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E il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi;  Gv 1 Vs 14 Primo tema.


Titolo: Come si arriva al Verbo incarnato.


Argomenti: Cosa significa vedere l’incarnazione del Verbo. Il pensiero e la parola. L’individuazione del Verbo che si fa carne è personale. La necessità dell’incarnazione del Verbo. Il vedere presuppone una dimensione interiore. ALLA FINE DEI TEMPI.


 

7/Novembre/1975


 

Approfondimento dell’argomento precedente:

 

Luigi: È molto importante fermarsi sul concetto di "carne", di "incarnazione" per cercare di capire questo incarnarsi del Verbo di Dio.

Eligio: È un concetto molto difficile da precisare.

Luigi: È per questo che ho detto che ci vorrebbe parecchio tempo da dedicare solo a questo.

Pinuccia B.:  La rivelazione che il Verbo si è fatto carne sarebbe la conclusione di tutto quel cammino che è indicato dai versetti  che precedono?

Luigi: Sì, ed è un cammino personale. Infatti la rivelazione di questa incarnazione del Verbo è preceduta dalla testimonianza di Giovanni Battista che mette in evidenza che il vero Maestro, cioè la vera Luce, è dentro ogni uomo e che Essa va messa in alto, prima di tutto, perché, solo se viene accolta, questa Luce dà all'uomo la possibilità di diventare figlio di Dio: a questo punto abbiamo l'Incarnazione; ma questo avviene però soltanto quando l'uomo ha capito che il figlio di Dio nasce solo da Dio: non nasce da volontà di uomo, non nasce da volontà di carne, né da sangue, ecc.

Pinuccia B.: Abbiamo l'Incarnazione nel senso che a questo punto arriviamo a vedere personalmente che “Il Verbo si è fatto carne”?

Luigi: Sì, perché quello che è avvenuto è quello che deve avvenire nella nostra vita. Quello che è avvenuto senza di noi è un annuncio di quello che deve avvenire nella vita personale di ognuno di noi, ma che può non avvenire, perché richiede la nostra partecipazione personale.

Quindi l'annuncio: "Il Verbo si è fatto carne", in quanto è annuncio, è Parola di Dio e in quanto è Parola di Dio è parola personale, poiché Dio parla personalmente ad ognuno di noi per apportare in noi una trasformazione fino alla nostra elevazione alla Vita Eterna.

Pinuccia B.: Quindi ci annuncia un fatto che è avvenuto senza di noi, ma che deve avvenire in noi...

Luigi: Sì, che deve avvenire per noi e quindi anche in noi, ma che non può avvenire senza di noi, perché nella vita spirituale, che è vita cosciente, non avviene nulla senza la nostra partecipazione consapevole (ecco perché è importante capire!). Per cui, mentre i figli degli uomini nascono per atto magico (infatti noi ci troviamo su questa terra senza sapere come siamo venuti, perché siamo frutto di un mistero), i figli di Dio non nascono senza una scelta personale. Perché? Perché figli di Dio si nasce consapevolmente, mentre invece figli del mondo si nasce inconsapevolmente.

Pinuccia B: Dobbiamo quindi volerlo, desiderarlo.

Luigi: Certo, perché non è che la nascita nello Spirito, la nascita come figli di Dio avvenga inconsciamente come avviene la nostra nascita sulla terra: è richiesta una nostra partecipazione personale.

Allora tutto quello che è scritto o che è avvenuto nella vita del Cristo è annuncio di un fatto che deve avvenire nella vita personale di ognuno di noi (annuncio quindi di un mondo futuro, personale, per ognuno di noi), ma che può non avvenire proprio perché richiede questa nostra partecipazione e adesione personale.

Eligio: Quindi tutti siamo chiamati a vedere il Verbo fatto carne come gli Apostoli che scrissero: "Noi L'abbiamo  veduto e toccato".

 

 

 

 

 

Luigi: Sì, ma gli Apostoli che hanno scritto: "Noi L'abbiamo veduto con i nostri occhi, L'abbiamo toccato con le nostre mani..." (1 Gv 1,1), cosa hanno visto? Cosa  hanno toccato? Evidentemente non si riferiscono soltanto alla "carne" di Gesù (perché Cristo come "carne" l'hanno visto anche quelli che l'hanno crocifisso), ma hanno toccato la Vita! il Verbo della Vita!

Ecco, coloro che l'hanno crocifisso non hanno visto il Verbo incarnato, non hanno visto "la Vita che era presso il Padre", non l'hanno toccata. Quelli che L'hanno rifiutato, quelli che L'hanno crocifisso, quelli che L'hanno bestemmiato (perché "essendo uomo, ti fai Figlio di Dio!" - Gv 10,33: infatti Gesù è stato condannato per questo), non hanno toccato il Verbo incarnato. Infatti Giovanni non dice: "Noi abbiamo toccato la carne di Gesù", ma dice: "Noi abbiamo toccato con le nostre mani la  Vita che era presso il Padre" (1 Gv l,2).

Quindi vedere l'incarnazione del Verbo non è soltanto: "abbiamo visto un uomo, abbiamo toccato la sua barba, ecc.". No! È una cosa diversa, perché Giovanni dice: "Noi abbiamo toccato con le nostre mani la Vita che era presso il Padre".

Quindi mettiamo ben chiaro questo: questa Incarnazione non va intesa in questo modo: sulle strade di Palestina è nato e passato Gesù. Non è sufficiente vedere Gesù per dire che Quello sia il Verbo incarnato, perché come uomo tutti L'hanno visto, ma non tutti hanno creduto in Lui, non tutti hanno visto in Lui il Verbo fatto carne.

Eligio: Allora la premessa per riconoscere il Cristo, per vedere in Gesù il Verbo che si è fatto carne è quella di vedere in Dio, e quindi desiderare, la venuta di suo  Figlio, della sua Parola.

Luigi: La premessa è l'esserci già convinti che i figli di Dio nascono da Dio.

Eligio: Per cui nasce il bisogno in noi che il Figlio stesso scenda dall'Alto per portarci in Alto. Intendo per Figlio la Parola di Dio, perché è questa che noi percepiamo e sarà questa Parola incarnata, se la incontriamo, che ci condurrà al Padre e che quindi ci darà la possibilità di nascere come figli di Dio dal Padre.

