Capitolo Quinto
COME SI SVOLGE UNA
PREGHIERA COMUNITARIA
Il Rinnovamento nello Spirito è basato fondamentalmente su dei gruppi di preghiera comunitaria. Esso è "ovunque caratterizzato dalla formazione di gruppi di cristiani che si riuniscono una volta la settimana in un’assemblea di preghiera, che dura da un’ora e mezza a due ore (Profilo teologico-pastorale, in Il Rinnovamento nello Spirito Santo: che cose?, RnS, Roma 1994, 115-116). La realtà vitale del Rinnovamento è caratterizzata dal "convenire in assemblee" dei suoi partecipanti. E assemblea l’incontro settimanale del gruppo; ed è assemblea una Convocazione regionale o nazionale con la partecipazione di decine di migliaia di convegnisti. Nelle Sacre Scritture, l’incontro del popolo radunato con il suo Signore è chiamato "giorno dell’assemblea" (cf. Dt 9,10; 18,16). Il gruppo del Rinnovamento, nella sua espressione ecclesiologica più profonda, è adunanza, assemblea, comunità raccolta (chi At 15,30; 13,1), comunità di fratelli (cf. At 15,36). La Chiesa stessa è Ecclesia, cioè assemblea radunata intorno alla Parola e all’eucaristia, che annuncia la morte e proclama la risurrezione di Gesù Cristo in attesa del suo ritorno. La costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium afferma che essa è: "un popolo adunato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG, 4). In questa prospettiva biblica e teologica, si inserisce l’incontro assembleare del gruppo di Rinnovamento. Il riunirsi di fratelli in assemblea non è, pertanto, un fatto puramente aggregativo, di natura sociologica o affettiva. I convocati realizzano misteriosamente e realmente quel corpo di Cristo, di cui parla Paolo nella prima lettera ai Corinzi. Possiamo comprendere il senso profondo della preghiera comunitaria se analizziamo la pericope riportata dall’evangelista Matteo: "In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (18,19-20). Ciò che bisogna sottolineare è l’affermazione "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro", in cui si evidenzia la presenza vera di Gesù in mezzo all’assemblea. Ecco perché possiamo affermare che i fratelli del Rinnovamento si riuniscono in assemblee che sono veramente "comunione di amore fraterno" sincera ed affettiva, il cui fine è "pregare insieme" e il cui centro è il Signore Gesù, che opera nella comunità attraverso il suo Spirito, il quale abita nell’assemblea come in santuario consacrato (cf. 1Cor 3,16) e in ciascuno dei credenti come nel suo proprio tempio (cf. 1Cor 6,19). Un gruppo di preghiera può dirsi di composizione eteroclita. Non si fa nessuna distinzione fra preti e laici, uomini e donne, giovani e vecchi. Tutti costoro si trovano insieme con un unico fine: la preghiera comunitaria, intesa come preghiera spontanea e a voce alta. Perché questa sia convincente, è necessario che i partecipanti abbiano già in precedenza reso viva la loro fede e si siano esercitati nell’incontro personale con il Signore. La preghiera comunitaria ha le sue radici, la sua fonte, la sua origine nella preghiera personale. Infatti l’incontro di preghiera settimanale dovrebbe essere la risultante delle tante preghiere personali di ciascun partecipante. Per tale ragione si dà molta importanza alla preghiera personale (cf. capitolo IV). Ogni partecipante deve andare all’incontro settimanale con una preparazione personale curata; soltanto così si potrà esprimere quello che c’è dentro il cuore di ciascuno. Altrimenti si avrà l’impressione di ascoltare parole, a volte molto belle, che risuonano ma — come diceva il drammaturgo francese Eugène Ionesco — che sono incapaci di "reggersi" da se stesse perché prive di contenuto. Egli usava questa immagine: le parole sono come dei sacchi; quando sono vuote, non stanno su. Ciò che le mantiene in piedi è solo il loro contenuto. Questi incontri di preghiera possono essere paragonati alle assemblee dei fedeli di Corinto, descritte da Paolo nelle sue lettere: "Quando vi radunate ognuno può avere un salmo, un insegnamento, una rivelazione, un discorso in lingue, il dono di interpretarle. Ma tutto si faccia per l’edificazione" (1Cor 14,26). E in ugual modo esortava i Colossesi: "La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre" (Col 3,16-17). Nella lettera agli