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“Sostegno al contesto.”

Area Creativa 

Creatività ed educativa territoriale 

 

Toni Antolini\ area creativa di “Sostegno al contesto” 

Creatività ed educativa territoriale

1.      Agio e disagio

 

L’adolescenza è una fase evolutiva di cui spesso si mettono in evidenza i disagi, le condotte devianti, l’imprevedibilità, l’insofferenza. Spesso agli occhi degli adulti, i\le ragazzi\e rappresentano una sorta di “mutanti” (definizione comprensibile se leggete ogni tanto qualche fumetto): una sorta di problema da contenere e verso il quale elaborare strategie  in cui le nuove e le vecchie agenzie educative  (scuola, famiglia e ultimamente privato sociale) rincorrono senza comprenderli  linguaggi giovanili che cambiano velocemente e continuamente. L’insicurezza del mondo adulto verso le identità palesate dai propri giovani, si aggiunge alla lista dei fattori generanti le paure della moderna metropoli.

 

Si pone eccessiva attenzione  verso i casi più eclatanti di difficoltà o di devianza  “conclamata” dei giovani e degli adolescenti, ignorando nei fatti i comportamenti, i linguaggi, i sogni, i conflitti e le problematiche della quotidianità adolescenziale, fatta non necessariamente di disagio, ma di modalità espressive e relazionali non contemplate nè accettate dal mondo adulto, e che non trovano modalità e strumenti per esprimersi.

 

Gli adolescenti  usano un linguaggio e pongono delle esigenze da un punto di vista che spesso gli adulti (insegnanti, genitori, operatori ecc.) non possono comprendere. Piuttosto che parlare con insistenza di disagio giovanile, paventando l’adolescenza come patologia da curare, occorrerebbe ripensare la concezione e la rappresentazione che si ha dell’adolescenza, promuovere l'espressione di un angolo visuale delle ragazze e dei ragazzi, ridefinire le  prassi e gli strumenti “educativi” secondo modalità che permettano ai ragazzi di valorizzare la propria autonomia, la propria capacità creativa e che stimolino la reale partecipazione ai processi di trasformazione  che li coinvolgono.

 

La tradizionale cultura dell’”intervento sociale”  che attraversa trasversalmente i Servizi, il privato sociale, la scuola, parte dal pregiudizio di chi pensa di aver capito l’altro, i suoi bisogni i suoi sogni, il territorio che abita, a volte senza averlo mai attraversato, abitato, producendo una serie di interventi, che pur partendo dalle migliori intenzioni, da metodologie all’avanguardia (spesso enunciate e\o applicate aprioristicamente: la moda della rete, dell’intervento dal basso, ecc.) risultano divenire l’ennesimo contenitore vuoto, un intervento “per” i giovani a cui i giovani spesso sono assolutamente indifferenti perché privati di alcuna influenza (di potere e quindi di interesse) sul percorso e sui contenuti dell’intervento “educativo”. Tale modello vuole ignorare che non esiste reale partecipazione (e quindi interesse), se non esiste libertà di progettare. Non c’è libertà di progettare se non c’è condivisione di comunicazione, di linguaggi, accesso ai percorsi decisionali e al sapere tecnico (come si fa per poter fare). Invece di stimolare partecipazione la si inibisce, riducendola a indifferenza per tutto ciò che gli adulti propongono come “percorso educativo”.

 

Accanto a servizi destinati a una particolare utenza, con  lo scopo di intervenire sul disagio, possono sorgere “progetti di sviluppo” dove i ragazzi\e stessi si configurano come  attori principali del progetto, un modello basato sulla partecipazione, che si nutre di flessibilità, indeterminatezza, incertezza, modificazioni in itinere; modelli che prevedono la maggior attenzione all’aggregazione  informale, alle reti sociali, al tam tam tra gruppi di affinità, richiedendo agli operatori un ruolo meramente di facilitatore della comunicazione, di esplorazione delle possibili connessioni tra soggetti e gruppi, prevedendo un ruolo strategico dei servizi pubblici, come sostenitori, potenziatori, delle risorse, incoraggiando il superamento di percorsi statici di schemi organizzativi aprioristici.

 

 Queste le considerazioni da cui e’partita l’esperienza dell’area creativa di “Sostegno al contesto”. L’equipe di lavoro,  in conseguenza di fallimenti, parziali vittorie, intuizioni, ha cercato di trovare un approccio pragmatico ed orientato al coinvolgimento diretto dei giovani, offrendo ai ragazzi e ragazze la possibilità di appropriarsi di strumenti con i quali esprimere le proprie modalità e i propri linguaggi, senza essere necessariamente veicolati dal mondo adulto.

