Ma a tutti quelli che l’accolsero, diede il potere di diventare figli di
Dio, a quelli che credono nel suo nome Gv
1 Vs 12
Titolo: Il potere di
diventare figli di Dio.
Argomenti: Cosa vuol dire
accogliere la Luce. Credere nel Suo Nome. Chi accoglie la luce. Si nasce figli di Dio
consapevolmente. Il rischio di diventare figli di altro.
Cosa significa essere figlio di Dio. L’incapacità del silenzio. La vita
interiore.
24/Ottobre/1975
Dall’esposizione di Luigi
Bracco (appunti):
Il versetto 12 ("Ma a tutti quelli che
L'accolsero, diede il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono
nel suo Nome") va letto così: "A tutti quelli che accolsero
la vera Luce, Essa diede....".
Questo versetto ci propone diversi argomenti:
- in che cosa consiste accogliere la Luce e
credere nel suo Nome;
- chi sono coloro che accolgono la Luce;
- il potere di diventare figli di Dio (le due
nascite);
- chi è che dà questo potere e in che cosa
consiste questo potere;
- come si diventa figli di Dio;
- cosa significa essere figli di Dio e cos'è
che caratterizza i figli di Dio;
Cioè sostanzialmente questo versetto ci
presenta :
- la promessa fatta all'uomo;
- il sogno, la speranza dell'uomo;
- la possibilità di realizzare tale sogno;
- la condizione per realizzarlo.
Innanzitutto è necessario richiamare il
concetto di "accogliere la Luce". Accogliere la Luce vuol dire guardare al
Verbo, al Maestro interiore, che è la Luce vera e riferire tutto a
questa Luce, come unico punto di riferimento. Accoglierla non vuol dire
lasciarla entrare, perché Essa è già in noi (e di questo bisogna prendere
coscienza), ma vuol dire metterla in alto, al centro della nostra vita e
dei nostri pensieri; vuol dire metterla in alto nella nostra stanza interiore, affinché
illumini tutto ciò che entra dentro di noi e tutto ciò che esce da noi, in modo
che Essa diventi il movente della nostra vita e delle nostre scelte.
Noi possiamo metterla in alto o non tenerne
conto, ma se non ne teniamo conto, siamo noi che rimaniamo nelle tenebre; se
trascuriamo il Verbo interiore, Lui continua ad esistere, ma noi cominciamo a
morire.
"Accoglierla" vuol anche dire
scartare altre luci e lasciarci motivare, guidare in tutto solo dal Verbo
di Dio, la vera Luce. Se non scartiamo le altre luci, si crea in noi una
confusione tale da non capire più nulla, né il senso della vita, né il senso
delle cose, ecc.
Se non si scarta, non si sceglie. Scegliere vuol dire mettere qualcosa o
qualcuno prima di tutto, in cima a tutto. Quindi non si può scegliere la vera
Luce, non la si può mettere al di sopra di tutto, se non si lasciano le altre
luci.
Allora, accogliere il Verbo, la Luce
interiore, vuol dire:
-
innanzitutto mettere questa Luce in alto, sapendo però che questo non basta;
-
bisogna anche permanere nel silenzio interiore e nell'ascolto per imparare
a lasciarci motivare, guidare da Essa.
La Parola di Dio è lampada per il nostro
cammino. Il Verbo incarnato, con le sue Parole e con i fatti della sua vita, si
è fatto strada per i nostri passi, per insegnarci a diventare figli di Dio.
In questo versetto ci
viene precisato che accoglierlo vuol dire, in sostanza, credere nel suo Nome. Il nome di uno è ciò che è oggetto
dell'amore di quell'uno. Quindi il Nome
del Figlio è il Padre,
perché Lui è il Pensiero del Padre e si è incarnato unicamente per parlarci del
Padre, del suo rapporto con il Padre e farcelo conoscere e portarci così alla
realizzazione del nostro sogno, al raggiungimento della meta per la quale siamo
stati creati.
Credere nel suo Nome quindi vuol dire
condividere la sua passione per il Padre, avere interesse per capire il Pensiero del Padre in
tutte le cose, cioè ciò che il Padre ci dice di Sé in tutto e dedicare quindi
la nostra mente per approfondire le sue Parole con l'unico desiderio di conoscere
il Padre. È proprio facendoci conoscere il Padre che il Figlio ci dà la
possibilità di diventare figli di Dio, cioè di partecipare alla Sua generazione
dal Padre.
Va tenuto presente però che l'amore per il Padre
non è questione di sentimento, ma di interesse per conoscerlo e tale interesse
nasce dalla giustizia essenziale che sta alla base del nostro cammino
spirituale.
"A quanti La accolgono...":
Chi
sono quelli che accolgono questa Luce? Nel versetto precedente abbiamo visto che "i
suoi non la accolsero" (cf: "mandò i suoi servi a chiamare gli
invitati al banchetto di nozze; ma quelli presero a scusarsi e non vollero
venire"); quindi questo versetto dicendo: "a quanti la
accolsero", non si riferisce più ai "suoi". Allora
sono i "non suoi" che la accolsero!
E chi sono i "non suoi"? Coloro che
non erano invitati! "Allora
il re indignato disse ai servi: Le nozze sono pronte; ma gli invitati non ne
erano degni: andate dunque ai crocicchi delle strade e chiamate alle nozze
quanti incontrate: poveri, storpi, ciechi, zoppi....e forzateli ad entrare,
affinché la mia sala sia piena" ( Mt 22,l-l4 e Lc l4, l5-24).
Ecco, questo ci fa capire che chi ha rifiutato
l'invito al pranzo di nozze potrà esservi ammesso solo a una condizione: quella
di ritrovarsi tra quei poveri, miseri e malati che sono stati
"forzati" ad entrarvi; in caso diverso "non assaggeranno la
mia cena", dice il Signore. Infatti le due categorie di persone
della parabola rappresentano i due tempi della nostra anima; il secondo
tempo arriva dopo che "il re diede ordine di distruggere le città di
coloro che avevano rifiutato l'invito" (Mt 22,7). In questa "distruzione
della città" già si intravede la tragedia del Calvario...,("drama
mundis": il dramma del mondo) attraverso la quale Dio porta a compimento
l'opera di ricupero dell'uomo.
Per chi ha accolto questa Luce e, conseguentemente, ha riconosciuto ed
accolto Cristo, il Verbo incarnato, viene riservata una promessa
meravigliosa: "A quelli che l'accolsero diede il potere di
diventare figli di Dio".
L'uomo allora può diventare figlio di Dio.
Essendo nato figlio di donna, figlio del
mondo, può diventare figlio di Dio.
Ecco la promessa! Ecco ciò che è promesso
all'uomo! Ecco l'eredità spirituale di cui si parla nel Testamento!
eredità che l'uomo non deve trascurare, sottovalutare, se non vuol vedersi
escluso da essa.
L'uomo è stato creato per conoscere Dio ed è
chiamato a diventare figlio di Dio. È soltanto nella conoscenza di Dio che
diventa figlio di Dio. Egli deve credere a questa promessa e vivere per la
realizzazione di essa, perché per essa ha avuto l'esistenza e tutto.
"Beata te che hai creduto; si compirà ciò
che ti è stato detto da parte del Signore" (Lc l,45), disse Elisabetta a Maria.
"...diede il potere di diventare figli di
Dio":
Che
significa questo "potere"? È una possibilità. Quindi: "A
tutti quelli che Lo accolsero diede la possibilità di diventare figli di
Dio". Non dice: "li fece", perché non si nasce figli
di Dio per un atto magico (come invece avviene per la nostra nascita nella vita
naturale) e neppure con la morte, ma si nasce figli di Dio consapevolmente e
quindi personalmente, accogliendo il Verbo, dedicandogli il pensiero e
lasciandosi guidare da Lui fino alla conoscenza del Padre.
Allora se accogliamo la Luce, se La mettiamo
in alto, Essa non ci fa figli (perché è il Padre che ci genera come
figli suoi), ma ci dà la possibilità di diventarlo. Quindi non lo siamo
ancora: qui adesso siamo in una vita che abbiamo avuto, che ci è stata imposta
e che non abbiamo scelto; questa vita è un'occasione provvisoria per essere
interrogati se vogliamo nascere come figli di Dio. La vera vita non ci è
imposta, ma ci è proposta, presentata come oggetto di scelta: vuoi diventare
figlio di Dio? nascere da Lui?
L'uomo allora
deve nascere due volte:
- una volta dalla carne,
- una volta da Dio.
Ma da Dio non può nascere se non vuole
nascere: senza cioè la sua elezione.
È un atto cosciente: dobbiamo volerlo. Ma la
grazia è tutta Sua, perché senza di Lui possiamo far niente.
Chi dunque dà all'uomo il potere di diventare
figlio di Dio?
È la Luce, se è accolta. Infatti: "a tutti quelli che La
accolsero diede il potere di diventare figli di Dio". Abbiamo visto
che accogliere la Luce vuol dire metterla in alto, in modo che tutto possa
essere illuminato, guidato e motivato da Essa, riferito ad Essa.
È molto importante sottolineare che è la
Luce che dà all'uomo questo potere, perché è Essa che, se l’accogliamo e
crediamo nel suo Nome, ci porta alla conoscenza di Dio. È infatti attraverso
la conoscenza del Padre (che è pienezza della Luce) che avviene la
comunicazione dell'Essere del Padre, la partecipazione alla generazione del
Figlio, e non attraverso altre vie
(come verrà evidenziato nel versetto che seguirà), perché i figli di Dio
nascono da Dio.
Il diventare figli di Dio è la conclusione di
un lungo cammino con Cristo,
il Verbo incarnato, Luce del mondo. Chi Lo accoglie e crede nel suo Nome,
riceve questa possibilità.
Ma già nel cammino con Lui, quindi nella fede,
diventiamo progressivamente figli di Dio, dipendenti da-, motivati da-. guidati
da-. Accogliendo la Luce,
mettendola cioè in alto e lasciandoci guidare da Essa, diventiamo figli di
Essa, proprio come dice s. Paolo: "I figli di Dio sono coloro che si
lasciano guidare in tutto dallo Spirito di Dio" (Rm 8,l4).