Efesini, invitava ad un culto gioioso ed espressivo: "Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo" (Ef 5,18-21). Quindi, nelle assemblee di preghiera, gli aderenti al Rinnovamento, sotto l’impulso dello Spirito, innalzano incessantemente parole di lode e di ringraziamento al Padre celeste, celebrando il suo amore infinito rivelato nel suo Figlio Gesù, la sua misericordia illimitata e la sua bontà incommensurabile. Nell’assemblea, tutti i fedeli hanno l’opportunità di esercitare il loro sacerdozio comune, di testimoniare la loro fede, di edificarsi gli uni con gli altri attraverso la condivisione dei carismi e dei ministeri. Nell’incontro comunitario, la partecipazione alla funzione sacerdotale di Cristo viene esercitata attraverso la lode. La partecipazione alla funzione profetica viene compiuta con l’annuncio della Parola di Dio, la catechesi, la testimonianza e l’evangelizzazione. La partecipazione alla funzione regale si esercita con il riconoscimento della signoria di Gesù. Nel Rinnovamento nello Spirito, le riunioni comuni di preghiera costituiscono uno dei suoi elementi caratteristici. Le riunioni di preghiera non hanno uno schema ben strutturato. Tutto viene lasciato al "soffio dello Spirito" che agisce come, quando e dove vuole, e alla spontaneità dei partecipanti. Gli interventi, infatti, sono spontanei. Tale spontaneità, però, non deve essere confusa con lo spontaneismo o l’improvvisazione, che porta disordine e confusione " (cf. MERCURI G., Preghiera spontanea, non spontaneismo, in "Rinnovamento nello Spirito Santo" 9(1991), 19-29). Ciò accade quando la spontaneità è intesa semplicemente come sfogo per dire tutto ciò che viene in mente, senza alcun discernimento per capire se veramente viene dallo Spirito. La spontaneità autentica, invece, è unicamente frutto della mozione dello Spirito, che abilita il fedele ad esprimere pubblicamente e liberamente la propria fede nel Signore risorto. Durante un incontro di preghiera, nonostante manchi uno schema ben determinato, un itinerario obbligatorio da seguire, c’è stato chi vi ha intravisto un minimo di struttura: "La riunione del gruppo si articola in tre fasi ben precise. Una prima parte si snoda attraverso una serie di letture bibliche, a volte commentate, a volte no, di canti, di testimonianze e di preghiere. Non esiste uno schema fissato in precedenza [...]. Nella seconda parte della riunione il gruppo si divide in piccoli gruppi di studio, in seno ai quali vengono approfonditi alcuni concetti-base della ideologia pentecostale: salvezza, guarigione mediante la preghiera, effusione dello Spirito [...]. L’ultima parte della riunione è riservata a quanti abbiano una grazia da chiedere (CASTIGLIONE: M., il neo-pentecostalismo cattolico, in "IDOC internazionale", 30/911973, 34-41; cf. anche BENTIVEGNA G., I gruppi di preghiera di Paolo, in "Rinnovamento nello Spirito Santo" 4(1994), 15-17). Orientativamente, può essere utilizzato anche quest’altro schema: lode; purificazione; invocazione allo Spirito; ascolto della Parola; giubilo; risonanze; silenzi; ringraziamento; mini-catechesi; testimonianze; intercessione. Ribadisco che è solo uno schema orientativo, poiché, sempre, tutto viene lasciato al "soffio dello Spirito" che agisce come, quando e dove vuole, e alla creatività dei partecipanti. Il gruppo può, anzi deve, iniziare con un momento di accoglienza. Essa è tanto fondamentale da essere stata definita: "il sorriso dello Spirito Santo" (LEONARDI G. M., Il ministero dell’accoglienza, RnS, 1). L’accoglienza viene fatta normalmente con il canto (Sul canto c’è una vastita di sussidi, ne citiamo alcuni: Pedrini, Conte partecipare, 114-119; Calise M., Una chiesa pura. per adorare, RnS, Roma; IDEM, Fin dal mattino ti invoco e sto in attesa... L’adorazione e il canto sotto la guida dello Spirito, in "Rinnovamento nello Spirito Santo" 4(1989), 8-10), elemento importantissimo in un gruppo; non solo per la ragione appena esposta, ma anche per lo svolgimento della preghiera. Già il grande Agostino affermava: "Chi canta bene, prega due volte" (Agostino, Enarratio in Psalmos, 72, 1). Dopo l’accoglienza, il gruppo comincia la preghiera di lode. Questa può essere distinta in: lode diffusa, senza un nesso o un legame