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Il bando di concorso pubblicato
dall'istituto bancario pistoiese alla fine del XIX secolo richiedeva in
maniera inequivocabile che le forme del nuova sede che di lì a poco si
sarebbe costruita si ispirassero all'architettura fiorentina della seconda
metà del secolo XV. L'edificio, come oggi ci appare nella sua immagine
neorinascimentale con un evidente riferimento al fiorentino Palazzo
Strozzi, era il frutto di una mentalità radicata ancora sui canoni
stilistici di collaudata tradizione che in quegli anni era diffusa
soprattutto tra la classe dirigente locale. Per la sua costruzione andò
completamente distrutto l'intero quartiere medioevale di S. Matteo su Via
della Torre; era infatti necessario lasciare spazio intorno
all'edificio per poterne celebrare la forma monumentale che trovava forza
e risalto proprio attraverso il suo isolamento dal contesto circostante,
cosa oggi non più percepibile per la nuova costruzione sul retro
dell'architetto Giovanni Michelucci. Il palazzo fu terminato ai primi di
questo secolo, e, benché nato all'insegna della più ferrea tradizione
secondo il progetto dell'architetto bolognese Tito Azzolini, presentava
alcuni elementi di assoluta novità rispetto ai modelli di riferimento
quale l'inserimento del fregio policromo a coronamento della severa
facciata. Anche le inferriate del piano terra, eseguite in ferro battuto
dalla famosa officina pistoiese Michelucci, la stessa che realizzò il
grande lucernario del cortile interno, non trovano pari per la loro libertà
decorativa. |
Ma la vera svolta rispetto a
quello che era il programma del progettista e alla cultura del committente
furono gli affreschi che il fiorentino Galileo Chini eseguì nelle sale
interne del palazzo. Si
tratta del primo grande ciclo di pittura murale eseguito dal Chini ma
anche di una delle prime realizzazioni decorative italiane di carattere liberty.Anche
se Chini alternò raffigurazioni medievaleggianti a composizioni tratte
dai repertori neocinquecenteschi, i fregi con i putti gioiosi che
sorreggono festoni di lauro, il piumaggio dei pavoni, i riquadri
ornamentali indicano un suo deciso sconfinamento nel formalismo di questa
corrente. La decorazione pittorica venne completata intorno agli anni
trenta sul modello chiniano dal pittore pistoiese Luigi Mazzei. L'edificio
della Cassa di Risparmio non solo rappresenta l'episodio più
caratteristico dell'edilizia pistoiese a cavallo tra i due secoli ma è
anche il battistrada agli altri episodi architettonici, per la verità non
in grande numero, di indirizzo modernista presenti nella città di
Pistoia. |