La Città Continua

 

Documenti
Album foto
Preferiti

“Ma la vera tragedia è quel vento di casualità che regola la politica urbanistica a Milano, casualità che è vuoto di regole e di disegni”, un'inchiesta da l’Unità del 23 e 28 ottobre 2007

Oreste Pivetta

23 ottobre 2007  Signori del mattone padroni di Milano

EXPO E OLTRE La capitale dell’industria italiana è diventata la città dei mille cantieri, una metamorfosi che cambia lo skyline ma anche la mappa del potere: meno fabbriche e più immobiliaristi, vecchie volpi e nuovi arrivati. Alla fine comandano i soldi delle banche, mentre la politica resta ai margini

A Milano e dintorni molti sono in ansia, perché non è stato ancora deciso dove si farà l’Expo 2015 e la turca Smirne resta in gara, con qualche speranza a giudicare dal nervosismo che ormai regola i rapporti tra il megagovernatore Formigoni e il sindaco Moratti, tra loro e gli altri «poteri forti» della città, poco disposti a trattare con la politica.
Peggio che imbarazzante il titolo dedicato dal Sole-24 Ore di domenica scorsa ai «grandi progetti» milanesi (con paginata al seguito): «A Milano progetti da 7 miliardi a debito». La spiegazione: i cantieri di Milano nel segno delle grandi banche e degli affari.
Che sono poi principalmente IntesaSanPaolo e Unicredit (e, in coda,le altre). Tutto noto. Ma il riassunto di quei progetti gridato così in prima pagina dall’organo confindustriale, mentre sta iniziando la visita dei commissari della Bie che dovranno decidere se promuovere o meno la candidatura milanese, quel "debito" grosso grosso sbattuto in faccia non mettono certo allegria tra i partigiani di Milano internazionale. A meno che non si legga la sortita di Ferruccio De Bortoli come una perorazione: dateci l’Expo, altrimenti...

L’Expo significa tanto: per Milano è ovvio, ma anche per il destino politico della signora Moratti, ambiziosa controparte dello stesso presidente regionale nella scalata al dopo-Berlusconi, e soprattutto per la sorte dei "nuovi immobiliaristi milanesi", che non sono gli speculatori degli anni sessanta, quelli del "rito ambrosiano", quelli dei palazzoni costruiti in deroga al piano regolatore e poi "regolarizzati" dalle varianti su misura allo strumento urbanistico.
In gara oggi (ma in realtà dentro una sorta di oligopolio collusivo) nella spartizione della città ci stanno altre figure, di ben altro peso, in felice sintonia con il sistema bancario italiano, figure che non hanno bisogno di infrangere le regole e di rubare sul cemento: le regole dopo dieci anni di giunta Albertini e un anno di giunta Moratti, dopo undici anni di Formigoni, si fanno secondo il principio che è il mercato a dettarle. Dal momento che siamo tutti "liberisti" e che fermare o condizionare l’invasione del mattone potrebbe apparire poco moderno e contro lo "sviluppo".
L’Expo 2015 sarebbe una tavola imbandita per le migliore forchette, tra immobiliaristi e costruttori, ma anche tra bancari, assicuratori, famiglie di vecchia ricchezza, eccetera eccetera. Un esempio, per spiegare le attese molto concrete: la delibera del consiglio comunale che tocca l’accordo del 19 luglio scorso per la concessione in diritto di superficie al Comune di Milano di 1.280.000 metri quadrati di terreno, metà di proprietà della Fondazione Fiera Milano, l’altra metà della famiglia Cabassi, al confine con la nuova fiera di Rho-Pero. Un’area brulla. Il Comune se ne servirà, per ospitare strutture e servizi utili all’Expo 2015, permanenti, ma anche temporanei.

