"Non è
morta, ma dorme"
(Mc
5,21-24.35-43)
La
resurrezione della figlia di Giairo, si svolge in un primo tempo sulla
riva del mare, dove intorno a Gesù si è radunata molta folla, e
successivamente si sposta a casa di Giairo.
Giairo, il cui nome significa "egli, Dio,
sveglierà", è un membro importante della società giudaica. Il suo
rivolgersi a Gesù è quindi in contrasto con l’atteggiamento, diffuso tra i
capi religiosi ebraici, di ostilità nei confronti di Gesù e di condanna
del suo operato. Giairo non solo cerca Gesù, ma, in pubblico, si getta ai
suoi piedi in un gesto di supplica e di riconoscimento della sua autorità.
Egli compie tutto ciò perché è mosso dalla più forte della motivazioni:
rischia di perdere ciò che ha di più prezioso, sua figlia. Sa riconoscere
in Gesù l’unico che gli può restituire quella bambina che è la sua stessa
vita. E non solo si getta ai suoi piedi: lo prega, con insistenza (cf. Lc
18,1-8; Lc 11,5-13) e non dubita che Gesù risponderà alla sua preghiera
(cf. Mc 11,24; 1Gv 5,14).
In questo momento tragico della sua vita, in
cui sembra che tutto sia perso, non perde la fiducia in Dio, nel Dio
fedele che non abbandona chi si affida a lui (Sal 91) e sa riconoscere in
Gesù colui che guarisce e dà vita.
"La bambina non è morta, ma dorme!" (v. 39):
è la frase di Gesù che ci spinge a guardare oltre la superficie di una
cronaca. Di "morte apparente" aveva parlato anche a proposito di Lazzaro,
che poi egli avrebbe risvegliato. L’intervento di Gesù al capezzale della
figlia di Giairo è tempestivo… subito «andò con lui» «ed entrò dove era la
bambina».
Chi è la fanciulla del nostro episodio? "La
figlia di Giairo, no?”, ci sembrerebbe di dover rispondere. In realtà
questa bambina non ha un nome, non ha delle caratteristiche (delle
capacità, dei progetti, dei desideri ... ) che la distinguano dalle altre
bambine, non sembra avere una vita sua. Ě semplicemente la “figlia di
Giairo". Ě suo padre che pensa per lei, che decide per lei, che programma
per lei, che si preoccupa per lei. Viene ricordata come “figlia” del
padre, ha dodici anni: l’età nella quale nell’antico Israele le bambine
diventavano donne da marito...”! Proprio nel momento di passaggio all’età
adulta, di attesa sognante dell’amore e di ricerca di una propria
autonomia, la ragazza si trova in una situazione di non vita e giace come
morta. Forse la sua voglia di vivere era soffocata dalle aspettative
eccessive dei genitori: essendo l’unica figlia del capo sinagoga, deve
vivere la vita che il ruolo di suo padre esige. Non può essere spensierata
e felice come le coetanee, non può lasciarsi corteggiare come loro, non
sogna come loro la sua vita di futura sposa… Forse un eccesso di amore e
di protezione le impediva di oltrepassare la soglia fra l’infanzia e la
maturità. In altre parole si sta negando la femminilità di questa
fanciulla, ma questo suo padre non riesce a capirlo. Non la vede felice
come le altre, ma non capisce il motivo profondo allora conclude:
"La mia figlioletta è agli estremi... ".
Gesù afferra con energia la mano della
ragazzina, forse ricordando i suoi dodici anni quando già cercava un suo
cammino personale: “Talitha kum”. “Fanciulla, io ti dico, alzati!” (v.
41): il verbo "kum" in ebraico è alzarsi. Suona come un'esplosione, con
questo ordine perentorio rimette in piedi “la figlioletta” e la consegna
all’età adulta, in grado di camminare con le proprie gambe.
Gesù esaudisce la richiesta di Giairo e ne
riporta in vita la figlia. Come quella di Lazzaro (cf. Gv 11,1-44), quella
della figlia di Giairo non è ancora la resurrezione definitiva. Anche lei,
come Lazzaro, dovrà rifare l’esperienza della morte.
Questo brano mi ha fatto riflettere molto,
perchè a volte i genitori rischiano veramente di tagliare le ali ai figli
e alle figlie con il loro amore troppo protettivo; rischiano di non
accorgersi quando è giunto il tempo di lasciarli andare, di farsi da parte
per lasciare loro lo spazio vitale per diventare adulti e adulte
indipendenti senza, per questo, far mancare il loro affetto attento e
discreto.
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