È un divenire, un crescere nella misura in cui ci lasciamo
guidare dal Verbo interiore: ogni cosa che facciamo, pensiamo o diciamo,
motivati da questa Luce, ci fa figli di Dio. Infatti noi diventiamo figli
(quindi dipendenti) di ciò che ci motiva, figli di ciò che facciamo, figli di
ciò per cui viviamo. È Dio che ci ha dato una natura così, proprio perché siamo
vocati, destinati a diventare figli di Dio.
Questo ci fa però correre
un grosso rischio: di diventare figli di altro da Dio. Infatti chi mette in alto altro, diventerà figlio di
quest'altro, perché si lascia guidare da quest'altro. "Chi fa il
peccato resta schiavo (dipendente da-) di esso", dice Gesù (Gv
8, 34). Diventiamo infatti figli delle nostre opere, dipendenti da esse.
E questo, come abbiamo detto, denuncia il nostro destino e ci fa capire perché
viene dato e come viene dato il potere di diventare figli di Dio a quanti
accolgono la Luce e si lasciano guidare, motivare da Essa.
Qui si scopre il disegno meraviglioso di Dio: Egli si propone come fine nostro, come
oggetto del nostro pensiero (si fa figlio nostro!), per farci diventare
figli suoi. In Cristo, Verbo Incarnato, ci è rivelato questo disegno di
salvezza.
Maria è il prototipo della creatura perfetta
che accoglie il Verbo e non conosce altre motivazioni se non quella di Dio ("non
conosco uomo"). Essa è puro ascolto di Dio e puro pensiero di Dio, per
cui Essa, generando il Verbo di Dio, è Colei che genera i figli di Dio.
Che
significa dunque essere figlio di Dio?
Essere figlio di Dio significa essere generato
da Dio, motivato da Dio.
Padre è colui o ciò che ci genera, che ci fa
vivere. Avere qualcuno o qualcosa come padre, è averlo come principio del
nostro essere, come motivo di vita.
Avere Dio come Padre è quindi averlo come Principio:
- del nostro vivere,
- del nostro pensare,
- del nostro amare,
- di tutto il nostro essere.
È vivere in Lui e di Lui:
- protetti da Lui,
- sostenuti da Lui,
- guidati da Lui,
- completati da Lui,
- istruiti da Lui.
- dipendenti da Lui.
Essere figlio di Dio significa quindi avere
Dio come Padre in tutto:
- Padre dei nostri pensieri,
- Padre delle nostre decisioni,
- Padre dei nostri desideri,
- Padre del nostro amare,
- Padre della nostra vita: nel nostro gioire e
nel nostro soffrire,
- Padre del nostro tutto.
Figli di Dio sono dunque coloro che agiscono
nello Spirito di Dio, guidati cioè dallo Spirito di Dio: «Tutti quelli infatti che sono guidati
dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno
spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da
figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!".
Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio..».(Rm
8,l4-l7).
I figli di Dio sono caratterizzati dal fatto
che accettano tutto dal Padre e riportano tutto al Padre, per essere motivati
dall'intenzione del Padre,
così come ci ha insegnato Gesù quando disse di Sé: "Il Figlio non fa
nulla se non lo vede fare dal Padre".
Per cui è figlio colui che aspetta tutto
dal Padre e non fa nulla di sua iniziativa; se parla, se agisce, se pensa è "perché
Dio vuole così, perché lo Spirito è così": in questo è
figlio di Dio, appunto perché motivato da Dio, guidato da Dio.
Si è figli in quanto possiamo riconoscere la
paternità di quanto facciamo, diciamo o pensiamo.
Figli di Dio sono allora coloro che ascoltano
la Parola di Dio e si lasciano guidare da Essa: «Non è scritto nella vostra Legge: Io ho detto:
"Voi siete dèi!"? Se dunque la Legge ha dato il nome di dei a
quelli cui fu rivolta la Parola di Dio...» (Gv 10,34-35). Cristo ci parla
solo del Padre, per cui la sua Parola, se noi la ascoltiamo, ci porta ad
essere tutto pensiero del Padre, ci
porta cioè nella possibilità di ricevere la rivelazione, la conoscenza del
Padre e quindi l'adozione a figli, la partecipazione alla Sua generazione dal
Padre. Il Padre infatti rivela Se stesso solo a suo Figlio e quindi si rivela a
noi solo quando Cristo ha formato in noi Se stesso, cioè quando siamo diventati
per opera sua tutto e solo pensiero del Padre.
Possiamo dire allora che chi segue Cristo è
già, potenzialmente, pur solo nella fede, figlio di Dio: "Quale grande amore ci ha dato il
Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! ....Noi fin d'ora
siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo
però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché Lo
vedremo così come Egli è." (1 Gv 3, 1-2).
Accogliere, ricevere il Verbo, è dunque già
iniziare a diventare figli di Dio, perché è iniziare a formare in noi la
capacità di diventarlo, di nascere da Dio, se però non ci limitiamo ad accoglierlo,
ma se ci preoccupiamo di dedicare il
pensiero a Lui, cioè di credere nel suo Nome e soprattutto di lasciarci guidare
dal suo Spirito, assimilando le sue Parole.
Per Abramo (e così anche per ciascuno
di noi) la storia della salvezza inizia con la chiamata da parte di Dio verso
un luogo sconosciuto, con la proposta di lasciare la sua terra, la terra dei
suoi padri, della sua gente e con una promessa: di giungere al possesso
della nuova terra (Cf Gen l2, l ss; At 7, 1, ss). Tale promessa determina
in Abramo e nei suoi discendenti una speranza, un'attesa, un sogno. Determina
un salto di qualità verso una nuova vita.
È già preannunciata qui una nuova nascita, la nascita di cui parla Gesù a Nicodemo: "In
verità, in verità, Io te lo dico: Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il
Regno di Dio... Chi non rinascerà dall'acqua e dallo Spirito, non potrà entrare
nel Regno di Dio. Ciò che è generato dalla carne, è carne, e ciò che è generato
dallo Spirito è Spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: Bisogna che nasciate
di nuovo " ( Gv 3, 3 ss).
Tutta la creazione nutre tale attesa.
Infatti l'attesa di tutte le creature è la
rivelazione dei figli di Dio: "La creazione stessa attende con
impazienza la rivelazione dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere lei
pure liberata dalla schiavitù della
corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo
bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del
parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello
Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli... poiché nella
speranza noi siamo stati salvati... Lo Spirito stesso viene in aiuto alla
nostra debolezza... e intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili..."
(Rm 8,l9-24.26).
Ecco, diventare figlio di Dio è la speranza
dell'uomo:
"Per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo
abbiamo anche ottenuto, mediante la fede di accedere a questa grazia nella
quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio" (Rm 5, 2).
Nutre questa speranza e ne vedrà la
realizzazione chi fa conto su Dio, perché è Dio che ci fa figli suoi, anche
se non senza di noi.
Dio infatti disse: "Facciamo l'uomo
a nostra immagine e somiglianza":
-"facciamo": l'uomo viene
fatto da Dio in collaborazione con l'uomo stesso; senza la sua partecipazione sarebbe uno
sgorbio;
-"a
immagine e somiglianza di Dio": Dio è l'Originale con cui va
continuamente verificato l'uomo. È con questa verifica che "si fa";
se no, avviene una deformazione.
Dio abita nell'uomo indipendentemente che
l'uomo Lo accolga o no (poiché Dio non dipende dall'uomo), per cui l'uomo ha
la possibilità di guardare continuamente all'Originale su cui deve modellarsi. Guardandolo, Lo accoglie, Lo
mette in alto, si lascia guidare da Lui,
diventando così figlio Suo.
Pensieri tratti
dalla parte registrata:
Pinuccia B.: “A
quanti L’accolsero diede il potere di diventare figli di Dio”: tutto
dipende allora dall’accogliere. Ogni uomo, se vuole, ha questa possibilità di
accogliere la Luce, però non sa restare in Essa. Perché?
Luigi: Perché l’uomo ha a disposizione la Luce di Dio,
il Maestro interiore, però può non
raccogliere il mondo in questa Luce. L’uomo può non mettere questa Luce al di
sopra di tutto; cioè può non mettere la Luce del Verbo interiore al di sopra di
tutto.
“Accogliere” vuol dire mettere questa Luce al disopra di tutto, per
illuminare tutto.
Pinuccia B.: E
chi La accoglie e non La mette al disopra di tutto?
Luigi: No, non può essere, perché accoglierla vuol dire
metterla al disopra di tutto; accoglierla vuol dire guardare ad Essa, al Verbo
interiore. Se noi non guardiamo a Lui, noi non Lo accogliamo. Lui resta in
noi, perché noi siamo casa sua, e anche se noi Lo rifiutiamo, Lui continua a
parlare in noi, però noi, non guardandolo, non Lo mettiamo al suo posto. Cioè,
Lui è la Luce, ma noi possiamo non
accogliere questa Luce. Quand’è che non accogliamo questa Luce?
Noi non accogliamo questa Luce, quando non la
mettiamo alta, sul candelabro.
La si accoglie quando la mettiamo in alto in modo da illuminare la nostra
stanza, affinché tutto ciò che entra nella nostra vita sia illuminato da
quella. Quindi perché tutto ciò che entra nella nostra vita sia illuminato da
quella Luce è necessario che in noi questa sia messa al di sopra di tutto.
Se tu metti al di sopra di tutto il pensiero
del tuo io, tu non hai accolto il Verbo di Dio, la luce Vera; ma hai messo
un’altra luce, o meglio, hai messo delle tenebre, ed esse non possono illuminare. La Luce vera resta
Luce vera, quello che hai messo tu non è luce, per cui entri nella confusione, perché metti un
principio di confusione.
Ines: E già, perché sono occupata da quello.
Luigi: Sei occupata da quello, e anzi tendi a vivere per
quello, perché è poi quello che ti motiva le scelte nella vita.
Se noi mettiamo al disopra di tutto la nostra
figura, il pensiero del nostro io o il nostro interesse, il denaro, allora l’elemento
che motiva le scelte della nostra vita, le nostre azioni, ecc. è questo che noi
abbiamo messo al di sopra di tutto, cioè il pensiero del nostro io, la
nostra figura, il denaro, il guadagno, il sesso, ecc.. Ma tutto questo non è
Luce. La Luce vera è il Verbo di Dio. Se noi Lo mettiamo al disopra
di tutto, Egli diventa l’elemento che c’illumina e determina i motivi delle
nostre azioni, delle nostre scelte; in tal caso le nostre scelte sono fatte
alla Luce di Dio, ed è la Luce di Dio che guida.