Chiusa l’Expo, qualcosa resterà al Comune (55 mila metri quadri) e qualcosa resterà in piedi (come una grande torre-simbolo dell’Expo), molto verrà demolito (a spese del Comune) per restituire ai legittimi proprietari (alla famiglia Cabassi e alla Fondazione Fiera cioè alla Compagnia delle opere) quel ben di Dio ripulito, aggiustato e dotato di ogni confort (cioè delle più copiose infrastrutture: autostrada, metropolitana, ferrovia, aereoporto) per destinarlo alle più belle imprese immobiliari. Naturalmente l’amministrazione comunale vigilerà e deciderà al momento buono. Intanto la bacchetta magica dell’Expo trasformerebbe una distesa incolta in una gigantesca opportunità di cemento e rendite, riservando naturalmente, siccome siamo tutti ambientalisti, la metà dell’area a verde, verde che poi, al momento, si può anche rivedere e magari tagliare e "contare" come nel grande progetto, questo nell’area della vecchia Fiera, di CityLife, dove secondo la tradizione, nella somma entrano le aiuole spartitraffico e i giardini condominiali. Quello che secondo l’ex sindaco Albertini, autentico padre amministrativo dell’operazione CityLife, sarebbe dovuto diventare il Central Park di Milano, alla fine contrapporrà la miseria di 12 ettari ai quattro milioni di metri quadri di New York, dodici ettari spezzettati appunto tra aiuole, marciapiedi, condomini.
CityLife si riconosce facilmente, è già entrato prima che si sia alzato di un metro nel cosiddetto immaginario collettivo dei milanesi e soprattutto nella protesta collettiva: è il progetto dei tre grattacieli, di Arata Isozaki, di Zaha Hadid e di Daniel Libeskind (l’architetto di Ground Zero), che l’assessore alla cultura Vittorio Sgarbi giudicò con il suo colorito linguaggio: "Tre cessi senza forma e senza figura".
In realtà il confronto, malgrado i prestigiosi architetti in gara, al momento della scelta è stato soprattutto tra cordate. Contro quelle di Pirelli e Unicredit (con Renzo Piano) e di Risanamento, Fiat Engineering, Astaldi, Ipi (con Rafale Moneo, Frank O. Gehry, Norman Foster, Cino Zucchi, eccetera eccetera), ha vinto quella internazionale di CityLife, composta da Generali Properties, Ras, Gruppo Lar Desarollos Residenciales, Lamaro e, infine, Progestim e cioè Fondiaria Sai e quindi Salvatore Ligresti.
Sono stati loro a presentare l’offerta più alta per l’acquisto dell’area:dalla base d’asta di 300 milioni di euro sono saliti fino a 523 milioni di euro. Tanto investimento fa intuire sogni d’oro, che per tradursi in realtà chiedono soprattutto volumetrie prestigiose.
Pazienza se significheranno inquinamento, congestione e persino ombra e ristagno d’aria (come ha denunciato uno dei tanti comitati in lotta). La solita "licenza" consentirà, infatti, di raddoppiare l’indice di edificabilità della zona: dal consueto 0,65 mq/mq (quello previsto a Milano per i nuovi progetti sulle aree dismesse) a 1,15 mq/mq. Conseguenza: quasi un milione di metri cubi edificabili. Visto che il valore di un terreno è direttamente proporzionale al suo indice di edificabilità sembra piuttosto evidente quale business speculativo possa celarsi dietro uno sfruttamento tanto intensivo del nuovo quartiere fieristico.

