E il Verbo si è fatto carne e abitò fra
noi; Gv 1 Vs 14 Secondo
tema
Titolo: E abitò fra noi.
Argomenti: Quello che è avvenuto va realizzato in noi. Cosa vuol dire abitare? Dove abita Dio?
Se il Verbo di Dio ha occupato un punto, ha occupato tutto. Noi siamo contemporanei di Cristo. Essere con-.
E ABITÒ FRA NOI. IL
VERBO CHE È TRA NOI.
14/Novembre/1975
Luigi: Siamo giunti al v. 14
del cap. I del Vangelo di S. Giovanni: “Il Verbo si è fatto carne e
abitò tra noi…”. La volta scorsa ci siamo soffermati sulla prima parte: “Il
Verbo si è fatto carne”; adesso dobbiamo fermarci sulla seconda parte: “…abitò
tra noi”.
Il tema questa sera è quello della abitazione.
Il temine abitare, dimorare, presuppone un luogo.
Eligio: L’Evangelista dicendo “abitò tra noi”, lo dà come
un dato di fatto irreversibile, mentre per la creatura non è così, perché
questa abitazione di Dio tra noi la creatura la può rifiutare. Mi chiedo come
mai Giovanni usi un’affermazione così categorica: “abitò tra noi”,
mentre per molti il Verbo incarnato non abita tra noi.
Luigi: Abbiamo visto la volta scorsa che
tutto ciò che è avvenuto nella vita di Cristo è rivelazione di ciò che è e che
noi non vediamo; è annuncio di un fatto futuro per noi e che è la Realtà.
Quindi in questa affermazione: “abitò tra
noi” c’è un dato di fatto che non dipende da noi e che quindi si impone a
noi, e nello stesso tempo (come abbiamo visto la volta scorsa riguardo
all’Incarnazione) c’è un dato che è un
invito ad adeguarci per trasformare la nostra vita in una dimensione
nuova: la dimora con il Verbo come “era” in principio. Cioè abbiamo un evento che è avvenuto e che si impone,
ma che è anche invito e pedagogia per un evento che deve avvenire in
noi, ma che non avviene senza di noi.
Quindi quello che è avvenuto ci invita a
modificarci in modo da realizzarlo in noi, per cui la sua abitazione tra noi
(che ci è annunciata) è invito, pedagogia, a realizzare la nostra abitazione
con Lui.
In tal modo il Verbo che abita tra noi diventa
un punto di riferimento, un punto di appoggio per realizzare in noi quella vita
secondo Dio e con Dio che noi sogniamo.
Abbiamo dunque questo annuncio che ci
rivela un dato oggettivo: Dio è sempre con noi, tra noi, perché abita in
noi. Abbiamo cioè un’abitazione di “Dio con noi”, e questo già fin dal
primo giorno della creazione. Anche nell’Antico Testamento continuamente il
Signore per bocca dei Profeti dice: “Io abito in mezzo al mio popolo.. Io
sono presente con voi…Io opero in
voi..”. C’è sempre questo continuo richiamo all’abitazione di Dio
nell’uomo. Noi sappiamo che Dio non abita in cieli lontani, ma abita nell’uomo,
perché Dio è Spirito e quindi abita nello spirito dell’uomo.
S. Agostino precisa ancora e dice: “Dio abita
in te se tu lo desideri”; però in questa sua espressione, a nostro avviso, c’è
un elemento troppo soggettivo, perché Dio abita nell’uomo anche se l’uomo non
lo desidera, ed è Lui che si fa desiderare. Ed è proprio questa sua abitazione
in noi che suscita in noi il desiderio di Lui; però può anche suscitare la
ribellione, ma anche la ribellione è ancora un segno della sua abitazione in
noi.
La sua abitazione in noi è dunque un dato
oggettivo che s’impone, come s’impone la presenza fisica nostra in questa
stanza.
Però la nostra presenza fisica non è detto che
corrisponda ad una presenza nostra spirituale qui. Noi siamo presenti
fisicamente, ma spiritualmente nessuno sa dove possiamo essere; infatti noi
possiamo anche non essere presenti con il pensiero. Così non è detto che ad una
presenza oggettiva di Dio corrisponda una nostra presenza personale a Lui.
Quindi abbiamo una presenza fisica oggettiva
del Verbo tra noi che è lezione, invito a cercare la presenza spirituale del Verbo in noi ed è
invito ad essere presenti anche noi a Lui come Lui è presente a noi.
Cioè come l’incarnazione del Verbo di Dio,
che è avvenuta storicamente, è un fatto oggettivo per insegnare a noi a trovare
personalmente “il Verbo fatto carne”, così abbiamo una presenza oggettiva di
Dio tra noi e in noi che ci invita ad
una presenza personale che è poi quella che ci salva, perché
soltanto la presenza oggettiva di Dio tra noi e in noi, come la presenza fisica
del Verbo fatto carne, non basta, non giova a niente se non trova in noi
l’adesione. Cioè che ci sia stato un Cristo storico non giova a niente di
per sé se non c’è la partecipazione nostra personale, anzi può diventare motivo
di rovina, perché Lo possiamo rifiutare o ignorare(così come la nostra
presenza fisica, puramente esteriore, ad un culto, ad un atto religioso può
diventare un atto d’ipocrisia, e quindi può creare una frattura con Dio).
Eligio: Comunque il rifiuto è sempre la conferma di una presenza.
Luigi: Sì, perché noi abbiamo sempre presente ciò che
rifiutiamo. Non possiamo rifiutare una cosa se non l’abbiamo presente.
Eligio: Quindi non esiste un atteggiamento agnostico o di
indifferenza.
Luigi: No, perché una cosa (un fatto, un dato oggettivo, ecc.),
in quanto avviene, in quanto è notata da noi, suscita in noi una scelta, non
può essere in modo diverso: o aderiamo o rifiutiamo. Prima di notare una
cosa, quella cosa per noi è indifferente, siamo agnostici, non conosciamo; il
giorno in cui la notiamo o la conosciamo, quella in un certo qual modo entra
dentro di noi e provoca in noi una scelta, una trasformazione; noi non siamo
più quelli di prima; perché in quanto la cosa si è fatta notare da noi, noi non
possiamo più dire di non averla vista o udita, per cui ci rende responsabili o
di un sì o di un no.
Non potremo, ad esempio, dire: “Il tale
giorno, la tale sera noi non ci siamo trovati qui (dove attualmente siamo)”; il
fatto è avvenuto e in quanto è avvenuto determina già in noi una posizione.
Però non è detto che in quanto questo fatto
sia avvenuto provochi una adesione; no!
Così anche qui: prima di conoscere
l’abitazione di Dio tra noi, siamo agnostici, ma dopo aver ricevuto questo
annuncio, ci definiamo con l’adesione o con il rifiuto.
Per dare l’adesione bisogna che ci sia però
una dimensione interiore nostra, così come per scoprire il Verbo di Dio
incarnato c’è stato bisogno di una dimensione interiore. Se manca questa dimensione interiore,
noi possiamo toccare con mano Gesù (come
uomo, non come Verbo di Dio incarnato), perché
storicamente c’è stato, possiamo studiare quello che ha fatto, quello che
ha detto sulle strade di Palestina, però non scoprire in Lui il Verbo di Dio
incarnato e quello non ci salva, perché quello è carne e la carne non basta,
anzi la carne ci disperde. Per cui noi
possiamo conoscere molto di Gesù, farne
oggetto di cultura, di studio letterario, senza però toccare in Lui la “Vita
che è presso il Padre” , e questo non ci salva. Quello che ci salva è
vedere, toccare il Verbo di Dio fatto carne.
Ora, la volta scorsa abbiamo visto che per
giungere al Verbo di Dio fatto carne è necessario che in noi si formi la fame
di Dio, l’attrazione per il Padre. È questa fame di Dio, questa attrazione
per il Padre, cioè questo disegno della vita interiore secondo Dio, che ci
fa scoprire poi il Verbo di Dio fatto carne, per cui troviamo in Lui quel punto d’appoggio su cui far leva per
realizzare quello che noi non possiamo realizzare, e che non possiamo
realizzare perché siamo in conflitto tra
il sogno, l’ideale e la realtà in cui noi ci troviamo. Siccome la realtà in cui
ci troviamo non è secondo Dio, questa ci porta via; quindi soltanto trovando un
punto in cui si realizza la realtà della vita vera con Dio noi possiamo far
leva su di esso per trasformare tutto di noi.
Allora, questo “abitò tra noi” è una
conseguenza diretta del Verbo di Dio che si è fatto carne; perché abbiamo
detto la volta scorsa che il farsi carne del Verbo è attuare una realtà
sensibile per noi: Dio che si rende presente tra noi, tanto che Giovanni
scrisse: “La Vita che era presso il Padre noi l’abbiamo toccata”. Quindi
non hanno toccato Gesù, non hanno toccato la carne, ma hanno toccato “la
Vita che era presso il Padre”; ecco, i primi apostoli hanno visto questa
“vita che era presso il Padre”; l’hanno vista e l’hanno toccata;
toccandola sono stati salvati.
Qui è lo stesso: il Verbo di Dio facendosi
carne è diventato realtà sensibile; diventando realtà sensibile, “abitò tra
noi”: rivelò la sua Presenza personale tra noi.
Abitare vuol dire essere in-, vivere in-; da
qui ne deriva il concetto di luogo. L’abitazione è un luogo di permanenza, di
sicurezza; è un punto di riferimento, quindi un appoggio.
Ora, il fatto di sapere che una persona abita
in un luogo, ha un effetto importantissimo per noi; perché?
Perché sapendo che quella persona abita in
un determinato luogo, possiamo andarla a trovare. Invece quando non
sappiamo dove uno abita, non lo possiamo
rintracciare, ed è l’errore di tutti noi che non sappiamo dove abita Dio. Da
qui capiamo l’importanza di sapere dove Dio abita per poi poterlo andare a trovare.
Tutti gli uomini cercano Dio, perché tutti gli
uomini cercano l’Assoluto, però non Lo cercano dove Egli è: non sanno il luogo;
allora c’è chi Lo cerca nella creatura, c’è chi Lo cerca nel denaro, c’è chi Lo
cerca nelle sicurezze umane, c’è chi Lo cerca nella carriera, nella gloria; ma
tutti quanti, in ciò che cercano, cercano l’Assoluto. Per cui vogliono che il
denaro dia quella sicurezza che Dio solo dà; cercano la giustizia, ma che Dio
solo dà. Però tutti senza saperlo cercano Dio, quindi cercano questo Assoluto, questa
Verità assoluta, ma La cercano dove Dio non può essere. Dio non è nel denaro,
Dio non è nella creatura, Dio non è nella carriera, Dio non è nelle nostre
assicurazioni umane; per cui Dio non va confuso con le creature.
Il Signore già nell’Antico Testamento dice: “La
mia volontà non è la vostra, i miei pensieri non sono i vostri” (Is 55,8).
Sempre, perché Lui ci trascende; quindi la creatura deve sempre superare se
stessa, perché Dio è Spirito.
Dio abita in Se stesso; quindi va cercato in
Lui, in Se stesso e non
dobbiamo quindi cercarlo altrove.
Però, siccome siamo venuti a trovarci
nell’incapacità di liberarci da tutto un mondo materiale che ci domina, che ci
porta via, che ci impedisce quella ricerca interiore nello Spirito di Dio per trovare Dio, abbiamo bisogno del Verbo di
Dio fatto carne, perché non trovando Dio
(perché dominati dalle creature, non Lo possiamo cercare), noi siamo dispersi.
Allora, la scoperta del Verbo di Dio che si
fa carne, questo “luogo” nella nostra vita, nel nostro mondo, occupato dal
Verbo di Dio, è la scoperta di un punto
su cui far leva.
La volta scorsa abbiamo detto che se il Verbo di
Dio ha occupato un punto, ha occupato tutto, se ha occupato un uomo, ha
occupato tutta l’umanità; perché ognuno di noi è in relazione con l’altro, per
cui abbiamo la comunicazione; ad un
certo momento uno lo dice all’altro, e la cosa si comunica; e anche se uno non
lo dice, il rapporto esiste, perché facciamo “universo”, siamo a contatto con
tutto, facciamo una cosa sola. Quindi il Verbo di Dio avendo occupato un
punto di noi ha già occupato tutto di noi; per cui avendo occupato un punto, un
luogo, noi abbiamo adesso la possibilità con Lui di andare al Padre.
Eligio: Se Egli ha occupato un punto dell’umanità, questo punto
non è certamente un luogo geograficamente localizzabile. È ogni uomo? Sono io
stesso?
Luigi: No! Il luogo è il Cristo stesso, cioè il Verbo di Dio
incarnato. Noi possiamo essere salvati soltanto dal Verbo di Dio fatto
carne; cioè possiamo essere salvati soltanto da una materialità, cioè da una
cosa sensibile, una cosa che possiamo toccare, ma non da una creatura, non
dalla carne, perché la carne ci disperde. Noi possiamo essere salvati
soltanto dal Verbo di Dio, se si fa
carne, cioè se Lo troviamo nel mondo materiale che ci disperde. In Cristo,
nella sua umanità è il luogo in cui c’è il Verbo di Dio. Sapendo che è lì,
possiamo andare a trovare il Verbo tutte le volte che vogliamo. È lì la
meraviglia! Il Cristo in quanto è “luogo” del Verbo mi dà questa possibilità.
Eligio: Quindi questo punto occupato dal Verbo è Cristo.
Luigi: Certo! Ora, il Verbo, in quanto è diventato una
realtà sensibile, quindi ha occupato un posto, dà a ognuno di noi, se vogliamo,
la possibilità di sapere dove Egli è, quindi la possibilità di andarlo a
trovare. Ci dà il suo indirizzo.
Eligio: Devo necessariamente riferirmi alla Sua forma fisica…
Luigi: Sì, anche alla Sua forma fisica, ma va considerato tutto
di Lui, bisogna riferirsi a tutto, perché il Cristo non è soltanto aspetto fisico:
è una presenza fisica, ma è anche tutta la vita che Egli ha fatto, tutte le
parole che Egli ha detto, tutto quello che è avvenuto di Lui.
Eligio: Tutto il suo mondo di pensiero e anche la realtà
sensibile dell’ambiente in cui è vissuto, la cultura del suo tempo…
Luigi: Tutto! Perché in quanto è “luogo” è una realtà
tangibile. “Luogo” è un oggetto a cui
io mi posso relazionare quando voglio (“ci è stato dato”); per cui sapendo
che un mio amico abita in un luogo tale, in una via tale, al numero tale, io so
che quando ho bisogno di lui, quando voglio parlargli, so dove andare e so che
è disponibile. Ho la disponibilità. Così
è con Cristo. Cioè, in quanto il Verbo di Dio “abitò tra noi”, ha dato
a noi la disponibilità e quindi la possibilità di poterlo rintracciare quando
vogliamo. E questa è la conseguenza della abitazione, dell’essersi il Verbo
fatto “luogo”, e del sapere noi il luogo in cui è il Verbo di Dio.
Per cui, scoprendo in Gesù il Verbo fatto
carne, sappiamo che, se vogliamo,
possiamo andare da Lui, possiamo occuparci di Lui, e ci occupiamo di Lui perché
sappiamo che Lui ci parla solo di Dio, che Lui
ci dà ciò di cui noi abbiamo bisogno, se siamo attratti dal Padre. Per
cui, fatta questa scoperta, possiamo
dire anche noi: “Abbiamo trovato Colui del quale hanno parlato Mosè e i
profeti” (Gv 1,41), come dissero i primi discepoli, i quali, notiamo bene,
appena Lo trovarono, come prima cosa gli chiesero: “Maestro, dove
abiti?” (Gv 1,38). Perché gli chiesero: “Dove abiti”?
Perché avevano bisogno di vedere dove Egli
era per poterlo rintracciare sempre; perché quando io so dove abita una
persona ho la possibilità di andarla a trovare. Dipende da me. L’abitazione è
un indirizzo. L’indirizzo di una persona è un’offerta fatta a me per darmi
la possibilità di andare a trovare quella persona; per cui l’andarla a
trovare dipende da me, Cioè dandomi il suo indirizzo mi viene offerta la
possibilità di andare quando voglio: si è reso disponibile.
Così ha fatto il Verbo di Dio: dandomi il
suo indirizzo mi ha messo a disposizione la sua disponibilità, la sua Persona,
quindi tutto ciò che Egli porta con Sé, per cui andandolo a trovare, posso
fermarmi con Lui quanto voglio. Nicodemo, ad esempio, va a trovarlo di
notte, si ferma tutta la notte con Lui: ecco la disponibilità del Cristo!
Il Verbo di Dio venendo a noi in Cristo, ha
detto: “Guarda, Io abito nella tale casa, nella tale via, al numero tale;
quando ti interessa il mio argomento, vieni”, e noi possiamo andare. Ecco
l’importanza per noi del fatto dell’abitare il Verbo in un luogo, dell’essere
il Verbo in un luogo. Avendo occupato un punto di noi, ci ha dato la
possibilità di andarlo a trovare. È un punto di noi, tra noi: il Cristo. Ecco l’abitare, l’essere in un luogo.
