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E il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi;  Gv 1 Vs 14 Secondo tema


Titolo: E abitò fra noi.


Argomenti: Quello che è avvenuto va realizzato in noi. Cosa vuol dire abitare?  Dove abita Dio? Se il Verbo di Dio ha occupato un punto, ha occupato tutto. Noi siamo contemporanei di Cristo. Essere con-.

E ABITÒ FRA NOI. IL VERBO CHE È TRA NOI.


 

14/Novembre/1975


Luigi: Siamo giunti al v. 14  del cap. I del Vangelo di S. Giovanni: “Il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi…”. La volta scorsa ci siamo soffermati sulla prima parte: “Il Verbo si è fatto carne”; adesso dobbiamo fermarci sulla seconda parte: “…abitò tra noi”.

Il tema questa sera è quello della abitazione. Il temine abitare, dimorare, presuppone un luogo.

Eligio: L’Evangelista dicendo “abitò tra noi”, lo dà come un dato di fatto irreversibile, mentre per la creatura non è così, perché questa abitazione di Dio tra noi la creatura la può rifiutare. Mi chiedo come mai Giovanni usi un’affermazione così categorica: “abitò tra noi”, mentre per molti il Verbo incarnato non abita tra noi.

Luigi: Abbiamo visto la volta scorsa che tutto ciò che è avvenuto nella vita di Cristo è rivelazione di ciò che è e che noi non vediamo; è annuncio di un fatto futuro per noi e che è la Realtà.

Quindi in questa affermazione: “abitò tra noi” c’è un dato di fatto che non dipende da noi e che quindi si impone a noi, e nello stesso tempo (come abbiamo visto la volta scorsa riguardo all’Incarnazione) c’è un dato che è un  invito ad adeguarci per trasformare la nostra vita in una dimensione nuova: la dimora con il Verbo come “era” in principio. Cioè abbiamo un evento che è avvenuto e che si impone, ma che è anche invito e pedagogia per un evento che deve avvenire in noi, ma che non avviene senza di noi.

Quindi quello che è avvenuto ci invita a modificarci in modo da realizzarlo in noi, per cui la sua abitazione tra noi (che ci è annunciata) è invito, pedagogia, a realizzare la nostra abitazione con Lui.

In tal modo il Verbo che abita tra noi diventa un punto di riferimento, un punto di appoggio per realizzare in noi quella vita secondo Dio e con Dio che noi sogniamo.

Abbiamo dunque questo annuncio che ci rivela un dato oggettivo: Dio è sempre con noi, tra noi, perché abita in noi. Abbiamo cioè un’abitazione di “Dio con noi”, e questo già fin dal primo giorno della creazione. Anche nell’Antico Testamento continuamente il Signore per bocca dei Profeti dice: “Io abito in mezzo al mio popolo.. Io sono presente con voi…Io  opero in voi..”. C’è sempre questo continuo richiamo all’abitazione di Dio nell’uomo. Noi sappiamo che Dio non abita in cieli lontani, ma abita nell’uomo, perché Dio è Spirito e quindi abita nello spirito dell’uomo.

S. Agostino precisa ancora e dice: “Dio abita in te se tu lo desideri”; però in questa sua espressione, a nostro avviso, c’è un elemento troppo soggettivo, perché Dio abita nell’uomo anche se l’uomo non lo desidera, ed è Lui che si fa desiderare. Ed è proprio questa sua abitazione in noi che suscita in noi il desiderio di Lui; però può anche suscitare la ribellione, ma anche la ribellione è ancora un segno della sua abitazione in noi.

La sua abitazione in noi è dunque un dato oggettivo che s’impone, come s’impone la presenza fisica nostra in questa stanza.

Però la nostra presenza fisica non è detto che corrisponda ad una presenza nostra spirituale qui. Noi siamo presenti fisicamente, ma spiritualmente nessuno sa dove possiamo essere; infatti noi possiamo anche non essere presenti con il pensiero. Così non è detto che ad una presenza oggettiva di Dio corrisponda una nostra presenza personale a Lui. 

Quindi abbiamo una presenza fisica oggettiva del Verbo tra noi che è lezione, invito a cercare  la presenza spirituale del Verbo in noi ed è invito ad essere presenti anche noi a Lui come Lui è presente a noi.

Cioè come l’incarnazione del Verbo di Dio, che è avvenuta storicamente, è un fatto oggettivo per insegnare a noi a trovare personalmente “il Verbo fatto carne”, così abbiamo una presenza oggettiva di Dio tra noi e in noi che ci invita ad  una presenza personale che è poi quella che ci salva, perché soltanto la presenza oggettiva di Dio tra noi e in noi, come la presenza fisica del Verbo fatto carne, non basta, non giova a niente se non trova in noi l’adesione. Cioè che ci sia stato un Cristo storico non giova a niente di per sé se non c’è la partecipazione nostra personale, anzi può diventare motivo di rovina, perché Lo possiamo rifiutare o ignorare(così come la nostra presenza fisica, puramente esteriore, ad un culto, ad un atto religioso può diventare un atto d’ipocrisia, e quindi può creare una frattura con Dio).

Eligio: Comunque il rifiuto è sempre la conferma di una presenza.                    

Luigi: Sì, perché noi abbiamo sempre presente ciò che rifiutiamo. Non possiamo rifiutare una cosa se non l’abbiamo presente.

Eligio: Quindi non esiste un atteggiamento agnostico o di indifferenza.

Luigi: No, perché una cosa (un fatto, un dato oggettivo, ecc.), in quanto avviene, in quanto è notata da noi, suscita in noi una scelta, non può essere in modo diverso: o aderiamo o rifiutiamo. Prima di notare una cosa, quella cosa per noi è indifferente, siamo agnostici, non conosciamo; il giorno in cui la notiamo o la conosciamo, quella in un certo qual modo entra dentro di noi e provoca in noi una scelta, una trasformazione; noi non siamo più quelli di prima; perché in quanto la cosa si è fatta notare da noi, noi non possiamo più dire di non averla vista o udita, per cui ci rende responsabili o di un sì o di un no.

Non potremo, ad esempio, dire: “Il tale giorno, la tale sera noi non ci siamo trovati qui (dove attualmente siamo)”; il fatto è avvenuto e in quanto è avvenuto determina già in noi una posizione.

Però non è detto che in quanto questo fatto sia avvenuto provochi una adesione; no!

Così anche qui: prima di conoscere l’abitazione di Dio tra noi, siamo agnostici, ma dopo aver ricevuto questo annuncio, ci definiamo con l’adesione o con il rifiuto.

Per dare l’adesione bisogna che ci sia però una dimensione interiore nostra, così come per scoprire il Verbo di Dio incarnato c’è stato bisogno di una dimensione interiore. Se manca questa dimensione interiore, noi  possiamo toccare con mano Gesù (come uomo, non come Verbo di Dio incarnato), perché  storicamente c’è stato, possiamo studiare quello che ha fatto, quello che ha detto sulle strade di Palestina, però non scoprire in Lui il Verbo di Dio incarnato e quello non ci salva, perché quello è carne e la carne non basta, anzi la carne ci disperde. Per cui noi  possiamo conoscere molto di Gesù, farne  oggetto di cultura, di studio letterario, senza però toccare in Lui la “Vita che è presso il Padre” , e questo non ci salva. Quello che ci salva è vedere, toccare il Verbo di Dio fatto carne.

Ora, la volta scorsa abbiamo visto che per giungere al Verbo di Dio fatto carne è necessario che in noi si formi la fame di Dio, l’attrazione per il Padre. È questa fame di Dio, questa attrazione per il Padre, cioè questo disegno della vita interiore secondo Dio, che ci fa scoprire poi il Verbo di Dio fatto carne, per cui troviamo in Lui  quel punto d’appoggio su cui far leva per realizzare quello che noi non possiamo realizzare, e che non possiamo realizzare perché  siamo in conflitto tra il sogno, l’ideale e la realtà in cui noi ci troviamo. Siccome la realtà in cui ci troviamo non è secondo Dio, questa ci porta via; quindi soltanto trovando un punto in cui si realizza la realtà della vita vera con Dio noi possiamo far leva su di esso per trasformare tutto di noi.

Allora, questo “abitò tra noi” è una conseguenza diretta del Verbo di Dio che si è fatto carne; perché abbiamo detto la volta scorsa che il farsi carne del Verbo è attuare una realtà sensibile per noi: Dio che si rende presente tra noi, tanto che Giovanni scrisse: “La Vita che era presso il Padre noi l’abbiamo toccata”. Quindi non hanno toccato Gesù, non hanno toccato la carne, ma hanno toccato “la Vita che era presso il Padre”; ecco, i primi apostoli hanno visto questa “vita che era presso il Padre”; l’hanno vista e l’hanno toccata; toccandola sono stati salvati.

Qui è lo stesso: il Verbo di Dio facendosi carne è diventato realtà sensibile; diventando realtà sensibile, “abitò tra noi”: rivelò la sua Presenza personale tra noi.

Cosa vuol dire abitare?

Abitare vuol dire essere in-, vivere in-; da qui ne deriva il concetto di luogo. L’abitazione è un luogo di permanenza, di sicurezza; è un punto di riferimento, quindi un appoggio.

Ora, il fatto di sapere che una persona abita in un luogo, ha un effetto importantissimo per noi; perché?

Perché sapendo che quella persona abita in un determinato luogo, possiamo andarla a trovare. Invece quando non sappiamo dove uno abita,  non lo possiamo rintracciare, ed è l’errore di tutti noi che non sappiamo dove abita Dio. Da qui capiamo l’importanza di sapere dove Dio abita per poi poterlo andare a trovare.

Tutti gli uomini cercano Dio, perché tutti gli uomini cercano l’Assoluto, però non Lo cercano dove Egli è: non sanno il luogo; allora c’è chi Lo cerca nella creatura, c’è chi Lo cerca nel denaro, c’è chi Lo cerca nelle sicurezze umane, c’è chi Lo cerca nella carriera, nella gloria; ma tutti quanti, in ciò che cercano, cercano l’Assoluto. Per cui vogliono che il denaro dia quella sicurezza che Dio solo dà; cercano la giustizia, ma che Dio solo dà. Però tutti senza saperlo cercano Dio, quindi cercano questo Assoluto, questa Verità assoluta, ma La cercano dove Dio non può essere. Dio non è nel denaro, Dio non è nella creatura, Dio non è nella carriera, Dio non è nelle nostre assicurazioni umane; per cui Dio non va confuso con le creature.

Il Signore già nell’Antico Testamento dice: “La mia volontà non è la vostra, i miei pensieri non sono i vostri” (Is 55,8). Sempre, perché Lui ci trascende; quindi la creatura deve sempre superare se stessa, perché Dio è Spirito.

Dove abita Dio?

Dio abita in Se stesso; quindi va cercato in Lui, in Se stesso e non dobbiamo quindi cercarlo altrove.

Però, siccome siamo venuti a trovarci nell’incapacità di liberarci da tutto un mondo materiale che ci domina, che ci porta via, che ci impedisce quella ricerca interiore nello Spirito di Dio  per trovare Dio, abbiamo bisogno del Verbo di Dio fatto carne,  perché non trovando Dio (perché dominati dalle creature, non Lo possiamo cercare), noi siamo dispersi.

Allora, la scoperta del Verbo di Dio che si fa carne, questo “luogo” nella nostra vita, nel nostro mondo, occupato dal Verbo di Dio, è la scoperta di un  punto su cui far leva.

La volta scorsa abbiamo detto che se il Verbo di Dio ha occupato un punto, ha occupato tutto, se ha occupato un uomo, ha occupato tutta l’umanità; perché ognuno di noi è in relazione con l’altro, per cui abbiamo la comunicazione;  ad un certo momento uno lo dice all’altro, e la cosa si comunica; e anche se uno non lo dice, il rapporto esiste, perché facciamo “universo”, siamo a contatto con tutto, facciamo una cosa sola. Quindi il Verbo di Dio avendo occupato un punto di noi ha già occupato tutto di noi; per cui avendo occupato un punto, un luogo, noi abbiamo adesso la possibilità con Lui di andare al Padre.

Eligio: Se Egli ha occupato un punto dell’umanità, questo punto non è certamente un luogo geograficamente localizzabile. È ogni uomo? Sono io stesso?

Luigi: No! Il luogo è il Cristo stesso, cioè il Verbo di Dio incarnato. Noi possiamo essere salvati soltanto dal Verbo di Dio fatto carne; cioè possiamo essere salvati soltanto da una materialità, cioè da una cosa sensibile, una cosa che possiamo toccare, ma non da una creatura, non dalla carne, perché la carne ci disperde. Noi possiamo essere salvati soltanto dal Verbo  di Dio, se si fa carne, cioè se Lo troviamo nel mondo materiale che ci disperde. In Cristo, nella sua umanità è il luogo in cui c’è il Verbo di Dio. Sapendo che è lì, possiamo andare a trovare il Verbo tutte le volte che vogliamo. È lì la meraviglia! Il Cristo in quanto è “luogo” del Verbo mi dà questa possibilità.

Eligio: Quindi questo punto occupato dal Verbo è Cristo.

Luigi: Certo! Ora, il Verbo, in quanto è diventato una realtà sensibile, quindi ha occupato un posto, dà a ognuno di noi, se vogliamo, la possibilità di sapere dove Egli è, quindi la possibilità di andarlo a trovare. Ci dà il suo indirizzo.

Eligio: Devo necessariamente riferirmi alla Sua forma fisica…

Luigi: Sì, anche alla Sua forma fisica, ma va considerato tutto di Lui, bisogna riferirsi a tutto, perché il Cristo non è soltanto aspetto fisico: è una presenza fisica, ma è anche tutta la vita che Egli ha fatto, tutte le parole che Egli ha detto, tutto quello che è avvenuto di Lui.

Eligio: Tutto il suo mondo di pensiero e anche la realtà sensibile dell’ambiente in cui è vissuto, la cultura del suo tempo…

Luigi: Tutto! Perché in quanto è “luogo” è una realtà tangibile. “Luogo”  è un oggetto a cui io mi posso relazionare quando voglio (“ci è stato dato”); per cui sapendo che un mio amico abita in un luogo tale, in una via tale, al numero tale, io so che quando ho bisogno di lui, quando voglio parlargli, so dove andare e so che è disponibile. Ho la  disponibilità. Così è con Cristo. Cioè, in quanto il Verbo di Dio “abitò tra noi”, ha dato a noi la disponibilità e quindi la possibilità di poterlo rintracciare quando vogliamo. E questa è la conseguenza della abitazione, dell’essersi il Verbo fatto “luogo”, e del sapere noi il luogo in cui è il Verbo di Dio.

Per cui, scoprendo in Gesù il Verbo fatto carne,  sappiamo che, se vogliamo, possiamo andare da Lui, possiamo occuparci di Lui, e ci occupiamo di Lui perché sappiamo che Lui ci parla solo di Dio, che Lui  ci dà ciò di cui noi abbiamo bisogno, se siamo attratti dal Padre. Per cui, fatta questa  scoperta, possiamo dire anche noi: “Abbiamo trovato Colui del quale hanno parlato Mosè e i profeti” (Gv 1,41), come dissero i primi discepoli, i quali,  notiamo bene,  appena Lo trovarono, come prima cosa gli chiesero: “Maestro, dove abiti?” (Gv 1,38). Perché gli chiesero: “Dove abiti”?

Perché avevano bisogno di vedere dove Egli era per poterlo rintracciare sempre; perché quando io so dove abita una persona ho la possibilità di andarla a trovare. Dipende da me. L’abitazione è un indirizzo. L’indirizzo di una persona è un’offerta fatta a me per darmi la possibilità di andare a trovare quella persona; per cui l’andarla a trovare dipende da me, Cioè dandomi il suo indirizzo mi viene offerta la possibilità di andare quando voglio: si è reso disponibile.

Così ha fatto il Verbo di Dio: dandomi il suo indirizzo mi ha messo a disposizione la sua disponibilità, la sua Persona, quindi tutto ciò che Egli porta con Sé, per cui andandolo a trovare, posso fermarmi con Lui quanto voglio. Nicodemo, ad esempio, va a trovarlo di notte, si ferma tutta la notte con Lui: ecco la disponibilità del Cristo!

Il Verbo di Dio venendo a noi in Cristo, ha detto: “Guarda, Io abito nella tale casa, nella tale via, al numero tale; quando ti interessa il mio argomento, vieni”, e noi possiamo andare. Ecco l’importanza per noi del fatto dell’abitare il Verbo in un luogo, dell’essere il Verbo in un luogo. Avendo occupato un punto di noi, ci ha dato la possibilità di andarlo a trovare. È un punto di noi, tra noi: il Cristo.  Ecco l’abitare, l’essere in un luogo.