Con CityLife è tornato sulla prima linea dei mattoni Salvatore Ligresti: era un re dei mattoni negli anni gloriosi di Craxi, prima di diventarlo anche tra le assicurazioni. Ma il ritorno dell’ingegnere di Paternò rivela il meccanismo, cioè la mano pesante dei "poteri forti".
Nella deregulation milanese all’insegna del mercato, una regola almeno non può mancare e la sta dettando il vecchio democristiano manuale Cencelli, che diventa il "vero" piano regolatore. La città si ridisegna per "cordate": se la Fiera va a Ligresti, la Fiat entra all’Om, Zunino si prende Montecity (con il nuovo quartiere Santa Giulia), la Bicocca va a Pirelli, il gruppo Hines (con una straordinaria mobilitazione di banche, da Intesa a Unicredit, Mediobanca, Banca Popolare di Milano, Montepaschi, Antonveneta...) si insedia nell’affare più clamoroso quello che riguarda le aree Garibaldi-Repubblica-Isola-Varesine, cioè un agglomerato, una sorta di spina nel cuore di Milano, di grande accessibilità (metropolitana più treni e passante ferroviario).
Più tutto il resto, cioè una miriade di interventi di minor peso, che avrebbero consentito in una coraggiosa pianificazione urbana di non buttar risorse, che non sono infinite per quanto generose, le aree dismesse, le aree libere di industrie, che si contano (o si contavano, ormai) nella iperbolica misura di sei milioni di metri quadri. Interventi che si chiamano Manifattura Tabacchi (accanto alla Bicocca, ancora Ligresti), Cartiera Binda (Alzaia Naviglio Pavese), Marelli-Adriano (verso Sesto San Giovanni, cioè a nord), la ex Motta o la ex Osram. Una nomenklatura in perdita dell’industria milanese, fino agli anni settanta, che serve ora a ridisegnare in forma terziaria e residenziale (di lusso) la città, con poche eccezioni di peso sociale e culturale, ovviamente in ritardo, come la Biblioteca europea di Porta Vittoria. Più le piccole speculazioni, che si chiamano parcheggi sotterranei o che si chiamano sottotetti recuperati e rialzati, fino davvero a cambiare il paesaggio urbano, guardando dall’alto verso il basso: quasi seimila interventi contati tra il 1999 e l’anno scorso.

Nel corso di un decennio soffitte e solai, depositi di roba vecchia, sono diventati 800 mila metri con una destinazione d’uso, quella residenziale, assai pregiata in una città come Milano, in vetta nella classifica dei costi per le abitazioni: si calcola che siano state mobilitate risorse per un miliardo, che il valore immobiliare di quei sottotetti sia salito a due miliardi e mezzo o tre, che il Comune infine abbia raccolto in oneri di urbanizzazione 140 milioni di euro.
Non sono briciole anche di fronte a quanto di clamoroso è già accaduto (alla Bicocca, alla Bovisa, all’ex Portello) e sta accadendo altrove e soprattutto nell’area che fu Montecity a Rogoredo e nella zona frammentata tra le ex Varesine, la stazione Garibaldi e l’Isola. Aree infrastrutturate, semicentrali o centrali, strategiche rispetto alla città e rispetto a una idea di qualità urbana dettata dalla qualità della vita di chi dovrebbe abitarla.
(1-continua)