fra le singole preghiere; lode breve; lode articolata. a) Lode diffusa. Si tratta di un mormorio emesso da tutti i partecipanti, senza tema unificante, che si diffonde nell’assemblea: ciascuno benedice il Signore, sottovoce, in gran libertà. b) Lode breve. Si esprime con frasi brevissime o nelle quali il tema non è sviluppato ma solo enunciato (PEDRINI, Come partecipare,37). c) Lode articolata. La persona che prega espone i diversi motivi del suo ringraziamento, e al medesimo tempo loda per tutti, presenti ed assenti, senza approfondire il motivo della sua preghiera (PEDRINI, Come partecipare,37). La preghiera di lode, come già detto precedentemente, ha delle formule semplici, spontanee, improvvisate: "Gloria a te, Signore Gesù", "Grazie, Signore Gesù", "Gesù", "Padre", "Abbà", "Alleluia". Queste espressioni affiorano sulle labbra di ciascun partecipante all’incontro ed hanno come scopo la glorificazione di Dio Padre, per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Una caratteristica della lode nel Rinnovamento nello Spirito, è quella di essere una lode gioiosa. Sia la gioia che la lode, sono entrambe frutti dello Spirito. Sant’Agostino afferma: "La tristezza, Signore, è il ricordo di me; la mia gioia, è i] ricordo dite". "Fa parte della spiritualità del Rinnovamento esprimere esternamente la gioia nella lode del Signore e non soltanto averla dentro. Esprimiamo la gioia con preghiere spontanee, con segni e gesti de) corpo, con creatività perché lo Spirito Santo è creativo e suggerisce sempre cose e modi nuovi per esprimere ciò che egli stesso ci dona [..]" (Mercuri G., Una preghiera gioiosa, in "Rinnovamento nello Spirito Santo" 10(1993), 17). Un’altra espressione della preghiera di lode è il dono delle lingue (Faricy R.. La lode e il dono di lingue, in "Alleluja" 2(1979), 4-6; Mattei G. M., Lode o glossolalia, in "Rinnovamento nello Spirito Santo" 9 (1990), 5-7). Lodare Dio in lingue consiste nell’emissione di una specie di "balbettio" rivolto a Dio, quasi un parlare a sillabe come quello di un bimbo che non può ancora parlare, ma che si sforza di esprimersi. La lode a Dio in lingue è una preghiera vocale che esula da un contenuto; è del tutto uguale al rimanere interiormente silenziosi e vuoti davanti a Dio in atteggiamento di ammirazione. Naturalmente, nel dono delle lingue, il pregio non sta nell’emettere suoni incomprensibili, ma piuttosto nel fatto che il balbettio sia una lode della gloria di Dio. Si prega in lingue principalmente nella preghiera personale, e molti lo trovano un buon metodo per iniziare il loro "tempo di quiete dedicato a Dio". Accanto al dono del parlare in lingue, c e quello del cantare in lingue. Questa è un’espressione ancora più semplice della precedente. Si tratta di una lode a Dio, mediante un canto in cui, più che le parole, conta l’armonia. Il canto in lingue può essere sia individuale che collettivo. L’apostolo Paolo accenna a questo dono quando afferma: "Che fare dunque? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l’intelligenza" (1Cor 14,15). Commentando il Salmo 32, Sant’Agostino offre un brano che sembra descrivere stupendamente il canto in lingue. Lo spunto gli è offerto dal versetto 3: "Cantate al Signore un canto nuovo, cantate a lui con arte". Ma come è possibile cantare con arte davanti a Dio? Il santo risponde: "Ecco! Egli dà quasi il tono della melodia da cantare: non andare in cerca delle parole, come se tu potessi tradurre in suoni articolati un canto di cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: cantare nel giubilo. Che cosa significa ‘nel giubilo’? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro, infatti, che cantano sia durante la mietitura, sia durante la vendemmia, sia durante qualche lavoro intenso, prima avvertono il piacere, suscitato dalle parole dei canti, ma, in seguito, quando l’emozione cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in una sola modulazione di note. Questo canto lo chiamano ‘giubilo’. Il giubilo è quella melodia con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l’ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non ‘giubilare’? Allora il cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi di parole, e la grandezza straordinaria della