Giovani e religione: quale rapporto al giorno d'oggi?
- prima parte-
 

 

I sociologi affermano che i giovani di oggi rappresentano la “generazione del GPS”, intendendo con questa definizione che le nuove generazioni crescono non più alla giornata, ma al momento dello stesso “bisogno”: vivono drammaticamente il senso del solo presente istantaneo. Dall’indagine sociologica emerge che il peso riconosciuto alla religione nella scala delle priorità, alla quale i giovani orientano le proprie scelte, è di scarso rilievo. Dietro la religione resta solo la politica.
Nel presente articolo vorrei cercare di rispondere alla domanda: ha ancora un senso e un valore la religione per i giovani? Una premessa necessaria ci vuole. Sono convinto che la religione o meglio la religiosità è un bisogno innato nell’uomo poiché egli non è solo razionalità. L’esigenza di credere in qualcosa o Qualcuno di superiore, di ultraterreno, che in qualche maniera possa influenzare le nostre decisioni e possa predisporci a farne delle altre, è presente nell’uomo fin dalle sue di origini.
Il termine religione deriva dal latino religo che significa unire, collegare. La religione è la “scienza dello spirito” ed ha come scopo quello di connettere o, meglio, riconnettere o collegare l'uomo e Dio. Agli alunni del primo anno, presento nella prima unità didattica, proprio il bisogno dell’uomo di legarsi alla divinità, di rapportarsi con un Essere Totalmente Altro, come lo chiama Rudol Otto, sociologo della religione. Questo bisogno lo definisco “esigenza spirituale” o “religiosità primaria” e che riassumo come “l’esigenza di dare un senso alla vita”. Per essere più espliciti è cercare uno scopo profondo per il quale valga la pena di vivere: sia per l’umanità nel suo complesso sia per ogni singolo individuo. Comprendiamo, allora, come la religione non è e non più essere mandata in esilio. I ragazzi questo lo condividono. Molti pur ammettendo di credere o in Dio oppure in un Essere Superiore, trovano arduo la trasformazione di questo bisogno religioso all’appartenenza ad una religione storica. Non è sentito come importante e necessaria. Quella cattolica in maniera forse più marcata di altre, si presenta come un sistema ben articolato di credenze, ideali, norme, istituzioni e riti.
La religione sembra essere ai margini della vita quotidiana dei giovani. Un tempo costituiva invece un aspetto fondante dell'identità della maggioranza assoluta degli italiani, ora è al sesto posto: per il 40% dei giovani non si tratta di un elemento importante nella vita. Tanti i ragazzi che hanno affermato in classe che non partecipano alle finzioni religiose da molti anni. Qualcuno vi partecipa sono in alcuni momenti come battesimi, comunioni, matrimoni e funerali… Alla religione i giovani chiedono soprattutto sostegno psicologico e consolatorio nelle difficoltà della vita, molto meno una guida morale nelle scelte tra il bene e il male. Per molti dire “sono cattolico” significa dire “non sono islamico”. Una recente indagine rileva che la ragione per cui molti giovani si definiscono “religiosi” può corrispondere «al bisogno di avere un riferimento morale (magari vago), che consenta di acquietare la coscienza e dare spazio libero a uno stile di vita fondamentalmente areligioso». Ci troviamo di fronte alla religione dello scenario così Franco Garelli, sociologo e docente di Sociologia della religione all’Università di Torino, sosteneva qualche anno e che ritengo tutt’ora valido. Una religiosità che sta sullo sfondo e viene riesumata solo nelle occasioni sacramentali catalogate laicisticamente come cose di prassi tradizionale da sbrigare e archiviare. Una religiosità cioè che risulta scollegata rispetto alle concrete situazioni di vita.
Cosa ci dice la vita dei giovani? Credo fondamentalmente almeno tre elementi: il primo, il fatto che in pochi sono interessanti a frequentare corsi post-cresimali (per molti di loro quello che c’era da imparare sulla e dalla Chiesa, a 19 anni lo si è già appreso); il secondo, l’incredibile analfabetismo biblico (in Italia l’86 per cento di quell’88 per cento che si dichiara cattolico non ha mai aperto la Bibbia. Chi frequenta gli studenti universitari rimane sempre sorpreso da questo fatto); terzo, solo il 9,4 per cento dei giovani frequenta “almeno una volta alla settimana” il mondo ecclesiale (parrocchie, associazioni). Eppure i giovani non cercano il cristianesimo.
Qualcuno potrebbe dirmi perché l’ora di religione è ancora scelta da molti ragazzi (soprattutto al sud)? La risposta è molto complicata e ci porterebbe lontano dell’obbiettivo prefissatomi. Comunque, credo che la scelta della religione a scuola non è certamente sintomo di appartenenza alla religione cattolica. Sono sempre più convinto che la scelta ha una motivazione più sociologica che religiosa, ma non voglio qui soffermarmi. Oppure potremo affermare che con i ragazzi a scuola ci troviamo davanti ad una Religione in stand by, ma cosa vuol dire in stand by? Si tratta di un’esperienza religiosa, che è presente, non è più centrale, ed è lì sonnolenta, è decentrata, stagnante, in stand by. Quando arriva, però, l’insegnante giusto, che schiaccia il bottone giusto, la religione si riattiva, lo stand by salta. Questo ci deve far riflettere (In relazione al grado di coinvolgimento tra i giovani e la religione cattolica, alcuni autori hanno elaborato modelli e tipizzazioni, nel tentativo di delimitare diversi stili o atteggiamenti (Franco Garelli descrive il “popolo delle GMG” classificandolo in quattro “stili di religiosità”: “fedelissimi”, “regolari”, “cercatori”, “in stand-by”. cf. anche RAFFAELLA FERRERO CAMOLETTO, I giovani delle GMG: un arcipelago di “stili religiosi”, in FRANCO GARELLI - Raffaella FERRERO CAMOLETTO (edd.), Una spiritualità in movimento. Le giornate Mondiali della Gioventù da Roma a Toronto, Messaggero, Padova 2003, pp. 223-252).