28 ottobre 2007

A Rogoredo, periferia industriale di Milano, a sud est, sorgerà Santa Giulia, mega quartiere di lusso progettato da una star dell'architettura contemporanea, Norman Foster, l'impresa più cospicua immaginata, tentata e avviata nel capoluogo lombardo da Risanamento Spa. Cioè da Luigi Zunino,una delle ultime stelle del firmamento nazionale del mattone e del cemento,piemontese, con alle spalle una tradizionalissima famiglia di vignaiuoli, un cinquantenne dal fisico asciutto che esprime severità, a capo di una impresa che capitalizza 1,7 miliardi di euro con un patrimonio immobiliare, in tutta Europa, che ne vale 2 e mezzo miliardi. Assai schivo,ha sempre tentato di schivare, talvolta incrociandoli, gli immobiliaristi della sua generazione e ha sempre coltivato rapporti con le banche.
Si dice ad esempio della sua amicizia Con l'ex presidente di Mediobanca,Gabriele Galateri di Genola. Dentro Mediobanca ha messo assieme un pacchetto che sfiora il quattro per cento. Nel mondo del credito, gli appoggi li trova soprattutto in Banca Intesa, che è il primo finanziatore di Santa Giulia: 726 milioni di euro per costruire le abitazioni di lusso del nuovo quartiere. Santa Giulia è appunto molta residenza di lusso, pochissima residenza convenzionata in affitto,molto terziario e due perle: un centro congressi e un grande parco, purtroppo diviso a metà dalla statale Paullese, una superstrada.
Per il Comune sarebbe dovuta diventare la nuova porta di Milano aperta sul Sud lombardo. Peccato che l'edificio in questo senso più simbolico, l'edificio pubblico, cioè il Centro Congressi, sia stato collocato sul fronte opposto della stazione del passante ferroviario (l'asse appunto di collegamento tra Nord e Sud Milano) e della metropolitana, a ottocento metri di distanza: la vera "porta", immediatamente raggiungibile con i mezzi pubblici, sarà la sede di una società privata, Sky di Rupert Murdoch, in omaggio alle enormi rendite fondiarie differenziali che saranno determinate dall'irripetibile posizione dell'insediamento.
Ma non sarebbe l'unico colpo alle ambizioni simboliche e civili di Santa Giulia, perchè il centro congressi da ottomila posti che stava tanto a cuore al sindaco Albertini (alla firma della convenzione con Zunino nel 2004) sta subendo un attacco da un altro fronte, quello della Fondazione Fiera di Milano, che non sapendo bene come utilizzare le strutture del Portello (l'edificio a ponte, un po' tempio greco, disegnato da Mario Bellini, sede provvisoria in attesa che venisse completata l'opera monumentale di Pero) s'è fatta venire la brillante idea di un centro congressi.
Entusiasta la Moratti, perplessi molti altri: che fare di due centri congressi di enormi dimensioni, come se Milano fosse un congresso via l'altro. "Improvvisazione", commenta Marilena Adamo, capogruppo Ds in consiglio comunale. Zunino pare non abbia fatto una piega, il centro congressi lo fa a spese sue, 62 milioni, "contributo oltre gli oneri di urbanizzazione". Quello della Fiera di milioni ne costerebbe quaranta. Chi pagherebbe? Ma la vera tragedia, rivelata dal conflitto dei centri congressi, è quel vento di casualità che regola la politica urbanistica a Milano, casualità che è vuoto di regole e di disegni, soprattutto di quello che si dovrebbe definire con orribile espressione "disegno organico" della città, del suo rapporto con la provincia (che ne fa una metropoli estesa di oltre quattro milioni di abitanti) e con la regione.
Niente. Cancellato come figlio del demonio comunista il piano regolatore, si sono inventati parzialissimi strumenti di un'urbanistica a richiesta: si fa quel che il padrone comanda."Milano e l'area urbana: una conurbazione senza governo", ha scritto l'urbanista Antonello Boatti in un prezioso volume, che rifà la storia, anche recente, di Milano, dei suoi piani e anche delle possibili alternative alle scelte affaristiche ("Urbanistica a Milano", Città Studi). "Un'urbanistica - spiega Basilio Rizzo, uno dei più combattivi consiglieri d'opposizione – che costruisce le sue regole sulla base di quanto pretende il mercato immobiliare". Forse perchè alla resistenza dei vincoli, poco sensibili ai mutamenti, s'è preferita la via della flessibilità attraverso la collaborazione tra pubblico e privato?
Secondo Roberto Camagni, docente di economia urbana al Politecnico, "non esiste collaborazione tra pubblico e privato, s'è imposta piuttosto una specie di collusione a spese della città". Un esempio? Scegliendo il progetto CityLife per l'area Fiera, l'amministrazione comunale non ha scelto il miglior progetto, ma quello che pagava di più per l'area: quasi mezzo miliardo di euro incassati da una Fondazione, proprietaria dell' area e istituzione di diritto privato,nata dalla trasformazione di un ente morale che aveva ricevuto quei terreni a prezzi simboliciproprio in ragione delle sue funzioni pubbliche. Al "pubblico" oggi che cosa andrà?
