempre un'onda che cancella.

Gli uomini si vantano di essere e non sono; si vantano di essere liberi e non lo sono, autonomi e non lo sono; dicono che il mondo è autonomo da Dio, che l'universo è autonomo, che le creature sono autonome, che la materia è autonoma, ma dopo che l'hanno detto spariscono, perché hanno detto una sciocchezza, perché hanno diviso la creazione dal Creatore, l'opera dal suo Autore. 

Chi divide la creazione dal Creatore si chiama "diavolo"; ma questi non può sostenersi di fronte alla Verità e sparisce nel nulla.

Solo conoscendo come si fa la volontà di Dio nel Cielo di Dio, solo lì abbiamo la chiave di lettura di tutti gli avvenimenti che accadono sulla nostra terra. Per questo Gesù ci insegna a pregare il Padre dicendo: "Sia fatta la tua Volontà come in Cielo così in terra" (Mt 6,10). 

La luce su tutti gli avvenimenti lontani e vicini nella nostra vita ci viene dall'aver capito come si fa la volontà di Dio nel Cielo, e questo ci viene solo dal Padre, Principio di ogni luce e di ogni Sapienza.

Tutta la creazione, che è segno di Dio, ma non è Dio e quindi è tutto ciò che non è Dio (chi è come Dio?), la si può intendere solo nella luce della gloria di Dio Padre, Creatore di ogni cosa, poiché tutto è fatto e continua ad essere fatto nel Pensiero di Dio e, come ogni cosa che è fatta in un pensiero, è intelligibile solo alla Presenza di quel Pensiero.

È il Pensiero che illumina il segno e non viceversa.

Chi parte dal segno per intendere un pensiero lavora solo di fantasia e resta schiavo delle sue immaginazioni.

Tutto l'universo è avvolto, immerso nella gloria di Dio ed è solo in questa luce che si ha la possibilità di intendere ciò che è fatto.

(I – 16.01.1991)

"Tutti verranno proclamando la gloria del Signore" (Is 60,6). Fatti per l'Assoluto, l'Infinito, l'Eterno (e di questo nostro destino portiamo l'impronta in tutte le nostre fibre e in tutti i nostri pensieri e desideri), ci troviamo calati in una realtà che non è assoluta, non è infinita, non è eterna, e ne restiamo delusi, scossi,  sgomenti, rattristati.

La realtà in cui ogni uomo viene a trovarsi e con cui deve vivere saluta sempre da lontano il sogno che l'uomo porta nel suo cuore.

Abbiamo fame di assoluto e ci troviamo ogni giorno alle prese con ciò che non è assoluto.

Abbiamo fame di eternità e ci troviamo sempre a contatto con tutte cose e creature che non sono eterne, ma mutano e passano.

Abbiamo fame di luce e siamo avvolti nelle tenebre.

È la devastazione conseguente alla proclamazione dell'autonomia dell'uomo e delle cose da Dio.

Ma noi chiamiamo realtà tutto questo che non è assoluto, che non è luce e non è eterno, per cui restiamo delusi e ingannati nelle nostre aspirazioni più profonde come se chi ci ha creati avesse scherzato su di noi ponendo in noi aspirazioni e sogni che vengono brutalmente bruciati da una realtà diversa.

Invece tutto è opera di Dio che non vuole ingannare, ma insegnare il luogo in cui si trova l'Assoluto, l'Eterno, l'Infinito, il luogo in cui i sogni si realizzano e dove tutto è luce.

Dio opera in tutto per educarci a cercarlo e a cercarlo come e dove va cercato per trovarlo.  “Tu mi hai cercato perché io Ti cercassi!”, scrive S. Agostino nelle sue “Confessioni”.

Se la Verità ci è segnalata, la vita ci viene offerta. 

Dio ci offre la sua Vita segnalandoci la sua Verità.

Siamo noi che rifiutando la Verità rifiutiamo la vita e ne subiamo le conseguenze.

Dio che si annuncia in tutto, sì che nessuno Lo può ignorare, si fa conoscere solo da chi Lo cerca e Lo cerca dove Egli si trova.

La realtà finita, transitoria, mutevole, misteriosa in cui ci troviamo e che forma il nostro mondo, è l'offerta a noi della vita da parte di Dio, poiché è Dio che ci invita e ci educa a cercarlo e a trovarlo. 

Dio non ci ha creati per ingannarci, né ha posto in noi la fame di assoluto, di eterno, di infinito per farci sognare e deluderci.

I nostri sogni non finiscono all'alba delle realtà del nostro mondo e della nostra vita in esso, ma le realtà del nostro mondo sono per segnalarci il luogo in cui i sogni si realizzano e giungono al loro compimento.

Le realtà del nostro mondo segnano un’alba sulla Realtà di Dio.

“Dio, che è Colui per il quale e dal quale sono tutte le cose” (Eb 2,10), è Colui nel quale si realizza ogni sogno, perché è Lui stesso che promette ed è Lui che realizza ciò che promette.