gioia non conoscerà i limiti delle sillabe. Cantate a lui con arte nel giubilo" (Agostino, Sermone 32 in Opera, voi. xxv, 573). La preghiera di lode, come la preghiera di domanda, tende ad aprirsi nel rapporto con Dio, in modo da abbracciare tutto e tutti come fonte e motivo di lode continua. Il Signore può educare gli uomini a ringraziarlo per le difficoltà perché, nella sua provvidenza per loro, egli "scrive diritto sulle linee storte"; e a lodarlo anche quando si sentono avviliti perché, qualunque sia il loro stato d’animo, egli rimane sempre infinitamente degno di lode. Il vedere solamente il lato positivo di ogni situazione, è spesso un modo insidioso per evadere dalla realtà. Quando lodiamo Dio per la nostra situazione, non ha valore quale essa sia. Non si sta tentando di evitare i propri problemi: piuttosto Gesù Cristo mostra il modo per superarli. Vi sono gradazioni di lode e ognuno, senza eccezione, può iniziare a lodare Dio in ogni momento e in qualsiasi situazione. La lode diventa il luogo della presenza di Dio. Davide aveva scoperto questo segreto; lodando e glorificando il santo Nome del Signore, si manifestava la "shekinà": la gloriosa presenza dell’Altissimo. Ed è quello che i fratelli del RnS vogliono fare: costruire la sua dimora. Dio "scende" in mezzo al suo popolo, che proclama la sua lode (CALISI M., Dio "scende" fra il suo popolo che proclama la sua lode, in "Rinnovamento nello Spirito Santo" 2(1989), 16-17). Dio abita nelle lodi del suo popolo. Successivamente l’assemblea, sul ricordo dell’insegnamento dello stesso Gesù, chiede perdono al Padre: "Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati" (Mc 11,25). Ed occorre chiedere perdono non solo al Padre per i propri peccati, ma anche ai fratelli: "Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro dite, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Mt 5,23-24). Non è certamente facile chiedere e donare il perdono. Perdonare è solo e prettamente di Dio. Egli, come ci attestano le Sacre Scritture, ha sempre perdonato il suo popolo. Per tale ragione, riportando il titolo di un libro scritto da p. Robert De Grandis, si può affermare che "il perdono è opera di Dio in noi". Proprio per questa ragione, non è affatto vero che il riconoscersi peccatori e chiedere perdono è umiliante per l’uomo. Ci sono moltissime testimonianze di persone che, solo dopo aver chiesto perdono e avere a loro volta perdonato sinceramente, hanno ritrovato — o addirittura provato per la prima volta — la pace. Soltanto dopo, l’assemblea chiede il dono dello Spirito Santo, si pone in ascolto della Parola di Dio e, dopo essere stata interpellata, risponde con fede al suo interlocutore. L’apostolo Paolo ci ricorda che "la fede nasce dall’ascolto" (cf. Rm 10,17). Questo momento è già stato illustrato in maniera esaustiva nel capitolo precedente, quando si è trattato della lectio divina in tutte le sue parti. In questo clima di fede, sovente la preghiera sfocia nell’intercessione, in richieste di aiuto, di consolazione, di doni, di grazie, certi della promessa di Gesù Cristo: "In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, coni pirà le opere che io com pio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò" (Gv 14,12-14). L’assemblea orante, dunque, conclude il suo incontro con l’intercessione. Prega, cioè, per sé, per gli altri e per il mondo intero. "Intercedere è essere sacerdoti del mondo — scriveva Silvano del monte Athos — I] mondo sussiste grazie alla preghiera, ma quando la preghiera verrà meno il mondo perirà... quando sulla terra non ci saranno più uomini di preghiera, allora ci sarà la fine del mondo. Per intercedere occorre avere il cuore sacerdotale di Cristo, un cuore gonfio di amore e pieno di umiltà perché solo l’umiltà è la forza dell’amore e porta a farci ‘uno’ con gli altri". Non esiste opposizione tra la preghiera e l’azione, tra essere-con-Dio e essere-con-gli-uomini. Mirabilmente e sinteticamente lo esprime una donna, nel suo impegno d’amore per gli altri: Madre Teresa di Calcutta. Ella dice: "Il frutto della preghiera è l’amore, e il frutto dell’amore è il servizio". Pregare significa diventare come il Figlio: non bisogna sfuggire alle nostre responsabilità, ai doveri verso il