Eligio: Noi però possiamo essere toccati solo da termini sensitivi e fisici…

Luigi: Perché noi siamo dispersi dall’elemento sensitivo e fisico.

Eligio: Però la relazione con Cristo, per noi che fisicamente non lo vediamo, non è più sensitiva e fisica. Cristo non è più per noi una realtà sensibile. E allora come possiamo affidarci ad un dato storico lontano, ad una realtà che mette a fuoco cose serie, ma che sensibilmente non ci attira più?

Luigi: Metto in discussione questo “non mi attira più”; S. Agostino ti attira? Perché ti attira? È vissuto 1600 anni fa: dimmi perché ti attira.

Eligio: Direi per una congenialità, naturalmente….in sedicesimo

Luigi: Ecco! Allora altrettanto avviene con  il Cristo: Egli ti attira se sei attratto dal Padre; ci deve essere cioè questa congenialità. Questa sintonia con- supera tutti gli spazi, tutti i tempi. Noi siamo contemporanei di Cristo; che Cristo sia vissuto duemila anni fa, o che sia vissuto cinque minuti fa, per noi è assolutamente indifferente, se c’è questa congenialità con Lui, questa sintonia.

Eligio: Penso di no.

Luigi: E invece è così. Perché quello che ci avvicina non è il tempo contemporaneo o lo spazio, perché noi possiamo essere vicinissimi fisicamente ed essere immensamente lontani. Perché?

Quello che ci avvicina è il pensiero, è l’affinità di pensiero. Ora, quando noi abbiamo lo stesso interesse di un altro, ad un certo momento quell’altro può essere vissuto cinquemila anni fa ma ce lo troviamo vicinissimo. Mentre invece magari una persona che abita con noi nella stessa nostra casa ce la troviamo lontana da noi più di un milione di anni; questo perché noi col pensiero siamo già fuori dal tempo. Il pensiero ricupera tutto, supera spazi e tempi.

Eligio: Sarebbe così  se la nostra vita fosse solo al livello di pensiero…ma è anche un insieme di  reazioni emotive, affettive e altri fattori sensibili.

Luigi: Hai ragione, ma è per dire che come tu sostieni di essere interessato a S. Agostino, perché c’è affinità di problemi e di argomenti, per cui superi tutto, spazio e tempo, al punto da sentire quell’amicizia, quell’interesse  verso di lui, così avviene con Cristo. È l’affinità di pensiero che  te lo fa sentire vicino. È il pensiero, la sintonia di pensiero, che ci fa vincere tutti gli ostacoli e le distanze di spazio e tempo.

Faccio un esempio: per due persone che sono vicinissime, che dicono di volersi bene, non conta la loro vicinanza fisica, ma si sentono offese se col pensiero sono altrove, lontane. Ora, questo vuol dire che non basta la vicinanza fisica per creare la vicinanza di pensiero, perché è il pensiero che domina. Infatti se tu provi a dire a uno: “Non importa che io abbia il pensiero altrove, sono qui con te; tu non ti devi interessare del pensiero, il pensiero è minimo, quello che importa è la presenza fisica”, lo offendi; sarebbe meglio essere lontani, ma con una vicinanza di spirito. Vedi che per noi la vicinanza spazio e tempo conta molto poco, conta invece molto quello che ci fa superare tutti questi limiti, cioè il pensiero, l’affinità spirituale, la sintonia di pensiero e di interessi.

Quindi di per sé la presenza fisica non basta, anche se necessaria.

Eligio: Però guarda come il fattore della presenza fisica di Cristo è stata determinante per la Pentecoste degli apostoli: “tutti assieme nello stesso luogo” (At 2,1). Questa illuminazione di massa non sarebbe stata possibile se non per un’azione tutta particolare del Cristo.

Luigi: Quest’azione particolare del Cristo è stata proprio l’averli privati ad un certo punto della sua presenza fisica, perché aveva loro detto: “Vi dico la Verità: è bene per voi che Io me ne vada, perché se Io non me ne vado, non può venire a voi lo Spirito di Verità; ma se me ne vado, ve Lo manderò dal Padre” (Gv 16,7). La presenza fisica che è stata necessaria, ad un certo momento doveva essere superata per poter ricevere lo Spirito Santo. Ed è così anche per noi.

Comunque la presenza fisica del Cristo di per sé non giova a nulla se non c’è quella particolare dimensione interiore necessaria per riconoscere in Lui il Verbo incarnato. Tu vedi anche che proprio quella Presenza fisica, se ha creato molta amicizia per alcuni, ha creato molta inimicizia per altri che addirittura L’hanno mandato a morte.

Eligio: Però poco prima della Pentecoste Tommaso diceva ancora: “Se io non vedo,  non credo” (Gv 20,25).

Luigi: Questo conferma appunto che non basta la presenza fisica.

Eligio: Pensavo invece che fosse la conferma che ad un certo stadio di vita interiore fosse ancora  necessaria la presenza fisica.

Luigi: No! La presenza fisica è necessaria, ma non come la intendiamo noi: spazio e tempo; è necessaria quella presenza fisica del Verbo di Dio, cioè quella presenza fisica in cui c’è una componente di pensiero, quella di cui abbiamo parlato la volta scorsa (inc. n° 8/A “Il Verbo si è fatto carne e inc. n° 8/B “Come si giunge al Verbo Incarnato”). Cioè il Verbo di Dio che si fa carne deve essere scoperto da ognuno di noi, se no non giova la presenza fisica (che diventa solo “carne”). S. Tommaso si è trovato in una situazione in cui era presente a Gesù, fisicamente molto vicino, ma spiritualmente lontano.

Eligio: E davanti a Lui c’era solo il Verbo di Dio, mentre invece noi abbiamo davanti tante altre presenze.

Luigi: Ma non è bastato, perché il Verbo di Dio, o meglio, la concezione del Verbo di Dio,  presuppone un dato personale, e questo anche per i primi apostoli. Perché come dico: se fosse stata sufficiente la sua presenza fisica per salvarci, allora noi ci sentiremmo offesi, non privilegiati e diremmo: “Perché loro sì e noi no?”. Invece la presenza fisica del Cristo per taluni è stata “motivo di salvezza, per altri è stata motivo di rovina”(cf Lc 2,34), infatti l’hanno mandato a morte. Come mai?

Questo ci fa capire che non è determinante la presenza fisica di per sé, se no gli Apostoli sarebbero stati dei privilegiati rispetto a noi. Allora cos’è che è determinante? La dimensione interiore.

Eligio: La presenza fisica non sarà determinante, ma è un buon catalizzatore.

Luigi: No! È catalizzatore se c’è sintonia. Ciò che è determinante è essere attratti dal Padre. “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre” (Gv 6,43). Ma tale attrazione nasce dalla giustizia essenziale predicata da Giovanni Battista. I discepoli di Giovanni Battista, prima ancora di incontrare Gesù, avevano aderito alla giustizia verso Dio, erano quindi attratti da Dio, avendo fatto il lavoro essenziale: mettere Dio al centro. Quindi c’era in loro quello che noi abbiamo chiamato “sogno della vita secondo Dio”. Avevano accettato il battesimo di Giovanni Battista e quando su segnalazione sua hanno incominciato ad andare dietro al Cristo, cosa hanno detto? Si sono detti l’un l’altro (ecco la comunicazione!): “Abbiamo trovato Colui di cui hanno parlato Mosè e i Profeti!” ; ecco, “abbiamo trovato!”. Vedi che c’è una dimensione interiore? Così è per noi: solo se siamo attratti dal Padre potremo dire anche noi: “L’abbiamo trovato!”. A questo punto allora si vive in un amore. 

Ci siamo chiesti: che cos’è che fa trovare?

Il Verbo fatto carne non Lo trovo perché Lui viene a casa mia, ma Lo trovo perché Lo porto già dentro di me. È come la cotoletta del macellaio: in quanto io ho bisogno della cotoletta, allora mi incontro con il macellaio. Ecco, in quanto uno ha bisogno di Dio si incontra con il Dio incarnato; cioè Lo trova, Lo individua.

La scoperta del Verbo fatto carne è un processo di individuazione. Avendolo individuato, questo diventa un luogo di riferimento per me; il luogo,  l’abitazione  è un punto al quale io mi posso riferire. Infatti i primi discepoli da quel momento incominciano a riferirsi a Lui, ad andare dietro a Lui; perché l’hanno eletto come “Luogo”: Egli abitò con loro, tra loro.

C’è ancora un altro fatto da mettere bene in evidenza: nel piano materiale, nel piano dei segni, noi possiamo abitare in un luogo, abitare con qualcuno, ma l’abitazione in uno stesso luogo, cioè  la presenza fisica, non significa ancora “abitare con-”. Generalmente “si abita tra”.

Bisogna capire che cosa è necessario per abitare con-, per distinguerlo dall’”abitare tra-”.

Si  abita tra- in quanto siamo presenti fisicamente, però col pensiero chissà dove siamo: possiamo essere molto lontani, quindi non essere assieme, “non essere con-”. Qui però siamo sul piano dei segni, sul piano delle presenze fisiche. Invece se passiamo al piano del significato, cioè della presenza spirituale reale, quindi personale, per “abitare con-“ è necessaria la “sintonia con-“, avere lo stesso interesse, essere cioè presenti con il pensiero.

Quindi nelle presenze fisiche se uno è vicino all’altro, anche l’altro è vicino, anche se con il  pensiero sono lontani; per cui la presenza fisica di uno con uno equivale alla presenza dell’altro con l’altro: diciamo allora che nel campo delle presenze fisiche il rapporto è reversibile. Invece nel campo delle presenze personali il rapporto non è più reversibile: anche se uno è con noi, non è detto che noi siamo con lui. Quindi Cristo è con noi (senza però appartenere a noi), ma anche se il Cristo è con noi, non è detto che noi siamo con Lui.

Allora che cosa è che ci fa essere con-? Che cosa è che ci fa essere assieme? Non la presenza fisica, perché noi possiamo essere presenti fisicamente, ma non essere assieme. Siamo sul piano delle persone, sul piano dei significati, per cui non basta la presenza fisica. Sul piano dei segni, abbiamo detto,  basta che una cosa sia vicina all’altra perché anche l’altra le sia vicina; ma qui invece, nel piano dei significati,  non è più così: ciò che ci fa essere con- è solo una dimensione spirituale di pensiero, di desiderio; perché nel piano delle persone si suppone sempre  l’elemento personale. Quindi come ci vuole l’elemento personale per riconoscere in Gesù  (“carne”) il Verbo di Dio fatto carne, così ci vuole questa nostra presenza personale di pensiero per abitare con Colui che è venuto ad abitare con noi.

Eligio: Però l’elemento sensibile aiuta anche, c’è bisogno del libro, del Vangelo…

Luigi: Ma la presenza fisica è determinante, anche se non è sufficiente. È determinante, perché è necessaria. È quello che abbiamo detto la volta scorsa: perché noi siamo dominati, determinati dalle presenze fisiche (il mal di pancia ci porta via, ci condiziona…); per cui noi vediamo il sogno, l’ideale, come vorremmo essere, ma purtroppo vediamo la triste realtà, cioè quello che noi siamo. Resta, per dislivello, il sospiro, il desiderio di essere secondo Dio; ma moriamo tristemente. Come quel giovane ricco che va a incontrare Gesù e poi se ne parte triste; ma perché se ne parte triste? Egli era  arrivato da Gesù con un dislivello addosso, voleva essere secondo Dio, vivere una vita per Dio, per cui chiese: “Che cosa devo fare per arrivare alla Vita Eterna?”(Mt 19,16). Quindi la sognava questa Vita e sperava che il Maestro potesse colmare questo dislivello, cioè aveva fame, aveva il desiderio. Ma poi ha trovato l’ostacolo e allora se n’è ritornato triste, non ha potuto colmare quel dislivello, realizzare quel suo desiderio.

La fonte di tutte le nostre tristezze sta in questo: nel portare un sogno che non realizziamo; ma perché non lo realizziamo?

Perché c’è una realtà sensibile, materiale, che ci domina, che ci porta via e  ci condiziona.

Eligio: Per cui si ha bisogno di trovare un’altra Realtà sensibile su cui appoggiarci.

Luigi: Ecco, se Dio ci dà la possibilità di trovare un punto, Qualcuno che realizzi questo sogno, allora noi possiamo abbarbicarci a quest’Uno e potremo dire: “Abbiamo trovato!”. Trovato chi? che cosa?  “Finalmente ho trovato Uno che ha realizzato il mio sogno!”.  Ora, importa poco che l’abbia realizzato io o che l’abbia realizzato l‘altro; l’importante è che quel sogno sia diventato una realtà sensibile, perché allora io mi posso appendere a Lui come a un ramo, posso afferrarmi lì e riuscire a vincere tutte le altre realtà sensibili:  se mi afferro lì, se resto agganciato lì! Perché è proprio questo nostro afferrarci a quel Punto che ci ricostruisce tutto un universo di vita nuova in Lui.

Quindi la realtà sensibile è importantissima, è determinante, ma bisogna che io veda lì il mio sogno; e perché io veda il mio sogno lì, è necessario che io l’abbia come sogno dentro di me, cioè è necessario che io sia attratto dal Padre: “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre”. Bisogna che io abbia questo sogno dentro di me: l’attrazione del Padre.

È questo sogno dentro di noi che ci fa individuare il Cristo e che ci fa abbrancare a Lui per non mollarlo più. Allora, se non Lo molliamo più, Lui ci salva, cioè Lui ci porta a vivere il sogno, ad attuare il sogno. Infatti Gesù dice al giovane ricco: “Va’, vendi quello che hai, vieni e seguimi” (Mt 19,21). Ecco, lo invita ad abbrancarsi a Lui: “Lascia tutto il resto, perché il resto è quello che ti incatena a tutto ciò che non sono Io, a tutta l’altra realtà sensibile”. Con queste parole Gesù gli propone la libertà dalla sua prigione e poi gli dice: “Adesso vieni”, perché andando dietro di Lui, Lui lo può ricostruire nella vera vita; quella vita che  lui sognava.

Eligio: Noi siamo attratti da troppe realtà sensibili…

Luigi: Direi meglio: noi non siamo attratti dalle realtà sensibili, ma siamo dispersi da esse, perché ci dominano; perché quando uno ha un dolore addosso, non è che sia attratto dal dolore, ma è dominato dal dolore e quel dolore certamente gli impedisce di vivere secondo il pensiero, di pensare, ecc., perché lo ossessiona. Noi siamo instabili, dispersi, perché dominati, ossessionati da molte realtà sensibili (che si possono chiamare affari, malattie, creature, mondo, notizie, giornali, informazioni che ci bombardano e che ci disperdono: è tutta corrispondenza in arrivo che si accumula al punto tale da buttarci fuori di casa e che ci impedisce di essere stabili.

Il luogo, l’abitazione è quella che dà stabilità a noi. Quindi il Verbo di Dio, se si fa luogo per noi, cioè se Lo troviamo in Cristo, offre a noi la possibilità di diventare stabili e liberi.

Noi siamo essenzialmente instabili, perché siamo creature. Dio è la stabilità. Allora, se noi non troviamo questo luogo, praticamente passiamo, siamo costretti a passare di luogo in luogo: ecco il mondo! e direi:  passiamo di luogo in luogo sempre più velocemente fino a romperci il collo… contro un paracarro.

Eligio: È un po’ la tristezza della condizione umana; noi portiamo dei desideri che solo nell’infinito trovano appagamento: desideri di felicità, di verità, di giustizia; ma come mai siamo sedotti dai beni sensibili che non possono appagare questi desideri di infinito? Come mai il mondo pesa così tanto su di noi? È un errore di conoscenza? È ignoranza? O è una mancanza di conoscenza di quel Cristo sensibile che dovrebbe farceli trascendere?

Luigi: Siamo sedotti dal mondo soltanto perché in noi manca quell’afferrarci al Cristo “sensibile”, come Lo troviamo nel Vangelo.

Il Vangelo è già una realtà sensibile; per cui quando voglio mi posso fermare, leggere e meditare sulle sue Parole, sui suoi fatti, sulla Sua Persona: è realtà sensibile. Ecco, il fatto di fermarmi, leggere e meditare è una realtà sensibile che entra.

