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Venne nella sua casa, ma i suoi non L’accolsero  Gv 1 Vs 11


Titolo: Venne nella sua casa ma...


Argomenti: L’abitazione di Dio. Consacrare la creazione. L’io che non collega l’esterno e l’interno. Il Verbo che entra nella casa dell’uomo. L’ignoranza è colpa. La responsabilità dell’uomo.


17/Ottobre/1975


Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti):

 

"Venne nella sua casa, ma ...":

Anche qui il soggetto è  ancora la Luce vera, quella "che illumina ogni uomo che viene in questo mondo". Prima aveva detto: "Era nel mondo, il mondo è stato fatto per mezzo di Essa e il mondo non La conobbe".

Ora dice: "Venne nella sua casa, ma i suoi non la accolsero".

Allora, la Luce vera:

·    illumina ogni uomo che viene al mondo,

·    è nel mondo,

·    il mondo è fatto in Essa e per Essa;

·    viene nella sua casa.

Dobbiamo fare una distinzione tra "mondo" e "casa":

·"Mondo" è la parte esterna dell'uomo.

·"Casa" è l'interno dell'uomo, l'anima dell'uomo. Infatti "sua casa", casa di Dio è l'uomo stesso, poiché Dio abita nell'uomo.

Già nell'Antico Testamento si diceva che Dio non abita in case fatte dagli uomini, ma che la casa di Dio è l'uomo stesso:

·"Così dice il Signore: "Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi potreste costruire? In quale luogo potrei fissare la  mia dimora?” (Is 66,1).

·"Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi ed Io non vi respingerò. Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo”  Lv 26, 11-12 (qui abbiamo già un preannuncio dell'Incarnazione del Verbo).

·"Voi siete la casa di Dio".

Soprattutto poi nel Nuovo Testamento i passi che accennano all'abitazione di Dio nell'uomo, abbondano:

"L'Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d'uomo..."(At 7, 48);

·"Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo" (At l7,24);

·"Non sapete che voi stessi  siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1 Cor 3,l6);

·"O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo." (1 Cor 6,19-20);

·"Voi stessi siete il tempio del Dio vivo, poiché Dio stesso dice: Abiterò in essi e camminerò con loro, e sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo"  (2  Cor 6,16);

·"Così voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi  e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In Lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo del Signore; in Lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito" (Ef 2, 21-22);

·"Noi siamo la casa di Dio"  (Eb 3,6).

·"Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui" (Gv l4,23).

Quindi casa di Dio è l'uomo. Il Verbo venne nella sua casa, tra la sua gente.

Prima aveva detto: "Il mondo è stato fatto per mezzo di Lui (e qui abbiamo l'azione creatrice di Dio), ma il mondo non Lo conobbe", cioè non riconobbe il Creatore, il proprietario della casa. Ed ecco allora abbiamo l'azione del tempo, cioè il Dio che viene, il Dio che entra in noi attraverso tutte le sue opere e ci interpella personalmente per recuperarci. Man mano che il tempo passa,  la creazione per noi muta e scompare: all'ultimo ci troveremo, soli, a tu per tu con Colui che è sempre stato con noi.

Il Cristo, Verbo incarnato che viene  nella sua casa, tra la sua gente, è il rivelatore di questo "mistero nascosto nei secoli": il Dio in noi, tra noi, che viene a noi, che dialoga direttamente con noi, impegnandoci e interpellandoci personalmente.

Quindi  il Verbo stesso  viene per dialogare personalmente con l'uomo che, essendo tutto volto all'esterno e incentrato nel pensiero di se stesso, ha perso il contatto con la Luce, il Verbo interiore, per cui non sa più intendere il linguaggio di Dio nella creazione.

L'incarnazione del Verbo sintetizza e conclude l'opera di recupero che Dio porta avanti attraverso il mondo esterno: non c'è altra via per recuperare l'uomo all'ascolto del Verbo interiore, se non questa, poiché ormai l'uomo è tutto estroverso e schiavo delle realtà sensibili.

"Venne nella sua casa, ma..":

Nel versetto precedente è detto che "la Luce vera era nel mondo (e qui abbiamo il Verbo che parla nella creazione) e il mondo è stato fatto per mezzo di Essa, e il mondo non La conobbe". Il "mondo" è la parte esterna dell'uomo. Dio parla all'esterno e all'interno dell'uomo, ma l'intelligenza dell'esterno dipende dall'interno; quindi a seconda se l'uomo è in ascolto della Luce interiore o no, l'uomo intende o fraintende. Il principio d'intelligenza è Dio, mentre il principio di disattenzione, e quindi dell'incapacità di intendere, è il pensiero dell'io.

È il pensiero del nostro io che ci impedisce di prestare attenzione a Colui che ci sta parlando e quindi di intendere.

Ciò che invece ci fa intendere è il Pensiero di Dio in noi (che Gesù paragona al "sale", quando dice: "Abbiate il sale in voi" (Mc 9,5O), se Lo teniamo presente. Se l'uomo  riporta le cose del mondo a Dio, queste si illuminano, accolgono la Luce, e allora l'uomo passa dal piano dei segni a quello dei significati e quindi al dialogo personale con Dio.

Quando invece l'uomo non comprende la Luce che è nel mondo (il Verbo che parla in tutto), è perché non presta ascolto alla Luce che lo illumina dentro, è perché non collega le cose del mondo con Dio; per cui non è  il mondo che non accoglie Dio, ma è l'uomo che non facendo la giustizia essenziale e non raccogliendo tutto in Dio, non intende il linguaggio di Dio nel mondo.

Quindi quando l'uomo non unisce il segno a Dio, quando non lo consacra a Dio, quando riferisce le cose del mondo al pensiero del suo io, ecco che qui abbiamo il mondo che non accoglie la Luce e che quindi non si illumina: tutto resta nella notte e anche noi. Per cui il mondo è l'uomo incentrato su di sé e che non accoglie il messaggio di Giovanni Battista che testimonia e segnala la Luce vera.

"Giovanni non era la Luce, ma venne per rendere testimonianza alla Luce": in lui è sintetizzata la voce di tutte le creature, della Legge e dei Profeti, voce che ci invita a mettere il Pensiero di  Dio Creatore (il Verbo di Dio, la "Luce vera che illumina ogni uomo") al centro dei nostri pensieri, al disopra di tutto. L'uomo incentrato su di sé (quindi "il mondo") non ha accolto questo messaggio, cioè non ha riconosciuto il Verbo di Dio che parla  nel mondo esterno. Non L'ha riconosciuto, perché non è più capace di ascolto, per cui si è fermato ai segni anziché  riportarli a Dio.

Ecco allora che il Verbo, la Luce vera, venne nella sua casa (e qui abbiamo l'incarnazione del Verbo) per riportare l'uomo (che è fuori casa perché è uscito dal Pensiero di Dio) nella Sua Casa: il Padre; viene cioè  a prendere contatto diretto e personale con l'uomo attraverso e nel mondo esterno; viene per dialogare con lui (per questo è detto: "la mia casa, l'uomo, è luogo di preghiera"), per occuparlo, per scuoterlo e fargli capire che deve cercare Dio prima di tutto.

Già tutta la creazione  gli diceva che bisogna cercare Dio prima di tutto, ma per intenderlo c'era bisogno di tanta sapienza, per cui il Verbo venne a dirglielo personalmente, direttamente.    

Quindi abbiamo Dio:

·che crea l'uomo,

·che dialoga con l'uomo,

·che occupa l'uomo.

Ma qui ci chiediamo: se il Verbo di Dio già abita nell'uomo, cosa vuol dire questo suo venire nella sua casa? Come può venire Uno che già c'è? Se Dio già è in noi, come viene?

Questo suo venire non è certamente uno spostamento da parte sua. Il movimento deve avvenire in noi: siamo noi che dobbiamo giungere a prendere consapevolezza della sua Presenza che è già in noi. Il Verbo si incarna appunto per raccoglierci e portarci a scoprire quello che già portiamo in noi.

Ma anche qui la risposta dell'uomo è un rifiuto: "I suoi non Lo accolsero".

Chi non accoglie il messaggio di Giovanni Battista, anche se si considera tra i "suoi", non può accogliere la Luce che viene nella sua casa, il Cristo, il Dio tra noi, perché non si sono ancora formati in lui la fame, l'interesse per Dio, il bisogno di un aiuto dall'Alto, la convinzione che la salvezza gli può venire solo da Dio.

Però i "suoi" chi sono?

Noi tutti siamo "suoi", perché tutti siamo sue creature. Egli, creandoci, ci ha tratto dal niente e ha fatto di noi la sua abitazione. Egli vuole farsi conoscere da noi, perché conoscere Lui è la nostra vita ("in Lui era la vita"), scende a  parlare con noi, dialoga con noi, ci nutre e ci custodisce  con la sua Parola e ci guida conducendoci alla  nostra meta, che è Lui stesso.

Quindi:

·noi siamo di Dio,

·fatti da Dio,

·allevati da Dio,

·nutriti da Dio,

·custoditi da Dio,

·guidati da Dio,

·seguiti da Dio.

Tutto in noi è di Dio.

Quindi tutti siamo "suoi", a qualunque popolo apparteniamo. Nessuno pertanto deve illudersi credendosi un privilegiato perché appartiene al popolo eletto, e nessuno deve ritenersi un escluso perché appartiene ad un altro popolo,  perché il Verbo che viene nella sua casa, il Verbo che si incarna, è "la Luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo", quindi è una Luce universale.

Se tutti siamo "suoi", questo vuol dire che tutti apparteniamo a Lui comunque, anche senza saperlo, anche se non Lo riconosciamo e non Lo accogliamo. Però bisogna giungere ad essere "suoi", cioè ad appartenere a Lui, consapevolmente, cercando Colui al quale già apparteniamo, perché soggettivamente apparteniamo solo a ciò cui ci dedichiamo, in  caso diverso, pur considerandoci tra i "suoi", Lo rifiutiamo. Infatti qui dicendoci: "i suoi non Lo accolsero", vuole  evidenziarci e farci capire che se essere "suoi" è per noi un diritto, un privilegio, una pretesa, questo ci impedisce di accogliere il Verbo, e quindi la Luce che illumina ogni uomo. Pretendere vuol già dire rifiutare, quindi perdere. "Quando sei invitato a nozze, mettiti all'ultimo posto"(Lc 14,10), dice Gesù, perché quando credi di avere un diritto, ti metti fuori. Infatti per essere nella Verità bisogna ricevere tutto da Dio.

"Non Lo accolsero":

Non si accoglie il Verbo che viene nella sua casa se non si accoglie la Luce interiore, cioè se non si fa la giustizia essenziale. Non accogliere la Luce interiore vuol dire infatti non mettere Dio al disopra di tutto, non accettare di riferire tutto a questa Luce che ci è data e che portiamo in noi, non metterla in alto.

Invece accoglierlo vuol dire guardare al Maestro interiore che è la vera Luce e riferire tutto  a questa Luce, mettendola in alto nella nostra stanza interiore, affinché tutto ciò che entra nella nostra vita sia illuminato da Essa.

Noi possiamo non accoglierla, non accettarla, e questo avviene quando mettiamo in alto, prima di tutto, il pensiero del nostro io (il nostro interesse, l'ambizione, ecc.), per cui l'io diventa il movente della nostra vita. Ma l'io non è luce, per cui rimaniamo nella notte.

La Luce vera è il Verbo, il Maestro interiore, Colui che, solo, illumina noi e che deve determinare le nostre scelte.

Se mettiamo in alto Colui che è in alto, cioè se mettiamo la Luce al suo posto, se mettiamo al centro dei nostri pensieri, delle nostre parole, della nostra vita Colui che è il Centro di tutto, cioè se facciamo la giustizia essenziale, tutti i giudizi e le scelte che facciamo sono nella vera Luce; se no le scelte sono sbagliate, perché scambiamo le nostre tenebre per luce. 

Quindi: "i suoi non Lo accolsero". Non Lo accolsero e non Lo accolgono perché hanno altri interessi, sono attratti da altro. Chi non ha fatto la giustizia interiore non è  attratto  dal Padre, e quindi non può accogliere il Verbo incarnato che viene nella sua casa e che è segnalato da Giovanni Battista, non può intendere le sue parole, proprio perché la comprensione dell'esterno dipende dall'interno e quindi non potrà mai riconoscere in Cristo il Verbo fatto carne.

Accoglierlo dentro è la condizione per accoglierlo fuori, per accogliere cioè quell'aiuto indispensabile perché il "sogno" maturato dentro (conoscere Dio!) diventi realtà. Non Lo si accoglie fuori se non Lo si accoglie dentro.