Eligio: Noi però possiamo essere toccati solo da termini
sensitivi e fisici…
Luigi: Perché noi siamo dispersi dall’elemento sensitivo e
fisico.
Eligio: Però la relazione con Cristo, per noi che fisicamente
non lo vediamo, non è più sensitiva e fisica. Cristo non è più per noi una
realtà sensibile. E allora come possiamo affidarci ad un dato storico lontano,
ad una realtà che mette a fuoco cose serie, ma che sensibilmente non ci attira
più?
Luigi: Metto in discussione questo “non mi attira più”; S.
Agostino ti attira? Perché ti attira? È vissuto 1600 anni fa: dimmi perché ti
attira.
Eligio: Direi per una congenialità, naturalmente….in sedicesimo
Luigi: Ecco! Allora altrettanto avviene con il Cristo: Egli ti attira se sei attratto dal
Padre; ci deve essere cioè questa congenialità. Questa sintonia con- supera
tutti gli spazi, tutti i tempi. Noi siamo contemporanei di Cristo; che Cristo sia vissuto
duemila anni fa, o che sia vissuto cinque minuti fa, per noi è assolutamente
indifferente, se c’è questa congenialità con Lui, questa sintonia.
Eligio: Penso di no.
Luigi: E invece è così. Perché quello che ci avvicina non è
il tempo contemporaneo o lo spazio, perché noi possiamo essere vicinissimi
fisicamente ed essere immensamente lontani. Perché?
Quello che ci avvicina è il pensiero, è
l’affinità di pensiero.
Ora, quando noi abbiamo lo stesso interesse di un altro, ad un certo momento
quell’altro può essere vissuto cinquemila anni fa ma ce lo troviamo
vicinissimo. Mentre invece magari una persona che abita con noi nella stessa
nostra casa ce la troviamo lontana da noi più di un milione di anni; questo
perché noi col pensiero siamo già fuori dal tempo. Il pensiero ricupera
tutto, supera spazi e tempi.
Eligio: Sarebbe così se
la nostra vita fosse solo al livello di pensiero…ma è anche un insieme di reazioni emotive, affettive e altri fattori
sensibili.
Luigi: Hai ragione, ma è per dire che come tu sostieni di
essere interessato a S. Agostino, perché c’è affinità di problemi e di
argomenti, per cui superi tutto, spazio e tempo, al punto da sentire
quell’amicizia, quell’interesse verso di
lui, così avviene con Cristo. È l’affinità di pensiero che te lo fa sentire vicino. È il pensiero, la
sintonia di pensiero, che ci fa vincere tutti gli ostacoli e le distanze di
spazio e tempo.
Faccio un esempio: per due persone che sono
vicinissime, che dicono di volersi bene, non conta la loro vicinanza fisica, ma
si sentono offese se col pensiero sono altrove, lontane. Ora, questo vuol dire
che non basta la vicinanza fisica per creare la vicinanza di pensiero, perché è
il pensiero che domina. Infatti se tu provi a dire a uno: “Non importa che io
abbia il pensiero altrove, sono qui con te; tu non ti devi interessare del
pensiero, il pensiero è minimo, quello che importa è la presenza fisica”, lo
offendi; sarebbe meglio essere lontani, ma con una vicinanza di spirito. Vedi
che per noi la vicinanza spazio e tempo conta molto poco, conta invece molto
quello che ci fa superare tutti questi limiti, cioè il pensiero, l’affinità
spirituale, la sintonia di pensiero e di interessi.
Quindi di per sé la presenza fisica non basta,
anche se necessaria.
Eligio: Però guarda come il fattore della presenza fisica di
Cristo è stata determinante per la Pentecoste degli apostoli: “tutti assieme
nello stesso luogo” (At 2,1). Questa illuminazione di massa non sarebbe
stata possibile se non per un’azione tutta particolare del Cristo.
Luigi: Quest’azione particolare del Cristo è stata proprio
l’averli privati ad un certo punto della sua presenza fisica, perché aveva loro
detto: “Vi dico la Verità: è bene per voi che Io me ne vada, perché se Io
non me ne vado, non può venire a voi lo Spirito di Verità; ma se me ne vado, ve
Lo manderò dal Padre” (Gv 16,7). La presenza fisica che è stata necessaria,
ad un certo momento doveva essere superata per poter ricevere lo Spirito Santo.
Ed è così anche per noi.
Comunque la presenza fisica del Cristo di per
sé non giova a nulla se non c’è quella particolare dimensione interiore necessaria
per riconoscere in Lui il Verbo incarnato. Tu vedi anche che proprio quella
Presenza fisica, se ha creato molta amicizia per alcuni, ha creato molta
inimicizia per altri che addirittura L’hanno mandato a morte.
Eligio: Però poco prima della Pentecoste Tommaso diceva ancora: “Se
io non vedo, non credo” (Gv 20,25).
Luigi: Questo conferma appunto che non basta la presenza
fisica.
Eligio: Pensavo invece che fosse la conferma che ad un certo
stadio di vita interiore fosse ancora
necessaria la presenza fisica.
Luigi: No! La presenza fisica è necessaria, ma non come la
intendiamo noi: spazio e tempo; è necessaria quella presenza fisica del
Verbo di Dio, cioè quella presenza fisica in cui c’è una componente di pensiero,
quella di cui abbiamo parlato la volta scorsa (inc. n° 8/A “Il Verbo si è
fatto carne e inc. n° 8/B “Come si giunge al Verbo Incarnato”). Cioè
il Verbo di Dio che si fa carne deve essere scoperto da ognuno di noi, se no
non giova la presenza fisica (che diventa solo “carne”). S. Tommaso si è
trovato in una situazione in cui era presente a Gesù, fisicamente molto vicino,
ma spiritualmente lontano.
Eligio: E davanti a Lui c’era solo il Verbo di Dio, mentre
invece noi abbiamo davanti tante altre presenze.
Luigi: Ma non è bastato, perché il Verbo di Dio, o meglio, la
concezione del Verbo di Dio, presuppone
un dato personale, e questo anche per i primi apostoli. Perché come dico: se
fosse stata sufficiente la sua presenza fisica per salvarci, allora noi ci sentiremmo
offesi, non privilegiati e diremmo: “Perché loro sì e noi no?”. Invece la
presenza fisica del Cristo per taluni è stata “motivo di salvezza, per altri
è stata motivo di rovina”(cf Lc 2,34), infatti l’hanno mandato a morte.
Come mai?
Questo ci fa capire che non è determinante la
presenza fisica di per sé, se no gli Apostoli sarebbero stati dei privilegiati
rispetto a noi. Allora cos’è che è determinante? La dimensione interiore.
Eligio: La presenza fisica non sarà determinante, ma è un buon
catalizzatore.
Luigi: No! È catalizzatore se c’è sintonia. Ciò che è
determinante è essere attratti dal Padre. “Nessuno può venire a Me se non è
attratto dal Padre” (Gv 6,43). Ma tale attrazione nasce dalla giustizia
essenziale predicata da Giovanni Battista. I discepoli di Giovanni Battista,
prima ancora di incontrare Gesù, avevano aderito alla giustizia verso Dio,
erano quindi attratti da Dio, avendo fatto il lavoro essenziale: mettere Dio al
centro. Quindi c’era in loro quello che noi abbiamo chiamato “sogno della
vita secondo Dio”. Avevano accettato il battesimo di Giovanni Battista e quando
su segnalazione sua hanno incominciato ad andare dietro al Cristo, cosa hanno
detto? Si sono detti l’un l’altro (ecco la comunicazione!): “Abbiamo trovato
Colui di cui hanno parlato Mosè e i Profeti!” ; ecco, “abbiamo trovato!”.
Vedi che c’è una dimensione interiore? Così è per noi: solo se siamo attratti
dal Padre potremo dire anche noi: “L’abbiamo trovato!”. A questo punto
allora si vive in un amore.
Ci siamo chiesti: che cos’è che fa trovare?
Il Verbo fatto carne non Lo trovo perché Lui
viene a casa mia, ma Lo trovo perché Lo porto già dentro di me. È come la cotoletta del macellaio: in quanto
io ho bisogno della cotoletta, allora mi incontro con il macellaio. Ecco, in
quanto uno ha bisogno di Dio si incontra con il Dio incarnato; cioè Lo
trova, Lo individua.
La scoperta del Verbo fatto carne è un
processo di individuazione. Avendolo individuato, questo diventa un luogo di
riferimento per me; il luogo,
l’abitazione è un punto al quale
io mi posso riferire. Infatti i primi discepoli da quel momento
incominciano a riferirsi a Lui, ad andare dietro a Lui; perché l’hanno eletto
come “Luogo”: Egli abitò con loro, tra loro.
C’è ancora un altro fatto da mettere bene in evidenza: nel piano materiale,
nel piano dei segni, noi possiamo abitare in un luogo, abitare con qualcuno, ma
l’abitazione in uno stesso luogo, cioè
la presenza fisica, non significa ancora “abitare con-”.
Generalmente “si abita tra”.
Bisogna capire che cosa è necessario per
abitare con-, per distinguerlo dall’”abitare tra-”.
Si
abita tra- in quanto siamo presenti fisicamente, però col pensiero
chissà dove siamo: possiamo essere molto lontani, quindi non essere assieme,
“non essere con-”. Qui però siamo sul piano dei segni, sul piano delle presenze
fisiche. Invece se passiamo al piano del significato, cioè della presenza
spirituale reale, quindi personale, per “abitare con-“ è necessaria la
“sintonia con-“, avere lo stesso interesse, essere cioè presenti con il
pensiero.
Quindi nelle presenze fisiche se uno è vicino
all’altro, anche l’altro è vicino, anche se con il pensiero sono lontani; per cui la presenza
fisica di uno con uno equivale alla presenza dell’altro con l’altro: diciamo allora
che nel campo delle presenze fisiche il rapporto è reversibile. Invece nel
campo delle presenze personali il rapporto non è più reversibile: anche se uno
è con noi, non è detto che noi siamo con lui. Quindi Cristo è con noi
(senza però appartenere a noi), ma anche se il Cristo è con noi, non è detto
che noi siamo con Lui.
Allora che cosa è che ci fa essere con-? Che
cosa è che ci fa essere assieme? Non la presenza fisica, perché noi possiamo
essere presenti fisicamente, ma non essere assieme. Siamo sul piano delle
persone, sul piano dei significati, per cui non basta la presenza fisica. Sul
piano dei segni, abbiamo detto, basta
che una cosa sia vicina all’altra perché anche l’altra le sia vicina; ma qui
invece, nel piano dei significati, non è
più così: ciò che ci fa essere con- è solo una dimensione spirituale di
pensiero, di desiderio; perché nel piano delle persone si suppone sempre l’elemento personale. Quindi come ci vuole
l’elemento personale per riconoscere in Gesù
(“carne”) il Verbo di Dio fatto carne, così ci vuole questa nostra presenza
personale di pensiero per abitare con Colui che è venuto ad abitare con noi.
Eligio: Però l’elemento sensibile aiuta anche, c’è bisogno del
libro, del Vangelo…
Luigi: Ma la presenza fisica è determinante, anche se non è
sufficiente. È determinante, perché è necessaria. È quello che abbiamo detto la
volta scorsa: perché noi siamo dominati, determinati dalle presenze fisiche (il
mal di pancia ci porta via, ci condiziona…); per cui noi vediamo il sogno,
l’ideale, come vorremmo essere, ma purtroppo vediamo la triste realtà, cioè
quello che noi siamo. Resta, per dislivello, il sospiro, il desiderio di essere
secondo Dio; ma moriamo tristemente. Come quel giovane ricco che va a
incontrare Gesù e poi se ne parte triste; ma perché se ne parte triste? Egli era arrivato da Gesù con un dislivello addosso,
voleva essere secondo Dio, vivere una vita per Dio, per cui chiese: “Che
cosa devo fare per arrivare alla Vita Eterna?”(Mt 19,16). Quindi la sognava
questa Vita e sperava che il Maestro potesse colmare questo dislivello, cioè
aveva fame, aveva il desiderio. Ma poi ha trovato l’ostacolo e allora se n’è
ritornato triste, non ha potuto colmare quel dislivello, realizzare quel suo
desiderio.
La fonte di tutte le nostre tristezze sta in
questo: nel portare un sogno che non realizziamo; ma perché non lo realizziamo?
Perché c’è una realtà sensibile, materiale,
che ci domina, che ci porta via e ci
condiziona.
Eligio: Per cui si ha bisogno di trovare un’altra Realtà
sensibile su cui appoggiarci.
Luigi: Ecco, se Dio ci dà la possibilità di trovare un punto,
Qualcuno che realizzi questo sogno, allora noi possiamo abbarbicarci a
quest’Uno e potremo dire: “Abbiamo trovato!”. Trovato chi? che
cosa? “Finalmente ho trovato Uno che ha
realizzato il mio sogno!”. Ora, importa
poco che l’abbia realizzato io o che l’abbia realizzato l‘altro; l’importante è
che quel sogno sia diventato una realtà sensibile, perché allora io mi posso
appendere a Lui come a un ramo, posso afferrarmi lì e riuscire a vincere tutte
le altre realtà sensibili: se mi afferro
lì, se resto agganciato lì! Perché è proprio questo nostro afferrarci a quel
Punto che ci ricostruisce tutto un universo di vita nuova in Lui.
Quindi la realtà sensibile è importantissima,
è determinante, ma bisogna che io veda lì il mio sogno; e perché io veda il mio
sogno lì, è necessario che io l’abbia come sogno dentro di me, cioè è
necessario che io sia attratto dal Padre: “Nessuno può venire a Me se non è
attratto dal Padre”. Bisogna che io abbia questo sogno dentro di me: l’attrazione
del Padre.
È questo sogno dentro di noi che ci fa
individuare il Cristo e che ci fa abbrancare a Lui per non mollarlo più.
Allora, se non Lo molliamo più, Lui ci salva, cioè Lui ci porta a vivere il
sogno, ad attuare il sogno. Infatti Gesù dice al giovane ricco: “Va’, vendi
quello che hai, vieni e seguimi” (Mt 19,21). Ecco, lo invita ad abbrancarsi
a Lui: “Lascia tutto il resto, perché il resto è quello che ti incatena a tutto
ciò che non sono Io, a tutta l’altra realtà sensibile”. Con queste parole Gesù
gli propone la libertà dalla sua prigione e poi gli dice: “Adesso vieni”,
perché andando dietro di Lui, Lui lo può ricostruire nella vera vita;
quella vita che lui sognava.
Eligio: Noi siamo attratti da troppe realtà sensibili…
Luigi: Direi meglio: noi non siamo attratti dalle realtà
sensibili, ma siamo dispersi da esse, perché ci dominano; perché quando
uno ha un dolore addosso, non è che sia attratto dal dolore, ma è dominato dal
dolore e quel dolore certamente gli impedisce di vivere secondo il pensiero, di
pensare, ecc., perché lo ossessiona. Noi siamo instabili, dispersi, perché
dominati, ossessionati da molte realtà sensibili (che si possono chiamare
affari, malattie, creature, mondo, notizie, giornali, informazioni che ci
bombardano e che ci disperdono: è tutta corrispondenza in arrivo che si
accumula al punto tale da buttarci fuori di casa e che ci impedisce di essere
stabili.
Il luogo, l’abitazione è quella che dà
stabilità a noi. Quindi il Verbo di Dio, se si fa luogo per noi, cioè se Lo
troviamo in Cristo, offre a noi la possibilità di diventare stabili e liberi.
Noi siamo essenzialmente instabili, perché
siamo creature. Dio è la stabilità. Allora, se noi non troviamo questo luogo,
praticamente passiamo, siamo costretti a passare di luogo in luogo: ecco il
mondo! e direi: passiamo di luogo in
luogo sempre più velocemente fino a romperci il collo… contro un paracarro.
Eligio: È un po’ la tristezza della condizione umana; noi
portiamo dei desideri che solo nell’infinito trovano appagamento: desideri di
felicità, di verità, di giustizia; ma come mai siamo sedotti dai beni sensibili
che non possono appagare questi desideri di infinito? Come mai il mondo pesa
così tanto su di noi? È un errore di conoscenza? È ignoranza? O è una mancanza
di conoscenza di quel Cristo sensibile che dovrebbe farceli trascendere?
Luigi: Siamo sedotti dal mondo soltanto perché in noi manca
quell’afferrarci al Cristo “sensibile”, come Lo troviamo nel Vangelo.
Il Vangelo è già una realtà sensibile; per cui
quando voglio mi posso fermare, leggere e meditare sulle sue Parole, sui suoi
fatti, sulla Sua Persona: è realtà sensibile. Ecco, il fatto di fermarmi,
leggere e meditare è una realtà sensibile che entra.