Ines: È per questo che la Scrittura dice che è meglio essere o
caldi o freddi, ma non tiepidi: perché bisogna scegliere.
Luigi: Certo. Però la scelta sta nel mettere in alto, in
modo da riferire le cose a questa Luce, a questo Maestro. Quindi se noi
mettiamo in alto Colui che è in alto, cioè se noi mettiamo la Luce al suo
posto, allora tutti i giudizi (le scelte sono giudizi che noi facciamo) sono
fatti alla vera Luce. Allora noi non andiamo errati, perché la Luce ci
guida. Se noi invece, come guida mettiamo altro dal Verbo, quindi se mettiamo
le tenebre, le nostre scelte sono sbagliate; e ad un certo momento ci troviamo
carichi di catene, e poi ci chiediamo: “come mai?”. E allora, magari diciamo:
“il mondo non è fatto bene”, oppure: “la colpa è della società”, oppure: “la
colpa è degli altri”, no! «Sei tu che hai messo in alto, dentro di te, un
principio sbagliato, non hai messo il Verbo, non hai messo il Maestro; perché “Luce
vera è quella che illumina ogni uomo”».
Quindi la Luce è data a tutti gli uomini, ma
gli uomini la devono guardare, accogliere. Ecco, accogliere vuol dire
guardare questa Luce, riferire a questa
Luce.
Però, come abbiamo visto la volta scorsa,
succede che gli uomini possono ritenersi suoi: “io sono privilegiato, sono
prediletto”, ma l’affermazione del versetto precedente (“i suoi non
L’accolsero”) ci fa capire che come
l’uomo ritiene di essere prediletto, ha già rifiutato la Luce. Potrebbero
esserci degli uomini che dicono: “ma io non appartengo a-” (anche per la
divisione stessa che si forma a causa di
chi si ritiene privilegiato e che dice: “noi siamo popolo di Dio, gli
altri no!”: l’uomo tende sempre a dividersi, a distinguersi), quindi non sono
tenuto a-“. Qui invece ci fa capire che la Luce è per tutti gli uomini, è
universale, cattolica. E allora in questo versetto dice: “A tutti
quelli che L’accolsero diede la possibilità di diventare figli di Dio”:
a tutti quelli che…
Ma: “i suoi non l’accolsero”, perché
come noi ci riteniamo suoi, vuol già dire che Lo rifiutiamo; come noi riteniamo
di vedere, di essere prediletti, siamo già “fuori”; infatti il Signore dice: “quando
sei invitato a nozze, non metterti al primo posto…mettiti sempre all’ultimo”
(Lc 14,8). Perché come noi diciamo: “io rispetto agli altri sono privilegiato,
io ho diritto ad un posto, già sono “fuori; “mettiti sempre all’ultimo
posto” (Lc 14,10), perché tutto ti deve venire da Dio. Infatti se tu fai
derivare qualcosa da un tuo diritto ti metti già “fuori” dalla Verità.
Per essere nella Verità bisogna ricevere tutto
da Dio. Lo vedremo in seguito “I
figli di Dio nascono da Dio, non nascono da altro” (cf Gv 1,13). Però
siccome l’uomo può dire: “non è ancora tempo…non è ancora la mia stagione;
oppure: io non sono chiamato; io non sono dei suoi”, allora Egli dice: “a
tutti quelli che lo accolgono…”: a tutti, siano suoi o no, Dio dà la
possibilità, il potere di diventare figli suoi.
Notiamo bene:
non dice “Dio li fa figli suoi”: questa è una cosa molto
importante, da mettere bene in evidenza e da
capire bene, perché invece dice: “…diede il potere di divenire figli
di Dio” ; ecco, non dice: “tutti coloro che Lo ricevettero li fece figli di
Dio”. Questo ci fa capire che non si nasce figli di Dio per un atto magico. Noi
siamo venuti al mondo si può dire per un atto magico, perché noi nella nostra
vita naturale ci troviamo già nati e non sappiamo nemmeno come… Invece figli
di Dio non si nasce così automaticamente, magicamente e non si nasce nemmeno
con la morte fisica; figli di Dio si nasce consapevolmente.
Quindi Dio non ci fa suoi figli, ma ci dà la
possibilità di diventarlo, se accogliamo la Luce che ci è data. E la nostra
possibilità è determinata dal fatto di “accogliere”; se noi
accogliamo questa Luce in noi, questa
Luce non ci fa figli, ma dà a noi la possibilità di diventare figli.
Quindi, anche se abbiamo messo la Luce in
alto, non siamo ancora figli, però ci dà la grazia, la possibilità di
diventarlo; possiamo anche non diventarlo, perché figli di Dio si nasce
consapevolmente. In Dio abbiamo la nascita consapevole. Per venire al mondo
nessuno ce l’ha chiesto; infatti nessuno
ci ha chiesto se volevamo vivere, se volevamo esistere; ci siamo trovati
a vivere, ma non sappiamo come e perché, ma oggi noi ci troviamo qui. Invece
figli di Dio non si nasce così. Quindi noi ci troviamo qui con una vita che non
abbiamo potuto scegliere e che ci è stata imposta; la vita in Dio, come figli
di Dio, non ci viene imposta, ma proposta.
Quindi, questa vita che attualmente noi
viviamo è soltanto un’occasione transitoria per essere interrogati se vogliamo
nascere alla vera vita con Dio, coscientemente. In Dio si nasce consapevolmente;
senza di noi non si nasce; quindi se noi non vogliamo, non nasciamo: sia
ben chiaro! Restiamo degli aborti eterni.
Ines: In potenza abbiamo questa possibilità…
Luigi: Dio ci dà la possibilità, ma se noi mettiamo la Luce di
Dio prima di tutto. La Luce di Dio c’è in noi, perché Dio dandoci questa
esistenza in cui ci troviamo, viene ad abitare nell’uomo. Dio abita nell’uomo
anche se l’uomo Lo ignora.
L’uomo sente il bisogno di verità, l’uomo
sente il bisogno di vita eterna, l’uomo sente il bisogno di assoluto, ed è
determinato da questo bisogno di assoluto. Infatti a tutto ciò a cui si rivolge
l’uomo, si rivolge col bisogno di assoluto; qualunque cosa lui faccia, lui la
vuole assoluta. Se l’uomo ama la creatura, la vuole assoluta, la vuole come
Dio, la vuole perfetta come Dio; se ama il denaro, vuole che questo denaro sia
immutabile, che sia come Dio, vuole che gli dia una sicurezza di vita come la
dà Dio. Qualunque cosa l’uomo tocchi, lo vuole trasformare in oro, in assoluto,
perché l’uomo ha questa passione d’assoluto. Ecco, questa passione di assoluto
che l’uomo porta dentro di sé, è determinata dalla presenza di Dio. È Dio che è
presente nell’uomo, anche se l’uomo non lo sa, che gli fa sentire il bisogno di
questo assoluto.
Ines: La volta scorsa abbiamo parlato di “facciamo l’uomo”(Gen
1,26): vuol dire che Dio fa l’uomo dandogli la possibilità di diventare figlio
di Dio?
Luigi: Sì, cioè quel “facciamo l’uomo” vuol dire che Dio
incomincia a fare l’uomo e
incomincia a fare l’uomo con l’uomo.
Allora, Dio abita nell’uomo nonostante l’uomo.
Se l’uomo accoglie Dio e quindi Lo mette in alto, inizia il cammino che gli
darà la possibilità di diventare figlio di Dio. Accogliere Dio vuol dire
metterlo in alto in noi: non è che Lo facciamo entrare, perché Lui è già in noi
(non è che noi Lo possiamo spostare da fuori a dentro o di qui a là, no!). Noi
possiamo metterlo in alto o non tenerne conto. È logico che
sia che noi Lo mettiamo in alto, sia che non ne teniamo conto, Lui
continua a essere dove è; non è che noi Lo possiamo modificare. Dio continua ad
essere la Luce vera anche se noi diciamo: “tu non esisti”, e smentisce noi.
Quindi il nostro peccato ricade solo su di noi, non si proietta su di Lui;
cioè, siamo noi che cadiamo nelle tenebre. Se noi Lo mettiamo in alto, la luce
è per noi, se noi non Lo mettiamo in alto, la tenebra è per noi; non è che dicendo: “Dio non esiste”, Dio non
esista, no! Dio continua a esistere. Siamo noi che incominciamo a non esistere
più, perché non partecipiamo più. Quindi dicendo: “Dio non esiste”, Lui
continua ad esistere, ma noi incominciamo a morire, perché la vita è
partecipazione.
Quindi la vita è confessare ciò che Egli è; Lui è Luce, noi
dobbiamo dire: “Signore, Tu sei la mia Luce”, e quindi dobbiamo guardare a Lui
come nostra Luce. Guardare a Lui come nostra Luce vuol dire illuminare tutto
con Lui; ma illuminare tutto con Lui vuol dire scartare ogni altra Luce;
perché se noi riteniamo di dire: “Signore, tu sei la mia luce”, ma non
scartiamo le altre luci, noi facciamo i furbi, ma danniamo noi stessi; perché
la vera scelta è sempre un lasciare ed un mettere in alto una cosa sola. Non
possiamo servire due padroni. Gesù infatti dice: “Nessuno può servire a due
padroni: o odierà l’uno e amerà l`altro, o preferirà l’uno e disprezzerà
l`altro: non potete servire a Dio e a mammona” (Mt 6,24).
Quindi se noi crediamo di amare un altro senza
dimenticare l’amore precedente, non acquisiamo
un maggiore amore, ma diminuiamo il nostro amore, perché dividiamo il
nostro cuore, e ad un certo momento perdiamo la nostra capacità di amare;
perché il vero amore è unità d’amore, ed è scelta; in quanto scelta è sempre
un lasciare.