Conclusione:

"Venne nella sua casa...": poiché l'uomo ha smarrito il contatto con questa Luce interiore (per cui "il mondo non Lo conobbe"), il Verbo venne per dialogare direttamente con l'uomo, per incrociarlo sulla sua strada, per toccarlo direttamente e  per interessarlo agli argomenti del Cielo, per invitarlo cioè ad interessarsi di Lui.

"Maestro, dove abiti?...e videro dove si fermava..." (Gv 1,38): ognuno abita là dove si ferma. Ma dove si fermano gli uomini?

Gesù ci rimprovera, perché noi sempre ci fermiamo dove Lui non è, Lo cerchiamo in luoghi sbagliati, ci riempiamo di rumori e agitazioni. Egli ci dice: "Non sapevate che debbo essere intento nelle cose del Padre mio?" (cf Lc 2,49); "Non fate  della casa del Padre mio un luogo di traffico!" (Gv 2,l3 ss).

I "suoi" che non Lo accolsero (cioè che non Lo hanno ricevuto) sono dunque gli invitati al convito di nozze di cui Gesù parla nella sua parabola e che hanno rifiutato tale invito (Mt 21, l ss - Lc 23,34 ss).

Per questo Gesù piange su Gerusalemme dicendo: "Ah! se anche soltanto in questo giorno avessi conosciuto quello che ci voleva per la tua pace! Ma adesso ciò è nascosto ai tuoi occhi, perché verranno giorni per te in cui i tuoi nemici faranno una trincea intorno a te e ti circonderanno e premeranno da ogni parte, e abbatteranno te e i tuoi figlioli dimoranti in te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai conosciuto il momento in cui sei stata visitata" (Lc l9,41-44).

E ancora: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono inviati a te! Quante volte Io volli radunare i tuoi figlioli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le sue ali, e tu non hai voluto! Ecco, la vostra casa vi sarà lasciata deserta" (Mt 23, 37- 38).

Tale rifiuto (ed è il rifiuto della Parola che viene a noi) concluderà sul Calvario, in cui il rapporto tra  l'uomo e Dio diventerà un rapporto ravvicinato come diventa ravvicinato il rapporto tra l'assassino e la sua vittima. E sarà proprio mettendosi nelle nostre mani e legandoci in tal modo a Sé, che Dio ci offrirà l'ultima possibilità di salvezza, perché lì incominceremo a capire la nostra colpa, a capire cioè che, pensando a noi stessi, uccidiamo Dio in noi.

Nel primo rifiuto, quello di Adamo, non è  stata illuminata l'essenza della colpa, il "corpo del peccato"; anzi, poiché tale rifiuto ci ha reso schiavi di ciò che vediamo e tocchiamo, abbiamo iniziato a darci da fare per rimediare noi stessi a queste schiavitù, anziché dialogare con Dio, aggravando  così la situazione. Cristo in Croce invece illumina la nostra colpa: solo a questo punto avremo la possibilità di morire a noi stessi, di dimenticarci e di vivere per le cose del Cielo.  

            Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio:Venne nella sua casa e i suoi non Lo accolsero”: accoglierlo vuol dire impegnarci a vivere con Lui, secondo Lui, anche nel lavoro.

Luigi: Certo, però non basta. Bisogna trovare il tempo per fermarsi con Dio, perché preghiera è preghiera, lavoro è lavoro. Se non dai mai del tempo per Dio, ti resta la pia aspirazione a vivere secondo Dio, ma che non si realizza. La realizzazione richiede silenzio, dedizione e isolamento.

Eligio: Isolamento inteso come?

Luigi: Inteso come fermarsi da ciò che ci fa correre nel mondo; perché se non sappiamo fermarci con Dio,  il mondo ad un certo momento ci impegna e ci assorbe totalmente.

Eligio: Il mondo infatti ci può distogliere da Dio.

Luigi: Il mondo che non dipende da me è opera di Dio, quindi è buono, sia chiaro,  però su di quello, in quanto è esterno a me, posso proiettare l’ombra del mio io.  È questo il rischio che corriamo.

Eligio: Il versetto precedente parlava appunto del mondo che non accolse la Luce di Dio, il Verbo: “E venne nel mondo, e il mondo è stato fatto per mezzo di Lui e il mondo non Lo accolse”: che significato si può dare a questo mondo?

Luigi: Evidentemente  non è il mondo esterno che non accoglie Dio, ma è l’uomo che non intende il linguaggio di Dio nel mondo. Perché per intendere il linguaggio di Dio l’uomo dovrebbe ricevere le creature del mondo esterno, riferirle a Dio e intenderle in Dio. Ora, se l’uomo non raccoglie in Dio, non consacra il mondo in Dio, questo mondo nell’uomo non raccoglie la Luce, non è illuminato. Perché il mondo, in quanto è esterno a noi, di per sé non è Luce; le creature non sono Luce. Le volte scorse abbiamo visto che il Vangelo dice che Giovanni Battista “non era la Luce”.

Eligio: Cristo stesso ad un certo punto dice: “È necessario che Io me ne vada” (Gv 16,7).

Luigi: Certo, però dice: “Fintanto che Io sono  nel mondo sono la Luce del mondo” (Gv 9,5).           

Eligio: E già! Invece tutte le creature sono segni, non sono luce.

Luigi: Ecco, tutte le creature essendo segni, non sono luce. La luce si forma nell’uomo se il segno viene unito a Colui che lo fa. La parola va unita a Colui che la pronuncia, l’opera va unita a Colui che la fa. Ma questa unione non avviene senza l’uomo. Se l’uomo porta le cose a Dio, allora le consacra (ecco la funzione sacerdotale dell’uomo!) e Dio le illumina. Quindi il vero Sacerdote nel mondo è l’uomo, perché è l’uomo che consacra a Dio tutto l’universo esterno a lui, cioè l’universo che dipende dall’uomo; se lo consacra esso si illumina; se non lo consacra, per l’uomo resta tenebra. Quindi è nell’uomo che si forma la luce, non nel mondo esterno.

Eligio: In che senso l’uomo può avere questa possibilità di consacrare? O è meglio dire che l’uomo ha solo la possibilità di riconoscere il sacro che nei segni da Dio viene manifestato?

Luigi: No, perché l’uomo porta in sé Dio; Dio abita nell’uomo. E siccome all’uomo giungono tutte le creature, e quindi tutte le opere di Dio, egli ha il compito di legarle, di unirle a Dio che porta dentro di sé; cioè non deve tenerle staccate. Invece l’uomo può non unificarle; se non le unifica, l’uomo diventa quel “mondo” che non riconosce il Verbo: ecco come   le “tenebre” non accolgono la Luce.

Ora, quello che si mette in mezzo tra il mondo e Dio è il nostro io; quindi se si mette in mezzo il pensiero del nostro io, le cose si fermano al nostro io. Cioè tutte le cose arrivano nelle nostre mani, e dicono a  noi: “Portaci a Dio, perché noi siamo di Dio”. Tutte le cose del mondo, che in fondo sono parole di Dio, ci dicono: “Noi non ci siamo fatte da sole, tu non ci hai fatti, quindi portaci a Dio perché noi apparteniamo a Dio”. Allora, se noi le portiamo a Dio, le riferiamo a Dio, allora le intendiamo in Dio; ecco come  le cose s’illuminano e ci illuminano; perché intendiamo l’opera di Dio, intendiamo il significato. Allora passiamo dai segni al significato e abbiamo un altro piano: il piano dei significati. Se invece non riportiamo le cose a Dio, siamo in colpa. Infatti riferire le cose a Colui che le ha fatte, è la prima giustizia da farsi. Solo facendo questa giustizia passiamo da un piano all’altro.

Infatti l’uomo può muoversi su  tre piani: 

·abbiamo il piano dei segni, e i segni si fermano al nostro io;

·abbiamo il piano dei significati;

·e abbiamo il piano del dialogo personale con Dio, cioè Dio dialoga personalmente con l’uomo, nell’intimità.

Non si passa da un piano all’altro se non per grazia di Dio.

Ora, fintanto che noi siamo nel piano dei segni e dei “nostri” significati,  non abbiamo un dialogo personale, cioè siamo noi che intendiamo, pur riferendo a Dio. Quindi se noi ci fermiamo al pensiero del nostro io, non usciamo dal piano dei segni, perché attribuiamo loro un significato secondo il punto di vista del nostro io, cioè le cose e le creature le vediamo soltanto in funzione del nostro io, in quanto ci possono interessare, ci possono fruttare, si possono strumentalizzare, ci possono servire; se per esempio vediamo un albero diciamo: “Chissà cosa posso ottenere da questo”; se vediamo una persona: “Vediamo a cosa mi può servire questa persona”; ecco, tutto lo vediamo riferito all’io, in funzione dell’io; in tal caso non passiamo al significato di Dio.

Eligio: E Dio viene in questo mondo? Perché si parlava di mondo esterno…

Luigi: Questo mondo è già tutta opera di Dio; i segni sono parole, sono opere di Dio, quindi sono già Verbo di Dio. “Omnia per Ipsum facta sunt”: “tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui”, siamo noi però che le dobbiamo collegare con Dio, perché Dio è presente in tutto; è presente in noi ed è presente fuori di noi, però in mezzo ci può essere il nostro rifiuto all’ascolto. Rende bene l’esempio del maestro e dell’allievo: il maestro parla, l’allievo ha la possibilità d’intendere, però se l’allievo pensa a divertirsi, se pensa a se stesso, cioè se non è presente e attento  all’insegnante, la parola gli giunge solo come rumore, ma non è intelletta. Per intendere la parola dell’insegnante l’allievo deve essere disponibile, non deve pensare a sé, cioè deve guardare l’altra persona che parla; allora, se guarda l’altra persona che parla, se c’è la disponibilità, l’altra lo conduce a capire, a vedere la luce.

Con Dio è lo stesso: per intendere le cose, l’uomo non deve guardare a sé, ma a Colui che parla: tutto l’universo è un’aula, è l’aula di Dio; l’universo è Dio che parla all’uomo personalmente, però l’uomo deve essere disponibile, attento a Colui che parla. Se  invece l’uomo sta attento alle cose soltanto per riferirle a se stesso, non intende il linguaggio di Dio, e allora frustra tutta la creazione, e qui abbiamo l’errore. Per cui l’esterno è opera di Dio, l’interno è opera di Dio, in mezzo però c’è l’uomo.

Quindi il mondo esterno è buono, il mondo interno è buono, ma in mezzo, tra questi due e Dio, può mettersi il pensiero dell’io che allora rovina tutto.

Da parte di Dio tutto è buono; se c’è del negativo è perché il collegamento tra l’opera e il Creatore non è avvenuto nell’uomo: è il pensiero dell’io che ha legato le cose a sé, quindi il danno è solo personale. Ecco, tutto il mondo che portiamo in noi, ad un certo momento diventa per noi motivo di dispersione, di rovina, di morte, ma solo perché noi non l’abbiamo collegato con Dio.

Nessuno potrà, dinnanzi a Dio, dire: “Tu mi avevi fatto incontrare queste creature o queste cose che mi hanno rovinato”, perché il Signore convincerà tutti che il problema è molto diverso; Egli dirà: “Io ti ho fatto incontrare quelle creature, quei fatti, quegli argomenti per salvarti e non per rovinarti; sei tu che invece hai riferito tutto a te stesso,  hai rivestito tutto di te stesso, anziché vedere tutto nel mio Pensiero, vederlo nella mia Misericordia”.

Quindi l’errore fondamentale da parte nostra è quello di non collegare il mondo che arriva a noi col Pensiero di Dio. Per questo dico che si tratta di consacrare tutto a Dio dentro di noi; S. Agostino dice che il vero altare è la nostra mente, in cui si offrono i veri sacrifici a Dio, su cui avviene la consacrazione del mondo. Tutte le cose arrivano nella nostra mente, ma noi non dobbiamo fermarle lì, ma dobbiamo farle andare oltre, cioè dobbiamo fare il passaggio a Dio; ed è questa la fatica richiesta veramente all’uomo e a cui l’uomo viene meno. È questa “la porta stretta” di cui parla Gesù (Mt 7,13): stretta, perché riportare tutto a Dio richiede un continuo superamento di sé e questa è fatica. E Gesù parla di questa fatica in cui l’uomo deve superare se stesso, perché dice: “Sforzatevi, affaticatevi, per passare per la porta stretta”.  Se invece l’uomo non supera se stesso, valuta le cose secondo il criterio del “questo mi interessa, questa cosa mi serve, questa non mi serve, quest’altra mi è simpatica, ecc.” ; ma questa è “la strada larga che conduce alla perdizione”: qui l’uomo riferisce tutto a se stesso e non passa oltre.