Dio è unico e non ha nessun concorrente nel suo modo di condurre la storia e gli avvenimenti nella vita degli uomini. 

Tutti gli avvenimenti sono opera delle sue mani e conducono all'avvenire escatologico, alla "Parusìa", cioè alla sua Presenza universale e personale.

Nessuna forza può ostacolare il suo disegno, poiché è Lui il Creatore, il Signore; è Lui che governa le genti e le nazioni come governa le stelle e la vita di ogni uomo. 

È Lui che crea le cose e segna i tempi per ogni cosa.  È Lui che conduce coloro che Lo ascoltano a contemplare la grandezza della sua gloria per renderli partecipi di ciò che Egli è.

Se gli uomini sono dispersi nelle tenebre e non vedono e non capiscono il senso delle cose che accadono è perché non hanno ascoltato la voce di Dio nella loro vita, ma hanno preferito ascoltare altre voci: hanno creduto più agli uomini che a Dio; hanno avuto più interesse per gli uomini che per Dio.

Non hanno in se stessi la Parola di Dio dimorante.

La luce sul mondo in cui ci troviamo scende solo dal Cielo e quindi passa attraverso il Pensiero di Dio in cui tutte le cose sono fatte.

Solo conoscendo la volontà di Dio nel suo Cielo abbiamo la chiave di lettura per intendere il pensiero che è nelle cose e nei fatti della nostra terra, poiché anche la nostra terra appartiene al Cielo.

I fatti della nostra terra vanno contemplati nel Cielo di Dio se vogliamo intenderli,  poiché è solo il Cielo che illumina la nostra terra e la nostra vita.

Solo se l'uomo trova la possibilità di glorificare Dio trova la vita.

Altrimenti tutto ciò che ha lo perde, gli viene portato via, anche la vita, poiché la voce di Dio convoca tutti, volenti o nolenti, credenti o no, alla sua Presenza: è la voce che nella vita degli uomini si fa sentire.

Ma prima che la voce di Dio per farsi sentire dagli uomini diventi tuono, uragano, terremoto, devastazione, morte e porti via tutto violentemente, è necessario affrettarci ad ascoltarla, poiché chi non avrà ascoltato, non sarà ascoltato.

Dio ha disegni di pace e non di devastazione.  "Se mi aveste ascoltato! - dice il Signore -. Se mi aveste ascoltato, la vostra pace sarebbe abbondante come le acque del mare e la vostra gioia vi fascerebbe l'anima come l'aria di primavera i pascoli alpini".

Ora, poiché Dio dice: "Se mi aveste ascoltato, la vostra pace sarebbe come il mare... "(Is 48,18), ci fa capire che la pace è la figlia dell'ascolto di Dio e non viceversa.  È ascoltando Dio che si ottiene la pace e non cercando di farsi ascoltare da Dio.

Inutilmente allora gli uomini si affannano per invocare la pace e farsi ascoltare nella loro invocazione: non è Dio che deve ascoltare loro, ma sono loro che devono ascoltare Dio, poiché la pace è figlia dell'ascolto. 

La pace infatti è accordo tra due volontà: e non è Dio che si deve accordare con la nostra volontà, ma siamo noi che dobbiamo accordarci con Dio e la sua Volontà, se vogliamo la pace.

(II – 23.01.1991)

Tutti, volenti o nolenti, credenti e non, cercatori di Dio o avidi di cose del mondo, verranno proclamando la gloria di Dio, perché Dio è Colui che regna in cielo, in terra e in ogni luogo, dentro e fuori di noi. 

A Lui appartengono i tempi e gli eventi. 

A Lui la potenza e la gloria che era in principio, che oggi è nel mondo, che domani sarà nella consumazione di tutte le cose nella Verità e nella Presenza di Dio, poiché tutto sta andando verso Dio.

Gli uomini infantilmente credono di essere stati creati per lavorare, guadagnare e farsi ricchezze, per possedere cose o per raggiungere una loro gloria e farsi applaudire.

Così è tutto un agitarsi e un correre dietro ciò che non è Dio.

Sono infantilismi che si pagano cari, poiché tutto si paga, e nei quali molti passano tutta la loro vita prima di accorgersi dell’errore in cui hanno sprecato il tempo, i pensieri e tutto di sé per trovarsi alla fine con l'anima vuota e a pezzi, depressi e angosciati senza più alcun punto fisso di riferimento per sostenere e dare un senso alla loro vita.

È la conseguenza fatale alla quale si va incontro quando non si tiene conto della Parola di Dio che chiama tutti alla conoscenza di Dio come impegno di vita e che dice a tutti:  "Non preoccupatevi del mangiare e del vestire, ma cercate prima di tutto Dio, poiché la vita sta nel conoscere Dio" (Mt 6,31.33; Gv 17,3).

Tutto è voce di Dio che ci chiama e ci convoca alla sua Presenza per vivere secondo il nostro destino. Questa è la testimonianza maggiore di Dio. 

Convocandoci alla sua Presenza, Dio ci offre la sua vita. 