 

Una prassi che orientandosi sull’educativa territoriale, partendo da  una concezione del mondo giovanile non come oggetto di intervento ma come risorsa da sostenere a partire dai bisogni che esprime, dalla capacità di autorganizzarsi per farvi fronte, dall’esigenza di comunicare, dai linguaggi che usa, si è concentrata nei luoghi e sul territorio abitato dai ragazzi, in una modalità che ha cercato  nei ragazzi\e il partner potenziale per avviare percorsi, cercando di estendere il coinvolgimento alle comunità territoriali ed all'amministrazione pubblica e scolastica,

 

La riflessione sul pianeta giovanile, sulle sue modalità  di comunicazione, su come sostenerlo nel riappropriarsi di strumenti altrimenti non alla sua portata, è  stata alla base di un intervento che ha mirato non solo e non tanto alla prevenzione del disagio ma al protagonismo dei ragazzi\e, così come sono e come si rappresentano, senza avere ambizioni “educative”, laddove l’educazione è concepita come attrazione dei ragazzi nella sfera etica e comportamentale degli adulti.

 

Si può lavorare con i ragazzi senza dover indurre  loro a mutare il proprio linguaggio ed espressività, e stimolando l’uso creativo e l’autogestione  degli strumenti (il video, la musica lo sport, il teatro ecc.) come modus per riconnettere la comunicazione e l’interazione con il contesto sociale di appartenenza, influenzando e modificando le rappresentazioni e le percezioni che il mondo adulto ha della realtà giovanile.

 

L’agire insieme per far fronte ad un problema, cercare soluzioni condivise,  può creare un vissuto emotivo e quindi una appartenenza rassicurante e non legata alla paura e alla chiusura. In questo senso l’operatore di strada può stimolare attraverso il “fare insieme”, processi di condivisione di vissuti emotivi, di qualità dello scambio. Esperienze di questo tipo lasciano dei racconti, una memoria, la condivisione di un mito, appartenenze vissute piacevolmente (l’essere accomunati dall’agio piuttosto che dalla paura o dal disagio). 

 

Si è cercato in questo percorso di:

·          evitare di concepire i ragazzi come utenti di un servizio o veicolo per la visibilità del progetto (più ragazzi aggreghiamo più il progetto “produce”)

·         Evitare di concepire gli strumenti quali le unità di strada, i laboratori e le attività creative in genere  come  strumento per “agganciare” i ragazzi\e attraendoli in contesti chiusi ed autoreferenziali isolati dalla realtà del territorio

·         Rimettere in discussione (a volte abbandonandoli) obiettivi e strumenti condividendoli con i ragazzi, imparare (essere “educati”) da loro per capire la direzione da percorrere insieme. Se serve essere pronti a ripartire da zero, imparando l’ umiltà di assumere come nuove priorità i bisogni con cui si viene in contatto,

·         Resistere alla tentazione di sostituirsi ai ragazzi,  sostenendoli  piuttosto che intervenendo per “salvarli” o risolvere per loro.

 

In questo modo il Progetto\area creativa ha potuto produrre anche discreti risultati quantitativi, consapevoli che il percorso è stato costellato da alcune luci e da tante ombre, fallimenti, incomprensioni riguardanti spesso il rapporto con le agenzie educative, il privato sociale, ancora una volta gli “interessi di parte” del mondo adulto.

 

 

2. Progettare “per” o “con” (darsi degli obiettivi e saperli abbandonare)

"L'umanità diventa umana quando inventa la debolezza - la quale è fortemente positiva" (Serres).

Sostegno\area creativa ha scelto consapevolmente di non darsi un'identità troppo forte, un’eccessiva visibilità progettuale. Di fronte ai fallimenti iniziali (difficoltà ad “agganciare” i ragazzi sulla strada, difficoltà a far vivere i laboratori) si è dovuti ricorrere a una necessaria elasticità, teorica, pratica, ci si è dovuti liberare dall’ansia di apparire, di determinare passaggi. Si è cercato di aprire il progetto  ai bisogni manifestati dai ragazzi nelle occasioni di contatto (presenza in strada, videobox, ecc.), andare in crisi di identità di fronte alla difformità delle nostre aspettative nei confronti del reale, di fronte al quale ci  si è dovuti “indebolire” per recepire dai ragazzi linguaggi, bisogni risorse, in breve “nuovo sapere”. Siamo strati costretti, dalla nostra sede vuota, dai laboratori poco frequentati, ad abbandonare il luogo chiuso e rassicurante, andando nei luoghi frequentati, nelle piazze, nelle scuole, lavorando prima coi ragazzi, in seguito nella comunità del quartiere, affrontando conflitti e non\comunicazione, mediando tra le generazioni. Laboratori itineranti per tutto il municipio, brevi stages, stimolando curiosità, interesse, prendendo contatti, rimettendo in comunicazione ragazzi di diverse comitive, di diversi quartieri…costruendo così una rete fatta di tanti nodi e di nessun centro. La sede ha continuato ad essere vuota o poco frequentata, ma a questo punto non interessava più a nessuno, la ricchezza era fuori di lì.

