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Storia di Due
(case in) Città
Virginia Postrel
I fattori
urbanistici hanno un forte peso, nello spiegare la nota divaricazione fra aree
ricche ed esclusive, e altre accessibili. Ma ora la cosa interessa interi stati,
non più quartieri. The Atlantic Monthly, numero del novembre 2007
Nel 2000, insieme a mio marito mi sono trasferita dalla villetta in città di
tre stanze degli anni ’70 a Los Angeles in un’altra, più meno identica, ma
nuova a Uptown Dallas. A quell’epoca, le due case valevano più o meno
la stessa cifra, con la differenza che la superficie di quella di Dallas era di
quasi 100 metri quadrati in più. Poi siamo tornati a L.A., e siamo contenti di
esserci tenuta la vecchia casa. Negli ultimi sette anni, il suo valore si à
circa raddoppiato. Al contrario, quella di Dallas l’abbiamo venduta per 6.500
in meno di quanto l’avevamo pagata.
E non perché avessimo comprato in un quartiere in declino: Uptown è uno dei
migliori della città, pieno di nuove costruzioni. Ma l’offerta di abitazioni
a Dallas è elastica. Quando aumenta la domanda, per la crescita di popolazione
o dei redditi, lo stesso succede alle case: e i prezzi rimangono più o meno gli
stessi. La cosa non vale solo per i suburbi esterni, ma anche per quartieri come
il nostro, dove gruppi addensati di palazzine e condomini multipiano stanno
sostituendosi agli edifici a due piani o casette unifamiliari. É facile
costruire nuove abitazioni a Dallas.
A Los Angeles no. Qui, un incremento della domanda produce poca nuova
offerta. Anche se si seguono tutte le regole urbanistiche, è difficile avere
l’autorizzazione a costruire. Quando una compagnia locale ha comprato tre
piccoli edifici degli anni ‘20 nel nostro isolato, con l’idea di sostituir
loro un grosso condominio, nel quartiere c’è stata una grossa mobilitazione
per fermare il progetto. L’amministrazione ha dichiarato quegli edifici, certo
graziosi ma non di particolare valore architettonico, di importanza storica, e
ha fermato i lavori per un anno. L’impresa ha rinunciato, lasciando il
quartiere – e l’’offerta di case – identico. A Los Angeles, quando
aumenta la domanda di case, aumentano i prezzi.
Dallas e Los Angeles rappresentano due modelli diversi e compiuti di città
americana, a rispecchiare diverse propensioni culturali e politiche. Un modello
è quello dello stile di vita familiare middle-class, quello
proverbialmente organizzato attorno alla casa ed “equilibrato”. L’altro
premia soggetti ad alta produttività, con l’ansia di attività pubbliche,
ambienti d’arte, università di alto profilo, shopping di lusso,
ristoranti che sarebbero assai poco adatti a dei bambini. L’una offre spazio
per un’ampia varietà di redditi, con una vita confortevole a disposizione di
tutti quanti lavorano. L’altra, col tempo, si trasforma in una enclave
per ricchi. Dato che è l’esperienza quotidiana a formare la sensibilità
personale su quanto è normale e accettato, queste differenze a loro volta
portano ad una percezione contrastante delle realtà economiche e sociali. É
facile credere che la middle class sia in corso di estinzione, se si
abita a Los Angeles, ma molto meno a Dallas. Queste differenze inducono anche
diverse norme di comportamento e valori: idee diverse su cosa significhi vivere
bene. I fattori immobiliari possono essere altrettanto importanti delle
religione nello spiegare il malefico gap fra stati esclusivi e più
accoglienti.
Il modello di Dallas, prevalente nel sud e sud-ovest, considera una popolazione
in crescita un segnale di salute urbana. Le amministrazioni consentono
ampiamente di edificare, per accogliere i nuovi abitanti. Il modello di Los
Angeles, comune sulla costa occidentale e nella fascia del nord-est, contiene la
crescita urbana limitando i nuovi interventi edilizi. Invece di attirare nuovi
venuti, questo approccio premia i residenti di vecchia data con una forte
rivalutazione, e la garanzia politica che si bloccheranno i progetti non
desiderati.
I risultati di entrambe le strategie sono prevedibili: in alcuni casi,
abbondanza di abitazioni, in altri scarsità. Un lavoro di rifacimento nella
casa di L.A. un paio d’anni fa ha comportato una interessata visita di un
cugino a Arlington, Texas, fra Dallas e Fort Worth. Voleva trasferirsi lì.
Perché a Arlington, diceva, “ci si può comprare la casa da un milione di
dollari a 200.000”. Secondo il rilevamento annuale di Coldwell Banker, una
casa da circa 200 mq, quattro stanze “medio profilo”costa attorno ai 141.000
dollari a Arlington (o, per chi può spendere di più, 288.000 a Dallas), contro
il milione o o più dell’area di L.A. Quella che per l’uno è la casa dei
sogni da un milione di dollari, per l’altro è una normale casetta in una
lottizzazione.
Molta gente fa i bagagli e si trasferisce, se non a Arlington, a Las Vegas o
Charlotte. Storicamente una calamita per emigranti istruiti, la California ha
cominciato a perdere abitanti a livello di college in termini netti, a
favore di altri stati, in gran parte a causa dei prezzi elevati delle
abitazioni. Gran parte della crescita di popolazione del Sud dagli anni ’80
deriva dall’esca delle case a buon mercato realizzate nel quadro di politiche
molto permissive, secondo le ricerche degli economisti di Harvard Edward Glaeser
e Kristina Tobio. Diminuendo i coste delle case, queste scelte significano
salari reali più elevati se paragonati a quelli di lavoratori che guadagnano
nominalmente gli stessi soldi altrove: un forte incentivo a trasferirsi, anche
se non si apprezzano insetti o estati calde. La middle class mobile
gravita verso le città dove la casa è più economica. “Se si è su un
reddito di 85.000 dollari l’anno a persona, non si può comprare a Los
Angeles. Non è possibile”, spiega l’economista della Wharton School Joseph
Gyourko. E se si è più vicini alla media USA dei 45.000 dollari a persona, è
meglio fare i bagagli per il Texas.