Luigi: Certo. Per capire questo, forse può servire un esempio sul piano umano in cui abbiamo il pensiero e abbiamo la parola: è il pensiero che  genera la parola, per cui la parola è un segno del pensiero. Così era nel campo spirituale: all'inizio, quando tutto era nell'ordine, prima c'era il Pensiero; il Pensiero parlava, generava la Parola, il segno (per semplificare qui per Pensiero intendiamo il Padre e per Parola il Figlio); poi le cose si sono sconvolte, per cui ad un certo momento (per ricuperarci) è la Parola che genera il Pensiero, cioè che ci richiama al Pensiero. Quindi in un primo tempo, "In principio…" la Parola, le parole, i segni, giungevano direttamente a noi unite a Dio: in tutto era Dio che parlava. Ora non più, perché staccandoci da Dio,  ci fermiamo alle parole, ai segni. La situazione attuale è perciò questa: il  Pensiero noi L'abbiamo trascurato, per debolezza nostra, per cui non Lo vediamo più; però abbiamo la Parola, ed è la Parola che ci fa pensare, che ci richiama al Pensiero. Il Pensiero indubbiamente Lo dobbiamo portare in noi, perché se non fosse in noi, non Lo potremmo pensare, però L'abbiamo dimenticato. Allora abbiamo la Parola che in un primo tempo era dipendente dal Pensiero, che viene a noi per riportarci al Pensiero e quindi ci ricollega con il Pensiero. Direi questa è l'Incarnazione.

Eligio: Sì, la cosa è chiara se per Pensiero intendiamo il Padre e per Parola il Figlio.

Pinuccia B.: Ma in Dio il Pensiero è il Verbo, il Figlio.

Luigi: Certo,  il Figlio è il Pensiero del Padre, ma qui abbiamo semplificato intendendo per "Pensiero" il Padre e per "Parola" il Figlio, perché siamo partiti da un esempio nel campo umano, in cui si usano le parole: "pensiero" e "parola".

Eligio: Comunque in Dio il Verbo è la Parola di Dio, per cui in Dio Pensiero e Parola coincidono; noi però, proprio per debolezza nostra, percepiamo la Parola: anzi, abbiamo bisogno della Parola che suoni anche esteriormente; infatti si fa  "carne".

Luigi: Ecco, appunto. Allora dovremmo ora arrivare a questo concetto di "carne", di  "Incarnazione", che sarebbe poi la Parola gestita dal Pensiero e quindi passare al "Verbo che si fa carne".

Possiamo allora precisare che cosa si intende per "farsi carne"? Che cosa si intende per "carne"?

Eligio: Ricordo che ci avevi posto questo argomento nel 1960: era una domenica d’inverno e c’era bel tempo; tornavamo dalla seggiovia di Pontechianale e avevi posto lo stesso problema in questi termini: partendo dalla formula della Comunione: “Corpus Domini nostri Jesu Christi custodiat animam tuam in vitam aeternam. Amen” (“il Corpo del Signore nostro Gesù Cristo custodisca la tua anima fino alla Vita eterna”). Ricordi?

Luigi: Ricordo l’argomento: si diceva che è la “carne” di Cristo che ci custodisce fino alla Vita eterna, e che è per questo motivo che ci è data la “carne”.

Eligio: Avevi parlato del significato della “carne”: la “carne” che custodisce l’anima.

Luigi: Infatti una volta nella comunione si diceva proprio così: “…. Custodiat animam tuam…”: cioè “custodisca la tua anima”.  Cioè, noi nella nostra dispersione abbiamo bisogno di questa carne che ci custodisca. Come potremmo definire questa “carne” che ci custodisce?

Pinuccia B.: È l’incarnazione del Verbo. Ma non vuol anche dire che questo fatto che è avvenuto in Maria, deve avversarsi in ognuno di noi?

Luigi: Appunto. E questo che è avvenuto è proprio una lezione per dire a noi quello che deve avvenire. Ora, per renderci conto di quello che deve avvenire, dobbiamo capire. Perché certamente quello che è avvenuto non avviene senza la partecipazione nostra.

Pinuccia B.: In Maria è facile capire quello che è avvenuto; e se la stessa cosa deve avvenire in noi, si tratta di concepire il Verbo e di generarlo in noi, di portarlo a maturazione, in crescita? Cioè Cristo deve incarnarsi in noi, in modo che diventiamo anche noi  un altro Cristo e possiamo dire con S. Paolo: “Non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me?”

Luigi: Questo è un altro problema: è già la meta a cui possiamo giungere solo se troviamo il Verbo fatto carne fuori di noi; per cui ora ci dobbiamo chiedere: quand’è che per noi personalmente “il Verbo si fa carne” e perché abbiamo bisogno di questa “carne” che ci custodisca fino alla vita eterna.

Eligio: Mi sembra che l’anima nostra, poiché si trova in una grande dispersione, per aderire e iniziare il cammino verso la Verità ha bisogno del corpo di Cristo. 

Luigi: Certo, perché noi abbiamo bisogno di qualche cosa su cui appoggiarci per poter trasformare noi stessi; senza questo appoggio non possiamo arrivare da nessuna parte. Quindi è necessario che il corpo del Signore nostro Gesù Cristo, ci custodisca fino alla vita eterna. Quindi fino a quando non arriverai alla conoscenza di Dio come vero Dio,  appoggiati sempre su questa incarnazione.

Eligio: Senza Cristo la nozione di Dio sarebbe un’astrazione per noi, un concetto inafferrabile, vero?

Luigi: No. Sia ben chiaro: senza Cristo non possiamo conoscere Dio, però Cristo, che è la conclusione dell’opera di recupero da parte di Dio, presuppone, già da parte nostra la fede in Dio; non solo, ma presuppone tutto quel cammino che abbiamo visto precedentemente perché Lui ne è la conclusione; cioè, presuppone che noi crediamo che la Luce vera illumina ogni uomo, cioè che Dio parla ad ogni uomo, perché ogni uomo porta in sé questo Maestro interiore.

Eligio: Ma l’incarnazione del Cristo non ne è l’avallo?

Luigi: Sì, però noi non arriviamo lì, cioè non arriviamo a vedere questa incarnazione, se non partiamo da questi presupposti. Infatti noi continuamente sentiamo parlare di Cristo, ma questo Cristo, per noi, è il Verbo che si è incarnato? Ecco il punto interrogativo. E quand’è che invece noi scopriamo nel Cristo il Verbo di Dio che si è incarnato? Siamo sicuri noi, o soltanto per sentito dire? Nella nostra vita personale, se diciamo: “io credo che il Cristo sia il Figlio di Dio”, lo diciamo perché gli altri ce l’hanno detto, perché siamo nati in un ambiente in cui tutti ci hanno detto queste cose, oppure perché personalmente siamo arrivati a questa incarnazione, a vedere il Verbo di Dio che si è incarnato? Cioè, per me personalmente, quand’è che il Verbo di Dio si è fatto carne?

Certo, sappiamo che Cristo si è incarnato nel mondo, ma questo non basta. Infatti tra  tutti quelli che storicamente hanno visto il Cristo o hanno avuto il contatto col Cristo o hanno sentito parlare di Lui, non tutti hanno visto “il Verbo fatto carne”. Per loro Cristo non è stato il Verbo di Dio incarnato, anzi  Lo mandarono a morte proprio perché “essendo uomo ti fai Figlio di Dio”. Quindi non vedendo in Lui il Verbo di Dio fatto carne, per loro non c’è stata l’incarnazione; anzi, siccome Lui si affermava Figlio di Dio (quindi Verbo incarnato), L’hanno mandato a morte, non L’hanno potuto sopportare.