Infatti mentre apro il Vangelo ho tante altre possibilità di scelta: posso leggermi un romanzo rosa, posso leggere le barzellette, posso leggere politica; ad un certo momento faccio una scelta: “Dico di no a tutto e leggo il Vangelo”. Ecco quello che è importante! Per cui: “Tra tutto scelgo questo: il Vangelo!”; questo è l’elemento determinante: afferrarsi a-. Se ci afferriamo al Verbo di Dio fatto carne, poco per volta Egli ci libera; cioè il Verbo fatto carne poco per volta ci costruisce come figli di Dio.

Infatti il Cristo non ci fa il miracolo dall’oggi al domani, ma ci dice: “Vieni e seguimi”; per cui c’è tutto il travaglio nel seguire Lui. Per cui andando dietro di Lui si arriva al Calvario, si arriva alla morte con Lui (che è poi la morte al nostro io), si arriva alla Resurrezione, all’Ascensione e alla Pentecoste: lì nasce la creatura nuova.

Tutto questo avviene andando dietro al Verbo di Dio fatto carne, in questo seguirlo passo passo, nell’ascoltare, nel meditare, soprattutto nel custodire molto le sue parole. Infatti  grazie a questo meditare, poco per volta si incomincia a formare in noi una certa mentalità e poi un certo disinteresse per tante cose che prima ci parevano necessarie, per cui, quando in noi si è già formata una certa mentalità, iniziamo a dire: “Ma perché mi devo occupare di quello? Quelle sono storie! Quell’altro lo lascio; ecc.”. Poco per volta si forma in noi tanta liberazione e quindi tanta dedizione per l’unica cosa necessaria; è lì che ad un certo momento si forma quella carica di infinito in noi che dà luogo alla creatura nuova. Ma bisogna sempre che ci sia questo restare con Lui passo dopo passo; Lui va avanti, ma lascia le orme, quindi noi dobbiamo restare sempre molto attenti a mettere i piedi dove Lui li ha messi; guai a separarci! perché allora cadiamo nell’attrazione delle creature, nell’attrazione del mondo.

Tu prima mi chiedevi: come mai il mondo pesa tanto?

Il mondo pesa nella misura in cui in noi pesa il pensiero del nostro io, cioè nella misura in cui ci distraiamo da Lui. L’elemento determinante, per cui per noi è importante  la figura, l’onore, il prestigio davanti agli altri, il giudizio degli altri, è  il pensiero del nostro io. Ma allora vuol dire che l’attrazione del Padre per noi è debole.

Quindi l’elemento che ci disperde e che rende pesante la vita secondo Dio è il pensiero del nostro io. Infatti quanto più noi pensiamo a noi, tanto più è pesante l’attrazione del mondo diverso da Dio e quindi debole l’attrazione del Cristo. Addirittura si arriva al punto in cui  ci sentiamo tanto lontani che Cristo non ci può dire niente:  ci sembra che Cristo ci parli di cose lontane, di cose astratte, di cose che non ci prendono,  perché siamo tutti presi da altro: il suo parlare non ci prende più! Ma  è sempre conseguenza di un fatto interiore che si è formato in noi; ed è terribile il fatto di non essere più attratti da Dio. Infatti il Signore dice: “Prendi il tuo denaro e vattene” (Mt 20,14). È come dire: “La porta è chiusa, vai!”. Ma  anche questo “vattene” è un atto di misericordia del Signore per dire: “Tocca con mano cosa vuol dire servire gli uomini anziché Dio”. Ecco: toccalo con mano! Per questo egli dice: “Vattene”, cioè per dire: “Prova, vedi, constata e poi vedrai”. E questo è un atto di misericordia da parte di Dio,  in quanto ha constatato che in noi c’è una pretesa, quindi c’è il pensiero dell’io; infatti nel cuore di coloro che andarono a lavorare alla prima ora c’era questa domanda: “Perché preferisce gli altri?”. Ecco c’era questo pensiero dell’io che li dominava.

È questo pensiero dell’io che ci butta in balia del mondo esterno; infatti il Signore dice: “Non ha l’abito: gettatelo nelle tenebre esteriori” (cf Mt 22,12-13). “Abitare” nello spirito equivale ad “avere l’abito”; quindi chi pensa a sé non ha l’abito per restare nel convito: “Gettatelo fuori, nelle tenebre esterne” (ecco il “fuori”: è il peso del mondo, queste tenebre esteriori). Dice: “Gettatelo…” Perché? Perché non ha l’abito.  Quindi se attualmente il mondo pesa è perché non abbiamo l’abito per poter abitare, per restare. E qual è questo abito? È l’interesse per-.

Eligio: Però  le realtà sensibili ci  colpiscono con immediatezza e non hanno bisogno dell'opera del pensiero. Invece il contatto con Cristo ha bisogno dell’intelligenza. È un po’ come la luce del sole: di giorno ti colpisce immediatamente, invece quando il sole è nell’altro emisfero si è costretti a fare un ragionamento per pensare alla luce.

Ora, nei confronti del Cristo è così: pur essendo sensibile io devo fare un ragionamento.    Mentre il mal di pancia mi colpisce immediatamente, il bisogno di mangiare mi stimola immediatamente una reazione; non è la stessa cosa per la presenza sensibile, fisica di Cristo: questa esige pensiero e riflessione perché diventi presente a me.

Luigi: Hai ragione, infatti Gesù dice: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta” (Mt 7,13). Pensare a noi è molto semplice, è molto naturale, perché tutti quanti ci invitano sempre a rivolgere lo sguardo a noi: se incontri per la strada uno che conosci,  subito ti dice: “Ciao, come stai?”. È sempre tutto un invito a ripiegarci su noi. Già da bambini, a partire dai nostri genitori: “Come sei bello, come sei buono, ecc.”, e parlano di noi. Quindi diventa molto naturale pensare a noi; per cui diventa faticoso superare se stessi. Per questo Gesù parla della porta stretta, mentre “…è facile la via che porta alla perdizione”. Fintanto che ci lasciamo guidare da quello che è naturale, da quello che è mondo, la vita è facile. Infatti starsene seduti in poltrona davanti alla televisione è tanto facile, perché lì ci riposiamo, ci distendiamo; ma sedersi invece  su uno sgabello e aprire il Vangelo è già più difficile. È facile guardare una rivista con le figure e non impegnarsi invece nello scritto o nella lettura: questo è già più difficile. Quindi tutto quello che è impegno a superare il nostro io naturalmente è “porta stretta”; questa “porta stretta” è proprio il rinnegamento di noi stessi, che è poi il rinnegamento di tutto questo mondo attorno che ci attrae. Noi siamo già inseriti in questo mondo qui.  Allora il Signore dice: “Sforzatevi di entrare”, superando il pensiero di voi stessi. Ci vuole questo sforzo, perché è facile pensare a noi; diventa faticoso superare noi stessi e pensare a Gesù.

Eligio: Come mai seguire la presenza sensibile di Cristo  che ci offre la prospettiva di quell’Infinito che cerchiamo, è così difficile?  Una grande percentuale dell’umanità forse è più portata a leggere barzellette che non a meditare sul Vangelo. Perché?

Luigi: Il perché l’abbiamo visto nei versetti precedenti: “In principio era il Verbo”, “in principio…” e poi non più per noi.  Se noi fin dall’inizio avessimo rispettato questo Principio e tutte le cose le avessimo sempre riportate a Dio, viste in Dio, riferite a Dio, ci troveremmo con Dio con la gioia, come quando si sentono le barzellette. Al contrario sarebbe una fatica enorme essere riportati a pensare a noi stessi.

Adesso facciamo una grande fatica a superarci, ma non è che Dio abbia creato la fatica, perché all’origine non era così. Per Adamo la vita con Dio era una cosa molto bella; non era soltanto giusta, vera e buona, ma era terribilmente bella: “Il Verbo era con Dio”. Il trovarsi con Dio, il parlare con Dio, l’unificare in Dio, vedere le cose in Dio è Vera Vita. La volta scorsa, parlando della vita con Dio, ad un certo momento abbiamo detto: “Ma questo è bellissimo!”. Perché? Perché raccogliere, vedere le cose nella Verità ad un certo momento diventa molto bello.

Eligio: Diciamo che era relativamente bello, perché ad un certo punto c’è stata la rottura.

Luigi: All’inizio era bello; quindi se noi idealmente avessimo potuto restare in questa Verità, e man mano che si viveva unificare tutte le cose in Essa, quindi vedere, godere di questa Verità, per noi sarebbe stata una porta strettissima, una cosa molto difficile scendere a guardare il mondo, ad interessarci di queste cose che passano o a pensare al nostro io. Chi ci avrebbe fatto scendere di lì?

S. Paolo ad un certo momento esclama: “Né i nemici, né gli amici, né i piaceri, né i dolori, nessuno ci può staccare dalla Carità che ci unisce al Cristo. Più niente mi potrà staccare, separare da Lui”. Questo perché la tanta amicizia, la confidenza ha creato un legame così stretto che ad un certo momento diventa facile la cosa, fa in modo che l’unione con Lui sia facile. Quindi è tutto un mondo diverso da Dio che ci ha portati via da Dio. Tutte le cose ci portano via, perché noi diventiamo automatici in ogni cosa;  infatti quando iniziamo un lavoro, in un primo tempo questo richiede molto pensiero (è la “porta stretta”, e quindi c’è fatica), poi ad un certo momento subentra l’automatismo; e quando poi dobbiamo staccarci facciamo molta fatica, perché ormai siamo abituati lì: “Conosco l’ambiente, conosco il lavoro,  conosco le creature e tutto quello mi è facile”, diciamo. Come mai ora ti è facile? Sono stati i bivi, i momenti di scelta che hanno determinato la facilità, l’abitudine a certi superamenti, ecc. Quindi se all’inizio ci sforziamo, ci “si abitua” così tanto a pensare a Lui, ad abitare con Lui, che a pensare a noi sarà grossa fatica: la fatica  che era in principio.

Luigi: Abbiamo visto che il Verbo incarnandosi è venuto ad abitare tra noi, si è fatto “luogo” per noi, dando a noi la possibilità di rintracciarlo quando vogliamo.

Il “luogo”, in cui è il Verbo di Dio, è il Cristo. È importantissimo conoscere il “luogo” del Verbo, il “luogo” dov’è Dio, perché sapendolo, possiamo rintracciarlo, andarlo a trovare tutte le volte che lo desideriamo.

Si fa perciò necessaria la scoperta del Verbo di Dio che si fa carne (v. dispense n. 8/A “Il Verbo si è fatto carne” e n. 8/B “Come  si giunge al Verbo incarnato), perché, scoprendolo, possiamo trovare l’Assoluto (che tutti cerchiamo) in una realtà sensibile: il Cristo.

Il “luogo” dov’è Dio, è il Verbo di Dio incarnato: “luogo” per noi accessibile, da noi reperibile, purché ci sia in noi l’interesse per Dio.

L’interesse per Dio è la condizione richiesta per poter anche noi abitare con Lui, perché il fatto che il Verbo incarnandosi venga ad abitare fra noi non vuol dire che appartenga a noi o ai nostri interessi; per cui se in noi non c’è il suo stesso interesse, non possiamo stare con Lui, abitare con Lui.

È per questo che stasera  volevo mettere a fuoco questo “abitare tra noi”: va precisato che non basta trovare la sua presenza fisica per poter stare con Lui, infatti abbiamo detto che l’abitazione del Verbo tra noi, la sua vicinanza con noi, non vuol dire l’essere noi vicino a Lui. Certo Lui è con noi, anche se noi siamo lontani da Lui. Proprio perché si è incarnato, Lui è venuto ad abitare con noi, in qualunque situazione noi ci troviamo; anche nel peccato, anche nel male, anche nell’abisso più nero Lui è con noi. Ma il suo essere con noi non vuol dire che noi siamo con Lui.

Quindi la sua abitazione tra noi non è soltanto una presenza fisica tra noi, perché se lo fosse non ci avrebbe liberato e salvato dai nostri errori e passioni; ma essa è una Presenza spirituale incarnata: è il Dio tra noi, per cui il suo abitare tra noi non è appartenere alla nostra mentalità, non è condividere i nostri interessi. È un rimanere tra noi indipendentemente dalla nostra adesione o dal nostro rifiuto.

E questo ci apre al problema delle conseguenze di questa sua abitazione tra noi. Cioè bisogna vedere:

·le conseguenze per Lui di questo suo essere con noi senza appartenere a noi:  sono la sua morte, la Croce;

·le conseguenze per noi di questo essere o non essere noi con Lui: sono liberazione o rovina (cfr. Lc 2,34).

Tali conseguenze per Lui e per noi sono dovute appunto al fatto che Lui appartiene a un altro mondo: infatti che Lui sia con noi, non vuol dire che appartenga a noi; perché Lui ha sempre rivendicato: “Io sono del Padre” (cf Gv 5,43). E ha anche detto: “Dove Io sono, voi non potete venire” (Gv 7,34). Quindi Lui è con noi, ma dice: “Dove Io sono voi non potete venire”. Gesù dice ancora: “ Io sono nel mondo, ma Io non sono del mondo ” (cf Gv 17,13-14), per cui uno può essere con- (“sono nel mondo”), ma non appartenere. Cristo è venuto con noi, ma non è venuto a servire i nostri interessi, non è venuto a servire i nostri capricci; quindi non è venuto a dire: “Io sono con te, andiamo a braccetto dove tu vuoi pur di restare con te”, No! Infatti ad un certo momento dice ai suoi stessi discepoli: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6,67). Lui è venuto, ma per coloro che sono attratti dal Padre; Lui è venuto perché realizza il sogno di coloro che portano nel cuore il sogno di  una vita secondo Dio, e nello stesso tempo però offre a tutti la possibilità di accoglierlo, offre a tutti questo richiamo a Dio, questa sua Presenza; perché quando ci troviamo soli in una stanza con uno, non lo possiamo ignorare, anche se ci urta.

Quindi, che il Cristo sia vissuto storicamente sulla nostra terra noi non lo possiamo ignorare; ci darà fastidio, ma non lo possiamo ignorare. Noi non possiamo ignorare la sua esistenza, per cui o L’accogliamo o ci dà fastidio. Non potendolo ignorare, ad un certo momento  Lui ci propone i suoi argomenti. Attualmente non sappiamo cosa farcene perché siamo troppo “divertiti” (divertimento = divergere da-) da altri argomenti; ma arriverà certamente un momento in cui i suoi argomenti ci toccheranno:  quando cioè gli altri argomenti passeranno, tramonteranno, perché tutto è soggetto al mutare. Quando tutto tramonta, ecco che allora dentro di noi viene alla ribalta il sogno; e Colui che aveva parlato e dava fastidio a questo punto ritorna e diventa interessante.

Eligio: Non è detto, perché le sue parole che ci invitano a trascendere tutto per cercare Dio possono  ancora dare molto fastidio.

Luigi: Sì, ma a seconda del fine per cui uno vive; Lui dà molto fastidio, se il fine non è la ricerca e la conoscenza di Dio. Infatti Gesù ha dato molto fastidio ai Farisei. Ora, non è che i Farisei siano tramontati; il Fariseo ce lo portiamo tutti dentro di noi; quindi indubbiamente, se sono avaro, se vivo per accumulare denaro, se sono appassionato per la carriera o la politica, se sono mendicante di gloria, il Cristo mi dà fastidio, perché  mi dice: “Va’, lascia tutto, la vita non serve a quello! A che serve guadagnare tutto il mondo, se poi perdi l’anima?” Ad un certo momento mi tratta male e mi dice: “Ipocrita! Stolto, tutto quello che hai accumulato di chi sarà?” (cf Lc 12,20); quindi Cristo dà fastidio. Ad un certo momento adopera anche lo scudiscio (Gv 2,15). Perché? Indubbiamente è tutta opera di misericordia per salvare; però siccome l’uomo è legato al suo orgoglio, al suo io, in Cristo trova uno che gli dà fastidio. Ecco, fintanto che nell’uomo non si forma questa attrazione per il Padre, indubbiamente Egli è una presenza diversa da noi, “non è del nostro mondo”; infatti Lui lo dice: “Il mio Regno non è di questo mondo”.

