Mose.

Uomo amato da Dio e dagli uomini

 

Il sogno di Mosè

Un’altra figura sulla cui giovinezza siamo informati dalla Sacra Scrittura è quella di Mosè. Nacque in un periodo di pesante persecuzioni del suo popolo, potremmo dire uno dei primi tentativi di genocidio che la storia ricordi, Es 2,1-10. Perché il bambino non venga ucciso insieme agli altri maschietti, la madre, grazie ad uno stratagemma «prende un cestello di papiro, lo spalma di bitume e di pece, vi mette dentro il bambino e lo depone fra i giunchi sulla riva del Nilo» (Es 2,3-4). È la figlia dello stesso Faraone che aveva ordinato la persecuzione che lo raccoglie e lo alleva. Invia una fanciulla ebrea presente (sorella di Mosè) a chiamare una nutrice per il piccolo.

Tutti gli agi del mondo, i piaceri, le gioie caratterizzano i primi anni della vita di Mosè. Anni in cui il salvato dalle acque riceve, come sappiamo da Esodo 2, tutte le raffinatezze di una educazione estremamente accurata, contrariamente ai propri connazionali. Possiamo dire che diventa un giovane «in», uno di quelli il cui mondo è protetto, pieno di tutti gli agi, di tutti i conforti. Vive una età in cui tutto sembra bello, tutto sembra possibile, tutto sembra facile.

Ma questa età è bella anche per un altro motivo: è una età nella quale il confine tra la realtà ed il sogno è difficile da marcare, sembra quasi che sia possibile che la realtà non sia altro che un'appendice del sogno. Che cosa Mosè incomincia a sognare? Comincia a sognare di cambiare il mondo. Lui sa, perché la mamma glielo aveva detto (i rapporti con la nutrice si conservano sempre), che è un figlio di Israele, e Mosè, questo giovane brillante, bello, ricco, felice, comincia a sognare nel suo cuore il grande sogno: «Io sarò il liberatore di Israele». L'ingiustizia di questo popolo oppresso sarà cancellata. Un giorno Mosè uccide un egiziano che aveva sorpreso a maltrattare un proprio connazionale (2,11-12), poi inizia una vera e propria opera di persuasione tra la sua gente per rafforzare il sentimento di solidarietà (2,13ss). Durante una lite con i suoi, s’accorge che il primo delitto è stato scoperto, ed è costretto a fuggire nel deserto confinante.

 

Solitudine di Mosè in Madian

Nel deserto, stanco dal viaggio, Mosè siede presso un pozzo per riposare. Proprio presso questo pozzo incontra l’amore: Zippora. In ebraico questo nome indica un «uccello» femmina. Possiamo affermare che ella ha inciso nel suo nome il destino della sua vicenda affettiva: come un uccellino, può posarsi di tanto in tanto nella vita del grande eroe senza potervi mai dimorare.

A Madian Mosè conosce un sacerdote pagano, Ietro, che diventerà poi suo suocero. Dall’amore di Mosè e Zippora nascono due bambini, Ghersom ed Eliezer, entrambi nati nel deserto. Mosè chiama il primo figlio Ghersom (da gher, lo straniero residente in terra altrui) e il secondo Eliezer, cioè «il mio Dio è l’aiuto» (18,4). A Madian è confortato da una moglie e da un suocero che lo amano, ma, come abbiamo detto, si sente ancora uno straniero. Luca, negli Atti degli Apostoli, scrive a tal proposito «… e divenne straniero nella terra di Madian, dove ebbe due figli» (7,29). Mosè sceglie allora una vita di solitudine, una solitudine che non è isolamento: se infatti isolamento è la condizione di chi vive disperatamente solo, magari in mezzo alla gente, sentendosi non compreso e sperimentando il fallimento, la solitudine ha invece un aspetto positivo.

Ě una carica di valore che esprime tutto il suo potenziale, ed è cosi per Mosé come per l’uomo d’oggi. C’è, infatti, un momento nella vita di ognuno, in cui l’uomo giunge a riconoscere che niente lo soddisfa davvero, che tutti i suoi modi e le sue esperienze non gli consentano la realizzazione sperata.

 

YHWH si Rivela nel Roveto ardente come Dio della storia.

Mosè allora mentre vive la sua vita nella quotidianità, pascolando i suoi greggi su un monte deserto, vede una teofania; cioè fa un incontro quanto mai importante: l’incontro con Dio che si manifesta nel roveto ardente… Dio lo chiama per una particolare missione stabilendo così la sua vocazione divina (2,16ss e 3,1ss). Mosè, è scelto per liberare il suo popolo dalla schiavitù egiziana, raccontata dal libro dell’Esodo. Si realizza così il sogno che aveva da giovane. La tradizione biblica parla di lui come del «servo di Dio» per eccellenza (Sal 105,26) e del suo eletto (Sal 106,23), come di un uomo «amato da Dio e dagli uomini» (Sir 45,1), «il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro» (Es 33,11).