Questo si verifica anche per ognuno di noi; infatti ad ognuno di noi il Cristo si annuncia attraverso gli altri che ci dicono: “guarda che Cristo è il Figlio di Dio”. E noi magari crediamo, ma solo per sentito dire.

Invece quello che è avvenuto, è avvenuto per dire a noi: “guarda che nella tua vita personale deve arrivare questo giorno in cui il Verbo si fa carne ed abita con te”. Quindi perché questo fatto avvenga per noi personalmente, non è sufficiente credere al fatto che è avvenuto, al Cristo che è vissuto; perché noi possiamo essere come tanti che Lo hanno crocifisso; cioè magari crediamo per sentito dire, ma non è il sentito dire che realizza per noi  “il Verbo si è fatto carne”.

Ecco, ogni uomo è chiamato ad arrivare personalmente al “Verbo si è fatto carne”, ma per arrivare qui, c’è questa premessa indicata dai versetti precedenti, perché l’evangelista ce lo presenta come conclusione di uno sviluppo: bisogna partire da-.

Pinuccia B.: Cioè credere che…

Luigi: …la Luce vera parla all’uomo, ad ognuno di noi. L’uomo può credere, può accoglierla, come può non accoglierla. Abbiamo detto la volta precedente che accoglierla non vuol dire farla entrare, perché è già dentro, ma vuol dire metterla in alto. Quindi noi accogliamo la Luce in quanto prestiamo tutta la nostra attenzione ad essa. Allora, se L’accogliamo, cioè se La mettiamo in alto, questa dà a noi la possibilità di diventare figli di Dio, i quali nascono non per opera di uomo, ma da Dio. A questo punto noi scopriamo il Cristo come Verbo incarnato, quel “Verbo che si fa carne”; ma solo a questo punto, non prima, anche se ne abbiamo sentito parlare, anche se Lui si è incarnato prima.

Eligio: Non mi è ancora chiaro questo: se noi già contempliamo Dio, che necessità abbiamo ancora di incontrare  il Verbo?

Luigi: Ecco, come mai c’è la necessità dell’incarnazione del Verbo? È un argomento interessante questo ed è bene approfondirlo ancora.

Teniamo presente che tutto questo avviene dopo che ci è stato detto: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio…”. “In principio…”, poi non più, perché “…le tenebre non L’hanno accolto” (Gv 1,5). Quindi l’uomo si è staccato dal Verbo, o per lo meno, ha staccato il  Verbo da Dio; cioè, le creature, la creazione, ecc., cioè l’universo intero che è tutto Parola di Dio personale per l’uomo, è stato staccato dal Padre, in quanto l’uomo non ha più riferito la parola al Padre, a Dio, ma l’ha riferita al suo io, a se stesso.

Ecco, ogni uomo si viene a trovare in questa situazione di distacco: il Verbo, per noi, non è più unito a Dio, cioè noi non accogliamo più la creazione, le opere, tutto quello che sentiamo, non lo accogliamo più dalla “bocca di Dio”, ma lo consideriamo secondo il pensiero del nostro io, cioè staccato. In questa situazione, siamo dominati da quello che noi tocchiamo, e per noi è quella la realtà; infatti continuamente si sente dire: “Sì, Dio va bene, ma la realtà è un’altra; la realtà è che io ho bisogno di mangiare, ho bisogno di dormire, ho bisogno del mondo”. Per cui, magari diciamo di credere in Dio, vediamo idealmente come dovrebbe essere la vita secondo Dio, sappiamo che Dio parla dentro di noi (perché la Luce splende sempre, perché se non splendesse saremmo perduti), ma ciò che ci domina è la materia.

Quindi la Luce splende, si fa sentire, ma si fa sentire in noi come ideale: “come sarebbe bello se-”, e resta il “se-“. Noi siamo dominati dalla realtà materiale; è questa che preme, infatti quando abbiamo mal di pancia, ci preme; se la gamba ci fa male, ci preme, perché per noi questa è la realtà che tocchiamo, la carne, e che ci impedisce di realizzare quella vita,  che vediamo come vita ideale, nel Padre.

Allora, se noi accogliamo la Luce dentro, vediamo “come sarebbe bello”, però non possiamo realizzare questo nostro sogno, e allora diventiamo sospiro, diventiamo invocazione, diventiamo preghiera: «Signore, mandami l’aiuto, perché io vedo come dovrei essere ma..», “Abramo sospirò di vedere il mio giorno, lo vide…” (Gv 6,56); anche noi vediamo il giorno di Dio, cioè noi vediamo “come sarebbe bello se-“, ma non possiamo realizzarlo, per tanti motivi. E allora incominciamo ad invocare la realizzazione di quel sogno che portiamo dentro. Quindi il sogno lo dobbiamo portare in noi, perché se non lo portiamo, non possiamo vederlo realizzato fuori.  Cioè noi idealmente formuliamo già dentro di noi la vita del Cristo, l’incarnazione del Cristo, e solo quando l’abbiamo formulata dentro allora la troviamo fuori; altrimenti non la incontriamo.

Se Cristo non L’abbiamo già dentro di noi, non Lo vediamo “fuori”. Allora vedendolo fuori, ecco che per noi il Verbo si fa carne, cioè il Verbo si fa carne, in quanto l’abbiamo già “dentro”.

Eligio: Cioè quando noi l’avremo desiderato intensamente.

Luigi: Sì, va desiderato intensamente. Però tu capisci che noi  non potremmo desiderarlo se una parte dentro di noi non Lo vedesse? una parte di noi già lo vede: sarà soltanto quando chiudiamo gli occhi, quando ci raccogliamo nel Pensiero di Dio, quindi quando ci astraiamo da tutta la realtà che ci domina, che pesa su di noi, ma è già sufficiente per dire: “guarda come sarebbe bello!”; e allora ci raccogliamo in Dio per quello che possiamo. Quindi c’è una parte di noi che partecipa di questo Sogno, ma poi dopo, quando incominciamo ad osservare la realizzazione pratica, vediamo l’abisso che ci separa da esso. E allora è lì che la creatura diventa tutto preghiera, tutto invocazione, tutto sospiro, perché si accorge che né per volontà di carne, né per volontà di sangue, né per nessuno sforzo che fa, riesce a realizzare questo. Allora capisce che soltanto da Dio gli può venire l’aiuto; ed è lì che allora incomincia ad individuare il Cristo che diventa quell’aiuto indispensabile, un vero aiuto perché diventa un punto occupato da-, su cui tu puoi far leva.

Eligio: Quello che mi resta difficile capire è come l’incarnazione possa diventare un fatto personale.