Pinuccia B.: Il discorso della montagna dà fastidio: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei Cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.» (Mt 5,3-12). E dà fastidio anche con tante altre parole, per esempio: ”A chi ti percuote, porgi l’altra guancia” (Lc 6,29)

Luigi: Certo, è anche con queste parole che Cristo ci rivela che non è di questo mondo; Lui è di un altro mondo. Quindi Lui viene con noi, ma non appartiene al nostro mondo di interessi, di ambizioni. Lui viene con noi, ma per portarci via dal nostro mondo. Infatti nell’ultima cena Gesù dice ai suoi: “Il mondo vi odia perché non siete del mondo, come Io non sono del mondo. Io vi ho presi dal mondo e vi ho portati via dal mondo, per questo il mondo vi odia. Come ha odiato Me, così anche voi, perché il mondo ama ciò che è suo” (cf Gv 15,18-19). Quindi il Cristo non è del mondo; il Cristo non mette la firma di avallo alle nostre cambiali; infatti quando quel giovane chiede soltanto un atto di giustizia: “Dì al mio fratello che divida l’eredità” (Lc 12,13), Lui si rifiuta, non mette l’avallo; Lui non condivide le nostre passioni, perché Lui è venuto a portarci la sua Passione, per liberarci dalle nostre passioni e salvarci. Quindi questo suo abitare tra noi non è un ubbidire, un appartenere a noi, perché Lui appartiene sempre al Padre. Cristo è di un altro mondo.

Eligio: Che non appartenga a noi, come mondo,  questo è chiarissimo; ma non riesco a capire questo suo non appartenere a noi anche quando noi cerchiamo Dio. Non capisco  questo suo essere altro da noi dal momento che noi dobbiamo essere uniti a Lui per andare al Padre.

Luigi: No, un momento! Se noi siamo attratti dal Padre, allora siamo noi che apparteniamo al Cristo, siamo in sintonia con Lui; infatti abbiamo detto che la sua Presenza con noi (e qui non siamo più sul piano fisico, ma  sul piano spirituale, personale) non è uguale alla nostra presenza con Lui. Non è detto che la sua Presenza tra noi corrisponda alla nostra presenza con Lui. Che cosa è dunque necessario perché ad una presenza corrisponda una nostra presenza? Che cosa è che crea la con-presenza?

La con-presenza con una persona c’è in quanto siamo in sintonia, in quanto abbiamo lo stesso fine, lo stesso interesse di quella persona. Allora, anche se fisicamente non siamo presenti, siamo comunque presenti alla sua anima, quindi siamo vicini. E questa vicinanza spirituale supera infinitamente il peso della lontananza fisica. Quindi se abbiamo lo stesso interesse di Cristo, siamo con-presenti a Lui. L’interesse suo è il Padre.

Eligio: Prima però hai parlato di una abitazione di Cristo nel Padre e non in noi.

Luigi: Sì, quando i primi apostoli gli chiedono: “Maestro dove abiti?”, Gesù risponde: “Venite e vedrete” . In senso materiale Egli “non ha una pietra dove posare il capo…” (Mt 8,20) eppure indicò loro dove abitava. Gesù non li ha portati a vedere una casa fisica, ma li ha portati a vedere la sua abitazione nel Padre. Ed è stata una scoperta talmente meravigliosa, videro qualcosa di talmente sconvolgente da imprimersi così profondamente in loro che dopo cinquant’anni, sessant’anni se ne ricordavano ancora l’ora: “era circa l’ora decima” (Gv 1,39). Quindi Lui ha rivelato loro il luogo in cui era, in cui viveva: Lui viveva nel Padre e vive nel Padre: la sua casa, la sua abitazione interiore è il Padre (“Dove Io sono voi non potete venire; …Io sono nel Padre e il Padre è in Me” {Gv 13,33; Gv 10,38}). E qui sta la meraviglia dell’opera di Dio: il Verbo si è fatto “luogo per noi”, ma per portarci nel “suo luogo”: nel seno del Padre.

Eligio: Quindi la creatura che tende a Dio può attraverso Cristo giungere al Padre, cioè giungere a  vivere in  Dio. Deve però appartenere al Cristo, ma come?

Luigi: Se la creatura ha lo stesso interesse di Cristo, quindi è attratta da Dio, allora appartiene al Cristo. Infatti Cristo nell’ultima preghiera, quando affida i suoi discepoli al Padre, usa un’espressione che riassume bene il cammino dell’anima verso Dio.  Dice: “Erano tuoi, Tu li hai dati a Me, adesso Io li affido a Te” (Gv  17,6.11). Guarda che questo è meraviglioso! Dice: “Erano tuoi”, quindi “erano attratti da Te”: ecco l’interesse! Ed è l’interesse per- che ci fa appartenere a-. Infatti  quando Gesù dice: “Io non sono del mondo” è perché non appartiene al mondo. E noi a che cosa apparteniamo? Noi apparteniamo a ciò che ci interessa, al nostro amore, perché è quello che ci informa, che ci fa. Quindi: “Dimmi il tuo amore e io ti dirò chi è il tuo padrone”. È il nostro interesse principale che ci determina.

Gesù dice, parlando dei suoi Apostoli: “erano tuoi”; quindi dice che avevano come interesse principale il Padre, erano attratti dal Padre; d’altronde l’aveva detto prima: “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre” (Gv 6,44). Allora  se questi sono andati a Lui vuol dire che erano attratti dal Padre:  “erano tuoi”. Ma non è perché si è attratti da una vita secondo Dio che noi possiamo realizzarla; per cui:

·Tu li hai dati a Me”: ecco l’incarnazione! per cui c’era il sogno, l’attrazione, desideravano, avevano questo interesse senza però riuscire a realizzarlo; vedendo Cristo, hanno visto l’uomo di Dio che realizzava il loro sogno e allora L’hanno seguito: “Tu li hai dati a Me”.

·“Ora custodiscili Tu”, conclude Gesù, cioè li riporta al Padre: “Te li affido perché Io vengo a Te”, ma li riporta dopo tutto un cammino fatto con Lui. Infatti non basta incontrare il Cristo: bisogna andare dietro a Lui, ascoltarlo, conoscerlo, vivere con Lui tutti i giorni; allora Lui mi libera da tutto e mi affida al sogno, al Padre.

C’è da chiedersi; ma perché? Erano già suoi (del Padre) e poi dopo glieli ridà? A che cosa è servito Gesù?

Cristo ha svolto una funzione grandissima, perché li ha liberati da tutto ciò che impediva loro di realizzare il sogno. Ormai sono “nel Sogno”.

Eligio: L’attrazione del Padre non era quindi  sufficiente?

Luigi: No! Non era sufficiente, perché, come  abbiamo detto la volta scorsa, noi siamo schiavi delle realtà fisiche. Infatti a noi, senza Cristo, basta un mal di pancia per trascurare l’essenziale. Il Cristo venendo e vivendo con coloro che sono attratti dal Padre, dà loro la possibilità di liberarsi da tutto; e quando sono liberi da tutto, quindi sono soltanto più con Lui e vivono solo più di Lui, per cui Lui è tutta la loro vita (“Tu solo…!”), Egli li consegna al Padre, affinché il Padre realizzi il loro sogno. Quando Lui dice ai suoi Dodici: “Volete andarvene anche voi?”, essi  rispondono: “Da chi andremo noi? Tu solo hai parole di Vite Eterna!” (Gv 6,68); queste parole (“Da chi andremo noi?”) ecco ci rivelano che loro non appartengono più a nessuno: “Tu solo…!” non vogliono più andare da altri! Ecco il fascino del Cristo!

Quando un’anima è liberata da tutti gli altri, cioè quando è tutta incentrata in Cristo, allora il Cristo la consegna al Padre, perché ormai ha la possibilità di realizzare il sogno, cioè di vivere quel sogno della vita secondo Dio; e lo vivrà nella sua Pentecoste personale.

Ines: Ma se Gesù dice al Padre: “Erano tuoi”, vuol dire che essi  avevano interesse?!

Luigi: Certo.

Ines: Allora a che cosa è servito Gesù?

Luigi: Quello a cui ho accennato prima. La volta scorsa tu non c’eri, ma ne avevamo parlato: noi apparteniamo al nostro interesse; quindi “erano tuoi” vuol dire: “avevano interesse per Te, erano attratti da Te”; quando noi siamo attratti da una cosa, non è che realizziamo questa cosa, ma la sogniamo. Però tra il dire e il fare… c’è di mezzo il mare, perché il nostro mondo in cui ci troviamo è molto diverso dal nostro sogno. La situazione è questa: noi sogniamo di essere col nostro amore, col nostro interesse principale, ma poi dopo…: “con tutto il desiderio e sogno che abbiamo, guarda per che cosa dobbiamo vivere!”. È in questa realtà molto diversa che viene fuori il bisogno del Cristo. Per cui, se c’è l’interesse si appartiene al sogno, perché il nostro interesse è là, però: “Signore, guarda in che miseria mi trovo; guarda cosa debbo fare!” (ed è poi la situazione del figlio minore che apparteneva alla casa del padre, ma doveva invidiare quello che mangiavano i porci -Lc 15,16). Come mai? Perché c’è una realtà in cui noi siamo inclusi, una realtà che ci prende, che ci impedisce di realizzare il nostro sogno: è tutto un mondo attorno che preme su di noi.

         Allora, incontrando il Cristo, incontriamo Colui che ci dà la possibilità di realizzare quel sogno che portiamo dentro di noi, quell’interesse che abbiamo per il Padre; incontriamo cioè il mezzo per realizzare il sogno; prima vivevamo con questo sogno, però ci trovavamo in una realtà terribile; ad un certo momento troviamo Uno che ci dice: “Vuoi realizzare quel sogno? guarda, io ti do la possibilità di realizzarlo”.  È lì che diciamo: “Ma era quello che aspettavo da tanto!”.

         Quindi  chi appartiene al sogno, quando trova Uno che gli offre la possibilità di realizzare quel sogno, va dietro di Lui;  Lui lo libera da tutto l’ambiente che lo porta via, che gli impedisce quel sogno, e lo fa maturare. Quando sarà libero da tutto, lo affiderà al Sogno, e gli dirà: “Vivilo, è quello!”.

Ines: E per vivere con Gesù, per vedere in Lui il “luogo” del Verbo,  concretamente, sarebbe niente  altro che vivere quello che ci dice Lui nel  Vangelo? 

Luigi: Bisogna riferirsi sempre e in tutto a Lui. Egli, appunto, è diventato un “luogo” per noi, al quale noi ci possiamo riferire.

Quando io conosco il luogo in cui vive una persona, ho la possibilità di andarla a trovare. Allora, se il Verbo è diventato uno di questo mondo, ha affidato a me la possibilità di andarlo a trovare quando e come voglio. Cioè dipende solo più da me; per cui Lui è a mia disposizione: io mi posso fermare con Lui cinque minuti, come mi posso fermare con Lui cinque anni. Lui è sempre lì, perché Lui è con noi; noi non siamo con Lui, ma Lui è con noi. Lui è con noi in qualunque situazione; anche quando siamo dei delinquenti fatti, Lui continua a essere con noi, perché Lui “abitò fra noi. Quindi a Lui non manca la possibilità di restare con noi, ma manca a noi la disponibilità di restare con Lui, cioè dipende da noi il fermarci o no con Lui. Se uno ti dicesse: “Ines, io sono sempre con te”, a quel punto dipende solo più da te il restare con lui, cioè dipende dalla tua risposta.

Ines: La disponibilità che Gesù offre a noi è quella che noi possiamo sempre trovarlo.

Luigi: Ma come Lo troviamo?

Troviamo il Cristo pensandolo, pensando alla sua vita, perché Lui è vissuto su questa terra in un determinato luogo e in un determinato tempo, per cui possiamo conoscere ciò che ha detto e ciò che ha fatto; avendoci dato il suo Vangelo, le sue parole, ci ha dato la possibilità di pensarlo e di seguirlo dalla sua Nascita alla sua Morte, alla sua Resurrezione fino a Pentecoste. Cioè possiamo trovarci con Lui se vogliamo, perché possiamo scegliere: noi possiamo trovarci con tanti, con tutti quelli che vogliamo, e possiamo trovarci con Lui. Se abbiamo interesse, quell’interesse che è il Suo, allora noi possiamo trovarci con Lui. Però sta a noi il tempo da dedicare a Lui: può essere di cinque minuti, come ci si può trovare con Lui cinque ore o cinquanta ore. Ci possiamo fermare con Lui tutto il tempo che vogliamo: anche a tempo pieno, così come Lui sta a tempo pieno con noi: dipende solo da noi.

Ecco, Cristo ci offre la possibilità di farlo oggetto di pensiero, di studio, di amore, di conoscenza, ecc.; abbiamo tante cose da conoscere di Lui, perché Lui ha tante cose da dire. Lui stesso dice: “Ho tante cose da dirvi…” (Gv 16,12); quindi se Lui ha tante cose da dire, dipende soltanto da noi sederci ai suoi piedi e dire: “Parla Signore, perché io sono qui”. Certo, noi possiamo metterci lì per cinque minuti, ma possiamo anche metterci lì per cinquanta ore, e Lui non ci caccia via. Questo è essenziale, perché Lui è con noi anche quando noi non siamo con Lui. È questa la caratteristica del Verbo incarnato: Lui, in quanto “abitò tra noi” , è con noi anche quando noi non siamo con Lui.

Ines: Lui non può non farlo.

Luigi: Lui non può non farlo, perché Lui è sempre con noi. Il difetto è da parte nostra, perché la sua Presenza non è uguale alla nostra presenza, cioè non vuol dire “nostra presenza”. Quindi la con-presenza dipende allora da noi. Il Signore dice: “Io non caccio nessuno di coloro che il Padre manda a Me” (Gv 6,37), e all’ultimo dirà: “Non ho perduto nessuno di quelli che Tu mi hai dato” (cf Gv 17,12). Quindi “Io non caccio nessuno di quelli il Padre mi ha dato”, cioè non caccia nessuno di coloro che sono attratti dal Padre. Ne ha cacciati via tanti, eppure Lui dice: “Io non caccio nessuno di coloro che il Padre mi manda”. Allora, se Cristo non caccia nessuno di coloro che sono attratti dal Padre, se è vero che ci interessa il Padre, è vero che noi possiamo stare cinque minuti con Lui, ma è anche vero che noi  possiamo stare con Lui anche cinquanta ore, anzi tutto il tempo che vogliamo: Egli non ci caccia mai; siamo piuttosto noi che ad un certo momento ce ne andiamo, ma Lui no! Lui all’appuntamento c’è sempre! Quel giorno, con il giovane ricco, c’era all’appuntamento; fu il giovane ricco a non restare. Lui c’è sempre!

La cosa importante è questa: noi siamo sempre attesi! Comunque noi siamo, in qualunque situazione ci troviamo,  ovunque noi siamo, noi  siamo sempre attesi: Lui è sempre disponibile, Lui non ci caccia mai via. Ma allora noi possiamo stare con Lui ventiquattr’ore su ventiquattro…!

Eligio: Lui non ci caccia mai via, però quando dice a chi non ha l’abito: “Gettatelo fuori, nelle tenebre esteriori”, lì è un mandare via.

Luigi: Infatti chi non ha l’abito è colui che  non è attratto dal Padre. L’ho detto prima che Lui ne ha cacciati via tanti, ma dice: “Io non caccio nessuno di coloro che il Padre mi manda” . Cioè  Gesù non caccia chi è attratto dal Padre, ma quel tale che è stato cacciato è perché non aveva l’abito per restare, non era attratto dal Padre.

Pinuccia B.: Non aveva lo stesso interesse di Gesù.

Luigi: E già, non era attratto. L’abito è questa attrazione per il Padre.

Eligio: È difficile capire come chi non ha interesse per Dio vada a cercare Cristo.

Luigi: Eppure si può essere con Lui per tanti motivi; noi siamo nati cattolici, siamo battezzati, crediamo che Cristo sia il Figlio di Dio, però come abbiamo visto le volte scorse, per noi è il Verbo di Dio fatto carne?

Noi crediamo perché tutti ce l’hanno detto, nasciamo in un ambiente in cui ce l’hanno detto, crediamo per sentito dire; in realtà noi crediamo di credere. Quindi noi siamo a convito, siamo nella casa sua, ma abbiamo l’abito? Siamo attratti dal Padre? Qual è il nostro interesse principale? È in questo nostro interesse principale che si gioca tutto. Eppure noi ci illudiamo e ci consideriamo cattolici perché crediamo che Lui sia Figlio di Dio.

Pinuccia B.: Questa presenza fisica di Gesù, questa realtà sensibile, questo “luogo” in cui c’è il Verbo, la posso trovare unicamente nel Vangelo, pensando a Lui concretamente alle sue parole, a quello che ha fatto o anche attraverso altro?

Luigi: No! Solo Lui,  solo in Lui. Cioè il “luogo” del Verbo Incarnato è il Cristo.

