La testimonianza dei tre giovani nella fornace (Dn 3)
Il coraggio della testimonianza
Daniele, nel suo libro, racconta la storia di
tre giovani della nobiltà di Giudea che si rifiutarono di dare ascolto
all’ordine del tremendo sovrano babilonese Nabucodonosor di rendere onore,
piegato il ginocchio, all’idolo che lui aveva fatto innalzare. Essi
rimasero fermi nella loro disubbidienza anche alla presenza del re, che,
quasi incredulo disse: «È vero che voi non servite i miei dei e non
adorate la statua d’oro che io ho fatto innalzare?» (Dn 3,14), e li
condannò ad essere arsi vivi, non essendo tollerabile l’insubordinazione
d’un suddito per causa di culto, «Sadràch, Mesàch e Abdènego non ti
obbediscono, re: non servono i tuoi dei e non adorano la statua d’oro che
tu hai fatto innalzare» (cf. 3,12). Il re disse ai giovani: «Se voi sarete
pronti, quando udirete il suono del corno, del flauto, della cetra,
dell’arpicordo, del salterio, della zampogna e d’ogni specie di strumenti
musicali, a prostrarvi e adorare la statua che io ho fatto, bene;
altrimenti in quel medesimo istante sarete gettati in mezzo ad una fornace
dal fuoco ardente. Qual Dio vi potrà liberare dalla mia mano?» (3,15).
La forza della risposta dei tre giovani
risiede nella convinzione che il dio degli ebrei sia capace di salvare i
suoi testimoni: «Sappi che il nostro dio, che noi serviamo, se lo vuole,
può liberarci dalla fornace del fuoco ardente e ci libererà dalla tua
mano» (3,17). Rifiutando, così, l’idolatria comandata da un sovrano:
«Anche se non lo facesse, sappi, o re, che noi non serviremo i tuoi dèi e
non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto» (3,18). A queste parole
il re, che vedeva dei sudditi sottrarsi al suo potere assoluto – di vita o
di morte – con un atto di disobbedienza inaudito (accettare la pena
capitale irrogata da un sovrano della terra per osservare il comandamento
di un signore celeste), s’infuriò violentemente e, dato ordine «che si
accendesse la fornace sette volte più di quello che s’era pensato di fare»
(3,19), comandò di gettarli nella fornace ardente (cf. 3,20-21). Il fuoco
non fece alcun male, «allora si misero a lodare, glorificare, a benedire
Dio». Il re rimase stupito e, alzatosi in fretta, si rivolse ai suoi
ministri: «Non abbiamo noi gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?».
«Certo, o re», risposero. Egli soggiunse: «Ecco, io vedo quattro uomini
sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno;
anzi il quarto è simile nell’aspetto a un figlio di dei» (3,91-92). Al
sovrano non restò allora che riconoscere l’egemonia di un signore del
cielo e, lodando il suo nome, esaltare coloro che avevano messo in
pericolo la vita per restare fedeli al patto sottoscritto dai loro
antenati: «Benedetto il Dio di Sadràch, Mesàch e Abdènego, il quale ha
mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui;
hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non
servire e per non adorare alcun altro dio che il loro Dio. Perciò io
decreto che chiunque, a qualsiasi popolo, nazione o lingua appartenga,
proferirà offesa contro il Dio di Sadràch, Mesàch e Abdènego … poiché
nessun altro dio può in tal maniera liberare» (3,95-96).
Il racconto esemplare di Daniele esalta la
fedeltà dei tre giovani al vero Dio: non devono temere di esporsi alla
morte, piuttosto che cedere all’idolatria. Quanti idoli oggi sono
presentati ai nostri giovani in modo accattivante? Spesso sono chiamati a
fare dei compromessi per raggiungere degli obiettivi, alcune volte
costretti persino a calpestare la propria e altrui dignità. Cosa allora
può insegnare l’atteggiamento di questi giovani ai giovani del nostro
tempo? I nostri giovani devono rinunciare ad ogni dialettica; non vi sono
risposte: è tempo piuttosto di azione, non di parole. Per questo,
«il nostro Dio… può liberarci» non è una risposta, ma la confessione della
loro fede, simile a quella dei martiri del cristianesimo primitivo.
L’espressione «anche se non ci liberasse…» è una nuova confessione di
fedeltà incondizionata a Dio. E Dio li salva, col suo miracoloso
intervento dalla fornace, credo che lo stesso farà per ogni giovane del
nostro tempo che riesce ad essergli fedele. Credo che i nostri ragazzi,
soprattutto quelli cristiani, debbano avere il coraggio della
testimonianza sapendo
che sono stati abilitati a questo proprio dallo Spirito Santo, che “è
segno della testimonianza” (cf. Gv 15), ricevuto nei sacramenti
dell’iniziazione cristiana.
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