Quindi il mettere in alto questa Luce non
vuol soltanto dire: “Signore, tu sei la mia Luce”, ma vuol dire anche scartare
ogni altra luce. Perché se io accolgo le altre luci con quella, ad un certo
momento perdo l’una e l’altra e divento incapace di lasciarmi guidare dalla
Luce.
Comunque, se noi mettiamo alto in noi questa
Luce, se noi continuiamo a permanere in questa Luce, a riferire tutto in questa
Luce, questa dà a noi la possibilità di diventare figli di Dio; non ci fa figli
di Dio, ma ci dà la possibilità.
Qui si tratta di chiarire bene cosa s’intende
per figli di Dio; S. Paolo dice che “i figli di Dio sono coloro che si lasciano guidare in tutto dallo
Spirito di Dio” (Rm 8,14). Quindi, se noi ci lasciamo guidare da
qualcos’altro non siamo figli di Dio; allora bisogna mettere in alto questa Luce
per lasciarci guidare in tutto, non soltanto in qualche cosa, da questa Luce.
Allora quanto più noi ci lasciamo guidare da questa Luce, tanto più diventiamo
capaci di diventare figli. Quindi, il divenire figli di Dio non è un atto
magico, non è una nascita improvvisa, ma è un divenire, è un crescere nel senso
che presuppone la formazione di una capacità; capacità che cresce nella misura
in cui noi ci lasciamo guidare da questa
Luce. Se noi non ci lasciamo guidare dalla Luce non diventiamo figli di Dio,
anzi non abbiamo nemmeno la possibilità di diventarlo. Mettendo la Luce in alto
abbiamo la possibilità, ma non è detto che, mettendola in alto, noi ci lasciamo
guidare da Essa.
Ines: E già, perché non basta metterla in alto: poi bisogna
vivere.
Luigi: Certo, bisogna vivere. E vivere vuol dire lasciarci
guidare in tutto da questa Luce. Quindi, ogni giorno le scelte devono
essere determinate da quella Luce, motivate da quella Luce; bisogna arrivare a
dire: “Dio vuole così, perché lo Spirito di Dio è questo”. Allora ogni cosa che
penso, che dico, che faccio, guidato da questa Luce, mi fa diventare figlio di
Dio. Infatti i figli di Dio sono
caratterizzati da questo, cioè i figli di Dio sono degli esseri che in tutto
hanno Dio come Padre; ma avere Dio come Padre, vuol dire non permettersi di
agire di loro iniziativa in niente, perché tutto aspettano dal Padre. Ecco
il figlio di Dio è figlio in quanto se
pensa a qualche cosa è “perché Dio vuole così”; se parla è “perché Dio vuole
così”; se agisce è “perché Dio vuole così”. Allora, se in tutte le cose noi
possiamo dire: “opero, penso, faccio, perché Dio vuole questo”, allora in
questo siamo figli di Dio. Infatti si è figli in quanto si può riconoscere
la paternità. Ma questa paternità non è un atto automatico, magico: “Dio mi
dà la vita” No! Dio ci dà la possibilità di vivere, quindi è un atto cosciente,
dobbiamo volerlo. Senza volontà non si diventa figli di Dio. La grazia è tutta
sua, perché senza di Lui non si può fare niente, ma dobbiamo volerlo anche noi.
Nel versetto che segue vedremo che non è la
nostra volontà che decide di diventare figli di Dio, “i quali non da sangue,
né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio sono nati”. Quindi
non dobbiamo pensare: “Dio mi dà la possibilità e allora sono io che decido”.
No! Se diciamo “sì” è tutto grazia di Dio. Solo il rifiuto è nostro.
Pensieri tratti dagli incontri del Sabato: Sabato 24.01.1976 (appunti)
“Ma a tutti
quelli che L’accolsero diede il potere di diventare figli di Dio, a quelli che
credono nel suo nome”.
È l'ascolto di Dio dentro di noi (conseguenza
della giustizia essenziale) che ci dà la possibilità di individuare, di
accogliere, gustare e capire il Cristo. Per ricevere la possibilità di
diventare figli di Dio, è necessario l’incontro con Cristo, credere nel suo
nome; non basta ascoltare la Luce dentro di noi. Infatti il battesimo di giustizia del Battista
(sintesi della voce di tutta la creazione e delle lezioni della vita, di tutti
i Profeti e della Legge), non ci salva,
ma ci converte ad una ricerca, all'ascolto del Padre che parla in noi, ci fa
scoprire la vita come dovrebbe essere secondo Dio (forma in noi il sogno), ma
nello stesso tempo ci fa scoprire la
frattura che c'è in noi, perché viviamo in una realtà diversa. Qui nasce il
bisogno di vivere quel sogno. Ma la realtà ci vincerà sempre. La realtà
preme molto più del sogno (peso del lavoro, della famiglia, della
preoccupazione del mangiare, del vestire, la ricchezza, ecc.) per cui dalla
delusione nasce il bisogno di trovare, proprio in quel mondo sensibile ed
esterno che ci porta via, quella mano, quell'aiuto che ci faccia realizzare
quel sogno: si forma così il bisogno del Cristo.
Solo trovando in Lui la realizzazione della
vita che sogniamo (e solo chi porta questo sogno dentro Lo riconosce fuori),
possiamo dire: "Abbiamo trovato Colui che aspettavamo!"(Gv
1,41). Solo chi porta già Cristo in sé, come bisogno di uno che abbia già
realizzato il sogno, e che quindi possa aiutarci a realizzarlo, Lo
riconosce fuori.
Deve prima perciò formarsi in noi questo
bisogno, e tutta l’opera di Dio tende a formarlo. Tutto ci dice: "Non sono
Dio, cerca altrove!". Non ci rimane allora che cercare nello spirito; ma
nello spirito si forma il sogno (siamo attratti da -), senza però poterlo
realizzare.
È il sogno di Dio. Il sogno ci attrae, ma la realtà ci porta
via. Allora la conflittualità tra il sogno di Dio e la realtà ci porta al
Cristo perché forma in noi il bisogno di un aiuto per realizzarlo.
Solo se
troviamo il sogno della vita divina realizzato in una realtà esterna possiamo
essere salvati, perché possiamo essere salvati solo dalla realtà esterna,
perché è questa che ci ha dispersi, ma una realtà esterna in cui ci sia Dio.
Infatti nessun uomo può salvare un uomo; solo Dio nell'uomo lo può salvare:
solo Cristo può dargli la possibilità di diventare figlio di Dio, ma va seguito
in tutte le tappe della sua vita.
Infatti incontrando il Cristo, si è solo
iniziato il cammino della salvezza. Il cammino è lungo e faticoso, ed è già stato
preceduto da una lunga e faticosa preparazione: infatti solo per imparare la
lezione delle tenebre e imparare a desistere dal cercare la vita nelle cose
esterne e cercarla dentro di noi, è già tanta la fatica! Ed è solo il primo
passo, perché qui si forma il sogno che ci porta all'incontro col Cristo che è
la realizzazione del nostro sogno.
Ma qui inizia poi tutto un cammino con Lui,
ascoltando tutte le sue parole, fino alla sua Morte e Resurrezione, quando
dobbiamo imparare a vederlo in tutti i volti (infatti Gesù risorto si mostra
con sembianze diverse per insegnarci questo). Ma allora qui saremo ritornati alla
situazione del "principio"; a questo punto noi saremo sempre con Lui:
più niente ci potrà distogliere, perché tutto ci porterà a Lui.
Però, se non si è formato in noi il sogno
della vita secondo Dio (e questo sogno si forma dall'ascolto, e quindi con il
passaggio dal mondo esterno all'interno), noi non possiamo individuare,
identificare e accogliere il Cristo, il Verbo di Dio fatto carne: la Vita.
Tutte le cose ci parlano di Lui e ce Lo fanno
sognare e ci portano a Lui, affinché anche noi possiamo esclamare: "Abbiamo
trovato Colui che aspettavamo!". Ma bisogna prima realizzare questo
passaggio dall'esterno all'interno (vedi versetto 9: “Luce vera è quella che
illumina ogni uomo”).
Se avviene il passaggio, entriamo nell'aula di Dio, nell'ascolto di
Dio, non più delle creature. Finché siamo fuori dell'aula, ascoltiamo le
creature.
Ma anche se siamo fuori, Lui non ci abbandona.
La funzione di Giovanni Battista è la funzione del bidello che ci fa entrare
nell'aula e ci orienta all’ascolto della Luce vera che è dentro di noi. E qui
si forma in noi il bisogno di trovare Qualcuno che ci aiuti a realizzare la
vita secondo Dio, cioè si forma in noi il bisogno del Cristo: Egli è Uno di
noi che però vive questo sogno, che, cioè, già lo ha realizzato.
Il bisogno di Lui che si è formato in noi è la
condizione per poterlo accogliere e ricevere da Lui, se Lo seguiamo fino alla sua Ascensione, quindi
se crediamo nel suo nome, la possibilità di diventare figli di Dio.
Sabato 07.05.1983
“Ma a tutti quelli che l’accolsero diede il
potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome”.
Paolo: Dio dà la capacità di diventare figli, però noi lo
saremo per adozione, perché il Figlio è
uno solo.
Luigi: Sì, noi siamo destinati a diventare figli di Dio, ma
possiamo diventarlo solo se noi riceviamo la Luce, il Verbo di Dio che viene a
noi; perché questa possibilità di diventare figli di Dio ci viene data nella
misura in cui noi riceviamo, accogliamo il Pensiero di Dio, la Parola di Dio.
Se noi non accogliamo il Pensiero, la Parola di Dio, diventiamo figli di altro.
È soltanto accogliendo il Pensiero di Dio che noi diventiamo capaci di -, ci
viene data la possibilità di nascere da Dio, cioè di diventare suoi figli e
soprattutto di prendere consapevolezza di ciò che effettivamente Dio vuole da
noi.
Piero: Qui dice: “a tutti quelli che lo ricevettero”. L’azione
fondamentale dell’uomo, non è tanto
mettere Dio al centro dei suoi pensieri, ma è proprio togliersi di
mezzo; perché Dio è già il centro dei nostri pensieri, ma sono queste
incrostazioni che abbiamo che non ci permettono di vederlo come centro dei nostri
pensieri.
Il silenzio è fondamentale per toglierci dal
centro e per accogliere la Luce, il Verbo.