Pinuccia B.: E lo trovo solo nel Vangelo?

Luigi: No, perché il Verbo incarnato non è il Vangelo.

Pinuccia B.: Ma  è dal Vangelo che so cosa Egli ha fatto, cosa ha detto.

Luigi: Il Verbo di Dio fatto carne ci viene annunciato, comunicato attraverso il Vangelo, ma ci sono anche le persone che ce ne parlano; uno può anche essere analfabeta, ma con questo non è che sia impedito a scoprire il Verbo fatto carne.

Pinuccia B.: Quindi è sufficiente che io sappia che il Verbo si è fatto carne…

Luigi: …e che ti interessi di Lui, sapendo che Lui si è fatto carne, cioè che Dio è diventato uomo, che ha occupato un punto della storia, ecc. . Basta che tu veda, ad esempio,  la Croce.

Pinuccia B.: O anche la presenza Eucaristica? Perché l’Eucarestia è la  presenza fisica di Cristo.

Luigi: Certo, è la sua presenza fisica.

Pinuccia B.: Ha lo stesso valore del Vangelo per avere la possibilità di  restare con Lui?

Luigi: Sì, di stare con Lui sì! Ma …

Pinuccia B.: Basta che io sappia che Lui è lì.

Luigi: Ma non è sufficiente dire “basta che io sappia che Lui è lì”, perché bisogna  conoscere la sua vita e le sue Parole. Cioè l’Eucarestia è un punto d’appoggio in quanto è realtà sensibile, ma è un punto da cui partire per iniziare a conoscere Lui. Perché più ci fermiamo con Lui, più guardiamo a Lui, più Lo conosciamo. È questo fermarci tanto con Lui, è questo guardare tanto a Lui che  ci cambia. Cioè noi abbiamo bisogno di conoscere tanto di Lui.

Quindi  non basta ad esempio che uno pensi a Gesù bambino nato a Betlemme, che faccia il presepe, ecc., ma bisogna conoscere tutto di Lui e vivere tutto con Lui. Perché se effettivamente ci interessiamo di una persona, onestamente noi non ci interessiamo soltanto di una breve parentesi di quella persona, ma vogliamo conoscere tutto di quella persona, altrimenti il nostro amore è fasullo, non è vero. Così allora se  noi amiamo il Cristo, non ci accontentiamo di conoscere una parte di Lui, ma vogliamo conoscere tutta la sua vita, tutto ciò che ha detto, ciò che pensa (e questo è vero amore), cioè sentiamo il bisogno di conoscere tutto di Lui; ed è questo bisogno di conoscere tutto di Lui che ci fa arrivare a Pentecoste. Cioè bisogna vivere tutto con Lui, tutta la sua vita con Lui, dall’inizio fino alla fine, percorrendo con Lui ogni tappa della sua vita e poi, ad un certo momento, ancora tanto altro.

Ad un certo momento chi si interessa del Cristo capisce, si rende conto che Egli non è soltanto nell’Eucarestia, ma è anche in tutte le creature, anche nell’Antico Testamento, anche nella creazione, dappertutto! Ad un certo momento lo scopri in tutte le cose.

Cioè c’è un’estensione enorme di questo Verbo di Dio che s’incarna, che parla con noi; però il punto d’attacco è una realtà sensibile, che può essere un Sacramento, che può essere un segno della Croce, ecc., con cui noi incominciamo ad appoggiarci per poi arrivare alla sua conoscenza, perché, ho detto, se sinceramente noi amiamo una persona, vogliamo conoscere tutto di quella persona; ed è questo bisogno di conoscere tutto di Lui che ci porta alla Pentecoste. Se invece noi ci accontentiamo o del Getzemani, o del discorso della montagna, oppure del presepio, oppure del Calvario, cioè se ci limitiamo solo ad un aspetto o ad una parte della sua vita, non possiamo arrivare alla meta a cui Lui ci vuole portare. Ma come mai escludiamo qualche cosa? Evidentemente c’è qualche cosa di personale in noi che non va e che ci fa escludere una parte. Ma allora non ci siamo!

Il vero amore non esclude niente, anche quelle cose che possono darci fastidio, perché sono dell’Altro, sono di Lui. E in quanto sono di Lui che amo, cerco di assimilare, di capire il suo Spirito, l’intenzione con cui ha fatto o detto quello, ecc. Ora è tutto questo amore, questo tanto amore per Lui, che forma in noi quell’amicizia e quell’unione che ci trasforma e che poi ci porta a Pentecoste, cioè ci porta a quel momento in cui Gesù ci affida al Padre, perché ormai ci ha liberati da tutto.

Ora, dobbiamo tener presente che il problema essenziale è trovare una Realtà sensibile, il Verbo di Dio fatto carne su cui appoggiarci per ascoltare il Verbo di Dio e vivere con Lui. Ma dobbiamo vedere il Verbo in questa Realtà sensibile e non soltanto la carne, perché la carne non giova a niente; per cui, se noi ci limitiamo a fare soltanto la Comunione, è come se noi avessimo incontrato Gesù tante volte sulla nostra strada, ma senza vedere il Verbo di Dio fatto carne.

Pinuccia B.: Cioè, questo avviene quando  facciamo la Comunione senza la fede?!

Luigi:se noi facciamo la Comunione senza questa attrazione per il Padre. Senza questo desiderio di conoscere il Padre, noi non vediamo Gesù come Verbo di Dio fatto carne. È l’attrazione, l’interesse per il Padre che ci deve portare a fare la Comunione, per trovare quel punto di appoggio necessario.

Noi abbiamo bisogno di un punto, di una realtà sensibile a cui afferrarci per essere liberati da tutte le altre realtà sensibili; perché se noi non vogliamo essere liberati da tutte le altre realtà sensibili, allora ci limitiamo al gesto della Comunione, oppure a considerare solo qualche aspetto della vita di Cristo, oppure a studiare l’ambiente storico di quel tempo…; ma in tal caso l’amore per Dio diventa poesia, estetica, cultura, quello che vuoi, per cui ci limita  soltanto ad un tratto della sua vita, a quel tratto che ci soddisfa, che ci fa piacere. In tal caso però c’è la strumentalizzazione del Cristo a noi; cioè, “Io vado ad una funzione, ad una Comunione per il piacere di- o per la figura, o per il giudizio di-“ oppure “Leggo qualcosa di Lui per accrescere la mia cultura”, e allora questo è strumentalizzare il Cristo.

Si strumentalizza Cristo quando non siamo noi a servizio suo, posseduti da Lui, anzi tendiamo ad utilizzare Lui  per un certo nostro interesse; allora inevitabilmente ci limitiamo a considerare una parte di Lui, a un qualcosa che ci fa comodo, ecc.; per cui, come si diceva  prima, possiamo non avere “l’abito” anche se siamo “dentro”. Allora arriverà senz’altro il giorno in cui Lui ci caccerà fuori, cioè Lui stesso ci farà dominare dalle tenebre, ci farà camminare nelle tenebre, per dirci: “Guarda, tu credevi di essere con Me, di avere l’abito, di essere unito a me, invece guarda dove sei”; e lì scopriamo di essere in balia delle tenebre. Ed è ancora grazia sua, misericordia sua, perché il farci toccare con mano che noi non siamo ciò che crediamo di essere ci evita tante altre illusioni; quindi facendoci prendere coscienza che non siamo nella fede, che non apparteniamo al Padre, che non siamo attratti da Lui, ci disincanta.

Pinuccia A.: In riferimento a quello che hai detto prima, cioè che crediamo di credere perché ce l’hanno detto o perché siamo stati battezzati, i primi cristiani non venivano battezzati  appena nati, ma solo dopo aver percorso un certo cammino. Poi però l’editto di Costantino, che ha reso obbligatoria la religione cristiana in tutto l’Impero romano,  ha rovinato tutto…

Luigi: Non è che si sia rovinato tutto, come non è che sia una rovina il fatto di battezzare prima, perché sarebbe come se dicessimo: “È rovinato tutto perché noi siamo nati nel cattolicesimo: quindi è rovinato tutto perché ‘siamo già…’ “. Il fatto di battezzare appena si nasce non è altro che un segno per dire: “Apparteniamo già… Ci siamo già dentro…” e questo deve diventare un orientamento, un impegno per giungere ad appartenere a Cristo consapevolmente. Quindi non è quello! Il fatto di essere battezzati prima non è di per sé un rovinare, però ci può dare l’illusione di appartenere già quando ancora non apparteniamo. Ma stai tranquilla che il Signore ha tali mezzi che, anche se siamo con “l’aureola”, ci  butta giù dalle nostre sicurezze.

L’essere battezzati e non aver capito questo sacramento è come essere a contatto col Cristo, vederlo passare sulla strada, trovarci con Lui e non scoprire che Lui è il Verbo di Dio incarnato, cioè il “luogo” del Verbo; per cui noi siamo sempre con Lui, Lui è sempre stato con noi, ma non ci siamo mai resi conto. Perfino con i suoi stessi apostoli all’ultimo dice: “È tanto tempo che Io sono con voi e ancora non avete capito?…non mi avete ancora conosciuto?” (cf Gv 14,9). Ora, se Gesù lo dice ai suoi apostoli è perché questo può avvenire anche per noi; perché non è la presenza fisica, non è l’essere con- fisicamente che conta, ma è questo interesse per-, è questa attrazione che ci fa essere in sintonia con Lui e ci dà la possibilità di riconoscere in Lui il Verbo incarnato.

Ora, fintanto che in noi non si forma questa convinzione dell’importanza di Dio, questa attrazione per Dio, per il Padre; fintanto che non ci convinciamo che abbiamo bisogno di conoscere Dio, e che questo è un bisogno essenziale da cui dipende tutta la nostra vita, possiamo anche essere da mattina a sera col Cristo, ma non capiamo niente di Lui. Abbiamo solo l’illusione di essere con Lui, perché non vediamo in Lui la nostra fame incarnata; perché questa fame non c’è. Quindi  bisogna che prima si formi in noi la fame per poter gustare quel pane; altrimenti noi possiamo anche mangiare tutti i giorni quel pane, ma non lo gustiamo: lo mangiamo per altri motivi, perché  non riconosciamo in Cristo il Verbo incarnato.

Pinuccia A.: Però ci battezzano subito e poi non ci aiutano a crescere come si dovrebbe, da veri cristiani.

Luigi: Tieni presente che la nostra vera vita non dipende mai dagli altri; noi non potremo mai giustificarci davanti a Dio dicendo: “Signore, tu mi hai messo in una società, in un mondo malvagio in cui mi hanno battezzata e non mi hanno insegnato”, perché troveremo il Signore che ci dirà: “In quel mondo sono Io che ti ho posto. Eri tu che dovevi cercarmi, impegnarti a conoscermi”. Perché nessuno di noi sarà condannato per delle cose che non dipendono da noi. La vera vita dipende da noi, perché la vera vita è amore, e l’amore è sempre una cosa personale. Non c’è nessuno che ci può insegnare ad amare se dentro di noi non si forma quest’interesse. E se in te si forma l’amore, puoi anche essere nell’ambiente più contrario di questo mondo, ma nulla ti porta via; lo conferma la notizia di oggi: una ragazza ha ucciso i suoi genitori, il fratello e i nonni per un amore contrastato; questo è per dire che quando in noi c’è un amore, a costo di uccidere tutto il mondo, non ci lasciamo condizionare. Ora, se questo avviene nell’amore umano, prova a immaginare nell’amore divino, quanta forza si ha per superare tutto il mondo.

Quindi noi davanti a Dio non ci possiamo mai giustificare; infatti Gesù, nella parabola dell’invito al pranzo di nozze di suo figlio a coloro che tendono a giustificarsi dicendo: “Io ho il lavoro; io ho i campi; io ho i buoi; io ho la moglie”, Lui dice: “Non assaggeranno la mia cena” , cioè: “Questo non è un valido motivo”. E nota bene: non dicono: “Non vengo perché sono una prostituta; io sono un ladro” No! Dicono: “Io ho il lavoro, io ho i buoi, io ho la moglie”. Eppure Gesù dice: “Non assaggeranno la mia cena”. Vedi che è un problema d’amore? Perché per chi ama  non ci sono condizionamenti esterni.

Eligio: Hai detto che Cristo è il “luogo” del Verbo Incarnato, abitazione tra noi del Verbo Incarnato: è un “luogo” necessario ed è necessario individuarlo. Una volta individuato diventa il nostro punto di riferimento e dipende da noi andare, frequentare questo “luogo”.

Luigi: Sì, dipende da noi perché ci è stato dato a nostra disposizione. Diventando Uno di questo mondo ci ha offerto, quindi ci offre, la possibilità di stare con Lui sempre, perché è a nostra disposizione.

Eligio: Ma che cosa è richiesto a noi per non sciupare questa opportunità, questa possibilità che ci è offerta e non venir meno ad essa lungo tutta la giornata?

Luigi: Bisogna che tu abbia interesse per-; avendo interesse per-, e trovandoti con-, questo ti carica. E questo succede anche nelle nostre cose, nei nostri lavori o progetti. Infatti quando hai interesse per una cosa e poi te la vedi confermata attorno, quello ti carica, perché ne vedi la conferma. Se invece tu hai interesse per una cosa, però vedi che tutto l’ambiente te la contraddice, ad un certo momento dubiti su te stesso, sulla validità della cosa, ecc.

Ecco, se ti vedi confermato, tu stesso ti senti confortato, aiutato e sempre più convinto sull’importanza della cosa, e quindi caricato. È come la carica che tu dici di ricevere  parlando tra noi.

Ora, evidentemente se tu non avessi un certo interesse, chi ti farebbe venire qui?

Ecco, tu hai un certo interesse per Dio e poi venendo qui hai la possibilità di trovare la conferma, un certo approfondimento, uno sviluppo e quindi un conforto e una carica. Poi naturalmente andando via ad un certo momento uno incomincia a scivolare (magari in una parola, una scelta, ecc.)e poco per volta uno  si scarica; questo perché entra tutto un altro mondo, con tanti altri argomenti. Pensa che tutto quello che entra in noi, se non è assimilato in questa carica qui, poco per volta ci porta via la carica. Perché come trovandoci con qualcuno che ci conferma nel nostro interesse siamo “caricati”, così se ci troviamo con un altro che ci dice il contrario siamo “scaricati”, poco per volta quello ci esaurisce e ad un certo momento ci troviamo di nuovo nella situazione di prima.

Quindi se noi avessimo la possibilità di restare molto a lungo col Cristo, il Cristo di carica in carica ci porta a questa liberazione essenziale; e ad un certo momento noi ci troviamo assolutamente, completamente liberi da tutto e da tutti, ed è lì che gustiamo una libertà infinita, dove  si canta di gioia.

Eligio: Comunque la sostanza del problema è questa: come cogliere la presenza del Cristo, cioè della Parola incarnata di Dio che dialoghi con me lungo tutta la giornata, anche quando lavoro ?

Luigi: Certo la difficoltà non è piccola, però è necessario iniziare già la giornata riservando del tempo esclusivo proprio per fermarci con Cristo sulle sue Parole. E poi, l’ho detto prima, se noi effettivamente abbiamo questo amore per Lui, troveremo altro tempo durante la giornata per stare con Lui, approfittando anche di tutti “i cinque minuti liberi” che lungo il giorno il Signore ci concede. Lui è sempre a nostra disposizione; noi possiamo interessarci di Lui, ci possiamo mettere ai suoi piedi, metterci a meditare, ecc.; cioè  noi dobbiamo occuparci di Lui. Tutto ciò che noi facciamo per occuparci di Lui ci carica; ma dobbiamo fare qualche cosa per Lui.

Lui è lì, aspetta solo te. Ora, tu puoi isolarti, puoi metterci cinque minuti, puoi invece organizzarti e magari anche sul lavoro trovare il modo di occuparti di Lui.

Comunque il fatto è questo: Lui è lì, siamo noi che non ci siamo.

Eligio: Per cui è evidente che dobbiamo solo far conto su di Lui anche sul piano pratico, operativo.

Luigi: Certo. È il far effettivamente conto su di Lui che ci tiene uniti a Lui e ci dà la possibilità di fermarci con Lui. E più ci fermiamo con Cristo, più Egli ci illumina e ci dà quella carica crescente di interesse per il Padre fino a farci capaci dell’Infinito. È una carica crescente, perché, come dicevo prima, dialogando con Lui, siamo illuminati da Lui in ogni cosa e avvenimento; quindi è una ricarica continua, perché in ogni avvenimento, in ogni cosa, a poco a poco Gesù ci conduce a scoprire il Pensiero di Dio in tutto.