Tutte le cose quindi vanno riportate a Dio, cioè vanno riportate al loro Principio (“In principio era il Verbo” - Gv 1,1), se vogliamo capirne il significato. Solo così accogliamo il Verbo.

Riporta dunque tutte le cose al loro Principio e allora esse s’illumineranno e ne comprenderai il significato. Passando al significato in Dio superi il piano dei segni.  Se tu non le porti nel loro Principio, le cose non s’illuminano, restano tenebre; ma le tenebre allora ci disperdono. Perché le tenebre non partono da Dio, ma sono in noi, in quanto non c’è stato quel collegamento tra il segno e l’Autore del segno, cioè non siamo passati al significato. Invece nel significato noi superiamo l’importanza stessa del segno. Infatti se osserviamo bene, nel campo dei segni noi abbiamo le qualità: se facciamo il confronto tra il lavoro dello spazzino e quello del ministro, nel campo dei segni il lavoro del ministro è molto importante in confronto a quello dello spazzino; invece nel campo dei significati, come intenzione, può darsi benissimo che il lavoro dello spazzino sia infinitamente più importante del lavoro del ministro, ma siamo già  su un altro piano: sul piano dei significati, dell’intenzione; per cui se lo spazzino o la casalinga, la donna che scopa, fanno questo lavoro nell’amore di Dio, intenzionalmente per Dio (Dio guarda molto di più alle intenzioni che alle opere che noi facciamo), questo umile lavoro, che agli occhi nostri quantitativamente sembra insignificante, agli occhi di Dio è importantissimo, e anche per la salvezza del mondo è importantissimo, perché è un atto d’amore. Invece, fosse anche l’atto più grande di questo mondo, ma fatto nel pensiero del nostro io, diventa una rovina. Quindi nel passaggio dal piano dei segni al piano del significato in Dio noi abbiamo una liberazione da quello che è l’elemento apparente, cioè dalle  grandezze apparenti; infatti il Signore dice: “Quello che è grande agli occhi degli uomini è niente agli occhi di Dio; quello che è insignificante per gli uomini è molto grande agli occhi di Dio”.

Quindi tornando al concetto di mondo: il mondo è tutta opera di Dio, l’uomo dovrebbe collegare il mondo con Dio; questo collegamento però non avviene. Ecco perché il Vangelo dice: “Il mondo non Lo conobbe”: le tenebre non hanno accolto la Luce e restano tenebre.

Eligio: Anche quel “mondo” di cui parla San Giovanni è opera di Dio?

Luigi: Quel “mondo” di cui parla S. Giovanni è quel mondo che non è stato raccolto. Infatti, quando Gesù nella sua ultima preghiera dice: “Padre, ritornami quella gloria che il Figlio ebbe prima che il mondo fosse” (Gv 17,5), parla di quel mondo che è incentrato sul nostro io, e che non è stato rapportato a Dio. Questo “mondo” non è quindi  il mondo esterno che è buono, ma è il mondo personale  dell’uomo (il mondo “mio”). Il mondo che giunge a noi rimane tenebra se non lo rapportiamo a Dio; è in questo senso che Giovanni dice: “Era nel mondo e il mondo non Lo conobbe”.

Eligio: Quindi quel mondo non è fuori di me, come letteralmente si potrebbe anche intendere.

Luigi: Però tutto questo mondo fuori che viene a noi (in quanto è “fuori” arriva a noi; c’è un collegamento tra il mondo esterno e noi) deve essere unito a Dio. Se questo mondo “fuori” non è unito a Dio diventa motivo di offuscamento della gloria di Dio. Ecco allora adesso il Verbo entra nella sua “casa” (“venne nella sua casa”) che è l’anima stessa dell’uomo. Quindi il Verbo che parla, che parlava già “fuori” (“tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui”), ad un certo momento entra direttamente a contatto con l’uomo: viene a parlare personalmente all’uomo per scuoterlo e dirgli: “Che cosa stai facendo? Guarda che sei un delinquente, stai rubando a Dio! perché tu anziché fare quello che Io ti dico di fare, cioè invece di cercare di capire quello che devi capire tu pensi soltanto a te stesso. Cerca dunque prima di tutto il Regno di Dio!”. Ecco qui abbiamo il Verbo che entra nella casa dell’uomo.

Entrare nella casa di uno vuol dire interessarlo personalmente; allora abbiamo un secondo momento, un secondo tempo della nostra vita: il momento in cui Dio ci interpella personalmente ed è significato dall’incontro con il Verbo incarnato. Questo perché la casa di Dio è l’uomo (Dio abita nell’uomo): Dio entra in questa casa.

 Ecco, “entrare nella casa” vuol dire interessare personalmente. Quando il Verbo di Dio dice: “Uomo, cerca prima di tutto il Regno di Dio e non preoccuparti del mangiare e del vestire” (Mt 6,33), qui interessa personalmente l’uomo.

 Queste cose già prima gliele diceva nel mondo esterno attraverso il sole, l’albero, ecc., ma c’era bisogno di tanta intelligenza, di tanta sapienza, per intenderle; infatti per intendere che l’albero, il torrente o il cielo, il sole, ecc, all’unanimità ci dicono: “Uomo, cerca prima di tutto Dio, e tutto il resto ti sarà dato in sovrappiù”, ci vuol tanta sapienza. Ma questa sapienza nell’uomo è venuta meno, perché non c’è stato questo lavoro di unificazione, di consacrazione delle cose in Dio. Allora arriva un momento in cui la Parola, il Verbo stesso viene a dircelo personalmente, per interessarci personalmente. Il Verbo viene nella sua casa (l’uomo) e parla personalmente all’uomo e gli dice: “Uomo, tu devi cercare prima di tutto Dio, e non preoccuparti del resto, perché ti disperde; perché il problema del mangiare, del vestire, della figura, ecc., sono quelle cose che ti portano via dal lavoro principale”. Ecco, qui abbiamo il Verbo che entra nella casa dell’uomo, nella sua casa, che lo interessa personalmente. Quando qualcuno entra in casa nostra ci interessa personalmente.

Eligio: Quello che mi pareva di poter dedurre dal senso del testo è che il mondo che rifiuta Dio è il mondo dell’io che si è staccato dal Principio per fermarsi ai segni. Quindi quel mondo che rifiuta il Verbo sono “io”.

Luigi: Certo,  non esiste un mondo esterno che rifiuti Dio: il mondo esterno è opera di Dio e quindi è sacro. Bisogna sempre fare la distinzione tra ciò che dipende dal nostro io e ciò che non dipende dal nostro io. Tutto ciò che non dipende dal nostro io è opera di Dio: lì c’è la mano di Dio, lì c’è il Verbo di Dio, e noi dobbiamo accoglierlo dalle mani di Dio. Poi tutto questo mondo viene a dipendere dal nostro io, nel senso che noi possiamo riferirlo a Dio o possiamo riferirlo al nostro io. Se riferiamo il mondo al nostro io, lo strumentalizziamo, e allora tutto questo mondo viene a noi e noi non lo intendiamo; e non soltanto non lo intendiamo, ma addirittura lo capovolgiamo a nostro servizio: lo travisiamo!

Non riportando a Dio il mondo esterno, per prima cosa noi rubiamo a Dio quello che è di Dio; ecco perché alla domanda che viene fatta a Gesù sul tributo da pagare a Cesare Egli dice: “Date a Cesare quel che è di Cesare, ma date a Dio quello che è di Dio” (L 20,25), cioè voi state facendo dei problemi di giustizia qui in terra e non vi accorgete di non fare la giustizia principale. Perché la prima vera ingiustizia che si fa è quella di non dare a Dio quello che è di Dio; per cui noi ci appropriamo delle cose di Dio. Quei vestiti di Gesù che vengono divisi tra i soldati ai piedi della Croce (Gv 19,23) rappresentano tutte le creature, che sono opere di Dio (“vestiti di Dio”), di cui noi ci appropriamo ogni qual volta che noi diciamo “questo è mio”, o che riferiamo a noi stessi, o che strumentalizziamo per un nostro fine anziché riferirlo a Dio ed  “usarlo” secondo Dio. Allora qui abbiamo un mondo che ci porta via, ma è il mondo su cui noi abbiamo proiettato l’ombra del nostro io, che non abbiamo riferito a Dio, che abbiamo “rubato” a Dio.

Eligio: Quindi questo mondo che ci porta via non è un qualcosa di esterno a noi; siamo noi che lo lasciamo entrare.

Luigi: Ciò che ci porta via a Dio è sempre l’ombra del nostro io, quindi ciò che noi stacchiamo da Dio. E siccome noi diventiamo figli delle nostre opere, avendo proiettato su quella cosa la nostra “ombra”, la nostra intenzione, quella cosa ci porta via. Quindi non è l’opera di per sé che ci porta via a Dio, ma è l’averla strumentalizzata a noi. Invece se la stessa cosa noi la riferiamo a Dio diventa per noi un motivo di liberazione, un motivo di spiritualità, un aiuto, una testimonianza di Giovanni Battista quindi ci illumina e ci porta a Dio: infatti il Battista testimonia la Verità di Dio, testimonia la Luce. Essendo Giovanni Battista  la sintesi di tutto l’Antico Testamento, quindi anche di tutta la creazione, quindi anche del mondo esterno, nella sua voce abbiamo la voce di tutte le creature; e tutte le creature, che non sono Luce, perché la Luce è il Verbo di Dio, testimoniano la Luce, perché dicono a noi: “Noi non siamo Luce, tu non sei Luce, la Luce è Dio, quindi portaci a Dio, affinché Dio ci illumini ed illuminandoci, illumini te”. Per cui ognuno di noi resta illuminato solo per quel tanto che raccoglie in Dio. Se noi raccogliamo poco, siamo illuminati poco; se non raccogliamo niente, siamo tutta notte e tutte tenebre; se invece raccogliamo tanto, siamo tanto illuminati; ma tutto dipende da quest’opera di raccolta.

Eligio: Hai detto prima che le creature dicono a noi: “Tu non sei luce”. In che senso e come ce lo dicono? Perché è il Verbo, Gesù, la Luce.

Luigi: Ci dicono: “Tu non sei luce”, nel senso che ci dicono: “Tu non hai fatto noi, quindi non ci puoi illuminare. E nemmeno non ci siamo fatte noi da sole”, quindi evidentemente non hanno in se stesse la ragione del loro esistere, ma nemmeno noi l’abbiamo, per cui ci dicono ancora: “La ragione della nostra esistenza non sei tu”; infatti un filo d’erba ci confonde e ci dice: “Non sei tu che mi hai fatto”. Quindi noi non siamo luce nemmeno per il filo d’erba. Il filo d’erba da solo non è luce, noi non siamo luce, quindi non dobbiamo fermarci ad esso; per cui se noi non lo portiamo a Dio, se non riferiamo qualcosa a Dio c’è la colpa in noi. Siamo in colpa! Quindi noi non possiamo dire innocentemente: “Ma io non sapevo che dovevo riferire la cosa a Dio, e allora  io la usavo per me”. No! c’è la colpa.

Eligio: C’è la colpa quando incontriamo la Verità, il Verbo che ci illumina sulla ragione dei segni.

Luigi: In quanto noi siamo egoisti, cioè quando abbiamo il pensiero dell’io al centro, di per sé abbiamo già la colpa.

Eligio: Ma Gesù stesso dice: “Se Io non avessi parlato non sareste in colpa” .

Luigi: Questo è vero; ma il Verbo di Dio parla nella creazione fin dal principio.

Eligio: Dicendo questo presuppone uno stato di ignoranza della creatura che naturalmente non è colpevole per la creatura.

Luigi: L’ignoranza non è giustificata ad un certo momento; infatti Gerusalemme è condannata perché non ha conosciuto.

Eligio: Ma Lui come Verbo incarnato aveva parlato…

Luigi: Però, non so come si possa onestamente sostenere che non c’è colpa; non so come noi possiamo essere un centro di egoismo innocentemente; perché c’è tutto un universo che ci sconfessa e ci dimostra che non siamo noi il centro. Per capire questo, non c’è bisogno dell’Incarnazione, perché c’è  la Parola stessa di Dio nel mondo che ci fa capire che noi non siamo Dio; allora, quando noi mettiamo il pensiero di noi stessi al centro e strumentalizziamo il nostro prossimo, non possiamo ovviare a questo senso di colpa che portiamo dentro di noi, cioè  non possiamo fare del nostro io il centro senza  provare senso di colpa, perché facciamo una cosa non vera. Come può un uomo pensare di essere centro quando tutto l’universo lo sconfessa, gli dice che non è centro? Non siamo noi i creatori.

