Capitolo settimo

Liberati dalla morte

per proclamare ai prigionieri la liberazione (Lc 4,18)

 

L’ultimo aspetto della triplice liberazione è la morte eterna. Esiste una disciplina chiamata "Tanatologia" che studia i diversi modi di porsi davanti alla morte nelle varie culture e religioni. Epicuro considerava la morte un falso problema. Quando ci sono io -diceva- non c’è ancora la morte; quando c’è la morte non ci sono più io. L’importante è non pensarci. Già Pascal sosteneva: "Gli uomini non potendo ignorare la morte, non ne parlano e non ci pensano. Ma un rimedio ben misero, perché, invece di affrontare il male lo si nasconde finché si può" (Pascal B., I Pensieri, 168).

Oggi sono molti quelli che vogliono esorcizzare la morte facendo finta che essa non esiste, basti pensare soltanto all’ubicazione dei cimiteri fuori dalle città. … Osserva Ziegler che nelle città industriali gli uomini muoiono di nascosto, vergognosamente. ... In poche ore la presenza del morto è cancellata, il ricordo raggelato. Mescolato nel traffico, un convoglio percorre le vie affollate (cf. Ziegler J., I vivi e la morte. Saggio sulla morte nei paesi capitalisti, Mondatori, Milano, 1978).

C’è di più, in America è di usanza fare un party in onore del defunto, una specie di festa di addio al…, con tutti gli ingredienti per l’occasione: pasticcini, bibite... Il morto viene portato nell’istituto di bellezza per essere truccato! Non deve apparire morto. La nostra cultura ha tentato di rimuovere la morte promuovendo il mito dell’eterna giovinezza: bellezza, forza e salute. Un ultimo rimedio è la credenza nella reincarnazione. Tutto questo è ridicolo! E un voler negare una realtà evidente. Gli psicologi definiscono ciò il rifiuto della morte (cf. Becker E., Il rifiuto della morte, Paoline, Cinisello Balsamo 1982). Portiamo incarnato dentro di noi il bisogno di vivere. Accanto a questo c’è anche la paura della morte: la vita diventa schiava della paura, come se stesse sotto una spada di Damocle, che perennemente pendesse su ciascuno di noi col pericolo costante di ucciderci senza pietà e senza ragioni. Il drammaturgo francese Eugène Ionesco, così si esprime in una sua confessione: "Sono stato torturato, e lo sono tuttora, dalla paura della morte, dall’orrore del vuoto"(Ionesco E., Passato e presente, Rizzoli, Milano 1976, 48).

La morte è una realtà a cui non si può sfuggire, l’uomo un essere per la morte. Ma di fronte alla morte ci sono due le posizioni: la prima è quella del materialismo, cioè con la morte tutto finisce. Feuerbac affermava: l’uomo è ciò che mangia, intendendo dire, con ciò, che nell’uomo non esiste una differenza qualitativa tra materia e spirito, ma che tutto, in esso si riduce alla componente organica e materiale. Pratolini, con il suo amaro umorismo, senteziava che l’uomo è un pacco postale senza valore, spedito dall’ostetrica al becchino. E se la rideva! La seconda posizione, invece, è quella rivelataci dalla Scrittura (Per una visione sintetica sulla morte nella Bibbia cfr. Bonora A., La voce Morte, in Rossano P. - Ravasi G.- Girlanda A., (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline, Cinisello Balsamo 1994, 1012-1025; Per una lettura sapienziale e spirituale sulla morte, invece, cfr. Cantalamessa R., Sorella morte, Ancora, Milano 21992; Durrwell F. X., Cristo, l’uomo e la morte, Ancora, Milano 1993) 

e, soprattutto, da Cristo. "Dio non ha creato la morte e non gode della rovina del vivente" (Sap 1,13); Dio pone l’uomo nel giardino dell’Eden (cf. Gn 2,8) dove c’è l’albero della vita (Gn 2,9) al quale poteva sfamare il suo desiderio di immortalità... Se avesse trasgredito l’ordine di Dio circa l’albero della conoscenza del bene e del male sarebbe morto certamente (cf. Gn 2,16-17). Il Concilio Vaticano II lo ribadisce quando afferma che "dalla morte corporale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato" (Gaudium et spes, 18,2.4). L’uomo trasgredì (cf. Gn 3) e gli viene interdetto l’albero della vita (cf. Gn 3,22-24). "La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo" (2,24), "la morte è entrata nel mondo a causa del peccato" (Rm 5,12) [cf. CCC 1008].

Durante la vita terrena Gesù diede segni della sua vittoria sulla morte. Gli evangelisti riportano episodi di risuscitamento: l’amico Lazzaro (Gv 11), la figlia di Giairo (Mc 5,12-23.35-42), il figlio della vedeva di Nain (Lc 7,11-15). Egli stesso ha subito la morte, ma in Lui essa è stata trasformata [CCC 1009]. Concetto che ritroviamo nella liturgia dei defunti: "la vita non tolta, ma trasformata" (Messale Romano, Prefazio dei defunti I.). Gesù è la "risurrezione e la vita" (Gv 11,25). Ha in mano "le chiavi della morte" (Ap 1,18), è divenuto il "primogenito dei risuscitati" (Col 1,18). Con la sua risurrezione la potenza della morte è stata annientata (1Cor 15,26) e "la morte è stata ingoiata nella vittoria" (1Cor 15,54). Per questo motivo, Paolo grida: "Dov’è, o morte, la tua vittoria?" (1Cor 15,55). "La morte si è attacata a Cristo, lo ha divorato, come era abituata a fare con gli altri uomini, ma non ha potuto digerirlo perché in lui c’era Dio e così ne è rimasta uccisa" (Cantalamessa , Sorella, 18.). Cristo ci ha liberati definitivamente dalla morte. Con Cristo la morte apre l’ingresso alla vita eterna. Dopo il venerdì e il sabato santo segue la domenica di pasqua, la vittoria sulla morte, dove il Padre risuscita il Figlio. La resurrezione del Figlio dalla morte, dimostra pubblicamente che quanto aveva fatto e detto era vero "Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore vivrà" (Gv 11,15). "Col Cristo e in Cristo si illumina l’enigma della sofferenza e della morte che, al dì fuori del Vangelo, ci schiaccia […]. La vita e la morte diventano sante ed acquisiscono un senso nuovo" (Gaudium es spes, 22,3.6). In Cristo, la vita e la morte non si contraddicono: "Chi crede in me, anche se muore, vivrà" (Gv 11,25). Nei primi cristiani questo era una certezza, solo cosi possiamo comprendere perché desideravano morire. Ignazio di Antiochia "Non impedite che io viva (ossia che muoio), non vogliate che io muoia (che resti in vita)" (Ignazio di Antiochia, Romani, 6, 2, in I Padri Apostolici, collana di testi patristici, Città Nuova, Roma 61989, 124). La morte lo immerge in Cristo "é bello per me morire in Cristo" (Ignazio, Romani, 6, 2, in I Padri Apostolici, 124). Se i cristiani ci credessero veramente potrebbero con San Francesco chiamarla Sorella morte … "Certa è questa parola: se moriamo con Lui, vivremo anche con Lui" (2Tm 2,11).