 

 L’operatore, in questo caso è stato un “soggetto debole”, permeabile, che ha fatto di questa permeabilità la sua risorsa, indispensabile per essere contemporaneamente sia soggetto esterno (un adulto), sia soggetto partecipe empaticamente. Un atteggiamento che ha visto l’operatore farsi ponte della comunicazione tra i ragazzi e tra questi e gli adulti.

 

Tale  modello è la risultante della reciproca contaminazione tra il “fuori”, l’operatore, i contenuti di cui è portatore, e il “dentro”, le modalità espressive, i linguaggi e i bisogni propri dei gruppi giovanili con cui si viene a contatto.

 

 Il riconoscimento da parte dei ragazzi dell’operatore e del suo ruolo ha rappresentato una parziale ma significativa modificazione della comunicazione preesistente tra una figura adulta e i ragazzi. Questo riconoscimento da parte loro, inserisce l’operatore nella “storia”, nel vissuto gruppale, ha modificato dall’interno (e non imposto) il flusso, lo stile il modo della comunicazione.


Un
lavoro che puntando al potenziamento della creatività ha esplorato le modalità  che i ragazzi usano per modulare le proprie identità, a partire dai vissuti, dall’ emotività, relazioni, simbologie, linguaggi, modi di abbigliarsi, musica ecc.; puntando alla valorizzazione  delle potenzialità  dei ragazzi, mettendo a disposizione i “mezzi” e gli strumenti per comunicare  i propri linguaggi e costruire le possibilità di una gestione  del tempo vissuta come positiva.

 

Esplorare  e comunicare con il mondo degli  adolescenti,  attraversare le sue dinamiche, i suoi conflitti, i  luoghi abitati per la socialità, è stata la premessa per iniziare un lavoro che avesse un senso per i ragazzi\e e non fosse da loro vissuto come un’intrusione\imposizione degli adulti. Tale lavoro poi, spesso non sarebbe sufficiente se non si operasse in relazione ai bisogni espressi dai ragazzi, costruendo insieme  un percorso comune, verificandolo  dentro i processi reali.

 

 I ragazzi sono motivati alla partecipazione, se sviluppano  senso di proprietà riguardo i percorsi possibili,  si sentono competenti, sentono di avere potere. Il progetto è partito da una serie di domande , che cosa serve, quale supporto si può fornire ai ragazzi, come poter fare in modo che i soggetti si possano sentire responsabili, capaci e in possesso del potere necessario per intraprendere azioni? Come utilizzare la creatività, la fantasia, il sogno, il tempo libero, per produrre cambiamenti? La risposta a queste domande appare indispensabile per lo sviluppo di qualsiasi percorso che non voglia rimanere indifferente alla realtà giovanile che vorrebbe coinvolgere.

 

 Le soggettività, le potenzialità dei ragazzi,  non si sviluppano secondo noi costruendo luoghi chiusi di sfogo e di contenimento, ma creando sulla strada, nei luoghi abitati spontaneamente, nelle scuole, le condizioni e percorsi che rendano agevole ed accogliente la partecipazione e l’espressione, che sostengano e stimolino il “fare”, favorendo così un apprendistato educativo  basato sulla fiducia nella possibilità di arricchirsi reciprocamente in un rapporto tra diversi, in cui il compito dell’operatore è quello di coprogettare, sostenere e accompagnare esperienze che consentano ai ragazzi di “formarsi” nei loro rapporti reciproci e nella possibilità di comunicare a partire dal proprio linguaggio.

 

Il futuro di questi embrioni ancor fragili di esperienze, necessita di  una comunicazione positiva e meno sporadica con le istituzioni scolastiche e con i servizi preposti alle politiche giovanili, come necessaria premessa per sostenere i percorsi nel tempo, a fornire quadri  di riferimento.

 

Tale concetto di partecipazione, consiste nel coinvolgere le agenzie educative (scuole, istituzioni, associazionismo ecc.), in una reale e concreta comunicazione con le attività che vedono protagonisti i ragazzi,  in un ottica  in cui occorre  non concepire i giovani come “utenti” da far accedere a servizi   o per i quali “organizzare qualcosa ”, ma per rimodellare le rispettive identità. Una riscrittura in itinere delle attività realmente partecipata ed informata, in cui l’attivazione delle competenze e dei vissuti dei ragazzi può generare soluzioni non ancora elaborate dal sapere codificato di istituzioni o di “esperti”.

 

In realtà la comunità, il territorio, i gruppi giovanili, i loro genitori, sono il contesto che influenza ed è influenzato dal lavoro sociale, il quartiere è un luogo dove esistono risorse e non solo problemi, dove si generano risposte potenziali o concrete, spesso informali e non rilevate, e non solo richieste di assistenza e di protezione sociale.