Eligio: Ma molte volte viene fatto per ignoranza, incoscientemente. Il credersi qualcosa o il mettersi al centro è solo un fatto d’ignoranza, perché man mano che l’uomo matura in età, attraverso l’esperienza e l’intelligenza capisce di essere il centro di niente. Direi che prima è un errore per ignoranza.

Luigi: È logico, e Cristo ci fa toccare con mano questo errore qui. Però a  me sembra che quando il Cristo farà capire alla creatura il suo errore, essa arrivi a dire: “Sì, ho sbagliato; non dovevo farmi centro”. Quindi vuol dire che la creatura porta questo senso di colpa dentro di sé. Che poi ci sia bisogno che il Verbo, Dio, le parli e le metta davanti uno specchio per dirle: “Guarda cosa stai facendo!”, è altrettanto vero; ma capisci che se uno non avesse il senso di colpa, direbbe: “Ma io non lo sapevo”. Invece succede che  voltandosi indietro, uno dice: “Ho fatto il male”.

Se la creatura si trova di fronte al Verbo ha lo specchio che le fa capire, però riconosce che il male l’ha fatto prima. Altrimenti direbbe: “No, io ero in buona fede”; invece essendo stato egoista capisce di portare con sé un male e quindi di essere colpevole.

Eligio: Mi pare che tante volte succeda di sbagliare in buona fede.

Luigi: Certo, ma è un’altra cosa; quando sbagli in buona fede, allora c’è l’onestà e quando capisci di aver sbagliato non c’è il senso di colpa perché eri in buona fede. Invece il senso di colpa nasce dal confronto e capisci che sei stato egoista e allora dici: “Ho mancato”.

Eligio: Finché non capisco la legge dell’Amore, non posso neanche conoscere l’egoismo.

Luigi: No, direi che basta questo: sapere che noi non siamo Dio; e basta un filo d’erba per farmi capire che io non sono Dio. Esso ci confonde perché ci dice: “Non sei tu che mi hai fatto! Non fermarti quindi a me e nemmeno a te”.

Eligio: Bisogna già ragionare molto.

Luigi: Ma qualunque cosa, la più piccola, ci fa capire che noi non siamo Dio, perché continuamente siamo sconfessati, continuamente siamo in conflitto: basta un piccolo contrattempo, oppure basta osservare come gli altri continuamente ci condizionano o ci urtano; cerchiamo una cosa e non possiamo ottenerla,  noi vorremmo comportarci in un modo e il prossimo ci fa comportare nella maniera opposta, ecc.; e questo ci fa capire di non essere al centro. Allora, se noi, dentro di noi, ci facciamo centro di egoismo, di orgoglio, di ambizione, se ci facciamo centro di qualcuno o di qualcosa,  compiamo già di per sé un errore, perché sappiamo di non essere centro. Il centro è Dio: lo sappiamo  anche se non Lo conosciamo.

Eligio: È vero, noi sappiamo di non essere centro.

Luigi: Per cui  se ci facciamo centro anche solo di una persona, di una famiglia, di una comunità, anche solo di piccole cose, già di per sé siamo in colpa. Basta capire che non siamo noi i creatori delle cose, e capire questo ci porta all’attenzione all’Altro che sta parlando con ciascuno di noi personalmente. Se non Lo ascoltiamo, siamo in colpa e rimaniamo tenebre.

Eligio: Non dimentichiamo che nasciamo già con questa tendenza a farci dei; il peccato originale è quello: “Sarete dei”  (cf Gen 3,5). Quindi se non trovo una luce, cioè se non scopro l’esistenza del Verbo interiore che mi dice: “No, guarda che non sei tu Dio”, come faccio a rendermi conto?

Luigi: La Luce parla in tutto, poiché “tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui”. Quando il Signore ci darà la grazia di parlarci personalmente e quindi di farci toccare con mano personalmente l’errore, ci darà la grazia di superarci. Noi non abbiamo la grazia di superarci se non incontriamo Lui; questo è vero; cioè non abbiamo la possibilità di amare un’altra persona se non incontriamo l’Altra Persona. Però se siamo egoisti sappiamo che siamo in colpa; cioè, se facciamo del nostro io un centro, siamo in colpa, proprio perché non siamo il centro, e tutte le cose ci confermano che noi non siamo il centro.

Eligio: Ma fintanto che io non incontro la Verità, io non posso capire che la legge dell’universo è la legge dell’Amore.

Luigi: Non c’è bisogno di arrivare a capire che la legge dell’universo è la legge dell’Amore per sapere che non sei il centro.

Eligio: Ma se non la conosco, come alternativa ho solo l’egoismo.

Luigi: No! A te basta capire che non sei tu il creatore delle cose.

Eligio: Però non è tanto facile, soprattutto in ciò che facciamo noi.

Luigi: Però come posso io convincermi che ho creato io una pianta, che ho creato io l’acqua, ecc.? Questa posizione mi porta nell’attenzione all’Altro; perché se l’universo non fosse stato fatto in questa Sapienza, io non potrei essere nell’attenzione all’Altro, cioè guardare a Dio. Tutto l’universo, essendo Parola di Dio, è un Altro che parla a me, non sono io che parlo; per cui se io non ascolto sono in colpa. “La Luce brilla nelle tenebre, ma le tenebre non la comprendono”: le tenebre sono in colpa, perché devono comprenderla; cioè, se una persona parla a me e io non ascolto, sono in colpa.

Eligio: Quelle tenebre che rifiutano la Luce sono in colpa, ma ci sono anche le tenebre che l’accolgono…

Luigi: Qui dice: La Luce risplende nelle tenebre”, questa Luce è il Verbo di Dio che parla in tutte le cose: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”(Gv 1,3); quindi in quanto è fatto per mezzo di Lui, Egli è Luce che parla alla creatura che deve intendere, cioè Egli parla all’uomo. Quindi tutte le cose sono “Dio che parla all’uomo”; l’uomo deve ascoltare. Tutto ci annuncia Dio e ci dice: “Non sei tu il Creatore, quindi non rubare appropriandoti di ciò che non è tuo, ma cerca prima di tutto Colui che ha fatto tutte le cose e ha fatto te”. Se l’uomo non ascolta è in colpa. Allora le “tenebre che non comprendono” sono l’uomo (perché per “tenebre” mica si intende le tenebre materiali): l’uomo a cui Dio parla e  che non ascolta, per cui  si sentirà dire dal suo Signore: “Il tuo Signore è venuto e  ha parlato a te e tu non hai ascoltato! Tuo Padre ti ha chiamato e tu non hai ascoltato!”. Ora, se tutto è opera di Dio, e quest’opera è fatta per l’uomo, tutto è Parola di Dio per l’uomo, proprio perché tutto è fatto per l’uomo.

Eligio: Tu per avallare questa affermazione ti riferisci alla scrittura e al Vangelo, all’Antico e al Nuovo Testamento. Che funzione ha allora la venuta del Cristo se la natura dice già quello che dicono l’Antico e il Nuovo Testamento? Se c’è stato bisogno dell’Antico e del Nuovo Testamento è perché l’uomo non era in grado di capire il linguaggio della natura, il linguaggio della creazione.  

Luigi: No, l’uomo era in grado di capire: ecco perché c’è la colpa; solo che l’uomo, mettendo il suo io al centro, siccome diventa figlio delle sue opere, non è più in grado di capire. Ma l’uomo è già in colpa, perché ha fatto centro il suo io. Come tu fai centro il tuo io, immediatamente ti metti nella condizione di non capire più nulla; e non capisci nemmeno il Cristo quando verrà; ma farsi centro è colpa, perché l’uomo è in grado di capire che non è lui il centro.

Eligio: A me pare che noi nasciamo già incentrati nel nostro io e quindi nella confusione; certo, il mondo esterno è parola di Dio che ci richiama, ma ormai siamo in condizione di incapacità di ascolto.

Luigi: Riduciamo il fatto ai minimi estremi: abbiamo l’uomo ed abbiamo l’universo (creature, mondo, ecc.).  Di fronte a questo  qual è la prima impressione? Sono io che ho fatto queste cose? NO! In quanto non le ho fatte io devo rispettare, sono in casa d’altri; certamente l’universo non l’ho fatto io, quindi nascendo entro in casa d’altri, e in quanto entro in casa d’altri, la prima conseguenza di questo rapporto io – altro, che non ho fatto io, è il rispetto, attenzione. Ecco, mi si richiede per prima cosa il rispetto, l’attenzione.

Eligio: Non è più l’uomo naturale, ma è già l’uomo che sta attento a Dio.

Luigi: No, è l’uomo naturale.

Eligio: L’uomo naturale non vede né l’universo, né si chiede chi è il Padrone dell’universo; stabilisce immediatamente un rapporto fra l’universo e se stesso, e il suo io, e lo proietta su tutto ciò che vede; non si fa delle domande.

Luigi: Non si fa delle domande, ma l’impressione è quella; cioè ciò che vedo non l’ho fatto io. All’uomo basta sapere che la cosa non l’ha fatta lui; la posizione che prenderà dopo non interessa più (perché lì ci sarà la colpa o no a seconda se sarà o no coerente con ciò che sa). Interessa solo questo: “La cosa non l’ho fatta io”. Qui nasce la mia responsabilità circa la posizione che prendo dopo. Vedendo questo oggetto che c’è sul tavolo, la prima cosa che capisco è che non l’ho messo io; e in quanto non l’ho messo io, se mi arrogo il diritto di spostarlo senza ragione sono colpevole, perché devo avere un motivo, perché un altro l’ha messo. Ora, per spostarlo debbo prima intendere il pensiero dell’altro; se lo sposto di mia iniziativa metto qualche cosa di mio arbitrio e qui allora scatta la colpa. Quindi soltanto il fatto di sapere che la cosa non l’abbiamo fatta noi (e questo tutti lo sappiamo), quindi per il semplice fatto che ci troviamo in un ambiente che non abbiamo fatto noi, ci è richiesto l’atto morale di rispetto. Non sappiamo chi l’ha fatto, inizialmente non sappiamo che l’ha fatto Dio, però in quanto non l’abbiamo fatto noi, il primo atto di onestà che si richiede (in caso diverso siamo disonesti, quindi colpevole) è quello di rispettare tutto.Principio della Sapienza è il timor di Dio” (Pr 9,10), cioè l’attenzione a Dio; diversamente, se non si rispetta, c’è la colpa.

Eligio: Ma questo ragionamento io l’ho fatto quando ho incontrato te, perché tu me ne hai parlato; prima non mi sono mai posto il problema di un mondo esterno che io dovevo rispettare, perché quando si vive solo sensibilmente non c’è un rapporto con un Dio che non si vede. Solo dopo ho riconosciuto l’errore, ma prima no.

Luigi: Noi siamo sempre in colpa. Facciamo l’esempio di un bambino che deve essere educato: per correggerlo gli dici: “Quella cosa la devi rispettare perché non è tua”; ecco, su che cosa fai leva per fargli rispettare le cose? Sul fatto che la cosa non è sua. E il bambino lo capisce; ma come fa a capirlo?

Eligio: Al giorno d’oggi i ragazzi stentano molto a capirlo, specialmente in relazione alle cose della loro casa.

Luigi: Certo, stentano perché hanno tanti altri argomenti… Ma passiamo dall’esempio dei mobili di una casa (che non vanno spostati per rispettare l’intenzione di chi li ha messi) a tutto l’universo: è talmente evidente che noi nasciamo in casa d’Altri!

Eligio: Ma per i bambini è naturale “abusare” della casa in cui abitano; sono nati e cresciuti in quel luogo e quindi lo considerano loro. La natura con le sue forze deteriori prevale.

Angelo: Bisogna che ci sia un richiamo.

Luigi: Certo, ci vuole un richiamo per far  prendere loro coscienza della cosa, ma non per farli essere in colpa:  loro sono in colpa già prima. Perché in quanto la cosa non l’hanno fatta loro, non sono padroni certamente di quella cosa.

Angelo: Dopo si accorgeranno dell’errore…

Luigi: Se ne accorgeranno dopo,  quando qualcuno  li farà riflettere, però diranno: “Ah, ma io ero in colpa!”. Perché, se fossero stati in buona fede, nel momento in cui si fa loro notare che stanno sbagliando non  verrebbe loro il senso di colpa; invece c’è il senso di colpa: è perché  “sapevano”.

Eligio: Io invece direi: “Non sapevo e quindi per questo motivo non c’è stato quel rispetto e quell’attenzione che ora so che mi è richiesto”. Indubbiamente  avrei il rimpianto di aver perso tanto tempo, però non mi sentirei in colpa.

Luigi: La fonte della colpa è proprio questa:   non rispettare la volontà di un Altro.

Eligio: Se io non ho coscienza che esiste un Altro come faccio a rispettare l’Altro?

