Il Partito democratico (Pd) ha virato al
centro ma lo ha trovato occupato. L'analisi del voto di Giuseppe De
Rita, presidente del Censis, parte da questa immagine. Di un Pd
impegnato a conquistare quella parte dell'elettorato che fa vincere.
E che invece, alla fine, non intercetta né i voti persi
dall'estrema sinistra né quelli dell'elettorato centrista,
fluttuante per definizione. «Sì, il centro era occupato – spiega
De Rita – dalle comunità locali di interessi, per un verso, e
dalla consuetudine che abbiamo importato dagli Stati Uniti per cui
si vota per il leader».
Due fattori che hanno favorito il Popolo della libertà (Pdl). In
che modo? «Non valgono più gli interessi – spiega De Rita – ma
le comunità locali di interessi. Questo significa che la dimensione
categoriale del "blocco sociale" non conta più. Gli
interessi non si distinguono ma si sommano. E il caso Malpensa è
esemplare. Qualcuno deve contemperare le esigenze dei piloti d'aereo
con quelle degli inservienti dell'aeroporto. La Lega ci riesce, il
Pd no. È stato questo il suo errore. Non serve compiacersi di aver
attraversato 110 province in pullman. Alle comunità locali di
interessi bisogna starci dentro e capirne le esigenze».
Poi c'è il fattore Berlusconi e la tendenza sempre più forte a
caratterizzare la campagna elettorale come la contrapposizione tra
due leader. «Quella italiana – osserva De Rita – è una società
frastagliata, individualista che però si riconosce in una persona.
E questa persona deve essere brillante come Reagan, non uno
qualunque come Bush. Deve anche essere uno che da tempo occupa la
scena politica perché, come dice James Hillman, "vale ciò che
dura". Questa persona è Silvio Berlusconi, uno che ha
resistito agli odi e alle botte in testa, che dura da tempo e che,
quindi, ha una sua affidabilità».
Berlusconi risponde a un rinnovato bisogno dell'"uomo
forte"? «Non direi – risponde il segretario del Censis –.
Berlusconi nella campagna elettorale ha fatto una serie di gaffe che
un "uomo forte" non avrebbe fatto. Penso a quelle sulle
donne o a quella con Francesco Totti. Anzi, ha vinto la sua anima
scherzosa». E gli italiani gli hanno perdonato anche una
performance da presidente del Consiglio non proprio memorabile. «La
sua fortuna è stata che il governo successivo era anche peggio del
suo – ribatte De Rita – e i risultati dimostrano che gli
elettori hanno punito l'Unione, l'asse Prodi-Bertinotti. È la
sconfitta non solo dei partiti ma anche dei gruppi sociali della
sinistra».
I voti del "centro" politico sembrano spariti: il Pd non
sfonda, l'Udc fatica a entrare in parlamento, nel centro-destra va
forte soprattutto la Lega. E i moderati dove si sono accasati? «Ma
ci sono i moderati?», obietta De Rita che spiega: «L'americanizzazione
della società ha portato con sé una crisi del ceto medio e una
sorta di populismo "attratto" dagli abbienti». Vuol dire
che più il cittadino si sente povero, più si sente rappresentato
dal ricco? «Proprio così – risponde il sociologo del Censis –.
In Italia la crisi del ceto medio ha prodotto un impoverimento della
società e, in politica, la fine della Democrazia cristiana. Ora,
poiché non c'è la forza di costruire un'alternativa al ceto medio,
si assiste a questo fenomeno dell'attrazione che i poveri provano
nei confronti dei ricchi».
Qualcuno dirà che ha vinto l'Italia dei furbi, degli evasori
fiscali che poi fanno i condoni, di quelli che parcheggiano in
seconda fila. «Se la politica è consenso – obietta il professore
– non può fondarsi su giudizi morali. Come ha fatto la stampa
estera in queste settimane e come fa spesso la sinistra. La sfida è
diversa: la politica deve capire che per coagulare interessi non ci
si può più fondare su "fincature" verticali ma bisogna
puntare su una sorta di "neocomunitarismo". Non in senso
olivettiano ma leghista, per coalizzare gli interessi in modo
preciso. E il Pd farebbe bene a partire dal territorio in vista
delle amministrative del 2010».
La tanto agognata governabilità sembra intanto assicurata. «Già,
il Parlamento è blindato – ragiona De Rita – e penso che Giulio
Tremonti non avrà grossi problemi a far passare i provvedimenti di
bilancio. I problemi li avrà invece chi dovrà governare le opere
pubbliche che scatenano le reazioni delle comunità locali. Perché
il consenso non si costruisce sul deficit e sulle reazioni di
Almunia a Bruxelles, ma sui posti di lavoro o sul valore del lotto
di terra che deve essere espropriato per fare una strada».
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