Pinuccia A.: Attualmente però, pur dialogando con Lui, tante volte non si capisce il suo Pensiero.

Luigi: Ma anche se non capiamo, bisogna “lasciar fare”; lo dice Gesù a Pietro: “Se non ti lasci lavare i piedi, non avrai parte con Me” (Gv 13,8). In ogni avvenimento è Gesù che ci lava i piedi e dobbiamo lasciarceli lavare: “lasciar fare” vuol dire imparare a vivere nell’iniziativa di Dio e quindi nell’oggettività, accogliendo tutto da Dio e riportando tutto a Lui per vederlo da Lui.

Ines: L’importante è stare con Lui, anche quando non si capisce quello che fa o quello che dice. È un grande aiuto fermarci davanti all’Eucarestia.

Luigi: Certo, perché nell’Eucarestia trovi la presenza fisica del Cristo che è un grande punto di appoggio e di riferimento: il “luogo” del Verbo incarnato; ma anch’essa di per sé non basta, se non c’è l’attrazione per il Padre. Anche se facciamo la Comunione tutti i giorni, non basta se non si ha lo stesso interesse che Cristo ha per il Padre e se non c’è il desiderio di conoscere ciò che dice il Cristo nel Vangelo.

Pinuccia B.: E per le persone analfabete che non possono leggere il Vangelo?

Luigi: Se stanno in ascolto di Dio, troveranno scritte in se stesse tutte le parole del Vangelo. Infatti perché noi le troviamo vere? Perché le abbiamo già in noi! Il leggere il Vangelo ci aiuta a prenderne consapevolezza; ma chi non lo può leggere basta che si fermi a contemplare il Crocifisso…

Ines: …o ad adorare l’Eucarestia.

Luigi: Sì, come quel contadino di Ars che passava, dopo il lavoro, due ore in Chiesa fissando il Tabernacolo. Al Parroco che un giorno gli chiese cosa stesse facendo, rispose: “Io guardo Lui e Lui guarda me”. Era Dio che lo istruiva.

O come quel montanaro che svolgeva gratuitamente la funzione del campanaro: a un tale che un giorno lo ammoniva a farsi pagare per assicurarsi il futuro, rispose: “È Dio la mia eredità!”. Senza saperlo, ripeteva le parole della Bibbia, quando Dio dice per la tribù di Levi (alla quale non fu assegnata nessuna parte della Terra promessa): “Sono Io la loro eredità” (Dt 18,2). Ha dato una risposta meravigliosa!

Pinuccia B.: Veramente! Quindi se stiamo in ascolto del Cristo, Egli ci istruisce e ci insegna a far conto su Dio.

Luigi: Invece senza di Lui, noi non ci sentiamo pensati, per cui pensiamo noi al nostro futuro.

Pinuccia B.: Quindi ciò che conta è l’interesse per Dio: è questo che ci mantiene in ascolto del Cristo…

Luigi: … e quindi vicini a Lui come Lui è vicino a noi, presenti a Lui come Lui è presente a noi. Infatti se hai lo stesso suo interesse, e l’interesse suo è il Padre, sei con-presente a Lui ed è questa con-presenza che ti carica di vita.

Pinuccia B.: Per cui Egli diventa davvero il “luogo” della nostra vera Vita.

Luigi: Certo, perché man mano che camminiamo con Lui, Egli ci conduce a conoscere il Padre, dal quale si vede il Verbo di Dio in tutto: lì, dialogando con Dio in tutto, si comprende il suo Pensiero. La presenza del Verbo allora non rimane più legata ad un “luogo”, cioè non rimane più legata solo alla presenza fisica del Cristo, ma diventa universale. Cristo stesso infatti, dopo la sua Risurrezione, abitua già i suoi discepoli a vederlo e a riconoscerlo in sembianze diverse, per condurli a scoprire la sua Presenza in ogni segno.

Allora diciamo: il Padre è in noi, la sua Parola in ogni segno, in tutto. Conoscendo il Padre, vedremo il Volto del Cristo in ogni cosa e quindi più nulla sarà per noi dispersivo.

E abitò fra noi

Il Verbo di Dio facendosi carne ha rivelato la sua Presenza personale tra noi.

Era presente fin da principio, poiché Dio è sempre presente tra noi; ma prendendo un corpo ha rivelato ciò che è nascosto agli occhi materiali degli uomini: la sua Presenza.

Facendosi carne, si è fatto realtà sensibile per noi che viviamo di realtà sensibili, e non solo cosa o esistenza materiale, ma essere umano, vero uomo, Persona viva tra noi.

Facendosi realtà umana sensibile, occupò un luogo tra noi, uno spazio, un tempo; si è reso reperibile da tutti gli uomini; abitò tra noi.

Ma per aderire a questa sua Presenza, bisogna che ci sia una nostra dimensione interiore: il nostro cuore.  Possiamo infatti conoscere tutto di Gesù, della sua nascita, della sua vita, dei suoi discorsi, possiamo farne oggetto di vasta cultura, ma questo non ci salva. «La carne non giova a nulla», Egli stesso dice (Gv 6,63).

Ciò che ci fa vedere, scoprire il Verbo di Dio fatto carne in Gesù è la fame spirituale, è il desiderio di Dio, è l'interesse per Dio.  Ed è anche questo che ci fa aderire alla sua Presenza.  È necessaria l'attrazione per Dio. «Nessuno può venire a Me, se non è attratto dal Padre», dice Gesù (Gv 6,44).

È questa attrazione che ci fa individuare, scoprire il Verbo di Dio fatto carne e ci fa restare con Lui, perché ci fa trovare in Lui il «luogo» in cui Dio abita tra noi, punto di appoggio per realizzare la vera vita in noi, se tale però è il nostro desiderio, perché su questo punto, su questa pietra, possiamo edificare la nostra vita con Dio.

Infatti «il Verbo si fece carne» è l'attuazione, in una realtà sensibile per noi, di un nostro desiderio, di un nostro sogno: la vita in Dio, con Dio, «questa Vita che noi abbiamo visto e toccato... » (1 Gv 1,1), scrivono gli Apostoli.  Toccandola, furono salvati.

«Quanti Lo toccavano erano salvi» (Mt 14,36), ci fa sapere il Vangelo.  Questo ci fa anche capire che gli uomini si rendono schiavi del mondo e muoiono in tale schiavitù, perché non toccano la Vita di Dio, la sua Presenza tra noi.

È la fonte della loro tristezza, anche se non lo sanno.

Schiavi di ciò che si vede e si tocca, possiamo essere salvati soltanto per mezzo di qualcosa che si vede e si tocca. La carne che ci porta lontano da Dio è anche il mezzo con il quale possiamo essere portati a Dio: se però in questa carne noi vediamo ciò che non appartiene alla carne, al mondo: il Verbo di Dio.  Poiché noi non possiamo essere salvati da ciò che sta al disotto di noi, da ciò che dipende da noi, ma da ciò che sta al disopra di noi, da ciò che ci trascende, da ciò che non è del mondo.

Possiamo essere salvati soltanto dal Verbo di Dio fatto carne, poiché possiamo essere salvati soltanto per mezzo di una realtà sensibile: non da una carne, non da una creatura, ma dal Verbo di Dio se Lo troviamo in una realtà sensibile.

Possiamo essere salvati soltanto da Uno che è nel mondo, ma che non è del mondo, e che pertanto non ci confermi nelle nostre passioni per le cose del mondo e gli interessi del mondo.

Il Verbo di Dio facendosi carne è entrato nel nostro mondo, si è fatto realtà sensibile, vero uomo e, essendosi fatto realtà sensibile, abitò tra noi.

Occupando un posto nel nostro mondo ha dato a noi la possibilità di trovarlo.  Si è reso disponibile per noi. «Ci è stato dato un figlio» (Is 9,5).

 «Maestro, dove abiti? » (Gv1,38), gli chiesero i primi suoi discepoli. Glielo chiesero per sapere dove rintracciarlo.

L’abitazione è un luogo, un indirizzo e l'indirizzo è un'offerta che ci dà la possibilità di trovare colui che cerchiamo.

Ma quando gli chiesero dove abitava, Egli, che non è di questo mondo, li condusse a vedere il suo «luogo».

Quel giorno in cui i primi suoi discepoli videro dove il Maestro abitava, e non era un luogo materiale poiché Egli “non aveva una pietra su cui posare il capo” (cf Mt 8,20), fu un giorno memorabile per la loro vita: «era circa l'ora decima» (Gv 1,39); come è un giorno memorabile per la vita di ogni uomo quando lo scopre.

(I - 04.02.1976)

Tutti gli uomini cercano Dio, ma non sanno il luogo dove si trova: infatti tutti cercano l'assoluto, la certezza; ma lo cercano nelle creature, nel denaro, nella società, nelle strutture; lo cercano nel mondo, e vogliono che questo dia loro la certezza, la garanzia, la stabilità, la sicurezza che essi cercano.

Ma inutilmente, perché Dio solo è la certezza, la stabilità, la sicurezza, e Dio non è il mondo, non è la creatura, e non si confonde con la creatura e non va confuso con la creatura.

Il nostro errore di «luogo» accade perché non abbiamo fede in Dio, nemmeno come un granello di senape: allora siamo costretti a far conto sul denaro e sul mondo.

Dispersi dalla realtà sensibile, possiamo essere salvati soltanto attraverso la realtà sensibile.  Dio adopera il nostro errore, il mondo stesso che ci disperde, per tracciare la strada che ci conduce alla salvezza.

Sulla nostra nota sbagliata nel concerto della sua creazione, Dio costruisce una nuova sinfonia per farci ascoltare ciò che ha da dirci.

In Cristo Dio ha tracciato una strada che dal nostro deserto ci conduce alla Città di Dio.

Ma la sua Presenza non è soltanto una presenza fisica tra noi, perché se lo fosse non avrebbe salvato niente e nessuno: non è un prodotto dei tempi né della società di allora, né della mentalità degli uomini, perché questo non solo non ci avrebbe recato nessuna liberazione e nessuna salvezza, ma ci avrebbe confermato nei nostri errori e nelle nostre passioni.

La sua abitazione tra noi è una Presenza spirituale incarnata: spirito e vita.  Questo significa che il suo abitare tra noi non è appartenere a noi, al nostro mondo; non è condividere la nostra mentalità, le nostre lotte, le nostre guerre: «Io non sono del mondo», Egli afferma (Gv 17,14).

Egli è con noi, ma non appartiene a noi; non è venuto a servire i nostri interessi, i nostri capricci, le nostre passioni. Tutt'altro. Egli venne per distoglierci dai nostri interessi, dalle nostre passioni, dalle nostre lotte.

Egli non condivide le nostre passioni, né per la nostra giustizia, né per i nostri diritti, per ciò che è «mio», o per ciò che è «tuo»; ma venne a portarci la sua Passione.

Il suo essere con noi senza appartenere a noi, e soprattutto senza condividere i nostri interessi nel mondo, Lo porta ad essere odiato dal mondo, Lo porta alla morte ed alla morte di Croce. «Io non sono del mondo; per questo il mondo mi odia» (Gv 15,18-19).

Egli, pur essendo con noi, appartiene al Padre. Lo afferma già chiaramente a dodici anni a Gerusalemme: «Non sapevate che Io mi debbo trovare nelle cose del Padre mio?” (Gv 2,49).

Più avanti lo dirà a tutti: «Dove Io sono voi non potete venire... Io sono nel mondo, ma non sono del mondo... il mio Regno non è di questo mondo» (Gv 7,34; Gv 18,37).

Egli è Figlio del Padre anche nel mondo; l'interesse suo è il Padre, la sua passione è per il Padre; la sua abitazione è nel Padre: «nel seno del Padre». A coloro che gli chiedevano dove abitava, Gesù rivelava loro il luogo in cui vive: nel Padre.  Non aveva altro luogo in cui riposare, altra casa: nemmeno una pietra su cui posare il capo. La sua casa è il Padre.

Nel piano delle presenze fisiche noi possiamo essere con qualcuno, ma questo non significa essere presenti a lui o lui essere presente a noi. Si può essere presenti fisicamente, ma lontani col pensiero, con l'anima.  Ne deriva che se nelle presenze fisiche il rapporto è reversibile: io sono presente a te, tu sei presente a me, fisicamente; nelle presenze spirituali il rapporto non è più reversibile: se Lui è con noi, non è detto che noi siamo con Lui.

La Sua Presenza tra noi ci invita, esige da noi una presenza personale nostra, che è poi quello che ci salva. Coloro che Lo conobbero nella carne, ma non nello Spirito, dovettero crocifiggerlo.

La sua abitazione tra noi è dunque invito, pedagogia a realizzare la nostra abitazione con Lui: «Restate uniti a Me... come tralcio alla vite....Senza di Me non potete fare niente......» (Gv 15,4-5).

Che cosa è necessario perché alla Sua presenza corrisponda la nostra presenza?  Cos'è che ci fa essere con Lui?  Ciò che ci fa essere con Lui è una dimensione di pensiero, di anima, di desiderio.

Nel piano delle presenze personali la con-presenza suppone sempre una dimensione personale: lo stesso amore, lo stesso interesse.  Se ho lo stesso interesse di Cristo, sono con-presente a Lui che è presente.  L'interesse suo è il Padre.  Per questo Egli dice: «Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre».

Anche se è presente tra noi, con noi nel nostro stesso mondo, noi non possiamo vedere il Verbo di Dio fatto carne se non abbiamo in noi interesse per Dio: questo «centro» che è la giustizia essenziale chiesta ad ogni uomo; tanto meno possiamo essere presenti a Lui ed intendere le sue Parole.

(II - 11.02.1976)

L'abitazione di Dio tra noi, che è annunciata e rivelata dal Verbo di Dio incarnato, così come è detto nel Vangelo di San Giovanni: «... il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi», ci rivela che la Verità di Dio è presente tra noi, nella nostra stessa terra, nel nostro mondo di ogni giorno: «Io sarò con voi fino alla fine del mondo » (Mt 28,20), dice Gesù, e che essa non è quindi nei cieli lontani, in quelle lontananze e astrazioni in cui le nostre colpe, il troppo pensiero di noi stessi e degli uomini, l'hanno isolata.

«Sono le vostre colpe, i vostri peccati, che hanno elevato distanze tra voi e Me», dice il Signore (Is 59,2).  Hanno elevato distanze isolandoci e rendendoci assente Colui che è presente; lontano Colui che è vicino, più vicino a noi del nostro stesso cuore e della nostra stessa gola, come dicono gli arabi del deserto: «Dio è più vicino a te della tua stessa gola», e cioè delle tue stesse passioni.

Le nostre colpe e il troppo pensiero di noi stessi e il far troppo conto sulle cose del mondo ci hanno accecato gli occhi e reso astratto Colui che è Realtà viva; ci hanno indurito gli orecchi e reso muto Colui che è «il Verbo», l'Unico che parla parole di Vita; e ci hanno reso insensibili al punto da ritenere dimentico di noi Colui che è Amore, Carità, Misericordia, Perdono.

Così per le nostre stesse colpe, per cui non abbiamo più unito le opere di Dio a Dio, rifiutandoci nei nostri cuori di dare a Dio ciò che è di Dio, noi siamo diventati figli della nostra ingiustizia e soffriamo di una lontananza, di una assenza, di un «mutismo», di una dimenticanza, che non sono vere, ma che le nostre colpe ci fanno sentire così.

Viviamo come «dimenticati da Dio», «non amati da Dio», mentre in realtà siamo continuamente pensati da Lui, vivi e presenti nel suo Pensiero, chiamati da Lui ogni giorno personalmente per nome, amati.

Siamo pulviscolo atmosferico immerso nei raggi del Sole divino e non lo sappiamo.

In questa situazione di separazione e di lontananza che dice il Signore? «Avvicinatevi a Me e Io mi avvicinerò a voi»,  Egli dice.

Come potremo avvicinarci a Lui che è vicino?  Se le nostre parole umane e del mondo hanno creato le distanze e ci hanno allontanati da Lui, le sue Parole, che sono Spirito e Vita, ci avvicineranno a Lui e ci ritorneranno la sua Presenza.

La Parola, il Verbo di Dio ci rivela Colui che è tra noi. «Se resterete nelle mie Parole, conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi », dice Gesù, il Verbo di Dio fatto carne  (Gv 8,32). È Dio che rivela Se stesso, ed è nella sua Luce che noi vediamo il suo Volto, il Volto della sua Presenza.