Luigi: Per rispettare non interessa conoscere l’Altro, interessa soltanto sapere che quella cosa non l’hai fatta tu e questo basta.  In quanto non l’hai fatta tu, il primo atto di onestà che ti vien chiesto  è il rispetto, anche se non conosci chi l’ha fatta. Non puoi spostarla senza conoscere prima il pensiero di chi l’ha fatta. E nemmeno puoi alterarla (perché se la alteri sei in colpa), né prenderla a calci. L’alterazione è il prodotto dell’io, quindi è colpa, come la bugia: infatti se altero (o dico la bugia) faccio entrare qualcosa del mio io. Sostanzialmente non c’è differenza tra dire una bugia e prendere a calci un mobile: è sempre un’affermazione di un qualcosa del mio io.

Se invece rispettiamo, siamo onesti e siamo già in cammino verso la Verità. Per educarci al rispetto, Dio fa con noi come un genitore fa con i propri piccoli: fa leva su: “Questo non è tuo”.

Eligio: Come dobbiamo allora intendere l’affermazione di Gesù: “Se non fossi venuto e non avessi parlato non sareste in colpa” (Gv 15,22)?

Luigi: Cristo venendo ci dice che dobbiamo mettere Dio prima di tutto. Se noi ci rifiutiamo entriamo in colpa verso di Lui, perché Lui ci fa prendere coscienza di un fatto che dovevamo già aver conosciuto prima, poiché il Verbo parla anche nelle cose. Ma è altra cosa la colpa di chi, alterando le cose, non le rispetta: qui abbiamo il peccato originale, l’autonomia. Quindi se sorge da me un atto autonomo, sono in colpa, perché l’autonomia è colpa  (appunto, è il peccato originale), anche se questa responsabilità la scoprirò in seguito.    

La non autonomia mi è imposta da tutte le cose, per cui devo rispettare ogni cosa e ogni persona. Posso essere strafottente e non rispettare, ma sono in colpa. Si parte da questa base elementare: il rispetto, e si può giungere fino al vertice in cui il Verbo di Dio ci impegna molto, perfino ad accettare il rischio di morire di fame, ma non possiamo più rifiutarci di accettare o alterare certe sue parole (come: “Cerca prima di tutto il Regno di Dio e tutto il resto ti sarà dato in soprappiù”). Diversamente siamo in colpa.

Il Verbo di Dio venne nella sua casa, si è incarnato tra noi, proprio per farci uscire dalla nostra prigione rendendoci consapevoli della nostra responsabilità nei confronti di Dio e per darci così la possibilità di impegnarci con Dio, di conoscerlo e di diventare suoi figli.                        

Pensieri tratti dagli incontri del Sabato: Sabato 24.01.1976 (appunti)

“Venne nella sua casa e i suoi non L’accolsero”.

Casa di Dio è l’uomo. Poiché l’uomo non riconobbe la Luce che splende nelle tenebre e che “illumina ogni uomo che viene in questo mondo” e non riconobbe la presenza del Verbo nel mondo, ecco che allora il  Verbo venne nella sua casa, cioè venne per dialogare con l’uomo, ma l’uomo non L’accolse. I “suoi” non Lo accolsero. Se manca la giustizia essenziale, non si può accogliere il Cristo, il Verbo di Dio tra noi. Si travisano le sue Parole e Lo si manda a morte.

Sabato 07.05.1983

 

Paolo: “Venne nella sua casa e i suoi non L’accolsero”. Casa di Dio è l’uomo.

Luigi: Certo, il Verbo incarnato che viene tra noi, per abitare tra noi, ci rivela che Dio è sempre stato tra noi, in noi.

Paolo: Sembra impossibile che Egli venga in noi e noi ci rivolgiamo ad altro e quindi non ci   accorgiamo nemmeno della sua Presenza.

Luigi: Da che cosa ci accorgiamo che Dio è presente in noi?

Dalla passione di assoluto che portiamo dentro di noi. Noi siamo passione d’assoluto. Ogni uomo è una passione d’assoluto e riflette la sua passione d’assoluto in tutto ciò che cerca; questa passione d’assoluto è un effetto del Dio in noi. Quindi l’uomo anche se non  vuole, anche se non crede in Dio, è una passione di assoluto; infatti tutto ciò che ama e tutto ciò che cerca, lo ama e lo cerca con la passione d’assoluto e vuole che sia assoluto; per cui tutta la tristezza, tutta la tribolazione dell’uomo è dovuta al non trovare quel’“oggetto” assoluto di cui lui è passione. Ora, la passione dell’assoluto in noi è una testimonianza, la prova della presenza dell’Assoluto in noi senza di noi; però fintanto che noi non cerchiamo l’Assoluto nell’Assoluto stesso, cioè in Dio stesso, siamo tribolati.

L’Assoluto è dunque presente in noi.  Infatti nei versetti precedenti si legge che “Luce vera è quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo”: quindi ogni uomo la porta con sé questa Luce, però non l’accoglie. Cioè Dio è presente in noi, perché è quello che costituisce noi, ma è presente in noi anche senza di noi, per cui noi ne portiamo gli effetti. E fintanto che noi non ci apriamo col nostro interesse verso di Lui, noi non L’accogliamo. Però ogni altra cosa che noi accogliamo, la accogliamo con la passione dell’Assoluto; per cui se amiamo una creatura, noi vogliamo che quella creatura sia assoluta; se amiamo il denaro, vogliamo che il denaro sia assoluto, cioè che ci dia le garanzia dell’Assoluto; e questa è la prova che portiamo in noi la presenza dell’Assoluto.

Marco: Tu dici che noi vorremmo che tutto fosse assoluto; ma le cose materiali possono diventare assolute?

Luigi: No, non diventano mai assolute. Eppure proprio per questa passione di assoluto, tutto il lavoro, tutta la scienza, tutta la fatica dell’uomo è questo tendere a fare diventare assoluto quello che assoluto non può essere. Se noi abbiamo una casa, vogliamo che questa casa non vada giù e allora ecco tutta la tribolazione per tenerla su; se abbiamo una creatura, noi vogliamo che questa creatura sia fedele, sia assoluta come Dio è Assoluto; ma siccome le creature non possono essere assolute, noi triboliamo e tutto ci fa tribolare, perché noi non possiamo disgiungerci dalla passione d’assoluto perché è l’elemento costitutivo di noi stessi. Dio è in noi e noi non possiamo cacciarlo fuori, perché è “Quello” che costituisce noi stessi; infatti ne portiamo le conseguenze. Le conseguenze sono questa passione d’assoluto: effetto di cui però noi non siamo consapevoli. Per cui se amiamo l’albero, vogliamo che l’albero sia assoluto; qualunque cosa a cui ci rivolgiamo, vogliamo che ci dia le sicurezze, che sia stabile come solo l’Assoluto può essere. Naturalmente, sbagliando luogo, triboliamo; infatti tutti gli uomini cercano Dio, perché tutti gli uomini sono una passione di assoluto. Siamo tutti ricercatori di Dio, soltanto che sbagliamo il luogo in cui Lo cerchiamo. Sovente faccio questo esempio: se cerchiamo mele sul larice, triboliamo tutta la vita, ma non troviamo le mele: sbagliamo luogo! Però la passione è quella e fintanto che non troviamo l’albero delle mele, noi consumiamo tutta la nostra vita nella tristezza, perché non abbiamo trovato ciò per cui siamo fatti.

Pinuccia B.: In questo caso l’albero delle mele sarebbe il Pensiero di Dio in noi.

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Perché Dio si trova nel Pensiero di Dio. Un’altra prova che il Pensiero di Dio è in noi è il sentire  che c’è Uno che ci contraddice quando pensiamo a noi stessi, quando siamo egoisti.

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Per cui noi non siamo liberi di pensare a noi stessi…perché sentiamo subito una contraddizione interiore.

Luigi: No! Noi possiamo pensare a noi stessi; il problema però è che quando pensiamo a noi,  sempre a causa di questa passione d’assoluto che portiamo in noi, ci pensiamo con questa passione, quindi vogliamo essere, vogliamo affermarci, vogliamo essere perfetti, ecc., mentre siamo contraddetti dalla Verità stessa che portiamo in noi. Noi non siamo Dio e il filo d’erba è sufficiente per ricordarcelo, per cui diciamo:  “Non sono io che ho creato il filo d’erba, quindi io non sono Dio”. Non possiamo quindi pensarci come Assoluto, allora non mettiamoci al centro.

Ora, noi vivendo ci mettiamo sempre al centro: al centro dei nostri pensieri e al centro anche dei pensieri degli altri e naturalmente facciamo un errore madornale, perché sbagliamo luogo. Abbiamo la passione dell’assoluto, questa passione dell’assoluto la rivolgiamo al nostro io, ci mettiamo al centro e naturalmente creiamo dei disastri. È come se andando in macchina circolassimo a sinistra invece che circolare a destra: creiamo uno sconquasso da tutte le parti; e poi magari diciamo ancora: “Tutte le creature ce l’hanno con me”.  “No, guarda che nessuno ce l’ha con te, ma sei tu che stai circolando a sinistra”. Ora, la passione c’è, tutti abbiamo la passione d’assoluto, però sbagliamo luogo in cui cerchiamo questo Assoluto; infatti cerchiamo l’Assoluto nel pensiero di noi stessi, lo cerchiamo nella creazione, lo cerchiamo nella carriera, lo cerchiamo nel denaro, ecc., ma sbagliamo sempre luogo. Ecco, dobbiamo passare attraverso tutte queste esperienze negative attraverso cui noi battiamo il naso, fintanto che un bel giorno, forse alla fine della vita, capiamo il luogo dove dovevamo cercare questo Assoluto. Fintanto che non capiamo il luogo dove si trova l’Assoluto, noi continuiamo sempre ad esperimentare il nostro fallimento.

Flavio: Accogliere uno nella propria casa vuol dire accoglierlo dentro di sé. Non si accoglie il Signore dentro di noi fino a quando Egli non diventa il punto centrale a cui noi facciamo riferimento, per cui  tutte le cose passano attraverso questo punto. Quindi l’accogliere è il riferirsi a questo Punto.

Luigi: Che cos’è che rende noi capaci di accogliere?

Ciò che ci rende capaci di accogliere è la dedizione, perché accogliere vuol dire dedicarci a-. Infatti se noi non desideriamo una persona, quando questa arriva, non trovandoci preparati, ci disturba, appunto perché non siamo disponibili; ora, soltanto se noi siamo disponibili per-, accogliamo l’Altro. Ecco, nella misura in cui noi abbiamo vegliato, abbiamo aspettato, ci siamo preparati per un incontro, siamo capaci di accogliere Colui che arriva. Ma se noi non abbiamo vegliato, e quindi non ci siamo preparati, colui che arriva è sempre un importuno, perché siamo impegnati in altro, e allora non siamo disponibili per-.

Quando vengono chiamati al pranzo di nozze, si giustificano dicendo: “Io non posso venire, perché ho i buoi, ho i campi, ho la moglie” (Lc 14,18-20); quindi quando ci incontriamo con un annuncio, con un invito che non trova noi preparati è perché siamo impegnati in altro. Ora, il Signore dice: “Vegliate” (Mt 25,13), cioè preparatevi a questo incontro, perché noi saremo capaci di sopportare l’incontro, quindi di accogliere Colui che viene, solo per quel tanto che ci saremo preparati ad accoglierlo. Dio è Colui che viene nella nostra vita; il tempo che passa non è altro che il Regno di Dio che viene in noi; noi lo chiamiamo tempo, ma è il Regno di Dio che entra in noi, che fa maturare la nostra anima alla sua Verità. Ora, siccome noi siamo immaturi, prendiamo delle cantonate; infatti inizialmente con ogni creatura che incontriamo diciamo: “Forse sei tu il mio Dio”; ed ecco le cantonate. Ma man mano che il tempo passa, quindi man mano che Dio entra nella nostra vita, ci fa maturare. E forse in punto di morte (se non ci siamo svegliati prima) ci rendiamo conto del luogo in cui dovevamo cercare l’Assoluto. Prima siamo stati sbandati, abbiamo sempre cercato in luoghi sbagliati, abbiamo fallito, poi ad un certo momento abbiamo  scoperto il Luogo…

Nella misura in cui noi ci dedichiamo a-, diventiamo capaci di accogliere. È la tanta dedizione…

Marco: Allora dobbiamo aspettare di morire?!