 

Si evidenzia qui l’esigenza di una cultura che parta dalla rimessa in comunicazione dei soggetti e delle potenzialità di giovani ed adulti, come elemento di valore intorno al quale costruire reti sociali. Percorsi in cui la “rete” è un attore sociale che sviluppa se stesso e diventa essa stessa comunità, legame persistente nel tempo, non vincolante, piccolo gruppo dinamico che “solidarizza evolutivamente” grazie alla condivisione delle esperienze,  e che nel processo di autocostruzione sviluppa competenze concrete, apprendimento, prestazione, aiuto tra i componenti.

 

Spesso istituzioni, associazioni, operatori sociali, educatori, in breve gli “adulti esperti”, tendono ad azioni di coinvolgimento dei ragazzi\e su propri interessi, azioni, attività, linguaggi che ritengono opportuni ed importanti per un processo educativo. Tale processo si sostanzia nel tentativo di far entrare “i giovani” nella propria sfera di influenza attraverso un’idea, una proposta. Tale processo si caratterizza spesso in alcune costanti:

 

·         Spesso il processo di coinvolgimento parte dalla volontà di attrarre i ragazzi\e nel proprio campo di di influenza. Accade che appena questi vengano “agganciati” venga indicata loro una direzione da prendere, una prescrizione di comportamento che dà alle persone coinvolte la sensazione di perdita di potere che ne determina l’allontanamento.

·         A volte, gli operatori  partono dall’organizzazione di eventi, di feste, con l’intenzione di essere utili per la popolazione giovanile. L’organizzazione di catene di eventi hanno il risultato di alimentare un rito fatto di effimero consumo e di riprodurre l’effetto delega. Se il coinvolgimento non produce l’effetto di una reale partecipazione delle persone, passa il messaggio che  qualcuno debba sempre coinvolgere gli altri, che i ragazzi\e siano privi di interessi e che qualcuno debba crearlo. Si  percepisce la comunità giovanile come contenitore vuoto che paradossalmente non si riempie mai, perché in realtà si finisce per riprodurre l’effetto delega che si intendeva combattere.

·         Si ha fretta  di responsabilizzare i ragazzi “agganciati” disegnando astrattamente modelli di interazione eccessivamente rigidi e strutturati che spesso si infrangono di fronte alla realtà, cercando di adattare la realtà all’idea preconcetta di come i ragazzi dovrebbero, nell’ottica dell’operatore, organizzarsi. La preoccupazione maggiore diviene quindi quella di controllare ciò che avviene, piuttosto che mobilitare le energie esistenti e spesso non visibili immediatamente. L’equivoco nasce dal pensare di agire per qualcuno in sua assenza.

 

Per tutti questi motivi diviene fuorviante una definizione dei bisogni in base alla percezione soggettiva dell’operatore, che interpreta spesso in base alla sua formazione, alle sue esperienze, alle sue aspettative. Per ovviare a questo rischio occorre lavorare a condizioni in cui i ragazzi\e possano esprimersi e a definire i bisogni che vivono come importanti. In questo modo gli si riconosce  il potere decisionale, in modo tale che il desiderio di poter cambiare venga vissuto come una necessità e non come qualcosa rispondente ad aspettative del  mondo adulto.

 

Nella nostra esperienza, si è passati dalla frustrazione delle aspettative degli operatori ad un processo di ridefinizione del metodo adottato, passando dal “lavoro per attirare le persone in modo che si responsabilizzino” al lavoro “ per scoprire a quali condizioni le persone possono e vogliono partecipare, dove il coinvolgimento assume significato e  permette ai ragazzi di riconoscersi protagonisti della soddisfazione dei propri bisogni.

 

Nel caso dell’esperienza fatta durante le attività creative si è cercato di lavorare alla

 

1)      definizione dei bisogni attraverso il “mezzo” ludico, esperienze creative il cui contenuto si adatta e risponde ai bisogni e ai linguaggi (media autogestiti, occasioni di attività collettive, sportive e di altro tipo)

2)      comunicazione o all’influenzamento reciproco,  decisionalità, senso del poter fare, consapevolezza della possibilità di realizzare aspettative

3)      condivisione di un percorso tra operatori e ragazzi e ri (co) progettazione delle attività, in prospettiva della autogestione di queste

4)      rapporti di rete a partire dalle attività concrete presenti sul territorio (e non dalle esigenze di visibilità delle strutture)  rimessa in comunicazione delle esperienze (al livello degli operatori), e il confronto tra vissuti diversi (a livello dei ragazzi\e). Su queste basi sono nati momenti di interazione a livello di Municipio e successivamente cittadino (rete Educazione , Territorio, Cittadinanza)

 

 

4. Perche l’area creativa all’interno di “Sostegno al contesto”

 

Il sentirsi parte di un gruppo è dovuto a un vissuto emotivo o simbolico  più che a un legame concreto. Attraverso attività ludiche e simboliche (l’evento, la festa, la condivisione di una esperienza positiva), il legame emotivo o vissuto può essere stimolato ad agire attraverso la relazione creativa, ricreando appartenenze di gruppo fondate sulla cooperazione e il cambiamento sulla creazione di “valore comune”.