Infatti mentre apro il Vangelo ho tante altre
possibilità di scelta: posso leggermi un romanzo rosa, posso leggere le
barzellette, posso leggere politica; ad un certo momento faccio una scelta:
“Dico di no a tutto e leggo il Vangelo”. Ecco quello che è importante! Per cui:
“Tra tutto scelgo questo: il Vangelo!”; questo è l’elemento determinante:
afferrarsi a-. Se ci afferriamo al Verbo di Dio fatto carne, poco per volta
Egli ci libera; cioè il Verbo fatto carne poco per volta ci costruisce come
figli di Dio.
Infatti il Cristo non ci fa il miracolo
dall’oggi al domani, ma ci dice: “Vieni e seguimi”; per cui c’è tutto il
travaglio nel seguire Lui. Per cui andando dietro di Lui si arriva al Calvario,
si arriva alla morte con Lui (che è poi la morte al nostro io), si arriva alla
Resurrezione, all’Ascensione e alla Pentecoste: lì nasce la creatura nuova.
Tutto questo avviene andando dietro al Verbo
di Dio fatto carne, in questo seguirlo passo passo, nell’ascoltare, nel
meditare, soprattutto nel custodire molto le sue parole. Infatti grazie a questo meditare, poco per volta si
incomincia a formare in noi una certa mentalità e poi un certo disinteresse per
tante cose che prima ci parevano necessarie, per cui, quando in noi si è
già formata una certa mentalità, iniziamo a dire: “Ma perché mi devo occupare
di quello? Quelle sono storie! Quell’altro lo lascio; ecc.”. Poco per volta si
forma in noi tanta liberazione e quindi tanta dedizione per l’unica cosa
necessaria; è lì che ad un certo momento si forma quella carica di infinito
in noi che dà luogo alla creatura nuova. Ma bisogna sempre che ci sia questo
restare con Lui passo dopo passo; Lui va avanti, ma lascia le orme, quindi noi
dobbiamo restare sempre molto attenti a mettere i piedi dove Lui li ha messi;
guai a separarci! perché allora cadiamo nell’attrazione delle creature, nell’attrazione
del mondo.
Tu prima mi chiedevi: come mai il mondo
pesa tanto?
Il mondo pesa nella misura in cui in noi pesa
il pensiero del nostro io, cioè nella misura in cui ci distraiamo da Lui.
L’elemento determinante, per cui per noi è importante la figura, l’onore, il prestigio davanti agli
altri, il giudizio degli altri, è il
pensiero del nostro io. Ma allora vuol dire che l’attrazione del Padre per noi
è debole.
Quindi l’elemento che ci disperde e che rende
pesante la vita secondo Dio è il pensiero del nostro io. Infatti quanto più noi
pensiamo a noi, tanto più è pesante l’attrazione del mondo diverso da Dio e
quindi debole l’attrazione del Cristo. Addirittura si arriva al punto in
cui ci sentiamo tanto lontani che Cristo
non ci può dire niente: ci sembra che
Cristo ci parli di cose lontane, di cose astratte, di cose che non ci
prendono, perché siamo tutti presi da
altro: il suo parlare non ci prende più! Ma
è sempre conseguenza di un fatto interiore che si è formato in noi; ed è
terribile il fatto di non essere più attratti da Dio. Infatti il Signore dice: “Prendi
il tuo denaro e vattene” (Mt 20,14). È come dire: “La porta è chiusa,
vai!”. Ma anche questo “vattene”
è un atto di misericordia del Signore per dire: “Tocca con mano cosa vuol dire
servire gli uomini anziché Dio”. Ecco: toccalo con mano! Per questo egli dice: “Vattene”,
cioè per dire: “Prova, vedi, constata e poi vedrai”. E questo è un atto di
misericordia da parte di Dio, in quanto
ha constatato che in noi c’è una pretesa, quindi c’è il pensiero dell’io;
infatti nel cuore di coloro che andarono a lavorare alla prima ora c’era questa
domanda: “Perché preferisce gli altri?”. Ecco c’era questo pensiero dell’io che
li dominava.
È questo pensiero dell’io che ci butta in
balia del mondo esterno; infatti il Signore dice: “Non ha l’abito: gettatelo
nelle tenebre esteriori” (cf Mt 22,12-13). “Abitare” nello spirito
equivale ad “avere l’abito”; quindi chi pensa a sé non ha l’abito per
restare nel convito: “Gettatelo fuori, nelle tenebre esterne” (ecco il “fuori”:
è il peso del mondo, queste tenebre esteriori). Dice: “Gettatelo…”
Perché? Perché non ha l’abito. Quindi
se attualmente il mondo pesa è perché non abbiamo l’abito per poter abitare,
per restare. E qual è questo abito? È l’interesse per-.
Eligio: Però le realtà
sensibili ci colpiscono con immediatezza
e non hanno bisogno dell'opera del pensiero. Invece il contatto con Cristo ha
bisogno dell’intelligenza. È un po’ come la luce del sole: di giorno ti
colpisce immediatamente, invece quando il sole è nell’altro emisfero si è
costretti a fare un ragionamento per pensare alla luce.
Ora, nei confronti del Cristo è così: pur
essendo sensibile io devo fare un ragionamento. Mentre il mal di pancia mi colpisce
immediatamente, il bisogno di mangiare mi stimola immediatamente una reazione;
non è la stessa cosa per la presenza sensibile, fisica di Cristo: questa esige
pensiero e riflessione perché diventi presente a me.
Luigi: Hai ragione, infatti Gesù dice: “Sforzatevi di
entrare per la porta stretta” (Mt 7,13). Pensare a noi è molto semplice, è
molto naturale, perché tutti quanti ci invitano sempre a rivolgere lo sguardo a
noi: se incontri per la strada uno che conosci,
subito ti dice: “Ciao, come stai?”. È sempre tutto un invito a
ripiegarci su noi. Già da bambini, a partire dai nostri genitori: “Come sei
bello, come sei buono, ecc.”, e parlano di noi. Quindi diventa molto naturale
pensare a noi; per cui diventa faticoso superare se stessi. Per questo Gesù
parla della porta stretta, mentre “…è facile la via che porta alla
perdizione”. Fintanto che ci lasciamo guidare da quello che è naturale, da
quello che è mondo, la vita è facile. Infatti starsene seduti in poltrona
davanti alla televisione è tanto facile, perché lì ci riposiamo, ci
distendiamo; ma sedersi invece su uno
sgabello e aprire il Vangelo è già più difficile. È facile guardare una rivista
con le figure e non impegnarsi invece nello scritto o nella lettura: questo è
già più difficile. Quindi tutto quello che è impegno a superare il nostro io
naturalmente è “porta stretta”; questa “porta stretta” è proprio
il rinnegamento di noi stessi, che è poi il rinnegamento di tutto questo mondo
attorno che ci attrae. Noi siamo già inseriti in questo mondo qui. Allora il Signore dice: “Sforzatevi di
entrare”, superando il pensiero di voi stessi. Ci vuole questo sforzo,
perché è facile pensare a noi; diventa faticoso superare noi stessi e pensare a
Gesù.
Eligio: Come mai seguire la presenza sensibile di Cristo che ci offre la prospettiva di quell’Infinito
che cerchiamo, è così difficile? Una
grande percentuale dell’umanità forse è più portata a leggere barzellette che
non a meditare sul Vangelo. Perché?
Luigi: Il perché l’abbiamo visto nei versetti precedenti: “In
principio era il Verbo”, “in principio…” e poi non più per noi. Se noi fin dall’inizio avessimo rispettato
questo Principio e tutte le cose le avessimo sempre riportate a Dio, viste in
Dio, riferite a Dio, ci troveremmo con Dio con la gioia, come quando si sentono
le barzellette. Al contrario sarebbe una fatica enorme essere riportati a
pensare a noi stessi.
Adesso facciamo una grande fatica a superarci,
ma non è che Dio abbia creato la fatica, perché all’origine non era così. Per
Adamo la vita con Dio era una cosa molto bella; non era soltanto giusta, vera e
buona, ma era terribilmente bella: “Il Verbo era con Dio”. Il trovarsi con Dio,
il parlare con Dio, l’unificare in Dio, vedere le cose in Dio è Vera Vita. La
volta scorsa, parlando della vita con Dio, ad un certo momento abbiamo detto:
“Ma questo è bellissimo!”. Perché? Perché raccogliere, vedere le cose nella
Verità ad un certo momento diventa molto bello.
Eligio: Diciamo che era relativamente bello, perché ad un certo
punto c’è stata la rottura.
Luigi: All’inizio era bello; quindi se noi idealmente avessimo
potuto restare in questa Verità, e man mano che si viveva unificare tutte le
cose in Essa, quindi vedere, godere di questa Verità, per noi sarebbe stata una
porta strettissima, una cosa molto difficile scendere a guardare il mondo, ad
interessarci di queste cose che passano o a pensare al nostro io. Chi ci
avrebbe fatto scendere di lì?
S. Paolo ad un certo momento esclama: “Né i
nemici, né gli amici, né i piaceri, né i dolori, nessuno ci può staccare dalla
Carità che ci unisce al Cristo. Più niente mi potrà staccare, separare da Lui”.
Questo perché la tanta amicizia, la confidenza ha creato un legame così stretto
che ad un certo momento diventa facile la cosa, fa in modo che l’unione con Lui
sia facile. Quindi è tutto un mondo diverso da Dio che ci ha portati via da
Dio. Tutte le cose ci portano via, perché noi diventiamo automatici in ogni
cosa; infatti quando iniziamo un lavoro,
in un primo tempo questo richiede molto pensiero (è la “porta stretta”,
e quindi c’è fatica), poi ad un certo momento subentra l’automatismo; e quando
poi dobbiamo staccarci facciamo molta fatica, perché ormai siamo abituati lì:
“Conosco l’ambiente, conosco il lavoro,
conosco le creature e tutto quello mi è facile”, diciamo. Come mai ora
ti è facile? Sono stati i bivi, i momenti di scelta che hanno determinato la
facilità, l’abitudine a certi superamenti, ecc. Quindi se all’inizio ci
sforziamo, ci “si abitua” così tanto a pensare a Lui, ad abitare con Lui, che a
pensare a noi sarà grossa fatica: la fatica
che era in principio.
Luigi: Abbiamo visto che il Verbo incarnandosi è venuto ad
abitare tra noi, si è fatto “luogo” per noi, dando a noi la possibilità di
rintracciarlo quando vogliamo.
Il “luogo”, in cui è il Verbo di Dio, è il
Cristo. È importantissimo conoscere il “luogo” del Verbo, il “luogo” dov’è Dio,
perché sapendolo, possiamo rintracciarlo, andarlo a trovare tutte le volte che
lo desideriamo.
Si fa perciò necessaria la scoperta del Verbo
di Dio che si fa carne (v. dispense n. 8/A “Il Verbo si è fatto carne” e
n. 8/B “Come si giunge al
Verbo incarnato), perché, scoprendolo, possiamo trovare l’Assoluto (che
tutti cerchiamo) in una realtà sensibile: il Cristo.
Il “luogo” dov’è Dio, è il Verbo di Dio
incarnato: “luogo” per noi accessibile, da noi reperibile, purché ci sia in noi
l’interesse per Dio.
L’interesse per Dio è la condizione richiesta
per poter anche noi abitare con Lui, perché il fatto che il Verbo incarnandosi
venga ad abitare fra noi non vuol dire che appartenga a noi o ai nostri
interessi; per cui se in noi non c’è il suo stesso interesse, non possiamo
stare con Lui, abitare con Lui.
È per questo che stasera volevo mettere a fuoco questo “abitare tra
noi”: va precisato che non basta trovare la sua presenza fisica per poter
stare con Lui, infatti abbiamo detto che l’abitazione del Verbo tra noi, la
sua vicinanza con noi, non vuol dire l’essere noi vicino a Lui. Certo Lui è
con noi, anche se noi siamo lontani da Lui. Proprio perché si è incarnato, Lui
è venuto ad abitare con noi, in qualunque situazione noi ci troviamo; anche nel
peccato, anche nel male, anche nell’abisso più nero Lui è con noi. Ma il suo
essere con noi non vuol dire che noi siamo con Lui.
Quindi la sua abitazione tra noi non è
soltanto una presenza fisica tra noi, perché se lo fosse non ci avrebbe
liberato e salvato dai nostri errori e passioni; ma essa è una Presenza
spirituale incarnata: è il Dio tra noi, per cui il suo abitare tra noi non
è appartenere alla nostra mentalità, non è condividere i nostri interessi. È un
rimanere tra noi indipendentemente dalla nostra adesione o dal nostro
rifiuto.
E questo ci apre al problema delle
conseguenze di questa sua abitazione tra noi. Cioè bisogna vedere:
·le conseguenze per Lui di questo suo essere con noi senza
appartenere a noi: sono la sua morte, la
Croce;
·le conseguenze per noi di questo essere o non essere noi
con Lui: sono liberazione o rovina (cfr. Lc 2,34).
Tali conseguenze per Lui e per noi sono dovute
appunto al fatto che Lui appartiene a un altro mondo: infatti che Lui sia
con noi, non vuol dire che appartenga a noi; perché Lui ha sempre rivendicato: “Io
sono del Padre” (cf Gv 5,43). E ha anche detto: “Dove Io sono, voi non
potete venire” (Gv 7,34). Quindi Lui è con noi, ma dice: “Dove Io sono
voi non potete venire”. Gesù dice ancora: “ Io sono nel mondo, ma Io non
sono del mondo ” (cf Gv 17,13-14), per cui uno può essere con- (“sono
nel mondo”), ma non appartenere. Cristo è venuto con noi, ma non è
venuto a servire i nostri interessi, non è venuto a servire i nostri capricci;
quindi non è venuto a dire: “Io sono con te, andiamo a braccetto dove tu vuoi
pur di restare con te”, No! Infatti ad un certo momento dice ai suoi stessi
discepoli: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6,67). Lui è venuto, ma
per coloro che sono attratti dal Padre; Lui è venuto perché realizza il sogno
di coloro che portano nel cuore il sogno di
una vita secondo Dio, e nello stesso tempo però offre a tutti la
possibilità di accoglierlo, offre a tutti questo richiamo a Dio, questa sua
Presenza; perché quando ci troviamo soli in una stanza con uno, non lo
possiamo ignorare, anche se ci urta.
Quindi, che il Cristo sia vissuto storicamente
sulla nostra terra noi non lo possiamo ignorare; ci darà fastidio, ma non lo
possiamo ignorare. Noi non possiamo ignorare la sua esistenza, per cui o
L’accogliamo o ci dà fastidio. Non potendolo ignorare, ad un certo momento Lui ci propone i suoi argomenti. Attualmente
non sappiamo cosa farcene perché siamo troppo “divertiti” (divertimento =
divergere da-) da altri argomenti; ma arriverà certamente un momento in cui
i suoi argomenti ci toccheranno: quando
cioè gli altri argomenti passeranno, tramonteranno, perché tutto è soggetto al
mutare. Quando tutto tramonta, ecco che allora dentro di noi viene alla ribalta
il sogno; e Colui che aveva parlato e dava fastidio a questo punto ritorna e
diventa interessante.
Eligio: Non è detto, perché le sue parole che ci invitano a
trascendere tutto per cercare Dio possono
ancora dare molto fastidio.
Luigi: Sì, ma a seconda del fine per cui uno vive; Lui dà molto
fastidio, se il fine non è la ricerca e la conoscenza di Dio. Infatti Gesù ha
dato molto fastidio ai Farisei. Ora, non è che i Farisei siano tramontati; il
Fariseo ce lo portiamo tutti dentro di noi; quindi indubbiamente, se sono
avaro, se vivo per accumulare denaro, se sono appassionato per la carriera o la
politica, se sono mendicante di gloria, il Cristo mi dà fastidio, perché mi dice: “Va’, lascia tutto, la vita non
serve a quello! A che serve guadagnare tutto il mondo, se poi perdi l’anima?”
Ad un certo momento mi tratta male e mi dice: “Ipocrita! Stolto, tutto
quello che hai accumulato di chi sarà?” (cf Lc 12,20); quindi Cristo dà
fastidio. Ad un certo momento adopera anche lo scudiscio (Gv 2,15). Perché?
Indubbiamente è tutta opera di misericordia per salvare; però siccome l’uomo è
legato al suo orgoglio, al suo io, in Cristo trova uno che gli dà fastidio.
Ecco, fintanto che nell’uomo non si forma questa attrazione per il Padre,
indubbiamente Egli è una presenza diversa da noi, “non è del nostro mondo”;
infatti Lui lo dice: “Il mio Regno non è di questo mondo”.
