Guarigione del sordomuto (Mc 7,31-37)
-prima parte - 

 

«Gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano» (Mc 7,32) poiché avevano sentito parlare della potenza di Dio in Gesù. Riconoscono in Lui il Messia descritto da Isaia “si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi” (35,5-6). La scena è simile a quella del paralitico (cf. Mc 2,3-4), del cieco di Betsaida (cf. Mc 8,22), visto già in precedenti articoli: l’evangelista sembra voler indicare alla comunità il suo dovere di farsi carico dell’immobilità, della cecità e della sordità che affliggono l’umanità.
Cosa manca a quest’uomo che viene definito “sordomuto”? Il testo greco dice che l’uomo era kōphós e moghilálos. Il primo vocabolo ha molti significati: muto, ottuso, spento, senza energia, babbeo, pazzo e stolto. Il secondo è un aggettivo ed è molto raro e ricorre solo qui e nel brano di Isaia (cf. 35,4-7). Esso significa: “difficoltà di parola, balbettante”, indica impedimento nel linguaggio (la guarigione, infatti, consisterà nel “parlare correttamente” cf. 7,35). Tenendo presente tutto questo campo semantico, possiamo affermare che si tratta non semplicemente di un disturbo fisiologico che colpisce il sistema uditivo e i nervi linguali, bensì della condizione di chi è incapsulato in se stesso.
La sua sordità e la sua incapacità di comunicare autenticamente con se stesso e gli altri lo hanno completamente isolato. Ci troviamo di fronte al mutismo che non è il silenzio interiore e desiderio di incontro, ma una muraglia che isola l’uomo da ogni “tu”: dal tu eterno di Dio e dal tu degli altri… L’incapacità di parola è una conseguenza della sordità: in quest’uomo non entra nulla e se esce qualcosa, si tratta al più di suoni inarticolati, di balbetti. Non avverte nulla di ciò che gli accade attorno a sé e questo non solo in senso acustico, ma anche in senso psichico-culturale, tanto che si potrebbe definirlo ‘scemo’.
Il sordo è incapace di udire ciò che gli viene detto e, di conseguenza, non può nemmeno comunicare... ciò che non ha udito; vive isolato, chiuso nel proprio mondo.
Quante volte proprio a causa di ciò, con persone sorde possono sorgere degli equivoci perché può capire una cosa per altra. Allora per evitare questo non occorre aver studiato psicologia, ma bastano alcuni semplici accorgimenti: parlare chiaramente, di fronte a sordo, in modo che veda il movimento delle labbra e del gesto, cose che aiutano la comprensione. Evitare, in sua presenza, di parlare con altri sottovoce.
Il sordomuto è in una condizione psicologica inferiore al cieco visto in articoli precedenti. Il cieco non vede le meraviglie del creato, ma sente i discorsi degli uomini ed entra nell’animo e nel cuore degli altri attraverso il linguaggio. Il linguaggio è il mezzo proprio degli uomini per rapportarsi.
Le bestie si comunicano attraverso le immagini. Gli uomini invece, con il linguaggio, possono comunicare meglio e scambiarsi pensieri e sentimenti riversando il proprio animo in quello del prossimo. Il sordomuto non può comunicare chiaramente le proprie idee e i sentimenti del cuore. Con i gesti e con le immagini si dice ben poco della realtà alta del pensiero, della volontà e dell’intimo dell’animo umano.
La folla prega Gesù di “imporgli la mano…”, il singolare è insolito in Marco nel contesto dell’imposizione delle mani (cf. 5,23; 6,5; 8,23); pertanto, l’uso del singolare, anziché del più consueto plurale ‘mani’ tradisce una certa aspettativa, e cioè che Gesù manifesti la sua potenza sulla condizione dell’infermo.
L'agire del Signore si manifesta ancora una volta come molto intimo e diretto, lontano dalla folla superficiale, infatti a questa richiesta Gesù risponde più con i gesti che con le parole: «E portandolo in disparte lontano dalla folla» (v. 33).
È bello questo versetto: ancora una volta Gesù ci comunica che chiama ciascuno di noi personalmente, Lui desidera un rapporto personale, individuale, vuol trattare con la persona singola, da singolo a singolo… Perché questa necessità di allontanarsi col sordomuto per non far vedere alla folla quel che stava per operare? Gesù allontana il malato dalla folla, accade la medesima cosa anche con il cieco di Bestaida (cf. Mc 8,23). L’espressione ‘in disparte’ ricorre ben sette volte in Marco e ha un sapore critico nei confronti di un mondo da cui bisogna distaccarsi, allontanarsi, poiché impedisce l’ascolto dell’evangelo (Mc 4,34; 6,31.32; 9,2; ecc.) e il riconoscimento della volontà di Dio. Si noti, comunque, che è Gesù stesso a prendere in consegna il sordomuto, ad indicare la sua premura per lui. Vuole far capire a quest’uomo gli vuol bene, si interessa del suo caso e vuole prendersi cura di lui.