Luigi: Sì, il silenzio è fondamentale
per poter ricevere la comunicazione dell’Altro; però, ad un certo momento
diventa terribilmente difficile a noi fare silenzio dentro di noi, perché tutti
i nostri prodotti, cioè tutti i nostri interessi, tutte le parole che abbiamo
detto autonomamente nel pensiero dell’io, fanno rumore dentro di noi, e
impediscono a noi questo silenzio per ascoltare Dio. Infatti arriva un momento
in cui diventiamo incapaci di ascoltare l'altro; e questo perché ci siamo
talmente riempiti di noi stessi, e quindi in noi c’è talmente tanto rumore, che
diventiamo incapaci di ascoltare l’altro, e anche di ascoltare Dio. È il
pensiero del nostro io che fa tanto rumore fino al punto da renderci incapaci
all’ascolto. Per cui, se ci mettiamo in silenzio noi sentiamo soltanto urlare
dentro di noi tutte le nostre parole, tutti i nostri fatti, tutti i nostri
incontri, senza poter ascoltare niente di Dio: siamo diventati incapaci di
ascoltare Dio; e diventando incapaci di ascoltare Dio, non possiamo ricevere
niente da Dio, perché la comunicazione presuppone questo ascolto. E se non
riceviamo niente non entriamo in comunione, perché la comunione è una
conseguenza della comunicazione; la comunicazione presuppone l’ascolto;
l’ascolto richiede il silenzio.
Ora, senza comunione non c’è vita
(perché la vita è comunione) e non si diventa figli di Dio, non partecipiamo
della vita di Dio. Noi non siamo viventi di per sé; noi viviamo in quanto siamo
in comunione con l’Altro. Per cui S. Paolo dice: “la vostra vita è nascosta
in Dio” (Col 3,3). Ecco, Dio è il Vivente, noi viviamo per partecipazione.
Nella misura in cui noi siamo in comunione e in cui partecipiamo a Dio, noi
viviamo. La vita è comunione: “ Io sono la vite, voi siete i tralci”(Gv
15,5). Il tralcio non vive da solo, ma vive in quanto si mantiene unito alla
vite; quindi anche noi: “noi viviamo in quanto partecipiamo all’Altro”. Invece
noi da soli, nel pensiero del nostro io, ad un certo momento esperimentiamo
solo la morte.
Piero: “A quelli che credono nel suo nome... diede il
potere…”: perché è necessaria la fede nel suo nome, cioè è necessario
l’amore; infatti è l’amore ciò che fa scegliere, e attraverso la scelta c’è la
dedizione. In questa dedizione ci accorgiamo che i nostri pensieri non partono
più da noi stessi, ma partono da Dio; e dal mattino alla sera vedi che le cose
vanno al loro posto. Praticamente non cambi niente della tua vita (continui a
lavorare, continui a fare le cose che facevi prima…), però tutto dentro di te
cambia significato.
Luigi: Perché ti accorgi che sei in comunione con un Altro; c’è
un Altro che sta parlando con te, e quindi hai la possibilità di capire il
pensiero dell’Altro. La possibilità di capire il pensiero dell’Altro
stabilisce la comunione, e qui c’è la vita. E qualunque cosa tu faccia, che
tu mangia, che tu dorma, ecc., in tutto ti accorgi che sei pensato da -,
che sei conosciuto, che sei amato, e quindi vivi in comunione con l’Altro, e vivere
in comunione con l’Altro è Vita,
è partecipare della sua Vita, è
diventare figlio di-.
La maggior parte degli uomini trascurano il
fatto di essere pensati da Dio; e
la loro tristezza viene dallo scoprire di essere ignorati da quel mondo che
hanno preferito a Dio. “Tutti mi ignorano”: ecco la tristezza dell’uomo! come
mai tutte le creature ti ignorano?
Perché tu hai ignorato Dio! Conosci Dio e
ti accorgerai che tutte le creature ti conoscono. Se noi conosciamo Dio,
allora ci accorgiamo che tutte le creature conoscono noi; se invece non
conosciamo Dio, tutte le creature ad un certo momento ci ignorano, e noi
esperimentiamo la solitudine, che è morte.
Marco: Che differenza c’è tra essere figlio di Dio “dopo” aver
ricevuto questo potere e essere figli di Dio in quanto siamo esseri umani?
Luigi: Noi nasciamo creature di Dio, non figli. Il Figlio di
Dio è uno solo, è il Verbo: “In principio era il Verbo”. Piuttosto possiamo chiederci: che differenza
c’è tra il Figlio di Dio e noi chiamati a diventare figli di Dio?
Il Figlio di Dio pensa, in tutto, sempre Dio; noi invece non pensiamo in tutto Dio,
infatti noi pensiamo all’albero, possiamo pensare alle creature, possiamo
pensare a noi stessi, ecc.
Marco: Però, quando diventiamo figli di Dio…
Luigi: Diventare figli di Dio vuol dire diventare capaci di
riferire tutto a Dio, di vedere in tutto Dio, di accogliere tutto da Dio,
come figli del Padre. Ora, quando si è figli del Padre?
Si è figli del Padre in quanto si ha il Padre
come punto fisso di riferimento:
tutto si riceve da Lui e tutto si riporta a Lui. Allora si diventa figli. Ora,
noi abbiamo Dio come Padre in quanto Egli diventa il motivo dei nostri
pensieri, diventa il motivo delle nostre parole, diventa il motivo delle nostre
azioni; allora noi siamo figli, perché in tutto noi siamo motivati da Dio. Se
siamo motivati da altro, noi abbiamo un altro padre, perché nostro padre è il
nostro motivo. Abbiamo Dio come Padre in quanto siamo motivati da Lui.
Marco: E quando siamo motivati da altro, non possiamo più
essere demotivati quando arriviamo ad un
certo livello?
Luigi: Ad un certo momento la cosa diventa irreversibile; ma
prima di raggiungere la condizione di irreversibilità Dio opera tutto, a costo di
lasciarsi uccidere: viene a morire in noi!
Marco: Se invece io progredisco fino a diventare figlio di Dio,
poi posso tornare indietro?
Luigi: Anche in questo caso c’è l’irreversibilità. In Paradiso
non si può più peccare. In Paradiso non si può più mettere il pensiero del
nostro io al centro, non si può più non riferire tutto a Dio. Il Paradiso è
proprio caratterizzato da questo: tutte le cose si ricevono da Dio e tutte le
cose si riportano a Dio. Si ha Dio come centro in tutto.
Marco: Il privilegio di coloro che fanno parte del club dei
figli di Dio è quello di vedere in tutto il Padre.
Luigi: Certo; hanno il privilegio di accogliere tutto da Dio,
di riferire tutto a Dio e di vedere in tutto il Pensiero di Dio.
Pinuccia B.: Deve
essere un lavoro interiore continuo.
Luigi: È la vita interiore; la vita interiore non avviene
automaticamente: Dio è in te, allora riporta tutto al Dio che è in te. Quindi
se ti arriva una cosa, non fermarti ai tuoi sentimenti, alle tue impressioni,
ai tuoi piaceri, ai tuoi non piaceri, alla simpatia o all’antipatia. No! In
quanto ti arriva una cosa, qualunque cosa sia, anche la cosa più sconvolgente,
è Dio che te la presenta, è Dio che l’ha voluta per te. È tutto voluto da
Dio; tutto ciò che entra nella creazione è creato da Dio e quindi naturalmente
è voluto da Dio, ed è giustificato in Dio. Allora, anche se non lo capisci, lo
devi accogliere da Dio: “è Dio, il Creatore, che me lo presenta”; e avendo
ricevuto la cosa da Dio, adesso cerca in Dio l’intenzione, il Pensiero di
Dio in questa cosa; quindi non fermarti alle tue impressioni, ai tuoi
sentimenti, al tuo piacere.
Noi generalmente ci fermiamo a livello
inferiore; per cui tutta la nostra vita è determinata da: “questo mi piace,
quell’altro non mi piace; questo mi è utile, questo non mi è utile; questo non
mi conviene, quest’altro mi fa fare bella figura, ecc.”; cioè tutte le scelte
si fermano a questo livello, che è il livello dell’io; e questo denota che si
ha l’io al centro. No! bisogna andare oltre, perché il fatto, l’avvenimento è
di Dio; e anche se provoca in te determinati sentimenti, tu non lasciarti
dominare da questi, ma cerca il Pensiero di Dio.
Soltanto cercando il Pensiero di Dio, noi
superiamo questa fase di reazione secondo i sentimenti, e cominciamo ad operare
secondo lo Spirito di Dio, cioè come figli di Dio. Per cui, non basta accogliere tutto da Dio, ma bisogna
stare attenti a quello che parte da noi, perché quello che parte da noi, deve
partire non da noi, ma dallo Spirito di Dio; cioè bisogna lasciarsi guidare
dal Pensiero di Dio in tutte le cose.
Tutto il male che si scatena attorno a noi e in noi, e che ricade poi dopo su
di noi è quello che parte dal nostro cuore; cioè è quello che non parte dallo
Spirito di Dio, ma dal pensiero del nostro io (magari perché si è offeso), e ci
confonde.
Piero: “A quanti credono nel suo Nome”: secondo me è
fondamentale scegliere Dio per amore…
Luigi: No! Prima dell’amore dobbiamo mettere la giustizia; si
deve mettere Dio al centro, perché Dio è la Verità. Il rapporto fondamentale è
quello della giustizia ed è il sostegno
dell’Amore. L’Amore va fondato, e va fondato sopra un rapporto di giustizia:
è giusto che noi riferiamo tutto a Dio, perché non siamo noi il Creatore; ed è ingiusto
riferire tutto al pensiero del nostro io. L’amore nasce su un rapporto di
verità. Allora l’Amore diventa stabile; in caso diverso, se il nostro amore
viene fondato su dei sentimenti, fino a quando le cose ci vanno bene, diciamo:
“Signore, come sei buono”; il giorno in cui ci vanno male, diciamo: “non mi
sento più di amare il Signore”. L’Amore va fondato su un rapporto di verità, su
un rapporto di giustizia; quindi, che mi piaccia o che non mi piaccia, che
mi convenga o meno, che io senta o che non senta, che capisca o che non
capisca, le cose sono di Dio e le debbo dare a Dio, quindi le debbo riferire a
Dio. L’Amore nascerà da questa conoscenza iniziale, da questo rapporto di
giustizia.