Pinuccia B.: Il
discorso della montagna dà fastidio: «Beati i poveri in spirito, perché di
essi è il Regno dei Cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati
i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della
giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno
misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori
di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa
della giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli. Beati voi quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro
di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra
ricompensa nei Cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.» (Mt
5,3-12). E dà fastidio anche con tante altre parole, per esempio: ”A chi ti
percuote, porgi l’altra guancia” (Lc 6,29)
Luigi: Certo, è anche con queste parole che Cristo ci rivela
che non è di questo mondo; Lui è di un altro mondo. Quindi Lui viene con noi,
ma non appartiene al nostro mondo di interessi, di ambizioni. Lui viene con
noi, ma per portarci via dal nostro mondo. Infatti nell’ultima cena Gesù dice
ai suoi: “Il mondo vi odia perché non siete del mondo, come Io non sono del
mondo. Io vi ho presi dal mondo e vi ho portati via dal mondo, per questo il
mondo vi odia. Come ha odiato Me, così anche voi, perché il mondo ama ciò che è
suo” (cf Gv 15,18-19). Quindi il Cristo non è del mondo; il Cristo non
mette la firma di avallo alle nostre cambiali; infatti quando quel giovane
chiede soltanto un atto di giustizia: “Dì al mio fratello che divida
l’eredità” (Lc 12,13), Lui si rifiuta, non mette l’avallo; Lui non
condivide le nostre passioni, perché Lui è venuto a portarci la sua Passione,
per liberarci dalle nostre passioni e salvarci. Quindi questo suo abitare tra
noi non è un ubbidire, un appartenere a noi, perché Lui appartiene sempre al
Padre. Cristo è di un altro mondo.
Eligio: Che non appartenga a noi, come mondo, questo è chiarissimo; ma non riesco a capire
questo suo non appartenere a noi anche quando noi cerchiamo Dio. Non
capisco questo suo essere altro da noi
dal momento che noi dobbiamo essere uniti a Lui per andare al Padre.
Luigi: No, un momento! Se noi siamo attratti dal Padre, allora
siamo noi che apparteniamo al Cristo, siamo in sintonia con Lui; infatti
abbiamo detto che la sua Presenza con noi (e qui non siamo più sul piano
fisico, ma sul piano spirituale,
personale) non è uguale alla nostra presenza con Lui. Non è detto che la sua
Presenza tra noi corrisponda alla nostra presenza con Lui. Che cosa è dunque
necessario perché ad una presenza corrisponda una nostra presenza? Che cosa è
che crea la con-presenza?
La con-presenza con una persona c’è in quanto
siamo in sintonia, in quanto abbiamo lo stesso fine, lo stesso interesse di
quella persona. Allora,
anche se fisicamente non siamo presenti, siamo comunque presenti alla sua
anima, quindi siamo vicini. E questa vicinanza spirituale supera infinitamente
il peso della lontananza fisica. Quindi se abbiamo lo stesso interesse di
Cristo, siamo con-presenti a Lui. L’interesse suo è il Padre.
Eligio: Prima però hai parlato di una abitazione di Cristo nel
Padre e non in noi.
Luigi: Sì, quando i primi apostoli gli chiedono: “Maestro
dove abiti?”, Gesù risponde: “Venite e vedrete” . In senso materiale
Egli “non ha una pietra dove posare il capo…” (Mt 8,20) eppure indicò
loro dove abitava. Gesù non li ha portati a vedere una casa fisica, ma li ha portati
a vedere la sua abitazione nel Padre. Ed è stata una scoperta talmente
meravigliosa, videro qualcosa di talmente sconvolgente da imprimersi così
profondamente in loro che dopo cinquant’anni, sessant’anni se ne ricordavano
ancora l’ora: “era circa l’ora decima” (Gv 1,39). Quindi Lui ha rivelato
loro il luogo in cui era, in cui viveva: Lui viveva nel Padre e vive nel Padre:
la sua casa, la sua abitazione interiore è il Padre (“Dove Io sono voi non
potete venire; …Io sono nel Padre e il Padre è in Me” {Gv 13,33; Gv
10,38}). E qui sta la meraviglia dell’opera di Dio: il Verbo si è fatto “luogo
per noi”, ma per portarci nel “suo luogo”: nel seno del Padre.
Eligio: Quindi la creatura che tende a Dio può attraverso Cristo
giungere al Padre, cioè giungere a
vivere in Dio. Deve però
appartenere al Cristo, ma come?
Luigi: Se la creatura ha lo stesso interesse di Cristo, quindi
è attratta da Dio, allora appartiene al Cristo. Infatti Cristo nell’ultima
preghiera, quando affida i suoi discepoli al Padre, usa un’espressione che
riassume bene il cammino dell’anima verso Dio.
Dice: “Erano tuoi, Tu li hai dati a Me, adesso Io li affido a Te”
(Gv 17,6.11). Guarda che questo è
meraviglioso! Dice: “Erano tuoi”, quindi “erano attratti da Te”: ecco
l’interesse! Ed è l’interesse per- che ci fa appartenere a-. Infatti quando Gesù dice: “Io non sono del mondo”
è perché non appartiene al mondo. E noi a che cosa apparteniamo? Noi
apparteniamo a ciò che ci interessa, al nostro amore, perché è quello che ci
informa, che ci fa. Quindi: “Dimmi il tuo amore e io ti dirò chi è il tuo
padrone”. È il nostro interesse principale che ci determina.
Gesù dice, parlando dei suoi Apostoli: “erano
tuoi”; quindi dice che avevano come interesse principale il Padre, erano
attratti dal Padre; d’altronde l’aveva detto prima: “Nessuno può venire a Me
se non è attratto dal Padre” (Gv 6,44). Allora se questi sono andati a Lui vuol dire che
erano attratti dal Padre: “erano
tuoi”. Ma non è perché si è attratti da una vita secondo Dio che noi possiamo
realizzarla; per cui:
·“Tu li hai dati a Me”: ecco l’incarnazione! per cui c’era il sogno, l’attrazione, desideravano,
avevano questo interesse senza però riuscire a realizzarlo; vedendo Cristo,
hanno visto l’uomo di Dio che realizzava il loro sogno e allora L’hanno
seguito: “Tu li hai dati a Me”.
·“Ora custodiscili Tu”, conclude Gesù, cioè li riporta al Padre: “Te li affido
perché Io vengo a Te”, ma li riporta dopo tutto un cammino fatto con Lui.
Infatti non basta incontrare il Cristo: bisogna andare dietro a Lui,
ascoltarlo, conoscerlo, vivere con Lui tutti i giorni; allora Lui mi libera da
tutto e mi affida al sogno, al Padre.
C’è da chiedersi; ma perché? Erano già suoi
(del Padre) e poi dopo glieli ridà? A che cosa è servito Gesù?
Cristo ha svolto una funzione grandissima,
perché li ha liberati da tutto ciò che impediva loro di realizzare il sogno.
Ormai sono “nel Sogno”.
Eligio: L’attrazione del Padre non era quindi sufficiente?
Luigi: No! Non era sufficiente, perché, come abbiamo detto la volta scorsa, noi siamo
schiavi delle realtà fisiche. Infatti a noi, senza Cristo, basta un mal di
pancia per trascurare l’essenziale. Il Cristo venendo e vivendo con coloro
che sono attratti dal Padre, dà loro la possibilità di liberarsi da tutto;
e quando sono liberi da tutto, quindi sono soltanto più con Lui e vivono solo
più di Lui, per cui Lui è tutta la loro vita (“Tu solo…!”), Egli li
consegna al Padre, affinché il Padre realizzi il loro sogno. Quando Lui dice ai
suoi Dodici: “Volete andarvene anche voi?”, essi rispondono: “Da chi andremo noi? Tu solo
hai parole di Vite Eterna!” (Gv 6,68); queste parole (“Da chi andremo
noi?”) ecco ci rivelano che loro non appartengono più a nessuno: “Tu
solo…!” non vogliono più andare da altri! Ecco il fascino del Cristo!
Quando un’anima è liberata da tutti gli altri,
cioè quando è tutta incentrata in Cristo, allora il Cristo la consegna al
Padre, perché ormai ha la possibilità di realizzare il sogno, cioè di vivere
quel sogno della vita secondo Dio; e lo vivrà nella sua Pentecoste personale.
Ines: Ma se Gesù dice al Padre: “Erano tuoi”, vuol dire
che essi avevano interesse?!
Luigi: Certo.
Ines: Allora a che cosa è servito Gesù?
Luigi: Quello a cui ho accennato prima. La volta scorsa tu non
c’eri, ma ne avevamo parlato: noi apparteniamo al nostro interesse; quindi “erano
tuoi” vuol dire: “avevano interesse per Te, erano attratti da Te”; quando
noi siamo attratti da una cosa, non è che realizziamo questa cosa, ma la
sogniamo. Però tra il dire e il fare… c’è di mezzo il mare, perché il nostro
mondo in cui ci troviamo è molto diverso dal nostro sogno. La situazione è
questa: noi sogniamo di essere col nostro amore, col nostro interesse
principale, ma poi dopo…: “con tutto il desiderio e sogno che abbiamo, guarda
per che cosa dobbiamo vivere!”. È in questa realtà molto diversa che viene
fuori il bisogno del Cristo. Per cui, se c’è l’interesse si appartiene al
sogno, perché il nostro interesse è là, però: “Signore, guarda in che miseria
mi trovo; guarda cosa debbo fare!” (ed è poi la situazione del figlio minore
che apparteneva alla casa del padre, ma doveva invidiare quello che mangiavano
i porci -Lc 15,16). Come mai? Perché c’è una realtà in cui noi siamo inclusi,
una realtà che ci prende, che ci impedisce di realizzare il nostro sogno: è
tutto un mondo attorno che preme su di noi.
Allora, incontrando il Cristo, incontriamo Colui che ci dà la
possibilità di realizzare quel sogno che portiamo dentro di noi,
quell’interesse che abbiamo per il Padre; incontriamo cioè il mezzo per
realizzare il sogno; prima vivevamo con questo sogno, però ci trovavamo in una
realtà terribile; ad un certo momento troviamo Uno che ci dice: “Vuoi
realizzare quel sogno? guarda, io ti do la possibilità di realizzarlo”. È lì che diciamo: “Ma era quello che
aspettavo da tanto!”.
Quindi chi appartiene al sogno,
quando trova Uno che gli offre la possibilità di realizzare quel sogno, va
dietro di Lui; Lui lo libera da tutto
l’ambiente che lo porta via, che gli impedisce quel sogno, e lo fa maturare. Quando
sarà libero da tutto, lo affiderà al Sogno, e gli dirà: “Vivilo, è quello!”.
Ines: E per vivere con Gesù, per vedere in Lui il “luogo” del
Verbo, concretamente, sarebbe
niente altro che vivere quello che ci
dice Lui nel Vangelo?
Luigi: Bisogna riferirsi sempre e in tutto a Lui. Egli,
appunto, è diventato un “luogo” per noi, al quale noi ci possiamo riferire.
Quando io conosco il luogo in cui vive una
persona, ho la possibilità di andarla a trovare. Allora, se il Verbo è
diventato uno di questo mondo, ha affidato a me la possibilità di andarlo a
trovare quando e come voglio. Cioè dipende solo più da me; per cui Lui è a mia
disposizione: io mi posso fermare con Lui cinque minuti, come mi posso fermare
con Lui cinque anni. Lui è sempre lì, perché Lui è con noi; noi non
siamo con Lui, ma Lui è con noi. Lui è con noi in qualunque situazione;
anche quando siamo dei delinquenti fatti, Lui continua a essere con noi, perché
Lui “abitò fra noi”. Quindi a Lui non manca la possibilità di
restare con noi, ma manca a noi la disponibilità di restare con Lui, cioè
dipende da noi il fermarci o no con Lui. Se uno ti dicesse: “Ines, io sono
sempre con te”, a quel punto dipende solo più da te il restare con lui, cioè
dipende dalla tua risposta.
Ines: La disponibilità che Gesù offre a noi è quella che noi
possiamo sempre trovarlo.
Luigi: Ma come Lo troviamo?
Troviamo il Cristo pensandolo, pensando alla sua vita, perché Lui è vissuto
su questa terra in un determinato luogo e in un determinato tempo, per cui
possiamo conoscere ciò che ha detto e ciò che ha fatto; avendoci dato il suo
Vangelo, le sue parole, ci ha dato la possibilità di pensarlo e di seguirlo
dalla sua Nascita alla sua Morte, alla sua Resurrezione fino a Pentecoste.
Cioè possiamo trovarci con Lui se vogliamo, perché possiamo scegliere: noi
possiamo trovarci con tanti, con tutti quelli che vogliamo, e possiamo trovarci
con Lui. Se abbiamo interesse, quell’interesse che è il Suo, allora noi
possiamo trovarci con Lui. Però sta a noi il tempo da dedicare a Lui: può
essere di cinque minuti, come ci si può trovare con Lui cinque ore o cinquanta
ore. Ci possiamo fermare con Lui tutto il tempo che vogliamo: anche a tempo
pieno, così come Lui sta a tempo pieno con noi: dipende solo da noi.
Ecco, Cristo ci offre la possibilità di farlo
oggetto di pensiero, di studio, di amore, di conoscenza, ecc.; abbiamo tante
cose da conoscere di Lui, perché Lui ha tante cose da dire. Lui stesso dice: “Ho
tante cose da dirvi…” (Gv 16,12); quindi se Lui ha tante cose da dire, dipende
soltanto da noi sederci ai suoi piedi e dire: “Parla Signore, perché io sono
qui”. Certo, noi possiamo metterci lì per cinque minuti, ma possiamo anche
metterci lì per cinquanta ore, e Lui non ci caccia via. Questo è essenziale,
perché Lui è con noi anche quando noi non siamo con Lui. È questa la
caratteristica del Verbo incarnato: Lui, in quanto “abitò tra noi” ,
è con noi anche quando noi non siamo con Lui.
Ines: Lui non può non farlo.
Luigi: Lui non può non farlo, perché Lui è sempre con noi. Il
difetto è da parte nostra, perché la sua Presenza non è uguale alla nostra
presenza, cioè non vuol dire “nostra presenza”. Quindi la con-presenza dipende
allora da noi. Il Signore dice: “Io non caccio nessuno di coloro che il
Padre manda a Me” (Gv 6,37), e all’ultimo dirà: “Non ho perduto nessuno
di quelli che Tu mi hai dato” (cf Gv 17,12). Quindi “Io non caccio
nessuno di quelli il Padre mi ha dato”, cioè non caccia nessuno di coloro
che sono attratti dal Padre. Ne ha cacciati via tanti, eppure Lui dice: “Io
non caccio nessuno di coloro che il Padre mi manda”. Allora, se Cristo non
caccia nessuno di coloro che sono attratti dal Padre, se è vero che ci
interessa il Padre, è vero che noi possiamo stare cinque minuti con Lui, ma è
anche vero che noi possiamo stare con
Lui anche cinquanta ore, anzi tutto il tempo che vogliamo: Egli non ci caccia
mai; siamo piuttosto noi che ad un certo momento ce ne andiamo, ma Lui no! Lui
all’appuntamento c’è sempre! Quel giorno, con il giovane ricco, c’era all’appuntamento;
fu il giovane ricco a non restare. Lui c’è sempre!
La cosa importante è questa: noi siamo sempre
attesi! Comunque noi siamo, in qualunque situazione ci troviamo, ovunque noi siamo, noi siamo sempre attesi: Lui è sempre
disponibile, Lui non ci caccia mai via. Ma allora noi possiamo stare con
Lui ventiquattr’ore su ventiquattro…!
Eligio: Lui non ci caccia mai via, però quando dice a chi non ha
l’abito: “Gettatelo fuori, nelle tenebre esteriori”, lì è un mandare
via.
Luigi: Infatti chi non ha l’abito è colui che non è attratto dal Padre. L’ho detto prima
che Lui ne ha cacciati via tanti, ma dice: “Io non caccio nessuno di coloro
che il Padre mi manda” . Cioè Gesù
non caccia chi è attratto dal Padre, ma quel tale che è stato cacciato è perché
non aveva l’abito per restare, non era attratto dal Padre.
Pinuccia B.: Non
aveva lo stesso interesse di Gesù.
Luigi: E già, non era attratto. L’abito è questa attrazione
per il Padre.
Eligio: È difficile capire come chi non ha interesse per Dio
vada a cercare Cristo.
Luigi: Eppure si può essere con Lui per tanti motivi; noi siamo
nati cattolici, siamo battezzati, crediamo che Cristo sia il Figlio di Dio,
però come abbiamo visto le volte scorse, per noi è il Verbo di Dio fatto carne?
Noi crediamo perché tutti ce l’hanno detto,
nasciamo in un ambiente in cui ce l’hanno detto, crediamo per sentito dire; in
realtà noi crediamo di credere. Quindi noi siamo a convito, siamo nella casa
sua, ma abbiamo l’abito? Siamo attratti dal Padre? Qual è il nostro interesse
principale? È in questo nostro interesse principale che si gioca tutto. Eppure
noi ci illudiamo e ci consideriamo cattolici perché crediamo che Lui sia Figlio
di Dio.
Pinuccia B.: Questa
presenza fisica di Gesù, questa realtà sensibile, questo “luogo” in cui c’è il
Verbo, la posso trovare unicamente nel Vangelo, pensando a Lui concretamente
alle sue parole, a quello che ha fatto o anche attraverso altro?
Luigi: No! Solo Lui,
solo in Lui. Cioè il “luogo” del Verbo Incarnato è il Cristo.