Luigi:  Diventa personale, perché se non c’è questa convinzione che si deve essere già formata  dentro di noi e che è una convinzione personale, non possiamo vedere l’Incarnazione. È una convinzione personale perché dice: “Chi accoglie questa Luce”. E può accoglierla anche chi non è “di Dio”; infatti dice: “i suoi non l’accolsero, ma a quanti l’accolsero…”(Gv 1,11); quindi ci fa capire che noi possiamo anche ritenerci non suoi, non di Dio, non del popolo eletto, ma se riflettiamo, se pensiamo, se l’accogliamo (poiché  Dio parla in tutti) anche se ci riteniamo “fuori stagione”, se l’accogliamo,  si forma in noi quel desiderio necessario per riconoscerlo. Quindi è un fatto personale, perché c’è una scelta personale.

Quindi la scoperta del Verbo che s’incarna è personale, non è un fenomeno di massa, non è un fenomeno storico; sì, il Cristo è venuto, però l’individuazione del Verbo fatto carne è un fatto personale. Avviene solo personalmente perché l’esperienza che fa uno, non è più l’esperienza dell’altro, perché si deve formare questa  convinzione dentro di noi:  convinzione dell’insufficienza, dell’incapacità nostra a realizzare quello che però abbiamo già visto come sogno; per cui capiamo veramente che soltanto il Figlio di Dio, soltanto Colui che discende dall’Alto (non certamente salendo dal basso), può darci quella mano per salire in Alto. Però si deve attuare nella “realtà” che ci sta portando via; perché noi siamo dominati da quello che tocchiamo e da quello che vediamo. Quindi soltanto se troviamo il Verbo in questa “realtà”, possiamo essere liberati.

Eligio: L’incarnazione allora…

Luigi: …è questo, perché noi dobbiamo trovare, vedere,  nel mondo che ci sta portando via, in questa realtà che noi vediamo e tocchiamo, il Verbo di Dio; soltanto vedendolo allora abbiamo quell’aiuto che ci libera e che può realizzare il nostro sogno, perché troviamo un appoggio in Lui .

Pinuccia B.: In sintesi, che cosa s’intende per “carne”?

Luigi: “Carne” è ciò che vedi e tocchi; ma  Gesù dice: “La carne non giova a niente, le mie parole sono spirito e vita”. Quindi quello che ci fa scoprire il Verbo incarnato non è la carne. “Carne” è una realtà sensibile; ma “è il Verbo” che si è fatto realtà sensibile: è il Verbo! L’accento va posto sul Verbo. Si arriva a scoprire, a trovare questo Verbo che si è fatto realtà sensibile solo personalmente, solo passando attraverso quella trafila indicata dai versetti precedenti. Soltanto  quando in noi si è formato il Volto del Cristo “dentro” di noi, cioè solo se si è formato in noi il sogno di  questa vita “come dovrebbe essere” e che noi non realizziamo, che noi abbiamo la potenza, la possibilità di individuare il Verbo che si è fatto realtà sensibile. Noi possiamo essere salvati soltanto dalla realtà sensibile, perché quello che ci porta via è la realtà sensibile; quello che ci disperde sono i problemi di oggi, sono i problemi pratici che ci occupano, che ci portano via. Infatti Dio ci dovrebbe occupare a tempo pieno, noi dovremmo realizzare la vita secondo giustizia: “L’uomo giusto vive di fede”. Ecco, noi dovremmo poter realizzare questa giustizia, cioè dovremmo vivere tutto di fede. Ma come? Quand’è che viviamo tutto di fede?

Solo con Cristo.

Ma quand’è che posso individuare questo Cristo come Verbo incarnato?

Soltanto quando l’ho definito dentro di me.

E come l’ho potuto definire dentro di me?

Come Figlio di Dio.

E quando l’ho potuto definire dentro di me come Figlio di Dio?

Quando sono passato attraverso tutta quella trafila di passaggi precedenti.

Angelo B.: Non è un argomento facile.

Luigi: Per questo dico che ci vorrebbe una settimana in montagna, in un ambiente di silenzio per approfondirlo.

Emma: Sarebbe bello! Comunque per capirlo meglio, mi risentirò l’argomento.

Luigi: Bisognerebbe proprio parlarne molto, perché oltretutto è un argomento bellissimo. È bellissimo e meraviglioso! La meraviglia e la bellezza sta in questo: che c’è una dimensione spirituale che ci fa scoprire il Verbo incarnato. Cioè l’esterno dipende dall’interno. È  solo quando dentro di noi si è formato un certo desiderio che vediamo fuori di noi quello che desideriamo; altrimenti non lo troviamo. Se non abbiamo in noi il desiderio di una cosa, fuori non la vediamo.

Pinuccia B.: Ma Cristo nasce da Dio.

Luigi: Nasce da Dio! Certo che nasce da Dio! Nasce da Dio! i figli di Dio nascono da Dio. Per questo bisogna desiderare Dio, guardare a Dio e attendere tutto da Lui. 

Eligio: Ma questo avviene anche nel campo sensibile in genere; infatti chi non è appassionato di macchine, non vede le macchine.

Luigi: Il nostro dire “io vedo” presuppone una dimensione interiore, altrimenti non vediamo. Noi diciamo: “ho gli occhi, vedo”. No! I nostri occhi sono ciechi. Ognuno di noi vede solo secondo ciò che porta dentro. Per cui noi possiamo essere palesemente davanti a tutte le meraviglie di Dio e non vedere assolutamente niente. Infatti molte volte si dice: “ma come è possibile, davanti ad universo così non credere in Dio?”. Se uno Dio non Lo porta dentro, non lo vede, avesse anche mille universi; e assistesse  anche a tutte le meraviglie, a tutti i miracoli di questo mondo, non li può vedere! Ecco perché vedere in Gesù il Verbo  presuppone questa “Luce dentro”! ecco perché è personale. La dimensione interiore è personale e quindi la scoperta è personale. E la cosa bellissima è proprio questa: la Vita vera è personale; per cui ad un certo momento tu ti accorgi che Dio ti fa passare dall’anonimità all’amicizia personale, ti accorgi che ti tratta per nome, perché non sei più massa. Egli infatti ti prende dalla massa, ma poi dopo ti tratta personalmente, ti chiama per nome, proprio attraverso questo passaggio qui.

Ora, mi sembra abbastanza chiaro questo fatto: se non c’è una certa dimensione interiore, e questo è personale, noi non vediamo fuori . Se invece l’abbiamo, noi vediamo: ed ecco allora che “ il Verbo si fa carne”.

Eligio: Ma solo dopo che hai contemplato in te la Verità e la Luce di Dio.

Luigi: Sì, ecco perché dico che quello che ci è annunciato è una cosa che deve avvenire in noi. Ma avviene non come “carne” che tocchiamo, perché quella “carne non giova a niente”, perché noi possiamo avere tutta la carne di questo mondo, ma non vediamo nulla. Ecco, è la dimensione interiore che ci fa vedere questo “Verbo che si è fatto carne”. Se riuscissimo questa sera a chiarire proprio bene anche solo questo concetto qui, penso che basti.

Pinuccia B.: Collegandomi con questo concetto vorrei allora approfondire meglio quello che già Eligio ha chiesto: se già devo avere questa dimensione interiore, cioè  se io riesco già a contemplare Dio, perché c’è bisogno dell’incarnazione?