Piero: L’amore è ciò che dà intelligenza, perché si può semplicemente
studiare a memoria il Vangelo senza però cogliere l’essenza...
Silvana: L’amore è l’interesse…
Luigi: Ma anche questo interesse da che cosa nasce?
Non è che
uno abbia interesse per Dio perché ha deciso di avere interesse. No!
L’interesse va fondato su una verità, sulla giustizia, su un dato obiettivo.
Ecco, il dato obiettivo è questo: tu non sei Dio, quindi i tuoi interessi non
devono essere determinati dal pensiero del tuo io. Allora il punto fisso di
riferimento a cui devi riferire ogni cosa è il Creatore; ogni cosa riportala al
Creatore. Anche se ti costa fatica, riporta tutto al Creatore, cioè cerca il
Pensiero dell’Altro, perché le cose non sei tu che le fai. Quindi non
attribuire alle cose il tuo pensiero.
Se io vedo un albero e penso a me stesso,
inizio a dire: “chissà quanto posso guadagnare se taglio quest’albero, quanta
legna posso ricavare, ecc.”. Se invece penso a Dio inizio a dire: “Signore, che
cosa mi vuoi dire attraverso l’albero che mi presenti? Qual è il tuo pensiero,
che cosa mi vuoi significare di Te?”. Perché Lui in tutte le cose non fa altro
che parlare di Sé.
Dio è il Creatore, quindi non “può” far altro
che parlare di Sé. Quindi Dio comunica qualche cosa di Sé a noi attraverso
tutte le cose, però la comunicazione arriva in quanto noi cerchiamo il Suo
Pensiero. Se invece valutiamo le cose col pensiero del nostro io, ci sfugge
l’elemento essenziale, cioè ci sfugge il Pensiero di Dio. Ora, la prima cosa
essenziale, in tutte le cose che accadono attorno, anche negli avvenimenti, i fatti,
è questa: è Dio che me la presenta: “Signore qual è il tuo Pensiero? Che cosa
mi vuoi significare di Te con questo?”. Questo vuol dire avere Dio come punto
fisso di riferimento; questo vuol dire accogliere il Verbo. È qui che si riceve
la possibilità (il potere) di diventare figli di Dio.
Naturalmente più aumenta la conoscenza di Dio
e più entriamo nell’amore. In Paradiso l’amore è bloccato, cioè non può più
crescere. In Paradiso non si può non amare, perché c’è tanta conoscenza. Noi
amiamo poco perché conosciamo poco; chi non ama Dio è perché non Lo conosce
affatto. Allora, se tu vuoi aumentare nell’amore, cresci nella conoscenza di
Dio, e ti accorgerai che l’amore cresce.
La Verità teme una cosa sola: non essere
conosciuta, ma chi La conosce
necessariamente La ama.
Flavio: È indispensabile accogliere il Verbo per diventare figli
di Dio, ma questo ancora non basta, perché è solo un avere la “possibilità”;
bisogna anche “credere nel suo Nome”.
Questo credere nel suo
Nome ci porta ad avere Dio come motivo di tutte le azioni. Quando in tutto ciò
che facciamo il movente è il Signore, allora siamo figli suoi.
Luigi: Certo, perché siamo motivati da Lui. Noi siamo figli
di-, in quanto siamo motivati da-. Quindi basta esaminarsi: da che cosa sei
motivato in questo? Sei motivato da quello? Tu allora sei figlio di quello! Se
puoi dire in coscienza: “In questo sono motivato da Dio”, tu in quello sei
figlio di Dio. Quando sarai in tutto motivato da Dio: nel pensare, nel parlare,
nell’agire, nel vivere (ecco, questo è il Figlio di Dio!) lì sei diventato
figlio di Dio. Infatti basta leggere il Vangelo: noi vediamo che il Cristo
in tutto è motivato dal Padre; non è motivato nemmeno dalla Madre, dal
rapporto con la Madre, nemmeno dalla Legge, dal sabato, dall’autorità, da
nient’altro. Infatti L’hanno mandato a morte, perché? Perché ad un certo
momento urtava l’autorità! Ma Lui era motivato da Dio e l’ha detto
esplicitamente: “affinché il mondo sappia che Io amo il Padre…”.
Flavio: Quindi ci sono due azioni, due passaggi: prima
l’accogliere e poi la motivazione.
Luigi: Certo, senza l’accoglienza noi non possiamo nemmeno
pensare Dio, perché è Dio stesso che attraverso le sue opere ci invita ad
aprirci a Lui. Non siamo noi che scegliamo Dio. È Dio che ci sollecita
attraverso tutte le cose; per cui tutto viene a noi da Dio, e di tutto noi
dobbiamo ringraziare Dio.
Si entra nel Regno di Dio non per opera
nostra, ma dipendendo da Dio, quindi ascoltando Dio. Ascoltando Dio si entra
nel Regno di Dio. Ecco, ad un certo momento si diventa motivati da Dio in
tutto, appunto perché si è sempre stati motivati da Lui.
Piero: Tanto è vero che la preghiera che più ci appaga è la
preghiera dell’ascolto.
Luigi: La vera preghiera è il silenzio di tutto di noi;
è ascolto di “Dio che parla con te”. Noi il più delle volte sbagliamo tutto
perché diciamo: “io ho pregato”, dopo aver detto tante parole. Ma tutte
queste parole possono anche essere buone, ma sono soltanto un’introduzione alla
preghiera, sono un inizio per
raccogliere la tua anima in quel Pensiero; ma poi dopo ti devi fermare e far
tacere tutto di te in modo da ricevere quello che Lui ti vuole dire e donare.
Perché con tutte le nostre parole, noi facciamo come chi va a trovare un amico
e, suonato il campanello, scappa; non può dire: “sono andato a trovare
l’amico”, no! perché ha suonato il campanello e poi è scappato.
Ora, fintanto che parliamo noi, non
incontriamo l’amico. Andare a trovare un amico non vuol dire soltanto arrivare
a casa sua, ma poi bisogna anche fermarsi ad ascoltare quello che l’amico ha
da dirci; ed è lì che riceviamo qualche cosa. Se invece andiamo a trovarlo
e gli parliamo soltanto di noi, non abbiamo pregato, perché non abbiamo
ricevuto niente. “Taci, e vedi quello che l’Altro ha da dire a te”; questo ci
orienta all’amore, e ci crea l’amicizia, appunto perché ci crea comunione. La
comunione arriva in quanto noi riceviamo dall’Altro, e non in quanto noi
parliamo di noi all’Altro.
Pinuccia B.: Però
se ci sentiamo incapaci di ascoltare l’Altro, possiamo dirgli: “mi interessa il
tuo problema, fammi capace di ascoltarti”.
Piero: Infatti all’inizio è sempre una preghiera di richiesta,
perché non sai fare altro.
Luigi: Però dobbiamo sapere che l’essenza della preghiera è
il silenzio di noi e di tutti i nostri problemi, di tutto di noi, per
attingere, per ricevere da Lui quello che Lui ha da comunicare a noi. Lui
ha qualche cosa di Sé da comunicare a noi; non siamo noi che dobbiamo far
sapere a Dio, ma è Dio che fa sapere a noi qualche cosa di Sé, perché è
Lui che parlando a noi di Sé, crea comunione tra noi e Lui, e quindi vita. Ma
se noi interrompiamo l’ascolto, noi non riceviamo niente; Lui parla, ma noi non
riceviamo niente. E allora noi patiamo la mancanza di vita.
Quindi per ricevere il potere, la possibilità
di partecipare alla vita di Dio, cioè di diventare suoi figli, bisogna
accogliere il “Dio che parla con noi” e rimanere nell’ascolto di Lui, cercando
di capire ciò che ci dice.
Silvana: “…quelli che credono nel suo nome”, si era detto
che il “suo nome” è il suo amore;
“credere” vuol dire cercare…
Luigi: Credere vuol dire cercare di capire e di vedere quello
che arriva a noi; l’allievo in aula crede a ciò che l’insegnante gli dice per arrivare
a capire, se non crede non può arrivare a capire. Se noi accogliamo soltanto,
ma non ci preoccupiamo di capire, la nostra fede è fasulla, è figura.
Silvana: Quindi coloro che “credono nel suo nome” sono
coloro che hanno questa apertura, questo
amore, questo interesse.
Luigi: Naturalmente si tende ad arrivare a capire quando si
ha interesse per-; quindi a fondamento c’è questo interesse. L’interesse
è fondato su questa giustizia, e siamo sempre lì. Cioè bisogna ristabilire
questo rapporto essenziale, questo punto fisso di riferimento: “non sono io il
Creatore, quindi io non devo mettermi al centro, ma devo mettere al centro il
Creatore, che non sono io”. Allora in tutte le cose dobbiamo cercare che cosa
queste ci dicono di Dio; infatti siccome le cose sono di Dio, dobbiamo
riportarle a Dio per giustizia: riportarle a Dio significa cercare il suo
Pensiero, e non rivestirle del nostro pensiero.
Tutti gli errori che noi facciamo sono dovuti
al fatto che rivestiamo le cose del nostro pensiero; è qui che rompiamo la
giustizia, e naturalmente perdiamo l’interesse, perché poi dopo noi diventiamo
molto interessati a quelle cose alle quali noi abbiamo rivolto la nostra
attenzione, abbiamo rivolto il nostro pensiero, ecc. Per cui, se noi
pensiamo molto a noi stessi, diventiamo molto interessati di noi (e se sentiamo
qualcuno che parla di noi drizziamo le orecchie), e poco interessati di Dio.
Ecco, amando il pensiero del nostro io, poco per volta, noi diventiamo
assolutamente incapaci di conoscere Dio, di cercare Dio, di ascoltare Dio,
perché ci versiamo tutto addosso.
Amalia: “…quelli che credono nel suo nome” sono coloro che L’hanno accolto; cioè spiega
cosa vuol dire “accogliere”; accogliere vuol dire dedicarsi, cercare la sua
Persona. Cioè, Lui è il Pensiero di Dio.