Non è finita, naturalmente, e non sarebbe neppure finita con il mosaico, che va tra le ex Varesine e l'Isola, cioè quel quartiere popolarissimo che sorge per chi viene dal centro al di là dei binari ferroviari,conl'aggiunta di Melchiorre Gioia. Solo per una parte, all' Isola, siamo nel campo delle aree dismesse. Le ex Varesine, ex scalo ferroviario, un'area dismessa lo sono da tempo immemorabile, teatro dei più svariati progetti mai realizzati o interrotti (come il più ambizioso progetto del dopoguerra, quello del vicino Centro direzionale). Dal lato opposto si è disboscato un'antica serra, stracarica di vegetazione: ma proprio qui il governatore Formigoni voleva il grattacielo della "sua" Regione e nessuno è stato in grado di fermarlo, non ovviamente gli ambientalisti abbarbicati (letteralmente) alle piante, non banali considerazione circa il traffico e l'insostenibilità della futura concentrazione, non certo la politica, assai distratta in nome dello "sviluppo".
A nessuno è venuto in mente che il grattacielo della Regione, poteva salire anche a Pero, ad arricchire di opportunità la nuova fiera, che non vive certo giornate di gloria e di sovraffollamento. Più di Formigoni, i protagonisti dell'impresa tra le ex Varesine e l'Isola sono le banche (l'intero arco nazionale da Unicredit ad Antoveneta), un fondo pensioni texano con la sua propaggine italiana (Hines) e, di nuovo, Salvatore Ligresti, che avevano incontrato all'inizio,dopo gli anni di tangentopoli e dopo una lunga operosità senza clamori (festeggiata con l'ingresso nel patto di sindacato del Corriere della Sera: come si spiegano certi entusiasmi giornalistici). Hines, rappresentata in Italia da un giovane architetto, Manfredi Catella, e Ligresti faranno ametà, su aree un po' loro un po' pubbliche (quelle centrali, più pregiate,masi farà il baratto), per costruire la Città del Moda, vecchissima idea, che risale ai tempi ruggenti dei sarti milanesi, ancora residenza, grattacieli, uffici, alberghi e persino la Biblioteca degli alberi, cioè il parco centrale. Indicativo che Manfredi Catella si sia generosamente offerto di ospitare nel "mosaico"delle ex Varesine il nuovo centro di produzione Rai:evidentemente non sanno già che fare di tutto il terziario che vogliono edificare.
Il costo complessivo sarà di due miliardi e mezzo. Il "mezzo" almeno lo dovrebbe mettere la Regione Lombardia per il suo grattacielo. Dalle banche (per l'intervento Garibaldi Repubblica) arriveranno intanto 464 milioni. Poi si vedrà. Hines spera di vendere a sette/ ottomila euro al metro quadro. Popolare, insomma. Anche in questo caso all'opera si sono prestati architetti di fama internazionale, come Cesar Pelli. Dopo stagioni di brutture moderniste,Milano si affida alle "grandi firme" per dar credito ad operazioni, che per essere importanti e belle mancano sempre di relazione con la città: sono episodi dettati dalla percezione del vantaggio privato più che da un' idea di città. Si costruiscono frammenti, magari ricchissimi, a prescindere da ciò che sta attorno: strade, case, funzioni, persone. Mentre il "pubblico" batte in ritirata. In tutte le città del mondo il "pubblico", cioè la pubblica amministrazione, è operatore attivo: per progettare, controllare, guadagnare. Forse per questo le altre città (da Berlino a Parigi) crescendo diventano più belle.
"A Milano - racconta Milly Moratti, consigliere comunale – manca il rispetto per la storia e manca la strategia per il presente". Manca tutto: "Viviamo tra i momenti peggiori di questa città. Nell'assenza di una visione d'assieme, si premia l'iniziativa dei singoli e la speculazione avanza e non c'è neppure più bisogno di tangenti". Chi comanda?" Ho la sensazione che non comandi nessuno. Se qualcuno comandasse, si leggerebbe un disegno coerente. Comanda un intreccio di interessi. Sicuramente non comanda il consiglio comunale espropriato delle sue funzioni: non ci arriva mai nulla da discutere. Tutto procede a colpi di mano. Facciamo il caso della Regione, che paga un istituto, l'Arpa, per dirci quanto l'aria di Milano è inquinata. Dopo di che la stessa Regione costruisce la propria sede in uno dei luoghi più congestionati e inquinati di Milano, rinunciando a qualsiasi tentativo di decentrare funzioni e uffici". "La città è in vendita" è la conclusione di Milly Moratti. Nessuno comanda. Qualcuno però comanda più degli altri.