 

Il linguaggio e l’occasione del gioco, ricreano uno spazio e un tempo in cui esistono regole diverse da quelle quotidiane. La festa di piazza, una partita di calcio, il momento della condivisione creativa, possono essere recepiti come quel contesto, quello spazio\tempo propri del gioco, in cui le regole del quotidiano sono temporaneamente sospese, non valgono più, un tempo e un luogo in cui altri linguaggi (i linguaggi artistici, la pittura, la danza, la musica, la teatralità ) creano piacere, vicinanza e condivisione, sono veicoli per la relazione umana, al di là delle separazioni del mondo “reale” fatto di conflitti, di non comunicazione e di bisogni insoddisfatti

 

Il piacere del gioco, della festa, del momento creativo proprio sia del laboratorio strutturato che del libero uso dello strumento artistico o tecnologico, o dell’evento musicale o sportivo, lo star insieme e il convivere in uno spazio\tempo, offrono una vasta possibilità per poter comunicare, trasferire, aggregare, stimolare la solidarietà fra gli esseri umani. Favorisce e modula la presa di contatto con le proprie emozioni e le emozioni “dell’altro” nella sua essenza di essere umano, contribuendo a creare codici di comunicazione condivisibile.

 Il processo avviato dall’area creativa, si è proposto come modello di comunicazione e relazione tra vari spezzoni giovanili del territorio municipale, provenienti da contesti e vissuti diversi, stimolando l’attivazione del singolo o del gruppo, stimolando una relazione improntata alla collaborazione con i propri coetanei, con il proprio territorio e col resto della popolazione.

Si è cercato di uscire da un modello di “intervento” sui ragazzi strutturato e circoscritto al contesto di un apposito spazio (centro di aggregazione giovanile) cercando di comprendere, attraversando i vari quartieri, le scuole, i luoghi di aggregazione spontanea, le modalità possibili di espressione dei bisogni e della comunicazione spontanea, usando l’attività creativa come espediente momentaneo del “fare insieme” per entrare in comunicazione, offrire l’occasione per esprimere bisogni, immaginare sviluppi possibili, rimettere in comunicazione energie e risorse. Questa nuova visione dei processi ha fatto si che l’operatore  non fosse percepito come il tramite di un servizio, l’ultimo espediente educativo di un mondo degli adulti che fa di tutto per condurre  i ragazzi verso modelli di comportamento, ma semplicemente come colui che mette a disposizione gli strumenti (la videocamera, il calcio, un computer) per poter liberamente agire, creare, comunicare.

 



Volendo definire il concetto del  fare insieme in relazione alla lettura dei bisogni diremo che:

 

·          L’attività creativa,  non è il fine,  non pretende di soddisfare bisogni, ma è il mezzo per farli emergere

·         E’ contemporaneamente un processo educativo alla (co)progettazione sui bisogni che nell’attività emergono

·         E’ un mezzo per intraprendere azioni per la rimessa in comunicazione, la gestione dei problemi e il cambiamento

I suoi obiettivi sono costituiti da tre aspetti interdipendenti:

 

·         Conoscenza dei bisogni

·         Apprendimento; dal fare insieme si apprende il senso del poter fare.

·         Cambiamento, si creano le condizioni per utilizzare le proprie risorse e aspirazioni per
progettare il futuro

 

Non è questo un processo di “diagnosi” delle capacità e aspirazioni dei singoli e dei gruppi  basata sulla separatezza tra “operatori e “utenti”, tra medico e paziente, con compiti diversi e definiti a priori. 

 

I ragazzi non sono un soggetto passivo, né l’operatore è una realtà separata. La conoscenza di una comunità giovanile, comporta un’ azione di valutazione, di comportamenti, di condizioni di modalità di esistenza, di relazioni, che rimandano ad una cultura giovanile, con le sue norme e la sua storia che l’operatore non è in grado di giudicare.

 

L’attenzione è stata posta sul processo attraverso cui si “costruisce insieme” e sul ruolo che nel percorso  è svolto dagli stessi ragazzi, che sono gli unici che possono leggittimare  l’agire dell’operatore. Attraverso questo processo la comunità giovanile può essere in grado di leggersi, in un processo in cui la lettura dell’ operatore diviene solo un fattore di una  lettura dinamica e plurale.

L’attività creativa e la lettura dei bisogni che lì emergono, diviene così un momento del processo di cambiamento, coincide con il processo di presa di coscienza dei soggetti delle proprie potenzialità, delle proprie condizioni, delle proprie risorse, dei propri limiti.

 

5. Dalla rete delle attività creative del V Municipio alle equipe trasversali a territori e progetti

Su queste basi, è stato avviato un confronto tra alcune delle esperienze creative delle associazioni\progetti operanti  nel territorio della V Municipio; gli operatori delle diverse strutture si sono confrontate su vari aspetti problematici delle rispettive esperienze, sui tratti comuni e sulle possibili interazioni, in un campo, quello delle attività creative, in cui ognuno ha sviluppato una sua particolare competenza e attitudine, ma che vede anche vaste possibilità di sviluppo di sinergie. Da questa prima fase è nato il tentativo di  mettere in comunicazione sia le varie attività ed esperienze creative esistenti sul territorio Municipale, che i ragazzi che vi partecipavano.