Eligio: Ho trovato convincente la risposta: che cioè abbiamo bisogno dell’Incarnazione perché, per la dispersione,  non riusciamo a “restare” in questa contemplazione; essendo noi dispersi dal sensibile, abbiamo bisogno di qualcosa di sensibile, di quella carne del Cristo su cui appoggiarci e in cui vedere la realizzazione del nostro sogno di contemplare Dio.

Luigi: La meraviglia è che noi possiamo concepire e coltivare questo sogno, perché in noi c’è un “punto verginale” (e lo scoprirlo è fonte di gioia) in cui possiamo raccoglierci per pensare a Dio. Ricordo che nel 1950 circa, abitavi ancora in Via 1° Maggio e c’era ancora tua sorella Maria; ci siamo trovati a casa tua e Maria sentendo quanto dicevo  esclamò “che bello!”. Ti stavo dicendo proprio questa stessa cosa: che in noi c’è un punto verginale (che è poi Maria, la Vergine) in cui né il mondo, né il demonio, né il pensiero del nostro io possono entrare; nessuno ma solo Dio; allora in noi c’è un’appartenenza a Dio, c’è un punto in cui noi possiamo raccoglierci nel Pensiero di Dio, ma solo se mettiamo il Pensiero di Dio in alto; ed è lì,  in questo “luogo” che possiamo vedere come dovremmo essere; perché se noi non vedessimo come dovremmo essere, non potremmo desiderarlo.

Pinuccia B.: Ah, adesso ho capito!

Luigi: “A lè viscase la luce…!”

Pinuccia B.: È una contemplazione che sarà solo di un istante, di un momento, ma è necessaria come punto di partenza; ma di lì a  restare sempre…

Luigi: Deve formarsi prima di tutto il desiderio e poi il bisogno di un Aiuto; ma se noi non  mettiamo in alto questo Pensiero di Dio, se non lasciamo entrare questa Luce, noi non vediamo il nostro “dover essere”, quello che dovremmo essere, quindi non possiamo desiderarlo. Invece, se Lo mettiamo in alto, vediamo come dovremmo essere; questo dislivello tra quello che dovremmo essere e quello che siamo, forma in noi tutta una corrente ascensionale, forma in noi quel desiderio che ci porta a individuare il Cristo, o meglio,  che  formula in noi il Cristo e ci porta poi ad individuarlo.

Pinuccia B.: Abbiamo bisogno di incontrarlo perché c’è tutto che ci disperde…

Luigi: Noi siamo dispersi dalla realtà che tocchiamo: basta un mal di stomaco, un mal di denti…

Pinuccia B.: Quindi dato che la realtà sensibile ci porta via…

Luigi: …e ci porta via perché non è più secondo Dio, perché noi ci troviamo in un mondo che in noi è staccato da Dio, che afferma altri valori, per cui ci disperde…

Pinuccia B.: … allora abbiamo bisogno di trovare un’altra Realtà sensibile che ci porti a Dio.

Luigi: Questa Realtà sensibile c’è! Quindi dobbiamo trovare questa Realtà sensibile in cui si veda realizzato, per cui lo possiamo toccare, questo ideale: il Cristo, il Verbo vivente, il Verbo in vita.

Pinuccia B.: Ti riferisci al  Verbo incarnato fuori di me, vero?

Luigi: Sì.

Pinuccia B.: Ma come avviene l’incarnazione in me, in noi?

Luigi: L’incarnazione in noi sarebbe: noi = un altro Cristo; ma chi ci salva e ci porta qui è Lui, il Verbo incarnato fuori, se Lo seguiamo; chi ci porta a diventare figli di Dio è Lui. Ora, possiamo essere con Lui se ci incentriamo in Lui, perché Lui è Uno, ma ci sono tanti uomini; e noi anziché guardare a Lui possiamo guardare a tanti altri uomini. E gli altri ci portano via. Lui solo è il Verbo, “Nessuno ha mai parlato come Lui!” (Gv 7,46), “Tu solo ha parole di vita eterna!” (Gv 6,68). Come possiamo noi arrivare a dire questo? Come possiamo noi individuare il Cristo?

Sono miliardi gli uomini che abbiamo attorno, miliardi sono gli annunci e i messaggi; come è possibile individuare e dire a Lui solo: “Tu solo hai parole di vita eterna”? Tu solo? nessun altro? Come possiamo individuare questo? Eppure di fronte a Lui diciamo: Tu solo hai parole di vita eterna! “nessuno ha mai parlato come Lui!”. Ora, capisci che  per dire questo dobbiamo avere dentro qualche cosa, altrimenti non individuiamo il Cristo?

Pinuccia B.: Questo “qualcosa che devo avere dentro” vuol dire che è già incarnato in me?

Luigi: No, un momento! Questo qualcosa che dobbiamo avere dentro per individuare il Cristo è l’attrazione per il Padre, che ci viene dall’ascolto della Luce vera che portiamo in noi. Infatti Gesù  dice a Pietro: “Beato te Pietro, perché è il Padre che te l’ha rivelato”. Quindi, in quanto noi abbiamo ascoltato questo Maestro interiore, questa Luce, sarà poi questa che ci porta ad individuare il Cristo; in quanto però si è già formulato in noi. Allora una volta individuato il Cristo, se lo seguiamo, sarà Lui che ci porta alla meta dove il Verbo si fa carne in noi; ma questo accade se noi ci mettiamo alla sua sequela, se andiamo dietro di Lui; e andare dietro di Lui vuol dire lasciare: “va, vendi tutto quello che hai…” (Mt 19,21). Infatti il giovane ricco ad un certo momento arriva ad interrogare il Maestro Buono, arriva a individuarlo; come mai? Perché “ho osservato i comandamenti di Dio fin dalla mia giovinezza”. La legge è stato il “pedagogo” (Gal 3,24) che l’ha condotto a interrogare Cristo. Quindi tra tutte le migliaia di persone, di maestri che poteva interrogare, è arrivato ad interrogare solo Lui.

Ora, notiamo che quell’uomo era ricco, ciò vuol dire che ognuno di noi in ogni nostra possibile dimensione (di povertà, di ricchezza, di miseria, di peccato, ecc.), può arrivare a interrogare il Cristo. Perché Dio non abbandona nessuno per quanto sia nell’abisso del male; chiunque può ascoltare questa Luce e arrivare ad individuare il Cristo, come è arrivato il giovane ricco.

Una volta individuato il Cristo, ecco che dal Cristo noi otteniamo la possibilità di andare dietro di Lui. Se andiamo dietro di Lui, succede che Lui, proprio perché è realtà sensibile, perché è vita vissuta ci dà la possibilità di superare il nostro mondo, ci porta via tutto quel mondo che ci disperde, che è altra realtà sensibile che ci creava il distacco da quello che noi desideravamo. Cioè, il Cristo ci rende attuabile la vita secondo Dio, la vita della fede.

