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Intervista a James Ballard

Ecco Regno a venire, il nuovo romanzo di James Ballard. Se nel suo Crash (1973), diventato uno scioccante film di Cronenberg, le auto dominavano anche il nostro eros, qui elettrodomestici, computer e tv sono oggetti di culto. E nelle strade marciano, razzisti e volgari, i tifosi avvolti nell’Union Jack quali moderne SS in cerca di un leader.

 

«Penso che, in Inghilterra la classe operaia bianca si stia “ritribalizzando”

 

spiega Ballard.

 

«Sì, dopo la caduta delle ideologie rivendica la sua identità tribale, la tribù inglese. E lo sport è il mezzo con cui lo fa. E può essere aggressiva, violenta. Abbiamo visto tutto questo durante la Coppa del Mondo. Oggi viviamo nella cultura dei consumi; non c’è nulla, nient’altro. In particolar modo in Inghilterra, non c’è nient’altro. Nessuno più crede nelle ideologie politiche. In generale “nessuno crede”. Quella inglese è una società secolare, non andiamo più in chiesa. Le chiese sono così brutte. […] Le religioni sono morte, la monarchia non è rispettabile. Ha ucciso Lady D e il popolo britannico non la perdonerà mai. Non siamo nemmeno più orgogliosi delle nostre forze armate. E la politica ovviamente è svuotata di ogni autorità o rispetto. Il Primo Ministro britannico vive di fantasie. Lo sanno tutti che vive in un mondo di sogni. Quindi non ci resta che il consumismo: andiamo a fare shopping».

 

Ma cosa pensi esattamente di Tony Blair?

 

«È un caso triste. Come ho detto, vive di sole fantasie. Crede alle proprie illusioni, è pazzesco. Ha portato questo paese in guerra contro l’Iraq sulla base di falsità. Ha sostenuto che Saddam aveva armi di distruzione di massa; mentre ovviamente non ne aveva. Blair ci ha portati in guerra a suon di bugie. È stato un danno enorme per la pace e la stabilità del mondo e noi ne pagheremo le conseguenze. Con il sangue, e a lungo. Il fatto che abbiamo rieletto Blair è la dimostrazione che la politica non viene presa sul serio».

 

Ci sono legami tra le periferie di Londra di Regno a venire e l’Inghilterra di Blair?

 

«Legami stretti, strettissimi. Le periferie di Londra sono ai margini, vicino ai grandi sistemi autostradali. Nuove città, parchi commerciali, nuovi stabilimenti industriali, aeroporti: è questa la vera Inghilterra. La vera Inghilterra non è Westminster o Buckingham Palace: questo è solo show business per i turisti. L’Inghilterra vera è qui, dove vivo io, accanto alla M25 o alla M3. Dove hanno votato Thatcher, e poi Blair».

 

Nei tuoi libri c’e una società apparentemente piacevole e moderna che nasconde un tasso di violenza crescente. È un pericolo vero? E, se sì, in Inghilterra o in tutto l’Occidente?

 

«Sì, penso che sia una minaccia. Ricordo che qualche anno fa qualcuno mi chiese: come definirebbe il futuro? Io risposi: è facile, il futuro sarà noioso. Saremo tutti annoiati e quando la gente è annoiata, come i bambini che si annoiano, comincia a rompere i giocattoli. Vedo periferie che si diffondono per il pianeta, la suburbanizzazione dell’anima, vite senza senso, noia assoluta. Una specie di mondo della tv pomeridiana, quando sei mezzo addormentato… E poi, di tanto in tanto, bum! Un evento di una violenza assoluta, del tutto imprevedibile: qualcosa come un pazzo che spara in un supermercato, una bomba che esplode. È pericoloso».

 

La suburbanizzazione significa che stiamo perdendo il centro delle cose o invece che il centro si è fatto televisivo? La violenza è nei media, quindi essere violenti è come essere al centro di qualcosa?

 

«Proprio così! Io penso che la violenza abbia un ruolo molto particolare, oggi. Il futuro ci riserverà psicopatologie. La gente è disposta a tollerare livelli di psicopatologia sempre più elevati nella vita moderna, livelli impensabili 50 anni fa. Come questa specie di apertura verso la pornografia, il che, tra l’altro, è un bene. Mi piace. La pornografia è bene, è controcultura. Il capitalismo ha una grande inventiva, una capacità di trasformarsi con brevissimo preavviso. Se qualcosa non va e tu non vuoi comprarla, non fa niente! Inventeremo qualcosa di nuovo, riempiremo i negozi con qualche novità. Ecco, io temo che la gente – annoiata per la maggior parte del tempo e senza nulla per cui vivere, specie in Inghilterra – si lascerà andare alle psicopatologie perché sono divertenti, sono esaltanti! Siamo tutti un po’ folli e ci possiamo divertire facendo i matti! È lì che si annida il pericolo, una specie di nuovo fascismo che sorge».

 

Pensi che oggi ci sia veramente la minaccia dal fascismo? Dal libro sembrerebbe di sì.

 

«Non penso che il tipo di fascismo che sta per arrivare sia quello anni ‘30. Non ci saranno stivali militari, Führer che strepitano, niente Sturmtruppen. Non sarà quel tipo di fascismo. Sarà un fascismo da tv, molto light, se è chiaro cosa voglio intendere. Il nostro Führer non sarà come Hitler, sarà più come uno show pomeridiano. Mi pare che voi in Italia abbiate tentato di avvicinarvi un po’ a questo modello con Berlusconi».

 

Sì. Cosa pensi di Berlusconi?