Attraverso tale confronto è emersa la necessità di avviare trasversalmente alle strutture e agli opertori (a livello municipale e successivamente a livello cittadino) una riflessione comune e una coprogettazione di interventi che investissero, rendendo protagonisti i ragazzi\e, i rispettivi ambiti e contesti quotidiani: i laboratori che frequentano, i luoghi di aggregazione spontanea, gli ambiti che condividono con gli adulti (la scuola, gli spazi urbani) con cui spesso esiste una difficile comunicazione.

Questo confronto ha sviluppato a livello locale e cittadino una serie di attività creative in rete (o gruppi di lavoro) in relazione alla gestione di percorsi, scambi di esperienze, organizzazione di tornei di calcetto intermunicipale, laboratori creativi in comune. Successivamente tale contaminazione a più livelli ha prodotto la  rete cittadina “ETC”, attraverso momenti di incontro cittadino (Convegno “educazione territorio e cittadinanza” presso la scuola media Leonori in XIII Municipio) e nazionale (Seminario “passione e intelligenza”, Novembre, Verona). Sono state complessivamente coinvolti i progetti 285 di  sei Municipi, i progetti di Mediazione sociale, scuole, associazioni sindacali, singoli operatori sociali e insegnanti, trenta associazioni del privato sociale a livello nazionale. Il dibattito è proseguito in un magma di scambi tra territori, gruppi trasversali di lavoro, confronto coi ragazzi sui territori e tra i ragazzi dei vari territori, costruzione di un sito comune e di un confronto telematico (www.minoriarischio.it, dove per minori a rischio si intende non tanto i ragazzi ma proprio le esperienze di educativa territoriale che nel panorama culturale Italiano e romano in particolare sono appunto una minoranza a rischio..)

Ci si è interrogati  sul senso che le attività proposte avessero per i giovani che le frequentavano, ma soprattutto per coloro che NON le frequentavano, come arrivasse loro la comunicazione (o come NON arrivasse), quale uso del tempo libero i ragazzi facessero e soprattutto quanto le attività proposte li coinvolgessero realmente. Da qui il processo di costruzione di un convegno atipico quale “Adesso parliamo noi”, un momento che si sforza di nascere dentro un processo di costruzione e continuare in futuro come tale, avendo nella trasversalità il suo motore.

All’interno di questo processo che parte da gruppi di lavoro, dal lavoro territoriale, da momenti di confronto continuo che oggi potremmo definire potenziali Equipe Trasversali di Lavoro (trasversali alle strutture del privato sociale, ai vari progetti 285, ai vari territori delle periferie romane), sono stati messi in comunicazione e si sono incontrati i ragazzi e i genitori di tanti quartieri romani, Quartaccio, Ottavia, Montemario, Pietralata, Tufello, Rebibbia, Tiburtina, ecc. L’ obiettivo ancora da raggiungere ma di cui si stà lavorando  è  quello di creare, non solo e non tanto una rete di operatori e di attività tesa al confronto sui metodi adottati, ma reti territoriali e transterritoriali tese alla rimessa in comunicazione dei ragazzi, alla restituzione della parola e della legittimità di decidere e di progettare a partire dall’autogestione da parte loro di alcune attività, alla creazione di canali di comunicazione mediale (giornali, siti internet, videotape, produzioni musicali) trasversali ai singoli territori, strutture, gruppi.

In particolare si stà lavorando  a un momento di messa in  comunicazione delle varie esperienze creative e dei tanti giornali di quartiere esistenti, uno spazio a disposizione e gestito dai ragazzi dei vari territori e delle scuole,  uno strumento non solo cartaceo ma che può tramite la rete telematica essere a disposizione di chiunque, un “giornale dei giornali di quartiere” il cui scopo sia la rimessa in comunicazione orizzontale di gruppi redazionali o di singoli , uno strumento autoprodotto  e autodistribuito nei luoghi di abituale frequentazione. Un esperimento che mira a rappresentare un occasione di espressione dei bisogni e dal quale far partire una reale progettazione partecipata di ulteriori esperienze creative. E’ essenziale ribadire che questo non sarà “il corriere dei piccoli”, i cui contenuti sono filtrati da adulti e operatori, ma quello che ci si scriverà  sarà  proprio quello che i ragazzi esprimono così come sono.

   

6. Perché l’educativa di strada è una risorsa da sostenere (e fa bene alla salute…dei territori e delle generazioni adulte)

 

Le varie attività di educativa territoriale, ci parlano della necessità di processi che, a partire dai giovani, si rivolgono all’intera comunità, comunicano con gli adulti e gli anziani, coinvolgono le donne come elementi attivi e propositivi. Occorre un approccio nuovo al territorio urbano, un approccio che ci consenta “a partire dalla strada” e dalle comunità giovanili e a partire dai bisogni che si esprimono nei territori, di poter  lavorare all’interno delle comunità  di quartiere, di poter di nuovo agire sul senso di appartenenza e sulla convivenza.

