La preghiera è giungere a incontrare Dio
"Lo scopo dell’esperienza cristiana è ‘incontrare Dio e gli altri’. Il luogo in cui questo è possibile, è certamente la celebrazione eucaristica; essa è ‘il luogo dove è possibile per noi lasciarci raggiungere e convertire dall’Amore"’ (B. Forte, ‘A terra d’o cielo, M. D’Auria, Napoli 1986,4). La liturgia ci dà l’occasione di esprimere calorosamente la nostra fede e di offrire a Dio, in sacrificio di lode, la propria vita e l’intera creazione. Per ben pregare e giungere all’unione con Dio è necessario fare come il viandante che strappa le sterpaglie e i rami secchi nel bosco, per aprirsi una via migliore. Questa via, che normalmente è la cosa più difficile quando si prega, è fare l’assoluto silenzio, nel quale Dio parla e noi possiamo ascoltarlo. Chi ama il frastuono non saprà mai pregare e, di conseguenza, non saprà mai costruire la sua vita in una dimensione di autentica relazione con Dio. In realtà l’uomo che non ama il silenzio, è un uomo sempre fuori di sé e lontano da Dio. È un fatto questo, che si manifesta nella vita di tutti i giorni: le persone che hanno sempre voglia di parlare, che vogliono sapere tutto di tutti, non sanno nemmeno dove abiti la preghiera, perché essa esige raccoglimento, cioè silenzio. Un uomo veramente di preghiera ascolta mille parole e ne dice una sola. Il dramma della nostra preghiera è quello di essere sostenuta da troppe parole e da poco silenzio. Il silenzio è difficile, certo. Ma è proprio il primo stadio per poter pregare veramente. Il silenzio dà vita alla preghiera, in esso il Signore irrompe nella nostra vita. Quante cose superflue diciamo in un giorno. Quante sciocchezze pronunciamo! Dobbiamo convincerci che il silenzio è bello, che non è una cosa vuota, ma vita piena e autentica... Ma il silenzio esteriore non basta. Occorre imparare a far silenzio, perché è il punto di partenza per poter giungere a incontrare Dio. Esistono due forme di silenzio: c’è quello che nasce dalla povertà dell’amore: è il mutismo di chi non vuole più bene. E c’è quello che nasce dalla pienezza dell’amore: ed è l’incapacità di dire parole a chi si vuole immensamente bene. C’è un momento dell’amore, in cui le parole tacciono, perché solo il silenzio riesce a trasmettere la verità dell’amore. Il silenzio che noi intendiamo, alla presenza di Dio, è proprio questa incapacità di esprimere, con gesti e parole adeguate, tutto il nostro amore per "Colui che ci ha amato per primo" (cf. 1 Gv 4,10). Il silenzio, ricco d’amore, è il luogo nel quale Dio viene, perché coincide con la massima eloquenza; esso esprime l’invocazione: "Vieni, Signore Gesù" (Ap 22,20). Ed è proprio nel silenzio che noi riusciamo ad incontrare e a farci sempre più incontrare dal Signore che viene, innamorato di noi. Chi prega veramente persevera nel silenzio; davanti all’azione, alla presenza di Dio, si lascia raggiungere, consumare, bruciare dal fuoco dello Spirito. Chi prega veramente, lascia agire Dio: "Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso" (Ger 20,7). Solo se riusciremo a farci sedurre, incontreremo Dio, solo se ci arrendiamo a Dio, avremo veramente pregato. La grandezza della preghiera, la sua intrinseca realtà, non è la semplice elevazione della mente a Dio, non è il distacco del pensiero e della volontà da tutte le creature, il considerare il creato alla luce divina; ma la sua più mirabile verità consiste nell’essere un reale incontro con Dio; così che non solo i] nostro pensiero è presso di lui, ma noi siamo realmente con lui: perché il Signore si abbassa in realtà fino a noi, ci rivolge la parola e risponde ancora alla nostra invocazione. Se volessimo verificare se siamo giunti ad incontrare Dio, dobbiamo vedere se siamo capaci di tessere rapporti di pace, di gioia, di amore... (cf. Gal 5,22). |