Capitolo ventitreesimo
Il Padre nella Passione del
Figlio
L’evidenza del dolore nel mondo è lampante, è sotto gli
occhi di tutti. Veramente allora il dolore è la categoria universale in cui
tutti gli uomini sono accomunati. Moltmann, uno dei più grandi teologi del
nostro tempo, scrisse: "Gli uomini si distinguono gli uni dagli altri nel
possesso, ma sono tutti solidali nella povertà"
(Moltmann J., Il ‘Dio crocifisso’. Il problema di Dio e la storia trinitaria,
in Concilium 1972, 1074). Chi non ha sognato, almeno una volta, un mondo senza dolore? Chi non si è domandato: "perché il dolore?" e soprattutto, "perché il. dolore degli innocenti – "Si Deus iustus, unde malum? (se c’è un Dio giusto, perché il male?). E se c’è il male, come potrà esserci un Dio giusto? L’obiezione del dolore è stata definita la "roccia dell’ateismo" (Büchner G., La morte di Danton, III,1: in Opere e Lettere, Torino 1963,83): davanti al dolore degli innocenti, "la solo scusa per Dio è quella di non esistere" (Stendhal), oppure, "Se Dio esiste, il mondo è la sua riserva di caccia" (parole di un ateo in un romanzo di L. Santucci). - Un personaggio del romanzo, I fratelli Karamazov, di Dostoevskij, afferma: "Non è che non accetti Dio, ma rispettosamente gli restituisco il mio biglietto"; cioè rifiuto di vivere nel suo mondo, "un mondo dove regna il dolore ed il male". Eduard Emingway disse: "Gli occhi che hanno visto Auschwitz e Hiroshima non potranno più contemplare Dio".
Dopo lo sterminio di vittime innocenti, segnatamente ebree,
dalla ferocia nazista, è difficile parlare di un Duo buono e misericordioso, di
un Dio salvatore e redentore del male, vittorioso sul peccato e sulla morte
(cf, su questo, Neher A., L’esilio della parola. Dal silenzio biblico al
silenzio di Auschwitz, Casale Monferrato, 1983). Il Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica onestamente riconosce: "La fede in Dio Padre onnipotente può essere messa alla prova dall'esperienza del male e della sofferenza. Talvolta Dio può sembrare assente ed incapace di impedire il male"(n° 272). La giusta risposta alle domande su dolore e sulla malattia la possiamo dare soltanto se partiamo dall’esperienza di Gesù di Nazareth. L’intera vicenda del Nazareno è sotto il segno grave e doloroso della Croce: "Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio" (Imitazione di Cristo, 1. II, 12). E ci è vissuto per l’ora della Croce; già all’inizio del suo apostolato, alle nozze di Cana, richiama la Madre dicendole: "Che ho da fare con te, o donna? Non è giunta ancora la mia ora!" (Gv 2,4). L’ora di cui parla è certamente l’ora della croce, cioè lo scandalo del Venerdì Santo. La croce è anche la storia del Padre, perché Egli non è stato spettatore passivo della vicenda del Figlio, anch’Egli ne è protagonista! L’evangelista Giovanni afferma: "Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio" (Gv 3,16); l’apostolo Paolo scrive: "Egli (il Padre) che non ha risparmiato il Figlio, ma lo ha consegnato per tutti" (Rm 8,32)". Nel Nuovo Testamento il termine ‘Dio’ designa, nella quasi totalità dei casi, il Padre. Karl Rahner scrive: "Non si trova mai alcun testo in cui ‘ò theòs’ si debba riferire con ogni evidenza al Dio trino preso nel suo insieme, nella Trinità delle persone. V’è invece una moltitudine prevalente di testi in cui ‘ò theòs’ s’intende il Padre in quanto persona trinitaria" (Theos nel Nuovo Testamento, in Saggi Teologici, Roma 1965, 467-585). Anche l’esegesi dà una attenta analisi, sopratutto evidenziando l’uso della forma passiva nelle predizioni della passione: "Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini" (Mc 9,31). U.H. von Balthasar scrive in proposito: "Il passivo dell’"essere consegnato nelle mani dei peccatori" ci mostra come resti Dio (il Padre) colui che agisce" (Mysterium paschale, in Mysterium Salutis VI, 255). E’ lecito parlare della sofferenza del Padre? Dio, secondo la filosofia aristotelica, non è immutabile, impassibile, eterno? Nei primi albori del cristianesimo si parla tranquillamente della "sofferenza in Dio", anche se in forma antropomorfa, ne sono testimoni due scritti: "Se il Figlio ha patito, ... il Padre ha ‘compatito’. Come avrebbe potuto il Figlio patire senza che il Padre compatisse?" (Tertulliano, Adv. Praxsean, 29; CCL 2,1203). La sofferenza del Padre però non deve essere compresa allo stesso modo come è stata nell’eresia dei Patripassiani: coloro che attribuirono la passione al Padre. Questo, però, era un’idea ben diversa da quella ortodossa, secondo cui il Padre, rimanendo Padre, partecipava alla passione del Figlio che rimaneva il Figlio, cioè una persona distinta. La fede della Chiesa ha continuato sempre a professare il teopaschismo, cioè la dottrina della sofferenza di Dio in Cristo, mantenendo ferma l’affermazione antica che "Dio ha patito" (cf. DS, 201.222). Anche alcune affermazioni magisteriali sul "Deus incommutabilis" (cf. Denzinger – Schönmetzer, Concilio Lateranense IV: DS 800) si spiegano a partire dalla loro intenzione antieretica (rifiuto di forma panteistiche). Ai nostri giorni, dopo un lungo silenzio sulla sofferenza di Dio Padre – silenzio nel quale ha potuto trovare spazio quella strana idea del Padre "implacabile" -, assistiamo al riaffiorare di questa verità alla coscienza della Chiesa (Kitamori K., Teologia del dolore di