La Presenza di Dio tra noi è una Presenza che non dipende dall'uomo, né dagli uomini, né dai gruppi degli uomini. Non dipende né dalla presenza, né dall'assenza dell’uomo.  Dio è presente anche se l'uomo è assente, anche se tutti gli uomini sono assenti. Tutti gli uomini presenti, con tutti i loro argomenti, non fanno essere Dio presente; e tutti gli uomini assenti, con tutti i loro argomenti, non fanno essere Dio assente.

Il Verbo di Dio incarnandosi ha rivelato la presenza di Dio tra noi, la sua abitazione in noi. È il Verbo di Dio che rivela la presenza di Dio, toccare la quale è salvezza per gli uomini. «Quanti Lo toccavano erano guariti da tutte le loro infermità», dice il Vangelo.

Evidentemente si tratta di un toccare più profondo di quello che possiamo intendere noi e di quanto intendevano tutti quegli uomini di allora che pur toccandolo secondo la carne o ascoltandolo secondo gli orecchi umani, non solo non furono guariti, ma dovettero rifiutarlo e crocifiggerlo.  Non toccavano e non ascoltavano il Verbo che rivela la Presenza di Dio: quel Verbo che parlando nella carne diceva: «Chi vede Me vede il Padre mio e chi ascolta Me ascolta Colui che mi ha mandato»(Gv 14,9-10).

Se il toccare la presenza di Colui che abita tra noi è salvezza per gli uomini, qui troviamo il significato della «buona novella», di quel lieto annunzio, «evangelo», che gli angeli di Dio diffondono sulla terra nella notte santa con la nascita di Gesù a Betlemme.

La buona notizia per ogni uomo è «Dio tra noi». Qui è il mistero di grazia che è annunciato a tutti gli uomini sulla terra e che ogni uomo deve «toccare per essere salvo»; mistero che Maria, la Madre di «Dio tra noi», ci conduce a scoprire, come è detto: «Beati i puri di cuore perché questi vedranno Dio».

La presenza di Dio è grazia di Dio, pienezza di grazia, diffusa tra noi dal Verbo di Dio fatto carne; poiché se la Legge fu data da Mosè, la grazia e la Verità ci sono date in Gesù Cristo. «Nessuno ha mai veduto Dio, l'Unigenito Figlio di Dio, che è nel seno del Padre, Egli stesso ce lo fa conoscere» (Gv 1,18).

(III - 18.02.1976)

Il Verbo di Dio, incarnandosi, venne ad abitare «tra noi», ma non «con» noi. Venne nel nostro mondo, ma non per essere del nostro mondo, non per appartenere al nostro mondo. Continuamente Egli ripete: «Io non sono del mondo... voi siete di quaggiù, Io sono di lassù» (Gv 8,23).

Egli venne nel nostro mondo non per appartenere al nostro mondo, ma per recarci il suo mondo: «affinché dove Io sono, siate anche voi» (Gv 17,24).

Evidentemente dove Egli è non è dove siamo noi.  Sostanzialmente noi siamo dove Egli non è.  Il Verbo di Dio incarnandosi non venne ad abitare nelle nostre «abitazioni», ma portò tra noi la sua «abitazione». Egli venne a portare tra le nostre abitazioni, la sua abitazione. Ognuno abita in ciò per cui vive. Chi è che abita in Dio?

Se il Verbo di Dio fosse venuto ad abitare «con» noi, avrebbe condiviso i nostri lavori, i nostri interessi, le nostre preoccupazioni, le lotte per i nostri diritti e le nostre politiche, avrebbe operato per la nostra abitazione in terra, per la costruzione della nostra città umana. Ma in tal caso non avrebbe salvato nessuno, anche se avesse dato tutta la sua vita per gli altri.

Invece:       niente di tutto questo.  Anzi Egli venne a portare via gli uomini dai loro affari nel mondo: «Venite dietro di Me: vi farò pescatori di uomini» (Lc 5,10).

Egli venne a portare via gli uomini al mondo: «Se Io fossi del mondo, il mondo mi amerebbe; e se voi foste del mondo, il mondo vi amerebbe; ma Io vi ho portati via al mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 15,19).

Egli dice a tutti: «Chi vuol venire dietro di Me, rinneghi se stesso, lasci tutto ciò che ha » (cf Lc 9,23). E conclude dicendo: «Il mio Regno non è di questo mondo» (Gv 18,36).

In una delle sue parabole più severe (e quindi più salutari per la nostra vita e la nostra liberazione), Gesù condanna coloro che a motivo del lavoro, dei campi, dei buoi, della casa, della famiglia, non ebbero tempo per occuparsi di Dio e del suo Regno (Lc 14,15-24).  Immersi nei loro pensieri di ogni giorno, non si preoccuparono di cercare Dio e la loro vita in Dio. «Non assaggeranno la mia cena», dice di costoro Gesù.  Cioè la loro vita è fallita e per loro e in loro è fallita tutta la preparazione di ciò che è stato preparato per farli giungere al compimento del loro destino: conoscere la Verità di Dio e gustare la pienezza di grazia, di Verità, di Vita ch'è Dio.

Il Verbo di Dio facendosi carne venne dunque ad abitare «tra» noi, ma non «con noi». Il Verbo abita nel seno del Padre. Venendo ad abitare «tra» noi, continuò ad abitare nel seno del Padre, «con» il Padre.  Egli portò «tra» noi la sua abitazione «con» il Padre.

Pur essendo «tra» noi, Egli continuò ad essere «con» il Padre, e restò “tra” noi senza abbandonare un istante il suo essere “con” il Padre: «Io ed il Padre siamo una cosa sola», Egli dice (Gv 10,30).  La sua vita è il Padre.

Il Padre, questo abisso di Luce dell'Essere infinito, è pienezza dell'Essere che solo un silenzio infinito e unigenito contempla e comprende, il Verbo di Dio appunto che è nel seno del Padre. Per questo il Vangelo di S. Giovanni dice: «Nessuno ha mai visto Dio; l'Unigenito Figlio che è nel seno del Padre ce lo ha fatto conoscere e lo fa conoscere ancora affinché l'amore con cui è amato sia in noi e Lui in noi» (Gv. 1,18; cf. G. 17,26).  È la missione del Figlio, il quale fa conoscere a quanti, attratti dal Padre, L'ascoltano e Lo seguono, il Padre, poiché il Padre ama tutti gli uomini e vuole che essi abbiano vita, e sovrabbondanza di vita, ed abbiano in se stessi quello stesso amore con cui il Padre ama il Figlio.

La rivelazione della abitazione del Verbo di Dio «tra» noi acquista allora un’importanza fondamentale per ogni uomo, poiché è grazia di Dio, pienezza di grazia e di Verità diffusa tra noi dal Verbo di Dio fatto carne; poiché se la Legge fu data da Mosè, la conoscenza di Dio ci è data dall'Unigenito Figlio di Dio che è nel seno del Padre, che abita nel Padre e che, incarnandosi, venne ad abitare «tra» noi portandoci la sua abitazione nel Padre, rendendocela reperibile.

Ci ha reso cioè accessibile, vicina, la casa del Padre. Qui sta la grande importanza della «salvezza», della «redenzione» e della «liberazione» che Cristo ha recato agli uomini: la vita nel Padre.  È la sua stessa Vita ch'Egli ci dà.

La rivelazione della presenza del Dio «tra» noi, il Verbo di Dio fatto carne, è istanza a vivere «con» Lui, il quale vive nel Padre, poiché Egli non è venuto ad abitare «con» noi, ma è venuto ad abitare «tra» noi con la sua abitazione, per darci la possibilità, la sua grazia, di abitare «con» Lui nella casa del Padre.

La quale casa è una «casa di preghiera» e non un luogo di affari, di interessi, di traffico, che Gesù chiama «spelonca di ladri»(Gv 2,25).

È una casa in cui si vive come figli del Padre, in cui si gode della Luce, della sicurezza, della pace di Dio, in cui ci si riposa al riparo delle ali di Dio e dove si ha la possibilità di restare sempre «con» Dio.

(IV - Fine 25.02.1976)        (Articoli scritti e pubblicati su “La Fedeltà”  da Luigi Bracco)


Il Verbo che è tra noi

Dio è tra noi, con noi: è stato l'annuncio del Natale.  Un annuncio per tutte le genti di ogni luogo e di ogni tempo, poiché la presenza di Dio tra noi e in noi è il mistero centrale della esistenza umana, e quindi il mistero della vita di ogni uomo. Qui è la fonte di ogni nostro problema, ma qui, e solo qui, è anche la soluzione di esso.

Ogni cosa si conosce nel suo principio e si risolve in esso. Quanto più invece le cose si allontanano dal loro principio, tanto più danno luogo al sorgere di problemi.

Dio è presente in tutto e opera in tutto. Tutto viene da Dio e tutto fa ritorno a Dio.  Tutto è opera di Dio.

Il Pensiero di Dio è il centro dell'universo, il principio e il fine di tutte le cose. Il Pensiero di Dio è il vertice dei tempi e il senso di tutto ciò che esiste, è l'anima di tutto.  Fintanto che noi non abbiamo imparato questo, ci aggiriamo come analfabeti tra le pagine della creazione di Dio: tutto per noi, anche i fatti di ogni giorno, è scritto in una lingua straniera per noi incomprensibile.

“Noi esistiamo, viviamo e ci muoviamo nel Pensiero di Dio” (At 17,28).  È Lui che in tutto parla a noi, personalmente con ognuno di noi, poiché è Lui che opera in tutto. “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui” (Gv 1,3) e tutto ancora oggi è fatto per mezzo di Lui.  Per questo in tutto c'è qualcosa di eterno che giunge a noi, si annuncia e parla. È il Verbo di Dio tra noi.

Ma che Dio sia con noi non vuol dire che noi siamo con Lui. Qui il concetto di reversibilità dei nostri schemi matematici o logici non vale, poiché se Dio è sempre con noi, non sempre noi siamo con Lui. Così accade che non vediamo la Verità che pur è sempre con noi.  Così accade che la Luce splenda nelle tenebre e che le tenebre non La vedano, e tanto meno La comprendano.

Tutti i nostri guai e le nostre difficoltà sul cammino della vita stanno qui, in questa nostra incapacità di restare con Colui che è con noi. Incapacità di accogliere il messaggio di Natale, di restare in esso e di portarlo avanti. Dio è presente; noi siamo assenti. È il nostro dramma.

Noi siamo là dove abbiamo il nostro interesse principale, il nostro cuore, il nostro amore, le nostre ambizioni. Qui si rivela il luogo della nostra vita o della nostra morte; qui si rivela anche la nostra vera fede, che è sempre molto diversa da quella che noi crediamo o recitiamo di avere.

Per essere con Dio dobbiamo avere la nostra attenzione, il nostro interesse principale a Dio.  Bisogna cioè lasciare il nostro gregge, la nostra  carovana di abitudini e di routine in cui facciamo morire ogni nostra giornata. Bisogna lasciare il nostro mondo e rivolgere tutta la nostra attenzione a Dio. È la condizione per essere presenti a Colui che è presente, per ascoltare Colui che ci parla.

Le distanze tra noi e Lui non sono fuori di noi, né appartengono allo spazio e al tempo, ma sono dentro di noi e appartengono al campo dei nostri interessi e dei nostri pensieri. Niente crea maggiori distanze tra gli uomini quanto interessi diversi.

Per cui la distanza che ci separa dal Dio tra noi non è per noi maggiore di quella che dovettero superare i pastori per lasciare il loro gregge e giungere alla grotta di Betlemme; né è maggiore di quella che dovettero superare Maria e Giuseppe per lasciare la loro carovana e cercare il Bambino Gesù per tre giorni a Gerusalemme; né è maggiore di quella che dovettero superare i Magi dell'Oriente per seguire la stella che li guidava a Betlemme; né è maggiore della distanza che deve superare colui che ama per incontrarsi e vivere con l'essere amato.

Il Verbo di Dio incarnandosi ha posto la sua dimora in mezzo a noi, ha occupato un “luogo” per noi per darci la possibilità di andarlo a trovare tutte le volte che vogliamo. Il “luogo”, in cui è il Verbo di Dio, è il Cristo. In Cristo Egli ha cancellato tutte le distanze di tempi, di luoghi, di strutture, di mentalità, di ambiente che separano gli uomini da Dio. Si è fatto vicino ad ogni uomo che sinceramente abbia fede e interesse per Dio, e ne ha fatto un solo problema d'amore.

Con l'incarnazione del Verbo di Dio non ci sono dunque vicini o lontani da Lui: e chi ne facesse problema di distanza o di tempo, implicitamente denuncerebbe il suo interesse per altri amori e altra vita. Le distanze in realtà sono state cancellate, i muri abbattuti. Resta solo la distanza tra il nostro amore e il suo, tra il nostro pensiero e il suo Pensiero, tra le nostre parole e le sue parole. Ma questa distanza è un fatto personale di ognuno con Dio, non di Dio con ognuno. Se la distanza tra noi e Lui è solo quella personale, la salvezza ch'Egli ha recato è universale, offerta a tutti allo stesso prezzo. Il Verbo di Dio fatto carne “dà a tutti gli uomini, a quanti Lo accolgono, la possibilità di diventare figli di Dio” (Gv 1,12) senza eccezione alcuna: poveri o ricchi, peccatori o giusti, bianchi o negri. Il Verbo di Dio tra noi inaugura la comunione  con Dio, inaugura la vita con quanti Lo ascoltano.

(I - 03.01.1979)

Cristo, Parola di Dio incarnata, è venuto ad abitare tra noi per farci ritrovare la luce di Dio, e quindi per togliere la distanza tra noi e Dio. Per questo si è fatto figlio dell'uomo.

Ad uomini schiavi del corporeo perché non hanno occhi che per il materiale e il corporeo, il Verbo di Dio si è rivelato nel corporeo per salvarli, perché chi è schiavo di una cosa può essere salvato solo per mezzo di essa: chi è schiavo del corporeo può essere salvato solo per mezzo del corporeo.

Per questo il Verbo di Dio ha preso una natura corporea e si è fatto carne.  Dovette cioè occupare un posto determinato sulla nostra terra e un tempo della nostra storia e volere come sua gente una gente tra le tante. Necessariamente, poiché il corporeo è tale in quanto è parte e non tutto, è localizzato e non universale. Universale è lo Spirito.  Dio è Spirito.

Ma se il Verbo di Dio fatto carne ha occupato un posto ed ha messo la sua tenda tra una gente, non si è fatto più vicino a questi che a quelli, poiché la salvezza che Egli ha recato è per tutte le genti; né la sua salvezza è limitata ad un tempo per il fatto che ha occupato un tempo della nostra storia, ma si estende per tutti i tempi. Nel frammento c'è il tutto.

C'è quindi un legame che unisce il frammento al tutto, il corporeo allo spirituale; così c'è un legame che unisce tutti i luoghi e tutti i tempi a quel luogo ed  a quel tempo in cui il Verbo di Dio si è manifestato tra noi.

E se c'è un legame tra tutti i luoghi e quel luogo, tutte le cose e tutti i fatti sono sentieri che conducono al Cristo gli uomini di buona volontà di ogni tempo e di ogni luogo, indipendentemente dalle condizioni ambientali in cui vengono a trovarsi.

Come ubbidendo ad una stella i Magi dell'Oriente giunsero a vedere il Bambino Gesù con sua Madre, così Dio conduce ogni uomo che ha interesse per Lui da quei luoghi in cui non si vede la sua presenza a contemplare il mistero della sua Presenza, e quindi alla sua salvezza.  Passaggio dal segno alla Realtà.

La Parola di Dio, che si fa sentire ad ogni uomo, è anticipazione di quella Realtà che oggi non si vede tra le cose apparenti, ma che già è operante in tutto e che domani si imporrà su di noi, nonostante noi.

In quanto anticipazione è invito a prepararci a conoscerla prima che si imponga, cioè invito a partire per andare a vedere ciò che ancora non si vede: il mistero del Regno di Dio, che in Cristo si è fatto vicino e quindi accessibile ad ogni uomo.

Per questo la distanza che dovettero superare le genti di allora per giungere a Cristo non fu più breve, né più lunga, della distanza che dobbiamo superare noi per giungere a Lui. La fatica è uguale, poiché ciò che ci separa da Lui è uguale a ciò che separava da Lui allora quelle genti: il passaggio dal pensiero dell'io al pensiero di Dio. Dio non fa preferenze di persone, ma tutte chiama alla conoscenza della sua Verità e quindi impegna tutti personalmente sullo stesso cammino e li pone tutti di fronte alle stesse difficoltà.