Pinuccia B.: E lo
trovo solo nel Vangelo?
Luigi: No, perché il Verbo incarnato non è il Vangelo.
Pinuccia B.: Ma è dal Vangelo che so cosa Egli ha fatto, cosa
ha detto.
Luigi: Il Verbo di Dio fatto carne ci viene annunciato,
comunicato attraverso il Vangelo, ma ci sono anche le persone che ce ne
parlano; uno può anche essere analfabeta, ma con questo non è che sia impedito
a scoprire il Verbo fatto carne.
Pinuccia B.: Quindi
è sufficiente che io sappia che il Verbo si è fatto carne…
Luigi: …e che ti interessi di Lui, sapendo che Lui si è fatto
carne, cioè che Dio è diventato uomo, che ha occupato un punto della storia,
ecc. . Basta che tu veda, ad esempio, la
Croce.
Pinuccia B.: O
anche la presenza Eucaristica? Perché l’Eucarestia è la presenza fisica di Cristo.
Luigi: Certo, è la sua presenza fisica.
Pinuccia B.: Ha
lo stesso valore del Vangelo per avere la possibilità di restare con Lui?
Luigi: Sì, di stare con Lui sì! Ma …
Pinuccia B.: Basta
che io sappia che Lui è lì.
Luigi: Ma non è sufficiente dire “basta che io sappia che Lui è
lì”, perché bisogna conoscere la sua
vita e le sue Parole. Cioè l’Eucarestia è un punto d’appoggio in quanto è
realtà sensibile, ma è un punto da cui partire per iniziare a conoscere Lui.
Perché più ci fermiamo con Lui, più guardiamo a Lui, più Lo conosciamo. È
questo fermarci tanto con Lui, è questo guardare tanto a Lui che ci cambia. Cioè noi abbiamo bisogno di
conoscere tanto di Lui.
Quindi
non basta ad esempio che uno pensi a Gesù bambino nato a Betlemme, che
faccia il presepe, ecc., ma bisogna conoscere tutto di Lui e vivere tutto con
Lui. Perché se effettivamente ci interessiamo di una persona, onestamente
noi non ci interessiamo soltanto di una breve parentesi di quella persona, ma
vogliamo conoscere tutto di quella persona, altrimenti il nostro amore è
fasullo, non è vero. Così allora se
noi amiamo il Cristo, non ci accontentiamo di conoscere una parte di
Lui, ma vogliamo conoscere tutta la sua vita, tutto ciò che ha detto, ciò che
pensa (e questo è vero amore), cioè sentiamo il bisogno di conoscere tutto di
Lui; ed è questo bisogno di conoscere tutto di Lui che ci fa arrivare a
Pentecoste. Cioè bisogna vivere tutto con Lui, tutta la sua vita con Lui,
dall’inizio fino alla fine, percorrendo con Lui ogni tappa della sua vita e
poi, ad un certo momento, ancora tanto altro.
Ad un certo momento chi si interessa del
Cristo capisce, si rende conto che Egli non è soltanto nell’Eucarestia, ma è
anche in tutte le creature, anche nell’Antico Testamento, anche nella
creazione, dappertutto! Ad un certo momento lo scopri in tutte le cose.
Cioè c’è un’estensione enorme di questo
Verbo di Dio che s’incarna, che parla con noi; però il punto d’attacco è
una realtà sensibile, che può essere un Sacramento, che può essere un segno
della Croce, ecc., con cui noi incominciamo ad appoggiarci per poi arrivare
alla sua conoscenza, perché, ho detto, se sinceramente noi amiamo una persona,
vogliamo conoscere tutto di quella persona; ed è questo bisogno di conoscere
tutto di Lui che ci porta alla Pentecoste. Se invece noi ci accontentiamo o del
Getzemani, o del discorso della montagna, oppure del presepio, oppure del
Calvario, cioè se ci limitiamo solo ad un aspetto o ad una parte della sua
vita, non possiamo arrivare alla meta a cui Lui ci vuole portare. Ma come mai
escludiamo qualche cosa? Evidentemente c’è qualche cosa di personale in noi che
non va e che ci fa escludere una parte. Ma allora non ci siamo!
Il vero amore non esclude niente, anche quelle cose che possono darci
fastidio, perché sono dell’Altro, sono di Lui. E in quanto sono di Lui che amo,
cerco di assimilare, di capire il suo Spirito, l’intenzione con cui ha fatto o
detto quello, ecc. Ora è tutto questo amore, questo tanto amore per Lui, che forma
in noi quell’amicizia e quell’unione che ci trasforma e che poi ci porta a
Pentecoste, cioè ci porta a quel momento in cui Gesù ci affida al Padre, perché
ormai ci ha liberati da tutto.
Ora, dobbiamo tener presente che il problema
essenziale è trovare una Realtà sensibile, il Verbo di Dio fatto carne su cui
appoggiarci per ascoltare il Verbo di Dio e vivere con Lui. Ma dobbiamo vedere
il Verbo in questa Realtà sensibile e non soltanto la carne, perché la carne
non giova a niente; per cui, se noi ci limitiamo a fare soltanto la Comunione,
è come se noi avessimo incontrato Gesù tante volte sulla nostra strada, ma
senza vedere il Verbo di Dio fatto carne.
Pinuccia B.: Cioè,
questo avviene quando facciamo la
Comunione senza la fede?!
Luigi: …se noi facciamo la Comunione senza questa attrazione
per il Padre. Senza questo desiderio di conoscere il Padre, noi non vediamo
Gesù come Verbo di Dio fatto carne. È l’attrazione, l’interesse per il
Padre che ci deve portare a fare la Comunione, per trovare quel punto di
appoggio necessario.
Noi abbiamo bisogno di un punto, di una realtà
sensibile a cui afferrarci per essere liberati da tutte le altre realtà
sensibili; perché se noi non vogliamo essere liberati da tutte le altre realtà
sensibili, allora ci limitiamo al gesto della Comunione, oppure a considerare
solo qualche aspetto della vita di Cristo, oppure a studiare l’ambiente storico
di quel tempo…; ma in tal caso l’amore per Dio diventa poesia, estetica,
cultura, quello che vuoi, per cui ci limita
soltanto ad un tratto della sua vita, a quel tratto che ci soddisfa, che
ci fa piacere. In tal caso però c’è la strumentalizzazione del Cristo a noi;
cioè, “Io vado ad una funzione, ad una Comunione per il piacere di- o per la
figura, o per il giudizio di-“ oppure “Leggo qualcosa di Lui per accrescere la
mia cultura”, e allora questo è strumentalizzare il Cristo.
Si strumentalizza Cristo quando non siamo noi
a servizio suo, posseduti da Lui, anzi tendiamo ad utilizzare Lui per un certo nostro interesse; allora
inevitabilmente ci limitiamo a considerare una parte di Lui, a un qualcosa che
ci fa comodo, ecc.; per cui, come si diceva
prima, possiamo non avere “l’abito” anche se siamo “dentro”.
Allora arriverà senz’altro il giorno in cui Lui ci caccerà fuori, cioè Lui
stesso ci farà dominare dalle tenebre, ci farà camminare nelle tenebre, per
dirci: “Guarda, tu credevi di essere con Me, di avere l’abito, di essere unito
a me, invece guarda dove sei”; e lì scopriamo di essere in balia delle tenebre.
Ed è ancora grazia sua, misericordia sua, perché il farci toccare con mano che
noi non siamo ciò che crediamo di essere ci evita tante altre illusioni; quindi
facendoci prendere coscienza che non siamo nella fede, che non apparteniamo al
Padre, che non siamo attratti da Lui, ci disincanta.
Pinuccia A.: In riferimento a quello che hai detto prima, cioè che
crediamo di credere perché ce l’hanno detto o perché siamo stati battezzati, i
primi cristiani non venivano battezzati
appena nati, ma solo dopo aver percorso un certo cammino. Poi però
l’editto di Costantino, che ha reso obbligatoria la religione cristiana in
tutto l’Impero romano, ha rovinato
tutto…
Luigi: Non è che si sia rovinato tutto, come non è che sia una
rovina il fatto di battezzare prima, perché sarebbe come se dicessimo: “È
rovinato tutto perché noi siamo nati nel cattolicesimo: quindi è rovinato tutto
perché ‘siamo già…’ “. Il fatto di battezzare appena si nasce non è altro che
un segno per dire: “Apparteniamo già… Ci siamo già dentro…” e questo deve diventare
un orientamento, un impegno per giungere ad appartenere a Cristo
consapevolmente. Quindi non è quello! Il fatto di essere battezzati prima non è
di per sé un rovinare, però ci può dare l’illusione di appartenere già quando
ancora non apparteniamo. Ma stai tranquilla che il Signore ha tali mezzi che,
anche se siamo con “l’aureola”, ci butta
giù dalle nostre sicurezze.
L’essere battezzati e non aver capito questo
sacramento è come essere a contatto col Cristo, vederlo passare sulla strada, trovarci con Lui e non scoprire che Lui è il
Verbo di Dio incarnato, cioè il “luogo” del Verbo; per cui noi siamo sempre
con Lui, Lui è sempre stato con noi, ma non ci siamo mai resi conto.
Perfino con i suoi stessi apostoli all’ultimo dice: “È tanto tempo che Io
sono con voi e ancora non avete capito?…non mi avete ancora conosciuto?”
(cf Gv 14,9). Ora, se Gesù lo dice ai suoi apostoli è perché questo può
avvenire anche per noi; perché non è la presenza fisica, non è l’essere con-
fisicamente che conta, ma è questo interesse per-, è questa attrazione che ci
fa essere in sintonia con Lui e ci dà la possibilità di riconoscere in Lui il
Verbo incarnato.
Ora, fintanto che in noi non si forma
questa convinzione dell’importanza di Dio, questa attrazione per Dio, per il
Padre; fintanto che non ci convinciamo che abbiamo bisogno di conoscere Dio, e
che questo è un bisogno essenziale da cui dipende tutta la nostra vita,
possiamo anche essere da mattina a sera col Cristo, ma non capiamo niente di
Lui. Abbiamo solo l’illusione di essere con Lui, perché non vediamo in Lui
la nostra fame incarnata; perché questa fame non c’è. Quindi bisogna che prima si formi in noi la fame per
poter gustare quel pane; altrimenti noi possiamo anche mangiare tutti i giorni
quel pane, ma non lo gustiamo: lo mangiamo per altri motivi, perché non riconosciamo in Cristo il Verbo
incarnato.
Pinuccia A.: Però ci battezzano subito e poi non ci aiutano a
crescere come si dovrebbe, da veri cristiani.
Luigi: Tieni presente che la nostra vera vita non dipende mai
dagli altri; noi non potremo mai giustificarci davanti a Dio dicendo: “Signore,
tu mi hai messo in una società, in un mondo malvagio in cui mi hanno battezzata
e non mi hanno insegnato”, perché troveremo il Signore che ci dirà: “In quel
mondo sono Io che ti ho posto. Eri tu che dovevi cercarmi, impegnarti a
conoscermi”. Perché nessuno di noi sarà condannato per delle cose che non
dipendono da noi. La vera vita dipende da noi, perché la vera vita è amore,
e l’amore è sempre una cosa personale. Non c’è nessuno che ci può insegnare
ad amare se dentro di noi non si forma quest’interesse. E se in te si forma
l’amore, puoi anche essere nell’ambiente più contrario di questo mondo, ma
nulla ti porta via; lo conferma la notizia di oggi: una ragazza ha ucciso i suoi
genitori, il fratello e i nonni per un amore contrastato; questo è per dire che
quando in noi c’è un amore, a costo di uccidere tutto il mondo, non ci lasciamo
condizionare. Ora, se questo avviene nell’amore umano, prova a immaginare
nell’amore divino, quanta forza si ha per superare tutto il mondo.
Quindi noi davanti a Dio non ci possiamo mai
giustificare; infatti Gesù, nella parabola dell’invito al pranzo di nozze di
suo figlio a coloro che tendono a giustificarsi dicendo: “Io ho il lavoro;
io ho i campi; io ho i buoi; io ho la moglie”, Lui dice: “Non
assaggeranno la mia cena” , cioè: “Questo non è un valido motivo”. E nota
bene: non dicono: “Non vengo perché sono una prostituta; io sono un ladro” No!
Dicono: “Io ho il lavoro, io ho i buoi, io ho la moglie”. Eppure Gesù
dice: “Non assaggeranno la mia cena”. Vedi che è un problema d’amore?
Perché per chi ama non ci sono
condizionamenti esterni.
Eligio: Hai detto che Cristo è il “luogo” del Verbo Incarnato,
abitazione tra noi del Verbo Incarnato: è un “luogo” necessario ed è necessario
individuarlo. Una volta individuato diventa il nostro punto di riferimento e
dipende da noi andare, frequentare questo “luogo”.
Luigi: Sì, dipende da noi perché ci è stato dato a nostra
disposizione. Diventando Uno di questo mondo ci ha offerto, quindi ci offre, la
possibilità di stare con Lui sempre, perché è a nostra disposizione.
Eligio: Ma che cosa è richiesto a noi per non sciupare questa
opportunità, questa possibilità che ci è offerta e non venir meno ad essa lungo
tutta la giornata?
Luigi: Bisogna che tu abbia interesse per-; avendo interesse
per-, e trovandoti con-, questo ti carica. E questo succede anche nelle nostre
cose, nei nostri lavori o progetti. Infatti quando hai interesse per una cosa e
poi te la vedi confermata attorno, quello ti carica, perché ne vedi la
conferma. Se invece tu hai interesse per una cosa, però vedi che tutto
l’ambiente te la contraddice, ad un certo momento dubiti su te stesso, sulla
validità della cosa, ecc.
Ecco, se ti vedi confermato, tu stesso ti
senti confortato, aiutato e sempre più convinto sull’importanza della cosa, e
quindi caricato. È come la carica che tu dici di ricevere parlando tra noi.
Ora, evidentemente se tu non avessi un certo
interesse, chi ti farebbe venire qui?
Ecco, tu hai un certo interesse per Dio e poi
venendo qui hai la possibilità di trovare la conferma, un certo
approfondimento, uno sviluppo e quindi un conforto e una carica. Poi
naturalmente andando via ad un certo momento uno incomincia a scivolare (magari
in una parola, una scelta, ecc.)e poco per volta uno si scarica; questo perché entra tutto un
altro mondo, con tanti altri argomenti. Pensa che tutto quello che entra in
noi, se non è assimilato in questa carica qui, poco per volta ci porta via la
carica. Perché come trovandoci con qualcuno che ci conferma nel nostro
interesse siamo “caricati”, così se ci troviamo con un altro che ci dice il
contrario siamo “scaricati”, poco per volta quello ci esaurisce e ad un certo
momento ci troviamo di nuovo nella situazione di prima.
Quindi se noi avessimo la possibilità di
restare molto a lungo col Cristo, il Cristo di carica in carica ci porta a
questa liberazione essenziale; e ad un certo momento noi ci troviamo
assolutamente, completamente liberi da tutto e da tutti, ed è lì che gustiamo
una libertà infinita, dove si canta di
gioia.
Eligio: Comunque la sostanza del problema è questa: come
cogliere la presenza del Cristo, cioè della Parola incarnata di Dio che
dialoghi con me lungo tutta la giornata, anche quando lavoro ?
Luigi: Certo la difficoltà non è piccola, però è necessario
iniziare già la giornata riservando del tempo esclusivo proprio per fermarci
con Cristo sulle sue Parole. E poi, l’ho detto prima, se noi effettivamente
abbiamo questo amore per Lui, troveremo altro tempo durante la giornata per
stare con Lui, approfittando anche di tutti “i cinque minuti liberi” che lungo
il giorno il Signore ci concede. Lui è sempre a nostra disposizione; noi
possiamo interessarci di Lui, ci possiamo mettere ai suoi piedi, metterci a
meditare, ecc.; cioè noi dobbiamo
occuparci di Lui. Tutto ciò che noi facciamo per occuparci di Lui ci carica;
ma dobbiamo fare qualche cosa per Lui.
Lui è lì, aspetta solo te. Ora, tu puoi isolarti,
puoi metterci cinque minuti, puoi invece organizzarti e magari anche sul lavoro
trovare il modo di occuparti di Lui.
Comunque il fatto è questo: Lui è lì, siamo
noi che non ci siamo.
Eligio: Per cui è evidente che dobbiamo solo far conto su di Lui
anche sul piano pratico, operativo.
Luigi: Certo. È il far effettivamente conto su di Lui che ci
tiene uniti a Lui e ci dà la possibilità di fermarci con Lui. E più ci fermiamo
con Cristo, più Egli ci illumina e ci dà quella carica crescente di interesse
per il Padre fino a farci capaci dell’Infinito. È una carica crescente, perché,
come dicevo prima, dialogando con Lui, siamo illuminati da Lui in ogni cosa e
avvenimento; quindi è una ricarica continua, perché in ogni avvenimento, in
ogni cosa, a poco a poco Gesù ci conduce a scoprire il Pensiero di Dio in
tutto.