Pinuccia B.: Seguendo le sue parole?

Luigi: Tutto. Ad un certo momento Lui deve diventare tutto per noi, l’Unico. Seguendolo, conoscendo tutto di Lui, ci porta alla Pentecoste; ed è lì che nasce poi la creatura nuova, la vita nuova in noi; è lì che nasce il Cristo in noi.

Pinuccia B.: L’incarnazione in noi allora avverrebbe solo dopo il cammino con Cristo?

Luigi: Certamente, l’incarnazione personale, in noi, avviene a Pentecoste; cioè, in quanto noi diventiamo vita vissuta di Dio; quindi dopo Pentecoste, non prima.

S. Paolo dice: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Come ha fatto a dire questo? Dopo che era stato conquistato da Cristo, era giunto per mezzo di Cristo alla nuova nascita dall’Alto. Cioè si arriva lì per mezzo di Cristo, perché solo con Cristo (e qui c’è anche la funzione della Madonna)  si realizza questa verginità di mente in noi, questa totalità da cui nasce la creatura nuova, nasce la vita nuova.

Infatti noi incontrando Cristo siamo ancora uomini vecchi. L’Antico Testamento rappresenta l’uomo vecchio che sospira la liberazione; e quando incontra il Cristo l’uomo continua a sospirare la liberazione; e quando è con Cristo è ancora l’uomo che sospira la liberazione.

Osserviamo Pietro e Giuda: dopo tre anni di vita con il loro amato Maestro continuano a sospirare la liberazione, infatti lo tradiscono. Tutti i suoi apostoli se ne vanno nel momento della crocifissione; perché? Perché sono ancora creature vecchie, non sono ancora nuove. Quindi noi possiamo avere incontrato il Cristo, ma comunque essere ancora creature vecchie. Abbiamo bisogno di questo rinnovamento. Con Cristo abbiamo un punto d’appoggio su cui facendo leva, ad un certo momento tutto il nostro universo diventa opera di Dio. È questa trasformazione completa che dà poi il nome alla creatura nuova; a questo punto non avremo più bisogno di isolarci nel silenzio, nel nascondimento per raccoglierci in Dio , per essere con Dio, ma saremo con Lui sempre, “affinché dove sono Io siate anche voi”. Ma dov’è Lui?

Lui è dappertutto, Lui parla dappertutto; cioè, poter essere sempre con Lui vuol dire che non ci sarà più niente che ci potrà portare via; perché “in tutte le creature voi vedrete Me”. E qui non avremo più la realtà sensibile (quella che tocchiamo e che vediamo) che ci disperderà, che ci porterà via.

Pinuccia B.: Quindi la realizzazione dell’incarnazione in noi  è un processo molto lungo!

Luigi: Certamente, perché si realizza con la nostra nuova nascita. È già un cammino lungo  arrivare a individuare il Cristo e poi bisogna seguirlo fino a Pentecoste. Comunque l’individuazione del Cristo è una tappa decisiva, perché noi  possiamo aver sempre sentito parlare del Cristo, credere che il Cristo sia il Figlio di Dio, ma non aver ancora assolutamente  scoperto che  il Verbo  si è fatto carne e che Gesù è il Verbo che si è fatto carne. E questo accade perché  noi l’abbiamo seguito per sentito dire; abbiamo creduto  perché gli altri ce l’hanno detto, ma questo non è scoprire il Verbo fatto carne. È una cosa diversa,  perché questa individuazione deve essere una dimensione personale, per cui  quando avviene,  noi facciamo una scoperta: “ah, è Lui!”. È come essere sempre passati davanti allo stesso albero senza mai vederlo, e un bel giorno: “oh, guarda, non l’avevo mai notato!”. Ecco, quando si fa la scoperta è perché si è formato in noi qualche cosa che ci ha fatto vedere. Prima invece non lo vedevamo.

Pinuccia B.: Questa scoperta segna l’inizio dell’Incarnazione.

Luigi: Sì, la scoperta del Verbo fatto carne è l’inizio dell’incarnazione; e questa scoperta  diventa veramente quell’aiuto che ci libera da tutto ciò che ci disperde.

Pinuccia B.: Dopo questa individuazione del Cristo si percorrono con Lui tutte le tappe della  sua vita fino a Pentecoste dove si realizza la sua Incarnazione in ognuno di noi.

Luigi: Certo, però stasera volevamo soltanto mettere un po’ a fuoco questo processo di Incarnazione: “il Verbo che si fa carne”, ma non soltanto storicamente. Cioè non è sufficiente considerare il Verbo che si fa carne storicamente, perché non è quello che te lo fa individuare; ma ci vuole  un “quid” personale. Infatti quello che è detto qui, è detto per apportare in noi una trasformazione di vita; cioè per dire: “guarda che quello che ti annuncio è quello che deve avvenire per te; cioè, c’è un giorno nella tua vita in cui, per te il Verbo si fa carne e abita con te”. Cioè facendosi carne si fa realtà sensibile. È il Verbo che si fa realtà sensibile: è il Verbo! Va sottolineato: è il Verbo! Perché di realtà sensibili siamo già pieni e strapieni. Ma è il Verbo che si fa realtà sensibile!

Pinuccia B.: Fuori di noi, ma in noi non ancora!

Luigi: Sì. Non ancora, è logico, però deve esserci in noi qualcosa  di interiore come premessa. Infatti  noi non vediamo il Verbo che si fa realtà sensibile se non L’abbiamo già formulato dentro di noi, e chi L’ha formulato dentro di noi è solo questa Luce di Dio che è Maestro di ogni uomo, quando l’uomo L’ascolta. Perché l’uomo ascoltando e credendo in Dio, in questa Luce, desidera questa vita con Dio, desidera questo Essere, desidera il Cristo.

“Abramo desiderò vedere il mio giorno”.  Ascoltando Dio, credendo in Dio Abramo desiderò  vedere il giorno del Signore: lo desiderò, ma non è che l’ha realizzato; l’ha solo visto. Anche noi lo vediamo..., ma nella pratica lo realizziamo? Ora però è necessario vederlo e desiderarlo, perché  soltanto vedendo dentro di noi questo “giorno del Signore”, questa vita secondo Dio (e il vederla non è ancora realizzarla, perché tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare), si forma in noi il bisogno del Cristo. Ma per vederla dobbiamo mettere in alto la Luce di Dio in noi, ascoltarla e meditarla, allora in noi si forma il sogno di una vita in Dio e con Dio, cioè  noi vediamo come dovrebbe essere, vediamo questo ideale di vita, questa libertà, però succede che in pratica non riusciamo a realizzarla, per cui passiamo  attraverso l’esperienza dell’impotenza. E allora lì incominciamo a tribolare, a far leva su tanti propositi, tanti programmi, tante cose, ma accorgendoci che continuamente falliamo, ad un certo momento diventiamo tutta invocazione di aiuto, diventiamo preghiera, diventiamo tutto bisogno di Dio, ed è quello che ci fa poi individuare il Cristo, perché lì scopriamo che non c’è nessun uomo e nessun mezzo umano che ci possa salvare; è questo bisogno che ce Lo fa individuare!

