Cieco nato (Gv 9,1-16)

-prima parte - 

 

Giovanni ci presenta un cieco dalla nascita che chiede l’elemosina per sopravvivere: Gesù gli passa davanti, si ferma e lo guarda. I suoi discepoli lo interrogano. Gli fanno una domanda indiscreta che riflette una mentalità a loro contemporanea e abbastanza diffusa nel giudaismo. Alcuni rabbini pensavano che il bambino potesse peccare nel seno della madre, e quindi nascere malato; altri invece sostenevano l’idea che le malattie congenite avessero la loro causa nei peccati dei genitori. I discepoli chiedono: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?” (v. 2).

Come si sarà sentito quel povero cieco? Ancora una volta è accusato di peccato lui e i suoi genitori. Notiamo però che la risposta di Gesù è immediata e non lascia spazio ad equivoci: “Non ha peccato né lui, né i suoi genitori” (v. 3). Molte volte ci domandiamo perché soffriamo? Gesù c’insegna che è più importante chiederci “per qual fine noi soffriamo”. È difficile scoprire il “perché” della sofferenza, ci troviamo di fronte ad un mistero.

Che bella parola deve aver ascoltato il cieco! Tutti pensavano e dicevano che lui era peccatore, ma Gesù dice che non è peccatore ne lui ne i genitori.

L’evangelista riporta che Gesù poi “sputò per terra e con la saliva fece del fango e lo mise sugli occhi del cieco”(v. 6). Il gesto di Gesù è di sua libera iniziativa. Da una lettura attenta ci rendiamo conto che quell’uomo non viene neppure consultato prima di essere guarito, a differenza del paralitico della piscina di Betesaida (cf. Gv 5,1-9). Il cieco nato non conosceva Gesù, ma improvvisamente si accorge che sono umide le sue palpebre e che gli stanno mettendo fango sulla faccia. Probabilmente avrà detto “perché mi sporchi”?. Spesso leggendo i vangeli ci accorgiamo che alcune volte Gesù fa cose che non riusciamo a comprendere. Il fango ci fa pensare al secondo racconto della creazione citato dalla Genesi 2,7. Il fango modellato da Gesù col suo Spirito (significato dalla saliva) esprime il disegno di Dio della creazione nuova. È un gesto di ri-creazione, di ri-generazione, perché ridando la vista al cieco è come se Gesù gli avesse ridato la vita.

Dopo gli dà un ordine illogico: “Vai alla piscina di Siloe a lavarti” (v. 7), questa era molto distante dalla spianata del tempio. Il cieco dovrà raggiungere la piscina di Siloe che si trovava fuori delle mura della città. Gesù non lo accompagna, neppure qualcuno degli Apostoli si dice che abbia accompagnato il cieco. Questo particolare ci sembra rivelativo del fatto che Gesù non è disposto a togliere dal cammino dell’uomo tutti gli impedimenti o gli ostacoli. Il cieco doveva scendere la montagna, e dopo, arrivato fuori dalla città, scendere giù allo stagno.

Perché lo manda fino la? Vi era più vicina un altra piscina: quella di Betsaida. In questa tra l’altro era stato già guarito un paralitico (cf. Gv 5, 1-9): quest’acqua era benedetta, un angelo, di tanto in tanto, scendeva muoveva l’acqua e chi la toccava era guarito.

Immaginiamoci il cieco che prende il suo bastone, si alza e và alla piscina di Siloe. Che vergogna camminare per strada con la faccia sporca di fango! La gente deve aver detto oltre ad essere cieco e anche sporco. Forse qualcuno gli ha portato dell’acqua e detto: “Senti lavati la faccia”. E Lui “No, devo arrivare fino alla piscina di Siloe... perché mi ha detto che là devo andare a lavarmi”. Avranno detto oltre ad essere cieco, sporco è diventato matto.

Lui aveva ricevuto quell’ordine. “Siloe” significa “Inviato”! Gesù è il primo inviato che obbedisce al Padre! Il cieco è un inviato che obbedisce a Gesù. Arriva alla piscina, mette l’acqua sulla faccia per lavarsi gli occhi e comincia a vedere... Cos’è la prima cosa che vede? La propria immagine. Questo è il principio di ogni guarigione! Essere capaci di vedere se stessi cosi si è! Generalmente si ha una immagine falsa di se stessi.

Quelli che erano soliti vederlo nel tempio dicevano: “Questo è il cieco? Quello che chiedeva l’elemosina?” Alcuni dicevano: “Si”; altri “No, non può essere. Perché l’altro era cieco dalla nascita. Si rassomigliano” (cf. v. 8-9).

Bisogna sapere che tutti dicono cose differenti su e di noi. Alcuni dicono che siamo, altri che non siamo... alcuni vedono le buone qualità ed altri i difetti.

Lui diceva “Sono lo stesso!” (v. 9), riconosce se stesso. C’è stato sì un cambio nella sua vita, ma l’importante non è il cambio ma che lui riconosce di essere se stesso. Poteva rispondere: “Si, adesso vedo”. Invece dice: “Sono lo stesso”.

Gli anziani gli chiesero: “Come dunque ti furono aperti gli occhi?” (v. 10). Alla interrogazione dei vicini sul come sia accaduto, egli risponde raccontando i fatti ed attribuendo il tutto a “Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista” (v. 11). Lo riconosce come uomo che ha il suo proprio nome: Gesù! Mi ha mandato ho obbedito. Gli dissero: “Ma dov’è questo Gesù?” Rispose: “Non lo sò... perché quando me ne andai a Siloe Lui se n’è andato per la sua strada... io non so dove sta... cercatelo voi”.

Giovanni dice che lo portarono dai farisei per esaminarlo, perché il giorno nel quale Gesù l’aveva guarito era un sabato ed aveva trasgredito la legge di Mosè. I farisei domandarono: “Come recuperasti la vista?” (v. 15) Lui ripete la stessa cosa! I farisei dicono: “Ma quest’uomo non viene da Dio, perché non rispetta la legge di Dio”; ed altri replicavano: “Ma se non viene da Dio come può fare cose così meravigliose?” (v. 16a). Il testo dice: “C'era dissenso tra di loro” (v. 16b).