Pinuccia A.: Attualmente però, pur dialogando con Lui, tante volte
non si capisce il suo Pensiero.
Luigi: Ma anche se non capiamo, bisogna “lasciar fare”; lo dice
Gesù a Pietro: “Se non ti lasci lavare i piedi, non avrai parte con Me”
(Gv 13,8). In ogni avvenimento è Gesù che ci lava i piedi e dobbiamo
lasciarceli lavare: “lasciar fare” vuol dire imparare a vivere nell’iniziativa
di Dio e quindi nell’oggettività, accogliendo tutto da Dio e riportando tutto a
Lui per vederlo da Lui.
Ines: L’importante è stare con Lui, anche quando non si
capisce quello che fa o quello che dice. È un grande aiuto fermarci davanti
all’Eucarestia.
Luigi: Certo, perché nell’Eucarestia trovi la presenza fisica
del Cristo che è un grande punto di appoggio e di riferimento: il “luogo” del
Verbo incarnato; ma anch’essa di per sé non basta, se non c’è l’attrazione per
il Padre. Anche se facciamo la Comunione tutti i giorni, non basta se non si ha
lo stesso interesse che Cristo ha per il Padre e se non c’è il desiderio di
conoscere ciò che dice il Cristo nel Vangelo.
Pinuccia B.: E
per le persone analfabete che non possono leggere il Vangelo?
Luigi: Se stanno in ascolto di Dio, troveranno scritte in se
stesse tutte le parole del Vangelo. Infatti perché noi le troviamo vere? Perché
le abbiamo già in noi! Il leggere il Vangelo ci aiuta a prenderne
consapevolezza; ma chi non lo può leggere basta che si fermi a contemplare il
Crocifisso…
Ines: …o ad adorare l’Eucarestia.
Luigi: Sì, come quel contadino di Ars che passava, dopo il
lavoro, due ore in Chiesa fissando il Tabernacolo. Al Parroco che un giorno gli
chiese cosa stesse facendo, rispose: “Io guardo Lui e Lui guarda me”. Era Dio
che lo istruiva.
O come quel montanaro che svolgeva
gratuitamente la funzione del campanaro: a un tale che un giorno lo ammoniva a
farsi pagare per assicurarsi il futuro, rispose: “È Dio la mia eredità!”. Senza
saperlo, ripeteva le parole della Bibbia, quando Dio dice per la tribù di Levi
(alla quale non fu assegnata nessuna parte della Terra promessa): “Sono Io
la loro eredità” (Dt 18,2). Ha dato una risposta meravigliosa!
Pinuccia B.: Veramente!
Quindi se stiamo in ascolto del Cristo, Egli ci istruisce e ci insegna a far
conto su Dio.
Luigi: Invece senza di Lui, noi non ci sentiamo pensati, per
cui pensiamo noi al nostro futuro.
Pinuccia B.: Quindi
ciò che conta è l’interesse per Dio: è questo che ci mantiene in ascolto del
Cristo…
Luigi: … e quindi vicini a Lui come Lui è vicino a noi,
presenti a Lui come Lui è presente a noi. Infatti se hai lo stesso suo
interesse, e l’interesse suo è il Padre, sei con-presente a Lui ed è questa
con-presenza che ti carica di vita.
Pinuccia B.: Per
cui Egli diventa davvero il “luogo” della nostra vera Vita.
Luigi: Certo, perché man mano che camminiamo con Lui, Egli ci
conduce a conoscere il Padre, dal quale si vede il Verbo di Dio in tutto: lì,
dialogando con Dio in tutto, si comprende il suo Pensiero. La presenza del
Verbo allora non rimane più legata ad un “luogo”, cioè non rimane più legata
solo alla presenza fisica del Cristo, ma diventa universale. Cristo stesso
infatti, dopo la sua Risurrezione, abitua già i suoi discepoli a vederlo e a
riconoscerlo in sembianze diverse, per condurli a scoprire la sua Presenza in
ogni segno.
Allora diciamo: il Padre è in noi, la sua
Parola in ogni segno, in tutto. Conoscendo il Padre, vedremo il Volto del
Cristo in ogni cosa e quindi più nulla sarà per noi dispersivo.
Il Verbo di Dio facendosi carne ha rivelato la
sua Presenza personale tra noi.
Era presente fin da principio, poiché Dio è
sempre presente tra noi; ma prendendo un corpo ha rivelato ciò che è nascosto
agli occhi materiali degli uomini: la sua Presenza.
Facendosi carne, si è fatto realtà sensibile
per noi che viviamo di realtà sensibili, e non solo cosa o esistenza materiale,
ma essere umano, vero uomo, Persona viva tra noi.
Facendosi realtà umana sensibile, occupò un
luogo tra noi, uno spazio, un tempo; si è reso reperibile da tutti gli uomini;
abitò tra noi.
Ma per aderire a questa sua Presenza, bisogna
che ci sia una nostra dimensione interiore: il nostro cuore. Possiamo infatti conoscere tutto di Gesù,
della sua nascita, della sua vita, dei suoi discorsi, possiamo farne oggetto di
vasta cultura, ma questo non ci salva. «La carne non giova a nulla»,
Egli stesso dice (Gv 6,63).
Ciò che ci fa vedere, scoprire il Verbo di Dio
fatto carne in Gesù è la fame spirituale, è il desiderio di Dio, è l'interesse
per Dio. Ed è anche questo che ci fa
aderire alla sua Presenza. È necessaria
l'attrazione per Dio. «Nessuno può venire a Me, se non è attratto dal
Padre», dice Gesù (Gv 6,44).
È questa attrazione che ci fa individuare,
scoprire il Verbo di Dio fatto carne e ci fa restare con Lui, perché ci fa
trovare in Lui il «luogo» in cui Dio abita tra noi, punto di appoggio per
realizzare la vera vita in noi, se tale però è il nostro desiderio, perché su
questo punto, su questa pietra, possiamo edificare la nostra vita con Dio.
Infatti «il Verbo si fece carne» è
l'attuazione, in una realtà sensibile per noi, di un nostro desiderio, di un
nostro sogno: la vita in Dio, con Dio, «questa Vita che noi abbiamo visto e
toccato... » (1 Gv 1,1), scrivono gli Apostoli. Toccandola, furono salvati.
«Quanti Lo toccavano erano salvi» (Mt 14,36), ci fa sapere il Vangelo. Questo ci fa anche capire che gli uomini si
rendono schiavi del mondo e muoiono in tale schiavitù, perché non toccano la
Vita di Dio, la sua Presenza tra noi.
È la fonte della loro tristezza, anche se non
lo sanno.
Schiavi di ciò che si vede e si tocca,
possiamo essere salvati soltanto per mezzo di qualcosa che si vede e si tocca.
La carne che ci porta lontano da Dio è anche il mezzo con il quale possiamo
essere portati a Dio: se però in questa carne noi vediamo ciò che non
appartiene alla carne, al mondo: il Verbo di Dio. Poiché noi non possiamo essere salvati da ciò
che sta al disotto di noi, da ciò che dipende da noi, ma da ciò che sta al
disopra di noi, da ciò che ci trascende, da ciò che non è del mondo.
Possiamo essere salvati soltanto dal Verbo di
Dio fatto carne, poiché possiamo essere salvati soltanto per mezzo di una
realtà sensibile: non da una carne, non da una creatura, ma dal Verbo di Dio se
Lo troviamo in una realtà sensibile.
Possiamo essere salvati soltanto da Uno che è
nel mondo, ma che non è del mondo, e che pertanto non ci confermi nelle nostre
passioni per le cose del mondo e gli interessi del mondo.
Il Verbo di Dio facendosi carne è entrato nel
nostro mondo, si è fatto realtà sensibile, vero uomo e, essendosi fatto realtà
sensibile, abitò tra noi.
Occupando un posto nel nostro mondo ha dato a
noi la possibilità di trovarlo. Si è
reso disponibile per noi. «Ci è stato dato un figlio» (Is 9,5).
«Maestro,
dove abiti? » (Gv1,38), gli chiesero i primi suoi discepoli. Glielo
chiesero per sapere dove rintracciarlo.
L’abitazione è un luogo, un indirizzo e
l'indirizzo è un'offerta che ci dà la possibilità di trovare colui che cerchiamo.
Ma quando gli chiesero dove abitava, Egli, che
non è di questo mondo, li condusse a vedere il suo «luogo».
Quel giorno in cui i primi suoi discepoli
videro dove il Maestro abitava, e non era un luogo materiale poiché Egli “non
aveva una pietra su cui posare il capo” (cf Mt 8,20), fu un giorno
memorabile per la loro vita: «era circa l'ora decima» (Gv 1,39); come è
un giorno memorabile per la vita di ogni uomo quando lo scopre.
(I - 04.02.1976)
Tutti gli uomini cercano Dio, ma non sanno il
luogo dove si trova: infatti tutti cercano l'assoluto, la certezza; ma lo
cercano nelle creature, nel denaro, nella società, nelle strutture; lo cercano
nel mondo, e vogliono che questo dia loro la certezza, la garanzia, la
stabilità, la sicurezza che essi cercano.
Ma inutilmente, perché Dio solo è la certezza,
la stabilità, la sicurezza, e Dio non è il mondo, non è la creatura, e non si
confonde con la creatura e non va confuso con la creatura.
Il nostro errore di «luogo» accade perché non
abbiamo fede in Dio, nemmeno come un granello di senape: allora siamo costretti
a far conto sul denaro e sul mondo.
Dispersi dalla realtà sensibile, possiamo
essere salvati soltanto attraverso la realtà sensibile. Dio adopera il nostro errore, il mondo stesso
che ci disperde, per tracciare la strada che ci conduce alla salvezza.
Sulla nostra nota sbagliata nel concerto della
sua creazione, Dio costruisce una nuova sinfonia per farci ascoltare ciò che ha
da dirci.
In Cristo Dio ha tracciato una strada che dal
nostro deserto ci conduce alla Città di Dio.
Ma la sua Presenza non è soltanto una presenza
fisica tra noi, perché se lo fosse non avrebbe salvato niente e nessuno: non è
un prodotto dei tempi né della società di allora, né della mentalità degli
uomini, perché questo non solo non ci avrebbe recato nessuna liberazione e
nessuna salvezza, ma ci avrebbe confermato nei nostri errori e nelle nostre
passioni.
La sua abitazione tra noi è una Presenza
spirituale incarnata: spirito e vita.
Questo significa che il suo abitare tra noi non è appartenere a noi, al
nostro mondo; non è condividere la nostra mentalità, le nostre lotte, le nostre
guerre: «Io non sono del mondo», Egli afferma (Gv 17,14).
Egli è con noi, ma non appartiene a noi; non è
venuto a servire i nostri interessi, i nostri capricci, le nostre passioni.
Tutt'altro. Egli venne per distoglierci dai nostri interessi, dalle nostre
passioni, dalle nostre lotte.
Egli non condivide le nostre passioni, né per
la nostra giustizia, né per i nostri diritti, per ciò che è «mio», o per ciò che
è «tuo»; ma venne a portarci la sua Passione.
Il suo essere con noi senza appartenere a noi,
e soprattutto senza condividere i nostri interessi nel mondo, Lo porta ad
essere odiato dal mondo, Lo porta alla morte ed alla morte di Croce. «Io non
sono del mondo; per questo il mondo mi odia» (Gv 15,18-19).
Egli, pur essendo con noi, appartiene al
Padre. Lo afferma già chiaramente a dodici anni a Gerusalemme: «Non sapevate
che Io mi debbo trovare nelle cose del Padre mio?” (Gv 2,49).
Più avanti lo dirà a tutti: «Dove Io sono
voi non potete venire... Io sono nel mondo, ma non sono del mondo... il mio
Regno non è di questo mondo» (Gv 7,34; Gv 18,37).
Egli è Figlio del Padre anche nel mondo;
l'interesse suo è il Padre, la sua passione è per il Padre; la sua abitazione è
nel Padre: «nel seno del Padre». A coloro che gli chiedevano dove abitava, Gesù
rivelava loro il luogo in cui vive: nel Padre.
Non aveva altro luogo in cui riposare, altra casa: nemmeno una pietra su
cui posare il capo. La sua casa è il Padre.
Nel piano delle presenze fisiche noi possiamo
essere con qualcuno, ma questo non significa essere presenti a lui o lui essere
presente a noi. Si può essere presenti fisicamente, ma lontani col pensiero,
con l'anima. Ne deriva che se nelle
presenze fisiche il rapporto è reversibile: io sono presente a te, tu sei
presente a me, fisicamente; nelle presenze spirituali il rapporto non è più
reversibile: se Lui è con noi, non è detto che noi siamo con Lui.
La Sua Presenza tra noi ci invita, esige da
noi una presenza personale nostra, che è poi quello che ci salva. Coloro che Lo
conobbero nella carne, ma non nello Spirito, dovettero crocifiggerlo.
La sua abitazione tra noi è dunque invito,
pedagogia a realizzare la nostra abitazione con Lui: «Restate uniti a Me...
come tralcio alla vite....Senza di Me non potete fare niente......» (Gv
15,4-5).
Che cosa è necessario perché alla Sua presenza
corrisponda la nostra presenza? Cos'è
che ci fa essere con Lui? Ciò che ci fa
essere con Lui è una dimensione di pensiero, di anima, di desiderio.
Nel piano delle presenze personali la
con-presenza suppone sempre una dimensione personale: lo stesso amore, lo
stesso interesse. Se ho lo stesso
interesse di Cristo, sono con-presente a Lui che è presente. L'interesse suo è il Padre. Per questo Egli dice: «Nessuno può venire
a Me se non è attratto dal Padre».
Anche se è presente tra noi, con noi nel
nostro stesso mondo, noi non possiamo vedere il Verbo di Dio fatto carne se non
abbiamo in noi interesse per Dio: questo «centro» che è la giustizia essenziale
chiesta ad ogni uomo; tanto meno possiamo essere presenti a Lui ed intendere le
sue Parole.
(II - 11.02.1976)
L'abitazione di Dio tra noi, che è annunciata
e rivelata dal Verbo di Dio incarnato, così come è detto nel Vangelo di San
Giovanni: «... il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi», ci rivela che
la Verità di Dio è presente tra noi, nella nostra stessa terra, nel nostro
mondo di ogni giorno: «Io sarò con voi fino alla fine del mondo » (Mt
28,20), dice Gesù, e che essa non è quindi nei cieli lontani, in quelle
lontananze e astrazioni in cui le nostre colpe, il troppo pensiero di noi
stessi e degli uomini, l'hanno isolata.
«Sono le vostre colpe, i vostri peccati, che
hanno elevato distanze tra voi e Me», dice il Signore (Is 59,2). Hanno
elevato distanze isolandoci e rendendoci assente Colui che è presente; lontano
Colui che è vicino, più vicino a noi del nostro stesso cuore e della nostra
stessa gola, come dicono gli arabi del deserto: «Dio è più vicino a te della
tua stessa gola», e cioè delle tue stesse passioni.
Le nostre colpe e il troppo pensiero di noi
stessi e il far troppo conto sulle cose del mondo ci hanno accecato gli occhi e
reso astratto Colui che è Realtà viva; ci hanno indurito gli orecchi e reso muto
Colui che è «il Verbo», l'Unico che parla parole di Vita; e ci hanno reso
insensibili al punto da ritenere dimentico di noi Colui che è Amore, Carità,
Misericordia, Perdono.
Così per le nostre stesse colpe, per cui non
abbiamo più unito le opere di Dio a Dio, rifiutandoci nei nostri cuori di dare
a Dio ciò che è di Dio, noi siamo diventati figli della nostra ingiustizia e
soffriamo di una lontananza, di una assenza, di un «mutismo», di una
dimenticanza, che non sono vere, ma che le nostre colpe ci fanno sentire così.
Viviamo come «dimenticati da Dio», «non amati
da Dio», mentre in realtà siamo continuamente pensati da Lui, vivi e presenti
nel suo Pensiero, chiamati da Lui ogni giorno personalmente per nome, amati.
Siamo pulviscolo atmosferico immerso nei raggi
del Sole divino e non lo sappiamo.
In questa situazione di separazione e di
lontananza che dice il Signore? «Avvicinatevi a Me e Io mi avvicinerò a
voi», Egli dice.
Come potremo avvicinarci a Lui che è
vicino? Se le nostre parole umane e del
mondo hanno creato le distanze e ci hanno allontanati da Lui, le sue Parole,
che sono Spirito e Vita, ci avvicineranno a Lui e ci ritorneranno la sua
Presenza.
La Parola, il Verbo di Dio ci rivela Colui che
è tra noi. «Se resterete nelle mie Parole, conoscerete la Verità e la Verità
vi farà liberi », dice Gesù, il Verbo di Dio fatto carne (Gv 8,32). È Dio che rivela Se stesso, ed è
nella sua Luce che noi vediamo il suo Volto, il Volto della sua Presenza.
