Il giovane Daniele evangelizza nella prova

(cf. Dn 6; 14,31-42)

 

Daniele, nella fossa dei leoni, viene sfamato da Abacuc

Daniele non solo viene salvato come abbiamo visto nel numero precedente, ma il Signore viene in soccorso del suo prediletto in maniera del tutto originale e inaspettata: gli manda il cibo grazie ad Abacuc (da Aba-cuc = il padre dell'abbondanza). Per Dio sarebbe stato più facile placare la fame del profeta o addirittura mettergli davanti del cibo, ma non fece così. Dispose, invece, che giungesse miracolosamente un altro profeta per portargli il cibo. Abacuc aveva preparato una minestra e la stava portando in campagna ai mietitori, Quando un angelo del Signore lo afferrò «per i capelli e con la velocità del vento lo trasferì in Babilonia e lo posò sull’orlo della fossa dei leoni» (Dn 14,36); troviamo qui uno dei primi esempi di servizio di fast food a rapida consegna, per via aerea!

Giunto sul posto gridò «Daniele, prendi il cibo che Dio ti ha mandato!» (14,37). Daniele, attesta la Sacra Scrittura, fu immediatamente riconoscente per il cibo inviatogli dal Signore dopo sei giorni di digiuno (cf. 14,31). È opportuno ricordare che il giovane profeta rimase nella fossa per sette giorni (cf. 14,40), nel racconto precedente (6,19-20), invece, vi era rimasto una sola notte. Ancora una volta, l’autore sacro, nel secondo racconto (cf. 14,40), riferendosi al numero dei leoni e a quello dei giorni, si serve del valore simbolico del numero sette, indicante totalità e perfezione, per fare notare la drammaticità del periodo in cui il giovane deve far fronte.

Daniele esclamò: «Dio, ti sei ricordato di me e non hai abbandonato coloro che ti amano? Alzatosi si sfamò, «mentre l’angelo di Dio riportava subito Abacuc» in Giudea, sempre per via aerea (cf. 14,38-39). Il Signore volle operare questo prodigio perché Daniele non si trovava in quella fossa per caso, ma perché era servo di Dio e distruttore di idoli. Anche noi, senza azioni portentose realizzando, nella normalità di una semplice vita cristiana, una semina di pace e di gioia, dobbiamo distruggere molti idoli: quello dell'incomprensione, dell'ingiustizia, dell'ignoranza, della pretesa sufficienza umana che volge orgogliosamente le spalle a Dio.

 

La fedeltà di Daniele al Signore lo salva

La fedeltà al suo Signore l’ha salvato. Dio fa giustizia un’altra volta e risparmia il servo che ha fiducia in Lui. In tutto l’Antico Testamento si afferma che Dio si prende cura di coloro che, avendo fede in Lui, a Lui si rivolgono nei momenti difficili (cf. Gn 8,1; 30,22; Lv 26,45; Nm 10,9; Sal 98,3; Bar 5,5).

Daniele fu vivo. Il miracolo produsse gioia al re: «Fu molto contento e ordinò che Daniele fosse tirato fuori dalla fossa; Daniele fu tirato fuori dalla fossa e non si trovò su di lui nessuna ferita, perché aveva avuto fiducia nel suo Dio» (Dn 6,24). È da notare che Daniele non accusa i propri nemici della congiura ordita a suo danno, ma lascia che sia il re a giungere spontaneamente ad una conclusione a loro riguardo. Il re convoca gli accusatori e li fa gettare nella fossa (infligge loro la stessa condanna che essi avevano progettato contro Daniele). In questa condanna vengono coinvolti anche i figli e le mogli degli accusatori (cf. 6,25; 14,42) secondo l'antica legge della responsabilità corporativa, che vigeva nel popolo ebraico, per cui la responsabilità della colpa di una persona ricadeva su tutta la sua famiglia.

La vita di fede del giovane riflette la verità delle parole del Salmista: «Confidino in te quanti conoscono il tuo nome, perché non abbandoni chi ti cerca» (9,11). Ognuno di noi, come Daniele, vive delle prove e delle difficoltà, ma il modo di affrontarle si differenzia enormemente: il credente lo fa con uno spirito diverso da chi non crede. Se le prove e le difficoltà fanno perdere la pace interiore, probabilmente la fede è ancora molto debole. Il credente, invece, accetta le difficoltà; confidando nell’intervento prima o poi di Dio non si turba, né si inquieta e né si rattrista, perché sa «che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28); e «considera perfetta letizia ogni sorta di prove» (cf. Gc 1,2), sapendo che «tutto è possibile per che crede» (Mc 9,23). Una delle preghiere che Daniele forse recitava durante le sue pratiche devozionali quotidiane potrebbe essere «Getta sul Signore il tuo affanno ed egli ti darà sostegno, mai permetterà che il giusto vacilli… Signore, in te confido» (Sal 55,23-24).

 

Il re riconosce il Dio di Daniele

Il risultato dell’intervento divino produce sempre gloria al Signore. Il re decretò: «In tutto l’impero a me soggetto si onori e si tema il Dio di Daniele, perché egli è il Dio vivente, che dura in eterno; il suo regno è tale che non sarà mai distrutto e il suo dominio non conosce fine. Egli salva e libera, fa prodigi e miracoli in cielo e in terra: egli ha liberato Daniele dalle fauci dei leoni» (Dn 6,27-29).

Una triplice testimonianza del vero Dio fu così resa da un re pagano che riconobbe nel Signore:

• un Dio trascendente: “È il Dio vivente”;

• un Dio sovrano ed eterno: “Il suo regno non sarà mai distrutto”;

• un Dio potente: “Libera e salva, fa segni e prodigi in cielo e terra”.

Di Daniele ed altri che sono rimasti anonimi è scritto: «per fede conquistarono regni, praticarono la giustizia, ottennero l’adempimento di promesse, chiusero le fauci dei leoni» (Eb 11,33). Poniamo ogni giorno la nostra fiducia in Dio; al momento opportuno, fedelmente, Egli interverrà.