Dio, Queriniana, Brescia 1975; così pure Forte B., Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia, Cinsisello Balsamo- Milano 1981, specie 260-285; Küng H., Può Dio patire, in Incarnazione di Dio, Brescia 1972, 619-626; Galot J., Il mistero della sofferenza di Dio, Assisi 1975; Welker M., Dibbattito su ‘Il Dio crocifisso’ di Jürgen Moltmann, Queriniana, Brescia 1979). Le parole "passione", "sofferenza", applicate a Dio, hanno un significato analogico, diverso da quello che hanno nell’ambito umano. Poiché la sofferenza in Lui è infinitamente libera, possiamo dire che essa è una sofferenza d’amore. Dio soffre per il rifiuto, da parte degli uomini, del suo amore. San Francesco per le strade dell’Umbria gridava piangendo: "l’amore non è amato". Vale anche per Dio ciò che è scritto nell’imitazione di Cristo: "sine dolo re non vivitur in amore- non si vive in amore senza dolore" (Imitazione di Cristo, III, 5). Origene aggiunge: "Il Padre stesso, Dio dell’universo, Lui che è pieno di longanimità, di misericordia e pietà, non soffre forse, in qualche modo? O forse tu ignori che, quando si occupa delle cose umane, egli soffre una passione umana? Egli soffre una passione d’amore!" (In Ezech. Hom. 6,6; GCS, 1925,384). Il mistero della sofferenza in Dio è il mistero della sua infinità capacità di amare… Jacques Maritain che si è "convertito" al mistero della sofferenza di Dio dopo la lettura del diario della moglie Raissa, che ne scriveva con accenti struggenti, non esita a dire che il tema della sofferenza divina fa comprendere come talvolta la parola di Dio sia stata subordinata a quella di Aristotele, anziché questa a quella. Il Dio aristotelico non può soffrire, ma così non è il Dio biblico. Il Dio biblico soffre perché ama… (Forte B., Nella memoria del Salvatore, Edizione Paoline, Cinisello Balsamo- Milano 1992, 71s). La Commissione Teologica Internazionale, che lavora alle dipendenze della Congregazione per la dottrina della fede, ha valutato positivamente la dimensione trinitaria della Croce di Cristo (cf. Civiltà Cattolica, fasc. 3181, 1983, p. 50-65). Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Dives in Misericordia scrive: "Credere nel Figlio crocifisso significa ‘vedere il Padre’ (cf. Gv 14,9), significa credere che l’amore è presente nel mondo e questo amore è più potente di ogni genere di male, in cui l’uomo, l’umanità, il mondo sono coinvolti" (7). Già nell’enciclica Dominum et vivificante, lo stesso Giovanni Paolo II, aveva espresso lo stesso concetto, quando scrive: "Il libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l’uomo, quasi condividendo il suo dolore. In definitiva, questo imperscrutabile e indicibile ‘dolore’ di padre genererà soprattutto la mirabile economia dell’amore redentivi in Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero della pietà, nella storia dell’uomo l’amore possa rivelarsi più forte del peccato… Nella umanità di Gesù Redentore si invera la ‘sofferenza’ di Dio". Il Dio cristiano non è fuori dalla sofferenza del mondo, spettatore impassibile di essa dall’alto della sua immutabile perfezione: egli la assume e la vive nel modo più intenso, come sofferenza attiva (Forte, Nella memoria, 94). La storia della nostra salvezza è legata a due alberi. Il primo, l’albero che era in mezzo al giardino dell’Eden, divenne causa di sventura per l’uomo, causa di rottura dell’uomo (Adamo) con Dio, con i suoi simili (Adamo contro Eva, Caino contro Abele) e con tutto il creato (la terra non produrrà più spontaneamente i frutti, ma l’uomo "dovrà coltivarla"); il secondo, l’albero della croce sul Golgota diventa invece fonte di benedizione e di salvezza. La croce diventa luogo della comunione profonda fra l’uomo e Dio, l’uomo e l’uomo in Cristo. La croce è luogo dove Dio concretamente manifesta il Suo Amore per gli uomini, la Croce diventa così l’altra faccia dell’amore di Dio. "La croce è il più profondo chinarsi della Divinità sull’uomo" (DM, 8). La Croce è la follia dell’Amore di Dio, è la dichiarazione del Suo Amore agli uomini. La Croce è storia del Figlio eterno che soffrendo ci ha rivelato il suo infinito amore: è dalla Croce che Cristo pronuncia la parola riportata dai mistici: "Non per scherzo ti ho amato" (Beata Angela da Foligno). Nel dolore ogni cristiano è chiamato ad "imitare Cristo", abbandonandosi fiducioso nelle braccia del Padre. Vorrei ricordare una bellissima poesia-pregiera di Charles de Foucauld: "Preghiera dell’abbandono"
Padre mio, mi abbandono a te. Fa’ di me ciò che ti piace. Qualunque cosa tu faccia di me, ... io ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me ed in tutte le tue creature. Non desidero niente altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, ... perché ti amo. Ed è per me una esigenza d’amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura, con confidenza infinita, poiché tu sei il Padre mio. Ci uniamo volentieri ad Agostino quando nelle Confessioni grida: "Quanto ci hai amato o Padre Buono, che non risparmiasti il tuo unico Figlio ma lo consegnasti per noi empi! Quanto ci hai amati!" (X,43). Per noi cristiani però la croce (il dolore, la malattia, la morte...) non è l’ultima parola nella storia del mondo, ad essa segue la Pasqua, segue il momento in cui il Padre darà nuovamente lo Spirito a Suo Figlio, ed in Lui a noi: Questo si realizza nella Resurrezione! |