La Presenza di Dio tra noi è una Presenza che
non dipende dall'uomo, né dagli uomini, né dai gruppi degli uomini. Non dipende
né dalla presenza, né dall'assenza dell’uomo.
Dio è presente anche se l'uomo è assente, anche se tutti gli uomini sono
assenti. Tutti gli uomini presenti, con tutti i loro argomenti, non fanno
essere Dio presente; e tutti gli uomini assenti, con tutti i loro argomenti,
non fanno essere Dio assente.
Il Verbo di Dio incarnandosi ha rivelato la
presenza di Dio tra noi, la sua abitazione in noi. È il Verbo di Dio che rivela
la presenza di Dio, toccare la quale è salvezza per gli uomini. «Quanti Lo
toccavano erano guariti da tutte le loro infermità», dice il Vangelo.
Evidentemente si tratta di un toccare più
profondo di quello che possiamo intendere noi e di quanto intendevano tutti
quegli uomini di allora che pur toccandolo secondo la carne o ascoltandolo
secondo gli orecchi umani, non solo non furono guariti, ma dovettero rifiutarlo
e crocifiggerlo. Non toccavano e non
ascoltavano il Verbo che rivela la Presenza di Dio: quel Verbo che parlando
nella carne diceva: «Chi vede Me vede il Padre mio e chi ascolta Me ascolta
Colui che mi ha mandato»(Gv 14,9-10).
Se il toccare la presenza di Colui che abita
tra noi è salvezza per gli uomini, qui troviamo il significato della «buona
novella», di quel lieto annunzio, «evangelo», che gli angeli di Dio diffondono
sulla terra nella notte santa con la nascita di Gesù a Betlemme.
La buona notizia per ogni uomo è «Dio tra
noi». Qui è il mistero di grazia che è annunciato a tutti gli uomini sulla
terra e che ogni uomo deve «toccare per essere salvo»; mistero che
Maria, la Madre di «Dio tra noi», ci conduce a scoprire, come è detto: «Beati
i puri di cuore perché questi vedranno Dio».
La presenza di Dio è grazia di Dio, pienezza
di grazia, diffusa tra noi dal Verbo di Dio fatto carne; poiché se la Legge fu
data da Mosè, la grazia e la Verità ci sono date in Gesù Cristo. «Nessuno ha
mai veduto Dio, l'Unigenito Figlio di Dio, che è nel seno del Padre, Egli
stesso ce lo fa conoscere» (Gv 1,18).
(III - 18.02.1976)
Il Verbo di Dio, incarnandosi, venne ad
abitare «tra noi», ma non «con» noi. Venne nel nostro mondo, ma non per essere
del nostro mondo, non per appartenere al nostro mondo. Continuamente Egli
ripete: «Io non sono del mondo... voi siete di quaggiù, Io sono di lassù» (Gv
8,23).
Egli venne nel nostro mondo non per
appartenere al nostro mondo, ma per recarci il suo mondo: «affinché dove Io
sono, siate anche voi» (Gv 17,24).
Evidentemente dove Egli è non è dove siamo
noi. Sostanzialmente noi siamo dove Egli
non è. Il Verbo di Dio incarnandosi non
venne ad abitare nelle nostre «abitazioni», ma portò tra noi la sua
«abitazione». Egli venne a portare tra le nostre abitazioni, la sua abitazione.
Ognuno abita in ciò per cui vive. Chi è che abita in Dio?
Se il Verbo di Dio fosse venuto ad abitare
«con» noi, avrebbe condiviso i nostri lavori, i nostri interessi, le nostre
preoccupazioni, le lotte per i nostri diritti e le nostre politiche, avrebbe
operato per la nostra abitazione in terra, per la costruzione della nostra
città umana. Ma in tal caso non avrebbe salvato nessuno, anche se avesse dato
tutta la sua vita per gli altri.
Invece: niente
di tutto questo. Anzi Egli venne a
portare via gli uomini dai loro affari nel mondo: «Venite dietro di Me: vi
farò pescatori di uomini» (Lc 5,10).
Egli venne a portare via gli uomini al mondo: «Se
Io fossi del mondo, il mondo mi amerebbe; e se voi foste del mondo, il mondo vi
amerebbe; ma Io vi ho portati via al mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv
15,19).
Egli dice a tutti: «Chi vuol venire dietro
di Me, rinneghi se stesso, lasci tutto ciò che ha » (cf Lc 9,23). E
conclude dicendo: «Il mio Regno non è di questo mondo» (Gv 18,36).
In una delle sue parabole più severe (e quindi
più salutari per la nostra vita e la nostra liberazione), Gesù condanna coloro
che a motivo del lavoro, dei campi, dei buoi, della casa, della famiglia, non
ebbero tempo per occuparsi di Dio e del suo Regno (Lc 14,15-24). Immersi nei loro pensieri di ogni giorno, non
si preoccuparono di cercare Dio e la loro vita in Dio. «Non assaggeranno la
mia cena», dice di costoro Gesù.
Cioè la loro vita è fallita e per loro e in loro è fallita tutta la
preparazione di ciò che è stato preparato per farli giungere al compimento del
loro destino: conoscere la Verità di Dio e gustare la pienezza di grazia, di
Verità, di Vita ch'è Dio.
Il Verbo di Dio facendosi carne venne dunque
ad abitare «tra» noi, ma non «con noi». Il Verbo abita nel seno del Padre.
Venendo ad abitare «tra» noi, continuò ad abitare nel seno del Padre, «con» il
Padre. Egli portò «tra» noi la sua
abitazione «con» il Padre.
Pur essendo «tra» noi, Egli continuò ad essere
«con» il Padre, e restò “tra” noi senza abbandonare un istante il suo essere
“con” il Padre: «Io ed il Padre siamo una cosa sola», Egli dice (Gv
10,30). La sua vita è il Padre.
Il Padre, questo abisso di Luce dell'Essere
infinito, è pienezza dell'Essere che solo un silenzio infinito e unigenito
contempla e comprende, il Verbo di Dio appunto che è nel seno del Padre. Per
questo il Vangelo di S. Giovanni dice: «Nessuno ha mai visto Dio;
l'Unigenito Figlio che è nel seno del Padre ce lo ha fatto conoscere e lo fa
conoscere ancora affinché l'amore con cui è amato sia in noi e Lui in noi» (Gv.
1,18; cf. G. 17,26). È la missione del
Figlio, il quale fa conoscere a quanti, attratti dal Padre, L'ascoltano e Lo
seguono, il Padre, poiché il Padre ama tutti gli uomini e vuole che essi
abbiano vita, e sovrabbondanza di vita, ed abbiano in se stessi quello stesso
amore con cui il Padre ama il Figlio.
La rivelazione della abitazione del Verbo di
Dio «tra» noi acquista allora un’importanza fondamentale per ogni uomo, poiché
è grazia di Dio, pienezza di grazia e di Verità diffusa tra noi dal Verbo di
Dio fatto carne; poiché se la Legge fu data da Mosè, la conoscenza di Dio ci è
data dall'Unigenito Figlio di Dio che è nel seno del Padre, che abita nel Padre
e che, incarnandosi, venne ad abitare «tra» noi portandoci la sua abitazione
nel Padre, rendendocela reperibile.
Ci ha reso cioè accessibile, vicina, la casa
del Padre. Qui sta la grande importanza della «salvezza», della «redenzione» e
della «liberazione» che Cristo ha recato agli uomini: la vita nel Padre. È la sua stessa Vita ch'Egli ci dà.
La rivelazione della presenza del Dio «tra»
noi, il Verbo di Dio fatto carne, è istanza a vivere «con» Lui, il quale vive
nel Padre, poiché Egli non è venuto ad abitare «con» noi, ma è venuto ad
abitare «tra» noi con la sua abitazione, per darci la possibilità, la sua
grazia, di abitare «con» Lui nella casa del Padre.
La quale casa è una «casa di preghiera»
e non un luogo di affari, di interessi, di traffico, che Gesù chiama «spelonca
di ladri»(Gv 2,25).
È una casa in cui si vive come figli del
Padre, in cui si gode della Luce, della sicurezza, della pace di Dio, in cui ci
si riposa al riparo delle ali di Dio e dove si ha la possibilità di restare
sempre «con» Dio.
(IV - Fine 25.02.1976) (Articoli scritti e pubblicati su “La
Fedeltà” da Luigi Bracco)
Dio è tra noi, con noi: è stato l'annuncio del
Natale. Un annuncio per tutte le genti
di ogni luogo e di ogni tempo, poiché la presenza di Dio tra noi e in noi è il
mistero centrale della esistenza umana, e quindi il mistero della vita di ogni
uomo. Qui è la fonte di ogni nostro problema, ma qui, e solo qui, è anche la
soluzione di esso.
Ogni cosa si conosce nel suo principio e si
risolve in esso. Quanto più invece le cose si allontanano dal loro principio,
tanto più danno luogo al sorgere di problemi.
Dio è presente in tutto e opera in tutto.
Tutto viene da Dio e tutto fa ritorno a Dio.
Tutto è opera di Dio.
Il Pensiero di Dio è il centro dell'universo,
il principio e il fine di tutte le cose. Il Pensiero di Dio è il vertice dei
tempi e il senso di tutto ciò che esiste, è l'anima di tutto. Fintanto che noi non abbiamo imparato questo,
ci aggiriamo come analfabeti tra le pagine della creazione di Dio: tutto per
noi, anche i fatti di ogni giorno, è scritto in una lingua straniera per noi
incomprensibile.
“Noi esistiamo, viviamo e ci muoviamo nel
Pensiero di Dio” (At
17,28). È Lui che in tutto parla a noi,
personalmente con ognuno di noi, poiché è Lui che opera in tutto. “Tutto è
stato fatto per mezzo di Lui” (Gv 1,3) e tutto ancora oggi è fatto per
mezzo di Lui. Per questo in tutto c'è
qualcosa di eterno che giunge a noi, si annuncia e parla. È il Verbo di Dio tra
noi.
Ma che Dio sia con noi non vuol dire che noi
siamo con Lui. Qui il concetto di reversibilità dei nostri schemi matematici o
logici non vale, poiché se Dio è sempre con noi, non sempre noi siamo con Lui.
Così accade che non vediamo la Verità che pur è sempre con noi. Così accade che la Luce splenda nelle tenebre
e che le tenebre non La vedano, e tanto meno La comprendano.
Tutti i nostri guai e le nostre difficoltà sul
cammino della vita stanno qui, in questa nostra incapacità di restare con Colui
che è con noi. Incapacità di accogliere il messaggio di Natale, di restare in
esso e di portarlo avanti. Dio è presente; noi siamo assenti. È il nostro
dramma.
Noi siamo là dove abbiamo il nostro interesse
principale, il nostro cuore, il nostro amore, le nostre ambizioni. Qui si
rivela il luogo della nostra vita o della nostra morte; qui si rivela anche la
nostra vera fede, che è sempre molto diversa da quella che noi crediamo o
recitiamo di avere.
Per essere con Dio dobbiamo avere la nostra
attenzione, il nostro interesse principale a Dio. Bisogna cioè lasciare il nostro gregge, la
nostra carovana di abitudini e di routine
in cui facciamo morire ogni nostra giornata. Bisogna lasciare il nostro mondo e
rivolgere tutta la nostra attenzione a Dio. È la condizione per essere presenti
a Colui che è presente, per ascoltare Colui che ci parla.
Le distanze tra noi e Lui non sono fuori di
noi, né appartengono allo spazio e al tempo, ma sono dentro di noi e
appartengono al campo dei nostri interessi e dei nostri pensieri. Niente crea
maggiori distanze tra gli uomini quanto interessi diversi.
Per cui la distanza che ci separa dal Dio tra
noi non è per noi maggiore di quella che dovettero superare i pastori per
lasciare il loro gregge e giungere alla grotta di Betlemme; né è maggiore di
quella che dovettero superare Maria e Giuseppe per lasciare la loro carovana e
cercare il Bambino Gesù per tre giorni a Gerusalemme; né è maggiore di quella
che dovettero superare i Magi dell'Oriente per seguire la stella che li guidava
a Betlemme; né è maggiore della distanza che deve superare colui che ama per
incontrarsi e vivere con l'essere amato.
Il Verbo di Dio incarnandosi ha posto la sua
dimora in mezzo a noi, ha occupato un “luogo” per noi per darci la possibilità
di andarlo a trovare tutte le volte che vogliamo. Il “luogo”, in cui è il Verbo
di Dio, è il Cristo. In Cristo Egli ha cancellato tutte le distanze di tempi,
di luoghi, di strutture, di mentalità, di ambiente che separano gli uomini da
Dio. Si è fatto vicino ad ogni uomo che sinceramente abbia fede e interesse per
Dio, e ne ha fatto un solo problema d'amore.
Con l'incarnazione del Verbo di Dio non ci
sono dunque vicini o lontani da Lui: e chi ne facesse problema di distanza o di
tempo, implicitamente denuncerebbe il suo interesse per altri amori e altra
vita. Le distanze in realtà sono state cancellate, i muri abbattuti. Resta solo
la distanza tra il nostro amore e il suo, tra il nostro pensiero e il suo
Pensiero, tra le nostre parole e le sue parole. Ma questa distanza è un fatto
personale di ognuno con Dio, non di Dio con ognuno. Se la distanza tra noi e
Lui è solo quella personale, la salvezza ch'Egli ha recato è universale,
offerta a tutti allo stesso prezzo. Il Verbo di Dio fatto carne “dà a tutti
gli uomini, a quanti Lo accolgono, la possibilità di diventare figli di Dio” (Gv
1,12) senza eccezione alcuna: poveri o ricchi, peccatori o giusti, bianchi o
negri. Il Verbo di Dio tra noi inaugura la comunione con Dio, inaugura la vita con quanti Lo
ascoltano.
(I - 03.01.1979)
Cristo, Parola di Dio incarnata, è venuto ad
abitare tra noi per farci ritrovare la luce di Dio, e quindi per togliere la
distanza tra noi e Dio. Per questo si è fatto figlio dell'uomo.
Ad uomini schiavi del corporeo perché non
hanno occhi che per il materiale e il corporeo, il Verbo di Dio si è rivelato
nel corporeo per salvarli, perché chi è schiavo di una cosa può essere salvato
solo per mezzo di essa: chi è schiavo del corporeo può essere salvato solo per
mezzo del corporeo.
Per questo il Verbo di Dio ha preso una natura
corporea e si è fatto carne. Dovette
cioè occupare un posto determinato sulla nostra terra e un tempo della nostra
storia e volere come sua gente una gente tra le tante. Necessariamente, poiché
il corporeo è tale in quanto è parte e non tutto, è localizzato e non
universale. Universale è lo Spirito. Dio
è Spirito.
Ma se il Verbo di Dio fatto carne ha occupato
un posto ed ha messo la sua tenda tra una gente, non si è fatto più vicino a
questi che a quelli, poiché la salvezza che Egli ha recato è per tutte le
genti; né la sua salvezza è limitata ad un tempo per il fatto che ha occupato
un tempo della nostra storia, ma si estende per tutti i tempi. Nel frammento
c'è il tutto.
C'è quindi un legame che unisce il frammento
al tutto, il corporeo allo spirituale; così c'è un legame che unisce tutti i
luoghi e tutti i tempi a quel luogo ed a
quel tempo in cui il Verbo di Dio si è manifestato tra noi.
E se c'è un legame tra tutti i luoghi e quel
luogo, tutte le cose e tutti i fatti sono sentieri che conducono al Cristo gli
uomini di buona volontà di ogni tempo e di ogni luogo, indipendentemente dalle
condizioni ambientali in cui vengono a trovarsi.
Come ubbidendo ad una stella i Magi
dell'Oriente giunsero a vedere il Bambino Gesù con sua Madre, così Dio conduce
ogni uomo che ha interesse per Lui da quei luoghi in cui non si vede la sua
presenza a contemplare il mistero della sua Presenza, e quindi alla sua
salvezza. Passaggio dal segno alla
Realtà.
La Parola di Dio, che si fa sentire ad ogni
uomo, è anticipazione di quella Realtà che oggi non si vede tra le cose
apparenti, ma che già è operante in tutto e che domani si imporrà su di noi,
nonostante noi.
In quanto anticipazione è invito a prepararci
a conoscerla prima che si imponga, cioè invito a partire per andare a vedere
ciò che ancora non si vede: il mistero del Regno di Dio, che in Cristo si è
fatto vicino e quindi accessibile ad ogni uomo.
Per questo la distanza che dovettero superare
le genti di allora per giungere a Cristo non fu più breve, né più lunga, della
distanza che dobbiamo superare noi per giungere a Lui. La fatica è uguale,
poiché ciò che ci separa da Lui è uguale a ciò che separava da Lui allora
quelle genti: il passaggio dal pensiero dell'io al pensiero di Dio. Dio non fa
preferenze di persone, ma tutte chiama alla conoscenza della sua Verità e
quindi impegna tutti personalmente sullo stesso cammino e li pone tutti di
fronte alle stesse difficoltà.
