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Giuseppe De Rita, sociologo: «Vince chi interpreta gli interessi locali»

di Orazio Carabini

 

 15 APRILE 2008

 

Il Partito democratico (Pd) ha virato al centro ma lo ha trovato occupato. L'analisi del voto di Giuseppe De Rita, presidente del Censis, parte da questa immagine. Di un Pd impegnato a conquistare quella parte dell'elettorato che fa vincere. E che invece, alla fine, non intercetta né i voti persi dall'estrema sinistra né quelli dell'elettorato centrista, fluttuante per definizione. «Sì, il centro era occupato – spiega De Rita – dalle comunità locali di interessi, per un verso, e dalla consuetudine che abbiamo importato dagli Stati Uniti per cui si vota per il leader».
Due fattori che hanno favorito il Popolo della libertà (Pdl). In che modo? «Non valgono più gli interessi – spiega De Rita – ma le comunità locali di interessi. Questo significa che la dimensione categoriale del "blocco sociale" non conta più. Gli interessi non si distinguono ma si sommano. E il caso Malpensa è esemplare. Qualcuno deve contemperare le esigenze dei piloti d'aereo con quelle degli inservienti dell'aeroporto. La Lega ci riesce, il Pd no. È stato questo il suo errore. Non serve compiacersi di aver attraversato 110 province in pullman. Alle comunità locali di interessi bisogna starci dentro e capirne le esigenze».
Poi c'è il fattore Berlusconi e la tendenza sempre più forte a caratterizzare la campagna elettorale come la contrapposizione tra due leader. «Quella italiana – osserva De Rita – è una società frastagliata, individualista che però si riconosce in una persona. E questa persona deve essere brillante come Reagan, non uno qualunque come Bush. Deve anche essere uno che da tempo occupa la scena politica perché, come dice James Hillman, "vale ciò che dura". Questa persona è Silvio Berlusconi, uno che ha resistito agli odi e alle botte in testa, che dura da tempo e che, quindi, ha una sua affidabilità».
Berlusconi risponde a un rinnovato bisogno dell'"uomo forte"? «Non direi – risponde il segretario del Censis –. Berlusconi nella campagna elettorale ha fatto una serie di gaffe che un "uomo forte" non avrebbe fatto. Penso a quelle sulle donne o a quella con Francesco Totti. Anzi, ha vinto la sua anima scherzosa». E gli italiani gli hanno perdonato anche una performance da presidente del Consiglio non proprio memorabile. «La sua fortuna è stata che il governo successivo era anche peggio del suo – ribatte De Rita – e i risultati dimostrano che gli elettori hanno punito l'Unione, l'asse Prodi-Bertinotti. È la sconfitta non solo dei partiti ma anche dei gruppi sociali della sinistra».
I voti del "centro" politico sembrano spariti: il Pd non sfonda, l'Udc fatica a entrare in parlamento, nel centro-destra va forte soprattutto la Lega. E i moderati dove si sono accasati? «Ma ci sono i moderati?», obietta De Rita che spiega: «L'americanizzazione della società ha portato con sé una crisi del ceto medio e una sorta di populismo "attratto" dagli abbienti». Vuol dire che più il cittadino si sente povero, più si sente rappresentato dal ricco? «Proprio così – risponde il sociologo del Censis –. In Italia la crisi del ceto medio ha prodotto un impoverimento della società e, in politica, la fine della Democrazia cristiana. Ora, poiché non c'è la forza di costruire un'alternativa al ceto medio, si assiste a questo fenomeno dell'attrazione che i poveri provano nei confronti dei ricchi».
Qualcuno dirà che ha vinto l'Italia dei furbi, degli evasori fiscali che poi fanno i condoni, di quelli che parcheggiano in seconda fila. «Se la politica è consenso – obietta il professore – non può fondarsi su giudizi morali. Come ha fatto la stampa estera in queste settimane e come fa spesso la sinistra. La sfida è diversa: la politica deve capire che per coagulare interessi non ci si può più fondare su "fincature" verticali ma bisogna puntare su una sorta di "neocomunitarismo". Non in senso olivettiano ma leghista, per coalizzare gli interessi in modo preciso. E il Pd farebbe bene a partire dal territorio in vista delle amministrative del 2010».
La tanto agognata governabilità sembra intanto assicurata. «Già, il Parlamento è blindato – ragiona De Rita – e penso che Giulio Tremonti non avrà grossi problemi a far passare i provvedimenti di bilancio. I problemi li avrà invece chi dovrà governare le opere pubbliche che scatenano le reazioni delle comunità locali. Perché il consenso non si costruisce sul deficit e sulle reazioni di Almunia a Bruxelles, ma sui posti di lavoro o sul valore del lotto di terra che deve essere espropriato per fare una strada».

 

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