Cioè è questo bisogno di un Salvatore che ci fa individuare il Cristo. Infatti i primi discepoli dicono:  “Abbiamo trovato!” (Gv 1,41). È questo l’annuncio che danno agli altri: “Abbiamo trovato il Messia!”. Ma come hanno fatto a individuarlo, come hanno fatto a dire “L’abbiamo trovato”? È questa dimensione interiore che ci porta ad individuare il Cristo.

Infatti che cos’è che ci porta ad individuare fuori qualche cosa? È il desiderio che portiamo dentro di noi. Però il desiderio si forma in quanto dentro di noi si è formulato un certo bisogno, quindi solo dopo aver capito l’importanza di una cosa, l’essenzialità di essa.

Gli incontri fuori li programmiamo dentro; e come li programmiamo dentro?

Formulando dentro ciò di cui abbiamo bisogno; per cui, se io ho bisogno della cotoletta tutti i giorni, io programmo già dentro di me l’incontro col macellaio tutti i giorni, e non posso farne a meno. In realtà, non è che programmo l’incontro, ma programmo il bisogno, programmo il desiderio della cotoletta. Quindi programmando quel bisogno, convincendomi di quello, necessariamente domani mi incontrerò col macellaio. Ora, gli incontri fuori li programmiamo dentro; se noi non ci convinciamo che abbiamo bisogno di qualche cosa, noi certamente non incontreremo fuori quel qualche cosa (cioè possiamo incontrarlo mille volte, ma non ci interessa, non lo vediamo). La stessa cosa avviene nei confronti di Cristo. 

Allora chiediamoci: quand’è che noi scopriamo il Cristo?

Quando in noi si è formato il bisogno di Lui; e se non si forma questo bisogno non Lo possiamo riconoscere come “Verbo fatto carne” “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre” . Quindi se non c’è questo desiderio, questo bisogno, noi non possiamo andare al Cristo; noi possiamo incontrarlo, sentirne parlare e anche credere in Lui, magari pregarlo, ma non l’abbiamo incontrato! Ecco, è questa la differenza tra il credere in Cristo per sentito dire e invece il credere personalmente in Lui; il credere personalmente vuol dire incarnazione: aver visto il Verbo in Gesù. Perché l’incarnazione non è semplicemente la “carne”, cioè non è il fatto storico, non è il corpo umano, ma è un’individuazione personale; cioè è un fatto spirituale, personale che ci fa dire: “Tu sei il Verbo di Dio fra noi”. La bellezza sta nel fatto che è una constatazione personale.

Eligio: Infatti come la vedi tu l’incarnazione non la vedo io e non la vede un altro; quindi è un’esperienza unica, individuale.

Luigi: Per cui qui vediamo che è Dio che ci chiama personalmente perché ci fa fare un atto personale, quindi ci chiama per nome. È lì la bellezza!

Eligio: Hai illustrato molto bene il concetto d’incarnazione, rendendolo molto più ampio di quello che è il senso letterale della parola.

Luigi: Se ci fermiamo al senso letterale, rimane un fatto esterno. Infatti anche se diciamo: “la storia mi dice che Cristo si è incarnato; l’ambiente in cui vive mi propone questo, ecc.”, possiamo non aver ancora incontrato il “Verbo fatto carne”; noi magari diciamo: “io ci credo”, ma per sentito dire; quindi crediamo di credere, ma poi in realtà non crediamo.

Eligio: Questo perché noi siamo portati a immaginarci la persona fisica la quale ci è estremamente difficile pensare dentro di noi, intima a noi, perché in quanto realtà fisica ci è, per forza di cose, esterna. Invece dobbiamo partire dal concetto della formazione del Cristo in noi, come fatto prima spirituale, come desiderio…

Luigi: Dio ce lo “genera” prima in noi affinché noi Lo possiamo vedere fuori. Ci disegna dentro suo Figlio; è come se dicesse: “guarda che mio Figlio ha questi occhi, ha questo naso, ha questa bocca…” (intendete bene, eh!). Quindi ci fa il disegno dentro, per cui nel momento in cui noi Lo vediamo fuori diciamo: “ah, ma è Lui”. Perché questo? Perché abbiamo visto il suo disegno dentro. Vedendo la fotografa “dentro”, possiamo riconoscerlo “fuori”, ma perché l’abbiamo già dentro. Se noi non Lo portiamo dentro, possiamo vederlo fuori, sentirne parlare, magnificare, ma non riconoscerlo come “Verbo fatto carne”. Ecco, quello che ci salva è questo”.

Pinuccia B.:  Dio, suo Figlio Lo “genera”, Lo disegna dentro di noi; ma questo lo fa con tutti?

Luigi: No, ma solo a chi ha posto la Luce in alto. Infatti: “A chi Lo accoglie dà la possibilità di diventare figli di Dio”(Gv 1,12): questa possibilità è il disegno che Dio ha fatto in noi se abbiamo guardato a Lui. Capisci cosa vuol dire questo “disegnare” dentro? Tu riesci a vedere un volto fuori in quanto l’hai già disegnato dentro. Cioè, fuori noi incontriamo quell’amore che portiamo dentro, altrimenti vi passiamo vicino e non Lo vediamo.

Pinuccia B.: La volta scorsa hai detto che qui è adombrata la nascita verginale di Gesù in Maria, cioè…

Luigi: La nascita verginale è stata richiamata per chiarire che “i figli di Dio non nascono né per volontà di uomo, né per volontà di carne, né per volontà di sangue, ma soltanto da Dio”.

Pinuccia B.: Si nasce come figli di Dio solo da Dio e questo vuol dire che il Verbo  nasce in noi  da Dio, vero?

Luigi: Solo da Dio! E Dio ce lo fa toccare con mano, perché prima di convincerci di questo, noi facciamo tutte le nostre brave esperienze fatte facendo leva su tutti in nostri propositi, le nostre regole, le nostre volontà, tutti gli aiuti a destra e a sinistra. Per cui prima andiamo a cercare soccorso da mille creature; tocchiamo con mano l’impotenza andando prima con uno, poi con l’altro, con l’altro ancora…; e ad un certo momento Dio ci porta a convincerci che i figli di Dio nascono solo da Dio. È qui  che ci isoliamo solo in Lui; ecco come capiamo cosa vuol dire che “i figli di Dio non nascono né da volontà di carne, né da volontà di uomo, né da volontà di sangue ma solo da Dio”. Ecco perché abbiamo detto che lì è adombrata la nascita verginale di Gesù da Maria.