 

I progetti di “Educativa territoriale”, spesso hanno lavorato “oltre” il semplice intervento su un target di popolazione (in questo caso l’adolescenza), prendendo in considerazione il territorio nella sua interezza e complessità, lavorando realmente in rete con l’associazionismo locale, le scuole. Spesso l’incontro con altre metodologie ed esperienze (ad esempio la Mediazione Sociale, l’arteterapia, i tradizionali modelli di intervento dei comitati di quartiere, alcuni direttori didattici e insegnanti) ha rappresentato un’esperienza di reciproco arricchimento e contaminazione, facendo crescere il senso di responsabilità individuale e sociale nei confronti del degrado ambientale, della qualità della vita nei quartieri, individuando nella comunità territoriale il luogo e i soggetti privilegiati per ricostruire momenti di socialità, di mediazione e di gestione del territorio.

 

All’interno di questo percorso si è potuto verificare l’importanza del ruolo dei giovani all’interno delle dinamiche comunitarie e territoriali e come divenga necessario  l’integrazione di interventi che vedono protagonisti i giovani con le istituzioni scolastiche, con azioni riguardanti la mediazione dei conflitti e la riqualificazione del territorio e del verde, per promuovere e sostenere una cultura e delle prassi che vedano anche i giovani protagonisti insieme a tutti gli altri attori coinvolti in relazione alle politiche di sviluppo delle comunità

 

Ci riferiamo alla necessità di una attenzione diversa, in primo luogo delle Amministrazioni, ad una metodologia che concepisca la prevenzione del disagio giovanile come non separabile da un lavoro più generale sulle comunità giovanili e il contesto sociale di appartenenza dei giovani, un’ottica dove venga restituita centralità ai bisogni e alle problematiche, partendo dall’adolescente come parametro di una delle possibili letture del territorio, attraverso l’inclusione dei linguaggi dei ragazzi\e nella molteplicità dei linguaggi che modellano l’ambiente di vita, ristabilendo la comunicazione tra le varie generazioni, capendo le modalità adatte alla ricostruzione del tessuto sociale.

 

L’esperienza sin qui realizzata ci mostra anche che il degrado urbano potrebbe essere affrontato puntando all’attivazione e valorizzazione delle capacità critiche, comunicative e relazionali dei bambini e degli adolescenti,  dal loro bisogno di “stare insieme”, del loro bisogno di “fare cose giocando”.

 

Si è “giocato”  a recuperare e mantenere in vita i luoghi della convivenza sociale, piazze e spazi verdi mettendo in relazione positiva identità personali, sociali, generazionali ed etniche, inventando e strappando al degrado e all’abbandono luoghi pubblici e collettivi, oggi abitati e partecipati perchè nati e progettati dalle categorie sociali e generazionali che abitualmente li abitano.

 

L’approccio sperimentale scelto da molti degli operatori sui territori è partito dalle aggregazioni giovanili, informali attribuendole il ruolo di reale attore del mutamento, cercando insieme ai ragazzi e alle ragazze, la possibilità di apportare mutamenti al proprio ambiente quotidiano rompendo una tradizione di vandalismo bei confronti dell’arredo urbano e degli spazi pubblici, ricercando la mediazione tra le esigenze dei ragazzi\e e quelle degli adulti rispetto all’uso dello spazio.

 

Le aggregazioni spontanee di giovani, “le comitive” e le loro modalità di uso dello spazio urbano, testimoniano il bisogno di condivisione di un territorio e di stili di vita, un sentirsi parte di un insieme. I giovani usano strade, parchi e piazze per le loro esigenze di socialità, ma senza percepire quegli spazi come risorsa, come possibilità di crescita, anzi spesso, proprio lo spazio urbano, diviene luogo di conflitto e oggetto di vandalismo.

 

Il marcato innalzamento del vandalismo in spazi pubblici, nei confronti dell’arredo urbano e delle scuole sono testimonianza del non riconoscimento come propri i luoghi in cui si vive quotidianamente. Tale dato contraddice contemporaneamente la forte tendenza delle aggregazioni giovanili spontanee all’abitare il territorio durante il tempo libero, al riempire di significato le piazze e gli spazi comuni.