Luigi: No! Anzi noi dobbiamo imparare a morire a noi stessi prima di morire, altrimenti diventa un fallimento. Non è che con la morte fisica noi risolviamo i problemi. Con la morte fisica non si risolve nessun problema; la morte è soltanto uno spostamento da una stanza all’altra, quindi non si risolve niente. I problemi si risolvono in quanto personalmente ci distogliamo dal pensiero del nostro io posto al centro della nostra vita e mettiamo Colui che è veramente al centro della nostra vita, cioè mettiamo il vero Valore. Quindi questo morire a noi stessi vuol dire togliere il pensiero del nostro io dal centro dei nostri interessi, metterlo in periferia e mettere al centro Colui che è la Causa di tutto.

Ora, certamente noi non siamo la Causa di tutto, noi non siamo il Creatore, quindi non dobbiamo essere il centro: è questione di giustizia. Quindi il primo lavoro da fare è questa giustizia essenziale: metti al centro dei tuoi pensieri, come punto fisso di riferimento Colui che è il punto fisso di riferimento, Colui che è il Principio di tutto. Noi non siamo il principio di tutto; infatti noi siamo un effetto. Noi essendo passione d’assoluto siamo un effetto e se siamo un effetto non siamo il Principio. Allora dobbiamo mettere come principio il Principio: lì ci accorgiamo che i rapporti vengono giusti. Il rapporto giusto si chiama Luce, il rapporto sbagliato è notte, tenebra, confusione. Quando in un rapporto noi sbagliamo il punto fisso di riferimento, naturalmente tutte le soluzioni sono sbagliate.

Nella nostra vita generalmente mettiamo sempre come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io: pensiamo a noi stessi, ci preoccupiamo di noi, gli altri valgono in quanto sono in rapporto a noi; ed è per questo che sbagliamo tutto, che le soluzioni sono tutte sbagliate. Quindi dobbiamo imparare a mettere come punto fisso di riferimento quello che è veramente il Principio di tutte le cose. Ci è annunciato: “In principio era il Verbo”, quindi: “Metti come punto fisso di riferimento il Verbo, cioè il Pensiero di Dio; riferisci tutte le cose a Lui, perché è Lui il Creatore, non sei tu il creatore. Ti accorgerai allora che le soluzioni incominciano a venire esatte”.

Flavio: Accoglierlo in noi (“nella sua casa”) richiede attenzione a Lui. E l’attenzione per una persona presuppone un amore, vero?

Luigi: Certo, l’attenzione, il silenzio, l’ascolto è tutto amore.

Flavio: Quindi questo amore non può che venire da Dio; quindi in qualche modo c’è già un aver accolto Dio.

Luigi: Sì, noi in quanto siamo creature, siamo già costituiti in attenzione, infatti tutto ci attrae; però man mano che viviamo noi diventiamo sempre più incapaci di fare attenzione. Cioè noi diventiamo sempre più capaci di fare attenzione a ciò a cui abbiamo sempre pensato. Ad esempio, più pensiamo a noi stessi e più diventiamo capaci a fare attenzione soltanto a quello che riguarda al nostro io e diventiamo refrattari a tutto ciò che non riguarda noi; infatti ci sono molte persone anziane che sono assolutamente incapaci di fare attenzione a qualunque altra cosa che non sia il pensiero di se stesse; vuol dire che hanno pensato molto a se stesse. Più noi pensiamo a noi e più noi diventiamo incapaci di fare attenzione ad un altro e siamo soltanto aperti a ciò che riguarda il nostro io. Se invece noi pensiamo molto a Dio, diventiamo molto capaci di fare attenzione a tutto quello che riguarda Dio, quindi a tutte le Parole del Cristo. Ed è così che “il Verbo tra noi” va accolto nella nostra casa. Infatti diventando capaci di fare attenzione a Dio, diventiamo capaci di capire le cose nello Spirito di Dio, cioè nel rapporto giusto.

Piero: Questo versetto mette in risalto la superficialità dell’uomo: siamo visitati quotidianamente, cioè in ogni istante, dal Pensiero di Dio e non Lo accogliamo.

Luigi: Certo, è logico, perché siccome Dio è il Creatore, essendo il Creatore Egli è Colui che fa tutte le cose; in quanto fa, parla all’uomo, manifesta Se stesso all’uomo; infatti essendo il Creatore non può che manifestare Se stesso, per cui  tutte le sue opere sono un parlare. Quindi  tutto ciò che esiste, in quanto esiste è opera di Dio, ed essendo opera di Dio è una parola di Dio che arriva a noi. Però questa parola di Dio che arriva a noi può non essere intesa nel suo Spirito; cioè noi possiamo fraintenderla, cioè possiamo rivestire tutte le cose che arrivano a noi, che sono parole di Dio, del pensiero del nostro io o del pensiero di un altro da Dio; e allora le fraintendiamo. Mentre invece, sapendo che sono di Dio,  parole di Dio, poiché tutto è opera del Creatore, dobbiamo sempre cercare il Pensiero del Creatore, l’intenzione del Creatore. Ecco allora che noi accogliamo nella misura in cui cerchiamo il pensiero dell’Altro; accogliamo una persona, o la parola di una persona, non in quanto attribuiamo a quella persona ciò che pensiamo noi, o in quanto rivestiamo le parole che quella persona dice di una nostra intenzione, ma in quanto cerchiamo la sua intenzione. Se invece attribuiamo noi un’intenzione all’altro (“Ah, quel tale dice quella cosa, ma ha quella intenzione lì”), ecco, qui  non accettiamo l’altro.

Accettare l’altro vuol dire fare silenzio di noi per cercare di arrivare a capire il pensiero dell’altro, l’intenzione dell’altro, attraverso la manifestazione che lui ci fa; questo è accogliere l’altro, essere aperti all’altro;  allora c’è l’attenzione all’altro. Ora,   evidentemente il pensiero del nostro io è un principio di disattenzione: più noi pensiamo a noi stessi e più diventiamo incapaci a stare attenti; anzi proiettiamo su tutto il pensiero del nostro io e ad un certo momento tutta la creazione non fa altro che rispecchiare noi stessi. Se invece noi superiamo il pensiero di noi stessi, ci apriamo a Dio e diciamo: “Non sono io il Creatore, è un altro il Creatore; allora devo cercare in tutto il suo Pensiero, la sua Intenzione”. Qui abbiamo l’accoglienza, cioè accogliamo il Verbo che viene  a noi, cioè il Pensiero di Dio che arriva a noi attraverso le sue opere, attraverso le sue parole, attraverso il Cristo. Il Verbo incarnato venuto tra noi, nella sua casa, e che noi non accogliamo, ci rivela la vicenda del nostro rapporto con il Dio che abita in noi, tra noi e che ci parla in tutto.  Dio in tutte le cose non fa altro che parlare di Sé a noi per rivelarci il suo Pensiero; però è richiesta da parte nostra questa dedizione, questa apertura, questo cercare il suo Pensiero, soprattutto per evitare di rivestire tutte le cose del pensiero del nostro io.

Silvana: Dice anche che noi siamo in una casa che non è nostra e che siamo di Dio, che lo vogliamo o no.

Luigi: Tutto è di Dio e anche noi siamo di Dio; noi non siamo i creatori di nulla e nemmeno di noi stessi: infatti non ci conosciamo. La nostra grande crisi è una crisi di identità: non sappiamo chi siamo, non sappiamo per che cosa vivere; ma perché questo?

Perché la nostra conoscenza deriva da altro da Dio; se noi trascuriamo il nostro Principio certamente entriamo in crisi in tutto, non ci conosciamo più e non conosciamo più niente. Il principio luce è la “Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo”, non siamo noi, non è il pensiero del nostro io, ma è il Pensiero di Dio. Quindi noi siamo in casa di un Altro, noi nasciamo in casa di un Altro, tutte le cose non sono fatte da noi, ma sono fatte da un Altro; quindi se tutte le cose sono fatte da un Altro, non rivestiamole del pensiero del nostro io, ma cerchiamo il Pensiero dell’Altro.

Ecco, se tu cerchi il Pensiero dell’Altro, accogli il Verbo che arriva a te, “Colui che parla con te” (Gv 4,26).

Amalia: “Venne tra la sua gente , ma i suoi non L’hanno accolto”. Pensavo a chi sono questi “suoi”: tutti siamo di Dio, perché Dio Creatore è nostro Padre, però per essere veramente “suoi” c’è questa condizione: “l’accoglienza”; perché da parte di Dio siamo suoi, però per essere effettivamente suoi ci vuole questa partecipazione.

Luigi: Sì, noi apparteniamo a ciò cui ci dedichiamo; noi possiamo non dedicarci a Dio, possiamo dedicarci a noi stessi, alle creature, ad altro da Dio; quindi possiamo amare altro da Dio. Ora, noi ci dedichiamo a ciò che amiamo; se amiamo il denaro, apparteniamo al denaro.

Tu appartieni a Dio, però, per la tua scelta personale diventi figlia di ciò che ami (si diventa quindi figli del denaro, di una creatura, di una nostra carriera, di una nostra passione).

Quindi abbiamo una parte di noi che non dipende da noi, e una parte in noi, che sarà poi l’elemento determinante, che dipende da ciò che noi scegliamo, da ciò che noi amiamo, cioè da ciò che noi facciamo oggetto del nostro pensiero. Fintanto che non facciamo oggetto del nostro pensiero Dio, noi diventiamo figli di altro.

Amalia: C’è il rischio di ritenersi figli suoi solamente perché si è ricevuto il sacramento del Battesimo; invece il Battesimo deve essere vissuto.

Luigi: Certo; Dio per primo ci dice: “non ti sei fatto da solo e nessuna creatura si fa da sé: un Altro ti ha fatto”. Però noi abbiamo la possibilità di scegliere il nostro padre. Praticamente diventiamo figli di ciò che noi scegliamo di amare, di ciò cui noi dedichiamo i nostri pensieri, di ciò cui noi dedichiamo la nostra vita. Dedicandoci a-, diventiamo figli di-. Allora qui abbiamo questo rapporto personale, una scelta personale da parte nostra.

Ora, fintanto che noi non ci dedichiamo al vero Padre nostro, creiamo questa frattura, che naturalmente ricade su di noi e crea la confusione, crea le tenebre, crea i disagi, crea la tristezza, crea l’angoscia della vita; appunto perché non c’è armonia tra noi e la Verità, perché abbiamo scelto un padre diverso dal vero, per cui siamo diventati figli di un altro; e questa falsa figliolanza sfasa tutti i nostri pensieri, tutti i nostri desideri, tutti i nostri problemi e ci fa trovare sempre con delle soluzioni sbagliate, cioè non a posto, ci fa trovare a disagio.

Pinuccia B.: Diventare figli di Dio vuol dire diventare “suoi”, perché si diventa suoi dedicandoci a Lui; ma…

Luigi: Sì, noi finiamo di appartenere a ciò cui ci dedichiamo. Dedicandoci a-, noi apparteniamo a-.

Pinuccia B.: Allora, come è possibile che dedicandoci a Dio, diventando “suoi”, noi non l’accogliamo (“i suoi non l'accolsero”)?

Luigi: No, noi siamo suoi comunque; tutta la creazione è di Dio, noi siamo creature di Dio, non ci siamo fatti da noi, quindi apparteniamo ad un Altro, però abbiamo la possibilità di dedicare noi stessi ad altro da Dio. Dedicandoci ad altro da Dio diventiamo figli di quest’altro; e allora noi non accogliamo più Lui.

Noi non siamo rigidamente, come un macchina, bloccati in quel Fine; anzi, noi possiamo dedicarci ad altri fini; soltanto che dedicandoci ad altri fini, diventiamo figli di altri. Noi siamo informati, cioè formati, da ciò cui noi rivolgiamo il nostro interesse, il nostro amore, i nostri pensieri. Quindi, subendo l’effetto di quello, diventiamo figli di quello, pur restando sempre creature “di” Dio, anche se non vogliamo restare creature di Dio, perché diventiamo figli di altro.

I figli di Dio nascono consapevolmente da Dio; Dio ci ha fatti per diventare figli suoi consapevoli. La consapevolezza richiede un superamento dell’io, perché il nostro io è necessario per conoscere la Verità, ma va superato. Un animale invece, non avendo il pensiero di sé, non è cosciente e quindi non può prendere consapevolezza della Verità. Però, chi è stato creato per diventare consapevole della Verità deve dedicarsi personalmente; quindi corre il rischio di non dedicarsi personalmente. Non dedicandoci personalmente, siccome diventiamo figli delle nostre opere, dedicandoci ad altro, diventiamo figli di quest’altro; per cui ad un certo momento noi diventiamo figli di quei padri che abbiamo voluto avere. Quindi tutti noi uomini creati da Dio ad un certo momento ci scopriamo come creature di quei padri che noi abbiamo voluto; per cui se uno come scopo della sua vita ha avuto il denaro, diventa figlio del denaro, ha il denaro come padre e diventa informato dal denaro, perché diventa una passione del denaro.