Poiché è per mezzo della sua voce che Dio ci offre la sua vita, è solo ascoltando e intendendo la voce di Dio che si vive e si giunge al compimento di quel destino per il quale si è creati e per il quale Dio ha creato tutto l'universo e lo mantiene in vita.

Tutto l'universo è avvolto, immerso nella gloria della Presenza di Dio ed è in tale gloria che noi Lo vediamo, anche se non ce ne rendiamo conto.

L'esperienza che gli uomini fanno del silenzio e dell'assenza di Dio nella loro vita e nel loro mondo e che tanto li sgomenta e angoscia, non è una prova della non esistenza di Dio o di dubbio su di essa, ma è un predicato della sua Presenza, quindi una testimonianza della sua esistenza, ché certamente non noteremmo l’assenza di Dio nel nostro mondo esterno se non avessimo Dio presente in noi nel nostro mondo interno, come non noteremmo l’assenza di una persona in un luogo se non l'avessimo presente nel nostro pensiero. 

È la presenza che ci fa notare l'assenza, quindi l'assenza è una categoria della presenza, una parola di Dio per noi. L’esperienza della Sua assenza è perciò testimonianza della Sua presenza. La gloria del Signore è la sua Presenza e noi siamo avvolti nella luce di essa.

Così non si potrebbe notare il tempo se non si avesse presente l'Eterno. Il tempo che è assenza di eterno è una categoria dell'Eterno. 

Così non si potrebbe notare il finito se non si avesse presente l'Infinito, poiché il finito è l'assenza dell'infinito e pertanto è una categoria, un predicato dell'Infinito.

Come non si potrebbe notare il relativo se non si avesse presente l’Assoluto, poiché il relativo è l’assenza dell’Assoluto e pertanto è una categoria, un predicato dell’Assoluto.

Tutta la creazione la si vede nella luce di Dio e per la luce della presenza di Dio, Assoluto, Eterno, Infinito, quindi nella gloria di Dio.

L'assenza è annuncio della Presenza, il tempo è annuncio dell'Eterno, la morte è annuncio della Vita, la molteplicità delle cose e delle creature è annuncio dell'Unità.

 Sono tutti segni della presenza di Dio: è  la gloria di Dio che si annuncia in tutto.

È per la gloria di Dio presente in noi che noi vediamo ed esperimentiamo e tocchiamo con mano l'assenza di Dio, la sua lontananza, il tempo e la relatività delle cose.  Tutto il mondo glorifica Dio.

È per la gloria della presenza di Dio in noi che noi vediamo il finito di tutte le cose finite.

Ogni cosa finita la vediamo grazie alla presenza in noi dell'Infinito, e ogni cosa che passa la vediamo grazie alla presenza in noi dell'Eterno, come l'assenza di Dio la vediamo grazie alla presenza di Dio in noi.

Non vedremmo l'assenza del Regno di Dio nel nostro mondo se non avessimo già presente in noi il Regno di Dio.

Ma se attraverso l'assenza del Regno di Dio si rivela in noi la presenza del Regno di Dio, l'assenza è un predicato a noi della presenza e pertanto tutto è già Regno di Dio.

Ma noi abbiamo difficoltà a renderci conto di questo perché per rendercene conto dovremmo pensare ogni cosa dal Cielo di Dio.

Soltanto se noi guardiamo le cose della nostra terra dal punto di vista del Cielo abbiamo la chiave di lettura di esse, altrimenti travisiamo ogni cosa. Soltanto così capiamo che l'assenza è vocazione alla Presenza, il tempo è vocazione all'Eterno, la morte è vocazione alla Vita e la molteplicità è vocazione all'Unità: è  la gloria di Dio che si annuncia in tutto. 

Per cui tutto ciò che vediamo, tocchiamo, esperimentiamo del nostro mondo esterno, è richiamo, voce di Dio per noi, quindi convocazione a ciò che è presente in noi, ed è grazie a Dio che è in noi che vediamo ciò che è fuori di noi e ne intendiamo il senso e il significato.

La Verità abita nell'interno dell'uomo e la conoscenza della Verità si trova solo nell'interno.

Beato chi abita nell'interiorità: “Beato chi abita nella tua casa, Signore!” (Sal 84,5). In tutto Ti conosce, Ti glorifica perché in tutto vede la tua Gloria, vede il tuo Volto!

Il rischio per l'uomo è di non applicare la sua mente a ciò che gli è annunciato e quindi di perderlo, perché si perde sempre ciò che non si fa oggetto di pensiero. Rimangono i vestiti, le ricchezze, le case, i paramenti, i riti, le tradizioni. Manca l'anima, la vita.

Per questo è detto: “Alzati, rivestiti di luce, rivestiti della gloria di Dio, rivestiti della conoscenza di Dio!  Le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge i popoli, ma su di te risplende il Signore con la sua gloria; la Verità abita in te" (Is 60,1-2).

(III – continua - 30.01.1991)

(Articoli pubblicati da “La Fedeltà” scritti da Luigi Bracco)