Gesù incontra un giovane
morto (Lc 7,11-17)
Seconda
parte
«Giovinetto, dico a te, alzati»
Gesù senza alcuna richiesta
risuscita il figlio della vedova di Nain. Si avvicina al corpo senza vita
e ordina: «Giovinetto, dico a te, alzati» (Lc 7,14b). Da notare: non c’è
nessuna invocazione a Dio, nessuna preghiera e nessun gesto. Il suo appello è personale e diretto: una
parola in prima persona (“dico a te”) e gli ordina di alzarsi. Il
giovinetto non può continuare ad essere schiavo della morte, Egli è la
fonte della vita, anzi è la vita (cf. Gv 14,6) ed è «l’autore della vita»
(At 3,15), Lui «ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e
l’immortalità» (2Tm 1,10). Il ragazzo non può continuare ad essere più
schiavo del peccato e della morte: Alzati! La sua parola è una parola che
salva. A lui, Signore della vita, basta usare l’imperativo: «alzati!».
L’alzarsi significa ritornare a vivere, risorgere: nella
bibbia troviamo tante volte l’imperativo “égheire - alzati!”.
Questa parola, nel Nuovo Testamento, è uno squillo di risurrezione. Il
ragazzo è tornato in vita, ora ha una nuova
esistenza! Ha fatto una forte esperienza di Gesù, esperienza che manca a
moltissimi giovani oggi. Per questo c’è bisogno di un rinnovato
“primo annuncio” della fede. L’incontro personale con Cristo, che sottrae
dal peccato e dalla morte, permette ai giovani del nostro tempo di fare
l’esperienza della salvezza nella loro vita.
«Il morto si levò
(sopra) a sedere» (Lc 7,15a). Non si dice che cominciò a muoversi, ad
agitarsi, ma che si alzò a sedere. Probabilmente si siede sullo stesso
feretro e con viso stupefatto comincia a guardarsi intorno. Lo stare
seduti nella bibbia indica l’atteggiamento di chi domina la sua
situazione, di chi è padrone della sua esistenza, di chi è in grado di
leggere e di risolvere i problemi della vita, di chi non è travolto da
essi. Attraverso la parola di Gesù, riesce a dominare la sua morte, “si
siede sopra” come dice il termine greco anakazìso.
Gesù permette al giovane, e anche
a noi, di vincere la morte e la paura di essa che è la nostra principale
schiavitù (cf. Eb 2,15). Il giovane ritorna in vita e sicuramente da
questo momento guarda le cose in modo diverso, capisce ora cosa è
realmente essenziale nella vita. «Cominciò a parlare» (Lc 7,15b)
ora seduto sulla morte può comunicare con gli altri. La vittoria sulla
morte permette di non avere più paura degli altri, di non essere soli ed
egoisti, incapaci di amare. Il sapersi esprimere è la caratteristica più
grande di una persona umana vivente. Il giovanetto ha ritrovato la sua
capacità espressiva, è in grado di manifestare i suoi sentimenti più
profondi.
L’episodio termina con
l’annotazione «lo diede alla madre» (Lc 7,15c). Gesù teneramente e
gentilmente restituisce il figlio alla madre. Che gesto magnifico!
Soltanto lui può restituire vita alla morte. A nessun uomo è dato un tale
dono di restituzione. Quella vedova dimenticando le lacrime della pena,
diventa ora la donna piena di gioia perché quel figlio gli è stato ridato
vivo. In quel dono non c’è soltanto la compassione verso quella vedova, ma
c’è anche un significato profondo. Quella donna ridiventa madre nel
momento in cui riceve il figlio dalle mani di Gesù. Dal gesto di Gesù sia
la donna che il giovane ricevono la loro profonda identità di madre e di
figlio. Per i cristiani essere veramente madre e figlio non basta soltanto
il legame biologico, ma occorre che tutti e due si riconoscano donati
reciprocamente dal Signore. |