 

Favorire le condizioni in cui i ragazzi\e possano esprimersi con consapevolezza sulle scelte e sui cambiamenti dell'assetto urbano, sull'organizzazione della vita sociale, sulle strategie ambientali è divenuto in molti casi uno degli obiettivi delle esperienze di incontro reciproca contaminazione tra operatori e progetti che utilizzano l’approccio rappresentato dal lavoro di comunità, dall’educativa territoriale, dalla mediazione sociale. In alcuni casi, tali esperienze  hanno trovato a livello operativo, sul territorio, il modo di integrarsi, coinvolgendo i gruppi di adolescenti, ristabilendo la comunicazione  con la  popolazione adulta, rendendo vissuti ed abitati luoghi prima percepiti degradati ed insicuri, cercando di capire le modalità adatte alla ricostruzione del tessuto sociale, agendo per il potenziamento delle risorse umane dei quartieri e il recupero di appartenenze in contesti in cui l’assenza di identità è una delle principali fonti di isolamento sociale, di devianza e di insicurezza tra la popolazione.

 

Valorizzare l'originalità della prospettiva "a misura di adolescente" ,  come parametro di una delle possibili letture del territorio, attraverso l’inclusione dei suoi linguaggi, dei suoi bisogni e comportamenti  nella molteplicità dei linguaggi che modellano l’ambiente di vita, restituendo ai ragazzi un ruolo, che vada oltre la percezione di potenziale problematicità e di disturbo che il mondo adulto costruisce.

 

Questa è stata l’esperienza “a partire dalla strada” (ma anche dalle scuole, o da qualsiasi altro “punto di aggregazione” dei ragazzi) fatta dagli operatori di “Sostegno al Contesto”. Ma  è (con le dovute differenze dovute alla diverse storie degli operatori, dei ragazzi, del territorio e delle comunità) la stessa esperienza di tante esperienze di educativa territoriale, dei progetti di Mediazione Sociale, di molti insegnanti e scuole operanti in molti quartieri della periferia romana. E’ l’esperienza di Quartaccio, di Ottavia, di S.Basilio, dei maestri di strada napoletani o degli operatori dei vicoli di Genova.

 

Si investono risorse nella ristrutturazione di parchi e punti verdi, di piazze e di spazi pubblici di questa città, si parla spesso di lavoro di rete, di progettazione partecipata. Ma rete e progettazione partecipata spesso coinvolgono reti già formalizzate, associazioni già consolidate. Le persone sono altrove, i ragazzi sono altrove. Assistono ai cambiamenti, a una Partecipazione (con la maiuscola) che ha tempi e modi che non li incontra mai (o quasi mai).

 

Occorre un modo diverso, una partecipazione con la minuscola, che si nutre di informalità, che parte dai ragazzi\e e dalle comunità del territorio, dalle persone in carne ed ossa. Occorre costruire sui territori processi globali, fatti di presenze leggere e disposte a mutare come il territorio richiede, operatori che divengano meticci (in parte operatori in parte divenuti interni e vicini alla comunità), che sappiano ascoltare, restituire, coprogettare, coinvolgere.

 

 E occorre la stessa umiltà, sensibilità e capacità di ascolto da parte degli amministratori. L’ascolto necessita di tempo e pazienza, perché il tempo dev’essere quello del territorio, il tempo di divenire consapevole delle potenzialità creative che racchiude. Occorre comunicazione, nel territorio e tra gli amministratori. Occorrono “piani di sviluppo sociale” che accompagnino i piani di recupero urbanistico e del verde. Che prevedano  un lavoro sulla mediazione dei conflitti nella comunità integrati con interventi più specifici di educativa territoriale e che prevedano una ruolo della scuola nei confronti del territorio.

 

E  per fare questo occorrono operatori formati al lavoro nella comunità, che sappiano lavorare sui conflitti, che sappiano leggere e tirar fuori potenzialità. Occorre un privato sociale, che non persegua il solo interesse di parte ma che comprendano la “convenienza” di praticare e non di enunciare soltanto, il lavoro di rete sul territorio.

 

Occorre una scuola che sappia ascoltare, che faciliti passaggi burocratici, che metta gli insegnanti che vogliano comunicare e attivarsi col territorio in grado di imparare e lavorare, occorrono scuole che si pongano alla pari coi tanti attori sociali, cittadini e ragazzi\e coinvolti nel processo, che si percepiscano parte della comunità e non come istituzione separata e autoreferenziale.

 

Occorrerebbe interazione tra i vari Assessorati e (possibilmente) i Municipi in relazione allo specifico territorio.

 

Allora avremo un percorso sociale  davvero partecipato, avremo parchi strade e piazze coprogettate e abitate e curate dalle persone e dai ragazzi\e, avremo non solo progetti 285, centri di aggregazione, scuole, progetti di mediazione, progetti di recupero urbano ecc., ma una serie di attori che condividono, ognuno partendo dal suo specifico, un’ obiettivo comune: la costruzione di una comunità territoriale basata sul bisogno di benessere e di agio, sulla creazione di valore.

 

Fantascienza? Forse! Dopotutto occorre vedere qualche buon film di fantascienza o leggere qualche fumetto ogni tanto, per capire dove stanno andando le più seguite (dai ragazzi) agenzie formative del momento (i media appunto), ma questo è un altro discorso.

 

Fantascienza……oppure la nostra Passione e Intelligenza.