Il problema vero di ogni uomo è uno solo: Dio, senza il quale nessun altro problema può veramente risolversi. Qui sta l'unica cosa necessaria.

Con l’incarnazione del Verbo di Dio le distanze che separano gli uomini da Dio non sono più distanze di tempi, di luoghi, di ambiente, ma soltanto distanze d'amore: non da parte di Dio, poiché Dio ha eliminato in Cristo ogni distanza ed ha abbattuto ogni muro, ma da parte degli uomini che non hanno amore e quindi non hanno interesse per Dio.

Il Verbo di Dio si è fatto figlio dell'uomo non per approvare o condividere le passioni degli uomini; non è venuto per sostenerli nelle loro rivendicazioni, nei loro interessi, nei loro diritti, ma è venuto per farli  uscire dai loro amori e portarli nell’amore per Dio.

I Magi avevano visto sorgere la stella del Messia, un annuncio di Dio per loro, ed erano venuti a cercarlo. Evidentemente erano venuti a cercarlo perché erano interiormente interessati per Dio.

Se non c'è questa attrazione per Dio, tutto il problema della vita spirituale perde la sua sostanza e tutto ciò che è religioso diventa tradizione, abitudine, recitazione e convenienza, rapporto liturgico con cui l'uomo si crede dispensato da ogni ricerca e da ogni conoscenza di Dio, dispensato cioè da un contatto personale, vivo e vero, con Dio.

Un lungo cammino fu quello dei Magi per giungere a Betlemme, una vera migrazione spirituale, simile a quella di Abramo, dietro un annuncio, dietro un messaggio che parlava loro di Dio. Tutto questo fu per insegnarci che per giungere a vedere il mistero della presenza di Dio tra noi è necessario avere interesse per Dio, ma è sempre anche necessario partire dal nostro mondo sociale mosso da ideologie e convenienze, per impegnarci personalmente sul cammino segnato dalle Parole di Dio.

(II – 10.01.1979)

Il Verbo di Dio incarnandosi inaugura la rivelazione della comunione di Dio con gli uomini, per cui Dio non è soltanto il Trascendente, ma è anche l'Onni-Presente, il Sempre-Presente e Tutto-Presente: una comunione con gli uomini che inizia con l'annuncio di Betlemme e si conclude sul Calvario.

Una comunione che non è più intima e vicina a Betlemme che sul Calvario: essa non viene meno neanche con Cristo morto, che rappresenta il Dio morto in noi, poiché la sua morte, il suo silenzio e il suo vuoto tra noi sono ancora una sua terribile presenza, e quindi una sua terribile comunione.

La Verità non è il prodotto del consenso degli uomini, né può essere sancita o modificata dalle maggioranze; il Volto di Dio nell'uomo è un'immagine immortale.  Per cui il rapporto tra Dio e l'uomo è un rapporto perenne, ineludibile, indelebile da parte dell'uomo, poiché non è stabilito dall'uomo ma da Chi ha fatto l'uomo.

Tale rapporto impone all'uomo un cammino, una ricerca, un passaggio da tutto ciò che non è Dio a tutto ciò che è Dio.  Richiede tempi di silenzio e di meditazione.

È un cammino lungo, duro, paziente; ma bisogna farlo, con coraggio e decisione, perché solo così si cammina verso il fine del nostro destino.  È “un viaggio del cuore verso Dio”, come diceva Papa Luciani.

È proprio in questo rapporto che l'uomo diventa un bisogno di interiorità, di raccoglimento, di silenzio; bisogno di fermarsi ai margini delle strade del mondo per capire il significato delle cose che gli accadono. Le cose sono parole di Dio e le parole di Dio sono annuncio di una realtà che ancora non vediamo, perché i nostri occhi non sono ancora in grado di vederla, ma che è già tra noi: Dio onnipresente. È Dio che interviene dall'esterno per trasfigurarci nell'interno e renderci capaci di vedere ciò che non è apparenza ma realtà.

Quindi le parole di Dio sono anticipazione di quella Realtà che domani si imporrà su di noi nonostante noi, ed in quanto anticipazione sono invito a prepararci a conoscerla prima che si imponga e ci travolga, cioè invito a partire per andare a vedere ciò che ancora non si vede: il mistero del Regno di Dio, che è “vicino” (Mc 1,15), quindi accessibile, ad ogni uomo.

È proprio per opera di questo Regno di Dio tra noi che le parole degli uomini passano, cadono nell'abisso del nulla, mentre le Parole di Dio diventano sempre più vere, sempre più rispondenti ai veri bisogni della mente e del cuore dell'uomo, fino a quando il mistero di Dio sarà compiuto in noi.

L'annuncio di esso è per tutti: le stelle brillano nel cielo di tutti per dire a tutti che sono stati creati per conoscere Dio e che debbono preoccuparsi di conoscere Dio e non passare la vita invano dietro cose che passano.

Ma è necessario che l'uomo esperimenti la sua povertà, il suo niente e quindi cessi di correre sulle strade del mondo e si fermi, ché ben altre sono le strade sulle quali Dio vuole che egli cammini, e sono le strade dello Spirito. Dio poi non lascia mai mancare il suo aiuto a chi credendo in Lui e ascoltando le sue Parole Lo cerca con tutto il suo cuore.

Ma è sempre un venir da lontano, dagli aridi deserti di una vita vuota e senza senso per l'esperimentazione del nulla dei valori e degli argomenti del mondo; è sempre un venir da tutta una nostra povertà sofferta e smarrita quando ci si apre all'attenzione, all'interesse, all'ascolto della Parola di Dio e quindi all'incontro con Cristo.

“Ammalati quali siamo, abbiamo bisogno del Salvatore; smarriti, abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi; ciechi, abbiamo bisogno di Uno che ci porti la luce; assetati, abbiamo bisogno della sorgente viva, bevendo alla quale uno non ha più sete; morti, abbiamo bisogno della vita: Cristo”, scriveva Clemente di Alessandria.  Senza questa povertà non c'è vera preghiera nell'uomo, ma recitazione; non c’è amore, ma regola e abitudine; non c'è ricerca Dio, non c'è invocazione, non c'è pianto, poiché per venire a vedere ciò che è annunciato è necessario camminare molto e pazientemente; e per camminare è necessario partire, e per partire bisogna lasciare tutto un nostro mondo e quindi accettare di essere poveri. Solo il povero cammina nelle cose essenziali.

Povero è colui che non litiga e non contesta per le cose del mondo, perché sa che solo presso Dio è la sua vita, la sua sicurezza, la sua liberazione. Povero è colui che ha fame e sete di Dio, per cui non ha altro interesse che l'interesse per Dio, e non ha altro argomento con il mondo che le cose dello Spirito. È questa la porta amica che apre l'immensa panoramica della vita con Colui che è Trascendente e Presente.

(III – 17.01.1979)

La luce di Dio, con i suoi annunci e i suoi richiami, penetra nelle anime umane e nella vita di ogni uomo; ma occorrono anni e anni di prove, di delusioni, di contraddizioni perché l’uomo ne riconosca lo splendore. È necessario infatti attendere che si spengano in noi una dopo l'altra tutte le luci artificiali accese dalle parole umane per rispondere all'urgenza dell'assoluto che preme nella vita dell'uomo: bisogno di ritrovare al di là di ogni cosa, di ogni segno, di ogni dubbio e di ogni dolore, una sicurezza.

È per l'esigenza dell’assoluto, del divino, ineliminabile nell'uomo, è per il nostro destino fatto per l'eterno, che noi tendiamo tutti a qualcosa che non tramonti, a un posto, a uno stipendio, a una posizione, a una carriera stabile che ci dia la tranquillità per tutto l'avvenire.

Uno dei peccati del nostro tempo è la ricerca della sicurezza in cose che passano, è voler fare un patto di amicizia con le creature senza aver fatto prima un patto di amicizia con il Creatore.

Il patto di amicizia fra gli uomini e degli uomini con tutta la creazione ne sottintende uno che fa da fondamento ad esso: quello dell'amicizia degli uomini con Dio.  Ne deriva che l'uomo è colpevole non in senso politico e sociale, ma in senso metafisico, in rapporto a Dio.

Ogni uomo è fatto per questo rapporto di amicizia con l'Assoluto, con l'Eterno, con Dio, e porta in sé la nostalgia di tutto questo, una nostalgia che non può soffocare.  Qui soltanto, nella Verità di Dio, è la sua abitazione, e fintanto che non la trova si sente sempre fuori, lontano, straniero ovunque vada.  Essere lontano da casa è trovarsi in luoghi di ansia, di incertezza.

È qui che il Verbo di Dio si incarna e viene ad abitare tra noi.  Egli riporta vicina a noi quella nostra Casa che noi abbiamo smarrito.

Il Verbo di Dio assumendo la natura umana nella sua totalità, e quindi in tutto il suo mondo, ci impegna a non considerare nulla separato da Dio, nulla in modo autonomo, poiché non esiste nulla delle realtà terrestri che non sia riferibile a Dio, poiché Dio è presente ed operante in esse.

Il Verbo di Dio incarnandosi ha annunciato la presenza di Dio tra noi, l'ha rivelata, e quindi ha reso sacre tutte le cose; per cui noi non possiamo secolarizzare niente senza una nostra colpa personale.  Egli non è sceso nel mondo perché noi ci immergessimo nel mondo, ma perché noi superassimo il mondo e ritrovassimo la via della nostra Casa.

Incontrare il Verbo di Dio fatto carne, è trovare la via di Casa, è avere il Regno di Dio vicino, accessibile. È Lui che ci libera dalla schiavitù e dalle strumentalizzazioni di un mondo vano in cui si vive senza senso, senz’anima, senza pensiero. È solo Lui che libera veramente l'uomo: «Sarete veramente liberi solo se il Figlio di Dio vi avrà liberati»(Gv 8,36).

La perdita dell'assoluto da parte dell'uomo è sempre una perdita di significato, anche quando la nostra vita nel mondo è un successo. Non vi è successo al mondo che possa dare significato alla nostra vita di fronte alla nostra anima ed alla nostra coscienza fatte per l'assoluto.  E la perdita di significato è la perdita di identità. Accade così che volendo pensare a noi stessi e cercare il nostro successo, giungiamo alla perdita di noi stessi, e quindi alla morte.

Gli uomini possono eludere la vita, non la morte; possono non scegliere, non amare; possono rifiutare l’impegno con Dio, non possono rifiutare l’impegno con la morte e la mancanza di significato della loro vita. Possono staccare una foglia dall’albero, non la possono riattaccare, e non potendo riattaccarla, restano con una foglia morta in mano per causa loro; restano cioè con il loro peccato tra le mani che non possono ignorare.

Gli uomini possono rifiutare la vita, ma non possono non assistere alla sua dissoluzione; possono trascurare Colui che è centro di tutto, ma non possono sfuggire al dubbio ed alla incertezza; possono rifiutare lo Spirito, ma non possono sfuggire alla schiavitù della materia.  Questo è più che sufficiente per dimostrare loro la Verità di Dio.

È solo il Verbo di Dio incarnato che ci porta nella libertà dei figli di Dio e dà a noi la libertà dello spirito di chi conosce e possiede la Verità: «dulcissima libertas»  di cui già parlava S. Ilario di Poitiers nel sec. IV.

Di uomini che vivono per cose che passano Egli fa uomini che vivono per cose eterne.  Cristo è venuto per questo, per insegnare agli uomini, a tutti gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, le cose di Dio e del suo Regno, affinché più nessuno abbia a trovarsi lontano da quella Verità per conoscere la quale ogni uomo ha avuto l'esistenza in questo universo meraviglioso e sconvolgente.

(IV – 24.01.1979)

Il Verbo di Dio venendo a vivere tra noi ed a parlare con noi la sua Verità assoluta, ha eliminato tutte le distanze tra gli uomini e Dio; quelle distanze che ci lasciano in balìa delle paure del nostro disorientamento in un mondo senza sicurezze, perché non può darle. «Chi viene dietro di Me non cammina nelle tenebre», Egli dice (Gv 12,46).

Il Verbo di Dio tra noi pone il mistero di Dio di fronte a noi e ci interpella dandoci la capacità di rispondere. Con Lui tutti coloro che lo vogliono possono, ascoltando e ritenendo le sue lezioni, accedere alla Verità spirituale e possedere la loro anima sottraendola alla strumentalizzazione degli altri, e quindi trovare la loro libertà, perché Dio ama veramente l'uomo ed opera in tutto, fino al dono totale di Sé per illuminarlo, liberarlo, salvarlo e renderlo capace di Vita eterna.

Il Verbo di Dio è sceso nel mondo non perché noi ci immergessimo nel mondo, ma perché  per mezzo di Lui superassimo il mondo.

Egli infatti scendendo nel mondo  si è fatto strada per i nostri passi verso il Cielo di Dio. È la funzione della Parola di Dio. Infatti la Parola di Dio è strada per l’uomo. Strada per che cosa? Una strada vale in quanto conduce ad un certo luogo. Una strada che non conduce in  nessun luogo non ha senso, non è più una strada. La Parola di Dio è strada che conduce alla Città di Dio.

Il Verbo di Dio venendo nel mondo si è fatto strada per condurci a Dio. La meta dunque non è il mondo, ma Dio, che trascendendo tutte le cose e tutte le creature ci impegna a trascendere ogni cosa del mondo e quindi anche ogni problema ed ogni preoccupazione di esso, così come dice il Prefazio di Natale: «Per mezzo del Verbo incarnato una nuova luce della tua gloria risplende davanti agli occhi del nostro spirito, affinché, conoscendo Dio visibilmente tramite il Verbo, siamo rapiti verso l'amore delle cose invisibili».  È questo lo scopo del Verbo di Dio tra noi: «affinché siamo rapiti verso l'amore delle cose invisibili».

H.U. von Balthasar commenta: «Due cose sono qui da evidenziare. Anzitutto gli occhi del nostro spirito che Dio colpisce con una nuova luce e che possono conoscere visibilmente un oggetto, che propriamente è Dio, ma Dio trasmesso per mezzo della figura del Verbo incarnato. In secondo luogo un trasporto, un rapimento che deriva da questa visione e che ci immerge nell'amore per le cose invisibili, divenute giustamente percepibili proprio in tale manifestazione visibile». Se dunque conoscendo Cristo noi non passiamo all'amore delle cose invisibili, rendiamo inutile, vana, la missione del Verbo di Dio tra noi.

Incontrare Cristo, per chi non ha indurito il suo cuore verso Dio, è inaugurazione di una vita nuova che il mondo non sa e non esperimenta, perché non la può vedere e non la può capire. È la realizzazione della nuova alleanza annunciata da Dio per mezzo dei profeti: «Porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori: Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ger 31,33).

Solo questa vita nuova con Dio rende la terra abitabile e sopportabile dall'uomo. Ma la parte essenziale e decisiva di tale vita trascende i limiti dell’ orizzonte esterno e si svolge tutta nel segreto dell'anima in dialogo non più con le parole degli uomini, ma con le parole di Dio.  Per questo è necessario imparare ed abituarci a confrontare i nostri pensieri e i nostri argomenti e preoccupazioni non con le parole e giudizi degli uomini, ma con le Parole di Dio e con la sua Volontà, questo Verbo interiore che balena nel santuario invisibile della nostra coscienza quando ci rivolgiamo al nostro Padre celeste. È questa l'interiorità in cui Dio abita e in cui non bisogna temere di entrare e di raccoglierci, chiudendo la porta ad ogni altra voce, se vogliamo udire la Parola che convince le menti e vedere la luce che illumina e trasfigura tutta la nostra vita e il nostro mondo.

Non è saggio dare tanto di noi alle cose esteriori e poco alle cose interiori, parlare tanto delle cose di fuori e niente delle cose dentro; non è saggio occuparci molto degli uomini e poco di Dio. «In ciò che ha veramente valore, l'interno è più vasto dell'esterno», scriveva G.K. Chesterton. Il mondo interno è più vasto, più vero, più valido del mondo esterno.

Bisogna quindi raccoglierci lungamente nel silenzio, con un lavoro personale e continuo di assimilazione in Dio delle cose ascoltate per poterle vedere nella sua Luce. È nella contemplazione che la nostra anima giunge alle idee ben chiare sulla Verità e attinge la sapienza della Vita. Solo ciò che si fa contemplazione diventa vita e liberazione dell'uomo. La contemplazione di Dio è più necessaria a questo povero mondo di tante opere esterne.

(V – 31.01.1979 - Fine)

(Articoli scritti e pubblicati su “La Fedeltà”  da Luigi Bracco)