Luigi: Certo, noi accogliamo in quanto ci dedichiamo a-; e
questo è valido anche con le persone umane, infatti se noi facciamo entrare una
persona nella nostra casa, ma non ci dedichiamo ad essa, non le prestiamo
attenzione, quella si sente non accolta. Noi accogliamo in quanto ci
dedichiamo a-, e dedicarci è un atto d’amore, è fare quel silenzio di sé per
mettersi tutto a disposizione dell’altro. Ecco, mettendo tutto di noi a
disposizione dell’Altro, diventiamo capaci di comunione; ma se non ci dedichiamo
a-, non ascoltiamo e quindi non accogliamo. Quindi il principio fondamentale che è fondato
sulla giustizia è questa dedizione; dedicandoci, accogliamo.
Dio ci ha creati per l’accoglienza, per
accogliere Lui. Dio ci ha fatti fame di Lui; noi siamo fame, siamo passione di
assoluto. Ora, il principio per poter
assimilare, per poter mangiare è l’appetito; Dio ci ha fatto appetito; noi
siamo un appetito, appetito di assoluto, desiderio di assoluto; e allora in
quanto siamo appetito, noi abbiamo la capacità di accogliere, di assimilare.
Quindi da parte di Dio l’opera è fatta bene; l’importante è che noi non
incominciamo a mangiare altro.
Pinuccia B.: Praticamente
questo “accogliere” è la stessa cosa di “coloro che credono nel suo
nome”. È una precisazione; ci spiega che questo “accogliere” è “credere
nel suo nome”.
Luigi: Certo. Credere vuol dire dedicarci a-; dedicarci
per conoscere, per capire: questo è il vero accogliere.
Pinuccia B.: Dedicarsi
a ciò che è il “suo nome”.
Luigi: Abbiamo detto che il nome di ognuno di noi è
l’oggetto del suo amore, quindi il suo pensiero, il suo desiderio. Dove
è il tuo amore, lì è il tuo pensiero.
Pinuccia B.: E
il nome del Figlio di Dio è il Padre.
Luigi: Certamente.
Pinuccia B.: Quindi
a quelli che credono nel suo nome ha dato la possibilità di diventare figli di
Dio: possibilità, quindi non è detto che
noi lo diventiamo. Anche se lo riceviamo, anche se lo accogliamo, anche se
crediamo nel suo nome, abbiamo la possibilità di diventare figli, ma non è
detto, perché non è automatico: è un cammino.
Luigi: In Dio non avviene niente di automatico, Dio non è una
macchina, Dio non è un distributore di panini. Quindi i rapporti con Dio
sono rapporti tra persone, e i rapporti tra persone sono sempre rapporti
consapevoli.
Sabato 25.02.1989
“Ma a tutti quelli che L’accolsero diede il
potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome”.
Nino: Sembra quasi che si contraddica…, perché prima aveva
detto che non L’accolsero; si vede che c’è una minoranza che riesce ad
accoglierlo.
Luigi: C’è un problema
più profondo, perché nella parabola degli invitati alle nozze del figlio
del re, il re manda ad invitare la gente, ma tutti dicono: “io non posso
venire…” (Lc 14,18-20); ad un certo momento il re manda ad invitare tutti
quelli che non aveva invitato: gli zoppi, i ciechi, i malati; “tutti quelli
che trovi, forzali ad entrare, perché
gli altri che erano invitati hanno rifiutato” (Lc 14,23). Fa distinzione
tra gli invitati e i non invitati. Ecco, questa distinzione va anche
riferita a questi versetti: tutti quelli che sono vocati, chiamati Lo
rifiutano, ma quelli che non sono chiamati poi ad un certo momento entrano.
Quindi non c’è contraddizione, ma sono due tempi diversi dell’anima.
Nino: Quelli che entrano in un secondo tempo sono quelli che
sentono la fame, che sentono il bisogno.
Luigi: Infatti: poveri, malati, ciechi, zoppi; cioè ci fa
capire che ad un certo momento, anche quegli invitati che hanno detto: “io
ho i buoi, ho i campi, ho la moglie, …non posso venire”, ad un certo
momento diventeranno quei poveri, quei malati, quei carcerati, per cui potranno
entrare.
Gesù ha detto: “Beati voi poveri, perché è
vostro il Regno di Dio” (Mt 5,3); “Guai a voi ricchi, perché avete
trovato la vostra consolazione, e non potrete entrare” (cf Lc 6,24), ma
l’ha detto affinché ad un certo momento il ricco diventi povero; e quando diventa povero rientra nella
categoria del povero, e allora entra. “Dio vuole salvare tutti” (1 Tm 2,4).
Franco: Però i chiamati sono tutti, anche se Gesù dice: “molti sono i chiamati e
pochi sono gli eletti” (Mt 22,14).
Luigi: Si capisce, perché Dio è Colui che nessuno può
ignorare, e quando tu non puoi ignorare una cosa, sei già chiamato; se tu
camminando per la strada, vedi un cartello stradale e lo ignori, sei in colpa.
Quindi Dio si annuncia a tutti, nessuno può ignorarlo e se non puoi ignorarlo,
sei vocato, e allora sei responsabile. Tanto è vero che se dici: “io questo non
voglio vederlo”, già l’hai visto, perché tu non puoi rifiutare una cosa se
quella cosa già non l’hai vista. E se l’hai vista, sei responsabile del
rifiuto.
Delfina: Accogliere Dio significa realizzare il desiderio
dell’assoluto.
Luigi: Certo, è Dio che lo realizza. Lui è l’Assoluto; se io ho
fame, quello che realizza la mia fame è il pane; soltanto trovando il pane, la
mia fame è soddisfatta, realizzata. Se quindi ho fame di Assoluto, solo
l’Assoluto può rispondere a questa fame. Ecco perché dico di non cercare di
trasformare in assoluto ciò che non è assoluto, ma di cercare di conoscere che
cosa è l’Assoluto. Nell’Assoluto tu trovi la corrispondenza alla tua fame;
altrimenti non ti sazi, perché nessuna creatura può essere assoluta.
Ecco il perché dell’infelicità esistenziale
che caratterizza l’uomo: l’uomo ha fame di Assoluto, ha bisogno di Assoluto e
non trova nessuna creatura assoluta.
Giovanna: Quelli che Lo ricevettero sono quelli che aderiscono
all’invito?
Luigi: Si capisce, perché magari sono sospinti dalla loro
povertà, dal loro bisogno. Fintanto che nell’uomo non matura questo bisogno,
vive per “i buoi, campi e moglie” e non
ha tempo e voglia di rispondere all’invito.
Tiziana: La possibilità di diventare figli è data dalla Presenza
di Dio; quindi il momento in cui Dio si fa presente per noi e ci parla, ci fa
responsabili.
Luigi: Certo, è la presenza di Dio che ci dà la possibilità,
perché Dio presente è una vocazione. La presenza di Dio è una chiamata, e in
quanto uno è chiamato deve andare. Tu non
puoi andare se non sei chiamata; infatti puoi avere la porta aperta, ma
non puoi passare se l’Altro non ti chiama. Cioè
se tu non ti senti pensata, tu non puoi passare, perché chi ti dà la
forza è Colui che ti pensa, è l’Altro. Quindi se tu non ti senti amata,
stai tranquilla che non puoi passare attraverso la porta, non puoi entrare,
resti fuori. Quindi è l’Altro che, chiamandoti, ti fa entrare.
Tiziana: Questo fa capire molto bene come è personale la
chiamata; cioè un altro non può convincermi.
Luigi: Infatti nessun esempio serve; il rapporto è personale,
perché Dio ci tratta personalmente e vuole che tu tratti personalmente Lui. Tra
la nostra anima e Dio non c’è interposta nessuna creatura e nessuna istituzione
e nessuna società: c’è un rapporto diretto. Tanto è vero che ognuno di noi
è passione di assoluto.
Allora, se c’è un rapporto diretto tra Dio e
te, mantieni un rapporto diretto tra te e Lui, “fa diritte le tue vie”
(cf Mt 3,3); fare diritto vuol dire mettersi in rapporto diretto con Dio, non
interporre altro. Perché se Dio ti parla, tu non puoi dire: “ora vado a
vedere cosa dice un altro”; se Maria avesse fatto così, non avrebbe concepito.
Marisa: Ci ha dato la possibilità di diventare figli di Dio. Ma
il rapporto tra padre e figli nell’esperienza umana è a volte un rapporto
difficile, conflittuale; nell’esperienza con l’Assoluto in che dimensioni si
realizza questo rapporto?
Luigi: Prima di tutto i padri devono sapere che non sono loro i
padri dei loro figli, e le madri lo stesso. I figli sono creature in
affidamento, ma appartengono a Dio; e allora verso i figli bisogna comportarsi sapendo che non sono
creature nostre, ma di Dio, e che essi sono in dialogo con Dio. E quando vedi
che una persona è in dialogo con un’altra, stai bene attenta a non interferire
in quel dialogo; tutt’al più puoi aiutarla dicendogli: “fai sempre attenzione
all’Altro, perché c’è l’Altro che ti parla”. Bisogna comportarsi con questa
delicatezza, e questo è possibile solo se il genitore stesso è in giusto
rapporto con Dio.
Marisa: I padri sono spesso intolleranti e severi verso i loro
figli, perché si dà per scontato che i figli sbaglino. Dio è anche così con
noi?
Luigi: Dio è massima comprensione perché è la Verità. Egli
opera convincendo, proponendo e ci tratta personalmente. Ogni genitore deve essere in rapporto con Dio, ma se è in
rapporto con Dio, non considera il
figlio come da farsi sul suo stampo.