 

«Molti commentatori hanno detto: quando Berlusconi era primo ministro c’era un nuovo tipo di fascismo all’orizzonte. Controlla tutte quelle emittenti televisive, tutti quei quotidiani, ecc. Io non so se tutto questo sia vero, ma forse qui c’era l’inizio di qualcosa, l’uso dei mezzi di comunicazione di massa per un nuovo tipo di politica emotiva. Perché questa è la chiave di tutto: le emozioni. Blair lo ha dimostrato. Le emozioni sono sempre con noi. Non pensate mai: è un errore pensare. Usate solo le emozioni. La gente è così. Oggi i giovani uomini sono molto emotivi. È per questo che sono pericolosi. Sono pericolosi al volante, quando girano in bande, quando si ubriacano… Sono pericolosi quando la loro ragazza esce con un altro».

 

Non sanno controllare le emozioni?

 

«Esattamente».

 

Hai scritto libri di ogni genere, saggi di sociologia e politica, hai un ruolo importante nella letteratura moderna, ma c’è chi ti definisce un semplice scrittore di fantascienza, ovviamente uno dei migliori. Ti disturba?

 

«No, in verità no. Molti anni fa scrivevo fantascienza. Ma non ho scritto fantascienza per trent’anni o forse più. Non mi vedo più come uno scrittore di fantascienza, però lo ero, e quindi la cosa non mi preoccupa».

 

I tuoi primi lavori come Deserto d’acqua o Il vento dal nulla trattavano della società che ci circondava. Ma erano ambientati in un’epoca molto futura. Il Metro center invece è a pochi passi dal nostro tempo. Vediamo meno lontano?

«Sì. Non abbiamo più una visione del futuro. Molti pensano che il futuro sarà esattamente come il presente, come oggi. Da giovane, negli anni 30, mentre crescevo, tutti – così come alla fine degli anni 40 e negli anni 50 – tutti avevano grande consapevolezza del futuro perché ogni cosa cambiava così rapidamente: gli aerei erano più veloci, le macchine erano più veloci, e poi dopo la guerra sono arrivati gli antibiotici, le armi nucleari… I jet facevano il giro del mondo. Il cambiamento arrivava a una velocità tale che oggi, al confronto, non c’è più alcun cambiamento. Tutto è fatto per raccogliere applausi, per così dire».

 

Solo microcambiamenti?

 

«Sì, piccolissimi cambiamenti. Non sono apprezzabili. È molto strano: ci sono grandi cambiamenti, come Internet ad esempio, ma in realtà la vita nel suo assieme non è molto diversa da come lo era 10 anni fa. Non è cambiata drasticamente. Quindi penso che ci sia il rischio che a morire sia la stessa idea di futuro».

 

Cosa pensi della fantascienza di oggi? Può essere sovversiva come in passato?

 

«La fantascienza è morta il giorno in cui Armstrong ha messo piede sulla Luna, nel 1969. Penso che allora si sia messa la parola fine. Da allora molti dei sogni della fantascienza si sono avverati. I trapianti, la manipolazione genetica… Vuoi che tua figlia somigli alla Lollobrigida? Oggi è possibile».

 

Dobbiamo accettare la realtà di Regno a venire, o è possibile reagire? Dacci una speranza, anche piccola.

 

«Bisogna aprire gli occhi. In Occidente stiamo correndo il rischio di marciare come sonnambuli verso un incubo. Ne abbiamo avuto un assaggio con l’11 settembre a New York. In un certo senso, l’11 settembre è stata una specie di sveglia: “Svegliati, America!”. Io penso che si siano svegliati, ma che siano scesi dalla parte sbagliata del letto! Hanno invaso l’Iraq, sbaglio enorme. Ma quella era una sveglia. E la guerra contro il terrorismo islamico è molto vera. In tutto il mondo. Tra tante cose dobbiamo farne soprattutto una: dobbiamo svegliarci. Noi occidentali stiamo molto comodi. Viviamo in belle case, non abbiamo fame e, se ci ammaliamo, qualcuno si prende cura di noi. Molto comodo. Dobbiamo svegliarci. Ci stanno drogando con i beni di consumo. Non siamo più in grado di badare a noi stessi e invece dobbiamo cominciare a badare a noi stessi».

 

Ma in pratica cosa possiamo fare, smettere di consumare?

 

«Ah, che domanda! La mia generazione ha già tentato di rispondere: ora rispondete voi, io sono troppo vecchio».

 

“E’ una prospettiva inquietante, ma il fascismo consumista forse è l’unico modo per tenere insieme una società. Per controllare quell’aggressività e arginare tutte quelle paure e quelle forme di odio“.

 

 

Dobbiamo dare alle persone la possibilità di sfogarsi di liberarsi, ogni tanto, dei loro pesi.

 

“Diamo loro dei bei premi di consolazione violenti, comne il calcio e l’hokey su ghiaccio. Se ancora sentono il bisogno di sfogarsi lasciamo che brucino qualche negozio“.

 

E le leggi, la polizia, lo stato di diritto?

 

“Non serve a niente. Ci sono intere strade messe a ferro e a fuoco e loro dicono che si tratta soltanto di scontri tra tifosi di calcio. In realtà, sotto, sotto, vorrebbero che gli asiatici e gli altri immigrati se ne andassero. Proprio come l’amministrazione locale. Sempre meno piccoli negozi e sempre più grossi complessi commerciali, con conseguente aumento dei contributi fiscali da parte dei cittadini. E’ il denaro che detta legge: più case, più lavori per le infrastrutture. Gli piacciono le fanfare e le marce perchè coprono il rumore dei registratori di cassa”.

 

Il panorama economico e sociale di oggi? E’ definitivo? Prelude a qualcosa?

 

“Le cose che stanno succedento nelle città lungo l’autostrada potrebbero essere le prime avvisaglie di una rinascita nazionale. Chissà, magari la fine del tardo capitalismo e l’inizio di qualcosa di nuovo?“