Diritto alla scelta della sede

Diritto alla scelta della sede assume per le persona handicappate un vero e proprio diritto perfetto per quanto riguarda la precedenza sull’assegnazione della sede di servizio all’atto dell’assunzione nella pubblica amministrazione.

Dispone al riguardo l’articolo 21 della legge-quadro del 5 febbraio 1992, n. 104, che «la persona handicappata con un grado di invalidità superiore dei due terzi o con minorazioni ascrivibili alle prime tre categorie della tabella A annessa alla Legge 10 agosto 1950, n. 648, assunta presso gli Enti pubblici come vincitrice di concorso o ad altro titolo (ad esempio, in base alle norme sul collocamento obbligatorio), ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili».

L’articolo 33 della citata Legge n. 104 prevede poi che «persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso» (comma 6).

La locuzione “ove possibile” va intesa nel senso che il diritto dell’interessato ad ottenere il trasferimento della sede più vicina al proprio domicilio (evidentemente poter usufruire dell’assistenza dei suoi familiari) è subordinato all’assistenza nella sede stessa di un posto vacante corrispondente alla qualifica rivestita dal richiedente.

Qualora manchi tale disponibilità, il diritto non può essere fatto valere fino a quando non si verifichino nuove vacanze dell’organico della sede prescelta.

 

Per il docente di religione è così?

Già in un mio contributo sollevavo la questione (cf. “Professione ir  1(2005) pp. 5 e 8”). Da alcune indiscrezioni sono a conoscenza per certo che la medesima questione è stata sollevata da alcuni sindacati al Direttore dell’Ufficio scolastico regionale per la Campania, il Dr. Bottino. Il quale ha riferito loro che sarebbero stati gli ordinari diocesani a designare la sede per gli idr. La motivazione che viene data è il Concordato e l’Intesa del 1985 fra Ministero della Pubblica Istruzione e la Conferenza Episcopale Italiana.

Quest’approfondimento è scaturito non solo perché sono beneficiario dell’art. 21 della legge 104/92, ma anche perché leggendo il punto 2.5 del DPR 751/85 (Intesa CEI - MPI) ho avvertito delle perplessità. Il punto 2.5 testualmente afferma “L’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti in possesso di idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano e da esso non revocata, nominati, d’intesa con l’ordinario diocesano, dalle competenti autorità scolastiche ai sensi della normativa statale”; al punto 2.7 sempre del DPR 751/85 viene detto “Gli insegnanti incaricati di religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti… “.

La mia attenzione si è subito soffermata sul “ai sensi della normativa statale” e su “stessi diritti e doveri degli altri insegnanti…“. Quindi mi sono chiesto se la normativa statale precede tutto quello che sopra ho riportato perché non è valido anche per idr? Qualcuno mi diceva che non era possibile “scegliere la sede” perché si andava a toccare il Concordato e l’Intesa, non ero molto convinto. Ho voluto approfondire chiedendo ad un docente di diritto ecclesiastico presso la facoltà Federico II di Napoli.

Il professore da me consultato mi ha spiegato che l’Intesa non va a negare le leggi dello stato italiano e per tale ragione, secondo lui, anche per gli idr beneficiari dell’art. 21 della legge 104/92 c’è la possibilità di far valere i propri diritti. Vorrei ricordare che l'art. 1.2 del legge 186/2003 "Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado" dispone che "Agli insegnanti di religione cattolica inseriti nei ruoli di cui al comma 1 (si trattasi  del personale docente e corrispondenti ai cicli scolastici previsti dall'ordinamento) si applicano, salvo quanto stabilito dalla presente legge, le norme di stato giuridico e il trattamento economico previsti dal testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, di seguito denominato "testo unico", e dalla contrattazione collettiva”.

Ebbene la stessa lettera della legge fa sicuramente salvo tale status giuridico, facendo chiaramente presumere, stanti i principi generali richiamati in apertura,  che la questione del raccordo con la legge 121/85 “Ratifica ed esecuzione dell’accordo con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modifiche al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede” (che all'art. 4.2 subordina la mobilità territoriale degli idr al possesso da parte di questi del riconoscimento dell'idoneità rilasciata dall'Ordinario diocesano competente per territorio e all'intesa col medesimo Ordinario) è da intendere non nel senso che il diocesano abbia un potere di veto che possa estendersi fino a pregiudicare posizioni giuridiche fondamentali (come la parità di trattamento) e costituzionalmente garantite, ma nel senso che all'ordinario diocesano competa un semplice avallo formale nell'accertamento dei requisiti di cui allo stesso art. 4.2. Del resto la questione del (delicato) rapporto tra i due ordinamenti si è posta con particolare riferimento al tema delle"organizzazioni di tendenza", rispetto alle quali (per il precipuo fine cui sono istituite) sembra più plausibile un più penetrante intervento da parte delle Autorità ecclesiastiche.

Volendo poi chiudere la vicenda, basterebbe citare qualche dispositivo di sentenza della corte costituzionale, che, richiamando il canone di ragionevolezza, impone di trattare in modo uguale situazioni uguali (et similia), e di trattare in modo differenziato situazioni tra loro incongruenti.

E non c'è bisogno di perlustrare i tanti rotocalchi relativi alle fonti normative nel nostro ordinamento per sottolineare come le statuizioni di detta Corte siano fondanti e prioritarie rispetto a tutte le altre.

 Pertanto non credo che un idr, visto illeso il suo diritto, si rivolge agli organi competenti. La soluzione, a mio modesto avviso (premetto non sono esperto di giurisprudenza), potrebbe essere quella che gli ordinari diocesani aprono i loro orizzonti e adottano i criteri statali per non discriminare i docenti di religione, a cui lo stato ha riconosciuto un sacro santo diritto, nei confronti di docenti di altre discipline.