Pinuccia B.: Qui dice: “Venne nella sua casa ma i suoi non L’accolsero”; come segno l’avevo interpretato così: “venne nel popolo eletto”.

Luigi: No, qui  parla per ogni uomo; anche tutta la vicenda del popolo eletto si riferisce sempre ad ogni uomo, cioè sono lezioni di Dio, sono scena per ogni uomo. “Voi siete il tempio di Dio”(1 Cor 3,17), quindi casa di Dio è ogni uomo, perché ogni uomo è abitazione di Dio. Dio abita nell’uomo. Allora, se Dio abita nell’uomo, come fa a venire nell’uomo? Non è che Dio si sposti. Allora  cos’è questo venire?

Il suo venire è questo: Lui che è in noi, adesso si annuncia, chiede a noi di riconoscere Colui che già è in noi. Lui abita già in noi; Dio non si sposta dal Cielo per venire a noi, no! siamo noi che dobbiamo prendere coscienza, prendere consapevolezza di ciò che già portiamo in noi. Allora, per farci prendere questa consapevolezza, Dio, creandoci, per prima cosa abita in noi, fa di noi la sua abitazione; poi adesso attraverso tutta la sua creazione, tutte le sue parole e tutti i suoi segni, sollecita noi ad accoglierlo personalmente, quindi a dedicarci a Lui. Ed è lì che avviene la frattura, perché noi di fronte a questo invito ci rivolgiamo ad altro.

 Tutta la creazione, tutte le creature sono inviti, sono sollecitazioni che dicono a noi: “Pensa a Dio; noi non siamo Dio”. Tutta la creazione ha questo sigillo: si presenta a noi come “fatta”, per cui dice a noi: “Noi non ci siamo fatti da soli, noi non siamo il tuo Dio, cerca il tuo Dio più in alto di noi”. Noi invece anziché alzare gli occhi a ciò che ci annunciano le creature, le abbracciamo. È poi quello che abbiamo detto molte volte: anziché leggere la segnalazione stradale, noi abbracciamo la palina, e ci mettiamo a girare attorno alla palina, dicendo “Tu sei la mia meta”; no! la palina è soltanto una freccia che ci dice: “ Cammina, vai avanti”. Ecco, il grosso rischio che corre ogni uomo è quello di passare tutta la vita a girare attorno alla palina di segnalazione. Ora, tutte le creature sono una segnalazione che dicono a noi: “Vai avanti, vai avanti perché il tuo Dio è altrove!”.

Pinuccia B.: Cioè ci dicono: “Cerca chi mi ha fatto”.

Luigi: Si capisce; noi ci fermiamo alle creature e diciamo: “Sei tu il mio Dio, sei tu il mio Dio….”, e la creatura all’ultimo per dirci che non è il nostro Dio muore, scompare, passa; così facendo, dice ancora: “Vedi, te l’ho sempre detto che non sono io il tuo Dio; adesso devo scomparire per dirti che non sono il tuo Dio”. Ecco perché tutte le creature nascono e muoiono: perché sono segni; i segni passano per lasciar posto a Colui che già prima intelligentemente dovevamo capire e al quale avremmo dovuto prestare attenzione prima. Ecco, noi  dobbiamo rivolgere la nostra attenzione a Dio prima che le cose passino, perché altrimenti subiamo il trauma della perdita del nostro amore, senza aver capito la lezione.

Pinuccia B.: C’è differenza tra “i suoi non Lo conobbero”, da quello che dice il versetto precedente, “il mondo non Lo conobbe”? Perché dicendo: “Il mondo è stato fatto per mezzo di Lui” richiama questo: “Lui viene nella sua casa”, “sua”  in quanto l’ha fatta Lui.

Luigi: Prima dice: “Il mondo è stato fatto per mezzo di Lui e il mondo non Lo conobbe”, cioè l’uomo non riconobbe il Creatore, il proprietario della casa; poi abbiamo l’azione del tempo, cioè: Dio che viene. Infatti abbiamo due azioni:

·l’azione creatrice

·e poi il divenire nella creazione stessa.

Cioè abbiamo gli esistenti e lo sviluppo, cioè il tempo. Abbiamo detto che il tempo è il divenire, è Dio che viene nella nostra vita; man mano che noi viviamo (non ce ne rendiamo conto perché subiamo soltanto gli effetti), Dio entra in noi attraverso tutte le sue opere, per cui ci sollecita ad accoglierlo. Quindi non basta che Lui crei le cose; le crea e poi dopo mette tutte le cose in movimento per sollecitare noi a cercare Lui. E come dicevo prima, all’ultimo si arriva in punto di morte in cui ci troviamo a tu per tu con quello che dovevamo capire prima. Infatti la morte che cos’è?

La morte è come la notte; la notte è l’annullamento, il distacco da tutte le cose: tutte le cose si allontanano da noi e noi con che cosa restiamo? Restiamo a tu per tu con Colui che abbiamo in noi. Quindi prima tutta la creazione ci sollecitava a cercare Colui che “era” presente in noi; ad un certo momento, siccome non Lo cerchiamo, ecco che tutta la creazione scompare e noi restiamo con Colui che è presente in noi:, a tu per tu. All’ultimo noi restiamo con due termini: la Sorgente e la nostra sete.    

Sabato 25.02.1989:

 

“Venne nella sua casa e i suoi non Lo accolsero”.

Nino: In questi giorni c’è il grido dall’allarme degli scienziati che avvertono che stiamo distruggendo la terra. È un segno anche questo; abbiamo eliminato Dio dal nostro pensiero, abbiamo cominciato ad arraffare la terra e la terra si sta ribellando. Ci sono troppi interessi  e mille problemi, ma senza Dio...

Luigi: Se non mettiamo Dio prima di tutto, al di sopra di tutto, addirittura del mangiare e del vestire, i problemi non si risolvono.

Nino: È solo la scoperta dell’Amore di Dio che ci fa risolvere i problemi. Allora, nel segno dell’Amore di Dio si può rinunciare alla cose della terra e ai propri interessi.

Luigi: Sì, ma prima dell’amore bisogna riconoscere la Verità; perché altrimenti, quello che noi diciamo amore è solo sentimento; se tu invece parti dalla Verità, ad un certo momento l’Amore diventa un Amore unico.

Nino: D’altra parte l’Amore di Dio è un Assoluto che si differenzia benissimo dall’amore come lo concepiamo noi.

Luigi: Certo.

Delfina: Non si può accogliere chi non si conosce. Questi “suoi”, dal momento che erano suoi, perché non l’hanno accolto?

Luigi: Ma i “suoi” siamo ognuno di noi! perché non l’accogliamo?

Dio è Colui che nessuno può ignorare; e basta un filo d’erba per farci capire che Dio c’è. Ma se capiamo che non siamo noi ad aver fatto il filo d’erba, chi è che ha fatto il filo d’erba?

Basta questo; quindi tutti noi sappiamo che non siamo noi il Creatore; e chi è allora che fa le cose?

Alza gli occhi a chi sta facendo tutte le cose; a noi è richiesto soltanto questo da Dio .

Non sei tu che ti sei fatta da sola, non è il filo d’erba che ti ha fatto; alza gli occhi a chi ha fatto il filo d’erba senza di te e che ha fatto te che vedi il filo d’erba;  alza gli occhi a Colui che fa le cose. Alzare gli occhi vuol dire non ignorare; non ignorare vuol dire: cerca di riconoscere Colui che tu non puoi ignorare; infatti noi Dio non Lo possiamo ignorare, in quanto non siamo noi a fare le cose.

Delfina: La colpa è del nostro pensiero…

Luigi: La colpa è nostra, perché noi abbiamo sempre “i buoi, i campi, la moglie” e non abbiamo tempo per Dio. Tutto lì. Ora, se abbiamo “i buoi, i campi, la moglie”, è perché c’è il pensiero del nostro io in mezzo. Per cui preferiamo la creatura al Creatore; ma perché preferiamo la creatura al Creatore? Perché la creatura ci batte le mani, perché la creatura ci soddisfa, perché la creatura ci piace, e il Creatore non Lo vediamo; ecco, qui c’è il pensiero del nostro io, in quanto preferiamo il piacere, il nostro bene alla Verità. In tal caso viviamo riferendo tutte le cose al nostro io, ma il nostro io certamente non è il centro; il nostro io non deve essere il centro né della nostra vita, né dei nostri pensieri e nemmeno della vita degli altri, perché il centro è Dio. Quindi se il centro è Dio dobbiamo  togliere il nostro io dal centro dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, della nostra vita e mettere Dio. E se mettiamo Dio al centro ci accorgiamo che “i campi, i buoi, la moglie” non ci disturbano più.

Giovanna: Non accogliamo Dio perché non pensiamo; perché per poco che si pensa…

Luigi: Pensare vuol dire riferire le cose a Dio; pensare vuol dire riferire l’effetto alla sua Causa; pensare vuol dire unire, cioè mantenere unita la creatura al Creatore. Ora, quando disunisci l’effetto dalla sua Causa, la creatura dal Creatore, l’uomo da Dio, non pensi più; e quando uno non pensa più, si aggira nel labirinto dei sentimenti, delle impressioni e va avanti per sentito dire, ma certamente senza pensiero. Il pensare è sempre collegare una cosa con la sua Causa.

Giovanna: Se non si fa questo lavoro interiore si crea la confusione.

Luigi: Per forza; scambiamo per Verità quello che è  sentimento o impressione! “Perché fai così?” “Perché mi piace”: ma questa non è una giustificazione. Crediamo di essere giustificati “perché tutti fanno così”. Ma la giustificazione ce l’hai quando puoi dire: “Faccio questo, penso questo, dico questo… “perché Dio è così!”. Quando riferiamo le cose al Pensiero di Dio, allora lì diamo una giustificazione; ma dire “perché tutti fanno così!” non è una giustificazione. Cento fiaschi vuoti non ti danno un fiasco pieno e anche se li metti tutti assieme attorno ad una tavola rotonda non ti producono nessun pensiero, puoi esserne certa: fanno solo del rumore. L’illusione dell’uomo senza Dio è questa: “Mettiamo assieme i fiaschi vuoti, così otteniamo un fiasco pieno”; cioè è l’illusione di cercare di risolvere i problemi sociali senza Dio, dicendo: “Mettiamoci tutti assieme così risolviamo i problemi”. È  un grosso errore; infatti cosa facciamo tutti assieme senza Dio?

“Le teste vuote - diceva un tale - fanno soltanto del rumore”.

Tiziana: È inevitabile che non lo accogliamo, che lo rifiutiamo? Se in noi c’è questa presenza del pensiero dell’io affermato con il peccato originale, quando il Signore ci presenta fuori un segno…

Luigi: Il peccato originale “funziona” in quanto sei tu che lo produci; il peccato originale di Adamo è rivelazione di quello che avviene dentro di te; ma non è scontato. Fosse scontato bisognerebbe dire che Dio ha fatto il peccato, ma Dio non ha fatto il peccato. Dio creando tutte le creature, compreso l’io (perché il tuo io è una creatura di Dio; il tuo io è una cosa buona, non è peccato) ha detto all’uomo: “Non disunire quello che Dio ha unito (Mt 19,6), “perché tutte le creature sono mie”. Invece, se dici: “Quella creatura è mia”, disunisci la creatura da Dio. Ora, Dio dicendo: “Non disunire quello che è mio da Me; mantienilo unito a Me”, sottintende anche il nostro io e ti dice: “Anche il tuo io mantienilo unito a Me!” Quindi se tu mantieni il pensiero del tuo io unito a Dio, stai tranquilla che il pensiero del tuo io non diventa per te peccato originale; il peccato originale scaturisce dal fatto che disunisci il pensiero del tuo io dal Creatore. Quindi non disunire nessun tuo pensiero da Dio; allora ti accorgerai che tutto diventa buono, che tutto diventa bene e che il male non esiste. Il male siamo noi, è dentro di noi che lo facciamo, disunendo le cose da Dio. Il male è l’autonomia da Dio; noi consideriamo l’avvenimento, un fatto, una creatura, il nostro io, disunito da Dio, senza tener conto di Dio. Guardare ai problemi senza tener conto di Dio è fare peccato.

Angelo: Nel versetto 11 il Signore mi ha fatto capire che Lui è venuto e viene tutt’ora nel mio cuore; ma quando non gli apro la porta del cuore, per causa del mio io, non L’accolgo.

Luigi: Certo, però devi tener presente una cosa: come fa a venire uno che è già? C’è già; quindi il problema è capire come fa a venire se c’è già.

Marisa: Pensavo alla natura; essa è creata da Dio, quindi in essa c’è armonia e tutto è positivo.