Il problema vero di ogni uomo è uno solo: Dio,
senza il quale nessun altro problema può veramente risolversi. Qui sta l'unica
cosa necessaria.
Con l’incarnazione del Verbo di Dio le
distanze che separano gli uomini da Dio non sono più distanze di tempi, di
luoghi, di ambiente, ma soltanto distanze d'amore: non da parte di Dio, poiché
Dio ha eliminato in Cristo ogni distanza ed ha abbattuto ogni muro, ma da parte
degli uomini che non hanno amore e quindi non hanno interesse per Dio.
Il Verbo di Dio si è fatto figlio dell'uomo
non per approvare o condividere le passioni degli uomini; non è venuto per
sostenerli nelle loro rivendicazioni, nei loro interessi, nei loro diritti, ma
è venuto per farli uscire dai loro amori
e portarli nell’amore per Dio.
I Magi avevano visto sorgere la stella del
Messia, un annuncio di Dio per loro, ed erano venuti a cercarlo. Evidentemente
erano venuti a cercarlo perché erano interiormente interessati per Dio.
Se non c'è questa attrazione per Dio, tutto il
problema della vita spirituale perde la sua sostanza e tutto ciò che è
religioso diventa tradizione, abitudine, recitazione e convenienza, rapporto
liturgico con cui l'uomo si crede dispensato da ogni ricerca e da ogni
conoscenza di Dio, dispensato cioè da un contatto personale, vivo e vero, con
Dio.
Un lungo cammino fu quello dei Magi per
giungere a Betlemme, una vera migrazione spirituale, simile a quella di Abramo,
dietro un annuncio, dietro un messaggio che parlava loro di Dio. Tutto questo
fu per insegnarci che per giungere a vedere il mistero della presenza di Dio
tra noi è necessario avere interesse per Dio, ma è sempre anche necessario
partire dal nostro mondo sociale mosso da ideologie e convenienze, per
impegnarci personalmente sul cammino segnato dalle Parole di Dio.
(II – 10.01.1979)
Il Verbo di Dio incarnandosi inaugura la
rivelazione della comunione di Dio con gli uomini, per cui Dio non è soltanto
il Trascendente, ma è anche l'Onni-Presente, il Sempre-Presente e
Tutto-Presente: una comunione con gli uomini che inizia con l'annuncio di
Betlemme e si conclude sul Calvario.
Una comunione che non è più intima e vicina a
Betlemme che sul Calvario: essa non viene meno neanche con Cristo morto, che
rappresenta il Dio morto in noi, poiché la sua morte, il suo silenzio e il suo
vuoto tra noi sono ancora una sua terribile presenza, e quindi una sua
terribile comunione.
La Verità non è il prodotto del consenso degli
uomini, né può essere sancita o modificata dalle maggioranze; il Volto di Dio
nell'uomo è un'immagine immortale. Per
cui il rapporto tra Dio e l'uomo è un rapporto perenne, ineludibile, indelebile
da parte dell'uomo, poiché non è stabilito dall'uomo ma da Chi ha fatto l'uomo.
Tale rapporto impone all'uomo un cammino, una
ricerca, un passaggio da tutto ciò che non è Dio a tutto ciò che è Dio. Richiede tempi di silenzio e di meditazione.
È un cammino lungo, duro, paziente; ma bisogna
farlo, con coraggio e decisione, perché solo così si cammina verso il fine del
nostro destino. È “un viaggio del cuore
verso Dio”, come diceva Papa Luciani.
È proprio in questo rapporto che l'uomo
diventa un bisogno di interiorità, di raccoglimento, di silenzio; bisogno di
fermarsi ai margini delle strade del mondo per capire il significato delle cose
che gli accadono. Le cose sono parole di Dio e le parole di Dio sono annuncio
di una realtà che ancora non vediamo, perché i nostri occhi non sono ancora in
grado di vederla, ma che è già tra noi: Dio onnipresente. È Dio che interviene
dall'esterno per trasfigurarci nell'interno e renderci capaci di vedere ciò che
non è apparenza ma realtà.
Quindi le parole di Dio sono anticipazione di
quella Realtà che domani si imporrà su di noi nonostante noi, ed in quanto
anticipazione sono invito a prepararci a conoscerla prima che si imponga e ci
travolga, cioè invito a partire per andare a vedere ciò che ancora non si vede:
il mistero del Regno di Dio, che è “vicino” (Mc 1,15), quindi
accessibile, ad ogni uomo.
È proprio per opera di questo Regno di Dio tra
noi che le parole degli uomini passano, cadono nell'abisso del nulla, mentre le
Parole di Dio diventano sempre più vere, sempre più rispondenti ai veri bisogni
della mente e del cuore dell'uomo, fino a quando il mistero di Dio sarà
compiuto in noi.
L'annuncio di esso è per tutti: le stelle
brillano nel cielo di tutti per dire a tutti che sono stati creati per
conoscere Dio e che debbono preoccuparsi di conoscere Dio e non passare la vita
invano dietro cose che passano.
Ma è necessario che l'uomo esperimenti la sua
povertà, il suo niente e quindi cessi di correre sulle strade del mondo e si
fermi, ché ben altre sono le strade sulle quali Dio vuole che egli cammini, e
sono le strade dello Spirito. Dio poi non lascia mai mancare il suo aiuto a chi
credendo in Lui e ascoltando le sue Parole Lo cerca con tutto il suo cuore.
Ma è sempre un venir da lontano, dagli aridi
deserti di una vita vuota e senza senso per l'esperimentazione del nulla dei
valori e degli argomenti del mondo; è sempre un venir da tutta una nostra
povertà sofferta e smarrita quando ci si apre all'attenzione, all'interesse,
all'ascolto della Parola di Dio e quindi all'incontro con Cristo.
“Ammalati quali siamo, abbiamo bisogno del
Salvatore; smarriti, abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi; ciechi, abbiamo
bisogno di Uno che ci porti la luce; assetati, abbiamo bisogno della sorgente
viva, bevendo alla quale uno non ha più sete; morti, abbiamo bisogno della
vita: Cristo”, scriveva Clemente di Alessandria. Senza questa povertà non c'è vera preghiera
nell'uomo, ma recitazione; non c’è amore, ma regola e abitudine; non c'è
ricerca Dio, non c'è invocazione, non c'è pianto, poiché per venire a vedere
ciò che è annunciato è necessario camminare molto e pazientemente; e per
camminare è necessario partire, e per partire bisogna lasciare tutto un nostro
mondo e quindi accettare di essere poveri. Solo il povero cammina nelle cose
essenziali.
Povero è colui che non litiga e non contesta
per le cose del mondo, perché sa che solo presso Dio è la sua vita, la sua
sicurezza, la sua liberazione. Povero è colui che ha fame e sete di Dio, per
cui non ha altro interesse che l'interesse per Dio, e non ha altro argomento
con il mondo che le cose dello Spirito. È questa la porta amica che apre
l'immensa panoramica della vita con Colui che è Trascendente e Presente.
(III – 17.01.1979)
La luce di Dio, con i suoi annunci e i suoi
richiami, penetra nelle anime umane e nella vita di ogni uomo; ma occorrono
anni e anni di prove, di delusioni, di contraddizioni perché l’uomo ne
riconosca lo splendore. È necessario infatti attendere che si spengano in noi
una dopo l'altra tutte le luci artificiali accese dalle parole umane per
rispondere all'urgenza dell'assoluto che preme nella vita dell'uomo: bisogno di
ritrovare al di là di ogni cosa, di ogni segno, di ogni dubbio e di ogni
dolore, una sicurezza.
È per l'esigenza dell’assoluto, del divino,
ineliminabile nell'uomo, è per il nostro destino fatto per l'eterno, che noi
tendiamo tutti a qualcosa che non tramonti, a un posto, a uno stipendio, a una
posizione, a una carriera stabile che ci dia la tranquillità per tutto
l'avvenire.
Uno dei peccati del nostro tempo è la ricerca
della sicurezza in cose che passano, è voler fare un patto di amicizia con le
creature senza aver fatto prima un patto di amicizia con il Creatore.
Il patto di amicizia fra gli uomini e degli
uomini con tutta la creazione ne sottintende uno che fa da fondamento ad esso:
quello dell'amicizia degli uomini con Dio.
Ne deriva che l'uomo è colpevole non in senso politico e sociale, ma in
senso metafisico, in rapporto a Dio.
Ogni uomo è fatto per questo rapporto di
amicizia con l'Assoluto, con l'Eterno, con Dio, e porta in sé la nostalgia di
tutto questo, una nostalgia che non può soffocare. Qui soltanto, nella Verità di Dio, è la sua
abitazione, e fintanto che non la trova si sente sempre fuori, lontano,
straniero ovunque vada. Essere lontano
da casa è trovarsi in luoghi di ansia, di incertezza.
È qui che il Verbo di Dio si incarna e viene
ad abitare tra noi. Egli riporta vicina
a noi quella nostra Casa che noi abbiamo smarrito.
Il Verbo di Dio assumendo la natura umana
nella sua totalità, e quindi in tutto il suo mondo, ci impegna a non
considerare nulla separato da Dio, nulla in modo autonomo, poiché non esiste
nulla delle realtà terrestri che non sia riferibile a Dio, poiché Dio è
presente ed operante in esse.
Il Verbo di Dio incarnandosi ha annunciato la
presenza di Dio tra noi, l'ha rivelata, e quindi ha reso sacre tutte le cose;
per cui noi non possiamo secolarizzare niente senza una nostra colpa
personale. Egli non è sceso nel mondo
perché noi ci immergessimo nel mondo, ma perché noi superassimo il mondo e
ritrovassimo la via della nostra Casa.
Incontrare il Verbo di Dio fatto carne, è
trovare la via di Casa, è avere il Regno di Dio vicino, accessibile. È Lui che
ci libera dalla schiavitù e dalle strumentalizzazioni di un mondo vano in cui
si vive senza senso, senz’anima, senza pensiero. È solo Lui che libera
veramente l'uomo: «Sarete veramente liberi solo se il Figlio di Dio vi avrà
liberati»(Gv 8,36).
La perdita dell'assoluto da parte dell'uomo è
sempre una perdita di significato, anche quando la nostra vita nel mondo è un
successo. Non vi è successo al mondo che possa dare significato alla nostra
vita di fronte alla nostra anima ed alla nostra coscienza fatte per
l'assoluto. E la perdita di significato
è la perdita di identità. Accade così che volendo pensare a noi stessi e
cercare il nostro successo, giungiamo alla perdita di noi stessi, e quindi alla
morte.
Gli uomini possono eludere la vita, non la
morte; possono non scegliere, non amare; possono rifiutare l’impegno con Dio,
non possono rifiutare l’impegno con la morte e la mancanza di significato della
loro vita. Possono staccare una foglia dall’albero, non la possono riattaccare,
e non potendo riattaccarla, restano con una foglia morta in mano per causa
loro; restano cioè con il loro peccato tra le mani che non possono ignorare.
Gli uomini possono rifiutare la vita, ma non
possono non assistere alla sua dissoluzione; possono trascurare Colui che è
centro di tutto, ma non possono sfuggire al dubbio ed alla incertezza; possono
rifiutare lo Spirito, ma non possono sfuggire alla schiavitù della materia. Questo è più che sufficiente per dimostrare
loro la Verità di Dio.
È solo il Verbo di Dio incarnato che ci porta
nella libertà dei figli di Dio e dà a noi la libertà dello spirito di chi
conosce e possiede la Verità: «dulcissima libertas» di cui già parlava S. Ilario di Poitiers nel
sec. IV.
Di uomini che vivono per cose che passano Egli
fa uomini che vivono per cose eterne.
Cristo è venuto per questo, per insegnare agli uomini, a tutti gli
uomini di ogni luogo e di ogni tempo, le cose di Dio e del suo Regno, affinché
più nessuno abbia a trovarsi lontano da quella Verità per conoscere la quale
ogni uomo ha avuto l'esistenza in questo universo meraviglioso e sconvolgente.
(IV – 24.01.1979)
Il Verbo di Dio venendo a vivere tra noi ed a
parlare con noi la sua Verità assoluta, ha eliminato tutte le distanze tra gli
uomini e Dio; quelle distanze che ci lasciano in balìa delle paure del nostro
disorientamento in un mondo senza sicurezze, perché non può darle. «Chi
viene dietro di Me non cammina nelle tenebre», Egli dice (Gv 12,46).
Il Verbo di Dio tra noi pone il mistero di Dio
di fronte a noi e ci interpella dandoci la capacità di rispondere. Con Lui
tutti coloro che lo vogliono possono, ascoltando e ritenendo le sue lezioni,
accedere alla Verità spirituale e possedere la loro anima sottraendola alla
strumentalizzazione degli altri, e quindi trovare la loro libertà, perché Dio
ama veramente l'uomo ed opera in tutto, fino al dono totale di Sé per
illuminarlo, liberarlo, salvarlo e renderlo capace di Vita eterna.
Il Verbo di Dio è sceso nel mondo non perché
noi ci immergessimo nel mondo, ma perché
per mezzo di Lui superassimo il mondo.
Egli infatti scendendo nel mondo si è fatto strada per i nostri passi verso il
Cielo di Dio. È la funzione della Parola di Dio. Infatti la Parola di Dio è
strada per l’uomo. Strada per che cosa? Una strada vale in quanto conduce ad un
certo luogo. Una strada che non conduce in
nessun luogo non ha senso, non è più una strada. La Parola di Dio è strada
che conduce alla Città di Dio.
Il Verbo di Dio venendo nel mondo si è fatto
strada per condurci a Dio. La meta dunque non è il mondo, ma Dio, che
trascendendo tutte le cose e tutte le creature ci impegna a trascendere ogni
cosa del mondo e quindi anche ogni problema ed ogni preoccupazione di esso,
così come dice il Prefazio di Natale: «Per mezzo del Verbo incarnato una
nuova luce della tua gloria risplende davanti agli occhi del nostro spirito,
affinché, conoscendo Dio visibilmente tramite il Verbo, siamo rapiti verso
l'amore delle cose invisibili». È
questo lo scopo del Verbo di Dio tra noi: «affinché siamo rapiti verso
l'amore delle cose invisibili».
H.U. von Balthasar commenta: «Due cose sono
qui da evidenziare. Anzitutto gli occhi del nostro spirito che Dio colpisce con
una nuova luce e che possono conoscere visibilmente un oggetto, che
propriamente è Dio, ma Dio trasmesso per mezzo della figura del Verbo
incarnato. In secondo luogo un trasporto, un rapimento che deriva da questa
visione e che ci immerge nell'amore per le cose invisibili, divenute
giustamente percepibili proprio in tale manifestazione visibile». Se dunque
conoscendo Cristo noi non passiamo all'amore delle cose invisibili, rendiamo
inutile, vana, la missione del Verbo di Dio tra noi.
Incontrare Cristo, per chi non ha indurito il
suo cuore verso Dio, è inaugurazione di una vita nuova che il mondo non sa e
non esperimenta, perché non la può vedere e non la può capire. È la
realizzazione della nuova alleanza annunciata da Dio per mezzo dei profeti: «Porrò
le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori: Io sarò il loro
Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ger 31,33).
Solo questa vita nuova con Dio rende la terra
abitabile e sopportabile dall'uomo. Ma la parte essenziale e decisiva di tale
vita trascende i limiti dell’ orizzonte esterno e si svolge tutta nel segreto
dell'anima in dialogo non più con le parole degli uomini, ma con le parole di
Dio. Per questo è necessario imparare ed
abituarci a confrontare i nostri pensieri e i nostri argomenti e preoccupazioni
non con le parole e giudizi degli uomini, ma con le Parole di Dio e con la sua
Volontà, questo Verbo interiore che balena nel santuario invisibile della
nostra coscienza quando ci rivolgiamo al nostro Padre celeste. È questa
l'interiorità in cui Dio abita e in cui non bisogna temere di entrare e di
raccoglierci, chiudendo la porta ad ogni altra voce, se vogliamo udire la
Parola che convince le menti e vedere la luce che illumina e trasfigura tutta
la nostra vita e il nostro mondo.
Non è saggio dare tanto di noi alle cose
esteriori e poco alle cose interiori, parlare tanto delle cose di fuori e
niente delle cose dentro; non è saggio occuparci molto degli uomini e poco di
Dio. «In ciò che ha veramente valore, l'interno è più vasto dell'esterno»,
scriveva G.K. Chesterton. Il mondo interno è più vasto, più vero, più valido
del mondo esterno.
Bisogna quindi raccoglierci lungamente nel
silenzio, con un lavoro personale e continuo di assimilazione in Dio delle cose
ascoltate per poterle vedere nella sua Luce. È nella contemplazione che la
nostra anima giunge alle idee ben chiare sulla Verità e attinge la sapienza
della Vita. Solo ciò che si fa contemplazione diventa vita e liberazione
dell'uomo. La contemplazione di Dio è più necessaria a questo povero mondo di
tante opere esterne.
(V – 31.01.1979 - Fine)
(Articoli scritti e pubblicati su “La
Fedeltà” da Luigi Bracco)