mondo, seguendo le orme del divino maestro che "è venuto per servire" (Mt 20,27). La preghiera deve portare all’azione, ad operare cristianamente nelle attività quotidiane, proprio come il Cristo. Imparare a pregare seriamente significa superare la tentazione della fuga. "Chi prega tiene in mano il timone del mondo" (San Giovanni Crisostomo). Ulteriori elementi costitutivi di un’assemblea di preghiera sono dati dall’insegnamento — o mini-catechesi — e dalla testimonianza. In ogni riunione di preghiera si dedicherà un determinato tempo per l’insegnamento. Normalmente, questo viene fatto dopo il momento di lode e di preghiera sulla Parola, cioè dopo le risonanze alla Parola di Dio. Nei gruppi formati da poco tempo sarà opportuno inserire l’insegnamento subito, all’inizio dell’incontro, dopo i canti iniziali d’accoglienza. Ciò può facilitare l’andamento dell’incontro stesso, poiché si dà modo ai partecipanti di mettere immediatamente in pratica quanto viene detto. Infatti è preferibile, nei primi mesi di vita di un gruppo, tenere insegnamenti che riguardano specificamente lo svolgimento dell’incontro di preghiera, perché i partecipanti possano prenderne parte coscientemente e liberamente. I primi insegnamenti devono riguardare l’esperienza dell’amore di Dio, di Gesù Salvatore, della persona dello Spirito Santo; devono chiarire l’uso della Bibbia nell’assemblea di preghiera, i sacramenti, la preghiera di lode, il canto, la gestualità nella preghiera ecc. Bisogna tener presente che la durata di questo insegnamento deve essere breve — dai dieci ai quindici minuti. In questo tempo il catechista non deve avere la pretesa di fare una lezione di teologia, ma deve usare un linguaggio semplice, diretto, spirituale e soprattutto deve portare la sua testimonianza personale. Con la testimonianza si rende gloria a Dio per le meraviglie che ha compiuto nella vita di ciascuno. La testimonianza non è tanto un presentare dottrinalmente Dio, quanto un annunciare kerigmaticamente le sue opere. Paolo VI, nella sua esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, ha affermato che "l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni" (n, 41). Ogni cristiano, per il fatto stesso di essere stato battezzato, è chiamato dallo stesso Cristo a rendergli testimonianza "sino agli estremi confini della terra" (At 1,8) La testimonianza deve rispondere alle seguenti caratteristiche: a) Personale: testimoniare quello che il Signore ha fatto per me. Bisogna poter ripetere le stesse parole di Maria: "Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente" (Lc 1,49). Non serve ripetere testimonianze ascoltate o lette, ma raccontare la propria esperienza. b) Alta voce, cioè deve poter essere ascoltata da tutti i presenti. c) Breve: le cose brevi sono le più efficaci; non bisogna dilungarsi su dettagli insignificanti e secondari, ma andare direttamente all’essenziale. d) Cristocentrica: deve esprimere la lode e l’amore a Cristo, ed edificare i fratelli; bisogna raccontare ciò che Cristo ha fatto e non ciò che io ho fatto. e) Gioiosa: l’incontro con il Signore deve essere manifestato con la gioia. Per essere veri testimoni dobbiamo avere in noi la potenza dello Spirito. Si è testimoni autentici quando si è assistito all’evento, pertanto si deve testimoniare solo quello che "i nostri occhi hanno visto, le nostre orecchie hanno ascoltato e le nostre mani hanno toccato" (cf. 1Gv 1,1). Senza questa esperienza personale, profonda, viva, visibile di Gesù, non lo si può testimoniare. Il testimone deve essere una persona "credibile". Nel tribunali il testimone ha un ruolo importantissimo, perché è lui, in un certo senso, che decide la sorte dell’imputato. Bisogna dire ciò che veramente si è visto, senza aggiungere nulla di più, né togliere nulla. Non bisogna inventare, Gesù non ha bisogno di testimoni falsi, ma di persone che testimoniano ciò che hanno udito, visto e toccato. La migliore testimonianza, non è quella fatta a parole, ma è quella resa attraverso le opere. Maria Maddalena, dopo aver incontrato Gesù, è diventata sua testimone, ma non tenendo discorsi, non sedendo su cattedre e salendo sui pulpiti, quanto piuttosto con la propria vita cambiata. Ella è divenuta testimonianza vivente del Signore. |