Luigi: Tutto è positivo con Dio, cioè se è unito a Dio; allora vediamo la natura come “segno” di Dio, perché la natura è Dio che ti tocca: se vedi un albero sei toccata dall’albero. Ma chi è che ti tocca? Non è l’albero che ti tocca. Chi è che ti tocca?

Quindi ogni cosa è buona, ma solo se è mantenuta unita al Creatore; perché l’albero certamente non sei tu che lo fai; eppure sei toccata vedendo l’albero. Allora chi è che ti tocca?

Marisa: Però, molta gente invece legge solo la natura così com’è. Allora, nella natura ci sono varie manifestazioni apparentemente negative:  tempeste, mareggiate, terremoti ecc., eppure tutto è buono. Ecco, poco alla volta, gli esseri umani capiscono che tutto è armonia, anche nelle apparenti e momentanee disarmonie. Quindi viene da pensare: noi passiamo dalla natura a noi stessi, in cui vediamo le nostre disarmonie e a poco a poco, gradino dopo gradino arriviamo a dire: “Tutto è bene”. Quello che percepisco qui è che qualche volta il salto che le tue parole ci chiedono è vertiginoso, mentre invece il salto dei ritmi umani che Dio ci consente è meno vertiginoso, è più pacato, è più lungo.

Luigi: D’accordo…

Marisa: Su questo come si innesta la nostra responsabilità?

Luigi: La nostra responsabilità si innesta sul fatto che dobbiamo tener presente in tutto Dio, perché “il filo d’erba non sono io che lo faccio; e chi me lo presenta, chi me lo fa vedere?”. Noi non sappiamo chi è, ma non possiamo ignorare che è un Altro che l’ha fatto.  Dio è Colui che, essendo il Creatore di tutto,  ci presenta la natura, l’armonia e anche  la disarmonia. Infatti c’è la salute (e il corpo è silenzioso ed è in armonia meravigliosa e non disturba), ma c’è anche la sala operatoria. Nell’universo c’è la sala operatoria; infatti l’universo è bellissimo, ma c’è anche il terremoto e poi c’è la carestia, c’è la siccità; perché questo?

È la sala operatoria. E perché c’è la sala operatoria?

C’è la sala operatoria perché ad un certo momento l’uomo ha mangiato in modo disordinato; quindi la sala operatoria è buona, perché è ancora Dio che opera per salvarlo, che sta curando i suoi errori. Ora, la natura è meravigliosa, però c’è il pesce grosso che mangia il pesce piccolo; e c’è l’animale che diventa violento, e c’è l’uomo che fa la guerra all’uomo, c’è il delitto; dov’è quest’armonia? Sono tutte lezioni di Dio, sono “sale operatorie”. È Dio che sta dialogando con te, personalmente; per cui, quando tu non tieni presente Dio, non dialoghi con Dio, fai un guasto e questo guasto si riflette nella creazione; ed è Dio che opera nel mondo esterno per cercare di rimediare a quel guasto che si è fatto dentro la tua anima, per cercare di correggerti. Allora tu inizi a vedere che il terremoto è buono, che la morte è buona, ma soltanto se li vedi in questa prospettiva; infatti anche la sala operatoria la vediamo buona, ma solo se guardiamo l’intenzione di chi opera; se non vedessimo l’intenzione dei chirurghi, noi diremmo: “Questi sono dei delinquenti, perché tagliano gli arti agli uomini”; se invece guardiamo l’intenzione di chi opera, quindi se capiamo che opera per salvare la vita ad un uomo, che gli taglia un arto per non lasciarlo morire, allora giustifichiamo quella “disarmonia” nel fine.

Ecco, solo nell’intenzione di Dio noi possiamo vedere le guerre, i terremoti, i delitti, come cosa buona; in tutto è Dio che sta operando per salvare almeno qualche cosa di noi. Quindi non c’è quella perfetta armonia; c’era l’armonia, ma poi c’è stato il peccato, e Dio su questo peccato sta costruendo un'altra sinfonia per cercare di recuperare l’uomo. Ma tutto questo avviene in quanto teniamo presente l’intenzione del Creatore, cioè teniamo presente Dio che opera. Ecco, come teniamo presente il chirurgo e la sua intenzione, quindi come non ci fermiamo a ciò che fa il chirurgo, così dobbiamo tenere presente Dio e la sua Intenzione e non fermarci a ciò che vediamo, a ciò che Egli opera.

Noi riprendiamo l’armonia smarrita col peccato soltanto se teniamo presente l’Intenzione, il Pensiero di Dio che c’è in tutte le cose. Perché è Dio che, vedendo che noi trascuriamo Lui, che pensiamo a noi, opera per cercare di recuperare.

Amalia: “I suoi non L’hanno accolto”: i “suoi” siamo ciascuno di noi?

Luigi: Certo, ciascuno di noi è suo. Noi di chi siamo? Siamo di Dio. Infatti noi subiamo la passione di Colui al quale apparteniamo, anche se non lo sappiamo. Eppure noi siamo passione d’assoluto, quindi apparteniamo all’Assoluto. Però, non sapendolo  noi in un primo tempo diciamo: “Io appartengo ad una donna; io appartengo ad una famiglia; io appartengo ad una automobile; io appartengo ad una squadra di calcio; io appartengo ad una banca o ad una fabbrica, ecc.”, ma poi  poco per volta arrivano tante di quelle lezioni da parte di Dio (ecco l’“armonia”!), che ad un certo momento ci fa capire che noi non apparteniamo a tutto ciò che credevamo di appartenere e ci troviamo col bisogno di sapere a chi apparteniamo. Noi dobbiamo arrivare a dire: “Io appartengo a Dio”, perché noi apparteniamo a ciò di cui subiamo la passione. Noi siamo passione d’assoluto quindi apparteniamo all’Assoluto; e se tu appartieni all’Assoluto, cerca ciò a cui appartieni e non volere appartenere ad un altro.

Silvana: “Venne nella sua casa”, ma Lui è già in questa “sua casa”.

Luigi: Stai cercando la risposta alla domanda che ho fatto ad Angelo, eh!

Silvana: E già! perché Lui è già in noi, e qui dice: “venne”. Allora questo venire nella “sua casa” dove non è conosciuto, è un momento in cui si fa sentire di nuovo per essere accolto?!

Luigi: Tanti anni fa, appena finita la guerra, c’era stata l’apparizione della Madonna di Bonate. In una di quelle apparizioni, la Madonna ha fatto vedere una scena che possiamo prenderla come una parabola: un cavallo  usciva dalla porta di una Chiesa; davanti a questa Chiesa c’era un giardino di gigli e quel cavallo calpestava rovinando tutti questi gigli. Ad un certo momento dalla Chiesa esce S. Giuseppe, prende il cavallo per la briglia e lo riporta dentro. Ecco, noi siamo come quel cavallo: noi continuamente usciamo e Dio opera per riportarci in casa; ecco Lui “viene”, non in quanto non ci sia, perché Lui c’è già, ma siamo noi che siamo fuori e che calpestiamo tutte le opere di Dio, tutti i gigli, il Pensiero puro di Dio, la cosa semplice secondo Dio. Noi roviniamo tutto perché usciamo da questo Pensiero; Ecco allora che, quando usciamo da questo Pensiero, Dio opera per riportarci di nuovo in casa (opera significata da S. Giuseppe).

Quindi Dio viene nelle sua casa in quanto riporta noi nella sua Casa; perché siamo noi che dobbiamo entrare in casa, non  Lui; Lui è già.

Pinuccia A.: Dio viene, però c’è già. Quando prendiamo coscienza del suo venire?

Luigi: Quando prendi coscienza che Lui c’è già e che “sono io che sono fuori”. Se tu cerchi Dio fuori e non Lo trovi dici: “Dio non c’è”. No! Dio c’è; sei tu che Lo cerchi male, perché Lo cerchi in un luogo sbagliato. Se tu vai a cercare stelle alpine in un campo di grano, non devi dire: “Le stelle alpine non ci sono”, no! le stelle alpine ci sono, ma hai sbagliato luogo. Così è lo stesso: siamo noi che siamo fuori; quindi cerca Dio dentro di te. La Verità non può essere fuori, la Verità è dentro di te. Quindi allora Dio opera per riportarci dentro: ecco l’opera del Cristo: Egli viene a recuperarti fuori, dove stai rovinando tutto, e ti riporta “dentro”, perché Dio è dentro, nella “sua casa”. Quindi non cercarlo nel luogo sbagliato! Molte volte abbiamo detto che tutti gli uomini cercano Dio, perché tutti hanno fame di assoluto; quindi tutti gli uomini sono dei terribili cercatori di Dio, ma tutti sbagliano luogo; c’è chi cerca Dio nel denaro, c’è chi cerca Dio nella donna, c’è chi cerca Dio nella politica, c’è chi cerca Dio nella società, ecc.: tutti quanti sbagliano luogo, perché Dio non si può trovare “fuori”, in quanto Dio è dentro di noi.

Cerca Dio dentro di te. Tutti cerchiamo Dio, tutti, e battiamo delle nasate a non finire, perché sbagliamo luogo in cui Lo cerchiamo.

Pinuccia A.: Quando ci renderemo conto che non è in nessuno dei luoghi in cui Lo cerchiamo, allora potremo cercarlo dentro di noi.

Luigi: Soltanto che noi corriamo questo rischio: cercandolo nei luoghi sbagliati, non trovandolo, diciamo: “Dio non esiste”.

Franca: “Venne nella sua casa”: casa di Dio è ognuno di noi, quindi noi non accogliamo Colui che è dentro di noi quando non ci occupiamo di conoscerlo…

Luigi: …quando Lo cerchiamo male, quando Lo cerchiamo in luoghi sbagliati.

Franca: Cioè quando Lo cerchiamo fuori nonostante Lui sia già dentro.

Luigi: Certo e a chi Lo sta cercando a destra e a sinistra Egli, che è già in noi,  dice: “Io sono in te, dove vai a cercarmi?”.

Rita: Questo tempo al passato, “venne tra la sua gente” è un presente; quindi “è tra la sua gente, ma i suoi non L’accolgono”; e chi non l’accoglie è perché è nel pensiero di qualcos’altro da Dio. Siccome l’uomo vive dove ha il pensiero, se non pensa Dio, vivrà certamente per qualcos’altro da Dio.

Luigi: Se tu sei fissata e pretendi di ricevere in regalo una rosa e tutti ti inondano di margherite, tu non vedi tutti i doni che ti danno, ma ti senti offesa perché nessuno ti dà la rosa; ma l’errore sta in te. Allora cerca di smetterla di pretendere la rosa, ma stai attenta a quello  che ti arriva,  vedrai che sei inondata di regali. Se smetti di cercare Dio fuori, in luoghi sbagliati, ma stai attenta alla sua Presenza in te e in te Lo cerchi, ecco che allora troverai ciò che cerchi.

Zina: Quindi quel “non Lo accolsero” vuol dire: non riconobbero che Lo avevano già dentro di sé.

Luigi: Certo, si capisce.

Franca: Hai detto che noi pensiamo quando colleghiamo l’effetto con la sua causa; ma allora quando noi pensiamo senza collegare che cos’è questo pensare?

Luigi: È un lavorare sui sentimenti.

Franca: Quindi se noi non colleghiamo l’effetto con la sua causa, ci illudiamo di pensare.

Luigi: Certo; guarda che noi pensiamo rarissimamente.

Pinuccia B.: La parabola del cavallo che pesta i gigli mi ha richiamato un pensiero che ho avuto all’inizio di questa settimana: al pensiero che Dio mi parla in tutto mi sono sentita come uno zoticone con degli stivali in una cristalleria.

Luigi: Infatti Dio dice a Mosè: “Togliti i calzari, perché la terra che tu calpesti è sacra”(Es 3,5).

Pinuccia B.: È un invito all’attenzione e al silenzio, perché al di là delle apparenze, siamo avvolti dal mistero della Sua Presenza. .

Luigi: Dio è presente nell’uomo, quindi in ogni creatura. Tu pensa come noi ci comporteremmo verso le singole creature se noi tenessimo sempre presente questa verità! Anche le mamme con i loro bambini: in ogni bambino c’è Dio! E in ognuno di noi c’è Dio. Quindi tu  stai trattando con Dio, non stai trattando con le creature. Stai trattando con Dio! E allora guarda come ti dovresti comportare! Ecco,  soltanto tenendo presente Dio noi ci comportiamo veramente bene verso tutto e verso tutti, perché è Dio che ci fa comportare bene. Se invece trascuri Dio, puoi seguire tutte le norme del galateo  di questo mondo, ma ti comporti comunque malissimo.