Ciò non significa che Los Angeles o San Francisco corrano il rischio di
trasformarsi in una Detroit, in una Buffalo. Al contrario, Gyourko che chiama
“ città superstar” posti che offrono “una rara mescolanza” di
stimolanti attività per il tempo libero, e un ambiente di lavoro altamente
produttivo. Un tipo di vita a che appare “troppo veloce” e
“materialista” a quelli del North Carolina, diventa stimolante e creativa
per i cittadini più incalliti. Come mi ha detto un amico che da poco si è
trasferito da Manhattan a Santa Monica, “Quando ti dicono che un posto è adatto
a far crescere i bambini, vuol dire che è noioso”. Ma non tutti quelli
che apprezzano la vita urbana si possono permettere di abitare in questo luoghi superstar.
Aumenta il numero degli americani agiati, i ricchi fanno aumentare il costo
della vita in questi luoghi speciali, e si allarga la distanza fra le città superstar
e tutto il resto.
Chi abita questi luoghi dai costi elevati dice di non avere alcun controllo sui
prezzi delle case. Tutti vogliono abitare in California, che è già piena di
abitazioni. Qui non siamo in Texas, con chilometri e chilometri di ex campi di
cotone vuoti. Vero: i terreni costano poco e sono più abbondanti nelle aree
meno edificate del paese. Ma le aree coi prezzi alti potrebbero aggiungere molti
alloggi alle proprie superfici. Le ricerche di Gyourko, Glaeser, e Raven Saks
hanno rilevato come le zone a bassa densità attorno alle città costose tendano
ad avere il minimo di nuove costruzioni, e le norme urbanistiche più rigide
per consentirne. A dire il vero in qualche modo è più semplice costruire nelle
zone e quartieri più densamente popolati: l’opposto di quanto ci si
aspetterebbe se il problema fosse una carenza di superfici disponibili.
Alcune delle quotazioni immobiliari più elevate di L.A. rispecchiano questo
intrinseco piacere di abitarci, come mi ricordo ogniqualvolta esco di casa e
sulla soglia trovo quel tempo perfetto. Alcuni dei prezzi rispecchiano i
vantaggi di trovarsi vicino ad altri che svolgono lavori simili (provatevi a
vendere una sceneggiatura cinematografica da Arlington, Texas). Tutte queste
qualità – con gli aspetti negativi del traffico e dello smog – si
rispecchiano nei prezzi dei terreni.
Ma qual’è esattamente questo prezzo? Ci sono due modi di calcolare il prezzo
di mille metri quadrati di superficie. Si può comparare il valore di una casa
su questo terreno, con una simile su un terreno doppio. Oppure si prende il
prezzo di una casa su mille metri quadrati, sottraendo il prezzo del solo
edificio: il prezzo di costruzione. In un modo o nell’altro, si ottiene il
valore di mille metri quadrati vuoti. Cifre che dovrebbero essere più o meno
identiche. Ma non lo sono. La seconda è sempre superiore, perché comprende
anche il diritto di edificare. Ampliare i mille metri quadrati a duemila,
non dà certo il diritto di costruire una seconda casa.
In un articolo del 2003, Glaeser e Gyourko hanno calcolato questi due diversi
valori del terreno in 26 città (utilizzando dati del 1999). Hanno rilevato
grandi disparità. A Los Angeles, mille metri quadrati in più costano 28.000
dollari: prezzo nudo del terreno. Ma questo prezzo non racconta l’intera
storia, e nemmeno la parte più importante. Mille metri quadri meno il costo
della casa, fa ben 331.000 dollari: quasi dodici volte i mille metri in più. La
differenza fra il primo e il secondo prezzo, 303.000 dollari, è quanto gli
acquirenti di abitazioni di L.A. pagano in controlli urbanistici, ritardi
burocratici, limiti di densità, tasse, contributi amministrativi. É il costo
del diritto a costruire.
Un diritto che costa assai meno a Dallas. Lì, aggiungere i mille metri quadri
costa 2.300 dollari – il nudo terreno è assai più a buon mercato – e
quella superficie meno il costo di costruzione della casa fa 59.000 dollari. Il
diritto di edificare è di un quarto di milione di dollari inferiore che a L.A.
Da qui, l’enorme differenza nei prezzi delle case. Il terreno è davvero più
costoso nelle città superstar. Ma ottenere l’autorizzazione a
edificare è molto, ma molto, più costoso. Queste città, dice Gyourko,
“hanno semplicemente un infernale controllo urbanistico”.
Conseguenza indesiderata di queste scelte di uso dello spazio, e che gli
americani si stanno collocando geograficamente per reddito e stili di vita: non
più differenziati per quartieri come accadeva un tempo, ma per vaste regioni.
Le persone probabilmente vivranno circondate da persone molto simili a loro,
costruendo una mappa più polarizzata. Nelle città superstar, dove si
concentra chi fa opinione, cresce la percezione di un paese dove non c’è più
posto per un’esistenza middle-class. E gli stessi sofisticati cittadini
che si preoccupano di non riuscire a vivere adeguatamente con meno di 100.000
dollari l’anno, spesso sostengono animatamente che una maggiore densità possa
essere un elemento di degrado nella loro qualità della vita. Possono anche aver
ragione: però, come qualunque altro bene di lusso, anche quella qualità
richiede un alto prezzo.
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