Infatti tutta la conflittualità nelle famiglie nasce da questo: padri e madri
vogliono fare i loro figli su loro stampo, sui loro principi, sulla loro
mentalità. No! Perché se un genitore
tiene presente Dio, dice: “non devo impormi, ma devo stare attento a quello che
Dio mi presenta…”. Infatti non sono le
madri e i padri che salvano i figli, ma sono i figli che salvano i genitori, ma
solo se questi stanno attenti all’opera che Dio sta facendo per loro attraverso
i figli. Infatti Dio manda i figli a padri e madri per salvarli, ecco perché
padri e madri vengono salvati dai figli. Allora, se un genitore si comporta
verso i figli come se questi fossero una grazia di Dio attraverso la quale Dio
cerca di salvarlo, egli sta molto attento a quello che Dio gli fa arrivare
attraverso i figli, perché è Dio che attraverso di loro entra in casa sua per
cercare di cambiare un qualcosa di lui. E allora bisogna sempre stare
attenti a Dio e tenere sempre presente che tutto quello che accade è sempre Lui
che sta parlando con noi, attraverso magari la sala operatoria, per cercare di
recuperarci. Ecco, comportandoci così, ci accorgiamo che anche verso i figli ci
comportiamo nel modo migliore; perché se c’è questo grande rispetto per l’opera
di Dio, subentra anche il rispetto verso i figli, e quindi si stabilisce con
essi un rapporto di nobiltà tale da far
nascere l’amore in essi e in noi.
Amalia: Cosa significa essere figli di Dio?
Luigi: La caratteristica del figlio è questa: accetta tutto
da Dio e riporta tutto a Dio, cioè “Il figlio non fa niente se non lo vede
fare dal Padre” (Gv 5,19), non si alza nemmeno dal letto….
Il Padre è Padre in quanto è motivante, ti motiva; allora, uno è figlio in
quanto è motivato da-; se uno è motivato da Dio, allora è figlio di Dio.
Infatti Cristo dice: “Il Figlio non fa niente se non lo vede fare dal Padre”;
e S. Paolo dice: “I figli di Dio si caratterizzano in questo: in tutto si
lasciano guidare dallo Spirito” (Rm 8,14). Allora, non parlare se non senti
che Dio parla; pensa quale meraviglioso silenzio faremmo tutti noi!
“Se non è Dio che ti fa parlare, taci”.
Avremmo tanto di quel tempo a disposizione! Ed eviteremmo di dire tante
sciocchezze.
Anche i pensieri: “pensa secondo quello che
Dio ti suggerisce”; e quando ci presenta qualche cosa, chiediamoci: “cosa serve
questo per conoscere Dio, per la vita eterna?”. Guarda quanto sgombero ci sarebbe
da fare!… Ma così facendo si diventa figli di Dio.
Amalia: E cos’è il “nome”?
Luigi: È l’amore di uno , ciò per cui uno vive; ognuno ha come
amore ciò per cui vive, ciò che ama. Quello è il nome che ha e che avrà.
Silvana: “Coloro che credono nel suo nome…”
Luigi: Cioè sono coloro che sono attratti dal Padre, perché il
nome del Cristo è il Padre. Il nome del Figlio è il Padre; Egli vive per il
Padre, quindi il nome del Figlio è il Padre; forma una cosa sola col Padre.
Silvana: Quindi quelli che credono nel suo nome sono coloro
che hanno amore al Padre e quindi
anch’essi hanno lo stesso nome.
Luigi: Quello che ci dà il nome è l’interesse che abbiamo.
Marisa: Non ho capito la questione del nome.
Luigi: Il nome è ciò che caratterizza una persona; ciò che
caratterizza una persona è l’amore, e ciò per cui vive. Ognuno di noi avrà
come nome, non Marisa, non Silvana, ma ciò che avrà amato, ciò che avrà messo
al disopra di tutto. Ecco, quello sarà il nostro nome, quello che ci
caratterizzerà nello Spirito.
Pinuccia A.: Ci sono quelli che rifiutano e non entrano, ma gli altri
Dio li costringe…
Luigi: Li costringe perché sono malati, poveri.
Pinuccia A.: Sono quelli che hanno bisogno di Dio.
Luigi: Certo. Allora Dio
lì ti costringe; ma fintanto che tu ti
giustifichi: “abbimi per giustificato” , tu non puoi entrare. Invece la
prostituta che dice: “ come faccio ad entrare? non posso”, stai tranquilla che
Dio non ha nessuna difficoltà a portarla nel suo Regno. Ma quando uno dice: “se
tutti facessero così, cosa succederebbe nel mondo? Se io non penso a me, chi
pensa a me? Se io non lavoro, chi bada a me? ecc.”, si chiude nelle
giustificazioni, e queste giustificazioni gli impediscono nel modo più assoluto
di entrare. E fintanto che ha quelle giustificazioni, non può assolutamente
entrare.
Pinuccia A.: Questo è proprio il rifiuto.
Luigi: Ma il giorno in cui quella stessa persona che prima si
giustificava dirà: “Signore, abbi pietà di me, io non ce la faccio, sono un
peccatore”, stai tranquilla, ché Dio è Onnipotente.
Pinuccia A.: Ecco, quindi è in questo senso che Dio “mi costringe”:
non viola niente di me.
Luigi: No, certamente!
Franca: Dio dà la “possibilità di diventare figli di Dio”
a condizione che Lo riceviamo e che crediamo nel “suo nome”. Questa
possibilità è una conseguenza
dell’accogliere e del credere.
Luigi: Certo, perché tu da sola non ti salvi mica: hai bisogno
dell’Altro. Tu da sola non potresti nemmeno pensare.
Franca: È già grazia sua accoglierlo, riceverlo e credere nel suo nome.
Luigi: Certo, tutto è grazia; soltanto se tu pensi Dio (e nel
Pensiero di Dio metti Dio al di sopra di
tutto), tu hai allora la possibilità di accogliere quello che ti manda Dio.
Altrimenti non hai la possibilità di accogliere. Quindi tutto è grazia di Dio. Se
noi pensiamo a Dio è per grazia di Dio, se noi cerchiamo Dio è per grazia di
Dio, se noi ci salviamo è per grazia di Dio. Se in qualche cosa dici: “ è per
opera mia”, sei fuori.
Rita: Quindi sentirsi miseri e poveri è grazia di Dio.
Luigi: Certo, e che grazia!
Rita: Ritraduco al tempo presente: “A tutti quelli che Lo accolgono, Dio dà la possibilità di
diventare figli di Dio…”.
Luigi: Bisogna ricuperare tutto in presenza, perché Dio è il
Presente.
Pinuccia B.: “Tutti quelli che Lo accolgono” , vuol dire tutti quelli che accolgono questo Pensiero di Dio in noi. Allora abbiamo
la possibilità di diventare figli quando accogliamo tutto da Dio e riferiamo
tutto a Dio, come fa Cristo che è tutto Pensiero del Padre.
Luigi: Certo, e Cristo parlando con te, ti porta ad essere
tutto pensiero del Padre; perché Lui ti parla del Padre, solo del Padre; quindi
se tu L’ascolti, diventi figlio. Ma hai la possibilità di ascoltarlo non
quando lo decidi tu, ma hai la possibilità di ascoltarlo solo quando Lui ti
parla; perché se Lui non parla, se non prende l’iniziativa, con tutte le
tue forze, non risolvi assolutamente niente.
Rita: Per questo Gesù dice: “Vegliate, non sapete né il
giorno, né l’ora” (Mt 25,13; Mc 13,33).
Pinuccia B.: Questa
veglia è credere nel suo nome. Il nome del Cristo è il Padre, perché Egli è
tutto Pensiero del Padre. Questo ci fa capire perché a coloro che credono “nel
suo nome” viene data la possibilità di diventare figli di Dio.
Luigi: Certo.
Alcuni pensieri conclusivi:
Nino: Cristo parla in mezzo a noi, affinché comprendiamo che Dio è venuto tra noi, a noi.
Franco: Stare attenti all’opera di Dio.
Domenico: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”
(Gv 14,6).
Delfina: Quando Dio si manifesterà in noi, vedremo la sua gloria.
Giovanna: Dio si trova solo in Dio.
Tiziana: Nel momento in cui il Signore si rende presente ci dà la
possibilità, e quindi ci rende responsabili.
Marisa: Essere figli per modellarci sul Padre.
Luigi: Sì, ma noi ci modelliamo in quanto guardiamo;
guardando siamo modellati. Se uno sta al sole diventa nero: è il sole che ci fa
diventare neri.
Amalia: Il nostro nome è l’amore che abbiamo, ma deve essercene
uno solo di Amore.
Pinuccia B.: Altrimenti
abbiamo tanti nomi.
Luigi: Succede però che moltiplicando gli amori, noi
perdiamo l’Amore. Noi non ci arricchiamo moltiplicando, anzi moltiplicando
perdiamo; quindi se vogliamo potenziare un amore, dobbiamo avere un amore
unico. L’amore unico è potenziato, l’amore moltiplicato diventa perdita
d’amore.
Silvana: Aderire all’opera che Dio sta facendo.
Pinuccia A.: Dio è già in noi. Per prenderne coscienza dobbiamo
lasciar perdere tutto il resto.
Luigi: Lo credo bene…; tanto è già perduto, anche se cerchiamo
di tenerlo su: si perde da solo; quindi è inutile cercare di attaccarci a una
cosa che è già perduta.
Franca: Non devo cercare fuori Chi mi sta facendo, perché è
dentro di me.
Rita: Ringrazio Dio di avermi ridotta misera, povera, di
avermi tolto tutto, perché quella era l’unica condizione perché potessi
accettare la sua chiamata…
Luigi: …e arrivare al Tutto. Dio ci toglie tutto per darci
Tutto; ci svuota, perché fintanto che la nostra tazza è piena non può ricevere
niente, quindi ci svuota per darci la possibilità di ricevere.
Zina: Dio è già dentro di noi, ma va cercato.
Luigi: Certo, purtroppo però
Lo cerchiamo, ma Lo cerchiamo in luoghi sbagliati e naturalmente
triboliamo da matti, perché non Lo troviamo.
Pinuccia B.: Siamo
in casa d’altri. Il Verbo è venuto nella sua casa. Per accoglierlo e ricevere
da Lui il potere di diventare figli di Dio
è importante questo ascolto, questa attenzione e dedizione a Lui per
imparare ad essere motivati da Lui. E bisogna stare attenti a rispondere
quando Lui parla, perché l’iniziativa deve essere sua.
Luigi: Certo, e soprattutto non cercare di spostare
continuamente i mobili in casa d’altri; lasciali stare dove sono. L’unica
preoccupazione deve essere quella di capire il Pensiero di Colui che ti sta
parlando, non di modificare l’esterno (perché l’esterno è Lui che lo cambia,
quando tu capisci ciò che ti ha voluto dire).