Il fatto che Gesù nasca da Maria Vergine non è soltanto un gioco miracoloso, per dirci: “guarda cosa sono capace di fare; invece voi uomini no!”. Non è quello! Ma è una lezione pedagogica per ognuno di noi, per dirci che la Verità di Dio in noi non nasce per nessuna cooperazione di uomo, per nessun valore umano; affinché noi abbiamo ad evitare di sprecare, di sciupare un mucchio di energie correndo a cercare aiuto a destra e a sinistra, quando i figli di Dio nascono solo da Dio.

 Quindi la lezione della Madonna, questo concepimento verginale per opera di Dio, è una lezione efficacissima, importantissima per la salvezza di ognuno di noi. Ecco perché Ella è Madre di ognuno di noi, ecco perché è Madre di tutti i figli di Dio; perché senza di Lei nessuno di noi nasce. Senza la Madonna nessuno di noi diventa figlio di Dio.

Dobbiamo renderci conto che la nascita verginale di Gesù non è soltanto un fatto miracoloso; è lezione personale per ognuno di noi; direi: è ammonimento, è segnalazione della strada; come se Dio ci dicesse: “guarda che per diventare figlio di Dio la strada è quella!”.

Eligio: Dobbiamo diventare come la Madonna.

Luigi: Certo, spiritualmente dobbiamo arrivare ad essere come Maria, la Madre di Dio; in noi ci deve essere questa concezione verginale di Dio. Verginale vuol dire: senza intervento d’uomo, di creatura. Soltanto quando noi ci convinciamo di questo, allora possiamo riconoscere il Verbo fatto carne. Invece fintanto che noi facciamo appoggio su altro spiritualmente non siamo come la Madonna e non possiamo vedere il Verbo fatto carne.

Eligio: Cioè, solo quando l’anima nostra si trasformerà come era la Madonna al momento della concezione, potremo realizzare l’incarnazione.

Luigi: Certamente. Quindi il concepimento verginale della Madonna non è soltanto un fatto miracoloso; non bisogna fermarsi a dire: “Il Signore è andato contro se stesso, perché Lui che ha creato la nascita attraverso il rapporto dei sessi, ora si contraddice perché Egli nasce da una Vergine”. Questa nascita verginale di Gesù è di una importanza enorme, cosmica, perché la lezione che ci dà è valida per tutti gli uomini.

Eligio: È un insegnamento da cui nessuno può prescindere.

Luigi: Certamente.

Appendice (dagli appunti di Luigi):

Bisogna giungere a vedere in Cristo l'incarnazione del Verbo, del Pensiero che ha sempre parlato a noi, poiché in effetti c'è "Uno" che ha sempre parlato e parla a noi.

Se "Uno" parla a noi, viene un tempo in questo parlare in cui deve apparire tra noi il suo Pensiero, poiché parlando si rivela il pensiero.

Questo momento è la conclusione di tutto il "parlare".

E se questo "parlare" sono le cose create nel tempo, cioè i tempi, quel momento è la conclusione dei tempi, la loro pienezza. Per cui, quando giunge questa pienezza dei tempi, ecco, il Verbo si fa carne: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo" (Eb 1,1-3).

Il Verbo che parlava si è reso visibile, si è fatto realtà tangibile. L'Incarnazione è appunto questa tangibilità del Divino. Ma il Verbo non diventa tangibile, visibile, se la creatura non si offre ad accoglierlo, se non è disponibile ad ascoltarlo e quindi a credere in Lui.

Ecco allora che il massimo di toccabilità e di visibilità del Verbo è la sua Morte in Croce: il Verbo di Dio ha voluto rendersi reale, toccabile all'uomo, fino alla morte e alla morte di Croce. È qui che viene ricuperato ciò che era in principio: "in principio era il Verbo". L'uomo naturalmente non può "toccare" Dio, ma è lui che è "toccato" da Dio.

Il punto culminante della realtà tangibile del Verbo all'uomo è quindi la Sua morte in croce: là dove abbiamo il massimo di opposizione dell'uomo a Dio, troviamo il massimo di toccabilità di Dio all'uomo.

ALLA FINE DEI TEMPI

Alla fine dei tempi, miliardi di persone furono portate su di una grande pianura davanti al trono di Dio. Molti indietreggiarono davanti a quel bagliore. Ma alcuni in prima fila parlarono in modo concitato.  Non con timore reverenziale, ma con fare provocatorio.

«Può Dio giudicarci? Ma cosa ne sa Lui della sofferenza?», sbottò una giovane donna. Si tirò su una manica per mostrare il numero tatuato di un campo di concentramento nazista. «Abbiamo subito il terrore, le bastonature, la tortura e la morte!».

In un altro gruppo un giovane nero fece vedere il collo. «E che mi dici di questo?», domandò mostrando i segni di una fune. «Linciato.  Per nessun altro crimine se non per quello di essere un nero».

In un altro schieramento c'era una studentessa in stato di gravidanza con gli occhi consumati. «Perché dovrei soffrire?», mormorò. «Non fu colpa mia».

Più in là nella pianura c'erano centinaia di questi gruppi. Ciascuno di essi aveva dei rimproveri da fare a Dio per il male e la sofferenza che Egli aveva permesso in questo mondo.

Come era fortunato Dio a vivere in un luogo dove tutto era dolcezza e splendore, dove non c'era pianto né dolore, fame o odio!  Che ne sapeva Dio di tutto ciò che l'uomo aveva dovuto sopportare in questo mondo? Dio conduce una vita molto comoda, dicevano.

Ciascun gruppo mandò avanti il proprio rappresentante, scelto per aver sofferto in misura maggiore. Un ebreo, un nero, una vittima di Hiroshima, un artritico orribilmente deformato, un bimbo cerebroleso.  Si radunarono al centro della pianura per consultarsi tra loro. Alla fine erano pronti a presentare il loro caso.  Era una mossa intelligente.

Prima di poter essere in grado di giudicarli, Dio avrebbe dovuto sopportare tutto quello che essi avevano sopportato. Dio doveva essere condannato a vivere sulla terra.

«Fatelo nascere ebreo. Fate che la legittimità della sua nascita venga posta in dubbio. Dategli un lavoro tanto difficile che, quando lo intraprenderà, persino la sua famiglia pensi che debba essere impazzito. Fate che venga tradito dai suoi amici più intimi. Fate che debba affrontare accuse, che venga giudicato da una giuria fasulla e che venga condannato da un giudice codardo. Fate che sia torturato.  Infine, fategli capire che cosa significa sentirsi terribilmente soli. Poi fatelo morire. Fatelo morire in un modo che non possa esserci dubbio sulla sua morte. Fate che ci siano dei testimoni a verifica di ciò».

Mentre ogni singolo rappresentante annunciava la sua parte di discorso, mormorii di approvazione si levavano dalla moltitudine delle persone riunite.

Quando l'ultimo ebbe finito ci fu un lungo silenzio. Nessuno osò dire una sola parola. Perché improvvisamente tutti si resero conto che Dio aveva già rispettato tutte le condizioni.

«E il Verbo si fece carne» (Gv 1,14).

(tratto dal libro “Solo il vento lo sa” di Bruno Ferrero - editrice ELLE DI CI)